VALVERDE STORY – CAPITOLO 7: ALLA VUELTA CON IL DENTE AVVELENATO

novembre 30, 2022 by Redazione  
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Non ha l’animo serenissimo Alejandro Valverde al via della Vuelta 2009. Il coinvolgimento nell’Operación Puerto, la squalifica inflittagli dal CONI che gli ha impedito di correre il Tour e un’altra che piombargli tra capo e collo ad opera dell’UCI lo motivano ulteriormente a far bene in una corsa che insegue fin dal primo anno di professionismo. Se la sua prima Vuelta, nel 2002, si era conclusa anzitempo con un ritiro, al secondo anno si fa subito notare vincendo due tappe di montagna e concludendo la corsa sul podio, 3° a quasi due minuti e mezzo dal connazionale Roberto Heras. Sarà poi quarto nel 2004 e secondo nel 2006, quando per poco più di un minuto avrà la meglio il kazako Aleksandr Vinokurov. Dopo il quinto posto nel 2008 e la fresca vittoria al Delfinato ora Valverde sente che è arrivato il suo turno e la prima parte di corsa sembra dargli ragione. Non vince tappe, ma prende la maglia di leader per soli 7 secondi sulle aspre pendenze di Xorret de Catí e incrementa il suo dominio sulle sierre andaluse: quando mancano sette giorni alla conclusione ha 31 secondi di vantaggio sull’olandese Robert Gesink e 1’10” sul connazionale Samuel Sánchez

7 settembre 2009 – 9a tappa: Alcoi – Xorret de Catí

PING-PONG AUSTRO-SPAGNOLO: VALVERDE BATTE EVANS 7-2

Proprio come una partita di ping-pong giocata sul filo dei secondi, i due massimi pretendenti alla Vuelta lottano per la maglia amarillo sul filo di lana. Ieri comandava l’australiano per 2” oggi lo spagnolo per 7” grazie all’abbuono della terza piazza raggiunta proprio nelle battute conclusive alle spalle di Ventoso e Marzano.

Se riducessero le tappe agli ultimi 7-8km probabilmente nessuno avrebbe nulla da ridere, soprattutto quando per i 180 precedenti a tenere svegli gli spettatori è solo la voce dei commentatori che divagano su vita morte e miracoli di ogni cosa che passi sullo schermo. Una gara per lunga parte noiosa, con i big che si controllavano in gruppo, attenti a quei pochi secondi che in questo momento, visto che siamo in vena di metafore, possono far oscillare i piatti della bilancia. Da una parte l’australiano Evans (Silence), dall’altra lo spagnolo Valverde(Caisse d’Epargne), 2” più pesante del rivale. L’ago della bilancia erano i sette uomini in fuga, molto cari al primo, indigesti al secondi, questo fino a pochi chilometri dall’arrivo quando in testa viaggiavano con 6’ di vantaggio e sembravano involati versa una vittoria certa. In quel momento davanti sentivano la strada impennarsi inesorabilmente sotto le loro ruote, 3-4-5% e via il primo scatto di Taaramae (Cofidis), a pagare per primi sono De La Fuente (Fuji), Ramirez Abeja (Andalucia), Sanchez Pimienta (Contempolis) e Devolder (Quick Step), 6-7-8%: secondo scatto dell’estone che si toglie di ruota anche gli ultimi due compagni d’avventura: Marzano (Lampre) e Veloso (Xacobeo). 17-18-19% e fine dello show anche per il campione nazionale estone, rapporti troppo duri e poca esperienza, Taaramae si pianta letteralmente sul tratto più perfido dell’Alto Xorret de Cati, quella salita che nel 2000 fece perdere tutti i 6’ di vantaggio a Roscioli, proprio per via dei rapporti sbagliati.
Nel frattempo il plotone recuperava sotto il ritmo indiavolato dei Caisse d’Epargne che non ci stavano ad aspettare un altro paio di giorni per vestire il loro capitano da leader, in 6km recuperano più di 3’ e quei fuggitivi tanto indigesti al murciano cominciano a prendere le sembianze di prede da recuperare una ad una. Taaramae si faceva riprendere da Marzano e Veloso che a 200m dallo scollinamento lasciava l’italiano e si involava verso il traguardo divorando le ultime curve in discesa, dietro l’assatanato Valverde si produceva in scatti e controscatti nel tentativo di scrollarsi di dosso Evans, Gesink (Rabobank) e Basso (Liquigas) dopo aver tolto ogni speranza a Cunego (Lampre), Mosquera (Xacobeo) e Danielson (Garmin) che giungeranno al traguardo a 30” dai big.
Sotto il ritmo dello spagnolo i fuggitivi cadevano uno ad uno, allo scollinamento davanti rimanevano in tre, Ventoso e Marzano oramai irraggiungibili si prestavano a tagliare il traguardo in solitaria, più indietro si consumava la battaglia decisiva, in palio la maglia amarillo ago della bilancia, o pallina da ping-pong a seconda della metafora preferita, il piazzamento e i secondi d’abbuono da giocarsi tra Evans, Valverde e De La Fuente. Lo spagnolo che tira a tutta, Evans che si porta in testa, forse per disturbarlo, forse per non farsi cogliere impreparato e troppo indietro. Ultimi 500m ancora tutto in ballo, proprio come nelle partite di tennis tavolo in cui ci si gioca tutto ai secondi, Evans e Valverde scalpitano, l’ultimo fuggitivo, la terza piazza, è li a pochi metri, 50 a farla grande, i contendenti partono assieme, Evans interno sembra la traiettoria migliore, almeno fin quando Gesink non taglia la curva, Evans pinza quel tanto che permette a Valverde di andarsenze, di prendersi gli 8” di abbuono e anche un ulteriore secondo dovuto alla luce tra lui e il gruppetto, Basso arriva assieme a Evans che si rialza e scuote il capo, domani a Murcia sarà proprio il padrone di casa a vestire il segno del primato.

Andrea Mastrangelo

12 settembre 2009 – 13a tappa: Berja – Sierra Nevada

MON…COUCOU, IL FRANCESINO NON C’E’ PIU’!

Nella 13a tappa, 172,4 km da Berja a Sierra Nevada, Basso prova ad attaccare Valverde sin dall’Alto de Monachil, ma il capoclassifica resiste fino alla fine, giungendo con il varesino e Gesink. La tappa va a Moncoutié, grazie ad una lunga fuga. Mosquera guadagna 24’’ sui favoriti, Sanchez ne perde 21, Evans paga oltre 1’ a causa di un problema meccanico. Crollano Danielson e Cunego. Valverde ha ora 27’’ su Gesink e 1’02’’ su Basso..

A dispetto di una classifica ancora molto corta, la Vuelta 2009 sembra aver trovato il suo padrone. Un padrone che non ha mai veramente entusiasmato, che si è difeso a cronometro, come da pronostico, e che in salita, dove avrebbe dovuto attaccare, si è invece limitato a fare altrettanto, rastrellando abbuoni qua e là. Un padrone che però è stato finora il più regolare e convincente tra i tanti pretendenti al successo finale in questo ultimo Grande Giro della stagione, aspiranti che la tappa odierna ha però ferocemente selezionato. Alejandro Valverde, aiutato dalle carenze di alcuni avversari, dalle ingenuità da dilettanti delle squadre di altri, ma anche e soprattutto da un motore che finalmente sembra poter resistere tre settimane senza passaggi a vuoto, ha messo oggi una mano sulla prima Vuelta della carriera, lui che nelle ultime cinque partecipazioni ha assaggiato tutte le posizioni della top 5, meno la più prestigiosa.
Andando con ordine, la tappa è stata caratterizzata sin dai primi chilometri dalla fuga di un drappello di una trentina di corridori, fra i quali Navarro e Rodriguez, rispettivamente 9° e 10° in generale stamane, da cui sono a loro volta usciti Taaramae, Moncoutié e Morenhout sul Puerto de la Ragua, salita di 1a categoria posta dopo 44 km. Il gruppo, che ha dimostrato come sbagliando non necessariamente si impari, ha di nuovo lasciato 1-2 minuti di troppo ai battistrada, che si sono presentati ai piedi dell’Alto de Monachil, a meno di 26 km dal traguardo, con un margine superiore ai 10’.
Moncoutié ha abbandonato immediatamente i due compagni di viaggio, mentre dietro il tratto pianeggiante precedente le prime rampe del Monachil aveva già lasciato intravedere quanto sarebbe accaduto sulla salita. La schiera di maglie verdi della Liquigas schierata in testa al gruppo ha infatti prodotto un forcing spietato nella parte iniziale dell’ascesa che due anni fa vide Vinokourov involarsi verso la maglia oro madrilena (a scapito proprio di Valverde), riducendo all’osso il plotoncino dei migliori. Danielson, 4° in generale stamane, a 51’’ da Valverde, ha mollato subito, e altrettanto ha fatto Damiano Cunego, 7°, che a questo punto potrebbe ritirarsi e pensare al Mondiale, oppure tentare di cogliere un altro successo parziale con una fuga da lontano. Per loro, il ritardo è stato alla fine, rispettivamente, di 6’59’’ e 28’14’’. La selezione si è fatta ancor più feroce quando Roman Kreuziger, raggiunto lungo il Monachil, ha imposto un ritmo forsennato per 2 km circa, cui solo Basso, Valverde, Evans, Gesink, Mosquera e Cobo sono riusciti a resistere.
Basso, che pareva decisissimo ad andare senza mezzi termini in caccia del primato, ha tentato per due volte un’azione in prima persona nell’ultimo tratto del Monachil, costringendo però il solo Juanjo Cobo ad alzare bandiera bianca. Ci hanno però pensato la sorte e l’ingenuità – inconcepibile a questo livello – dell’ammiraglia della Silence – Lotto a mietere un’altra vittima illustre: Cadel Evans. L’australiano è infatti incappato in una foratura proprio in vista del GPM, e ha dovuto attendere un minuto buono prima che l’auto della formazione belga si manifestasse e gli cambiasse la bici. Un minuto che, forse, rappresenta la pietra tombale sulle speranze di Cadel di aggiudicarsi finalmente un Grande Giro.
Il drappello della maglia oro, intanto, si presentava ai piedi dell’ascesa conclusiva verso Sierra Nevada con 6’ circa da recuperare a Moncoutié. Un divario ampio, ma che con una bella azione sarebbe stato possibile recuperare. Man mano che passano i giorni, però, sta diventando sempre più evidente che per vedere un “numero”, in montagna, è condizione non sufficiente ma necessaria che Alberto Contador sia al via. In assenza del madrileno, ci si deve accontentare di scattini e mezzi cambi di ritmo poco convinti; vale a dire, esattamente ciò cui abbiamo assistito lungo gli ultimi 16 km e spiccioli di salita. Mosquera è stato infatti il primo a provarci, quando mancavano 8 km, rinunciando dopo 100 metri; poco dopo è stata la volta di una serie di cambi di ritmo di Basso, che ha però passato più tempo a voltarsi che a tentare di staccare gli avversari (eppure, l’esperienza dovrebbe aver fatto capire a Ivan che, senza uno scatto secco, è difficile prendere 50 metri in un amen; non avendolo, dovrebbe provare ad insistere per più di cinque secondi).
Contemporaneamente alla (apparente) bagarre che aveva luogo davanti, mentre Moncoutié manteneva sempre un margine di sicurezza, Samuel Sanchez andava a raccogliere per strada i cadaveri di chi aveva tenuto con troppa baldanza il ritmo dei Liquigas sul Monachil (Cobo su tutti), e così facendo offriva anche un bel salvagente a Evans. L’australiano, spossato sia mentalmente sia fisicamente, dopo aver tenuto i migliori sulla salita precedente, e dopo lo sforzo profuso per rientrare sul drappello del campione olimpico nella prima parte dell’ultima, ha però ceduto a 6 km dal traguardo, dicendo forse definitivamente addio ai suoi sogni di (maglia) oro.
Dopo qualche altra effimera schermaglia, è stato finalmente Ezequiel Mosquera, di gran lunga l’uomo di classifica più combattivo di questa Vuelta, ad azzeccare lo scatto buono, a meno di 2 km dal traguardo, quando però Moncoutié già assaporava il dolcissimo sapore della seconda vittoria in carriera alla Vuelta. Il francese è così andato a cogliere il meritatissimo successo, precedendo il leader della Xacobeo Galicia di 52’’, e il trio Gesink – Basso – Valverde, regolato proprio dal murciano a 1’16’’. La bella rimonta di Sanchez ha consentito all’asturiano di tagliare appena 21’’ dopo la maglia oro, anche se i 40’’ e rotti recuperati in perfetta solitudine negli ultimi 6 km rendono ragionevole il dubbio che l’olimpionico sia stato fin troppo prudente. Evans, che probabilmente non avrebbe faticato ad arrivare con Gesink, Basso e Valverde, ha chiuso a 2’24’’ dal vincitore, 7’’ davanti ad un bravissimo Paolo Tiralongo.
La tappa odierna, alla fine risultata piacevole, ma che, viste le premesse createsi sul Monachil, lasciava presagire uno spettacolo anche maggiore, ha comunque riscritto la classifica generale, dandole un aspetto che potrebbe assomigliare molto a quello definitivo. Con ancora un arrivo in salita e una cronometro davanti, Valverde comanda ora con 27’’ su Gesink, ormai vicinissimo al primo podio in un GT in carriera, e 1′02’’ su Ivan Basso, che a questo punto pare dover più che altro pensare a difendere il podio. Per riuscirci, dovrà probabilmente rifilare qualche altro secondo a Evans, ora 4° a 1’23’’, e a Samuel Sanchez, 5° a 1’32’’, mentre Mosquera, 6° a 1’46’’, dovrebbe inventarsi un numero d’alta scuola domani per pensare di entrare nei primi tre.
Gettando un’occhiata al profilo della frazione di domani, l’impressione è che la tappa, 157 km da Granada a Sierra de la Pandera, sia favorevole a Valverde più che ai suoi avversari, malgrado su questa salita, tre anni fa, il murciano abbia visto Vinokourov chiudere i conti per il discorso successo finale. È probabile che, se qualcuno vorrà provare a ribaltare la Vuelta, le possibilità di successo siano maggiori in una delle tante tappe intermedie (Cordoba, Avila e soprattutto La Granja, praticamente una frazione di montagna) in programma nell’ultima settimana, piuttosto che in occasione dell’ultimo arrivo in quota. Comunque sia, tra Valverde e la prima Vuelta in carriera, l’ostacolo maggiore sembrano essere i precedenti: finora, lo spagnolo, in tutti i GT cui ha preso parte, è sempre incappato in una giornata no. Ad oggi, però, segnali in questo senso non se ne vedono.
Matteo Novarini

