TRENTIN RE DI VALLONIA, ULTIMA TAPPA A WATSON

luglio 26, 2024 by Redazione  
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Matteo Trentin dopo la vittoria di ieri ha portato a casa la quarantacinquesima edizione dell’Ethias-Tour de Wallonie. L’ultima tappa è stata conquistata da Watson su Strong e Kielich.

Bersaglio centrato… Matteo Trentin ha messo la firma sulla quarantacinquesima edizione dell’ Ethias-Tour de Wallonie, conquistando nel contempo la prima corsa a tappe della sua carriera. Il trentino della Tudor Pro Cycling ha centrato il bersaglio grosso dopo il bel successo di ieri e si è potuto permettere il “lusso” di chiudere ottavo senza particolari patemi d’animo. La tappa conclusiva è andata al britannico Samuel Watson (Groupama FDJ), che si è improvvisato attaccante ed è andato a centrare la sua prima vittoria da professionista con una manciata di secondi sul gruppo, che aveva già lanciato la volata. Volata oramai di consolazione che è andata a Corbin Strong (Israel – Premier Tech) che ha messo la sua ruota davanti a quella di Timo Kielich (Alpecin – Deceuninck), Natnael Tesfatsion (Lidl – Trek), Per Strand Hagenes (Team Visma | Lease a Bike), Stan Dewulf (Decathlon AG2R La Mondiale Team), Iván García Cortina (Movistar Team), Trentin, Rudy Molard (Groupama – FDJ), Carlos Canal (Movistar Team) e tutti gli altri.
La vittoria di Watson ha così messo la parola fine ad un edizione della corsa vallone parla italiano, come avvenuto anche lo scorso anno. Trentin, infatti, succede nell’albo d’oro a Filippo Ganna (INEOS Grenadiers) che dodici mesi fa si era fatto valere grazie alle sue doti a cronometro, mentre in questa edizione non era prevista una gara contro il tempo. A proposito di tempo, quello finale fatto registrare dal trentino di Borgo Valsugana è stato identico a quello del secondo classificato, il neozelandese Stong. I migliori piazzamenti complessivi nelle 5 tappe hanno, però, premiato l’esperto italiano mentre sul terzo gradino del podio è salito il il lussemburghese Alex Kirsch (Lidl – Trek). Anche la classifica a punti ha visto il successo di Trentin, sempre davanti a Strong, mentre terzo si è piazzato Emilien Jeannière (TotalEnergies). Lo speciale ranking degli scalatori è andato a Jimmy Janssens (Alpecin – Deceuninck) su Markus Hoelgaard (Uno-X Mobility) e Johan Jacobs (Movistar Team). Per quanto concerne i giovani, il migliore alla fine di questi cinque giorni di gara è risultato Frederik Wandahl (Red Bull – BORA – hansgrohe), che ha chiuso in quinta posizione nella classifica generale con 18″ di ritardo da Trentin. Infine, il miglior Team è risultato l’Israel-Premier Tech, che ha distanziato di 29″ la Lidl-Trek e di 3′08″ la Bingoal WB.

Mario Prato

La premiazione di Matteo Trentin (Foto © Ethias-Tour de Wallonie)

La premiazione di Matteo Trentin (Foto © Ethias-Tour de Wallonie)

MATTEO TRENTIN RITROVA LA VITTORIA AL TOUR DE WALLONIE

luglio 26, 2024 by Redazione  
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Ritorno alla vittoria per Matteo Trentin che si impone nella quarta tappa del Tour de Wallonie. Una vittoria questa che vale al trentino anche la conquista della vetta della classifica.

Per Matteo Trentin (Tudor Pro Cycling Team) il terzo posto di mercoledì deve essere stata una specie di prova generale. Una prova ben riuscita visto quanto successo oggi ad Herve. Il trentino si è, infatti, imposto con una volata potente sul traguardo della quarta tappa dell’Ethias-Tour de Wallonie, tornando così alla vittoria dopo un digiuno che durava da quasi due anni (l’ultimo successo risaliva al 12 ottobre 2022, quando si era imposto al Giro del Veneto). La vittoria è stata impreziosita dalla conquista della maglia di leader, ottenuta grazie agli abbuoni ai “danni” di Corbin Strong (Israel – Premier Tech), che oggi non ha partecipato alla volata e ha chiuso nella pancia del gruppo
L’ordine d’arrivo odierno vede il portacolori della Tudor Pro Cycling Team davanti a Timo Kielich (Alpecin – Deceuninck), Emilien Jeannière (TotalEnergies), Madis Mihkels (Intermarché – Wanty), Mick van Dijke (Team Visma | Lease a Bike), Louis Barré (Arkéa – B&B Hotels), Iván García Cortina (Movistar Team), Lewis Askey (Groupama – FDJ), Tibor Del Grosso (Alpecin-Deceuninck), Dion Smith (Intermarché – Wanty) e gli altri componenti del gruppo principale, forte di una sessantina di unità.
Il tracciato odierno era particolarmente nervoso, così come lo è stata la tappa. Dopo una cinquantina di chilometri è nata la fuga che, sebbene con alterne vicende, ha caratterizzato l’intera tappa. A promuoverla sono stati Lorenzo Milesi (Movistar Team), Michael Gogl (Alpecin – Deceuninck), Cole Kessler (Lidl – Trek Future Racing), Liam Slock (Lotto Dstny) e William Blume Levy (Uno-X Mobility), quest’ultimo primo a sfilarsi quando al termine mancava circa 15 Km all’arrivo. Annullata la fuga ai meno 3, è stata la volta di Per Strand Hagenes (Team Visma | Lease a Bike) cercare il colpo a sorpresa sfruttando una leggera ascesa del circuito finale. Sul norvegese, però, si sono riportati prima Samuel Watson (Groupama – FDJ) e successivamente quel che restava del plotone
Oggi la cnclusione con la Mouscron – Thuin, tappa di 214,8 Km che prevede tre GPM nelle fasi iniziali, tra i quali l’Oude Kwaremont (2,6 km al 3,7% con quasi un chilometro mezzo di pavé), storica ascesa del Giro delle Fiandre. La corsa si deciderà nel circuito finale, da inannellare quattro volte, che prevede l’arrivo sul muro di Thuin (0,5 km al 7,8%), trampolino di lancio perfetto per andare a giocarsi l’ultima tappa con uno sguardo anche alla classifica generale.

Mario Prato

Dopo un lungo digiuno Matteo Trentin torna al successo nella penultima frazione del Giro di Vallonia (Getty Images)

Dopo un lungo digiuno Matteo Trentin torna al successo nella penultima frazione del Giro di Vallonia (Getty Images)

HOELGAARD VINCE IN VALLONIA, TRENTIN SECONDO IN CLASSIFICA

luglio 25, 2024 by Redazione  
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Vittoria al termine di una lunga fuga a due per il campione di Norvegia Markus Hoelgaard davanti a Jimmy Janssens. Terzo Matteo Trentin che sale al secondo posto della classifica dietro a Corbin Strong.

