VALVERDE STORY – CAPITOLO 5: L’EMBATIDO SI VESTE DI GIALLO

novembre 28, 2022
Categoria: News

Valverde non è solo un cacciatore di classiche. Le sue doti di scalatore gli consentono di farsi valere anche nelle corse a tappe, come ha già dimostrato fin dal suo primo anno da professionista, il 2003, quando concluse la Vuelta al terzo posto in classifica dopo essersi imposti negli arrivi in quota dell’Envalira e della Sierra della Pandera. L’anno successivo è quarto nella corsa di casa, nel 2005 debutta al Tour e fa suo l’impegnativo arrivo di Courchevel prima di esser costretto al ritiro per problemi al ginocchio. Nel 2006 sfiora la vittoria alla Vuelta, secondo con poco più di un minuto di ritardo dal kazako Vinokurov; nel 2007 tenta nuovamente l’assalto al Tour ma non va oltre un secondo posto sul traguardo di Briançon. Il 2008 sembra l’anno giusto per portarsi nella sua Murcia la maglia gialla e si presenta al via del Tour condividendo i panni del grande favorito assieme all’australiano Cadel Evans, ma entrambi se ne troveranno a casa con le pive nel sacco, Valverde deluso dall’ottavo posto finale, Evans scornato d’aver perso il Tour per soli 58 secondi, preceduto a Parigi dallo spagnolo che non ti attendi, Carlos Sastre. Entrambi delusi, ma entrambi con la soddisfazione di averla vestita la maglia gialla, Evans per quasi una settimana tra Pirenei e Alpi, Valverde per quarantottore ad inizio Tour, dopo essersi imposto nella frazione d’apertura di Plumelec, il cui traguardo ricorda il vecchio finale di Ans della Liegi sul quale già due volte è stato vittorioso. Per una vittoria bisognerà attendere ancora dodici mesi, quando riuscirà finalmente a imporsi alla Vuelta.

ALEJANDRO VALVERE FUOCO LIQUIDO

Carpe Diem. Il detto latino ha ispirato Alejandro Valverde sull’arrivo della 1° tappa del Tour de France, al termine di una salita di 1700m al 6%. Incurante del risparmio di forze, il campione nazionale spagnolo ha rintuzzato l’attacco di Kirchen nei 200m finali, rifilando, in ottica classifica generale, 1″ a Evans e F. Schleck, 7″ a A. Schleck, Cunego e Menchov.

Parecchi lustri sono passati da che l’ouverture della Grande Boucle non dispiegò per un’ultima volta una melodia più lunga di una cronometro. Nel 1966, l’ultima tappa in linea di apertura, la Nancy – Charleville, vinta da Rudy Altig. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quell’anno, in cui successe di tutto: i Bealtes tennero l’ultimo concerto, la Francia uscì dalla NATO (che qui chiamano sciovinisticamente OTAN), l’Inghilterra vinse persino un mondiale di calcio. Dopo un dominio incontrastato di 42 anni il solitario prologo cede allo spettacolo di massa della Brest – Plumelec, 197,5km. Dici Brest, pensi Bretagna; pensi Bretagna e ti si schiudono due strade: terra di campioni o terra di tranelli. Dei 36 Tour vinti da francesi, 11 furono bretoni, tra i quali spiccano nomi leggendari come Hinault (5 vittorie), Bobet (3), Robic (1) e Petit-Breton (2, all’alba dei tempi), in rigoroso ordine cronologico retrogrado. Il sentiero alternativo ai Campi Elisi ciclistici segue una pista accidentata, battuta dal vento salmastro o intriso di fieno, mai pianeggiante ma mai collinare
Il Tour de France, sotto l’ammiraglio Preudhomme, cambia volto e lo fa con un incipit al singhiozzo: sia per le centinaia di strappi che danno vita ad un profilo altimetrico degno di una chiave sia per le lacrime versate da tanti, in una tappa di strettoie, cadute e nervi a fior di pelle. A terra, tra gli altri, Schleck Franck, Popovich e Soler. Il colombiano è il primo pezzo da novanta ad alzare bandiera bianca: a terra ai meno nove, dritto in una curva e tre minuti sul groppone. Touchè. La media dei 43 orari illustra uno svolgimento frenetico e mai domo, per rincorrere la prima sortita desesperada della 95° edizione della Grande Boucle. All’8°km si involavano infatti l’immancabile Voeckler, imitato da Ruben Perez, Arrieta, Le Quatre, Augè, Schroder e gli ultimi ad arrendersi, l’iberico David de la Fuente e il bretone Jégou, rintuzzati a 7km da Plumelec.