13 settembre 2009 – 14a tappa: Granada – Sierra de la Pandera

PANDERA, UNA SIERRA CON VISTA SU MENDRISIO

Nella 14a tappa della Vuelta, 157 km da Granada a Sierra de la Pandera, in grande spolvero i protagonisti attesi del Campionato del Mondo del prossimo 27 settembre: Cunego coglie la seconda vittoria di tappa grazie ad una lunga fuga, Valverde rafforza il primato, Sanchez guadagna terreno su tutti gli uomini di classifica. Basso, Gesink ed Evans attaccano, ma Valverde, dopo essersi inizialmente staccato, recupera e li stacca. In classifica il murciano è ora seguito da Gesink e Sanchez.

Quando il corridore più forte e regolare corre anche meglio di tutti gli altri, l’esito di una corsa è praticamente già scritto. Dopo due giornate passate ad inseguire chiunque scattasse, a chiudere ogni buco fiondandosi da una ruota all’altra, Alejandro Valverde, in occasione dell’ultimo arrivo in salita di questa Vuelta, quello breve ma secco di Sierra de la Pandera, ha cambiato tattica, evitando di rispondere agli allunghi degli avversari, lasciandosi sfilare e salendo del proprio passo. Il risultato di questa condotta di gara è stato forse anche superiore alle attese: dopo la sfuriata iniziale, Basso, Evans e Gesink hanno iniziato a sentire la fatica, si sono incartati sulle rampe al 14% dei chilometri finali della salita, proprio mentre Valverde, dietro di loro, iniziava a sprigionare tutti i cavalli del suo motore. Il leader della Caisse d’Epargne e della classifica generale è così andato a raccogliere per strada chi aveva intrapreso con troppa baldanza l’ascesa, staccandolo, e compiendo così un ulteriore e forse decisivo passo in avanti verso la conquista del primo Grande Giro della carriera.
Non possiamo però non introdurre sin d’ora il secondo grande tema di giornata, ossia la seconda vittoria di tappa di Damiano Cunego in questa Vuelta. Il veronese, che ieri era deliberatamente uscito di classifica, proprio per provare a vincere oggi, è infatti riuscito ad entrare nella fuga buona, in compagnia di Knees, Fuglsang, Palomares, Rabanal, Perez, Tankink, Florencio e De Weer. Un’azione sostanzialmente perfetta per Damiano, vista l’assenza di corridori pericolosi in classifica, che potessero costringere il gruppo a contenere il distacco, e di uomini che potessero sulla carta tenere il suo passo sull’ascesa finale.
La corsa – o meglio le corse, quella per la vittoria di tappa e quella per la maglia oro – si sono accese entrambe sull’Alto de los Villares, ai piedi del quale i fuggitivi conservavano ancora sei dei nove minuti accumulati come vantaggio massimo. Mentre in gruppo Euskaltel e Liquigas iniziavano ad alzare il ritmo, e a selezionare il gruppo dei migliori, i fuggitivi iniziavano, molto in anticipo sulle previsioni, a scattarsi in faccia, producendo un’andatura irregolare che consentiva al gruppo di portarsi a 4’30’’ dopo 4 km di scalata. La raffica di attacchi, peraltro infruttuosi, avrebbe messo seriamente a repentaglio il buon esito del tentativo, se Cunego non avesse rotto gli indugi a 2 km dalla cima del penultimo GPM, staccando nettamente gli ex compagni d’avventura in poche centinaia di metri.
Dopo lo scatto, il ritmo di Damiano è stato impressionante per un corridore in fuga dal mattino, tanto che il veronese è riuscito a non perdere praticamente nulla fino ai 5 km finali, e anche sulle ultime rampe ha saputo mantenere oltre 3’ sui primi big, della cui battaglia tra poco diremo. Dopo quello sull’Alto de Aitana, è arrivato dunque per Cunego un altro successo, forse meno emozionante e ottenuto contro avversari decisamente meno competitivi, ma che farà ugualmente piacere a Franco Ballerini, che può a questo punto consegnare senza timori i gradi di capitano al corridore della Lampre, giunto al top proprio a due settimane dall’inizio del Mondiale. Certo, vedendo il Damiano della Vuelta, è lecito domandarsi come un corridore del genere possa fallire clamorosamente un Tour e un Giro in cui è partito per fare classifica, salvo poi vincere due tappe (e, se ieri non avesse deciso di staccarsi, forse oggi non festeggerebbe una vittoria di tappa, ma un piazzamento nei 5) in una Vuelta pensata come preparazione al Mondiale. In questo momento, ci pare comunque opportuno posticipare questo discorso, che pure dovrà essere affrontato dal corridore e dalla sua squadra, a fine stagione, dopo Mendrisio.
Ma per un’Italia che sorride per Cunego, c’è una Spagna che non se la passa certamente peggio. Un altro azzurro, Ivan Basso, ha infatti finalmente attaccato con convinzione Valverde, a 5 km e spiccioli dal traguardo, dopo che Sylvester Szmyd aveva proposto un forcing che aveva ridotto il drappello dei big ad una decina di unità. Il varesino ha accelerato una, due, tre volte, finché il capoclassifica è sembrato crollare. L’Embatido ha iniziato a perdere metri, mentre davanti si formava un drappello composto da Basso, Gesink, Evans e Mosquera; poco dopo anche Samuel Sanchez ha raggiunto e superato il murciano, che, nel momento in cui anche Juanjo Cobo lo ha ripreso, è parso sul punto di andare alla deriva. Tanto più che davanti, mentre Mosquera se ne andava tutto solo, Gesink, 2° in generale, distanziava Basso e Evans, dando l’impressione di potersi vestire d’oro per la prima volta in carriera.
Esattamente come tre anni fa, Valverde aveva però scelto di giocare d’astuzia. E se allora la rimonta dello spagnolo era stata insufficiente, e Vinokourov e Kasheckin gli aveva comunque rifilato 30’’, questa volta il piano del corridore della Caisse d’Epargne è riuscito alla perfezione. Quando mancavano 3 km circa al traguardo, Valverde ha improvvisamente rilanciato, staccando istantaneamente Cobo, e portandosi in poche centinaia di metri nella scia di Evans e Basso, nel frattempo distanziati da uno scatenato Sanchez. Il murciano è quindi ripartito, andando a raggiungere Gesink all’ultimo chilometro, e facendo ancora in tempo a staccarlo di 4’’ con una lunghissima volata per il 5° posto. Così, solamente Sanchez e Mosquera sono riusciti a ridurre il distacco dal capoclassifica, rispettivamente di 22 (8 dei quali di abbuono) e 12 secondi.
Grazie a questo spettacolare recupero, Valverde ha addirittura rafforzato la sua leadership in classifica generale, e può ora gestire 31’’ su Gesink e 1’10’’ su Sanchez, gli unici avversari che in questo momento sembrano poterlo ancora spaventare. In particolare, malgrado un ritardo più che doppio, l’asturiano sembra in questo momento essere la più valida alternativa a Valverde, avendo dalla sua la cronometro di Toledo del penultimo giorno e un paio di discese a ridosso dell’arrivo. Tra gli altri, gli unici con distacchi ancora teoricamente recuperabili sono Basso (+1’28’’), Evans (+1’51’’) e Mosquera (+1’54’’). Anche in questo caso, il più pericoloso pare essere il peggio piazzato, che in questa tre giorni di montagne ha guadagnato su tutti, malgrado di qui a Madrid la strada non presenti più molte occasioni per un camoscio come lui. Quel che è certo è che, se qualcuno intende ancora provare a mettere in discussione la supremazia di Valverde, più che con le gambe, dovrà farlo con la fantasia.

Matteo Novarini

Evans e Valverde in azione sulla salita di Xorret de Catì, sede darrivo della nona tappa della Vuelta 2009 (foto Bettini)

Evans e Valverde in azione sulla salita di Xorret de Catì, sede d'arrivo della nona tappa della Vuelta 2009 (foto Bettini)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 6: L’OMBRA DEL DOPING E IL DELFINATO PER DIMENTICARE IL TOUR

novembre 29, 2022 by Redazione  
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Nel 2009 Valverde vorrebbe tornare al Tour ma c’è un problema. La corsa francese ha in programma uno sconfinamento in Italia, attraverso la Valle d’Aosta nel corso della tappa che dalla località elvetica di Martigny riconduce la corsa in Francia. E l’Embatido in Italia non ci può agonisticamente mettere piede a causa di una squalifica di due anni inflittagli dal CONI per il suo coinvolgimento nell’Operación Puerto, l’indagine spagnola che aveva portato alla scoperta di frodi sportive perpetrate nel 2006. L’Unione Ciclistica Internazionale è stata più prudente e per il momento non l’ha ancora squalificato a sua volta (accadrà solo anno dopo), consentendogli di correre al di fuori dai confini nazionali italiani. Ciò non gli permette, però, di disputare il Tour e così Valverde è costretto a ricalcolare i suoi obiettivi, spostando il mirino sulla Vuelta e sui Mondiali. E per consolarsi va a imporsi nella tradizionale prova generale della Grande Boucle, il Criterium del Delfinato, che fa suo senza cogliere successi di tappa: la frazione decisiva sarà quella con arrivo sul mitico Ventoux, dove lascerà la vittoria al polacco Szmyd

FRECCIA VALVERDE, MONT VENTOUX A SZMYD

Il migliore sulla montagna deserta è lo spagnolo che attacca il leader e conquista la “gialla”, poi sull’arrivo lascia la vittoria, prima in carriera, al polacco Szmyd che lo ha aiutato lunghe le ventose rampe del Monte Ventoso.