La tappa Regina dell’Ethias-Tour de Wallonie ha visto il successo del campione norvegese Markus Hoelgaard (Uno-X Mobility), che ha battuto il compagno di fuga Jimmy Janssens (Alpecin – Deceuninck). Terzo dopo 43″ si è piazzato Matteo Trentin (Tudor Pro Cycling Team), che ha regolato un gruppetto forte di una quindicina di unità. Grazie a questa prestazione l’esperto ciclista di Borgo Valsugana è salito al secondo posto della classifica generale a soli 7” da Corbin Strong (Israel – Premier Tech), oggi sesto.
I primi due dell’ordine d’arrivo erano gli unici sopravissuti di una fuga a 5 che comprendeva anche Johan Jacobs (Movistar), Gilles De Wilde (Team Flanders – Baloise) e Thomas Bonnet (TotalEnergies). Il tentativo era nata fin dalle prime pedalate e, pur perdendo pezzi strada facendo, è riuscito ad arrivare al traguardo. Il terzo di giornata, Trentin, si era già fatto vedere strada facendo nel tentativo di riportarsi sui fuggitivi.
Oggi il Tour de Wallonie prosegue con la quarta tappa che porterà i corridori in 188.5 Km da Verviers a Herve. Il percorso vallonato potrebbe potrebbe aprire a diverse soluzioni: tra le altre difficoltà altimetriche è prevista la mitica Côte de la Redoute (1.5 km al 10,5%), la salita simbolo della Liegi-Bastogne-Liegi, ma la sua collocazione a 56 Km dall’arrivo non dovrebbe renderla determinante.

Mario Prato

Markus Hoelgaard vince la terza tappa del Giro di Vallonia (foto Luc Claessen/Getty Images)

Markus Hoelgaard vince la terza tappa del Giro di Vallonia (foto Luc Claessen/Getty Images)

TAPPA E MAGLIA PER CORBIN STRONG AL GIRO DI VALLONIA

luglio 24, 2024 by Redazione  
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Cambio della guardia all’Ethias-Tour de Wallonie. Corbin Strong si impone su Emilien Jeannière e Paul Penhoët conquistando la maglia di leader.

Le ventilate difficoltà altimetriche della seconda tappa dell’Ethias-Tour de Wallonie non hanno sortito l’effetto che alcuni si aspettavano. Anche la tappa della corsa belga disputata tra Saint-Ghislain e Ouffet si è, infatti, conclusa in volata.
A spuntarla è stato il neozelandese Corbin Strong (Israel – Premier Tech) che ha tenuto a bada le velleità di Emilien Jeannière (TotalEnergies) mentr terzo, come il giorno prima, si è piazzato Paul Penhoët (Groupama – FDJ). Grazie agli abbuoni spettanti al primo classificato Corbin ha conquistato tre posizioni in classifica andandosi a insediare in vetta.
Il percorso della seconda tappa poteva ispirare gli attaccanti di giornata, anche se la classifica molto corta ha fatto si che i molteplici tentativi avutisi strada facendo siano sempre stati tenuti d’occhio dal plotone. Il finale è stato affrontato da alcuni con il cipiglio giusto, senza però ottenere il risultato sperato. Alla fine sul traguardo si è presentato un gruppo folto di una quarantina di unità, regolato come detto da Corbin Strong, mentre miglior italiano anche oggi si è confermato Matteo Trentin (Tudor), ottavo allo sprint e settimo in classifica con 11 secondi di ritardo.
Ora il Tour de Wallonie proseguirà con la tappa regina, disegnata tra Arlon e La Roche-en-Ardenne sulla distanta di 192 Km. In particolare bisognerà superare quasi 2900 metri di dislivello con le fase salienti da affrontare nel circuito conclusivo di 30 Km da ripetere due volte, anello che prevede le salite della Côte de Maboge (2,8 km al 6,5%) e del Col de Haussire (4,1 km al 6,9%).

Mario Prato

Corbin Strong vince la seconsa tappa del Tour de Wallonie (Getty Images)

Corbin Strong vince la seconsa tappa del Tour de Wallonie (Getty Images)

POGI, SEMPRE POGI, FORTISSIMAMENTE POGI: DODICI TAPPE PER UNA DOPPIETTA

luglio 23, 2024 by Redazione  
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Bulimia Pogacar. Vince sempre lui. Se al Giro sceglieva, fatti salvi regali impiattati su vassoi d’argento dagli avversari, al Tour si prende tutto. Tranne Parigi… perché quest’anno si finisce a Nizza, e perché Tadej rinuncia alle Olimpiadi imminenti.

