LA SANREMO TORNA A UNO SPRINTER, PHILIPSEN TRIONFA IN VIA ROMA

marzo 16, 2024 by Redazione  
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Battuto il record di velocità media di Bugno, la Sanremo è volata via ad oltre 46 di media, la fuga non ha mai avuto spazio e, nel finale, i tentativi di anticipare la volata, comunque ristretta, sono naufragati. Il vincitore uscente si è sacrificato per permettere all’uomo più adatto ad un finale del genere di giocare le proprie carte al meglio.

Sarebbe stata la prima volta per entrambi. Per i due grandi favororiti della vigilia. Per Pogacar una prima volta personale, la prima vittoria alla Classicissima; per Van der Poel, che la Sanremo l’ha vinta lo scorso anno, sarebbe stata la prima vittoria della Sanremo da parte di un corridore all’esordio stagionale, traguardo che anche quest’anno è rimasto ancora inviolato.
Pogacar ha provato due volte e la prima non ha sortito grandi effetti, nonostante abbia provato uno scatto violento, ma troppo era il controllo degli avversari e troppo breve era il tratto con una pendenza di un certo rilievo. Più efficace è stato il secondo allungo, avvenuto un po’ a sorpresa da dietro, con un Van der Poel che però è riuscito molto bene a chiudere il buco e ad accodarsi allo sloveno nella discesa.
La Sanremo, si sa, è difficilissima da interpretare, aperta a tantissimi scenari, vinta da corridori con le caratteristiche più diverse, da un velocista puro come Mario Cipollini ad uno scalatore specialista degli attacchi da lontano come Claudio Chiappucci.
Quest’anno purtroppo, con una decisione scellerata, la corsa non è partita dalla città di Milano bensì da Pavia, con una riduzione del chilometraggio.
Vegni si è giustificato accusando l’amministrazione di Milano di non aver particolare interesse ad una corsa, pur così importante, come la Classicissima e probabilmente ha ragione. Questa circostanza però deve far riflettere su una situazione in cui – nonostante si promuova una mobilità dolce, della quale la bicicletta è non solo l’antesignana, ma anche la protagonista e nonostante Milano voglia proporsi come città in prima linea in questa battaglia – l’amministrazione preferisce non dar fastidio agli automobilisti e allontanare la corsa dalla città che l’ha resa grande.
Come si diceva, le medie sono state molto alte e la fuga di 10 uomini (Davide Baldaccini, Valerio Conti e Kyrylo Tsarenko del Team Corratec – Vini Fantini, Sergio Samitier del Movistar Team, Romain Combaud del Team Dsm-Firmenich PostNL, Davide Bais, Mirco Maestri e Andrea Pietrobon del (Team Polti-Kometa), Alessandro Tonelli e Samuele Zoccarato del VF Group-Bardiani CSF- Faizanè) che ha caratterizzato la corsa non ha mai avuto un grande spazio, raggiungendo un vantaggio massimo di 3 minuti
C’è stata, invece, grande attenzione da parte dei più attesi protagonisti che, sin dai tre storici capi dell’Aurelia hanno controllato, cercando di rimanere nelle prime posizioni e mantenendo la squadra sugli scudi. In questa fase si staccano due grossi nomi del calibro di Alexander Kristoff (Uno-X Mobility) e Christophe Laporte (Team Visma)
Come era prevedibile, sulla Cipressa sono stati gli uomini della UAE ad imporre un ritmo in grado di assottigliare il gruppo, ma anche gli uomini della Ineos e della EF Education si sono dimostrati attivi. Diversi commentatori avevano previsto un tentativo di attacco di Tadej Pogacar (UAE) sulla Cipressa, attacco che non c’è stato.
Indubbiamente la Cipressa è molto più adatta rispetto al Poggio per provare a fare la differenza, però non si può non considerare che i chilometri da percorrere sull’Aurelia prima di andare a prendere il Poggio sono un suicidio sportivo se percorsi da soli ed anche lo stesso Poggio presenta pendenze che favoriscono l’inseguimento di un gruppo, con la sola eccezione del breve passaggio all’8%.
Il lavoro dei compagni di squadra del campione sloveno ha effettivamente assottigliato il gruppo, ma nei chilometri pianeggianti per andare a prendere il Poggio è rientrato un folto gruppo guidato da Jonathan Milan (Lidl – Trek), che poi è andato subito in testa al servizio del capitano Mads Pedersen. Nel frattempo lungo le rampe della Cipressa il gruppo di testa si è sgretolato e davanti sono rimasti solo Samitier, Maestri e Bais, con i primi due messi fuori gioco da una caduta nella successiva discesa. Bais non si è arreso e una volta ripreso dal gruppo è ripartito all’attacco, riuscendo a fare qualche chilometro allo scoperto.
Sul Poggio le prime squadre a condurre le operazioni sono Ineos e Lidl, ma è l’accelerazione di Tim Wellens (UAE) ad annunciare il primo vero attacco, quello di Pogacar. Lo scatto è violento ma non fa male sia perché a resistere sono in tanti, sia perché lo sloveno si è rialzato dopo aver visto che non era riuscito a fare il vuoto e che Mathieu Van der Poel (Alpecin – Deceuninck) non era interessato a dargli il cambio, si è rialzato.
Si è quindi formato un drappello di testa, con tutti i migliori: Pogacar, Van Der Poel, Alberto Bettiol (EF Education – EasyPost), Filippo Ganna (Ineos Grenadiers), Pedersen, Michael Matthews (Team Jayco-AlUla), Tom Pidcock (Ineos Grenadiers), Jasper Stuyven (Lidl-Trek), Matteo Sobrero (Bora-hansgrohe), Jasper Philipsen (Alpecin-Deceuninck), Julian Alaphilippe (Soudal-QuickStep) e Maxim Van Gils (Lotto Dstny).
Per il secondo attacco Pogacar decide di provare a sorprendere gli avversari e parte secco da dietro. Stavolta riesce a guadagnare qualche metro, ma Van der Poel è lesto a chiudere e gli si accoda in discesa. Philipsen è molto vicino e a quel punto, diviene lui il favorito per la vittoria, viste le sue doti di velocista.
Il campione del mondo, infatti, non collabora con lo sloveno, consentendo il rientro di diversi corridori, tra cui non solo Philipsen, ma anche Matej Mohoric (Bahrain – Victorious), che proprio alla fine della discesa parte secco. Ganna, invece, sembra pedalare bene, ma viene bloccato lungo la discesa da un incidente meccanico che gli fa perdere la scia dei migliori.
Mohoric prova l’azione da finisseur, ma gli avversari sono troppo vicini e Van der Poel chiude poco prima del triangolo rosso dell’ultimo chilometro. L’ultimo tentativo è di Sobrero, sulla cui ruota salta Pidcock che prova ad anticipare lo sprint.
Stavolta è Stuyven, vincitore nel 2021, a chiudere per lanciare lo sprint di Pedersen che però non è brillante. Sono Matthews e Philipsen che se la giocano al fotofinish con la vittoria del secondo, ma un ottimo Tadej Pogacar partecipa alla volata e coglie il terzo gradino del podio.
Nelle interviste del post gara, il capitano della UAE sembra molto contrariato, ma in realtà un terzo posto in uno sprint pure ristretto, ma popolato da uomini molto più veloci di lui, dimostra che, dopo 290 chilometri di gara, serve una brillantezza che in pochi riescono a conservare per disputare uno sprint all’altezza della situazione.
Stavolta il Poggio non ha fatto la differenza, ma un significativo ruolo nella vicenda lo ha avuto il campione del mondo. Decidendo giustamente di non collaborare con Pogacar, ha permesso il rientro del compagno di squadra velocista e di altri atleti che probabilmente non sarebbero rientrati in caso di una collaborazione per andare a tutta fino al traguardo.
In questo caso Van der Poel ha sacrificato una buona occasione perché, sulla carta, sarebbe arrivato avvantaggiato in una volata a due con Pogacar; tuttavia, come si diceva poc’anzi, in una volata dopo 290 km di corsa un corridore all’esordio stagionale potrebbe anche non avere il colpo di pedale adatto per affrontare un avversario che, sebbene meno veloce, è sempre tra i più temibili su ogni terreno.
La Classicissima non ha tradito le attese, il fascino intramontabile di questa corsa sta nella sua imprevedibilità, nella difficoltà di lettura per scegliere la strategia migliore, nello spettacolo offerto dal caos totale e convulso che il finale offre sempre. Una corsa sempre da gustare fino in fondo e che si spera tornerà presto a partire dalla sua naturale sede di partenza.

Benedetto Ciccarone

Philipsen vince allo sprint la Milano-Sanremo 2024 (Getty Images)

Philipsen vince allo sprint la Milano-Sanremo 2024 (Getty Images)

STELVIO ALL’ANGOLO, ATTENZIONE!!!

Gli organizzatori del Giro l’hanno messo in angolo, ma arrivare sino ai 2758 metri del Passo dello Stelvio non è mai una passeggiata. Anche se i “girini” dovranno affrontarlo a soli 34 Km dal via, i suoi 20 Km potrebbero rimanere nelle gambe e farsi sentire nel finale di gara, quando ci si dovrà arrampicare verso il Passo Pinei – la salita più chilometrica di questa edizione – e il successivo arrivo in quota in Val Gardena.