Una vittoria sul Mont Ventoux per molti è un sogno, e come la maggior parte dei sogni è destinato a non divenire realtà. Il polacco Szmyd (Liquigas) probabilmente fa parte di quel privilegiato gruppo che ha visto questo sogno concretizzarsi, farlo poi con la prima vittoria da professionista è davvero da prescelti.
Come spesso accade nella vita di gregario, sulle prime rampe dell’ascesa finale è costretto a fare il lavoro sporco per il suo capitano Ivan Basso. Scatta e alla sua ruota si porta il compagno varesino, i due abbandonano il gruppo della maglia gialla Evans (Silence), forte di una ventina di unità con tutti i migliori, e in breve guadagnano un minuto. Molte volte gli era capitato di dover servire i suoi capitani e questo ruolo cominciava a stargli un po’ stretto, proprio in settimana aveva dichiarato che stare al servizio degli altri a lui piace, ma vorrebbe qualche occasione anche per se, cosa che gli è accaduta assai meno spesso, per usare un eufemismo.
Sembra quasi uno scherzo del destino, ma quel ruolo da comprimario gli è capitato proprio oggi, in una delle tappe più importanti del Delfinato, una delle salite simbolo di Francia.
Il suo capitano è stato il primo a mollare quando gli avversari hanno cominciato a fare sul serio e così al gregario dela Liquigas è rimasta carta bianca per tentare il tutto per tutto. Da dietro nel frattempo si era mosso Valverde (Caisse d’Epargne) che con una gamba sola, in poche centinaia di metri, aveva ripreso il gruppetto di testa: Basso e Szmyd (Liquigas), Arrieta (AG2R), Kern (Cofidis), Zubeldia (Astana) e con quella stessa gamba aveva salutato la compagnia anche di questo drappello. Pochi secondi per capire che il suo leader non può farcela ed ecco da dietro arrivare “Gatto Silvestro” (come gli amici chiamano Sylvester Szmyd), spinto da una condizione splendida dopo il Giro d’Italia.
Evans da dietro lascia fare, preoccupandosi più del vento e di Contador (Astana) che della freccia nera (alias Valverde), pensando che l’arma di Eolo avrebbe, nei sette chilometri rimanenti, fermato il suo impeto.
Davanti però lo spagnolo non accennava a mollare, aiutato anche dal polacco che vedeva sempre più vicino il sogno della vittoria, dopotutto, senza abbuoni, a Valverde sarebbe stato molto più utile trovare l’accordo con Szmyd che non la vittoria finale, mentre dietro stentavano a trovare l’accordo e proseguivano a scatti e accelerazioni: dai meno sei, cioè quando Basso è stato riassorbito dagli uomini di classifica, è stato un attacco continuo: prima Nibali (Liquigas) quindi Efimkin (AG2R), poi Fuglsang (Saxo Bank), Moncoutie (Cofidis) e di nuovo Efimkin. Intanto il loro svantaggio cresceva a vista d’occhio, 1’10”, 1’30” fino ad un chilometro e mezzo dal traguardo quando Valverde è diventato maglia gialla virtuale con 1’56” di vantaggio contro 1’54” da recuperare. All’ennesimo tentativo Fuglsang fa il vuoto seguito a 20m da Gesink (Rabobank), la paura del vento frena ancora Evans che perde anche questo treno.
Il vantaggio davanti supera la soglia dei 2’00”, per i due al comando ormai è fatta! Sembra fatta perché a meno di un chilometro dall’arrivo la telecamera mostra Szmyd che quasi si ferma, una crisi, no un guaio meccanico. Non ci voleva, 15km a tutta inseguendo la prima vittoria per fermarsi a 700m dal sogno, una beffa! Valverde si gira, non ci crede, aveva un compagno di fuga e non lo trova più, non si ferma, vorrebbe, ma non può, affronta l’ultimo tornante…ma ecco una scheggia verde lo affianca e lo supera a velocità doppia, una reazione di forza del polacco che non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione, pugno alzato e prima vittoria conquistata, un grande applauso, davvero, se lo merita.
Al terzo posto giunge Zubeldi a 1’10”, quindi Gesink a 1’46” e Fuglsang poco dietro. Evans paga a caro prezzo l’attendismo, ne aveva ancora e lo dimostra staccando Contador negli ultimi metri, ma non ha voluto rischiare e così ha gentilmente consegnato la maglia di leader allo spagnolo, al traguardo giunge con 2’06” di ritardo.
Molto bene Millar (Garmin) che arriva col leader, Nibali appena dietro taglia il traguardo in nona posizione a 2’16”.

Andrea Mastrangelo

Sul Mont Ventoux Valverde lascia la vittoria a Szmyd e si prende la maglia di leader del Criterium del Delfinato (foto Bettini)

Sul Mont Ventoux Valverde lascia la vittoria a Szmyd e si prende la maglia di leader del Criterium del Delfinato (foto Bettini)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 5: L’EMBATIDO SI VESTE DI GIALLO

novembre 28, 2022 by Redazione  
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Valverde non è solo un cacciatore di classiche. Le sue doti di scalatore gli consentono di farsi valere anche nelle corse a tappe, come ha già dimostrato fin dal suo primo anno da professionista, il 2003, quando concluse la Vuelta al terzo posto in classifica dopo essersi imposti negli arrivi in quota dell’Envalira e della Sierra della Pandera. L’anno successivo è quarto nella corsa di casa, nel 2005 debutta al Tour e fa suo l’impegnativo arrivo di Courchevel prima di esser costretto al ritiro per problemi al ginocchio. Nel 2006 sfiora la vittoria alla Vuelta, secondo con poco più di un minuto di ritardo dal kazako Vinokurov; nel 2007 tenta nuovamente l’assalto al Tour ma non va oltre un secondo posto sul traguardo di Briançon. Il 2008 sembra l’anno giusto per portarsi nella sua Murcia la maglia gialla e si presenta al via del Tour condividendo i panni del grande favorito assieme all’australiano Cadel Evans, ma entrambi se ne troveranno a casa con le pive nel sacco, Valverde deluso dall’ottavo posto finale, Evans scornato d’aver perso il Tour per soli 58 secondi, preceduto a Parigi dallo spagnolo che non ti attendi, Carlos Sastre. Entrambi delusi, ma entrambi con la soddisfazione di averla vestita la maglia gialla, Evans per quasi una settimana tra Pirenei e Alpi, Valverde per quarantottore ad inizio Tour, dopo essersi imposto nella frazione d’apertura di Plumelec, il cui traguardo ricorda il vecchio finale di Ans della Liegi sul quale già due volte è stato vittorioso. Per una vittoria bisognerà attendere ancora dodici mesi, quando riuscirà finalmente a imporsi alla Vuelta.

ALEJANDRO VALVERE FUOCO LIQUIDO

Carpe Diem. Il detto latino ha ispirato Alejandro Valverde sull’arrivo della 1° tappa del Tour de France, al termine di una salita di 1700m al 6%. Incurante del risparmio di forze, il campione nazionale spagnolo ha rintuzzato l’attacco di Kirchen nei 200m finali, rifilando, in ottica classifica generale, 1″ a Evans e F. Schleck, 7″ a A. Schleck, Cunego e Menchov.

Parecchi lustri sono passati da che l’ouverture della Grande Boucle non dispiegò per un’ultima volta una melodia più lunga di una cronometro. Nel 1966, l’ultima tappa in linea di apertura, la Nancy – Charleville, vinta da Rudy Altig. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quell’anno, in cui successe di tutto: i Bealtes tennero l’ultimo concerto, la Francia uscì dalla NATO (che qui chiamano sciovinisticamente OTAN), l’Inghilterra vinse persino un mondiale di calcio. Dopo un dominio incontrastato di 42 anni il solitario prologo cede allo spettacolo di massa della Brest – Plumelec, 197,5km. Dici Brest, pensi Bretagna; pensi Bretagna e ti si schiudono due strade: terra di campioni o terra di tranelli. Dei 36 Tour vinti da francesi, 11 furono bretoni, tra i quali spiccano nomi leggendari come Hinault (5 vittorie), Bobet (3), Robic (1) e Petit-Breton (2, all’alba dei tempi), in rigoroso ordine cronologico retrogrado. Il sentiero alternativo ai Campi Elisi ciclistici segue una pista accidentata, battuta dal vento salmastro o intriso di fieno, mai pianeggiante ma mai collinare
Il Tour de France, sotto l’ammiraglio Preudhomme, cambia volto e lo fa con un incipit al singhiozzo: sia per le centinaia di strappi che danno vita ad un profilo altimetrico degno di una chiave sia per le lacrime versate da tanti, in una tappa di strettoie, cadute e nervi a fior di pelle. A terra, tra gli altri, Schleck Franck, Popovich e Soler. Il colombiano è il primo pezzo da novanta ad alzare bandiera bianca: a terra ai meno nove, dritto in una curva e tre minuti sul groppone. Touchè. La media dei 43 orari illustra uno svolgimento frenetico e mai domo, per rincorrere la prima sortita desesperada della 95° edizione della Grande Boucle. All’8°km si involavano infatti l’immancabile Voeckler, imitato da Ruben Perez, Arrieta, Le Quatre, Augè, Schroder e gli ultimi ad arrendersi, l’iberico David de la Fuente e il bretone Jégou, rintuzzati a 7km da Plumelec.

Il villaggio del dipartimento del Morbihan – solite case dal tetto d’ardesia e finestre truccate di mascara – ha una tradizione ciclistica da metropoli. Sulle rampe della salitella che reca al paese, infatti, si conclude una delle più importanti corse del circuito francese, il GP Plumelec. Tra le sue vie, fu sparato il colpo di pistola del Tour dell’85 con un prologo di 5km dominato dall’atleta di casa, Bernard Hinault che quell’edizione la vinse, imitando un altro gigante del pignone come Merckx, anch’egli prima maglia gialla nel vittorioso Tour del ‘74, con partenza proprio in Bretagna.

Il motivo di tutte queste parole in libertà? Sempre a Plumelec, un corridore dalle belle speranze intende con fermezza seguire il sentiero della gloria tracciato dai giganti di questo sport. Non è un campione ancora (aspettiamo prima di sputare sentenze) ma un Pollicino attento a spargere sassi invece di briciole. Alejandro Valverde vince la prima tappa del Tour. Il sogno struggente della maglia gialla è più forte dei tatticismi, della politica dei piccoli passi e della storia della formica. Se il murciano si rivelerà una gradassa cicala, sarà la strada a sentenziarlo. Per ora ci si limita a strabuzzare gli occhi di fronte al gesto atletico di uno dei più forti scattisti – esageriamo, il più forte – del movimento. Esaurito il cicaleccio di Schumacher, Kirchen provava il fendente a 500m dal traguardo, posto al termine di 1700m al 6%. Visto Ballan sfinirsi alla ruota del vincitore dell’ultima Freccia Vallone (e dunque in sintonia con tali arrivi), il suo successo pareva destino.

Basta però uno sventolio troppo audace per accendere la miccia di Valverde. Non era tenuto a sprintare, data la colpevole assenza di abbuoni. La fame e la gamba, seguite a ruota dalla testa, hanno spronato l’ora toro ora torero a sgasare negli ultimi 200m, con una fiammata capace di intossicare i vari Gilbert, Pineau e Kirchen. Il risultato non sorprende: i brevi strappi conclusivi sono il pane di Valverde, confermato da una recente e simile volata in quel di Privas, Giro del Delfinato. Bazzecole, per uno che ha vinto le ultime tre corse di peso cui ha partecipato (Liegi, Delfinato, campionato nazionale). Stupisce la modalità, l’esplosione di potenza dopo uno strappo preso di petto (eufemismo). La pazzesca velocità nel finale è testimoniata dalle tante bocche storte dei soli 47 atleti compatti all’arrivo. Freire, favorito della vigilia, ha chiuso in decima piazza. Per uno che alla Tirreno miete vittime anche sugli speroni di roccia, si tratterebbe di una delusione, quantunque l’ordine d’arrivo, nel quale figurano Evans (6°, attento) e Pozzato (7°, ingolfato) pare quello d’una Liegi.

Piccola digressione finale con tanto di consigli per gli acquisti a favore di Riccardo Riccò. Il Cobra modenese, notevole feeling con l’asfalto nel 2008, dopo una paurosa caduta al Giro per poco costatagli un dito, aveva dichiarato: “Farò come Pantani: sempre in fondo, salvo per vincere”. Oggi, è rimasto pericolosamente nelle retrovie, finendo attardato per lo spunto finale (valso comunque un promettente quinto posto). Al Tour de France il gioco non vale la candela: chi s’intruppa paga, nella corsa più nevrotica del circuito, dove le cadute sono all’ordine del giorno, dove il ritmo è forsennato, più del Giro, dove i percorsi sono accidentati e il vento frequente. Armstrong è rimasto attardato per cadute una volta sola: anche così si vince un Tour. Senza dar credito a petulanti isterismi, le forze si risparmiano “limando”, stando davanti, non esimendosi dalle vittorie. Riccò dovrebbe invece dare ascolto alle proprie gambe. La storia, i campioni del Tour, la fanno vincendo.