La tappa finale di Nizza, originale (per il Tour) soluzione a crono che sostituisce causa Olimpiadi il classico e monumentale sprint sui Campi Elisi con Arco di Trionfo a condimento, emette un verdetto tutto fuorché originale: podio di giornata, Pogacar-Vingegaard-Evenepoel. Podio finale del TDF: Pogacar-Vingegaard-Evenepoel. Pochissime le sorprese, minimi i rivolgimenti su una classifica ormai già scandita a giri di clessidra più che a ticchettii di cronometro.
Fuori il dente, fuori il dolore: l’unica notizia di giornata per quanto concerne la top ten conclusiva riguarda l’italiano Ciccone, che dopo un Tour solido e costante esce sonoramente sconfitto dal gioco delle “sedie musicali” che vedeva quattro atleti battagliare per i tre posti dall’ottavo al decimo, rimasugli caduti dalla tovaglia dei quattro big team (UAE, Visma, Soudal-Quickstep e INEOS) che avevano già precettato con capitani e gregari – gregari di grandissimo lusso, s’intende – tutta l’alta classifica. Se lo svizzero Gall era prematuramente uscito dalla giostra in cui erano in lizza con lui e Ciccone anche il colombiano Buitrago e il canadese Gee, l’ingordigia inarrestabile degli squadroni aveva riportato in ballo lo statunitense Jorgenson della Visma, prima impiegato come supporto a Vingegaard: grazie a una serie di cavalcate autonome, tenute a bada dal solo Pogacar, il promettente, versatile e sempre sorprendente lungagnone si era sulle Alpi proiettato con prepotenza verso l’ottavo posto, rimandando dunque Ciccone, Gee e Buitrago a scannarsi per nona e decima piazza. Jorgenson suggella l’operazione con un’eclatante cronometro conclusiva che lo vede primo degli umani dietro i tre fenomeni del cui dominio si è detto in apertura, mentre Ciccone, a dispetto di una bella discesa, cede proprio in salita da Buitrago ma soprattutto da un Gee clamoroso, il quale proprio nei segmenti ascendenti era stato addirittura il primo rivale dei Magnifici Tre. Ecco dunque tre atleti delle Americhe a imbottire la base della top 10, con tre storie interessanti e variegate: la sorpresa Gee come GC-man per gli israeliani; la crescita regolare di Buitrago ultimo alfiere del ciclismo colombiano (illusoria la bella classifica di Bernal nella prima metà di Tour); la folgorante ascesa di Jorgenson, scoperto dalla Movistar poi abbandonata con disprezzo. Ma al di là dei meriti altrui, Giulio paga il proprio umano appannamento, dopo essersi a più riprese esposto nelle tappe precedenti per mettere in difficoltà gli avversari, vanamente purtroppo.
E qui viene a galla uno dei leit motiv impliciti di questo Tour: Pogacar ha decretato con editto imperiale che non sarebbe stata concessa libertà di movimento alcuna a chi lottasse per la classifica. Scelta peculiare e dispendiosa, visto che “essere in classifica” in questo Tour, fatti salvi appunto i primi tre gradini del podio, significa avere accumulato un distacco di venti minuti-mezzora (il quarto in classifica generale è a 19 minuti Almeida, peraltro gregario di Pogacar, il decimo è Buitrago a 29 minuti), vale a dire un distacco che in qualsiasi altro contesto sarebbe perfettamente compatibile con l’essere un candidato per la fuga di giornata.
Come già l’anno scorso, ma a parti invertite, abbiamo goduto di un Tour insospettabilmente apertissimo per due terzi, poi la svolta: nel 2023 alla sedicesima tappa la crono di Combloux aveva sancito un’esplosiva superiorità di Vingegaard al di là di ogni gestibilità per Pogacar, poi crollato più di testa che di gambe prima del contentino finale sui Vosgi. Quest’anno è la quindicesima tappa, Plateau de Beille che stronca ogni velleità del danese, per il quale quanto segue è solo sofferenza e strenua difesa, peraltro solida, nei confronti delle insidie portate dal giovane Evenepoel verso il secondo posto. Certamente nel 2023 la questione è che al netto della battuta a vuoto sul Marie Blanque, Pogacar era apparso in realtà più forte, seppur leggermente, del proprio avversario, almeno fino al risultato choc della crono che aveva completamente sovvertito ogni pronostico. Dopodiché lo sloveno aveva patito, come detto, un crollo verticale, anche rispetto al resto della concorrenza, salvo poi tornare ad affermarsi (ma forse tenuto al guinzaglio) alla penultima tappa. Quest’anno invece la sorpresa era consistita nel vedere un Vingegaard capace di reggere in modo solvente sotto i veementi colpi d’ariete dell’avversario, a maggior ragione su una gamma di terreni che tutti vedevano più favorevole a Pogacar. La sconfitta secca, tuttavia, sarebbe giunta proprio nel giorno in cui tutti, a cominciare dalla Visma, credevano sarebbe potuto emergere un differenziale positivo a favore del proprio atleta. Dopo la batosta, sancita da uno sguardo all’indietro, in quel caso verso Pogacar a ruota, il segno distintivo del Tour di Vingegaard sarebbe divenuto lo sguardo indietro, ma stavolta ad Evenepoel, vuoi come alleato, vuoi come avversario. Ma l’iniziativa sarebbe stata sostanzialmente sempre nelle mani del belga, nonostante quest’ultima frazione abbia ratificato che le energie fisiche maggiori erano ancora nelle gambe del danese, inibito però dall’esprimerle nelle tappe in linea per un proprio approccio, diciamo, contropiedista, nonché, senz’altro, per la tremenda botta morale di vedersi surclassato dall’avversario storico.
Non è forse un caso che entrambi i fenomeni nell’anno della sconfitta venissero da una preparazione perfettibile. Comunque la loro superiorità è tale che non è necessario ottimizzare per essere ampiamente irraggiungibili non solo per gli atleti professionisti “normali”, ma perfino per indiscutibili campioni come Roglic o – finora – per un talento naturale straripante com’è quello di Evenepoel. La bilancia s’inclina in una direzione o nell’altra solo fra loro due.
Pogacar è stato sostenuto nel proprio dominio sconcertante da una squadra di campioni acquistati al suo servizio, Vingegaard aveva avuto nelle sue due vittorie un team capace di elevare al rango di veri e propri mostri gli onesti mestieranti via via contrattati. Quest’anno la Visma sembra aver perso la relativa bacchetta magica, ma questo depone a favore del danese, il cui rendimento è rimasto estremamente alto. D’altro canto va però detto che quando un po’ di polvere di stelle si è sparsa in casa Visma, sostanzialmente sulle Alpi, il team ha prodotto grandi manovre strategiche degne di Annibale o Napoleone, ritrovando gambe fenomenali, ma è stato in questo caso proprio il capitano a non provare azzardi sulla lunga gittata, vuoi per timore di perdere il secondo posto, vuoi perché travolto in una spirale di sudditanza nei confronti del Re Sole Pogacar.
Ora, come insegnano storie e leggende di ogni latitudine, dopo aver sconfitto il proprio più temibile rivale, resta ancora un avversario capace di sprofondare l’eroe solare in precipizi tenebrosi: se stesso. Il cannibalismo di Pogacar anche in termini di tappe va apparendo via via più innecessario, i colpi di maglio psicologici volti a stroncare un Vingegaard in affanno risultano invero gratuiti. D’accordo scegliere, come al Giro, qualche tappa da vincere comunque per il significato speciale che possa avere, leggasi Livigno o Oropa, d’accordo dedicare una giornata allo spettacolo quando la classifica è già chiusa, come sul Grappa, d’accordo anche prendersi una tappa quasi per sbaglio se le trovate di altri team la servono su piatto d’argento e, al contempo, i possibili donatari non hanno i mezzi fisici per farsi girare il regalo. Qui però si è andati oltre: sembrava trasparire una rabbia cupa per le sconfitte passate, perfino per la lesa maestà di essere stato affrontato alla pari per una buona metà di Tour. Ben vengano grandi rivalità che sono il sale del ciclismo, ma attenzione alle fessure inattese dalle quali possa strisciare nella sala del treno la serpe della disgrazia. Per fare un piccolo esempio banale, Tadej ha appena annunciato che non parteciperà alle Olimpiadi di Parigi, dove sarebbe stato una garanzia di medaglia per la propria federazione e per il proprio Paese. La ragione addotta ufficialmente, la stanchezza. Le malelingue parlano di dissidi con la federazione nazionale in merito alla selezione femminile, dalla quale sarebbe stata esclusa, nonostante ottimi risultati sulla scena locale, la storica fidanzata di Pogi, a cui lui è legatissimo (sacrificò una Liegi a un lutto familiare di lei). Decisione assolutamente legittima, ma purtroppo nel ciclismo inimicarsi la propria federazione, pur quasi inevitabile in certi contesti se si è atleta di peso e dignità, può attrarre conseguenze incontrollabili.
Intanto però non pensiamo alle ombre e crogioliamoci almeno per un po’ al sole di questo Tour che ex post ci può sembrare scontato e dominato, ma che, se ci pensiamo bene, ci ha lasciati nella più grande incertezza fino a tutto il secondo weekend: e oltre, volendo, dato che pur definitisi i rapporti di forza, comunque si poteva credere in qualche folle gesto d’orgoglio da parte del danese e del suo team. Con tappe assolutamente superbe per la classifica quali quella degli sterrati o quella del Massiccio Centrale, ma certamente anche la prima crono, il Galibier o Pla d’Adet.

Gabriele Bugada

Il podio del Tour 2024 (foto Marco Bertorello / AFP / Getty Images)

Il podio del Tour 2024 (foto Marco Bertorello / AFP / Getty Images)

GIRO DI VALLONIA, PRIMA TAPPA A MEEUS

luglio 22, 2024 by Redazione  
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Ha preso il via oggi da Tournai la 45a edixzione dell’Ethias-Tour de Wallonie. La prima tappa ha vsto il successo del belga Jordi Meeus su Madis Mihkels e Paul Penhoët.

Meno di 24 ore dopo la fine del Tour de France ha preso il via l’Ethias-Tour de Wallonie, corsa belga giunta alla quarantacinquesima edizione. Non è presente ai nastri di partenza il vincitore dello scorso anno Filippo Ganna (Ineos Grenadiers) e così i corridori più accreditati per la vittoria finale sono il belga Dylan Teuns (Israel – Premier Tech), il francese Benoit Cosnefroy (Decathlon AG2R La Mondiale Team) e l’italiano Matteo Trentin (Tudor).