Verrebbe quasi da dire che lo Stelvio quest’anno gli organizzatori l’hanno messo in castigo, relegato in un angolo, e a vedere l’altimetria della seconda tappa alpina gli appassionati di percorsi più critici l’hanno marchiata come la frazione peggio disegnata del Giro 2024. Ma sarà davvero così? Anche se confinata a inizio tappa, a 50 Km dalla partenza e a 150 Km dall’arrivo, rimane pur sempre una salita di 20 Km al 7% che porterà i corridori fino a 2758 metri di quota e potrebbe rimanere nelle gambe al momento d’affrontare le due salite previste nel finale, soprattutto se qualcuno decidesse di aprire il gas magari già sul Pinei, che è la più lunga tra le salite inserite nel tracciato del Giro di quest’anno, anche se nel grafico altimetrico pare quasi sfigurare al confronto del più svettante Stelvio. Ecco così che al traguardo gardenese alcuni tra i favoriti potrebbero pagare un pesante dazio, di certo più salato di quel che lascerebbe intuire il tracciato.
E poi ci sarà da tenere in considerazione anche l’effetto boomerang indotto in alcuni dal giorno di riposo, che da un lato permette di rifiatare e ricaricare le “pile” e dall’altro si ritorce contro quei corridori che lo subiscono, perché c’è chi soffre questa sosta e il successivo momento nel quale ci si deve rimettere in sella, ritrovando a fatica il ritmo di gara spezzato da queste soste. Per questi corridori i danni rischiano di essere maggiori se si riparte proprio con una tappa d’alta montagna e ci sono diversi precedenti che mettono loro i “brividi”, come quello della debacle di Bugno e Chiappucci al Tour del 1993: erano al via della corsa francese inseriti nel novero dei grandi favoriti – il primo con indosso per il secondo anno consecutivo la maglia iridata, il secondo autore dodici mesi prima della fantastica impresa nel tappone del Sestiere – ma entrambi crollarono di schianto nella prima nella prima frazione alpina, disputata all’indomani del riposo, che prevedeva i mitici colli del Glandon e del Galibier e che li vide tagliare il traguardo di Serre Chevalier con un ritardo di quasi 10 minuti.
Tra l’altro in questa tappa non ci saranno da scavalcare solo lo Stelvio e le due salite finali perché in partenza bisognerà tornare ai 2210 metri del Passo d’Eira, 4.7 Km al 6.3% scavalcati i quali i “girini” saranno a Trepalle, il secondo centro abitato più elevato della catena alpina dopo il borgo elvetico di Juf, nel quale alla fine degli anni ’40 risiedeva Don Alessandro Parenti, energico parroco che ispirò a Giovanni Guareschi la figura di Don Camillo, il protagonista dei quattro romanzi che lo scrittore emiliano pubblicò tra il 1948 e il 1969 e che furono “tradotti” in cinque celebri film. Superata anche la cima del vicino Passo del Foscagno (4 Km al 6.5%) la corsa uscirà dai confini della zona franca di Livigno per planare verso Valdidentro, comune nel cui territorio ricadono le sorgenti del Fiume Adda e i due laghi artificiali di Cancano, costruiti tra il 1928 e il 1950 e in tempi recenti scoperti dal grande ciclismo grazie all’arrivo di una tappa del Giro d’Italia del 2020 e l’anno precedente di una frazione della Corsa Rosa riservata alle donne, vinte rispettivamente dall’australiano Jai Hindley e dall’olandese Annemiek van Vleuten.
Giunti alle porte di Bormio il gruppo volgerà le ruote in direzione dello Stelvio, che sarà così affrontato dal versante meno impegnativo percorrendo i tornanti della Spondalunga “disegnati” da Carlo Donegani, l’ingegnere bresciano al quale Francesco II d’Asburgo affidò nel 1818 l’incarico di rendere carrozzabile la vecchia mulattiera che raggiungeva il passo più alto d’Italia. In discesa si percorrerà il versante più celebre, consacrato il primo giugno del 1953 da una delle più mitiche imprese di Fausto Coppi che, nell’anno del debutto dello Stelvio nel percorso del Giro, riuscì a ribaltare a suo favore un’edizione della corsa che per lui sembrava compromessa e detronizzare l’elvetico Hugo Koblet, che alla partenza da Bolzano vestiva la maglia rosa con quasi 2 minuti di vantaggio sul “Campionissimo”. Percorsa la parte più “spigolosa” della discesa, che prevede ben 45 tornanti, i corridori saranno sulle strade di Trafoi, paese natale di Gustav Thöni – uno tra i più forti sciatori italiani della storia – e meta di pellegrinaggi diretti al santuario delle Tre Fontane Sacre, uno dei più antichi dell’Alto Adige, costruito nel 1229 in luogo ritenuto sacro fin dall’epoca dei druidi, che qui svolgevano la cerimonia del passaggio delle consegne ai novizi.
Terminata la discesa inizierà una lunga fase totalmente priva di ostacoli, quasi 90 Km tra pianura e leggere planate percorrendo la Val Venosta, dove il corso del fiume Adige farà da compagno di viaggio dei corridori. Il primo centro della valle toccato dalla corsa sarà Lasa, conosciuto per l’estrazione di una varietà di marmo piuttosto duro e resistente alle intemperie e le cui cave sono accessibili al pubblico in occasione d’interessanti visite guidate. Un primo scalino in discesa precederà il passaggio da Silandro, il capoluogo della valle presso il quale si erge il rinascimentale Schlandersburg, castello seicentesco che oggi accoglie la biblioteca comunale. Decisamente più famoso è il maniero ai cui piedi si transiterà una ventina di chilometri più avanti quando, all’altezza dell’imbocco della Val Senales – fino a qualche anno meta conosciuta tra gli amanti dello sci estivo, praticato fin quando le condizioni lo consentivano sul ghiacciaio del Giogo Alto – si costeggerà la rupe sulla quale si staglia Castel Juval, divenuto una vera e celebrità della valle da quando nel 1983 l’alpinista Reinhold Messner, originario di Bressanone, l’ha acquistato per farne la sua residenza estiva e la prima delle sei sedi del suo personale museo delle montagne (in questa sono esposti in particolare dipinti e cimeli di antichi popoli per i quali la montagna era considerata al pari di una divinità).
Un secondo e ultimo tratto in discesa s’incontrerà in corrispondenza della gola di Tell, all’uscita dalla quale un tempo il transito dei viandanti era sorvegliato da Castel Foresta, oggi abitato dai proprietari del vicino birrificio Forst, uno dei più noti d’Italia, fondato nel 1857. Giunti alle porte di Merano, i “girini” bypasseranno il capoluogo del cosiddetto Burgraviato seguendo la strada che li condurrà a Lana, località di villeggiatura situata all’imbocco della Val d’Ultimo e presso il quale si trova il Palazzo dell’Ordine Teutonico, la cui biblioteca accoglie gli oltre 60000 volumi raccolto nei secoli da questo istituto ospedaliero, fondato nel 1190 in Terra Santa da mercanti originari di Lubecca e Brema con il nome di “Fratelli della Casa Tedesca della Santa Maria di Gerusalemme” e successivamente stabilitosi a Bolzano, dove ancora oggi opera nel campo dell’assistenza agli anziani e agli studenti universitari.
Superato il corso dell’Adige si proseguirà lungo la sponda orientale del fiume in direzione di Bolzano, dove il gruppo lambirà il centro storico del capoluogo del Sud Tirolo, transitando a due passi dal duomo intitolato all’Assunta, edificio gotico le cui lontane origini paleocristiane furono riscoperte grazie ai lavori di restauro iniziati nel 1948 e resi necessari dai bombardamenti alleati di quattro anni prima, lavori che permisero di riportare alla luce le fondamenta di tre preesistenti chiese. Imboccata la valle dell’Isarco si dovranno percorrere ancora circa 8-9 Km di strada facile prima di salutare la pianura e imboccare l’interminabile ascesa verso il Passo di Pinei. Come dicevamo sarà la più lunga tra quelle inserite nel tracciato del Giro 2024, anche se il numero della sua pendenza complessiva – che risulta del 4.7% su quasi 24 Km – può non suscitare particolari timori. In realtà è molto più dura del previsto per via del suo andamento a “corrente alternata” e, se qualche corridore volesse provarci fin dall’inizio, potrebbe trovare terreno fertile per un attacco fruttuoso nei 7 Km iniziali al 7.3%, al termine dei quali i corridori raggiungeranno il panoramico altopiano dello Sciliar, frequentato per particolari cure termali nelle quali non si utilizza il potere terapeutico di acque e fanghi, bensì del fieno, nel quale immergersi per stimolare il sistema immunitario e per risolvere nevralgie, reumatismi, tensioni muscolari e stress. L’attraversamento dell’altopiano coinciderà con la fase intermedia della salita, che prenderà un aspetto pianeggiante per 6 Km fino allo strappo di 2.6 Km al 5% che termina in corrispondenza del bivio per l’Alpe di Siusi e che è seguito da una breve discesa e da ultimo tatto in quota. Attraversata Castelrotto – il comune più popoloso dell’area dolomitica (quasi 7000 abitanti) presso il quale si possono ammirare le facciate affrescate della liberty Villa Felseck, dal 1983 inserita nell’elenco dei monumenti storici – si giungerà ai piedi dell’ultima parte della salita, che in 5.5 Km al 7.2% raggiunge i 1442 metri del Passo Pinei, porta d’accesso secondaria alla Val Gardena, verso la quale si pedalerà affrontando una discesa di 4.2 Km al 6.8%. Non ci sarà il tempo per rifiatare perché subito si riprendere a salire, inizialmente senza incontrare grandi difficoltà perché l’ascesa – 7.6 Km al 6.1% – è di quelle che si possono definire “double face”, con una prima parte tenera e una seconda decisamente più “cattiva”. Quasi pianeggiante sarà l’attraversamento di Ortisei, località conosciuta non soltanto come meta di villeggiatura ma anche per le botteghe artigiane nelle quali si realizzano sculture in legno, poi le inclinazioni prendono lentamente a lievitare percorrendo la statale verso l’alta valle, dove si trova la celebre stazione di sport invernali di Selva di Val Gardena, che non sarà però raggiunta dal percorso di gara. Si lascerà, infatti, la statale di fondovalle una volta giunti nel centro di Santa Cristina, presso la quale si trova il rinascimentale Castel Gardena, maniero oggi di proprietà della nobile famiglia tra i cui esponenti c’è l’ancora vivente baronessa Afdera Franchetti, principalmente conosciuta per esser stata una vera e propria “regina del jet set”, quarta moglie dell’attore statunitense Henry Fonda. Con il cambio di scenario a mutare sarà anche la musica perché si andranno ad imboccare gli ultimi 2000 metri verso l’altopiano del Monte Pana, nei quali le pendenze torneranno a mordere, con la media che schizzerò ben al di sopra del 10%: e tra quei famelici denti potrebbe esserci ancora un canino del lontano Stelvio….

Mauro Facoltosi

Vista di Santa Cristina Valgardena e l’altimetria della sedicesima tappa (www.outdooractive.com)

Vista di Santa Cristina Valgardena e l’altimetria della sedicesima tappa (www.outdooractive.com)

I VALICHI DELLA TAPPA

Passo Eira (2208 metri). Quotato 2210 metri sulle cartine del Giro 2024, è valicato dalla Strada Statale 301 “del Foscagno” tra Livigno e Trepalle. Il Giro d’Italia finora vi è transitato quattro volte, la prima nel finale della tappa Parabiago – Livigno del 1972, vinta da Eddy Merckx, che vide il grande rivale del belga in quell’edizione, lo spagnolo José Manuel Fuente, transitare in testa sull’Eira. Non ci fu GPM in vetta al passo, invece, nel finale della Egna – Livigno del 2005, vinta da colombiano Iván Parra. L’ultimo passaggio ufficiale risale al 2010, quando l’australiano Matthew Lloyd conquistò questa vetta durante la tappa Bormio – Ponte di Legno / Passo del Tonale del Giro del 2010, vinta dall’elvetico Johann Tschopp. Poche ore prima, infine, vi è transitata la tappa di Livigno durante l’ascesa finale al Mottolino.

Passo di Foscagno (2291 metri). Quotato 2281 metri sulle cartine del Giro 2024 è valicato dalla Strada Statale 301 “del Foscagno” fra Trepalle e Valdidentro e funge da spartiacque tra il bacino del Po (Adda) e del Danubio (Inn). In occasione delle pocanzi citate tappe del Giro d’Italia a transitare per primi in vetta al passo sono stati Fuente, Parra e il frusinate Stefano Pirazzi.

Passo dello Stelvio (2758 metri). Valicato dalla Strada Statale 38 “del Passo Stelvio” tra Bormio e Trafoi, costituisce il punto più elevato della rete stradale italiana. Nella speciale classifica dei valichi carrozzabili più alti d’Italia precede di una manciata di metri il franco-piemontese Colle dell’Agnello (2748m) mentre estendendo la lista anche ai valichi ciclabili su sterrato scende all’ottavo posto (il record è detenuto dai 3000 metri del Colle Sommeiller Est, situato in Piemonte, nei pressi di Bardonecchia). Lo Stelvio è stato regolarmente affrontato tredici volte al Giro, mentre in cinque occasioni (1967, 1984, 1988, 1991 e 2013) la corsa è stata respinta dalla neve. Storica la prima scalata, nella tappa Bolzano – Bormio, che consentì a Fausto Coppi, primo in vetta e al traguardo, di imporsi nel suo quinto e ultimo Giro d’Italia (1953). Gli altri corridori a tagliare in testa lo Stelvio sono stati: Aurelio Del Rio nel 1956 (Sondrio – Merano, vinta da Cleto Maule); il lussemburghese Charly Gaul nella Trento – Bormio del 1961 (da lui vinta); Graziano Battistini che nel 1965 si impose proprio sul passo, dove si decise di stabilire un traguardo d’emergenza perché la neve non permise di completare la Campodolcino – Solda; gli spagnoli José Manuel Fuente nel 1972 (tappa Livigno – Passo dello Stelvio) e Francisco Galdós nella storica tappa conclusiva del Giro del 1975 (Alleghe – Passo dello Stelvio), con il duello tra il corridore iberico e la maglia rosa Fausto Bertoglio; il francese Jean-René Bernaudeau nella Cles – Sondrio del 1980, che poi vinse davanti al capitano Bernard Hinault; Franco Vona nella non meno storica Merano – Aprica del 1994, la tappa che lanciò Marco Pantani nell’olimpo dei grandi; il colombiano Josè Rujano durante la Egna – Livigno del 2005, vinta dal connazionale Iván Ramiro Parra Pinto; il belga Thomas De Gendt al termine della tappa Caldes – Passo dello Stelvio dell’edizione 2012; Dario Cataldo nel corso della tappa Ponte di Legno – Val Martello del 2014, vinta dal colombiano Nairo Quintana; lo spagnolo Mikel Landa nel 2017, durante la Rovetta – Bormio, che fu l’unica tappa di quell’edizione vinta da un italiano (Vincenzo Nibali) mentre l’ultimo corridore ad aver avuto l’onore di inserire lo Stelvio nel suo palmares è stato l’australiano Rohan Dennis nel 2020, quando la mitica salita fu affrontata nel finale della tappa che da Pinzolo conduceva ai Laghi di Cancano, vinta dal britannico Tao Geoghegan Hart. Nel 2010 vi si è conclusa, prima volta nella storia, anche una tappa del Giro Donne, conquistata dalla statunitense Mara Abbott, che si è imposta anche nella classifica finale.

Sella di Fiè allo Sciliar (859 metri). Vi sorge l’omonimo abitato. Il Giro d’Italia vi è transitato l’ultima volta nel 2000, durante la tappa Selva di Val Gardena – Bormio vinta dal trentino Gilberto Simoni.

Sella di Telfen (1090 metri). Si trova nei pressi dell’omonima località ed è attraversata dalla Strada Provinciale 24 tra Siusi e Castelrotto, all’altezza del bivio per l’Alpe di Siusi. Il Giro vi è transitato l’ultima volta nel 2017, durante la tappa Moena – Ortisei (vedi sotto).

Passo di Pinei (1442 metri). Quotato 1437 metri sulle cartine del Giro 2024, è chiamato anche Panider Sattel ed è valicato dalla Strada Provinciale 64 tra Castelrotto e Ortisei. Il Giro l’ha affrontato tre volte come GPM, la prima nel 1991 subito dopo la partenza della tappa Selva di Val Gardena – Passo Pordoi (vinta da Franco Chioccioli), quando questo traguardo della montagna fu conquistato dal corridore basco Iñaki Gastón. Nel 1997 vi si salì dallo stesso versante di questa (imboccandolo, però, già in quota) nel corso della tappa Predazzo – Falzes (vinta dallo spagnolo José Luis Rubiera), quando a transitare per primo in vetta fu il colombiano José Jaime “Chepe” González. L’ultimo a lasciare la firma sul Pinei è stato lo spagnolo Mikel Landa nel 2017, nel finale della citata tappa Moena – Ortisei). Vi si salì anche nel 2000, pochi chilometri dopo la partenza della Selva di Val Gardena – Bormio, tappa pure pocanzi menzionata, ma in quell’occasione il passaggio non fu considerato valido per la classifica degli scalatori.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Nel dicembre del 2022 ci ha lasciato uno dei grandi del cinema italiano, Lando Buzzanca. L’attore siciliano, noto in particolare per il film del 1971 “Il merlo maschio” (un titolo che per lui divenne negli anni quasi un inscindibile soprannome), debuttò nel 1953 nel colossal “Ben Hur”, dove interpretò non accreditato un ruolo marginale (uno schiavo nel deserto) e fino al 2019 ha girato qualcosa come 113 film, conteggiando anche serie concepite per la televisione come “Il restauratore”, della quale furono prodotte due stagioni. La sua carriera l’ha portato in giro per l’Italia e non solo (per “Il pupazzo” emigrerà fin nel lontano Messico) e tra i luoghi che ha avuto l’occasione di calcare ci fu anche la Val Venosta, che i partecipanti al Giro percorreranno tra lo Stelvio e la Val Gardena. L’anno fu il 1975, quando il regista romano Lucio Fulci lo scelse per il ruolo del protagonista del film “Il cav. Costante Nicosia demoniaco, ovvero: Dracula in Brianza”, pellicola della quale lo stesso Fulci aveva scritto la sceneggiatura, ispirato dal successo ottenuto l’anno precedente da Mel Brooks con il celebre “Frankenstein Junior“. Buzzanca interpretò ovviamente il cavalier Nicosia, superstizioso industriale brianzolo che durante un viaggio d’affari in Romania conoscerà nientemeno che il conte Dracula, che qui si chiama Dragulescu ed è interpretato dal britannico John Steiner. Il conte finirà per azzannare al collo il Nicosia, che suo malgrado si ritroverà vampirizzato e assetato di sangue, al punto da iniziare una serie di tragicomiche avventure che lo porteranno dal truffaldino Mago di Noto (è l’indimenticato Cicco Ingrassia), convinto che si tratti di una maledizione scagliatagli da una zia, e poi da un “collo” all’altro, sempre alla ricerca di quel sangue che poi gli darà l’idea di istituire in azienda un’emoteca per averne sempre a disposizione. Nonostante il titolo, il film non fu per nulla girato in Brianza pur trovarsi in Lombardia quasi tutte le location che si vedono nella pellicola, la principale delle quali è ovviamente la fabbrica di dentrifici del Nicosia, in realtà la nota azienda cosmetica Avon di Olgiate Comasco. Per quanto riguarda le scene ambientate presso il castello di Dracula si preferì, invece, risparmiare sulla trasferta fino in Romania, scegliendo di girate in teatri di posa romani le scene in interni, mentre per gli esterni si optò sull’altoatesino Castel Juval, che all’epoca ancora non era stato acquistato da Reinhold Messner.

