VALVERDE STORY – CAPITOLO 4: RITORNO ALLA LIEGI
Dopo la strepitosa ma non inattesa doppietta del 2006, quando lo scalatore spagnolo aveva fatto sue Freccia Vallone e Liegi, la stella di Valverde sembra appannarsi. Nel 2007 avevo nuovamente messo le due classiche belghe nel mirino e anche in questa occasione farà doppietta, ma stavolta sarà in negativo, perché in entrambe si dovrà accontentare del secondo piazzamento, preceduto da Davide Rebellin alla Freccia e di Danilo Di Luca alla “Doyenne”. Per rivedere lo spagnolo raggiante al traguardo bisognerà attendere dodici mesi, quando il 27 aprile 2008 si “vendicherà” del corridore veneto precedendo in volata alla Liegi, dopo che alla Freccia aveva collezionato solo un deludente ventunesimo posto a quasi mezzo minuto dal vincitore, il lussemburghese Kim Kirchen
LIEGI-BASTOGNE-LIEGI: VALVERDE SI RIPETE, DOMA LA DOYENNE E TORNA GRANDISSIMO
Nel momento peggiore della sua carriera, Alejandro Valverde estrae il coniglio dal cilindro e fa sua la 94esima edizione della Liegi-Bastogne-Liegi regolando allo sprint gli eterni piazzati Rebellin e Frank Schleck. Decisiva la nuova salita, la Cote de la Roche aux Faucons, sulla quale è scattato Andy Schleck che ha spianato la strada al fratello maggiore, cui si sono prontamente accodati il veneto ed il murciano. Lo sprint senza storia ha premiato il portacolori della Caisse d’Epargne che torna ad imporsi in una grande classica a due anni dall’ultimo trionfo.
Alejandro Valverde attende, annusa l’aria, scannerizza gli avversari. Stavolta, la Liegi – Bastogne – Liegi è dura, molto più dura rispetto a due anni fa, quando – stessa storia, stesso posto, stesso bar – era bastato farsi portare in carrozza dagli indecisi avversari fino al rettilineo di Ans, sede dell’arrivo della Decana delle corse, venuta al mondo nel lontano 1894. Cambia il percorso, si inasprisce l’altimetria con una salita nuova, la Cote de la Roche aux Faucons, alla cui sola vista l’acido lattico inonda i polpacci. La corsa reclama una gestione diversa: correre al coperto, mettere alla frusta la squadra, salvare la gamba ad ogni occasione, anche a costo di restare un pelo staccati.
Franck Schleck si conosce, medita e trattiene i compagni. Quando il gruppo, a circa 90km da Liegi, approcciava il primo trittico del terrore – le cotes di Wanne, Stockeu e Haute Levée – le squadre più ansiose di dare il primo, vigoso colpo di cesello ai pretendenti entravano in azione: Lotto per Evans, Caisse d’Epargne per Valverde e AG2R per non si sa chi (Nocentini? Desaparecido). Mancava la CSC, la tattica veniva alla scoperta, rifiutando l’ormai consueto palinsesto con gli uomini di Bearne Riis in testa a condurre le danze per indurire le gambe dei rivali, quel tanto da permettere al capitano Schleck, battuto in volata, di spiccare il volo. Dopo le sfinenti ma sterili fughe all’Amstel e alla Freccia, la posta in gioco era troppo alta: meglio dare un colpo deciso con un gregario di classe nelle fasi cruciali.
Davide Rebellin controlla, gestisce e manovra le celesti marionette della Gerolsteiner come un esperto burattinaio. Folle portare Cunego e Valverde in volata e impensabile provare a fare saltare il banco da lontano su un percorso ignoto, l’unica pista da battere nel buio pesto tattico della Liegi è mandare in avanscoperta un compagno, su cui contare come punto d’appoggio. Assieme a Stubbe, Kopp, all’indiavolato Brutt e al promettente francesino Rolland (ultimo a cedere dopo la Redoute), viene spedito in fuga Markus Fothen, ex giovane di belle speranze tedesco, in attesa di rinforzi. Puntualmente in arrivo.