La prima tappa si è corsa sulla distanza di 179 Km tra Tournai a Fleurs, su di un percorso che prevedeva 3 Gran Premio della Montagna, il più impegnativo e interessante dei quali era l’ultimo, la Côte du Petit Try (1,2 km al 7,2%), piazzato a 10 Km dal traguardo. Queste difficoltà, che comprevano anche tre settori di pavè, non hanno inciso più di tanto sulla gara, mentre molto più decisivo è stato un errore della moto ripresa che subito prima dell’ultimo chilometro ha sbagliato direzione provocando la caduta di alcuni corridori, tra i quali l’italiano Alberto Dainese (Tudor). L’incidente ha influito sull’esito della gara, con le ruote veloci rimaste immuni dal marasma conseguente che hanno avuto la possibilità di andarsi a giocare la tappa su di un gruppo ormai ridotto, anche se i distacchi provocati dalla caduta sono stati neutralizzati dalla giuria.
La volata finale ha visto il successo del belga Jordi Meeus (Red Bull – BORA – hansgrohe) che ha messo la sua ruota davanti a quelle di Madis Mihkels (Intermarché – Wanty), Paul Penhoët (Groupama – FDJ), Mick van Dijke (Team Visma | Lease a Bike), Emilien Jeannière (TotalEnergies), Pierre Gautherat (Decathlon AG2R La Mondiale Team), Jesse Kramer (Team Visma | Lease a Bike), Lilian Calmejane (Intermarché – Wanty), Luca Van Boven (Bingoal WB) e Florian Vermeersch (Lotto Dstny).
Meeus guida la classifica generale con 4″ su Mihkels e 6″ su Penhoët. Nella TopTen figura anche Trentin (Tudor Pro Cycling Team), piazzatosi ventisettesimo ma che ad un abbuono racimolato a un traguardo volante, è risalito fino all’ottavo posto in classifica con 8″ di ritardo.
Domani la seconda tappa porterà il gruppo da Saint-Ghislain a Ouffet in 188 Km, proponendo un tracciato che potrebbe risultare indigesto per i velocisti puri. A una quindicina di chilometri dall’arrivo si dovrà, infatti, scalare la Côte de Géromont (1,6 km al 8,1%), ma anche nei 6000 metri conclusivi si dovrà pedalare costantemente in leggera salita.

Mario Prato

Meeus vince la prima tappa della corsa vallone (Getty Images)

Meeus vince la prima tappa della corsa vallone (Getty Images)

POGACAR, DOMINIO INFINITO. LO SLOVENO VINCE ANCHE LA COUILLOLE E FIRMA IL POKERISSIMO

luglio 21, 2024 by Redazione  
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C’è chi gli da del cannibale, riesumando lo storico soprannome di Eddy Merckx, e forse non va troppo lontano dalla realtà. Sta di fatto che anche oggi Tadej Pogacar ha messo le cose in chiaro dimostrando per l’ennesima volta d’essere il corridore più forte del mondo. Lo sloveno della UAE ha vinto anche la 20a tappa, la Nizza-Col de la Couillole, quinto successo di una Grande Boucle che ha dominato in lungo e in largo. La maglia gialla ha avuto la meglio negli ultimi 200 metri su un coraggioso Jonas Vingegaard (Visma | Lease a Bike) che ha onorato al meglio il dorsale n°1, ma si è dovuto nuovamente inchinare al cospetto dello sloveno. Terzo posto per un instancabile Richard Carapaz (EF Education-Easy Post), reduce dall’ennesima fuga e vincitore della maglia a pois. La classifica generale si è ulteriormente dilatata e, alla vigilia della crono finale di Nizza, vede Pogacar con oltre 5′ sul campione uscente e ben 8 su un Remco Evenepoel (Soudal-Quick Step) oggi meno brillante rispetto alle precedenti frazioni.

La penultima tappa del Tour prevedeva una breve (appena 133 km) ma dura cavalcata lungo le Alpi Marittime francesi. Appena usciti da Nizza i corridori erano attesi dall’unico tratto pianeggiante, quindi, giunti al Col de Nice, iniziava una sequenza di ben 4 salite (una di 2a categoria, le altre tre di 1a) poste in rapida successione. La prima asperità era rappresentata dal Col de Braus (10.2 km al 6.3%) posta al km 24. Dopo la successiva discesa iniziava il lunghissimo Col de Turini (20.9 km al 5,7%) posto al km 60 a sua volta seguito da un lungo tratto all’ingiù. Quindi era la volta del Col de la Colmiane (7.4 km al 7%) posto al km 96. Infine la salita finale che portava al Col de la Couillole (15.8 km al 7.3%), ultimo arrivo in salita del Tour de France 2024.

La bagarre per entrare nella fuga di giornata è partita inevitabilmente sin dal km0, ma il tentativo buono ha iniziato a prendere forma soltanto una volta iniziato il Col de Braus. A promuovere l’azione, come spesso è accaduto in questo Tour, sono stati gli uomini della EF in particolare grazie alla verve del solito Neilson Powless che ha lavorato a lungo in favore del compagno Richard Carapaz. Si è così formato un nutrito drappello che comprendeva inizialmente 22 uomini: Tiesj Benoot, Wilco Keldermann, Matteo Jorgenson e Jan Tratink (Visma | Lease a Bike), Pavel Sivakov e Adam Yates (UAE Team Emirates), Simon Yates e Laurens De Plus (INEOS Grenadiers), Giulio Ciccone e Carlos Verona (Lidl-Trek), Felix Gall, Bruno Armirail, Nans Peters e Nicolas Prodhomme (Decathlon-Ag2r), Santiago Buitrago e Jack Haig (Bahrain-Victorius), Mikel Landa (Soudal-Quick Step, Neilson Powless e Richard Carapaz (EF Education-Easy Post), Derek Gee (Israel-Premier Tech), Enric Mas (Movistar Team) e Clement Champoussin (Arkea-B&B Hotels). Tale gruppetto però non andava troppo a genio agli uomini della UAE che hanno imposto un ritmo talmente alto da ridurre il gruppo maglia gialla ad appena una quindicina di corridori quando erano stati percorsi solo pochi chilometri della prima salita. L’andatura forsennata del plotone ha fatto sì che il gap del gruppo di testa non andasse oltre qualche decina di secondi e così dal gruppo di testa sono tornati gli scatti allo scopo di selenzionare un tentativo meno corposo e più efficace. La testa della corsa è transitata in cima al primo gpm con meno di 1′ di vantaggio su quel che restava del gruppo maglia gialla.

Lungo la successiva discesa, il gruppo ha alzato il piede dall’acceleratore e di conseguenza i corridori in avanscoperta hanno iniziato a guadagnare. In questa fase in testa vi erano Enric Mas, Wilco Keldermann e Bruno Armirail mentre poco dietro inseguivano Richard Carapaz, Jan Trantik, Clement Champoussin insieme a Romain Bardet (Team DSM-Firmenich-PostNL) e Marc Soler (UAE Team Emirates), usciti dal gruppo in un secondo momento.
Sul Col de Turini dal gruppo sono però evasi altri corridori, vale a dire Kevin Geniets (Groupama-FDJ), Jasper Stuyven (Lidl), Nans Peters (Decathlon), Tobias Johannessen (Uno-X Mobility) e nuovamente Powless. Dietro nel frattempo il rallentamento del gruppo aveva consentito a Carlos Rodriguez (INEOS Grenadiers) di rientrare dopo un inizio di tappa decisamente complicato. I fuggitivi hanno invece approfittato della calma in gruppo per portare il gap rapidamente intorno ai 4 minuti. Lungo la salita Carapaz, Trantik, Soler e Bardet sono rientrati sui tre battistrada. A metà salita i 7 fuggitivi vantavano 1′40″ sul gruppetto dei contrattaccanti e 4′30″ sul plotone. A poco più di un km dallo scollinamento sui 7 di testa sono rientrati anche Tobias Johannessen, Kevin Geniets e il sorprendente Jasper Stuyven.

Proprio in cima alla salita (gpm vinto da Carapaz che si è così assicurato la vittoria della maglia a pois), in testa al gruppo sono mutati gli equilibri perchè, al posto della UAE che stava tenendo un passo non più infernale come ad inizio tappa, erano giunti gli uomini della Soudal, evidentemente decisi a non lasciare troppo margine ai fuggitivi. I 10 battistrada hanno però proseguito di comune accordo mantenendo un margine sempre superiore ai 4′. L’armonia davanti si è però interrotta lungo la penultima ascesa, quella che portava la carovana gialla a la Colmiane, grazie ad una serie di scatti di cui si sono resi protagonisti in particolare Mas e Soler. In cima al gpm (-37) il vantaggio dei 10 fuggitivi era sceso sotto i 3′. Tale gap è rimasto sostanzialmente inalterato fino ai piedi dell’ultima salita (-16).