In collaborazione con www.davinotti.com

Castel Juval inquadrato nel film ”Il cav. Costante Nicosia demoniaco, ovvero: Dracula in Brianza“ (www.davinotti.com)

Castel Juval inquadrato nel film ”Il cav. Costante Nicosia demoniaco, ovvero: Dracula in Brianza“ (www.davinotti.com)

Le altre location del film citato

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-cav-costante-nicosia-demoniaco-ovvero-dracula-in-brianza/50001343

FOTOGALLERY

Trepalle, Chiesa di Sant’Anna

Valdidentro, sorgenti del fiume Adda

Valdidentro, Laghi di Cancano

Passo dello Stelvio, tornanti della Spondalunga

Trafoi, santuario delle Tre Fontane Sacre

Lasa, turisti in visita alla Cava di Acqua Bianca

Silandro, Schlandersburg

Castel Juval

Foresta, Castel Foresta

Lana, Palazzo dell’Ordine Teutonico

Bolzano, duomo dell’Assunta

Castelrotto, Villa Felseck

L’altipiano dello Sciliar visto dalla salita di Passo di Pinei

Santa Cristina Valgardena, Castel Gardena

UN TAPPONE CON VISTA OLIMPICA

Dopo aver a lungo peregrinato sulla catena appenninica il Giro fa ritorno sulle Alpi, già visitate in partenza con la capatina al santuario di Oropa. Ora è arrivato il momento del primo dei due tapponi alpini, quello con il quale la Corsa Rosa tirerà una volata lunghissima alle Olimpiadi Invernali del 2026. Due anni prima dell’evento Livigno, che ospiterà le gare dello snowboard e del freestyle, sarà la sede d’arrivo della tappa dotata del maggior numero di metri di dislivello, più di 5400: il clou sarà concentrato negli ultimi 56 Km, nei quali si dovranno affrontare l’interminabile ascesa alla Forcola di Livigno e poi quella finale verso le piste del Mottolino.

Nel 2026 Milano e Cortina ospiteranno le Olimpiadi Invernali e il Giro d’Italia non si farà trova impreparato all’evento. Era già successo nel 2005, quando la Corsa Rosa fece da volano alla rassegna a cinque cerchi che l’anno successivo si sarebbe tenuta in Piemonte proponendo due arrivi di tappa nelle località assegnatarie, Torino e Sestriere. Molto probabilmente qualcosa di simile accadrà l’anno prossimo, quando il Giro potrebbe – ancora nulla è stato annunciato al proposito – inserire nel percorso alcune delle località che ospiteranno le gare olimpiche, poiché oltre al capoluogo lombardo e alla “Perla delle Dolomiti” saranno coinvolti anche altri centri. Le medaglie saranno, infatti, assegnate anche a Tesero, Predazzo, Rasun-Anterselva, Rho, Assago, Bormio e Livigno: quest’ultima ospiterà un “anticipo” in rosa del grande evento accogliendo l’arrivo del primo tappone alpino del Giro d’Italia 2024, nel complesso non il più duro ma certamente quello maggiormente dotato di metri di dislivello, perché pedalando dalle sponde del Garda verso l’Alta Valtellina se dovranno superare più di 5400, distribuiti tra cinque salite, sulle quali spicca quella che condurrà ai 2313 metri della Forcola di Livigno. I dati riportati sull’altimetria ufficiale parlano di 18 Km di salita, che ne fanno la quarta ascesa per lunghezza del tracciato del Giro 2024, preceduta da Monte Grappa (anche se solo per 200 metri), Stelvio, Rolle e Pinei. In realtà le cose non stanno proprio così perché nel computo della distanza non è stata considerata la parte iniziale della salita elvetica, che la porta a misurare nella realtà quasi 25 Km e mezzo, superando di oltre un chilometro il “record” del Pinei.
Si partirà da Manerba del Garda, la località del Benaco divenuta celebre in tempi recenti a causa della siccità che ha reso possibile l’accesso a piedi all’Isola di San Biagio, nota anche con il toponimo di “Isola dei Conigli”.
Raggiunta la vicina Salò ci si allontanerà dalle rive del lago per risalire la Val Sabbia e raggiungere Sabbio Chiese dove, all’ombra della rupe sulla quale nel 1527 l’originario castello fu trasformato nel Santuario della Madonna della Rocca, lo scorso anno prese il via il tappone diretto al Monte Bondone, vinto dal portoghese João Almeida. Raggiunta la vicina Casto, paese d’origine di Sonny Colbrelli, si andrà all’attacco della prima ascesa di giornata, quella di Lodrino (6.9 Km al 4.6%), scavalcata la quale si scenderà nella retrostante Val Trompia. Sul fondovalle di quest’ultima si pedalerà per poco più di 5 Km, toccando il centro di Tavernole sul Mella, dove il percorso andrà a sfiorare la medioevale Chiesa di San Filastrio e un antico forno fusorio recentemente restaurato e aperto al pubblico, testimonianza tra le più antiche della lavorazione del ferro, da secoli vero e proprio motore economico di questa valle. Questo breve tratto di falsopiano terminerà ai piedi del Colle di San Zeno, valico che viene inserito per la prima volta nel tracciato di una corsa ciclistica, con i corridori che vi saliranno dal versante meno impegnativo (13.8 Km al 6.6%), disegnato attraverso le frazioni del comune di Pezzaze, dove – parte a piedi e parte con un vecchio trenino decauville – è possibile visitare la miniera Marzoli, attiva nell’estrazione del ferro dal 1886 al 1978. Una vera e propria “picchiata” attenderà i corridori una volta giunti ai 1418 metri del Colle di San Zeno poiché nei successivi 16 Km si pedalerà costantemente lungo una discesa che presenta una pendenza media del 7.4%: è il più difficile tra i due versanti del colle, solo in parte inedito perché nella piccola località di sport invernali di Val Palot – dalla quale si transiterà 5 Km dopo lo scollinamento – sono terminate due tappe del Brixia Tour, corsa disputata per 11 stagioni tra il 2001 e il 2011: la prima la vinse nel 2004 lo scalatore messicano Julio Alberto Pérez Cuapio, mentre l’anno successivo ospitò l’arrivo di una cronoscalata vinta dal vicentino Emanuele Sella.
Terminata la discesa nella località di villeggiatura di Pisogne, affacciata sul Lago d’Iseo, inizierà un lungo tratto intermedio quasi del tutto privo di difficoltà altimetriche con il quale si risalirà la Val Camonica e che traghetterà la corsa verso le fasi decisive di questa tappa. All’inizio di questo tratto si toccherà la nota stazione termale di Boario, la cui storia è piuttosto recente se paragonata a quella di altre località simili perché si cominciarono a sfruttarne le acque alla fine del Settecento, mentre risale all’inizio del secolo scorso la costruzione del liberty Padiglione dell’Antica Fonte.
Poco più avanti s’incontrerà l’unica difficoltà altimetrica inserita in questa fase di risalita della valle, che tra le sponde del Sebino ed Edolo si protrae per quasi 60 Km: è lo strappo di 800 metri all’8% che si concluderà alle porte del centro di Breno, “cerniera” tra la bassa e la media valle, luogo da sempre strategico come ci ricordano i resti del soprastante castello, del quale sono giunte ai giorni nostri due torri, le mura di cinta e parte di una chiesetta intitolata a San Michele.
Risalendo la valle se ne toccherà una delle località più visitate, quella Capo di Ponte che attira turisti da tutto il mondo per il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, “griffato” UNESCO, ma che merita la sosta per ammirarvi anche l’antica la Pieve di San Siro e il Monastero di San Salvatore.
Dopo Edolo il Giro si volgerà verso una delle sue salite più celebri, quel Passo dell’Aprica che deve la sua fama ciclista alla vicinanza con il Mortirolo, abbinato al quale le tenere pendenze del versante camuno hanno spesso portato a una lievitazione dei distacchi. Quest’anno non si sarà il temuto confronto con la mostruosa salita valtellinese, mentre si percorrerà una variante alla tradizionale strada, che prevede di affrontare proprio all’inizio il muro di Santicolo (600 metri al 17%), superato il quale la salita ritrova i suoi tradizionali “binari” (12.9 Km al 3.7%).
Planati in Valtellina i “girini” transiteranno a fianco dell’imponente mole del Santuario della Madonna di Tirano, innalzato tra il 1505 e il 1528 nel luogo dove – quattro anni prima l’inizio dei lavori – la Santa Vergine era apparsa nell’orto di Mario Omodei, un contadino che il pomeriggio del 29 settembre del 1501 era impegnato nel lavoro nei campi. Per i partecipanti al Giro il passaggio accanto al santuario darà l’avviso della ripresa delle “ostilità” perché da lì a breve inizierà l’interminabile salita verso la Forcola di Livigno, ufficialmente lunga 18 Km e caratterizzata da una pendenza media del 7.1%. La strada, in realtà, inizia a salire quando mancano 33 Km al valico, 25 Km e mezzo dei quali in salita; questa, infatti, è suddivisa da un lungo tratto centrale pianeggiante e nemmeno scherzano i primi 7.5 Km al 7%, nel corso del quale si tocca il centro di Brusio, caratterizzato dalla presenza di uno dei tratti più spettacolari della “Ferrovia del Bernina” (l’intera linea è patrimonio UNESCO dal 2008), il viadotto elicoidale che fu realizzato in pietra tra il 1908 e il 1910 e che nel 2010, in occasione del centenario del “trenino rosso” fu effigiato nel logo dell’evento e illuminato come se fosse una torta di compleanno. La prima parte dell’ascesa terminerà in prossimità delle rive del Lago di Poschiavo, di origine naturale ma sfruttato per la produzione di energia elettrica sin dal 1904, costeggiando il quale s’imboccherà il lungo tratto pianeggiante (quasi 8 Km) che spezza in due tronconi la salita verso la Forcola. Fino a 4 km dallo scollinamento questa coincide con quella diretta al più celebre Passo del Bernina, salita che nonostante la fama non ha un grande feeling con il Giro d’Italia: l’unica volta che la Corsa Rosa vi transitò era il 12 giugno del 1954, giorno passato alla storia per lo “Sciopero del Bernina”, allorquando i corridori affrontarono la salita in gruppo, annichiliti dalla fuga bidone che due settimane prima aveva portato in maglia rosa l’elvetico Carlo Clerici con un vantaggio che nessuno riuscì a colmare (a Milano il distacco del secondo, il connazionale Hugo Koblet, sfiorò la mezzora). Raggiunti i 2315 metri della Forcola – sarà la prima delle sei volte nelle quali si supererà quota 2000 in questa edizione del Giro – davanti ai corridori si spalancherà la discesa, non particolarmente difficile (sono 5.4 Km al 6.4%) verso il “Piccolo Tibet”. Così è stata ribattezzata la conca di Livigno, conosciuta per la sua zona franca – le cui origini risalgono concesse nel 1538 dalla Contea di Bormio – e per la particolare forma allungata dell’abitato, un “serpentone” di ben 5 Km che giunge fino alle rive del Lago di Livigno, bacino artificiale realizzato alla fine degli anni ’60 e nel quale confluiscono le acque dello Spol, uno dei tre fiumi italiani i cui corsi non si gettano nel bacino del Mediterraneo, ma “scaricano” in quello del Mar Nero. Non ci sarà tempo per i corridori per specchiarsi nelle sue acque perché stavolta l’arrivo non sarà in centro, come invece era successo nei due precedenti datati 1972 e 2005, quando nel “Piccolo Tibet” si erano imposti Eddy Merckx e il colombiano Iván Parra, autore di un’eccezionale doppietta poiché il giorno prima aveva conquistato anche il tappone dolomitico di Ortisei. C’è ancora una difficoltà altimetrica da superare, una salita di 8.8 Km al 6.1% in parte inedita perché in passato già tre volte si è giunti ai 2120 metri del Passo d’Eira, dove si abbandonerà la strada per Bormio e s’imboccherà il ripido tratto conclusivo, che presenta una pendenza media del 10% negli ultimi 1500 metri, con un picco massimo del 18%. Asfaltata apposta per l’arrivo del Giro, è la vecchia mulattiera che porterà i corridori fino alle piste del Mottolino, dove in ai giochi olimpici saranno assegnate le medaglie nelle specialità dello snowboard e del freestyle. E nell’attesa del grande evento a cinque cerchi arriverà il Giro a inauguare alla sua maniera questo piccolo tempio dello sport….

Mauro Facoltosi

Il lago di Livigno e l’altimetria della quindicesima tappa (www.outdooractive.com)

Il lago di Livigno e l’altimetria della quindicesima tappa (www.outdooractive.com)

I VALICHI DELLA TAPPA

Sella di Lodrino (735 metri). Quotata 737 metri sulle cartine del Giro e chiamata anche “Valico della Cocca di Lodrino”, vi transita la Strada Provinciale 3 “Lodrino-Nozza” tra Nozza e Lodrino. Il Giro l’ha scalata finora tre volte, la prima durante la tappa Rovato – Monte Bondone del Giro del 2006, vinta dal varesino Ivan Basso, e che vide svettare per primo a Lodrino il colombiano Miguel Ángel Rubiano. L’anno successivo l’ascesa fu inserita nei chilometri iniziali dell’ultima tappa del Giro, Vestone – Milano, vinta dall’argentino Maximiliano Ariel Richeze, ma il passaggio in vetta non fu “registrato” non essendo previsto il GPM in quest’occasione. L’ultimo passaggio del Giro risale alla tappa Riva del Garda – Iseo del 2018, vinta allo sprint dal veronese Elia Viviani, mentre il GPM a Lodrino era stato conquistato dal francese Alexandre Geniez.