Alejandro Valverde annaspa, barcolla e insegue. A poco più di 30km dal traguardo, l’asfalto si impenna all’uscita di una curva: ecco la Redoute, ex mostro sacro della Liegi, declassata a semplice filtro di seconda mano. La pendenza, stabilmente in doppia cifra, sfiora il ventello e il murciano della Caisse d’Epargne comincia a vedere doppio. Che sia arrivato l’istante della capitolazione, non sul più bello come all’Amstel, non nel momento della verità come alla Freccia ma nel grigiore delle retrovie di un gruppo che sta ormai a cavalcioni di un vulcano quiescente? Valverde è talmente indietro che manco vede la testa del gruppo, ciondola ma si concentra sullo sforzo.
Frank Schleck è brillante, vispo ma guardingo. Sa che non è ancora scoccata l’ora dell’unico affondo decisivo di giornata. Osserva, sornione come Gatto Silvestro, quegl’impavidi che si sfiniscono di scatti e allunghi, di ripetuti canti del cigno, li lascia sfogare. Ecco un arcobaleno brillare nel cielo delle Ardenne, quello di Bettini che proprio sulla Redoute, costruì una vittoria, una carriera e, forse, una vita. Schleck scorge l’ira del campione del mondo di fronte alla mancanza di rispetto del gruppo di fannulloni a questa tremenda salita ma, a differenza del livornese, trattiene l’esuberante gamba. Mentre Soler, Lloyd ed Evans chiudono il buco, il lussemburghese si guarda intorno per cercare una sagoma amica e scorge la più cara ed impensata: quella del fratello. Andy Schleck è lì, nemmeno ultimo vagone del trenino dei migliori. Basta uno sguardo, il fratellino capisce le intenzioni del fratellone e scatta veemente sul falsopiano, lasciando basiti corridori, spettatori e commentatori con un’azione di forza e agilità insieme capace di dargli cento metri in un batter d’ali.
Anche Davide Rebellin stava annaspando, barcollando e inseguendo, lucido però abbastanza da capire la topicità della situazioni di corsa. Rientrato agevolmente sul rilassato gruppetto dei nove più pimpanti della Redoute, eccolo spronare un’altra marionetta del teatrino Gerolsteiner ad uscire allo scoperto: Stefan Schumacher, altra ex primadonna in cerca di se stesso, lanciato a tutta velocità all’inseguimento di Schleck junior. Che il tentativo di eversione sia appetitoso, Rebellin lo intuisce da subito: Pellizzotti ed Efimkin invano si dannano l’anima per cucire lo strappo sullo Sprimont e invano Bettini esegue il doloroso canto del cigno sulla salita che sei anni fa lo lanciò verso il bis nella Doyenne. Davanti, gli illustri comprimari vanno spediti: sarà dura recuperarli.
Davide Rebellin raccoglie le forze, punta il naso all’insù e sventra l’asfalto. È cominciata la nuova cote, la Rocca dei Falconi. Joaquin Rodriguez ha appena piazzato una delle sue accelerazioni da camoscio. Se il gregario di Valverde decolla, la Liegi è andata, dietro nessuno sarebbe più disposto a tirare. Il veneto ha la sua idea delle condizioni del compagno in fuga: Schumacher non è quello di un anno fa e nemmeno quello di Stoccarda, ma in fondo, Schumacher, chi lo conosce? Mentre, duecento metri avanti, Andy Schleck conferma i dubbi esistenziali su Schumacher, piantandolo in asso, Rebellin capisce che arrivata l’ora della vendemmia, di gettare la maschera e fare sul serio. Lo scatto fa male, il respiro dei rivali si fa affannoso.
Franck Schleck marca, si acquatta, collabora. La gamba risponde al meglio, conscia di essere una delle più esplosive di questa sinora scalognata Campagna del Nord. Il rapporto fluisce potente tra villette in festa a valle, un misterioso bosco a monte. I vari Rodriguez, Cunego, Evans, Pfannberger, Bettini si disputano come piccoli Lillipuziani la ruota del lussemburghese volante – a sua volta in scia di quel vecchiaccio del capitano della Gerolsteiner – ma le pendenze e i continui cambi di ritmo della nuova salita (scostante, irascibile e cocciuta) martoriano la resistenza degli ostinati partigiani. In cima allo strappo, il fratellino è raggiunto e gli avversari staccati, con il solo campione spagnolo a ostinarsi a non staccare la spina. Non è questione di tattiche, ma di gambe. Sta davanti chi ne ha di più.