Lungo l’ascesa finale Trantik si è messo a fare il ritmo, ponendosi al servizio di Keldermann, mentre Armirail ha rapidamente perso contatto, sorte poi condivisa anche da un sorprendente Stuyven e dallo stesso Trantnik una volta finito il suo lavoro. Ai -11 è arrivato lo scatto di un redivio Mas a cui il solo Carapaz è stato in grado di rispondere. Poco dietro è invece rimasto Bardet, che ha poi veleggiato a circa 15-20″ dai due battistrada. Più dietro vi erano invece Keldermann e Johannessen. Contemporaneamente dietro continuava il lavoro degli uomini della Soudal, in particolare con uno splendido Jan Hirt. Quando il ceco ha terminato il suo lavoro, in testa al gruppo è giunto Mikel Landa, il cui passo a ridotto il gruppo a meno di 10 unità: oltre all’iberico vi erano il compagno di squadra Evenepoel e poi Tadej Pogacar, Adam Yates e Joao Almeida (UAE Team Emirates), Jonas Vingegaard e Matteo Jorgenson (Visma | Lease a Bike), Giulio Ciccone (Lidl-Trek), Derek Gee (Israel-Premier Tech) e Santiago Buitrago (Bahrain-Victorius). Il colombiano ha però mollato ben presto, destino toccato ai -10 anche a Gee e Ciccone. Le accelarazioni di Landa hanno ben presto ridotto il gruppo a solo 6 corridori (Landa e Evenepoel, Pogacar e Almeida, Vingegaard e Jorgenson), mentre molti degli ormai ex-fuggitivi venivano inesorabilmente ripresi. Davanti invece Mas e Carapaz continuavano insieme, benchè intervallando momenti di collaborazione a scatti.

Intorno ai -8 è giunto il primo scatto di Remco Evenepoel a cui hanno subito risposto sia Pogacar che Vingegaard. Successivamente sono rientrati anche Almeida, Landa e Jorgenson, con quest’ultimo che ha poi alzato bandiera banca dopo poche centinaia di metri. Una nuova accelerazione del belga è giunta ai -5 e anche stavolta Vingegaard e Pogacar hanno immediatamente reagito. In questo caso però il danese non si è limitato a riprendere Evenepoel, ma ha a sua volta piazzato uno scatto violento a cui ha risposto solo Pogacar. Vingegaard ha continuato ad imporre un passo decisamente alto con la maglia gialla alla sua ruota. Il gap dai 2 battistrada si è così ridotto rapidamente fino al ricongiungimento avvenuto ai -3. Un chilometro dopo Mas ha alzato bandiera bianca, mentre un eroico Carapaz provava con tutte le forze residue a resistere ai due fuoriclasse. Evenpoel invece pagava già 25/30″ di ritardo. All’ultimo km però anche l’Ecuadoriano ha dovuto arrendersi lasciando la solita coppia sola in testa alla corsa. Vingegaard ha continuato a tirare, chiedendo di tanto in tanto un cambio a Pogacar. Lo sloveno è passato davanti ai -200 piazzando un’accelerazione devastante alla quale il danese non ha provato neanche a reagire.
Pogacar ha così concluso a braccia alzate per la quinta volta in questo Tour, precedendo Vingegaard di 7″. Poco dopo (a 23″) è giunto Carapaz. Quarta piazza per Evenepoel (a 53″) che ha preceduto Mas (1′07″), Almeida (1′28″), Jorgenson (1′33″), Landa (1′41″), Adam Yates (1′43″) e Bardet (1′52″).

La classifica generale vede ora Pogacar in testa con 5′14″ su Vingegaard e 8′04″ su Evenepoel. Molto più distanti gli altri: Almeida è 4° a 16′45 davanti ad un rinato Landa (17′25″). Quindi troviamo Adam Yates a 21′11″ e Carlos Rodriguez a 21′12″. Chiudono la top ten provvisoria Jorgenson (a 24′26″), Gee a 24′50″ e Ciccone a 25′48″.

Domani è in programma l’ultima tappa, una cronometro di 33,7 km con partenza dal Principato di Monaco e arrivo a Nizza. I corridori dovranno affrontare due storiche salite della Parigi-Nizza, ovvero La Turbie (8.2 km al 5.7%) al km 11 e il Col d’Eze (1.6 km al 8.85) al km 17. Una lunga discesa accompagnerà poi i corridori verso il capoluogo della Costa Azzurra con il classico arrivo sulla Promenade des Anglais.

Pierpaolo Gnisci

Pokerissimo Pogacar (fonte: Getty Images)

Pokerissimo Pogacar (fonte: Getty Images)

VISMA PIANO B, MA TADDEO FA IL CANNIBALE

luglio 19, 2024 by Redazione  
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La Visma manda in fuga quelli che dovrebbero essere gli ultimi uomini di Vingegaard e, nel finale, Jorgenson stacca anche scalatori puri come Carapaz e Yates, ma la maglia gialla parte a 8 km dall’arrivo senza nemmeno alzarsi sui pedali. Evenepoel e Vingegaard non tentano neppure di rispondere e il belga fa il suo ottimo ritmo che il danese sembra abbia fatto fatica a seguire.