Colle di San Zeno (1434 metri). Chiamato anche Colma di San Zeno e Col de San Zé, è quotato 1418 sulle cartine del Giro 2024. Situato sullo spartiacque tra la Val Trompia e la Val Camonica, è valicato dalla strada che mette in comunicazione Pezzaze con Fraine e Pisogne.

Sella di Breno (342 metri). Vi sorge l’omonimo centro.

Passo di Aprica (1113 metri). È l’ampia sella pianeggiante, lunga quasi 3 Km, che mette in comunicazione la Valcamonica con la Valtellina tramite la Valle di Corteno. È valicato dalla Strada Statale 39 “dell’Aprica” e vi sorge l’omonima stazione di sport invernali, costituita dai tre nuclei di Madonna, Mavigna e San Pietro. Quotata 1173 sulle cartine del Giro 2022, è stata affrontata alla corsa rosa 13 volte come GPM, una come traguardo volante Intergiro (nel 1992, tappa Palazzolo sull’Oglio – Sondrio, vinta da Marco Saligari che transitò in testa anche sul valico) e due come traguardo di tappa senza gran premio (nel 2006, quando Ivan Basso s’impose in rosa nella Trento – Aprica, e al termine della Brescia – Aprica del 2010, vinta da Scarponi). Il primo a transitare in testa sotto lo striscione GPM è stato Fausto Coppi nel corso della Locarno – Brescia del Giro del 1950, vinta da Luciano Maggini. In seguito hanno conquistato questo traguardo Vittorio Adorni nel 1962 (tappa Moena – Aprica), Bruno Vicino nel 1979 (Trento – Barzio, vinta da Amilcare Sgalbazzi), lo svizzero Stefan Joho nel 1988 (la mitica tappa Chiesa Valmalenco – Bormio con il Gavia affrontato con la neve, vinta dall’olandese Erik Breukink), il venezuelano Sierra nel 1990 (Moena – Aprica), Gotti nel 1996 (Cavalese – Aprica), Mariano Piccoli nel 2000 (Bormio – Brescia, vinta da Biagio Conte), Emanuele Sella nel 2008 (Rovetta – Tirano, vinta dallo stesso corridore), l’ucraino Yuriy Krivtsov nel 2010 (passaggio intermedio nella citata tappa Brescia – Aprica), lo spagnolo Pablo Lastras Garcia nel 2011 (Feltre – Tirano, vinta da Diego Ulissi), Matteo Rabottini nel 2012 (Caldes – Passo dello Stelvio, vinta da De Gendt), il canadese Ryder Hesjedal e lo spagnolo Mikel Landa nella Pinzolo – Aprica del 2015 che prevedeva due passaggi sul passo. Nel 2017, l’Aprica fu relegata a un ruolo marginale, inserita subito dopo la partenza della poco impegnativa frazione di trasferimento Tirano – Canazei, vinta in fuga dal francese Pierre Rolland, che era transitato in testa anche sul GPM inserito a inizio tappa. Infine, nel 2022 all’Aprica terminò praticamente in discesa la 16a tappa della Corsa Rosa, che prevedeva pochi chilometri prima lo scollinamento sul Valico di Santa Cristina: sia quest’ultimo, sia la vittoria di tappa furono conquistate dal ceco Jan Hirt.

Forcola di Livigno (2315 metri). Valicata dalla strada che mette in comunicazione Livigno con il centro elvetico di Poschiavo, viene toccata per la seconda volta al Giro d’Italia dopo il passaggio avvenuto nel 2010 durante la tappa Bormio – Ponte di Legno (Passo del Tonale), conquistato dall’australiano Matthew Lloyd, mentre al traguardo s’impose proprio un corridore elvetico, Johann Tschopp. Ci sono, però, due precedenti nei quali la Corsa Rosa fu respinta dal maltempo e la prima volta accadde nel 1995, quando l’allora direttore del Giro Carmine Castellano fu costretto qualche settimana prima del passaggio della corsa a rimettere mano al tracciato della tappa che dalla Val Senales conduceva a Lenzerheide Valbella, frazione che prevedeva anche le ascese al Giogo di Santa Maria (all’epoca ancora sterrata) e al Bernina. Nel 2005 ancora la neve in vetta, unita alla pioggia battente alla partenza di Livigno, consigliò alla direzione di corsa di spostare il via della tappa diretta a Lissone, traslocando il “chilometro zero” alla Madonna di Tirano.

Passo Eira (2208 metri). Quotato 2210 metri sulle cartine del Giro 2024, è valicato dalla Strada Statale 301 “del Foscagno” tra Livigno e Trepalle. Il Giro d’Italia finora vi è transitato tre volte, la prima nel finale della tappa vinta nel 1972 da Eddy Merckx a Livigno, partita da Parabiago e che vide il grande rivale del belga in quell’edizione, lo spagnolo José Manuel Fuente, transitare in testa sull’Eira. Non ci fu GPM in vetta al passo, invece, nel finale della Egna – Livigno del 2005, vinta da colombiano Iván Parra. L’ultimo uomo al comando sul valico è stato, invece, l’australiano Matthew Lloyd in occasione della citata tappa di Ponte di Legno del Giro del 2010.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Se i rigidi climi del “Piccolo Tibet” nostrano vi avranno fatto venire la voglia di un corroborante minestrone… eccovelo scodellato! Nell’inverno del 1980 il regista romano Sergio Citti salì proprio a Livigno per le riprese del finale del “Il minestrone”, pellicola concepita per il cinema e poi sbarcata in televisione sotto la forma di piccolo sceneggiato a puntate essendone state girate due versioni, una per il grande schermo della durata di quasi due ore e una lunga il doppio e destinata alla trasmissione sulla RAI, che aveva coprodotto il film con la casa di produzione Medusa e che aspetterà il 1985 per la prima visione televisiva. Unico film in gara al prestigioso Festival internazionale del cinema di Berlino tenutosi nella capitale tedesca dal 13 al 24 febbraio 1981, la pellicola racconta del lungo viaggio di due vagabondi della periferia di Roma, interpretati da Franco Citti (fratello del regista) e da Ninetto Davoli. All’inizio delle loro peregrinazioni, perennemente alla ricerca da qualcosa da mettere sotto i denti, i due s’imbattono nel futuro premio Oscar Roberto Benigni, che qui è il “Maestro”, un accattone la cui specialità è fuggire dai ristoranti senza pagare il conto. Le loro continue fughe da un’osteria all’altra li portano a compiere un viaggio che dalla capitale li porta prima in Toscana e poi in Emilia, dove incappano in un un santone che li convince a seguirlo nel suo pellegrinaggio, un viaggio durante il quale il bizzarro personaggio – impersonato dal grande Giorgio Gaber – snocciola liste di leccornie che potranno gustare una volta giunti a destinazione. E quella destinazione è la Svizzera: la scena nella quale Gaber indica ai suoi seguaci il valico oltre il quale si trova il “bengodi” mostra l’ultimo tratto del versante italiano della Forcola di Livigno.

In collaborazione con www.davinotti.com

Giorgio Gaber indica la Forcola di Livigno nel finale de “Il minestrone” (www.davinotti.com)

Giorgio Gaber indica la Forcola di Livigno nel finale de “Il minestrone” (www.davinotti.com)

Le altre location del film citato

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-minestrone/50001933

FOTOGALLERY

Manerba del Garda, Isola di San Biagio

Sabbio Chiese, Santuario della Madonna della Rocca

Tavernole sul Mella, Chiesa di San Filastrio

Pezzaze, Miniera Marzoli

Pisogne, Lago d’Iseo

Boario Terme, Padiglione dell’Antica Fonte

Castello di Breno

Capo di Ponte, Pieve di San Siro

Santuario della Madonna di Tirano

Brusio, il viadotto elicoidale della “Ferrovia del Bernina”

Lago di Poschiavo

La Forcola di Livigno (vista dal lato italiano)

Il tratto iniziale del “serpentone” di Livigno

TIC-TAC IN RIVA AL GARDA

Tornano a ticchettare i cronometri al Giro d’Italia. Una settimana dopo la sfida contro il tempo sulle strade umbre va in scena un’altra tappa a cronometro, stavolta disegnata su di un tracciato più tarato sulle misure degli specialisti. Nonostante l’ambientazione collinare, le difficoltà altimetriche oggi avranno la forma d’isolati colli, brevi e poco pendenti, e nulla arriverà a turbare le loro possibilità di vittoria. Ma anche in questo caso occorrerà utilizzare con parsimonia le energie, perché il giorno dopo sarà in programma il primo, duro tappone alpino.

Per la seconda e ultima volta in questa edizione del Giro tornano a scattare i cronometri per un’altra appassionante sfida contro l’orologio destinata a cambiare ancora una volta i connotati alla classifica. Stavolta si è scelta un’ambientazione più collinare rispetto a quella dell’altra prova contro il tempo che, tolta la salita finale verso Perugia, si era disputata sul perfetto piattone della Valle Umbra. Il palcoscenico prescelto per questa seconda cronometro sarà quello delle colline moreniche del Garda, il “filtro” che separa il lago dalla Pianura Padana e che 165 anni fu teatro della storica battaglia di Solferino e San Martino, episodio della Seconda Guerra d’Indipendenza Italiana che rappresentò la fine del dominio austriaco sui territori della Lombardia e del Veneto, tirando idealmente la volata alla proclamazione dell’unità nazionale, sancita due anni più tardi. Nonostante questa premessa geografica, il percorso che condurrà i “girini” da Castiglione delle Stiviere a Desenzano del Garda può tranquillamente essere definito pianeggiante, per la gioia di quei cronoman puri le cui velleità una settimana prima si erano scontrate con la salita che conduceva verso Perugia. Oggi le difficoltà altimetriche avranno, infatti, l’aspetto di tre brevi strappi – il più lungo e difficile di 600 metri, gli altri due entrambi lunghi 400 metri – che spuntano come funghi dalla pianura e che difficilmente turberanno la gara ai favoriti per la vittoria finale. Non dovranno però, incappare nell’errore di lanciare i loro cavalli al galoppo sfrenato, come accadeva sui campi di battaglia risorgimentali, perché anche questa tappa sarà immediatamente seguita da una dura frazione di montagna e occorrerà dosare le energie senza “strafare”, considerato anche che la tappa di Livigno sarà molto più dura rispetto a quella che conduceva ai Prati di Tivo, che come ben ricordiamo è stata affrontata dopo la crono di Perugia
Si scenderà dalla rampa di lancio in Piazza San Luigi, cuore di Castiglione delle Stiviere sul quale affaccia la basilica intitolata al santo gesuita che fu anche marchese della celebre famiglia Gonzaga. Usciti dalla città che vanta anche il Museo Internazionale della Croce Rossa – fondata nel 1863 dal filantropo elvetico Jean Henri Dunant, sconvolto dalla vista dei soldati feriti durante la battaglia di Solferino – si prenderà subito la strada delle colline e dopo poco meno di 5 Km si giungerà ai piedi del primo dei tre dentelli che movimentano il tracciato della crono, lungo 400 metri e caratterizzato da una pendenza media del 4.5%. 3 Km più avanti saranno comunicati i primi tempi di gara al momento del passaggio da Solferino, dove si transiterà ai piedi della collina della Rocca, torre costruita nel 1022 nel luogo che oggi costituisce il punto più elevato della provincia di Mantova (206 metri sul livello del mare) e che nel 1870 fu trasformata in museo dedicato alla battaglia, nell’occasione ribattezzandola “Spia d’Italia”. A una dozzina di chilometri dal via si arriverà all’appuntamento con il momento più difficile di questa crono, la salita di 600 metri al 6% che conduce a Cavriana, borgo dominato dalla torre campanaria che svetta su resti del castello, le cui pietre saranno utilizzate nel 1770 per ristrutturare la sottostante Villa Mirra, nella quale soggiornarono l’imperatore francese Napoleone III nei giorni della battaglia di Solferino, mentre al presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi e il francese Charles de Gaulle vi sarà offerta una colazione ufficiale il 24 giugno del 1959, nel primo centenario del fatto d’armi.
Seguirà un tratto di circa 4 Km caratterizzato da lievissime ondulazioni, falsipiani quasi impercettibili che la strada disegna percorrendo la plaga collinare a occidente di Castellaro Lagusello, delizioso borgo medioevale affacciato su di un piccolo laghetto dall’insolita forma a cuore, sulle cui rive negli anni settanta è stato scoperto un insediamento palafitticolo che nel 2011 è stato inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Per un paio di chilometri la strada torna perfettamente pianeggiante, pedalando in direzione dell’ultimo ostacolo di giornata, un’ascesa di 400 metri al 4.4% che si concluderà alle soglie di Pozzolengo, dove i corridori sfioreranno il locale castello, in realtà un microscopico borgo fortificato costruito tra il IX e il X secolo sulla sommità del Monte Fluno per dare ospitalità alla popolazione locale durante le scorribande dei barbari.
Allo scoccare del ventesimo chilometro terminerà la fase più intricata di questa crono e da qui al traguardo, 11 Km più tardi, non s’incontreranno più tratti da percorrere in salita. Poco meno di 3 km più avanti si raggiungerà il secondo e ultimo dei punti di rilevamento degli intermedi, che saranno presi in prossimità della Torre di San Martino della Battaglia, monumento memoriale della storica tenzone che – a differenza di quello di Solferino – fu appositamente costruito tra il 1880 e il 1983, innalzato a poca distanza dall’ossario nel quale furono deposti i resti di oltre 2600 soldati caduti sul campo, appartenenti sia all’Armata Sarda, sia allo sconfitto esercito dell’Impero Austro-Ungarico.
Quando mancheranno 4 Km all’arrivo si giungerà, infine, sulla sponda meridionale del lago di Garda, che s’incontrerà all’altezza di Rivoltella, la frazione di Desenzano presso la quale in antichità si trovava la Mansio ad Flexum, stazione di posta per il cambio dei cavalli collocata in un punto strategico al punto che l’originario toponimo di questo luogo è perfino riportato sulle mappe che il matematico Ignazio Denti fece affrescare sulla volta della Galleria delle Carte Geografiche, presso i Musei Vaticani.
Ancora pochi minuti di gara e poi, presso il porto di Desenzano, conosceremo gli esiti di quest’altra sfida contro il tempo.