Federico Petroni

Valverde in maglia gialla al Tour del 2009 (foto Bettini)

Valverde in maglia gialla al Tour del 2009 (foto Bettini)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 4: RITORNO ALLA LIEGI

novembre 27, 2022 by Redazione  
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Dopo la strepitosa ma non inattesa doppietta del 2006, quando lo scalatore spagnolo aveva fatto sue Freccia Vallone e Liegi, la stella di Valverde sembra appannarsi. Nel 2007 avevo nuovamente messo le due classiche belghe nel mirino e anche in questa occasione farà doppietta, ma stavolta sarà in negativo, perché in entrambe si dovrà accontentare del secondo piazzamento, preceduto da Davide Rebellin alla Freccia e di Danilo Di Luca alla “Doyenne”. Per rivedere lo spagnolo raggiante al traguardo bisognerà attendere dodici mesi, quando il 27 aprile 2008 si “vendicherà” del corridore veneto precedendo in volata alla Liegi, dopo che alla Freccia aveva collezionato solo un deludente ventunesimo posto a quasi mezzo minuto dal vincitore, il lussemburghese Kim Kirchen

LIEGI-BASTOGNE-LIEGI: VALVERDE SI RIPETE, DOMA LA DOYENNE E TORNA GRANDISSIMO

Nel momento peggiore della sua carriera, Alejandro Valverde estrae il coniglio dal cilindro e fa sua la 94esima edizione della Liegi-Bastogne-Liegi regolando allo sprint gli eterni piazzati Rebellin e Frank Schleck. Decisiva la nuova salita, la Cote de la Roche aux Faucons, sulla quale è scattato Andy Schleck che ha spianato la strada al fratello maggiore, cui si sono prontamente accodati il veneto ed il murciano. Lo sprint senza storia ha premiato il portacolori della Caisse d’Epargne che torna ad imporsi in una grande classica a due anni dall’ultimo trionfo.

Alejandro Valverde attende, annusa l’aria, scannerizza gli avversari. Stavolta, la Liegi – Bastogne – Liegi è dura, molto più dura rispetto a due anni fa, quando – stessa storia, stesso posto, stesso bar – era bastato farsi portare in carrozza dagli indecisi avversari fino al rettilineo di Ans, sede dell’arrivo della Decana delle corse, venuta al mondo nel lontano 1894. Cambia il percorso, si inasprisce l’altimetria con una salita nuova, la Cote de la Roche aux Faucons, alla cui sola vista l’acido lattico inonda i polpacci. La corsa reclama una gestione diversa: correre al coperto, mettere alla frusta la squadra, salvare la gamba ad ogni occasione, anche a costo di restare un pelo staccati.
Franck Schleck si conosce, medita e trattiene i compagni. Quando il gruppo, a circa 90km da Liegi, approcciava il primo trittico del terrore – le cotes di Wanne, Stockeu e Haute Levée – le squadre più ansiose di dare il primo, vigoso colpo di cesello ai pretendenti entravano in azione: Lotto per Evans, Caisse d’Epargne per Valverde e AG2R per non si sa chi (Nocentini? Desaparecido). Mancava la CSC, la tattica veniva alla scoperta, rifiutando l’ormai consueto palinsesto con gli uomini di Bearne Riis in testa a condurre le danze per indurire le gambe dei rivali, quel tanto da permettere al capitano Schleck, battuto in volata, di spiccare il volo. Dopo le sfinenti ma sterili fughe all’Amstel e alla Freccia, la posta in gioco era troppo alta: meglio dare un colpo deciso con un gregario di classe nelle fasi cruciali.

Davide Rebellin controlla, gestisce e manovra le celesti marionette della Gerolsteiner come un esperto burattinaio. Folle portare Cunego e Valverde in volata e impensabile provare a fare saltare il banco da lontano su un percorso ignoto, l’unica pista da battere nel buio pesto tattico della Liegi è mandare in avanscoperta un compagno, su cui contare come punto d’appoggio. Assieme a Stubbe, Kopp, all’indiavolato Brutt e al promettente francesino Rolland (ultimo a cedere dopo la Redoute), viene spedito in fuga Markus Fothen, ex giovane di belle speranze tedesco, in attesa di rinforzi. Puntualmente in arrivo.

Alejandro Valverde annaspa, barcolla e insegue. A poco più di 30km dal traguardo, l’asfalto si impenna all’uscita di una curva: ecco la Redoute, ex mostro sacro della Liegi, declassata a semplice filtro di seconda mano. La pendenza, stabilmente in doppia cifra, sfiora il ventello e il murciano della Caisse d’Epargne comincia a vedere doppio. Che sia arrivato l’istante della capitolazione, non sul più bello come all’Amstel, non nel momento della verità come alla Freccia ma nel grigiore delle retrovie di un gruppo che sta ormai a cavalcioni di un vulcano quiescente? Valverde è talmente indietro che manco vede la testa del gruppo, ciondola ma si concentra sullo sforzo.

Frank Schleck è brillante, vispo ma guardingo. Sa che non è ancora scoccata l’ora dell’unico affondo decisivo di giornata. Osserva, sornione come Gatto Silvestro, quegl’impavidi che si sfiniscono di scatti e allunghi, di ripetuti canti del cigno, li lascia sfogare. Ecco un arcobaleno brillare nel cielo delle Ardenne, quello di Bettini che proprio sulla Redoute, costruì una vittoria, una carriera e, forse, una vita. Schleck scorge l’ira del campione del mondo di fronte alla mancanza di rispetto del gruppo di fannulloni a questa tremenda salita ma, a differenza del livornese, trattiene l’esuberante gamba. Mentre Soler, Lloyd ed Evans chiudono il buco, il lussemburghese si guarda intorno per cercare una sagoma amica e scorge la più cara ed impensata: quella del fratello. Andy Schleck è lì, nemmeno ultimo vagone del trenino dei migliori. Basta uno sguardo, il fratellino capisce le intenzioni del fratellone e scatta veemente sul falsopiano, lasciando basiti corridori, spettatori e commentatori con un’azione di forza e agilità insieme capace di dargli cento metri in un batter d’ali.

Anche Davide Rebellin stava annaspando, barcollando e inseguendo, lucido però abbastanza da capire la topicità della situazioni di corsa. Rientrato agevolmente sul rilassato gruppetto dei nove più pimpanti della Redoute, eccolo spronare un’altra marionetta del teatrino Gerolsteiner ad uscire allo scoperto: Stefan Schumacher, altra ex primadonna in cerca di se stesso, lanciato a tutta velocità all’inseguimento di Schleck junior. Che il tentativo di eversione sia appetitoso, Rebellin lo intuisce da subito: Pellizzotti ed Efimkin invano si dannano l’anima per cucire lo strappo sullo Sprimont e invano Bettini esegue il doloroso canto del cigno sulla salita che sei anni fa lo lanciò verso il bis nella Doyenne. Davanti, gli illustri comprimari vanno spediti: sarà dura recuperarli.

Davide Rebellin raccoglie le forze, punta il naso all’insù e sventra l’asfalto. È cominciata la nuova cote, la Rocca dei Falconi. Joaquin Rodriguez ha appena piazzato una delle sue accelerazioni da camoscio. Se il gregario di Valverde decolla, la Liegi è andata, dietro nessuno sarebbe più disposto a tirare. Il veneto ha la sua idea delle condizioni del compagno in fuga: Schumacher non è quello di un anno fa e nemmeno quello di Stoccarda, ma in fondo, Schumacher, chi lo conosce? Mentre, duecento metri avanti, Andy Schleck conferma i dubbi esistenziali su Schumacher, piantandolo in asso, Rebellin capisce che arrivata l’ora della vendemmia, di gettare la maschera e fare sul serio. Lo scatto fa male, il respiro dei rivali si fa affannoso.

Franck Schleck marca, si acquatta, collabora. La gamba risponde al meglio, conscia di essere una delle più esplosive di questa sinora scalognata Campagna del Nord. Il rapporto fluisce potente tra villette in festa a valle, un misterioso bosco a monte. I vari Rodriguez, Cunego, Evans, Pfannberger, Bettini si disputano come piccoli Lillipuziani la ruota del lussemburghese volante – a sua volta in scia di quel vecchiaccio del capitano della Gerolsteiner – ma le pendenze e i continui cambi di ritmo della nuova salita (scostante, irascibile e cocciuta) martoriano la resistenza degli ostinati partigiani. In cima allo strappo, il fratellino è raggiunto e gli avversari staccati, con il solo campione spagnolo a ostinarsi a non staccare la spina. Non è questione di tattiche, ma di gambe. Sta davanti chi ne ha di più.

Alejandro Valverde interroga le gambe, conta le stille di energia, si alza sui pedali. Non può il proprio gregario stare davanti nella corsa più dura del mondo; non può sfuggire ancora la Liegi, dopo averla vinta da padrone, persa da allocco e sognata ogni notte per dodici mesi; non si può salire in riserva e trovarsi di fianco a gente con la bocca aperta e la bava che cola: segno che i margini ci sono. Basta una zompata delle sue, di quelle che tradiscono la giornata di grazia, per riportarsi sul quartetto di testa. La corsa è chiusa. Due coppie e una sicurezza: per chi dietro si è gettato alla ricerca del tempo perduto, il sogno finisce a 20km da Ans, nonostante Rodriguez molli poco dopo il rientro veemente del proprio capitano.

Davide Rebellin ha grinta, gambe e fame. Non come nel 2004, quando, già Amstel e Freccia nel carniere, sfruttò lo stomaco vuoto di Boogerd per spremere l’olandese all’inseguimento del fuggitivo Vinokourov nel finale della Liegi, salvo poi infilzarlo in volata. Da quel giorno, però, il 37enne vento ha vinto solo sul muro di Huy. Comprensibile vederlo sfiatarsi all’inseguimento di Andy Schleck, asso nella manica calato dal pokerista Franck, scattato ancora una volta per stanare gli avversari del fratello e sancire il suo definitivo sbocciare come talento assoluto di questo sport.

Franck Schleck fiuta l’andazzo, scuote il capo, matura grandi propositi. Sa bene che il generoso scatto di Andy lascia il tempo che trova, si esaurirà da solo, è destinato all’inesorabile destino di infrangersi sul Saint Nicolas come una mareggiata sugli scogli. Lo sanno anche i due avversari che, più veloci di lui, si preparano al prevedibile assalto sull’ultima cote del 28enne lussemburghese. E, con puntualità svizzera forse appresa da Cancellara, Schleck si alza sui pedali appena il fratellino viene ripreso. Lo scatto vibrante e potente, energico e dissodante come un aratro nei campi, fa bruciare le gambe di Rebellin, scotta quelle di Valverde senza però sortire l’effetto desiderato: l’italiano e l’iberico restano incollati alla sua ruota. La corsa di Schleck è finita, le ultime energie sparite nel buco nero della lancinante fatica. Nonostante i rivali paventino ancora, nei cinque chilometri conclusivi, un pericoloso affondo, tanto da procedere ai dieci orari sulla salita verso Ans, la spia rossa, per Schleck è accesa da un pezzo.

Alejandro Valverde attende, annusa l’aria, scannerizza gli avversari. E vince. Incredulo al cospetto dell’afflosciarsi di Schleck, sicuro di potere infilzare Rebellin in una volata a due, si prende pure la briga di uscire in testa dalla curva finale e di partire per primo verso quella linea bianca troppe volte sfuggita nelle gare che contano. Spesso bastano le prime tre pedalate per capire, in uno sprint, chi vincerà. Per Valverde, neanche quelle: la corsa si era infatti decisa sulla Roche aux Faucons, quando, quasi con naturalezza, questo figlio della Spagna chiudeva il buco sugli scattanti. Troppo veloce, sorprendentemente furbo e scaltro, maledettamente adatto a questa corsa per potere essere scalzato da chi, come Rebellin, ha speso l’indicibile per fare sua, anch’egli, una seconda volta la Liegi, la Decana, la corsa di un giorno più dura, più estenuante. La più vecchia ma sempre la più bella.

Federico Petroni

Il ritorno alla vittoria di Valverde alla Liegi nel 2008, due anni dopo la doppietta con la Freccia Vallone (foto Bettini)

Il ritorno alla vittoria di Valverde alla Liegi nel 2008, due anni dopo la doppietta con la Freccia Vallone (foto Bettini)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 3: E POI ARRIVA LA LIEGI

novembre 26, 2022 by Redazione  
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Neanche il tempo di far decantare la Freccia e quattro giorni più tardi Valverde stappa anche la Liegi, mettendo in carniere una prestigiosa doppietta per un corridore che si appresta a festeggiare nel migliore dei modi il suo 26° compleanno. 48 ore prima del genetliaco il murciano fa sua la 92a edizione della “Decana” della classiche imponendosi sul traguardo di Ans e, come alla Freccia Vallone, a decidere è lo sprint finale, che lo vede prevalere sugli italiani Bettini e Cunego.