Molti si sono chiesti se la fuga di Wilco Kelderman e Matteo Jorgenson fosse preordinata ad un attacco da lontano di Jonas Vingegaard (Visma) oppure finalizzata a vincere la prima vera tappa alpina.
Non si trattava di un tappone nel senso classico del termine, perché il ridottissimo chilometraggio non consente di definirla tale, ma si trattava certamente di una frazione durissima, con 3 salite sopra i 2000 metri, e una di queste sfiorava addirittura i 3000.
Salite storiche, il punto più alto del Tour nonché valico carrozzabile più alto d’Europa: una tappa come questa era ovviamente molto ambita e quindi si poteva ben ritenere che la Visma corresse per la tappa. In realtà, il direttore sportivo, dopo la tappa, ha confermato che il piano era quello di lanciare un attacco sulla Bonette con Vingegaard per trovarsi sulla strada i due migliori uomini in salita. I piani, però, sono cambiati quando il danese ha comunicato di non sentirsi al massimo e ha quindi preferito lasciare che Kelderman lavorasse per Jorgenson, che infatti è andato molto vicino al colpaccio.
Vedendo poi come è andata la tappa per Vingegaard si è capito che forse non si è trattato di una semplice giornata no, poichè il fuoriclasse danese forse comincia ad accusare la mancanza di una adeguata preparazione.
Le conseguenze di una tale situazione, specialmente se si cerca di forzare il rientro in bicicletta dopo un brutto infortunio, possono farsi sentire nella terza settimana, laddove manca il fondo che si allena solo con la continuità.
Del resto, quando Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) ha alzato il ritmo, non gli è stato nemmeno necessario alzarsi sui pedali o fare quella rasoiata violenta che era stata necessaria a dare 8 secondi al danese in cima al Galibier.
Il divario tra i due, che all’inizio sembrava molto ridotto, è andato crescendo nel corso del Tour e ora il capitano della Visma dovrà anche guardarsi dagli attacchi di Remco Evenepoel (Soudal Quick-Step), che sembra cominciare a pensare con bramosia alla possibilità di issarsi sulla piazza d’onore.
Taddeo è semplicemente di un altro pianeta. Al termine del Giro d’Italia si era commentata la pochezza degli avversari, finiti a 10 minuti, ma va anche detto che, anche al Tour con tutti i migliori ciclisti del mondo, la musica non è molto diversa poiché ora Vingegaard si trova a oltre 5 minuti ed Evenepoel a oltre 7. E, se Pogacar decidesse di spingere al massimo anche nella due frazioni residue, la classifica finale potrebbe somigliare molto a quella del Giro.
Oggi si sono rivisti i distacchi degli anni 90 e dei primi 2000.
In un ciclismo che ci aveva abituati a vedere i big battagliare negli ultimissimi chilometri di salita per darsi pochi secondi l’un l’altro, Pogacar costringe un po’ tutti a cercare di far meglio. Quando è partito lui, infatti, anche Evenepoel ha alzato il ritmo e lui e Vingegaard sono rimasti da soli a 8 Km dall’arrivo. L’esatto contrario dei trenini modello Sky o Jumbo, nei quali l’ultimo uomo si spostava all’ultimo chilometro per propiziare lo sprint del capitano e nessuno osava uscire dallo schema prestabilito per timore di saltare.
Venendo alla cronaca odierna subito dopo il via ufficiale si forma un attacco in cui ci sono anche i due alfieri della Visma Kelderman e Jorgenson, che aderiscono al tentativo inaugurato da Christophe Laporte (Visma | Lease a Bike) e al quale si aggiungono Christopher Juul-Jensen (Team Jayco – AlUla), Michał Kwiatkowski (Ineos Grenadiers), Nicolas Prodhomme (Decathlon Ag2r La Mondiale), Jack Haig (Bahrain Victorious), Ilan Van Wilder (Soudal Quick-Step), Jai Hindley (Red Bull – Bora – Hansgrohe), Valentin Madouas (Groupama-FDJ), Neilson Powless (EF Education-EasyPost), Brent Van Moer (Lotto Dstny), Bryan Coquard (Cofidis), Davide Formolo e Oier Lazkano (Movistar), Cristián Rodríguez (Arkéa-B&B Hotels), Warren Barguil e Oscar Onley (Team dsm-firmenich PostNL), Magnus Cort e Jonas Abrahamsen (Uno-X Mobility), Mathieu Burgaudeau e Anthony Turgis (TotalEnergies).
All’inizio della salita del Vars si forma anche un contrattacco promosso da Richard Carapaz (EF Education – EasyPost), che si avvantaggia sul gruppo insieme a Egan Bernal (Ineos Grenadiers), Romain Bardet (Team Dsm-Firmenich PostNL) e Simon Yates (Team Jayco AlUla). La salita ovviamente fa le sue vittime e in vetta al Vars sono in nove a comporre la testa della corsa (Jorgenson, Kelderman, Carapaz, Simon Yates, Prodhomme, Onley, Van Wilder, Cristian Rodríguez e Hindley.)
Sulla salita verso gli oltre 2800 metri della Cima della Bonette il gruppo maglia gialla alza il ritmo e molti perdono contatto, mentre davanti restano Jorgenson, Kelderman, Rodríguez, Carapaz, Yates e Hindley con un vantaggio che continua a veleggiare sui 3 minuti.
Carapaz è il primo a transitare sul tetto del Tour e domani vestirà la maglia di miglior scalatore della Grande Boucle, la prestigiosa maglia a pois.
Il gruppo sceglie la prudenza in discesa e il vantaggio sale ma, quando prendono in mano la situazione prima Pavel Sivakov (UAE Team Emirates), poi Soler e infine Adam Yates, si capisce che Pogacar vuole andare a prendersi la tappa.
Davanti iniziano gli attacchi con Jorgenson che riesce a portarsi in testa da solo, seguito a qualche secondo da Carapaz, che sarà a sua volta raggiunto e staccato da Simon Yates.
Quando mancano 8 km all’arrivo ed il distacco è di 2′45″ la maglia gialla aumenta il ritmo senza neppure scattare e lascia tutti sul posto, andando a riprendere uno ad uno tutti i fuggitivi ed andando a vincere con l’inchino.
Evenepoel come al solito si difende con il ritmo, ma si accorge del fatto che Vingegaard resta incollato alla sua ruota e non sembra in grande giornata.
In un paio di occasioni il belga tenta di alzare i giri del motore, ma è già un gran passo in avanti per lui riuscire a resistere in tappe come questa.
Il danese non si fa staccare e conserva un buon margine sul terzo classificato, anche se non si tratta di un vantaggio del tutto rassicurante, specie considerando che l’ultima tappa sarà una cronometro individuale, gara che – anche se non pianeggiante – potrebbe sorridere alla maglia bianca.
Il distacco della coppia da Pogacar sarà di 1′42″ che, sommato all’abbuono, porta il distacco in generale del secondo a 5′03″ e quello del terzo a 7′01″.
E’ invece interessante notare che il quarto, il portoghese João Almeida (UAE Team Emirates) si trova già a 15 minuti di ritardo dallo sloveno.
Pogacar probabilmente avrà corso il Giro al risparmio, questo è vero, tuttavia quest’anno la sua superiorità è stata netta in entrambe le corse, probabilmente anche perché Vingegaard per forza di cose non è lo stesso dello scorso anno. Tuttavia Evenepoel, seppur molto migliorato, sembra ancora molto distante e dietro c’è l’abisso.

Benedetto Ciccarone

Sempre più cannibale: Pogacar si pappa anche il tappone di Isola 2000 (Getty Images)

Sempre più cannibale: Pogacar si "pappa" anche il tappone di Isola 2000 (Getty Images)

CAMPANE PER CAMPENAERTS, L’EX RECORDMAN DELL’ORA VINCE A BARCELONNETTE DOPO UN ANNO DI DIGIUNO

luglio 18, 2024 by Redazione  
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La diciottesima tappa del Tour 2024 riservava ai fuggitivi un’occasione da non perdere e così è stato. La maxifuga di oltre 30 ciclisti vede nel finale attacchi e contrattacchi con un terzetto di qualità che resta a giocarsi la vittoria. Nella volata a tre Victor Campenaerts (team Lotto Dstny) si impone su Matteo Vercher (Team TotalEnergies) e Michal Kwiatkowski (team INEOS Grenadiers). Domani primo dei due tapponi alpini con l’attesa di un nuovo duello tra Pogacar e Vingegaard