Mauro Facoltosi

La torre di San Martino della Battaglia e l’altimetria della quattordicesima tappa (www.lagodigardaeventi.it)

La torre di San Martino della Battaglia e l’altimetria della quattordicesima tappa (www.lagodigardaeventi.it)

CIAK SI GIRO

A due passi dal percorso di gara c’è il delizioso borgo di Castellaro Lagusello, frazione del comune di Monzambano che in un paio di occasioni ha prestato i propri vicoli all’occhio della macchina da presa. Qui ci limitiamo a ricordare il primo dei due film girati in questo luogo, “La partita”, pellicola del 1988 diretta da Carlo Vanzina. Il popolare regista figlio d’arte (il padre fu il mitico Steno) è principalmente conosciuto per le commedie e per esser considerato il “papà dei cinepanettoni” (pensate che la Treccani ha pure coniato il neologismo “vanzinata”), ma nella sua carriera ha saltuariamente esplorato altri generi come il thriller (“Sotto il vestito niente” è ancora oggi uno dei suoi film più celebri), il biografico (“I miei primi 40 anni”, trasposizione cinematografica della biografica di Marina Ripa di Meana), il giallo (“Tre colonne in cronaca”), il sentimentale (“Piccolo grande amore”) e il film d’avventura. È il caso, quest’ultimo, de “La partita”, film ambientato nel XVIII secolo per il quale Vanzina reclutò due star di Hollywood, il premio oscar Faye Dunaway e Matthew Modine, ai quale fu affidato il ruolo dei protagonisti: Modine è il nobile Francesco Sacredo che, rientrato in patria dopo l’esilio, scopre che il padre ha perduto al gioco l’intero patrimonio di famiglia, finito nelle mani della scaltra contessa Matilde Von Wallenstein (la Dunaway), la quale proporrà all’uomo un’ennesima “partita”, il cui esito sarà la riconquista o la definitiva perdita dei beni di famiglia. Per girare il film occorrevano location “d’epoca” e così si scelse Venezia per le scene principali (lì abitano il Sancredo e la contessa), poi la produzione “emigrò” prima in Lombardia (ed è qui che entrano in scena Castellaro Lagusello e la vicina Sirmione) e in seguito in Francia, dove lo scontro finale tra i due protagonisti ha come palcoscenico una chiesetta affacciata sul canale della Manica. Altre scene furono girate in Lazio, tra Bracciano, Cerveteri e la capitale, dove per le riprese si utilizzò un fasullo villaggio medioevale che qualche anno prima era stato costruito presso gli studi di Cinecittà e che sarà successivamente smantellato per far posto ad altri set: si tratta di una location posticcia ma ben nota, perché nel 1984 era stata il villaggio di Frittole, il piccolo borgo nel quale Benigni e Troisi capitano dopo esser sbalzati indietro nel tempo nel film campione d’incassi “Non ci resta che piangere”. Negli anni successivi in due occasioni sarà sullo stesso set anche Paolo Villaggio, che nel 1985 vi girerà “Fracchia contro Dracula” e dodici mesi più tardi “Superfantozzi”.

In collaborazione con www.davinotti.com

Castellaro Lagusello nel film di Carlo Vanzina “La partita” (www.davinotti.com)

Castellaro Lagusello nel film di Carlo Vanzina “La partita” (www.davinotti.com)

Qui potete vedere le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/la-partita/50018801

https://www.davinotti.com/forum/location-segnalazioni/la-partita/80018801

FOTOGALLERY

Castiglione delle Stiviere, Basilica di San Luigi Gonzaga

Castiglione delle Stiviere, Museo Internazionale della Croce Rossa

L’imbocco del primo strappo, alle porte di Solferino

La rocca di Solferino

Cavriana vista dal castello

Scorcio di Castellaro Lagusello

L’ingresso al borgo fortificato di Pozzolengo

L’ossario di San Martino della Battaglia

Il porto di Desenzano del Garda, presso il quale terminerà la cronometro

LA VOLATA ES UN CARNAVAL

E’ la tappa più facile del Giro 2024, tutta pianura dal raduno di partenza di Riccione al traguardo di Cento. L’arrivo è di quelli che fanno gola ai velocisti e oggi le loro formazioni saranno agevolate dal percorso nelle operazioni di contenimento della fuga di giornata. Poi spazio a quello che Bruno Raschi definì “il lungo prologo di una coltellata”.

La volata è per davvero una sorta di carnevale. Nelle ultime centinaia di metri di una tappa destinata agli sprinter se ne vedono davvero di tutti i colori e di coriandoli ne fioccano da destra e da sinistra, tra chi parte da lontanissimo e chi si piazza alle calcagna del corridore lanciato a tutta per sfruttarne la scia, tra chi adotta i mille sotterfugi che i velocisti escogitano per assicurarsi un posto al sole e chi, invece, esce dalle righe in tutti i sensi, finendo poi per incappare nelle sanzioni imposte dalla giuria, perché in questo caso giustamente non si applica la tradizionale legge non scritta secondo la quale “a carnevale ogni scherzo vale”. Oggi, poi, la sensazione di esser tornati a febbraio sarà resa ancora più palpabile dal fatto di arrivare a Cento, cittadina emiliana che deve parte della fama proprio al carnevale, che qui dura addirittura un mese e che ha radici antichissime, testimoniate per la prima volta da alcuni affreschi di Giovanni Francesco Barbieri, il pittore più noto con il nome d’arte di Guercino, vissuto tra il 1591 e il 1666 e originario proprio di questo centro. Oggi la volata sarà argomento quasi unico di discussione, al termine di quella che è la più facile tra le 21 tappe del Giro d’Italia 2024, ancor più facile della passerella conclusiva di Roma, più corta ma movimentata qua e là da qualche piccolo dislivello. Oggi, invece, si pedalerà costantemente in pianura, anche se non mancheranno insidie che costringeranno i corridori a disputare la tappa con le antenne ben dritte, tra rotatorie, curve, restringimenti di carreggiata e quant’altro offre la rete stradale. E anche la natura stessa della pianura, totalmente sgombra com’è da colline, potrebbe rappresentare un problema in caso di vento, perché la mancanza di elevazioni permette alle folate di spazzare indisturbate, portando scompiglio in gruppo e rendendo la tappa molto più selettiva del previsto. E ci sono corridori che si sono visti compromessi dal vento le possibilità di vittoria finali proprio in tappe simili a questa, disegnate lontano dalle coste del mare, come ben ricorda lo spagnolo Alejandro Valverde, che al Tour del 2009 – che lo vedeva al via tra i favoriti – a causa del vento si vode letteralmente volare via quasi 10 minuti in una frazione totalmente disegnata nel piatto cuore geografico della Francia.
Il mare sarà, comunque, protagonista anche oggi accompagnando i “girini” nel tratto iniziale poiché i primi 9 Km si snoderanno lungo il celebre litorale romagnolo, puntando da Riccione verso Rimini, capitale del divertimento balneare che offre ai turisti anche interessanti vestigia del suo passato come l’Arco d’Augusto, Castel Sismondo e il duomo cittadino, noto con il nome di Tempio Malatestiano.
Lasciata Rimini si abbandonerà anche il mare, che si rivedrà per un attimo solo nel corso della tappa conclusiva, e si andrà a imboccare l’asse della Via Emilia, l’antica strada consolare che porta il nome di chi ne promosse la costruzione, il generale romano Marco Emilio Lepido. Su di essa si pedalerà per quasi 70 Km, toccando all’inizio di questo tratto Santarcangelo di Romagna, presso il cui centro storico si trova la Rocca Malatestiana, il castello nel quale secondo la leggenda si consumò il dramma di Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, i peccaminosi cognati che ispirarono a Dante Alighieri il quinto canto dell’Inferno. Proseguendo si toccherà quindi Savignano sul Rubicone, il comune che è considerato la patria del ballo liscio (è possibile visitarvi la casa-museo di Secondo Casadei, l’autore di “Romagna mia”), per poi tirare dritto in direzione di Cesena, dove ha avuto inizio la parabola di vita e di successi di Marco Pantani: qui il “Pirata” di Cesenatico è nato il 13 gennaio del 1970 e sempre qui, per la precisione nella frazione di Case Castagnoli, all’età di 14 anni conseguì la sua prima vittoria in assoluto, eccezionalmente ottenuta in una gara completamente pianeggiante. Transitati a breve distanza dal colle sul quale si adagia il borgo di Bertinoro (in frazione Polenta si può ammirarvi la Pieve di San Donato, alla quale Giosuè Carducci dedicò un’ode) i “girini” saranno sulle strade di Forlimpopoli, nel cui cuore si affaccia la Rocca Albornoziana, maniero che nel nome rammenta il cardinale che lo fece erigere tra il 1360 e il 1365, lo spagnolo Egidio Albornoz. Il passaggio dalla vicina Forlì offrirà l’occasione di ricordare Ercole Baldini a un anno e mezzo dalla scomparsa del corridore romagnolo, vincitore del Giro nel 1958 ma principalmente menzionato per due affermazioni ottenute quando ancora era dilettante, alle Olimpiadi di Melbourne del 1956 e, qualche mese prima, al Velodromo Vigorelli di Milano dove riuscì a battere il record dell’ora, migliorando di 234 metri il precedente primato di Jacques Anquetil.
Con il passaggio da Faenza – cittadina celebre per la produzione di ceramiche di pregio, un campionario del quale è visibile nel MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche), istituzione importante al punto da esser stata riconosciuta dall’UNESCO “Monumento testimone di una cultura di pace” – il gruppo cambierà bruscamente direzione di marcia abbandonando la Via Emilia per inoltrarsi nella Pianura Padana in direzione di Bagnacavallo. Sfiorato questo centro, il cui nome ci ricorda come in questo luogo un tempo ci fosse un guado percorribile senza problemi con i quadrupedi, si punterà su Lugo, dove all’ombra della Rocca Estense sono scattate storiche edizioni del Giro di Romagna, corsa che nel 2024 dovrebbe tornare in calendario dopo 13 anni d’assenza e che ha la sua punta di diamante nelle tre vittorie che Fausto Coppi ottenne tra il 1946 e il 1949.
Varcato il corso del Santerno si toccherà Massa Lombarda, centro che trae il nome dalle 150 famiglie fuggite nel XIII secolo dal contado di Mantova, invaso dall’avido signore della Marca Trevigiana Ezzelino da Romano, intenzione a estendere l’estensione dei suoi domini. Con un altro cambio di rotta si giungerà a Conselice, centro dove campagne archeologiche negli anni ‘90 hanno permesso di riportare alla luce tracce della Valle Padusa, laguna che si estendeva su queste terre 7000 anni fa. Zigzagando così in luoghi dove un tempo l’acqua si distendeva a perdita d’occhio si lascerà la provincia di Ravenna per sbarcare sulle strade del bolognese e portarsi a Molinella, centro in epoca remota ebbe importanza strategica per il suo trovarsi nei pressi del traghetto che permetteva di spostarsi verso la sponda ferrarese del fiume Reno. La successiva meta dei “girini” sarà Baricella, poi ci si porterà ad Altedo, frazione del comune di Malalbergo conosciuta per la coltivazione di una varietà di asparago verde IGP alla quale viene dedicata una sagra che annualmente si tiene tra la terza e la quarta domenica di maggio e che, dunque, nel 2024 inizierà pochi giorni dopo il passaggio della tappa. I corridori non avranno tempo per divagazioni gastronomiche, anche perché mancheranno a questo punto circa 25 Km al traguardo e a breve inizieranno le grandi manovre in vista dello sprint, atti preparatori che l’indimenticato Bruno Raschi, il “Divino” giornalista emiliano che fu vicedirettore della Gazzetta dello Sport dal 1976 al 1983, soleva definire “il lungo prologo di una coltellata”. Lo scenario di queste concitate fasi vedrà il gruppo sfrecciare sempre più veloce tra San Pietro in Casale e Pieve di Cento, dove si transiterà a due passi dalle mura della rocca cittadina, innalzata nel XIII secolo e inserita in un complesso difensivo che contemplava una cinta muraria nella quale si aprivano quattro porte. Una di queste è Porta Cento, lambita la quale i corridori dovranno superare una risibile difficoltà altimetrica, la gobba del ponte che permette di scavalcare il corso del Reno e che tirerà un bello scherzetto, questo è permesso, ai velocisti arrivati a questo punto provati dalle alte velocità e che potrebbero trovarsi a perdere le ruote dei compagni che li devono pilotare, un piccolo contrattempo che potrebbe rimanere sul groppone a soli 2 Km dall’arrivo.
Per il resto niente altri scherzi, ci raccomandiamo….