Il villaggio del dipartimento del Morbihan – solite case dal tetto d’ardesia e finestre truccate di mascara – ha una tradizione ciclistica da metropoli. Sulle rampe della salitella che reca al paese, infatti, si conclude una delle più importanti corse del circuito francese, il GP Plumelec. Tra le sue vie, fu sparato il colpo di pistola del Tour dell’85 con un prologo di 5km dominato dall’atleta di casa, Bernard Hinault che quell’edizione la vinse, imitando un altro gigante del pignone come Merckx, anch’egli prima maglia gialla nel vittorioso Tour del ‘74, con partenza proprio in Bretagna.

Il motivo di tutte queste parole in libertà? Sempre a Plumelec, un corridore dalle belle speranze intende con fermezza seguire il sentiero della gloria tracciato dai giganti di questo sport. Non è un campione ancora (aspettiamo prima di sputare sentenze) ma un Pollicino attento a spargere sassi invece di briciole. Alejandro Valverde vince la prima tappa del Tour. Il sogno struggente della maglia gialla è più forte dei tatticismi, della politica dei piccoli passi e della storia della formica. Se il murciano si rivelerà una gradassa cicala, sarà la strada a sentenziarlo. Per ora ci si limita a strabuzzare gli occhi di fronte al gesto atletico di uno dei più forti scattisti – esageriamo, il più forte – del movimento. Esaurito il cicaleccio di Schumacher, Kirchen provava il fendente a 500m dal traguardo, posto al termine di 1700m al 6%. Visto Ballan sfinirsi alla ruota del vincitore dell’ultima Freccia Vallone (e dunque in sintonia con tali arrivi), il suo successo pareva destino.

Basta però uno sventolio troppo audace per accendere la miccia di Valverde. Non era tenuto a sprintare, data la colpevole assenza di abbuoni. La fame e la gamba, seguite a ruota dalla testa, hanno spronato l’ora toro ora torero a sgasare negli ultimi 200m, con una fiammata capace di intossicare i vari Gilbert, Pineau e Kirchen. Il risultato non sorprende: i brevi strappi conclusivi sono il pane di Valverde, confermato da una recente e simile volata in quel di Privas, Giro del Delfinato. Bazzecole, per uno che ha vinto le ultime tre corse di peso cui ha partecipato (Liegi, Delfinato, campionato nazionale). Stupisce la modalità, l’esplosione di potenza dopo uno strappo preso di petto (eufemismo). La pazzesca velocità nel finale è testimoniata dalle tante bocche storte dei soli 47 atleti compatti all’arrivo. Freire, favorito della vigilia, ha chiuso in decima piazza. Per uno che alla Tirreno miete vittime anche sugli speroni di roccia, si tratterebbe di una delusione, quantunque l’ordine d’arrivo, nel quale figurano Evans (6°, attento) e Pozzato (7°, ingolfato) pare quello d’una Liegi.

Piccola digressione finale con tanto di consigli per gli acquisti a favore di Riccardo Riccò. Il Cobra modenese, notevole feeling con l’asfalto nel 2008, dopo una paurosa caduta al Giro per poco costatagli un dito, aveva dichiarato: “Farò come Pantani: sempre in fondo, salvo per vincere”. Oggi, è rimasto pericolosamente nelle retrovie, finendo attardato per lo spunto finale (valso comunque un promettente quinto posto). Al Tour de France il gioco non vale la candela: chi s’intruppa paga, nella corsa più nevrotica del circuito, dove le cadute sono all’ordine del giorno, dove il ritmo è forsennato, più del Giro, dove i percorsi sono accidentati e il vento frequente. Armstrong è rimasto attardato per cadute una volta sola: anche così si vince un Tour. Senza dar credito a petulanti isterismi, le forze si risparmiano “limando”, stando davanti, non esimendosi dalle vittorie. Riccò dovrebbe invece dare ascolto alle proprie gambe. La storia, i campioni del Tour, la fanno vincendo.

Federico Petroni

Valverde in maglia gialla al Tour del 2009 (foto Bettini)

Valverde in maglia gialla al Tour del 2009 (foto Bettini)

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