La diciottesima tappa del Tour 2024 parte da Gap e termina a Barcelonnette dopo 179.5 km. Sarà una giornata interessante che come ieri dovrebbe favorire la fuga mentre i big di classifica ‘riposeranno’ in vista del decisivo week end tra Alpi e Costa Azzurra. Non mancheranno i gpm da scalare – ben cinque e tutti di terza categoria – e già il Col du Festre dopo 30 km potrebbe essere decisivo per la formazione della fuga di giornata. Dopo i primi 20 km, tra attacchi e contrattacchi, Jasper Stuyven (Team Lidl Trek) iniziava a scalare in testa il Col du Festre con una decina di secondi di vantaggio sul gruppo maglia gialla. Il belga veniva ripreso e ricominciavano gli scatti in testa al gruppo. A circa metà dell’ascesa si staccavano una ventina di ciclisti tra cui spiccava il nome di Wout van Aert (Team Visma Lease a Bike) ma il gruppo reagiva nuovamente ed annullava questo nuovo tentativo. Oier Lazkano (Team Cofidis) scollinava in prima posizione sul gpm del Col de Festre posto al km 32.2. Oltre allo spagnolo facevano parte della maxi-fuga di oggi altri 35 ciclisti ovvero Alex Aranburu e Gregor Muhlberger (Team Movistar), Wout van Aert e Bart Lemmen (Team Visma Lease a Bike), Christopher Juul-Jensen e Michael Matthews (Team Jayco AlUla), Michal Kwiatkowski e Geraint Thomas (Team INEOS Grenadiers), Julien Bernard e Toms Skujins (Team Lidl Trek), Bruno Armirail, Dorian Godon e Nicolas Prodhomme (Team Decathlon AG2R La Mondiale), Wout Poels (Team Bahrain Victorious), Jai Hindley e Matteo Sobrero (Team BORA Hansgrohe), Valentin Madouas e Quentin Pacher (Team Groupama FDJ), Richard Carapaz, Ben Healy e Sean Quinn (Team EF Education EasyPost), Victor Campenaerts (Team Lotto Dstny), Hugo Houle e Kris Neilands (Team Israel Premier Tech), Guillaume Martin (Team Cofidis), Clement Champoussin e Raul Garcia Pierna (Team Arkea B&B Hotels), Louis Meintjes e Georg Zimmermann (Team Intermarchè Wanty), Frank van den Broek (Team DSM Firmenich PostNL), Tobias Halland Johannessen (Team Uno X Mobility), Steff Cras, Mathieu Burgaudeau, Jordan Jegat e Matteo Vercher (Team Total Energies). Lazkano scollinava in prima posizione sul gpm della Côte de Corps posta al km 57.5. Matthews vinceva il traguardo volante di Saint-Bonnet-en-Champsaur posto al km 84.3. Lazkano transitava in prima posizione sul successivo gpm del Col de Manse posto al km 97.3. Halland Johanness scollinava in prima posizione sul successivo gpm della Côte de Saint-Apollinaire posto al km 121. A 50 km dalla conclusione la tappa aveva ormai assunto una fisionomia evidente, con i fuggitivi che si sarebbero giocati la vittoria ed il gruppo maglia gialla che inseguiva – si fa per dire – a oltre 10 minuti di ritardo. Kwiatkowski scollinava in prima posizione sul quinto ed ultimo gpm di giornata, la Côte des Demoiselles Coiffées posta al km 139.1. Il ciclista polacco era tra i più attivi negli ultimi 30 km in leggero falsopiano. Attaccava insieme a Campenaerts ed a Vercher ed il terzetto di testa in breve tempo si avvantaggiava di una quarantina di secondi su un primo gruppo inseguitore formato da Lemmen, Skujins, Hindley, Neilands e Lazkano. I tre battistrava mantenevano il vantaggio sui diretti inseguitori dandosi regolarmente i cambi. Nonostante un allungo di Vercher a circa 1 km dall’arrivo, la vittoria si sarebbe giocata nella volata ristretta dove a prevalere era Campenaerts davanti a Vercher e Kwiatkowski. Il corridore belga, ex recordman dell’ora, tornava così a sorridore dopo un digiuno di vittorie lungo quasi un anno, iniziato dopo l’affermazione nella tappa a cronometro del Giro di Lussemburgo ottenuta a settembre del 2023. A 22 secondi di ritardo Skujins regolava il gruppetto degli inseguitori per la quarta posizione mentre chiudeva la top five Lazkano in quinta posizione. Il gruppo maglia gialla arrivava ad oltre un quarto d’ora di ritardo. Per Campenaerts è la prima vittoria stagionale mentre la classifica generale non cambia con Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) in maglia gialla davanti a Jonas Vingegaard (Team Visma Lease a Bike) e Remco Evenepoel (Team Soudal Quick Step). Domani la diciannovesima tappa offre il primo dei due tapponi alpini con Col de Vars, Cime de la Bonette e Isola 2000. Tre salite davvero impegnative che superano rispettivamente i 18, i 23 ed i 16 km. Torneranno di scena i big di classifica per un finale di Tour che si annuncia davvero entusiasmante.

Antonio Scarfone

Dopo una lunga fuga Tour de France 2024 Campenaerts precede i compagni davventura a Barcelonnette (foto Tim de Waele/Getty Images)

Dopo una lunga fuga Tour de France 2024 Campenaerts precede i compagni d'avventura a Barcelonnette (foto Tim de Waele/Getty Images)

SUPERDÉVOLUY E I MASTINI DELLA GUERRA: VENI, VIDI, VICI, REMCO, POGI, RICHIE

luglio 18, 2024 by Redazione  
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Torna l’aurea via di mezzo nel Tour fin qui spesso schizofrenico delle troppe tappe piatte senza fughe, neppure tentate prima di finire confusamente in volata di massa; oppure viceversa del tutti uno per angolo, staccati di minuti. Oggi no, oggi è battaglia corpo a corpo, e col dente avvelenato.