Mauro Facoltosi

Uno dei colorati carri del carnevale di Cento e l’altimetria della tredicesima tappa (www.i2orficicona.it)

Uno dei colorati carri del carnevale di Cento e l’altimetria della tredicesima tappa (www.i2orficicona.it)

CIAK SI GIRO

Un cult tira l’altro e così dopo l’”Allenatore nel pallone” siamo qui a parlarvi di un altro film molto “venerato”, in questo caso tra gli appassionati del genere horror: è “La casa dalle finestre che ridono”, quinta pellicola firmata da Pupi Avati, per la quale vinse il premio alla critica al Festival du Film Fantastique di Parigi del 1979. Uscita nelle sale 3 anni prima, la pellicola del cineasta bolognese narra le vicende di Stefano, un giovane restauratore (interpretato da Lino Capolicchio) invitato a recuperare un macabro affresco realizzato da Buono Legnani, folle pittore morto suicida vent’anni prima. Sospettando che dietro a quell’opera si nasconda un mistero, Stefano comincia a indagare sulla vita del Legnani, scoprendo che era noto come “pittore delle agonie” perché ritraeva sempre soggetti deceduti, “modelli” che gli venivano procurati dalle sorelle con le quali viveva e che provvedano a torturare e uccidere i malcapitati prima di consegnarli al fratello. L’indagine condurrà Stefano fino al fatiscente casale dove viveva il Legnani e che era stato ribattezzato dalle genti del posto “casa dalle finestre che ridono” per via delle gigantesche labbra che ne adornavano le finestre: qui scoprirà che le sorelle sono ancora in vita e che continuano a compiere sacrifici umani in onore del fratello, i cui resti sono conservati proprio nel casale, immersi in formalina. Se, terminata la visione del film, vi sarà venuta voglia di tornare sui luoghi delle riprese, rimarrete in parte delusi poiché la principale location del film, che in parte fu girato anche a Cento, non esiste più: la “casa delle finestre che ridono” era, infatti, un casale destinato alla demolizione sulle cui facciate Pupi Avati chiese alla scenografa di dipingere delle grandi labbra in corrispondenza delle finestre. Terminate le riprese, l’edificio fu raso al suolo e oggi ha preso il suo posto un frutteto, situato alle porte di Malalbergo, non distante dal centro di Altedo, luogo dal quale i “girini” transiteranno nel finale di tappa.

In collaborazione con www.davinotti.com

L’edificio, appositamente “truccato”, che rappresenta la principale location de “La casa dalle finestre che ridono” (www.davinotti.com)

L’edificio, appositamente “truccato”, che rappresenta la principale location de “La casa dalle finestre che ridono” (www.davinotti.com)

Qui potete vedere le altre location del film

https://www.davinotti.com/articoli/location-esatte-da-la-casa-dalle-finestre-che-ridono/43

FOTOGALLERY

La spiaggia di Riccione

Rimini, Tempio Malatestiano

Santarcangelo di Romagna, Rocca Malatestiana

Polenta di Bertinoro, Pieve di San Donato

Forlimpopoli, Rocca Albornoziana

Faenza, MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche)

Lugo, Rocca Estense

La rocca di Pieve di Cento

ALLA SCOPERTA DEI MURI BASSI

Non sono solo le otto tappe di montagne e le due frazioni a cronometro a essere segnalate in rosso nell’elenco delle tappe dl Giro 2024. Ci sono anche giornate apparentemente interlocutorie nelle quali si farà molta fatica e che potrebbero avere un peso non indifferente in classifica, se i “girini” dovessero interpretarle al massimo o se qualche big dovesse soffrire una giornata storta. Una di queste è la frazione che condurrà il gruppo a Fano, forte di 2100 metri di dislivello sbriciolati sui colli marchigiani, dove si farà una vera e propria scorpacciata di “muri bassi”….

È un termine che ha coniato Mauro Vegni, il direttore del Giro d’Italia. Con “muri bassi” il più esperto organizzatore italiano, la cui carriera è iniziata spalleggiando Franco Mealli nell’allestimento del palcoscenico della Tirreno-Adriatico, si riferisce all’autentico mare di colline che punteggiano l’entroterra marchigiano, salite brevi e mai estreme che per anni hanno costituto la principale ossatura del tracciato della “Corsa dei due Mari”. Nelle stagioni più recenti la corsa è stata radicalmente trasformata in una sorta di Giro d’Italia in miniatura, inserendo cronometro e tappe di montagna e andando alla ricerca di muri sempre più “alti” sotto l’aspetto delle pendenze, verticali come quelle di Ortezzano e di Montelupone per fare un paio di nomi. Così sono stati relegati in un angolo i “muri bassi”, salite che prese singolarmente non fanno male ma se affrontate in serie e in gran numero possono rendere una tappa molto più dura e selettiva di quel che suggerisce il grafico altimetrico. Lo dimostra già l’esame numerico della frazione odierna, che ci dice che negli ultimi 130 Km sarà concentrata la totalità del dislivello giornaliero, 2100 metri “sbocconcellati” tra 14 brevi ascese, in qualche caso dotate comunque d’inclinazioni importanti. I tratti di respiro tra una collina e l’altra saranno brevi e non consentiranno molti margini di manovra al gruppo impegnato nel tentativo di riavvicinarsi al plotoncino in fuga. Oggi, infatti, sarà la fuga ad avere le maggiori possibilità di andare in porto e se in quel drappello dovesse ritrovarsi qualche uomo ben messo in classifica dietro potrebbe scatenarsi una bagarre tale da mettere in crisi qualche corridore di peso. E, per quanto detto sopra, chi si trovasse a perdere terreno su di un tracciato del genere dovrà spendere parecchio per riagganciarsi alla coda del gruppo, sempre che ce la si faccia.
Prima di arrivare sulle colline bisognerà, però, macinare parecchi chilometri in totale pianura e anche i primi 54 Km totalmente sgombri di difficoltà potrebbero avere un peso e rivelarsi l’ago della bilancia verso il quale penderanno gli esiti della tappa, perché questo tratto potrebbe invogliare una partenza molto veloce e, di conseguenza, dispendiosa, un qualcosa di molto probabile perché spesso in questi ultimi anni si sono viste partenze “razzo”, viaggiando a quasi 50 Km/h e talvolta oltre questa soglia, anche in tappe di alta montagna.
Si partirà da Martinsicuro, la località balneare più settentrionale d’Abruzzo, e subito dopo il via si entrerà in territorio marchigiano alle porte di San Benedetto del Tronto, località che deve la sua fama ciclistica al fatto d’esser la sede d’arrivo dell’ultima tappa della Tirreno-Adriatico fin dalla seconda edizione di questa corsa, creata nel 1966 per proporre un’alternativa alla Parigi-Nizza nella marcia d’avvicinamento alla Tirreno-Adriatico. Sfiorata la Torre dei Gualtieri, principale monumento di San Benedetto, si procederà in linea retta lungo il litorale noto come “Riviera delle Palme” portandosi a Grottammare, nel cui centro storico, inserito nel novero dei “Borghi più belli d’Italia”, si può ammirare la Chiesa di Santa Lucia, fatta realizzare da Papa Sisto V nel luogo dove si trovava la casa natale del pontefice, che sedette sul soglio di San Pietro per cinque anni tra il 1585 e il 1590.
Il tratto successivo si svolgerà ai piedi delle colline sulle quali stanno appollaiati i borghi che costituiscono il cosiddetto “distretto calzaturiero fermano”, piccoli centri che a turno hanno quasi tutti ospitato arrivi di tormentate tappe della citata Tirreno-Adriatico, spesso conquistate da corridori di prestigio a conferma della validità di quei percorsi e dell’impegno che richiedono: qui ci limitiamo a ricordare le affermazioni di corridori del calibro di Giuseppe Saronni, di Greg LeMond – che nel 1982 s’impose a Monte San Pietrangeli a soli vent’anni d’età – di Moreno Argentin e di Maurizio Fondriest, di Óscar Freire e di Paolo Bettini e di Peter Sagan, nomi che altrove sono andati ad arricchire l’albo d’oro di Giri, Tour, Vuelte, classiche e mondiali.
Arrivati a Civitanova Marche il gruppo saluterà il mare, che rivedrà solo a pochi chilometri dal traguardo, per iniziare la scorpacciata di colline, introdotta dalla salita verso il borgo di Civitanova Alta, 2.4 Km al 5.2% all’interno dei quali – come la perla di un’ostrica – è concentrato un troncone di 400 metri al 9.5%: saranno questi piccoli muretti, sparsi qua e là nel tracciato e che non era possibile evitare, i principali scogli di un tracciato nel quale potrebbero incagliarsi le speranze di qualche pretendente alla maglia rosa.
Seguirà un tratto in quota che condurrà verso la collina successiva, 1.8 Km al 6.1% che si estingueranno alle porte del citato centro di Montelupone, in vetta al cui tremendo muro sono terminate due frazioni della Tirreno, entrambe conquistate da uno specialista di questi finali, lo spagnolo Joaquim Rodríguez.
Scesi ad attraversare la valle del fiume Potenza, se ne risalirà l’altro versante in direzione di Recanati, alla quale si salirà percorrendone una strada d’accesso secondaria, che propone 2.7 Km d’ascesa al 7.7%. Non si tratta di numeri particolarmente “allarmanti” ma proprio all’inizio c’è uno scalino di quasi mezzo chilometro al 13.3% al quale fa eco un secondo balzo di 400 metri al 12.8% proprio all’ingresso della città di Leopardi, nato il 29 giugno del 1798 nel palazzo di famiglia, ancora oggi abitato dai discendenti del poeta e nel quale è si può ammirare la sterminata biblioteca (più di ventimila volumi) qui raccolta dal conte Monaldo e alla quale ebbe la possibilità di “attingere” sapienza il figlio Giacomo.
Avevamo anticipato che non ci saranno solo salite e discese nel toboga degli ultimi 130 Km e proprio ora i corridori avranno la possibilità di pedalare sulla perfezione della pianura per circa 7 Km, una volta planati da Recanati verso la piana sottostante il borgo di Castelfidardo, noto per la produzione di fisarmoniche – attività che ha le sue origini nel 1863 – e per la battaglia combattuta il 18 settembre 1860 tra l’esercito sabaudo e quello dello Stato Pontificio, uscito sconfitto dal combattimento che come conseguenza ebbe l’annessione dell’Umbria e delle Marche all’allora Regno di Sardegna, un anno prima della definitiva unità italiana.
Dopo questo intervallo nel quale rifiatare tornerà l’ora di andare a lezioni di salita, anche se non si annunciano particolarmente difficili le due ascese consecutive di San Sabino (1.1 Km al 5.8%) e Osimo (1.3 Km al 6%), anche perché quest’ultima sarà affrontata da un versante più pedalabile rispetto a quello che prevede il breve e irto muro in acciottolato della Costa del Borgo, che si percorse nel 2018 quando nella centralissima Piazza del Comune s’impose Simon Yates: era l’edizione del Giro partita da Gerusalemme e terminata a Roma con la consegna dell’ultima maglia rosa a Chris Froome, autore di una straordinaria impresa a Bardonecchia nel tappone del Colle delle Finestre.
Un altro tratto scorrevole – il più lungo di questo finale dall’alto dei suoi 8.5 Km – deporrà i “girini” ai piedi della salita di Monti (1700 metri al 6.8%), seguita da un tratto vallonato in quota che s’imboccherà in direzione del luogo dove si trovava la medioevale Torre di Jesi, demolita dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Nei successi 26 Km si ricalcheranno le rotte della tappa di Jesi del Giro del 2022, frazione che si può quasi considerare una versione “soft” di quella di Fano, con molti meno colli e dislivello da superare e, in effetti, in quell’occasione la selezione fu molto contenuta poiché a giocarsi la vittoria in volata nella “patria del Verdicchio” arrivò un gruppo folto di 28 corridori, regolati dall’eritreo Biniam Girmay, entrato quel pomeriggio nella storia del ciclismo per essere stato il primo (e finora unico) corridore di colore a essersi imposti in una tappa di un grande giro. Come quel pomeriggio di due anni fa si andrà così ad affrontare lo strappo di Mazzangrugno (1 Km al 6.6%) e poi l’ascesa verso Monsano, 1400 metri al 7.1% che iniziano nei pressi del santuario di Santa Maria fuori Monsano, eretto a partire dal 1471 nel luogo dove la Madonna era apparsa sopra un olmo, dal quale sarebbe scesa a tracciare sulla neve la pianta di una cappella da erigere in suo nome.
Lasciate le rotte della tappa di Jesi il gruppo s’infilerà in un tratto di circa 10 Km che solo apparentemente è pianeggiante, ma che in realtà è “inquinato” che da piccoli dislivelli che certamente rimarranno nelle gambe se qualcuno, da quelle parti, “pesterà” duro sui pedali. Anche perché all’uscita di questo tratto ci si troverà a fare i conti con una delle salite più ripide inserita nel tracciato, lunga solo mezzo chilometro ma caratterizzata da una pendenza media del 12.2% e da una scoscesa “parete” finale che termina alla soglia di Ostra, borgo che secondo la leggenda fu fondato dopo il 410 a.C. da un gruppo di abitanti dell’omonima cittadina romana che era stata saccheggiata e distrutta dai visigoti. Scesi ad attraversare il corso del fiume Misa riprenderà l’ottovolante di giornata per affrontare la salita che sulle cartine del Giro è stata definita con il semplice nome di “La Croce” e che è composta di due rampe separate da una breve contropendenza: pedalabili sono i primi 1.6 Km al 4.3% che conducono al borgo di Ripe, un pelo più “croccante” è il tratto conclusivo, pure lungo 1600 metri e caratterizzato da un’inclinazione media del 6.7% e da un altro piccolo muretto negli ultimi 400 metri, nel corso dei quali la media torna a schizzare sopra il 12%. Movimentata da un paio di tornanti sarà la successiva discesa, “tourniquets” che s’incontreranno all’uscita da Monterado, nel cui centro si erge l’imponente castello innalzato dopo il 1267, quando il priore del monastero di Fonte Avellana concesse la fondazione del borgo, e trasformato in residenza principesca dopo che nel 1810 era stato concesso in appannaggio al viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais, la cui madre era Giuseppina, andata in sposa in seconde nozze nel 1796 con Napoleone Bonaparte.
A questo punto si può dire che il “grosso” della tappa sia messo alle spalle, anche se mancheranno ancora due piccole fette del dislivello odierno da superare, anche se in nessun caso ci si troverà a fare i conti con tratti veramente difficili. Settecento metri al 6.5%, tanto misura la successiva salita che si dovrà affrontare per raggiungere il borgo di Mondolfo, ai piedi delle cui mura fino all’inizio del secolo scorso non era raro trovare i cittadini impegnati nel caratteristico gioco del pallone con il bracciale, mentre oggi lungo le vie del centro storico si possono ammirare i murales che tra il 2019 e il 2020 hanno dato vita alla cosiddetta “Galleria Senza Soffitto”. Dopo più di cento chilometri trascorsi sulle serpeggianti strade dell’entroterra il gruppo tornerà a respirare l’aria del mare all’altezza di Marotta, stazione balneare il cui nome (in antichità “Mala Rupta”, ovvero mala rotta) ricorda la tremenda disfatta subita da queste parti dall’esercito cartaginese in occasione della Battaglia del Metauro, episodio della seconda guerra punica che ebbe tra le sue vittime il generale Asdrubale Barca, fratello minore del più celebre Annibale. Ritrovate le rive dell’Adriatico, quasi subito si tornerà ad allontanarsi dal litorale per andare incontro all’ultimo ostacolo altimetrico di giornata, più consistente rispetto a quello di Mondolfo perché si devono “subire” – è proprio il caso di dirlo dopo tutti i saliscendi di giornata – i 2.2 Km al 6.1% che portano verso San Costanzo, borgo al quale gli appassionati di turismo gastronomico salgono due volte l’anno in occasione della centenaria Sagra Polentara, che si tiene in marzo e in luglio e che testimonia come questo rustico alimento non abbia le radici piantate solo nella Pianura Padana. Dopo l’ultimo tributo alla salita, la pianura i corridori si accingeranno a ritrovarla negli ultimi 6 Km, ma – se si vuole essere pignoli fino al midollo – ci sarà ancora un ultimo, microscopico dislivello da superare; giunti al cospetto del Bastione Sangallo, uno dei pochi tratti oggi visibili delle antiche mura malatestiane di Fano, quando mancheranno solo 800 metri la statale adriatica compierà una brusca svolta a sinistra per aggirare il centro storico e proprio in quel momento sotto le ruote dei “girini” farà la comparsa una pendenza lievissima, un per cento appena, 1.7% al massimo. Sono piccoli numeri ma, al termine di una tappa che di metri di dislivello ne ha proposti più di duemila, possono farsi sentire: non si può certo perderci un Giro, ma per chi oggi si troverà davanti con i primi a sgomitare per la vittoria di tappa potrebbero rivelarsi un ostacolo insormontabile dopo le tante energie spremute sui colli marchigiani.