GLI AZZURRI FANNO LA GARA. MA VALVERDE LI CASTIGA TUTTI

E’ andato in scena il Valverde-show anche sulle strade della Liegi-Bastogne-Liegi. Lo spagnolo è stato astuto a non sprecare energie inutili prima dello sprint finale, nel quale ha regolato piuttosto agevolmente Paolo Bettini ed il nostro Damiano Cunego, apparso in condizione entusiasmante. La gara, che ha vissuto sulla fuga iniziale di 25 uomini, si è accesa improvvisamente a poco meno di 30 chilometri dal traguardo, quando ha provato Boogerd seguito dal compagno di squadra di Valverde, Rodriguez. Da quel momento in avanti è stata bagarre, con gli italiani sugli scudi. Tanti gli affondi dei nostri portacolori, che hanno affilato i coltelli in vista del Giro.
Un’Italia generosa battuta dall’atleta più in forma del momento. E’ riassumibile così la 91esima edizione della Liegi-Bastogne-Liegi, che ha incoronato Alejandro Valverde come il dominatore della settimana, dopo il successo di mercoledì scorso nella Freccia-Vallone. Il talento iberico, 26 anni ancora da compiere, è sbocciato definitivamente, ed in attesa di inquadrare in maniera decisa quale possa essere il suo futuro, diviso per ora tra Classiche, Campionato del Mondo e Grandi Giri, ha iniziato a togliersi le prime grandi soddisfazioni.
Vediamo in breve come si è svolta la gara, che ha vissuto sull’azione nata al chilometro 34 ed al quale hanno contribuito ben 25 atleti, in rappresentanza di 20 squadre: tra gli uomini più pericolosi, Voigt (CSC), secondo nel 2005, la coppia della Rabobank composta da Kolobnev e Flecha, Rogers e Wesemann della T-Mobile, Unai Etxebarria (Euskaltel-Euskadi), Serrano (Liberty Seguros) e Nibali (Liquigas). Quando mancavano poco meno di 100 chilometri al traguardo, ed il gruppo, che inizialmente aveva lasciato fare acquisendo 7 minuti di margine stava per rinvenire, Wesemann ha provato la sortita solitaria, arrivando a guadagnare 2 minuti sugli immediati battistrada, prima di essere raggiunto poco a poche pedalate dell’imbocco della Redoute, dopo un tentativo di allungo di Gilbert. A quel punto i migliori erano già tutti in rampa di lancio. A scandire il ritmo sulle prime rampe della Redoute erano gli uomini di Cunego, con Stangelj su tutti, prima del cambio di ritmo di Basso che spianava la strada proprio all’attacco del veronese. Il piccolo Principe si alzava sui pedali e provava a scremare il gruppo, riuscendovi. Alla sua ruota, i più brillanti sembrano ancora i nostri portacolori, con Basso, Bettini, Di Luca, Simoni, Valverde, Boogerd, pronti a portarsi alla ruota del vincitore del Giro 2004. Tra i più attivi da segnalare anche Martin Perdiguero, che a 200 metri dello scollinamento tentava di nuovo di forzare l’andatura. Si usciva così dalla Redoute con il gruppo dei migliori diviso in due. Nel gruppo dei ritardari, da segnalare la presenza di tutti i compagni di Paolo Bettini, rimasto quindi solo davanti, e di Stefano Garzelli, nuovamente in ritardo rispetto ai migliori.
Ci si è avviati così verso il lungo tratto in discesa, apripista della salita dell’Università. E proprio mentre Michele Bartoli (vincitore a Liegi nel 1997 e nel 1998) in diretta Rai confermava la pericolosità di questo tratto per azioni a sorpresa, ecco che Joaquin Rodriguez tutto solo allunga, ed alla sua ruota si porta Boogerd. I due, o meglio, il solo Boogerd, visto che Rodriguez non ha dato cambi per favorire il recupero del gruppo nel quale era presente il suo capitano Valverde, guadagnano nel volgere di pochi chilometri un margine che oscilla tra i 40 ed i 50 secondi. Sulla salita dell’Università si inizia a far sul serio. Da dietro intanto il gruppo era diventato forte di una quindicina di unità in più, e tra i rientranti erano Giuliano Figueras (Lampre-Fondital) ed Alberto Contador (Liberty-Seguros) a forzare per ricucire lo strappo. Contador ben presto si lasciava sfilare sulla sinistra ed il suo posto veniva occupato da Kashechkin, suo compagno di squadra, che allungava portandosi a ruota Bettini e Basso. Il gruppo, grazie all’azione del kazako, iniziava a guadagnare, arrivando ad un margine di 38’’ in prossimità dell’ultimo chilometro della salita. E proprio quando mancavano ormai poco meno di 500 metri allo scollinamento, era Bettini a tentare una rasoiata, all’apparenza micidiale, alla quale Valverde non riusciva a reagire. Il livornese guadagnava 11’’ sui diretti avversari ed era adesso a soli 19’’ dal duo dei battistrada. Qui, però, il tratto in autostrada che porta dalla salita dell’Università all’imbocco della Cotè de Saint Nicolas, è fatale al Grillo, che tutto solo e controvento non può inventarsi più nulla. Si rialzava sui pedali e veniva raggiunto.
Quando inizia l’ultima vera asperità di giornata prima dell’ultimo chilometro, la coppia al comando ha ancora 28’’ da gestire. Boogerd però, non ne ha più. Dietro è Di Luca a dettare il ritmo, mentre dopo il forcing dell’abruzzese, si muove Miguel Angel Martin Perdiguero, che allunga deciso e si riporta sulla coppia al comando. Poi è il momento di Sinkewitz che raggiunge il nuovo terzetto di battistrada, subito riacciuffato anche da Valverde. Si scollina in 12, coloro che andranno a giocarsi il successo: le uniche squadre con due atleti sono la Csc (con Basso e Schleck) e la Caisse d’Epargne con Valverde e Rodriguez. Poi Cunego (Lampre-Fondital), Bettini (Quick-Step), Di Luca (Liquigas), Horner (Davitamon), Boogerd (Rabobank), Perdiguero (Phonak), Kashechkin (Liberty Seguros) e Sinkewitz (T-Mobile). Mancano ormai poche centinaie di metri. In caso di arrivo allo sprint, come si commenta anche in sede di commento Rai, i più veloci appaiono Valverde, Perdiguero, Cunego e Bettini. Alla Csc, tagliata fuori in caso di arrivo a ranghi compatti, non resta che la carta dell’iniziativa personale. Prova prima Schleck, che parte bene ma poi si pianta, poi a sorpresa allunga anche Perdiguero, ed infine, sotto la flame rouge, è il momento del nostro Ivan Basso. Attacco telefonato, come quello di Boogerd pochi attimi dopo. Riprova di nuovo Sinkewitz ed alla sua ruota si porta Cunego, che poi si sposta. Lo sprint è lanciato, Sinkewitz a centro strada parte lungo, Valverde lo salta facilmente e Bettini non ha la forza di uscirgli di ruota. Sarà secondo, Cunego terzo e Sinkewitz quarto davanti a Boogerd. Di Luca, ormai privo di forze, non riesce a sprintare ed è nono, davanti a Basso.
Fine dei giochi, fine della Campagna del Nord. Analizziamo in breve quanto accaduto oggi a Liegi.
Valverde ha vinto perché è, indiscutibilmente, il più forte allo sprint. Ma questo da solo non basta. Intelligente la mossa tattica di mandare Rodriguez allo scoperto, in quanto probabilmente il compagno non sarebbe stato utile alla sua causa se fosse arrivato tra i migliori sotto al Saint Nicolas. In quel modo, invece, andando in avanscoperta senza tirare, ha conservato le forze per aiutare il capitano sul traguardo di Ans. In quattro giorni l’iberico si è scoperto grande. Quale sarà il suo futuro è ora difficile ipotizzarlo. Capace di vincere allo sprint, in salita, di avere la tenuta sulle tre settimane, il futuro sembra suo. Impressionante, oggi e nella Freccia, soprattutto l’intelligenza tattica con la quale si è mosso. Lo spagnolo non si è mai visto in prima posizione, se non sulla linea di traguardo. Non ha sprecato un’energia in più rispetto al dovuto, si è nascosto sempre e nell’unica fase in cui ha percepito il timore di doversi muovere, nel momento dell’affondo di Bettini, ha probabilmente desistito per volontà propria. Inutile infatti in quel momento seguire il livornese. Inutile esporsi al vento con una condizione così. Ora la curiosità riguarda quello che potrà fare al Tour. E poi un monito per gli azzurri, riguarda Salisburgo. Un Valverde così, o lo stacchi prima, o gli regali la maglia iridata.
Per Paolo Bettini il secondo posto ha un sapore amaro. La condizione non è sicuramente né quella del Giro di Lombardia dello scorso ottobre, né quella sfoggiata ad inizio anno sulle strade della Tirreno-Adriatico. Tuttavia, la mancanza di validi compagni, ha fatto il resto in questa settimana. Perché è ormai appurato che il livornese, se ha la gamba va, ma se ha compagni che possono tirare per ricucire, è tanto di guadagnato. Se non si fosse mosso in prima persona, l’azione di Boogerd avrebbe potuto assumere connotati ben diversi. Se non avesse trovato davanti uno dei corridori più veloci del globo, la Liegi sarebbe sua. Senza se, il suo Nord ed il suo palmares si sarebbero arricchiti di una pagina importante, l’ennesima, che è invece, per ora, rimandata. Rimane difficile comprendere il motivo dell’attacco sulla salita dell’Università. Tardivo e inutile. Ed un inutile spreco energetico. Per l’ennesima volta troppo generoso, ma non se ne può fargliene una colpa. Il Grillo è così. Prendere o lasciare.
Un discorso a parte merita il nostro Damiano Cunego. Qui in Belgio è arrivato in punta di piedi, silenzioso, consapevole del fatto suo. E ha fatto capire a tutti di che pasta sia fatto. In primis ai prossimi avversari in chiave giro, e poi anche a coloro i quali si dovranno scontrare con il Piccolo Principe nelle classiche del futuro. Sì, perché oggi, tra i primi classificati, Damiano era il più giovane. E poco importa se la vittoria non sia arrivata “Terzo è buono, la vittoria sarebbe stata ancora meglio”, ha detto Cunego ai microfoni di Alessandra De Stefano, perché per ora può andare bene così. Se voleva dare una dimostrazione di forza agli avversari della corsa rosa, lo scatto sulla Redoute basta e avanza, se voleva avere indicazioni sui compagni di squadra e sulla dedizione con la quale si applicano alla sua causa, non si può che essere soddisfatti. Cunego, oggi, ha corso davvero bene, accelerando quando ce n’era bisogno e stando a ruota quando non aveva senso correre allo scoperto. La condizione è forse migliore di quella di due anni fa. E qui, tra un anno, potrà tornare per vincere. Come? Semplicemente “facendo fuori” Valverde prima dell’ultimo chilometro. Perché le qualità ci sono, e gli avversari oggi hanno iniziato a guardarlo con quel rispetto, che spesso, nella passata stagione, era mancato.
Un omaggio particolare anche per Michael Boogerd. Stanco di essere battuto puntualmente allo sprint, l’olandese della Rabobank ha provato quando mancavano poco meno di 30 chilometri al traguardo. La nuvoletta fantozziana non lo ha abbondanato nemmeno oggi. Un solo compagno di fuga, quello più sbagliato in assoluto. Il gregario dell’uomo più forte. Pazienza, la Liegi per l’olandese non è arrivata neanche in questa stagione, ma si può affermare che il vecchio Micky sia stato il vero animatore della Doyenne, ed il quinto posto non è che una conferma. Essere eterno piazzato non significa non valere, anzi. Arrivare sempre nei primi, significa altresì dimostrare una costanza su standard elevatissimi, una dedizione ed un amore per il mestiere immutato nel corso delle stagioni. E chissà che prima o poi, prima che la bicicletta venga appesa al chiodo, la decana delle classiche non possa sorridere anche a lui.
Subito fuori dal podio si è piazzato Sinkewitz, forse il più costante nell’arco dell’intera settimana. Oggi, al contrario di quanto avvenuto domenica scorsa all’Amstel, però, il tedesco ci ha provato veramente. Prima sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, poi lanciando la volata lunga. Peccato soltanto che il suo spunto veloce faccia il solletico ad avversari che rispondono al nome di Valverde o Bettini. Desta comunque scalpore l’attesa esplosione dell’uomo T-Mobile, che sta confermando una crescita graduale. Il suo futuro dovrebbe essere quello da uomo da Grandi Giri, ma ha dimostrato di sapersi muovere bene anche al Nord. E poi chissà, se davvero Ullrich dovesse presentarsi in condizioni menomate ai nastri di partenza del Tour de France, potrebbe essere proprio Sinkewitz l’uomo di punta T-Mobile.
Danilo Di Luca, invece, la Doyenne la sogna dal giorno in cui si è seduto su una bicicletta. Dopo aver deluso nella passata stagione, quest’anno ci ha provato. Che abbia forse speso troppo in vista dello sprint? Il discorso lascia il tempo che trova. E’ vero che l’abruzzese si è trovato svuotato proprio quando c’era da lanciare lo sprint, ma è altrettanto vero che il suo spunto veloce non vale quanto quello dei primi tre piazzati. Per questo appare giusto il suo forcing sul Saint-Nicolas. Forse uno scatto secco sarebbe stato più redditizio, ma va bene lo stesso. Oggi il ragazzo di Spoltore non ha perso. Ha guadagnato consapevolezza dei propri mezzi e dello stato di forma in vista del Giro d’Italia. Altrettanto bene ha fatto Ivan Basso, che ha acceso i fuochi sulla Redoute prima di provarci di nuovo all’ultimo chilometro. Non è ancora il Basso del Tour de France dello scorso anno, eppure qualcosa inizia ad intravedersi. Oggi non avrebbe potuto muoversi diversamente. Troppo “leggere” le salite per fare la differenza, improbo il compito della volata e di staccare tutti negli ultimi metri. A lui la Doyenne è servita soltanto per testare la gamba, gli obiettivi sono ben altri.
Chi è parzialmente mancato è stato Vinokourov, staccatosi sulla salita di Saint Nicolas. Non avrebbe dovuto prendere parte alla gara, ma come si sa, quando il kazako decide di presentarsi al via, qualcosa da lui va sempre attesa. Eppure così non è stato. E’ mancato, e con lui tutta la Liberty-Seguros. Non c’è da imputargli nulla, se non la mancanza effettiva di condizione e di tenuta su una gara per veri fondisti.
Sorprendente la prova di Gilberto Simoni, che ha concluso al ventiduesimo posto staccato di 45’’, rimanendo davanti fino alle battute conclusive. Niente male, se si pensa che all’età di 35 anni è questa la prima apparizione del trentino alla Liegi, per di più senza compagni di squadra nei momenti cruciali della gara. Di più non avrebbe potuto.
Il poker d’assi per il Giro è quindi servito. Il rammarico è quello di tornare dalle gare del Nord senza successi. Piazzamenti sul podio oggi, con Petacchi a Wevelgem e con Ballan alla Roubaix. Ci è mancata la vittoria, e per chi è abituato a tornare in Italia con un bottino ben diverso, la situazione non è delle più rosee. Essenzialmente è mancato Bettini. Di Luca non partiva per fare bene, ed un Valverde così era incontrastabile. Inutile mangiarsi le mani. Piuttosto, ripartiamo da questo doppio podio, godiamoci un Cunego stratosferico ed iniziamo a pregustare il sapore di Giro. Tra poco meno di due settimane si tornerà nei dintorni di Liegi, a Seraing. Sarà prologo, saranno grandi emozioni, ed un sentito arrivederci alla Campagna del Nord.