Alejandro Valverde interroga le gambe, conta le stille di energia, si alza sui pedali. Non può il proprio gregario stare davanti nella corsa più dura del mondo; non può sfuggire ancora la Liegi, dopo averla vinta da padrone, persa da allocco e sognata ogni notte per dodici mesi; non si può salire in riserva e trovarsi di fianco a gente con la bocca aperta e la bava che cola: segno che i margini ci sono. Basta una zompata delle sue, di quelle che tradiscono la giornata di grazia, per riportarsi sul quartetto di testa. La corsa è chiusa. Due coppie e una sicurezza: per chi dietro si è gettato alla ricerca del tempo perduto, il sogno finisce a 20km da Ans, nonostante Rodriguez molli poco dopo il rientro veemente del proprio capitano.
Davide Rebellin ha grinta, gambe e fame. Non come nel 2004, quando, già Amstel e Freccia nel carniere, sfruttò lo stomaco vuoto di Boogerd per spremere l’olandese all’inseguimento del fuggitivo Vinokourov nel finale della Liegi, salvo poi infilzarlo in volata. Da quel giorno, però, il 37enne vento ha vinto solo sul muro di Huy. Comprensibile vederlo sfiatarsi all’inseguimento di Andy Schleck, asso nella manica calato dal pokerista Franck, scattato ancora una volta per stanare gli avversari del fratello e sancire il suo definitivo sbocciare come talento assoluto di questo sport.
Franck Schleck fiuta l’andazzo, scuote il capo, matura grandi propositi. Sa bene che il generoso scatto di Andy lascia il tempo che trova, si esaurirà da solo, è destinato all’inesorabile destino di infrangersi sul Saint Nicolas come una mareggiata sugli scogli. Lo sanno anche i due avversari che, più veloci di lui, si preparano al prevedibile assalto sull’ultima cote del 28enne lussemburghese. E, con puntualità svizzera forse appresa da Cancellara, Schleck si alza sui pedali appena il fratellino viene ripreso. Lo scatto vibrante e potente, energico e dissodante come un aratro nei campi, fa bruciare le gambe di Rebellin, scotta quelle di Valverde senza però sortire l’effetto desiderato: l’italiano e l’iberico restano incollati alla sua ruota. La corsa di Schleck è finita, le ultime energie sparite nel buco nero della lancinante fatica. Nonostante i rivali paventino ancora, nei cinque chilometri conclusivi, un pericoloso affondo, tanto da procedere ai dieci orari sulla salita verso Ans, la spia rossa, per Schleck è accesa da un pezzo.
Alejandro Valverde attende, annusa l’aria, scannerizza gli avversari. E vince. Incredulo al cospetto dell’afflosciarsi di Schleck, sicuro di potere infilzare Rebellin in una volata a due, si prende pure la briga di uscire in testa dalla curva finale e di partire per primo verso quella linea bianca troppe volte sfuggita nelle gare che contano. Spesso bastano le prime tre pedalate per capire, in uno sprint, chi vincerà. Per Valverde, neanche quelle: la corsa si era infatti decisa sulla Roche aux Faucons, quando, quasi con naturalezza, questo figlio della Spagna chiudeva il buco sugli scattanti. Troppo veloce, sorprendentemente furbo e scaltro, maledettamente adatto a questa corsa per potere essere scalzato da chi, come Rebellin, ha speso l’indicibile per fare sua, anch’egli, una seconda volta la Liegi, la Decana, la corsa di un giorno più dura, più estenuante. La più vecchia ma sempre la più bella.
Federico Petroni

Il ritorno alla vittoria di Valverde alla Liegi nel 2008, due anni dopo la doppietta con la Freccia Vallone (foto Bettini)