Mauro Facoltosi

L’Arco d’Augusto a Fano e l’altimetria della dodicesima tappa (www.comune.fano.pu.it)

L’Arco d’Augusto a Fano e l’altimetria della dodicesima tappa (www.comune.fano.pu.it)

I VALICHI DELLA TAPPA

Passo di Monsano (183 metri). Valicato dalla Strada Provinciale 18 “Jesi – Monterado” tra Jesi e San Marcello. Coincide con il bivio con Monsano e con la Strada Provinciale “della Barchetta”, dalla quale proverranno i corridori. Il Giro vi è transitato l’ultima volta nel finale della tappa Pescara – Jesi, vinta dall’eritreo Biniam Girmay: il primo corridore a transitare al GPM di Monsano, 1.6 Km prima di arrivare al valico, era stato il lucano Domenico Pozzovivo.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Ci sono film che nel corso degli anni sono diventati veri e propri “cult”, nonostante talvolta siano stati accolti con tiepidezza dalla critica e dagli esiti dei botteghini. Uno di questi è, indubbiamente, “L’allenatore nel pallone”. Alzi la mano chi ha visto almeno una volta questa pellicola, uscita nel 1984 e divenuta un autentico tormentone dei palinsesti cinematografici non solo grazie all’interpretazione di Lino Banfi ma anche alla trama “cucita” letteralmente addosso all’attore pugliese da un team di sceneggiatori che comprende lo stesso Banfi e ben tre registi, Sergio Martino – che “firmerà” l’opera – Romolo Guerrieri e Pier Francesco Pingitore, quest’ultimo principalmente conosciuto per essere l’autore dei programmi televisivi di satira messi in scena dalla compagnia del “Bagaglino”. La fama del film è stata tale che molti degli appassionati snocciolano oramai a memoria le battute di Oronzo Canà, l’improbabile allenatore che si ritrova proiettato nella serie A dopo esser stato nominato mister della neopromossa Longobarda. E molti altri “tifosi” di Canà non hanno esitato negli anni a recarsi in visita, quasi un pellegrinaggio, nei luoghi dove è stata girata la pellicola, tra il Lazio (la casa di Canà si trova a Marino, sui Colli Albani) e il Brasile, dove Banfi fu in azione tra lo storico stadio Maracanà e il sottostante campetto (oggi non più esistente) dove Canà incontrerà per la prima volta il giovane talento Aristoteles. Ma che c’entra tutto questo con le Marche e con i luoghi attraversati dai corridori? C’entra eccome perché è da lì che tutto ha inizio: prima ancora che entri in scena Oronzo Canà è a San Benedetto del Tronto che si gioca la partita che, al termine del campionato di serie B, spalanca alla Longobarda le porte della massima categoria. Il set prescelto da Sergio Martino fu lo stadio Fratelli Ballarin, intitolato alla memoria di due calciatori deceduti nella Strage di Superga. L’impianto era in corso di dismissione e già dal 1985 sarà sostituito dal nuovissimo Stadio Riviera delle Palme, dove lo stesso Martino tornerà a distanza di un anno per girare “Mezzo destro mezzo sinistro – 2 calciatori senza pallone”, film che nelle intenzioni originali avrebbe dovuto costituire il sequel del “L’allenatore nel pallone”. Per motivi mai rivelati, però, la partecipazione di Banfi saltò all’ultimo momento e così la produzione si vide costretta a modificare la trama sostituendo Canà con il severissimo allenatore argentino Juan Carlos Fulgencio, la cui interpretazione fu affidata all’attore siciliano Leo Gullotta. Forse proprio a causa dell’assenza di Banfi il film non ottenne il successo del precedente e per rivedere Canà in azione bisognerà attendere quasi 25 anni, quando lo strampalato allenatore pugliese sarà invitato a tornare a dirigere la Longobarda ne “L’allenatore del pallone 2” (2008), ma anche in questo caso non si riuscì a raggiungere la fama del primo capitolo.

In collaborazione con www.davinotti.com

Le scene della partita che spalanca alla Longobarda le porte delle Serie A: solo le scene iniziali de “L’allenatore nel pallone” (www.davinotti.com)

Le scene della partita che spalanca alla Longobarda le porte delle Serie A: solo le scene iniziali de “L’allenatore nel pallone” (www.davinotti.com)

Qui potete vedere le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/l-allenatore-nel-pallone/50002209

FOTOGALLERY

La spiaggia di Martinsicuro

San Benedetto del Tronto, Torre dei Gualtieri

Grottammare, Chiesa di Santa Lucia

Vista panoramica da Sant’Elpidio a Mare verso i colli del distretto calzaturiero fermano

Recanati, Palazzo Leopardi

Il borgo di Castelfidardo visto da lontano

Osimo, Piazza del Comune

Jesi, Teatro Pergolesi

Monsano, Santuario di Santa Maria fuori Monsano

Il muro di Ostra

Castello di Monterado

Le antiche mura di Mondolfo

Fano, Bastione Sangallo

RITORNO AI TRABOCCHI

Il Giro ritorna sulla Costa dei Trabocchi, lo spettacolare tratto del litorale adriatico che lo scorso anno ospitò la cronometro d’apertura della Corsa Rosa. Sarà l’occasione per rivedere in azione i velocisti, che non trovavano un traguardo adatto ai lori mezzi dalla tappa di Lucca.

Tutti ricordiamo lo spettacolare scenario che fece da sfondo, lo scorso anno, alla “Grande Partenza” del Giro d’Italia, scattato dalla Costa dei Trabocchi, il tratto del litorale abruzzese punteggiato dalle caratteristiche palafitte installate a pochi metri dalla riva, utilizzate dai pescatori e talvolta attrezzate con piccoli ristoranti nei quali degustare pesce fresco di giornata. Dodici mesi dopo la Corsa Rosa tornerà ad affacciarsi da questo balcone naturale e lo farà in una tappa dove ancora la successione dei trabocchi ruberà di tanto in tanto la scena ai corridori, perché gli ultimi 120 Km si svolgeranno costantemente in riva all’Adriatico, per la gioia dei velocisti che da diversi giorni non trovavano pane per i loro denti sulle strade del Giro. Le difficoltà altimetriche non mancheranno comunque e avranno la forma delle tre salite pedalabili che caratterizzeranno il tratto iniziale e dei piccoli strappetti che spezzeranno la pianura nella seconda parte della gara, che quando entrerà in scena la pianura sarà resa ancor più fluida dalla presenza d’interminabili rettilinei, come quello di quasi 3 Km e mezzo che porterà dritto al traguardo di Francavilla al Mare. Attenzione, però, a quest’ultimo, il mare, che potrebbe tirare un brutto scherzetto ai corridori lasciando irrompere sul percorso di gara il vento che spesso sferza i litorali, con il rischio che si vengano a creare le temute fratture in seno al gruppo, frazionamenti che possono far perdere parecchi minuti e che in gergo sono definiti con il nome di ventagli.
Si partirà dai colli appennici e lasciato il centro di Foiano di Val Fortore si dovrà affrontare, subito dopo il via, la dolce salita (7.2 Km al 3.5%) verso San Bartolomeo in Galdo, borgo recentemente adornatosi di murales realizzati a partire dal 2010, dopo la decisione di restaurare quello realizzato nel 1976 per omaggiare la visita del gruppo musicale cileno degli Inti-Illimani, che si era trasferito in Italia dopo il colpo di stato che tre anni prima aveva rovesciato il presidente Salvador Allende.
All’inizio della successiva discesa la Corsa Rosa entrerà in Puglia, che sarà attraversata per soli 18 Km, tratto nel quale non saranno previsti passaggi da centri abitati, andando invece a imboccare la statale che collega Foggia a Campobasso. Procedendo in direzione di quest’ultima si supererà il confine con il Molise presso l’estremità meridionale del lago artificiale di Occhito, del quale si può ammirare una spettacolare vista dall’alto raggiungendo il vicino centro di Gambatesa e affacciandosi dal belvedere sottostante il Castello di Capua. È una deviazione che non faranno i “girini” che, invece, dopo ancora qualche chilometro sullo scorrevole fondovalle del torrente Tappino, lasceranno la direttrice per Campobasso per risalire il versante opposto rispetto a quello di Gambatesa, diretti al borgo di Pietracatella dove, dopo circa 7 Km d’ascesa al 6.1%, si disputerà l’unico Gran Premio della Montagna di giornata. Assegnati i punti per la classifica degli scalatori non s’inizierà subito a scendere poiché si rimarrà in quota per circa 6 Km, tratto che terminerà dopo il passaggio da Sant’Elia a Pianisi, borgo meta di pellegrinaggi da parte dei devoti di Padre Pio, che visse per quattro anni nel locale convento francescano.
Saltabeccando sui colli molisani si affronterà una salita di 4 Km al 4.7% che terminerà nei pressi della stazione di Ripabottoni, uno dei centri che furono maggiormente colpiti dal terremoto del 31 ottobre 2002, principalmente ricordato per la morte di 27 bambini, travolti dal crollo della locale scuola elementare, nel vicino centro di San Giuliano di Puglia. Un altro breve tratto in salita, uno strappo di 800 metri al 5.2%, anticiperà il passaggio nel centro di Casacalenda, cittadina presso i quali si trovano i ruderi dell’antica Gerione, andata distrutta in occasione di un altro terremoto – avvenuto nel 1456 e ricordato come il più forte del secondo millennio – e famosa per essere stata espugnata dal celebre Annibale, che vi si accampò nel 217 avanti Cristo durante la Seconda Guerra Punica.
Inizierà ora la lunga discesa che riporterà il Giro in pianura, una planata di quasi 30 Km interrotta da una salita di 1 Km al 4.9% che s’incontrerà in vista del passaggio da Larino, centro del quale è originario l’indimenticato giornalista sportivo Aldo Biscardi, nato nel 1930, e presso il quale è possibile ammirare la gotica la cattedrale romano-gotica di San Pardo e il simbolo della città molisana, l’anfiteatro dell’antica città romana di Larinum.
Guadagnata la pianura bisognerà percorrere ancora una decina di chilometri sulle strade dell’entroterra prima di giungere in riva al mare, che s’incontrerà poco prima di giungere a Termoli, cittadina sede dell’unico porto molisano, base di partenza per i turisti diretti all’arcipelago delle Isole Tremiti.
Sfiorata l’antica torre costiera del Sinarca, che prende il nome dal torrente che un tempo ne alimentava la cisterna, i corridori imboccheranno il primo degli interminabili rettilinei che caratterizzano il finale e poi faranno ritorno in Abruzzo all’altezza della marina di San Salvo, luogo dove lo scorso anno terminò la prima tappa in linea, vinta in volata dal friulano Jonathan Milan. Subito dopo ci si allontanerà brevemente dalla linea di costa per portarsi, al termine di un breve e pedalabile tratto in salita (1500 metri al 4.2%), nella cittadina di Vasto, l’antica Histonium che secondo la tradizione fu fondata da Diomede e che è un centro saldamente legato alla storia della nostra nazione e anche a quella del Giro. Vastese, infatti, era il predicatore Teodorico Pietrocola Rossetti che, durante la sua opera di evangelizzazione, diede un notevole aiuto al progetto unitario, trovando pure il tempo di coltivare diverse amicizie, come quello che lo legò allo scrittore inglese Lewis Carroll, per il quale tradusse e diffuse in Italia “Alice nel paese delle meraviglie”. Il legame di Vasto col Giro risale al 1932, quando sulla scrivania di Armando Cougnet fu portato un corposo plico contenente una raccolta di firma di cittadini vastesi, che richiedevano con forza il passaggio della corsa rosa o almeno un arrivo nelle vicinanze. Pur ribadendo che sarebbe stato impossibile accontentare tutti, l’allora direttore del Giro accolse la richiesta e già in quello stesso anno ci fu un arrivo nella non lontana Lanciano, dove s’impose Learco Guerra. Per vedere un arrivo “confezionato” in casa si dovrà, però, attendere fino al 1959, quando Gastone Nencini si impose su di un traguardo replicato in altre quattro occasioni, l’ultima nel 2000.
Sfiorata l’area del porto di Vasto, il cui faro è il secondo per altezza d’Italia (70 metri) dopo la Lanterna di Genova, il percorso ritroverà la litoranea e un’altra serie di veloci rettilinei, come quello che inizierà subito dopo aver scavalcato il corso del fiume Sangro in prossimità della sua foce. Immediatamente dopo il gruppo sarà accolto dai tifosi di Fossacesia Marina, la località balneare dalla quale lo scorso anno la prima tappa del Giro prese le mosse ai piedi della collina sulla quale si staglia la millenaria abbazia di San Giovanni in Venere. Il primo atto dell’edizione 2023 fu una cronometro individuale di circa 20 Km che si corse quasi interamente sulla pista ciclabile realizzata dopo la dismissione di un tratto della Ferrovia Adriatica, mentre stavolta i “girini” rimarranno sulla parallela strada statale, che presenta un tracciato leggermente più tortuoso, movimentato anche da qualche saliscendi. In particolare quando all’arrivo mancheranno 24 Km si dovranno superare in rapida successione tre brevi ascese che difficilmente turberanno il sonno ai velocisti, la prima delle quali – 1.2 Km al 4.9% – si conclude in prossimità del cimitero militare canadese di Ortona, memento dei combattimenti qui avvenuti nel dicembre del 1943 durante i drammatici anni della Seconda Guerra Mondiale. La successiva difficoltà altimetrica – 1300 metri al 5.1% – terminerà proprio alle porte della vicina Ortona, dove lo scorso anno il belga Remco Evenepoel andò, come da previsioni della vigilia, a prendersi la prima maglia rosa con un vantaggio di 22 secondi su un altro dei favoriti per la vittoria di tappa, il recordman dell’ora Filippo Ganna. Superato un ultimo strappo di 900 metri al 4.5%, a 14 Km dalla conclusione si ritroveranno strade veloci e filanti e si entrerà in Francavilla al Mare con un interminabile rettilineo che, salvo piccole deviazioni di rotta, misura ben 7 Km. Un paio di curve a gomito lanceranno, infine, il gruppo sull’altrettanto lungo rettifilo che condurrà al traguardo, sul lungomare di Francavilla, luogo dove i velocisti in gara sgomiteranno come bagnanti all’affannosa ricerca di un privilegiato posto al sole…