Marco Ferri

Pochi giorni dopo la sua prima vittoria alla Freccia Vallone Valverde si impone in volata anche alla Liegi-Bastogne-Liegi

Pochi giorni dopo la sua prima vittoria alla Freccia Vallone Valverde si impone in volata anche alla Liegi-Bastogne-Liegi

VALVERDE STORY – CAPITOLO 2: VALVERDE SCOCCA LA PRIMA FRECCIA

novembre 25, 2022 by Redazione  
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Ancora non potevano saperlo ma quella conseguita il 19 aprile del 2006 sul muro di Huy sarà la prima delle cinque affermazioni di Alejandro Valverde alla Freccia Vallone, un record che in futuro potrebbe essere battuto o eguagliato dal francese Julian Alaphilippe. Il francese all’attivo ha già tre vittorie in carniere nella corsa belga e un’età, 30 anni, che gli consente di raggiungere l’Embatido e magari anche di superarlo. Nella sua prima Freccia lo spagnolo non riuscì sulle tremende rampe del muro di Huy a distanziare gli avversari e si dovrà accontentare di “giustiziare” in volata il connazionale Samuel Sánchez e l’olandese Karsten Kroon.

GLI SPAGNOLI SUGLI SCUDI. VALVERDE DOMA IL MURO

Sorride alla Spagna la 70esima edizione della Freccia-Vallone. Sul traguardo di Huy, al termine del durissimo muro, è Alejandro Valverde a spuntarla. Per il giovane talento iberico è il primo, attesissimo, successo in una grande classica. Alle sue spalle un Samuel Sanchez uscito in ottima forma dal Giro dei Paesi Baschi. Bettini, ancora una volta fin troppo generoso, si spegne nel finale, mentre Di Luca chiude al sesto posto dopo aver fatto lavorare a lungo i compagni di squadra.

Continua a rimanere una campagna del nord maledetta per i colori italiani. Abituati ai successi, alle doppiette e alle triplette degli scorsi anni, in questa stagione la vittoria non ne vuole proprio sapere di arrivare. Per ora i migliori risultati rimangono i due terzi posti conquistati da Petacchi e Ballan rispettivamente a Wevelgem e Roubaix.
Anche oggi,infatti, nella 70° Freccia Vallone, i nostri sono stati i più generosi e combattivi ma, alla fine, ad esultare è stata la Spagna grazie alla grande prova di colui che rappresenterà il ciclismo iberico ad alti livelli per le prossime stagioni, vale a dire Alejandro Valverde. Ed alla sua vittoria, va aggiunto anche il secondo posto di un Samuel Sanchez che continua a vivere sulle ali dell’affermazione morale al Giro dei Paesi Baschi, ma che in salita, o comunque nei brevi strappi, si conferma un osso duro.
Vediamo nel dettaglio cosa è successo in questa Freccia Vallone, in particolar modo negli ultimi sessanta chilometri.

Si parte da Charleroi, le difficoltà anche per oggi saranno notevoli, i primi cinquanta chilometri sono totalmente pianeggianti e servono per prendere un po’ il ritmo. Le Cote da scalare in questa gara saranno otto, e il muro di Huy (lo strappo che ha reso celebre la Freccia) che decreterà il vincitore e che sarà ripetuta per tre volte.
Come in tutte le classiche, anche oggi non poteva mancare la fuga da lontano per farsi notare dalle televisioni: è il turno del francese Finot e dello spagnolo Arrieta che raggiungono un vantaggio massimo di otto minuti ma, quando il gruppo si sveglia, la loro avanscoperta finisce in breve tempo.
La giornata italiana però, purtroppo, inizia già a farsi negativa: infatti, il capitano della Gerolsteiner Davide Rebellin è costretto al ritiro a causa di problemi intestinali.
Quando mancano 64 chilometri al traguardo, a sorpresa esce dal gruppo il tre volte campione del mondo Oscar Freire Gomez, in genere sempre guardingo e costantemente nella pancia del gruppo. Con lui parte all’attacco Alexander Moos (Phonak) e in qualche chilometro i due prendono un vantaggio di venti secondi, mentre dietro sono gli uomini Liquigas (Garzelli in prima persona) a guidare l’inseguimento.
La situazione rimane stabile per una trentina di chilometri: la coppia al comando raggiunge un vantaggio massimo di 1’16’’, mentre dietro l’inseguimento è portato avanti da Liquigas e CSC.
Si arriva al Cote de Bohissau, terzultimo in programma oggi: sono 3400 metri con pendenza media al 10%. Come al solito è il generosissimo Paolo Bettini, già autore di scatti e allunghi nella prima parte di gara, a provare un nuovo attacco per recuperare terreno su Freire; insieme a lui collaborano anche Ivanov, Valverde e Ivan Basso. In cima alla salita il vantaggio dei due al comando è sceso a trenta secondi. Nel seguente tratto in falsopiano, caratterizzato da un forte vento trasversale, il vantaggio cala ancora leggermente.
Prima di attaccare la penultima Cote di giornata, il Cote de Ahin, è la Quick-Step a fare l’andatura. Bettini mette in testa al gruppetto dei trenta che si giocheranno la vittoria i suoi compagni di squadra Tankink e Baguet. Iniziata la salita, Moos perde subito il contatto con Freire che sale regolare del proprio passo, ma da dietro sopraggiunge Koldo Gil Perez(Saunier-Duval Prodir) che prova un attacco e viene tuttavia immediatamente ripreso. Ai dieci dal traguardo, ecco un altro affondo di Paolo Bettini: stavolta con lui ci sono Kessler (T-Mobile), Valverde (Casse d’Epairgne) e Astarloa (Barloword). Ma la loro avanscoperta dura poco, dietro è la CSC con Ivan Basso che chiude il buco e oramai si prosegue compatti in attesa di Huy.
A tre chilometri dal traguardo sono rimasti in quindici davanti a giocarsi questa 70esima Freccia Vallone. I favoriti d’obbligo diventano gli uomini CSC che, con tre corridori, sono la squadra più rappresentata davanti. Sarebbe un grande successo ottenere il tris di vittorie dopo le affermazioni di Cancellara e Schleck. Ed è proprio il lussemburghese, assieme a Karsten Kroon e al nostro Ivan Basso a tenere il ritmo negli ultimi due chilometri.
Finalmente si arriva al momento decisivo: ai 1500 metri prova a giocare d’anticipo il belga Leukemans (Davitamon-Lotto), ma viene ripreso quando la strada inizia a drizzarsi sotto le ruote dei corridori. Ed è Igor Astarloa (vincitore qui nel 2003) a piazzare ai 500 metri dal traguardo una forte rasoiata. Al suo inseguimento si portano immediatamente altri due spagnoli, Valverde e David Etxtebarria, e il nostro grandissimo Paolo Bettini. Astarloa cerca ancora di controllare; Bettini oramai è sfiancato dalla gara all’attacco che ha fatto e non riesce a rispondere all’attacco decisivo di Valverde che ai 200 metri finali saluta la compagnia e arriva in completa solitudine. Dietro di lui Astarloa crolla, mentre nel finale rinvengono a forte velocità Samuel Sanchez e Kroon che vanno a chiudere il podio. Gli italiani nel finale sono assenti(purtroppo) e il solo Danilo Di Luca, campione in carica, chiude nei primi dieci giungendo al sesto posto. Per gli altri (Basso, Cheula, Bertagnolli, Bettini) piazzamenti di rincalzo.

Saverio Melegari

Valverde ottiene la prima vittoria alla Freccia Vallone nel 2006 (foto Bettini)

Valverde ottiene la prima vittoria alla Freccia Vallone nel 2006 (foto Bettini)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 1: LA PRIMA VOLTA AL TOUR

novembre 24, 2022 by Redazione  
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Dopo avervi narrato le gesta di Nibali ora ripercorreremo le imprese di un altro grande del ciclismo mondiale che quest’anno ha deciso di appendere la bici al chiodo, Alejandro Valverde. La sua carriera è stata più lunga (ha corso fino ai 42 anni d’età) e prolifica del corridore siciliano, con ben 134 vittorie all’attivo che gli hanno fatto meritare il soprannome di “Embatido”. Se lo “Squalo” ha dalla sua tre classiche monumento – la Sanremo e i due Lombardia – e quattro grandi giri, Don Alejandro controbatte in questo speciale duello a pedali con l’incetta fatta nella classiche del nord, dove detiene il record di vittorie alla Freccia Vallone (5) e per quattro volte ha fatto sua la Liegi. Il mondiale del 2018 è la perla di una carriera che l’ha comunque visto in pole positizion anche nelle grandi corse a tappe, dove ha collezionato ben nove podi e una vittoria (alla Vuelta del 2009). Nell’impossibilità fisica – a differenza di quanto abbiamo fatto con Nibali – di riproporvi tutti i suoi successi , siamo stati costretti a fare una cernita e abbiamo deciso di iniziare questo racconto con la prima delle quattro vittorie di tappa conseguite al Tour, sul traguardo di Courchevel nel 2005

12 luglio 2005 – 10a tappa: Grenoble – Courchevel

IL SOLITO ARMSTRONG, BRILLA VALVERDE

La prima vera salita del Tour è già una sentenza. Armstrong e Discovery imbattibili.T-Mobile alla deriva: crollano Vinokurov, Ullrich e Kloden. Basso si difende come può, tutti gli altri rivali per la generale si staccano. La vittoria va al giovane Valverde, fra i pochi in grado di tener la ruota di Lance.