Tappa perfetta per Pogacar, approccio da classica dura, finale prima arcigno con giro di vite nel doppio tornante a scollinare, poi misto, tutto da rilanciare con arrivo in leggera salita. Tappa perfetta per Pogacar come già quelle italiane, quella degli sterrati, quella del Massiccio Centrale. Tappa, insomma, che Pogacar farebbe un gran bene a lasciar assopire, perché tutti i precedenti si sono rivelati forieri di grandi dispendî e pochi ragni cavati dal buco. A meno che, certo, quelle mutue frizioni e quello stringere i denti non siano stati l’autentica causa dell’erosione che ha consumato i piloni non così solidi della preparazione di Vingegaard, proprio come era accaduto a parti invertite nel TDF 2023. Ad ogni buon conto, ora che la maglia è più gialla del sole di luglio, non vale la pena di svenare se stessi ma soprattutto la squadra per guadagni destinati a essere cronometricamente modesti: ci attende da domani un trittico di tappe d’impegno crescente in termini di team.
E, per una volta, tutto sembra concorrere a questo disegno ordinato: ordinato fino a un certo punto, perché apre la strada, letteralmente, al caos vorticoso in cui si traducono le migliori tappe da fughe, quelle più sopraffine. Ma il menù apparecchiato è ancor più appetitoso, in varie portate: prima di tutto ci sarà la lotta per formarla, questa fuga, con l’antipasto annesso delle valutazioni tattiche qualora in fuga ci finiscano gregari degli uomini forti della generale. Averne davanti può significare disporre di importanti teste di ponte per un attacco di media gittata, ma anche, difensivamente, che se la bagarre fra i migliori si dovesse scatenare troppo presto, perdendosi dunque il supporto immediato, ci sarebbero uomini davanti da fermare per venire in soccorso a un capitano isolato. Seconda portata, la guerra di trincea punto a punto per la maglia verde finale: sembrava che l’eritreo Girmay fosse definitivamente destinato ad essere il primo africano investito del primato finale nella classifica ormai associata agli uomini veloci, invece la forma crescente di Mathieu van der Poel, qui ad allenarsi per le Olimpiadi sotto le umili vesti di assistman per il compago Philipsen, si è tradotta all’istante in un terzetto di trionfi per il belga, mentre Girmay ha perso una palata di punti con una caduta in un finale cruciale. Ora la battaglia si articola nei traguardi intermedi rimasti, posizionati spesso in modo peculiare nel tracciato di tappa. Infine, va da sé, la vittoria di tappa in quanto tale.
Con queste premesse non sorprende che la fuga stenti a prendere forma: su un percorso che prevede infiniti falsipiani a salire, senza respiro, rimbombano come tuoni in un temporale estivo gli attacchi e i contrattacchi, uno via l’altro, tanto più che si alza il vento e il peloton apre e chiude i propri ventagli con l’ansia di una beghina in una chiesa afosa. Due ore a 48 km/h di media su un nastro d’asfalto che implacabile accumula in quel centinaio scarso di km la bellezza di 1.300 metri di dislivello tutto positivo, senza uno straccio di contropendenza per rifiatare. Se ci sono luogotenenti degli squadroni, serra le fila il controsquadrone rivale, se nell’attacco è assente un team che ancora non ha vinto niente, ecco che dovrà rincorrere per contrappasso e ulteriore tortura, se, più in generale, c’è modo di stroncare l’allungo, ci penserà l’Alpecin di Philipsen che vuole il traguardo intermedio, meglio ancora sganciando Philipsen in avanscoperta in un gruppetto nel quale manchi Girmay. Guerriglia di mestiere per la quale a poco vale il controllo dall’ammiraglia, le situazioni in testa al gruppo sono fluide e variabili più di un fronte burrascoso. Al più i direttori sportivi possono strillare di “chiudere, chiudere, chiudere”: intanto la fatica aumenta, il costo di imbroccare la fuga chiave si fa stellare, e le energie rimaste per il finale di partita pericolosamente misere.
Con questo clima se ne va un drappello di guastatori di lusso, uomini per tutte le stagioni accomunati da un motore clamoroso, Benoot (gregario di Vingegaard che ricordiamo soprattutto vincitore di una delle Strade Bianche più fangosa), il danese Cort killer delle tappe in tutti i grandi giri, dalla mezza montagna, ai muri, alla spiaggia di Viareggio, il rouleur lussemburghese Bob Jungels con una Liegi in palmarés, vinta in fuga ça va sans dire, e poi il francesino promettentissimo Romain Gregoire, qui ad imparare alla scuola di questi scafatissimi navy seals.
Ma dietro il gruppo ancora ribolle. Per fortuna di tutti, tranne che dei quattro davanti, arriva il traguardo volante, vince gli avanzi Girmay su Philipsen, un punticino in più accumulato, ma sostanzialmente un occasione in meno per il rivale belga.
Sullo slancio, si squarciano i cieli e scroscia un cataclisma di fuga da 50 atleti o giù di là, un terzo del gruppo praticamente. Per miracolo non c’è nessun vero uomo di classifica, ma sarà anche che ormai i “veri uomini di classifica” sono una dozzina, per non dire mezza dozzina, per non dire tre. Si rivedono tutti coloro che ci avevano provato e riprovato per quelle due lunghissime ore senza mai farcela, sia i fuggitivi che peraltro hanno provato e riprovato per così tante precedenti tappe, i Carapaz, i Mas, i Guillaume Martin, Simon Yates, De Plus, Aranburu, Mohoric… e poi, si vedono, gran novità alfieri di spessore di Visma e UAE a tagliare la scacchiera avvantaggiandosi “in diagonale”, Soler e Sivakov a coprire Pogacar, mentre Van Aert e Laporte si assomano a Benoot per costituire un’avanguardia di assoluto lusso per Vingegaard.
Mosse e contromosse, basta la reciproca copertura in questa guerra di dissuasione per calmare il gruppone, anzi il gruppetto o quel che resta del gruppo. Così quando arrivano le salite il vantaggio dei fuggitivi è già di sei, sette, otto minuti e può prender corpo la gara nella gara. Non senza, come vedremo, qualche incrocio di linee temporali.
Dopo qualche schermaglia sulla prima e più facile salita, sul Col de Noyer, teatro di una crisi tremendissima di Merckx provocata da Ocaña, oggi è Simon Yates ad accendere le polveri, saltando a velocità doppia i quattro evasi della prima ora, a cui si erano aggiunti un altro paio di cagnacci come Madouas e G. Martin. Dietro però di cagnacci ne arrivano un altro bel paio: Carapaz, mai scoraggiato dal suo laborioso indaffararsi senza costrutto nelle battagliatissime tappe di montagna vissute fin qui, scortato dall’inglese Williams, sorpresa di stagione nel gelo della Freccia Vallone. Le carte si rimescolano e sulle rampe finali durissime e dense di pubblico abbiamo un duello, restano soli Yates, composto come un ufficiale inglese, e Carapaz, ringhiante, col coltello fra i denti. Due re del fuorisella, l’uno ritmico, l’altro rabbioso, il primo però fiammeggiante, il secondo martellante. In una giornata così, chi la dura la vince. E stavolta la tappa è del duro Carapaz. Consolazione parziale di non poter difendere l’oro olimpico a Parigi, l’Ecuador ha un solo posto e sarà per scelta tecnica riservato a Narváez (che infilò Pogi nella prima tappa del Giro, dici niente). Con oggi Richard completa la trilogia, ha vinto tappe in ciascun Grande Giro, oltre ad aver raggiunto almeno il podio in tutti e tre (al Giro pure una vittoria finale con due scalpi di lusso come Nibali e Roglic). Probabilmente dietro a Roglic è lui il più grande e il più solido fra i corridori d’interregno, con l’umiltà di saper scegliere traguardi adatti a ogni stagione del ciclismo che si trova attorno, e di lottare sempre per essi con la massima grinta. Doveva proprio arrivare, questa tappa del Tour, remunerazione karmica minima dopo che decise di concedere al gregario Kwiatkowski quella in cui arrivarono assieme dopo una fuga a due leggendaria, quando entrambi correvano in INEOS, e quando lui, Richard, di tappe al Tour non ne aveva ancora vinte. Poi Yates, altro protagonista degli anni di mezzo, e poi Mas, comprimario di lusso, scalatore sopraffino ma sempre in cerca di un qualcosa in più.
E dietro? Dietro ci prova Ciccone, per riassettare la parte bassa della top ten, ma a Pogi non va. Niente contro Ciccone, è solo che evidentemente la maglia gialla con tutti quei Visma davanti vuole evitare che si scuota troppo il vespaio. Il ritmo sale, la pressione pure, la strada anche e in un momento il gruppo conta undici unità. Gli undici uomini che lottano per la top ten finale. Aria tesa, aria di guai, e allora sul muro più aspro in cima al Noyer, è Pogi stesso ad allungare forte… “a sgranchire le gambe”, avrà a dichiarare. L’arrivo è dietro l’angolo, due km all’insù, discesa ondulata, lungo falsopiano finale. Ma ce n’è di che lottare alla morte, perché Vingegaard va in affanno ed è invece Evenepoel ad apparire più convinto. Tornano utilissimi, fondamentali, cruciali gli uomini Visma avvantaggiatisi in precedenza, tutti quanti, Benoot, Van Aert, Laporte, perché Remco è scatenato e seppur in discesa, trattandosi di un tracciato poco tecnico ma semmai rettilineo e di forza, lancia al massimo dei giri la propria pazzesca cilindrata. Pogacar non prende il largo, anzi è presto ripreso, Vingegaard è riportato sotto dai propri scherani. Stallo. La maglia gialla impalpabilmente scivola dall’azione all’inazione: anche questo un atto di guerra, di guerra tattica. E Remco riapre il gas, supportato anche da un Hirt mimetizzato fin lì fra gli avventurieri della maxifuga. Pogi non reagisce, siede sereno a ruota, tocca ai Visma: Vingegaard è ben protetto ma il supporto scema, mentre lui annaspa in un crescente affanno. Ed Evenepoel strappa sul traguardo una manciata di secondi, un niente, dodici su Vingegaard, ma sono dodici gocce di sangue. La promessa di una ferita aperta da cui farne sgorgare ancora. Evenepoel, mastino, indomito, incurante di numeri, distacchi e dati. Infine, sul traguardo, esce, letteralmente “esce”, il Pogacar che non piace, il Pogacar feroce, quello che ha aspettato l’ultimo momento per scattare in faccia al rivale danese e lasciarlo secco. Due. Secondi. Senza nemmeno gli abbuoni da disputare. Solo la cattiveria, la botta morale, lo schiaffone immorale. Esce il veleno di sconfitte incassate col sorriso, ma evidentemente non certo con bonomia. Il veleno sorbito quest’anno con le dichiarazioni fuorvianti di Vingegaard e del suo team, in una campagna di disinformazione e pretattica degna di un’autentica campagna militare. Il veleno, forse, di un timore non del tutto sopito, il timore della sconfitta imprevedibile, impensabile, fuori parametro… lo spettro della crono di Combloux. À la guerre comme a la guerre?

Gabriele Bugada

Carapaz si impone in solitaria a SuperDévoluy (Dario Belingheri/Getty Images)

Carapaz si impone in solitaria a SuperDévoluy (Dario Belingheri/Getty Images)

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