La prima vera salita del Tour è già una sentenza. Armstrong e Discovery imbattibili.T-Mobile alla deriva: crollano Vinokurov, Ullrich e Kloden. Basso si difende come può, tutti gli altri rivali per la generale si staccano. La vittoria va al giovane Valverde, fra i pochi in grado di tener la ruota di Lance. La cronaca di Andrea Rotolo.
La tappa di sabato con arrivo a Ge’rardemer aveva insinuato alcuni dubbi nella testa delgi appassionati. E’ un Armstrong più vulnerabile rispetto agli anni scorsi? La sua squadra, la Discovery Channel è in crisi? Saranno Vinokurov e la T-Mobile i maggiori avversari dell’Americano? La risposta è no e arriva direttamente da Courchevel, dove si è conclusa la decima tappa del Tour. La cittadina della Savoia, il cui nome rimarrà indelebilmente associato a quello di Marco Pantani che lì conquistò nel 2000 l’ultima vittoria della carriera, ha ospitato il primo vero arrivo in salita di questa Grande Boucle.
La vittoria è andata al giovane talento del ciclismo spagnolo Alejandro Valverde, uno dei pochi che è riuscito a tenere il ritmo forsennato di Lance Armstrong che grazie al secondo posto conquistato oggi si è ripreso la maglia gialla.
Veniamo alla cronaca di giornata. La carovana si è mossa da Grenoble rallentata dalla protesta degli allevatori francesi. Risultato: partenza ritardata e tappa accorciata di 11 km. Nel gruppo manca anche Petrov, fermato per i valori ematici fuori norma. Un ritiro che ha sottolineato ancor più il momento sfortunato della Lampre-Caffita, che è pero riuscita a riscattarsi grazie all’ottima prestazione di Eddy Mazzoleni.
Sin dai primi chilometri la frazione è movimentata dagli scatti degli attaccanti. Quando ormai sono stati percorsi più di 60 km si forma un gruppo di sette uomini al comando: Posthuma, Brochard, Krivtsov, Sanchez, Isasi e gli italiani Facci e Bortolami. Brochard è virtualmente maglia gialla e il vantaggio è superiore ai 10’. Da questo momento in poi il plotone ridurrà sempre più il distacco, in particola modoo sulla prima asperità in programma: Cornet-de-Roselend, una salita lunga 20 km al 6% di pendenza media. E’ a metà salita, però, che la corsa sembra entrare nel vivo.
Gli uomini Discovery sono al comando a scandire il ritmo quando Garzelli, Jackshe e Pereiro provano ad uscire. Tuttavia non sono uomini pericolosi per la classifica generale e la squadra statunitense lascia fare. Subito dopo però escono dal plotone anche Sevilla della T-Mobile, Horner e Mancebo della Iles Baleares. A questo punto Armstrong ordina ai suoi di chiudere il buco. Sembra prospettarsi un’altra giornata di attacco coordinato al padrone del Tour e tutti si domandano se le sue fedeli guardie del corpo saranno all’altezza della situazione e sapranno riscattare la brutta figura patita sul Col del Schlut.
Intanto il gruppo dei fuggitivi comincia a frazionarsi. Al GPM al comando rimangono in tre: Posthuma, Brochard e Krivtsov, seguiti a pochi secondi da Sanchez e Facci che non vogliono mollare. Fra i big nessuno prova più ad attaccare: tutto rimandato all’ascesa finale verso Courchevel.
Nella discesa Brochard prova ad andarsene tutto solo: verrà poi raggiunto da Sanchez e poi dagli altri fuggitivi. Si forma un drappello di nove uomini che deve gestire in più di 30 km meno di 4 minuti.
Ma a partire dalle prime rampe della salita che misura 22,2 km la fatica comincia ad affiorare: in testa rimangono solamente Pereiro e Jackshe. Quest’ultimo a metà salita cerca l’impresa solitaria, ma ormai gli inseguitori stanno inesorabilmente recuperando terreno. Sotto l’impulso degli ex-postini inizia la selezione. E’ un film già visto. Si susseguono alla testa del gruppo tutti i migliori scalatori della Discovery Channel: Rubiera, Azevedo, Savoldelli, Popovych. Il ritmo è elevatissimo e nelle retrovie cominciano a vedersi i primi volti illustri perdere contatto: c’è Heras che ha fatto lavorare i suoi uomini per molti chilometri, poi Mayo, lontano parente di quel Iban che staccò il Texano all’Alpe d’Huez, c’è Beloki, una controfigura dello Joseba da podio. Poi è la volta di McGee, Karpets, Garzelli e Moreau.
Nelle prime posizioni non si muove nulla o quasi. Dietro a Lance e ai suoi uomini solo maschere di fatica e concentrazione. All’improvviso ci prova Carlos Sastre, compagno di squadra di Ivan Basso. Il tentativo ha poca fortuna perché lo spagnolo riesce a guadagnare solo qualche metro per poi staccarsi e lasciare solo il proprio capitano. E’ questo l’ultimo (e poco convinto) tentativo di mettere in difficoltà sua maestà Armstrong. Una nota positiva è la presenza fra i migliori di tre italiani: oltre al varesino ci sono anche Piepoli e Mazzoleni.
A metà salita arriva la notizia che non ti aspetti. C’è una maglia azzurra di campione del Kazakistan nelle ultime posizioni. E’ Vinokurov. L’unico uomo che nella prima settimana era sembrato in grande forma e in grado di mettere seriamente a rischio la settima vittoria del campione americano fatica a tenere la ruota. Aveva detto “A Courchevel attaccherò”. I suoi sogni di gloria finiscono dopo 11 km di ascesa.
Con Armstrong rimane ormai solo Yaroslav Popovych che aumenta ancor di più il ritmo. L’accelerazione è il colpo decisivo per gli uomini T-Mobile: infatti, si stacca anche Kaiser Jan subito seguito da Kloden. Anche il tedesco recita lo stesso copione di un film già visto da anni. La sua faccia è scura, stringe i denti e, assieme a Kloden, cerca di limitare i danni. Davanti rimangono in sei: Re Lance, ovviamente, Basso, Valverde, Evans, la maglia a pois Rasmussen e Mancebo che vanno a riprendere Jasckhe. Saranno loro a giocarsi la vittoria di tappa. A questo punto è Armstrong che prende in mano il gioco e si mette a tirare saggiando la condizione dei rivali. Evans resiste ben poco. Qualche chilometro dopo è il momento di Ivan Basso che preferisce salire del proprio passo e cercare di tagliare il traguardo con il minor ritardo possibile. I quattro superstiti rimangono compatti fino a poche centinaia di metri dall’arrivo, quando sono Valverde e il sei volte vincitore del Tour a giocarsi la vittoria. Alla fine è il giovane spagnolo classe ’80 ad alzare le braccia sulla linea, togliendosi la soddisfazione di mettere la propria ruota davanti a quella del Roi Americain. A lui non interessa la vittoria. Con la consueta determinazione che lo accompagna nei momenti cruciali, Lance Armstrong ha già messo tutte e due le mani sulla maglia gialla di Parigi. Oppure sono stati tutti i suoi avversari a toglierle dal simbolo del primato. Comunque la si veda, ciò che rimane è una dimostrazione di forza di colui che si candida a indossarla sui Campi Elisi per la settima volta e che per qualche giorno ci ha fatto pensare che fosse anche lui un “umano”. Grazie alla prestazione odierna potrà ripartire domani vestito di giallo, forte di un vantaggio di 38” su un ottimo Rasmussen. Al terzo posto sale Basso, giunto al traguardo con 1’02” dal vincitore e che ora accusa un ritardo nella generale di 2’40”. Moreau lo segue con 2’42” mentre tutti gli altri viaggiano con oltre tre minuti.
La prima tappa alpina è riuscita a eliminare tutti i dubbi che una settimana di Tour aveva insinuato. Ancora una volta, solamente un’impresa potrà togliere la vittoria a Lance Armstrong che ha dimostrato oggi tutta la sua superiorità

Andrea Rotolo

La vittoria di Valverde a Courchevel (foto Gero Breloer)

La vittoria di Valverde a Courchevel (foto Gero Breloer)

NIBALI STORY – CAPITOLO 31: DOVE TUTTO EBBENE INIZIO

novembre 21, 2022 by Redazione  
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Non poteva che arriva qua l’ultima vittoria di Vincenzo Nibali. Lo “Squalo” è nato a Messina il 14 novembre del 1984 e nella sua Sicilia ha ottenuto l’ultima delle sue 54 vittorie “personali”, numero che sale a 86 se si tengono in conto anche cronosquadre, criterium e classifiche accessorie delle corse a tappe alle quali ha preso parte. È proprio in una corsa a tappa è arrivato l’ultimo successo, quando il primo ottobre del 2021 si è imposto nel Giro di Sicilia grazie alla vittoria nella conclusiva tappa di Mascali.

GRAZIE DI TUTTO SQUALO!!!!!!

GIRO DI SICILIA, LO SQUALO AZZANNA ANCORA

Vincenzo Nibali si aggiudica tappa finale e classifica generale della corsa di casa con un capolavoro solitario. Alle sue spalle Ravanelli e Covi completano il podio odierno, per Valverde solo secondo posto finale

Quarta ed ultima frazione dell’edizione 2021 del Giro di Sicilia, quest’oggi da Sant’Agata di Militello a Mascali per un totale di 180 km ricchi di emozioni. Percorso ricco di difficoltà altimetriche con la lunghissima ascesa verso Portella Mandrazzi nella fase centrale della tappa: anche oggi alla partenza in molti hanno velleità di vittoria e fin dalle fasi iniziali si susseguono tentativi di fuoriuscita dal gruppo. Si forma per qualche chilometro un drappello numeroso al comando composto da Andreas Leknessund (Team DSM), Filippo Fiorelli (Bardiani-CSF-Faizanè), Alvaro Cuadros (Caja Rural-Seguros RGA), Vincenzo Albanese (Eolo-Kometa), Ben King (Rally Cycling), Marco Frapporti (Vini Zabù), Iuri Filosi (Giotti Victoria Savini Due), Michele Gazzoli (Colpack Ballan), Stefano Di Benedetto (Work Service-Marchiol-Dynatek) e Matteo Zurlo (Zalf Euromobil Fior), ma il plotone resta sempre a tiro di schioppo e non lascia prendere il largo ai battistrada.
Nella breve discesa seguente l’abitato di Tindari, giunti nuovamente in circostanza di gruppo compatto, a farsi vedere è un nome pesante: Vincenzo Nibali (Trek – Segafredo) dimostra già in questa fase di avere una grande gamba oggi tentando un attacco con Romain Bardet (Team DSM), che il gruppo però si perita rapidamente di chiudere prima che inizino i 25 km di ascesa verso Portella Mandrazzi.
Iniziata la salita ci provano in diversi: a prendere un vantaggio di circa 1 minuto è un gruppetto assortito composto da Chris Froome (Israel Start – Up Nation), Alessandro Tonelli (Bardiani-CSF-Faizanè), Julen Amezqueta (Caja Rural – Seguros RGA) e Joan Bou (Euskaltel-Euskadi), ai quali in un secondo momento si aggiungono anche Marco Brenner (Team DSM), Edward Ravasi (Eolo – Kometa), Riccardo Verza (Zalf Euromobil Fior) e la coppia Gazprom-RusVelo Cristian Scaroni e Roman Kreuziger.
Il grosso del plotone scollina con circa 1 minuto e mezzo di ritardo, guidato dalla Movistar a difesa della maglia rossa Alejandro Valverde. Non sono finite però le asperità di giornata: dopo la salita di Castiglione di Sicilia il gruppo si lancia verso l’ultimo GPM della corsa, Sciara di Scorciavacca, 10 Km al 7 % medio alle pendici dell’Etna. Giunti in questa fase il distacco del plotone dai battistrada è ormai nell’ordine dei 30″, è proprio in vista dello scollinamento da dietro esce un gruppetto inseguitore composto da David de la Cruz (UAE Team Emirates), Vincenzo Nibali, Alessandro Covi (UAE Team Emirates), Romain Bardet, Davide Villella e il suo capitano Alejandro Valverde (Movistar), i quali in una manciata di chilometri raggiungono e distanziano i fuggitivi di giornata.
L’attacco decisivo a questo punto è portato in discesa da un Vincenzo Nibali dei tempi migliori che si lascia alle spalle tutti i compagni di fuga e si lancia in solitaria verso il traguardo di Mascali e la conquista della classifica generale. Dietro a nulla servono i tentativi di Lorenzo Fortunato (Eolo – Kometa), rientrato in ritardo sul gruppetto al comando, e lo stesso Valverde alza ben presto bandiera bianca preoccupandosi più di chiudere gli attacchi in difesa della seconda piazza in classifica generale piuttosto che tentare di rientrare sull’eroe di casa al comando.
Per Nibali, visibilmente commosso ed emozionato dopo il traguardo, si tratta di un dolce ritorno alla vittoria dopo oltre due anni. Alle sue spalle secondo e terzo chiudono Simone Ravanelli (Androni Giocattoli-Sidermec) e Alessandro Covi, con Alejandro Valverde che riesce nell’intento di difendere il secondo posto finale davanti allo stesso Covi, da lui distanziato di soli 3 secondi.

Lorenzo Alessandri

Vincenzo Nibali trionfa in solitaria sul traguardo di Mascali. Photo Credit: Bettini Photo

Vincenzo Nibali trionfa in solitaria sul traguardo di Mascali. Photo Credit: Bettini Photo

NIBALI STORY – CAPITOLO 30: L’ULTIMO ACUTO AL TOUR

novembre 20, 2022 by Redazione  
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Le primavere sono oramai 34 e difficilmente Nibali potrà tornare ad essere competitivo al pari dei migliori in una grande corsa a tappe, anche se l’ultimo suo Giro d’Italia, nel 2022, lo vedrà comunque collezionare un prestigioso quarto posto finale. E che non sia più il solito Squalo lo si capisce anche dal numero di vittorie, che lentamente diminuiscono pur rimanendo di “qualità”: dai 7 successi del 2013 e dai 6 del 2014 si è scesi alle 4 affermazioni conseguite nel 2017 e alla Milano – Sanremo del 2018, unica sua vittoria stagionale. Anche il 2019, il suo 14 anno nella massima categoria, lo vedrà andare a segno una sola volta e in una corsa prestigiosa, il Tour de France. Il 27 luglio è, infatti, il giorno della sua ultima vittoria sulle strade della Grande Boucle, ottenuta sul traguardo alpino di Val Thorens, reduce da una corsa nella quale non brillerà e lo vedrà terminare lontanissimo dalla maglia gialla, con un passivo di oltre un’ora e mezza sul colombiano Egan Bernal.

27 luglio 2019 – 20a tappa: Albertville – Val Thorens

VINCENZO NIBALI SONO, LA VAMPA DELLO SQUALO A VAL THORENS

Grande vittoria dello “Squalo” nell’ultima tappa alpina del Tour. Crolla definitivamente Alaphilippe che esce anche dal podio. Bernal resiste ai pochi attacchi di oggi mentre Kruijswijk, sfruttando una grande squadra, centra il podio finale.

Nonostante le condizioni meteo non ottimali, si ritornava a correre dopo il terremoto di emozioni vissute nella tappa di ieri pomeriggio, frazione che ricordiamo veniva neutralizzata a causa di una violenta grandinata che aveva bloccato strade e causato una frana lungo la discesa dall’Iseran. La tappa era stata dichiarata conclusa proprio in vetta all’Iseran, dove erano stati presi i tempi di fara ed Egan Bernal (Team INEOS) era andato a prendersi la maglia gialla, dopo uno scatto perentorio che non aveva lasciato scampo a Julian Alaphilippe (Deceuninck Quick-Step). Oggi si correva la ventesima e ultima tappa del Tour de France 2019, ultima prova prima della passerella finale sugli Champs-Élysées. Anche questa tappa a causa del maltempo veniva ”tagliata” e trasformata in una microfrazione di appena 59 chilometri. Incredibile, però, come gli organizzatori non abbiano predisposto un ”piano B” per le ultime e decisive tappe e si siano fatti trovare impreparati. Molto probabilmente si è voluto creare, improvvisare e sperimentare, date le estreme condizioni, una sorta di tappa veloce tutta in salita che potesse portare fantasia e una ventata di novità alla corsa. Lo spettacolo in effetti non è mancato grazie alla voglia di rivalsa di un grande campione come Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) e di una Jumbo-Visma che ha impresso un ritmo elevatissimo sulle rampe del Val Thorens.
La ventesima tappa non aveva più in programma le salite del Cormet de Roselend (1a categoria) e della Côte de Longefoy di 2a categoria. Si partiva da Albertville per poi correre in direzione sud verso Moûtiers percorrendo poco meno di trenta chilometri sull’autostrada di fondovalle prima di iniziare la lunghissima salita di Val Thorens, ben 33,5 chilometri col 5,5% di pendenza media e il manto stradale bagnato dalla pioggia che aveva imperversato tutta la notte sui valichi alpini.

La corsa partiva alle 14:37, con il Team INEOS in testa al gruppo a scortare la maglia gialla Bernal, che doveva difendere i 45” di vantaggio dal rivale Alaphilippe, autore quest’ultimo di un sorprendente Tour de France. Proprio i due sopracitati appena dopo il via si scambiavano una bellissimo e sportiva stretta mano, segno di rispetto e stima reciproca, un gesto che contempla i princìpi più puri dello sport. Il gruppo che prevedibile partiva subito forte e si allungava nei primissimi chilometri di strada, con molti ciclisti, tra coloro che avevano il desiderio di lasciare il segno su un Tour de France fino ad ora corso in modo anonimo o non convincente, a provare ad andare in avanscoperta. I primi a centrare la fuga erano Dylan Teuns (Bahrain Merida), vincitore di una tappa a questo Tour, Magnus Cort Nielsen (Astana), Alberto Bettiol (EF Education First), Alberto Rui Costa (Team UAE Emirates), Lilian Calmejane (Total Direct Énergie) e Kevin Van Melsen (Wanty – Gobert), che invece avevano disputato una corsa fin qui negativa. Alle loro spalle evadeva dal controllo del gruppo un altro gruppo di attaccanti composto da numetosi ciclisti, tra i quali Ilnur Zakarin (Katusha), Elia Viviani (Deceuninck Quick-Step), Tony Gallopin (Ag2r La Mondiale), Nicolas Roche (Sunweb) e il nostro Vincenzo Nibali, desideroso di riuscire a vincere una tappa e mettere così la firma in un’edizone del Tour dove la sua presenza forzata, in rotta coi vertici del team, è stata davvero una decisione infelice e non molto curata. I due gruppi si riunivano all’inizio della salita di Val Thorens formando così una maxi fuga composta da 29 ciclisti. Sulle prime rampe i fuggitivi iniziavano a contrattacare, con Zakarin e Nibali tra i più attivi. Alle loro spalle, a 2′30” prendeva nel gruppo l’iniziativa la Jumbo-Visma di Steven Kruijswijk, desideroso di centrare il suo primo podio alla Grande Boucle. Proprio le pedalate del team olandese facevano staccare e perdere le ruote del plotone a due pedine del Team INEOS, Gianni Moscon e Michał Kwiatkowski (per loro un Tour negativo).
In testa, con 34” di vantaggio da un altro gruppetto di fuggitivi, si formava un quintetto con Nibali, Zakarin, Gallopin, Michael Woods (EF Education First) e Pierre-Luc Périchon (Cofidis), mentre il blocco della Jumbo-Visma da dietro, con Laurens De Plus e George Bennett imprimevano un ritmo altissimo mettendo in difficoltà molti ciclisti, tra i quali Peter Sagan (Bora Hansgrohe) e Fabio Aru (Team-UAE Emirates), che ai meno 27 chilometri si staccavano dal gruppo maglia gialla. Il sardo sarebbe riuscito a rientrare un centinaio di metri più tardi, mentre il ritardo dalla testa della corsa scendeva sotto i due minuti. Geraint Thomas (Team INEOS) e soprattutto Bernal erano sempre attenti alle spalle di Kruijswijk, che era solo a 12” dal terzo posto difeso proprio dal gallese. I primi posti della classifica generale potevano essere decisi dagli abbuoni di tappa e questo rendeva ancora più incerto un Tour de France avvincente ed equilibrato, con la Jumbo-Visma desiderosa di annullare la fuga e regalare al proprio capitano una piazza d’onore.
A 18 km dal traguardo Bennett, esausto, si faceva da parte lasciando spazio ad uno scatenato De Plus. Il ritmo del giovane ciclista olandese faceva male a molti ciclisti tra cui Dylan Van Baarle (Team INEOS), Bauke Mollema (Trek Segafredo), Guillame Martin (Wanty – Gobert) e Richie Porte (Trek Segafredo) che, autore di un Tour sotto le aspettative, oggi uscirà dalla top ten della classifica generale, scavalcato dal francese Warren Barguil (Arkéa Samsic). Qualche chilometro più tardi, sempre sotto il ritmo di De Plus, andavano in difficoltà la maglia a pois Romain Bardet (Ag2r La Mondiale) e soprattutto Alaphilippe. Per l’ex maglia gialla iniziava un duro calvario che lo portava nel giro di due chilometri ad accumulare già 40” di ritardo, segno di una condizione fisica arrivata al limite dopo le difese estenuanti, con le unghie e coi denti, nelle ultime tappe di montagna. Il ritardo dai fuggitivi, raggiunti nel frattempo da Omar Fraile (Astana), scendeva sotto al minuto grazie alla spinta del talentino neerlandese che stava spianando Val Thorens. La fuga vedeva spegnersi le speranze pian pianino e per questo motivo, con uno scatto più d’orgoglio che di gambe, Nibali salutava i suoi ex compagni di fuga scattando e attaccando nuovamente a 12 chilomentri dalla linea d’arrivo. Giunti nella parte più dura dell’ascesa finale, ad 6 chilometri dal traguardo, la composizione della corsa era questa: Nibali in testa, Marc Soler, Nairo Quintana (Movistar) e Zakarin in seconda posizione a 35”, coi Movistar che insiema a Simon Yates, fermo a 50”, erano evasi dal gruppo qualche centinaio di metri prima. Il gruppo maglia gialla era cronometro a 57”, Alaphilippe, Enric Mas (Deceuninck Quick-Step) e Bardet a 2′20”.

Finito il gran lavoro del talentino De Plus, Emanuel Buchmann (Bora Hansgrohe), che aveva un ritardo di 1′05” da Alaphilippe, metteva il fidato Gregor Mühlberger in testa al gruppo con l’intenzione di scalare un altro posto nella generale. L’azione dell’uomo Bora annullava le azioni di Quintana, Zakarin e Soler, mentre dietro perdeva contatto Barguil. Nibali, stringendo i denti, mostrava il carattere e la grinta del gran campione che è, teneva duro e resisteva, arrivando agli ultimi due chilometri con 35” di vantaggio sul gruppo della maglia gialla guidato da Buchmann. Il siciliano, stremato e con una pedalata che si era appesantita, passava ai -500 metri con ancora 32” di margine, era una gioiosa agonia verso il meritato successo. Pedalata dopo pedalata lo “Squalo” riusciva ad emozionare tutti gli appassionati di ciclismo, non solo i suoi tifosi, per il sigillo di un campione che non voleva partecipare a questo Tour. Un successo che riempe di gioia e orgoglio un’intera nazione, la terza vittoria italiana dopo quelle ottenute da Matteo Trentin (Mitchelton-Scott) a Gap ed Elia Viviani (Deceuninck – Quick Step) a Nancy. Si tratta della sesta tappa personale vinta al Tour de France da Vincenzo Nibali, tappa che il siciliano dedicherà al nonno venuto a mancare lo scorso anno. È un corridore straordinario, patrimonio del ciclismo italiano, che nonsotante faccia del fondo una delle sue armi più letali, riusce a vincere anche in una tappa di soli 59 chilometri, nella quale in tanti avevano provato a vincere.

Secondo posto per Alejandro Valverde (Movistar) a 10”, terzo per Mikel Landa Movistar) a 14” mentre Thomas e Bernal passava insieme la linea del traguardo dopo 17”, stringendosi la mano sotto l’arco d’arrivo. Bello il gesto del gallese verso il colombiano, a cui passava le consegne. Bernal, che Eddie Merckx aveva già battezzato come vincitore del Tour de France qualche mese fa, a 22 anni diventava uno dei corridori più giovani a vincere la Grande Boucle. Primo colombiano a vincere il Tour de France, quest’anno aveva già conquistato la Parigi-Nizza e il Tour de Suisse, Un predestinato! Alaphilippe terminava la tappa con 3′37” di ritardo da Nibali, incassando una débâcle dovuta alla stanchezza accumulata nelle tappe precedenti.
In classifica generale è sempre primo Bernal con 1′11” sul compagno di squadra Thomas. Sul podio al terzo posto sale Kruijswijk a 1′31”, quarto è Buchmann a 1′56” e solo quinto a 3′45” Alaphilippe, che comunque ha corso in modo molto positivo in queste tre settimane, vincendo due tappe e portando per 14 giorni la maglia gialla sulle spalle. Appuntamento a domani per la passerella finale di Parigi, dove Bernal potrà finalmente festeggiare il primo Tour de France del Team INEOS dopo le sei edizioni vinti con Bradley Wiggins, Chris Froome (4 volte) e Thomas col nome di Team Sky.

Luigi Giglio

Vincenzo Nibali mette la sua prestigiosa firma sullultima tappa di montagna del Tour (foto Bettini)

Vincenzo Nibali mette la sua prestigiosa firma sull'ultima tappa di montagna del Tour (foto Bettini)

19-11-2022

novembre 20, 2022 by Redazione  
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VUELTA AL ECUADOR

L’ecuadoriano Santiago Montenegro (Movistar-Best PC) si è imposto nell’ottava ed ultima tappa, circuito della Ciudad Mitad del Mundo (Quito), percorrendo 115.9 Km in 2h46′22″, alla media di 41.799 Km/h. Ha preceduto allo sprint i colombiani Juan Diego Hoyos (Corratec Racing America) e Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador). Nessun italiano in gara. Chalapud si impone in classifica con 1′01″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 4′56″ su Montenegro

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