Mauro Facoltosi

Scorcio di Francavilla al Mare e l’altimetria dell’undicesima tappa (wikipedia)

Scorcio di Francavilla al Mare e l’altimetria dell’undicesima tappa (wikipedia)

CIAK SI GIRO

Il Molise è la Cenerentola delle regioni italiane. Nonostante l’indipendenza amministrativa ottenuta dall’Abruzzo 1963 talvolta si fatica a non associarla all’altra regione, al punto che anche il Touring Club Italiano non ha mai aggiornato la collana delle celebri “Guide Rosse d’Italia” e il Molise è ancora oggi accomunato all’Abruzzo nello specifico volume. Non è un caso che sia una delle regioni meno visitate dalla Corsa Rosa, preceduta in questo record negativo solo dalla Sardegna: due volte si è arrivati a Isernia, tre a Termoli, sette volte a Campitello Matese e dodici nel capoluogo Campobasso. E anche il cinema non si è ricordato troppo spesso del Molise, anche se sulle sue strade si è vista una star del calibro della spagnola Penélope Cruz, che nel 2004 interpretò un personaggio di nome Italia nel film “Non ti muovere”, diretto da Sergio Castellitto e ispirato a un romanzo scritto dalla moglie Margaret Mazzantini. In quanto ai luoghi toccati dalla tappa odierna è possibile ammirare alcuni scorci di Termoli, tra i quali la romanica cattedrale di Santa Maria della Purificazione, in “Stesso sangue”, pellicola del 1988 diretta e sceneggiata dai registi romani Egidio Eronico e Sandro Cecca. Il film, che racconta le vicende di due fratelli rimasti orfani messisi in viaggio privi di mezzi economici e di una meta precisa, fu quasi interamente girato in Molise, ma le riprese “strabordarono” anche nelle regioni confinanti e così nel film si possono notare anche un’azienda del centro abruzzese di San Salvo e una suggestiva chiesa sconsacrata trasformata in masseria situata nel comune abruzzese di Chieuti.

In collaborazione con www.davinotti.com

Penélope Cruz e Sergio Castellitto attraversano in auto le rovine dell’antica città di Saepinum nel film “Non ti muovere” (www.davinotti.com)

Penélope Cruz e Sergio Castellitto attraversano in auto le rovine dell’antica città di Saepinum nel film “Non ti muovere” (www.davinotti.com)

Il duomo di Termoli visto nel film “Stesso sangue” (www.davinotti.com)

Il duomo di Termoli visto nel film “Stesso sangue” (www.davinotti.com)

Qui potete vedere le altre location dei due film citati

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/non-ti-muovere/50009386

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/stesso-sangue/50002671

FOTOGALLERY

San Bartolomeo in Galdo, il murales “Marcia della fame” restaurato nel 2010

Lago di Occhito

Gambatesa, Cappella di Capua

Sant’Elia a Pianisi, convento francescano

Larino, anfiteatro romano dell’antica Larinum

Termoli, Torre del Sinarca

Vasto, Faro di Punta Penna

Fossacesia Marina, la foce del fiume Sangro

Fossacesia, Abbazia di San Giovanni in Venere

Il trabocco Punta Rocciosa, uno dei tanti che punteggiano il tratto di litorale adriatico che sarà costeggiato dai “girini”

Ortona, cimitero militare canadese

Castello di Ortona

ARRIVANO LE FORCHE CAUDINE… IN BOCCA ALLA SELVA!!!

Dopo il giorno di riposo trascorso all’ombra del Vesuvio, momento che diversi corridori temono più d’un tappone, il Giro si rimette in marcia con una frazione di montagna apparentemente poco impegnativa. L’ascesa finale verso Bocca della Selva non offre grandi numeri nelle pendenze, ma è lunga quasi 20 Km e presenta variazioni di ritmo indotte da un paio di lunghi spianamenti. Se qualche big non avrà digerito il riposo potrebbe incontrare in questa giornata le sue “forche caudine” e lasciar per strada qualche minuto.

Ci sono valichi – come lo Stelvio e il Mortirolo – i cui nomi sono rimasti nella storia quasi esclusivamente per meriti sportivi; ce ne solo altri non hanno né appeal, né curriculum ciclistico e tra questi ce n’è uno che è riuscito ugualmente a ritagliarsi uno spazio sui libri di storia. È la Stretta di Arpaia, modesta ascesa di 3.2 Km al 4.3% che per i “girini” sarà la prima difficoltà altimetrica della decima tappa e che è più celebre con il toponimo di Forche Caudine, luogo che i libri di storia ci hanno tramandato come la gola dove l’esercito romano, durante la seconda guerra sannitica, subì una delle più celebri sconfitte che si ricordi, al punto che ancora oggi quel termine è sinonimo di cocente umiliazione. E la tappa che vi transiterà potrebbe per davvero rivelarsi una “forca caudina” per qualcuno a causa della sua posizione in calendario, piazzata subito dopo il primo dei due giorni di riposo, momenti che l’UCI ha reso obbligatori dal 2002 ma che per diversi corridori sono indigesti perché spezzano il ritmo di gara che si era consolidato nella prima settimana. Il rischio è di faticare a ricarburare al momento della ripartenza, soprattutto se ci si rimette in viaggio con una tappa a cronometro o una di montagna, proprio come quella che si concluderà in salita a Bocca della Selva. Quest’ultima non è una salita all’apparenza durissima (la pendenza media è del 5,6%), ma misura quasi 20 Km e presenta un andamento a corrente alternata e se qualche corridore non avrà metabolizzato il riposo potrebbe anche perdere diversi minuti, soprattutto al momento d’affrontare i tratti più difficili. E la storia di ciclismo non è avara di episodi di crolli verticali avvenuti proprio in circostanze simili a quella della tappa odierna, che scatterà da Pompei. Lasciata la città celebre non solo per gli scavi ma anche per il Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario – uno dei principali d’Italia, costruito a partire dal 1876 su iniziativa del beato Bartolo Longo e grazie alle offerte spontanee dei fedeli – la corsa si snoderà in pianura nei primi 50 Km, scostandosi subito dopo il via dalle pendici del Vesuvio per puntare verso le prime alture dell’Irpinia. In questa fase d’apertura si toccherà Poggiomarino, centro che vanta un’area archeologica di scoperta recente, un villaggio protostorico di capanne rinvenuto nel 2000 presso una discarica e attorno al quale è stato realizzato il Parco Archeo-Fluviale di Longola. Proseguendo la risalita dello stivale italico ci si porterà quindi a Palma Campania, cittadina che merita il soggiorno in occasione del carnevale, che qui non prevede la solita sfilata di carri allegorici ma l’esibizione dei gruppi folcloristici delle “Quadriglie”, eredi di una tradizione che risale al 1600. Attraversata la vicina Nola – antica cittadina conosciuta per la popolare “Festa dei Gigli” e della quale fu vescovo Paolino, il santo ritenuto l’inventore delle campane – il gruppo giungerà a Cimitile, piccolo centro che vanta ben quattro basiliche, inserite in un complesso paleocristiano iniziato nel IV secolo. Transitando ai piedi della montagna che ospita il Santuario di Sant’Angelo a Palombara, fondato in posizione panoramica nell’879, la Corsa Rosa lascerà la provincia di Napoli per passare in quella di Caserta e portarsi ai piedi della salita delle Forche Caudine, superata la quale la strada tornerà pianeggiante per una decina scarsa di chilometri. Transitati da Montesarchio – nel cui castello è possibile ammirare il vaso del “Ratto di Europa”, realizzato nel IV secolo avanti Cristo dal ceramografo Assteas e ritenuto il più bello del mondo – per i “girini” comincerà la seconda salita di giornata. Sono 2800 metri all’8.8%, corrispondenti al tratto iniziale dell’ascesa diretta al Taburno, montagna localmente nota con il soprannome di “Dormiente del Sannio” perché il suo profilo ricorda quello di una donna coricata. Sfiorato il borgo d’origine medioevale di Cautano, nel corso della successiva discesa si punterà in direzione di Vitulano, che il gruppo attraverserà dopo aver iniziato la salita del Camposauro, 6.5 Km al 7.4% scavalcati i quali si planerà su Solopaca, centro noto agli appassionati di enologia per aver dato il nome a ben sette vini e non è un caso che qui si possa visitare il MEG, un museo dedicato all’eno-gastronomia, ospitato nell’antico Palazzo Cutillo.
Attraversato il fiume Calore sull’ottocentesco Ponte Maria Cristina, il cui nome richiama la sovrana che lo inaugurò nel 1835 e che nel 2014 è stata proclamata beata dalla chiesa cattolica, s’imboccherà l’ultimo tratto pianeggiante di questa tappa, giusto 2600 metri tranquilli prima di riprendere l’ascensore e affrontare uno strappo di 1.3 Km al 5.7%, prodomo alla successiva ascesa di 4.8 Km al 4.9% che terminerà alle porte di Guardia Sanframondi: è il centro del beneventano che nel 2021 ha ospitato l’arrivo di una tappa del Giro vinta dal francese Victor Lafay, mentre nel 2003 vi si era conclusa la prima tappa in linea del Giro femminile, conquista dalla lituana Rasa Polikevičiūtė. Seguirà un tratto in quota lungo poco meno di 20 Km nel corso del quale prima si toccherà Cerreto Sannita, luogo di produzione di ceramiche tra il XVII e il XVIII secolo, e poi, superata in galleria le suggestive forre del Triferno, si affronterà uno strappo di 700 metri dal 6% in corrispondenza dell’attraversamento di Cusano Mutri, il comune titolare dell’arrivo di tappa. Subito dopo aver toccato questo centro avrà inizio la lunga ascesa finale, una salita non unitaria perché due tratti intermedi la spezzano in tre tronconi, inficiando il dato della pendenza media. Si comincerà con i 6 Km al 6.8% che condurranno il gruppo a Pietraroja, centro il cui nome è segnalato sui principali libri che trattano di archeologia italiana perché nel 1980 vi fu rinvenuto il fossile del primo dinosauro scoperto nella nostra nazione, un cucciolo che fu “battezzato” con il nome di Ciro. Per un chilometro la strada diventerà perfettamente pianeggiante, poi si attaccherà la seconda balza dell’ascesa finale, più pedalabile della precedente (2.7 Km al 5.9%) e seguita da un ultimo tratto tranquillo, 2 Km nel corso dei quali si perderà anche qualche metro di quota. Infine, quando mancheranno 6 Km all’arrivo si attaccherà la parte più impegnativa dell’ascesa finale, poiché fino al traguardo si dovrà pedalare su di un’inclinazione media del 7.7%, buona per fagocitare le speranze di quei corridori avranno ancora sullo stomaco il giorno di riposo. La Bocca della Selva è pronta a spalancare le sue fauci….

Mauro Facoltosi

Il borgo di Cusano Mutri e l’altimetria della decima tappa (wikipedia)

Il borgo di Cusano Mutri e l’altimetria della decima tappa (wikipedia)

I VALICHI DELLA TAPPA

Forche Caudine (283 metri). Note anche con il nome geografico di Stretta di Arpaia, è la gola che separa il Monte Castello dal Monte Tairano. Valicate dalla Strada Statale 7 “Via Appia” tra Santa Maria a Vico e Arpaia, sono state attraversate spesso dal Giro d’Italia, ma non vi si è mai disputato un traguardo GPM. L’ultimo passaggio risale al 2000, durante la tappa Terracina – Caserta vinta dal mantovano Cristian Moreni.

Bocca della Selva (1393 metri). Vi transita la Strada Provinciale 89 tra Pietraroja e il Lago del Matese. Quotata 1392 metri sulle cartine del Giro 2024, vi sorge l’omonima stazione di sport invernali, presso la quale la Corsa Rosa nel recente passato ha collocato in due occasioni lo striscione di un GPM di passaggio, mentre l’arrivo di tappa previsto quest’anno sarà una novità assoluta. La prima scalata è avvenuta nel 2016 durante la tappa Ponte – Roccaraso, vinta dal belga Tim Wellens, quando alla Bocca della Selva si salì dal medesimo versante di quest’anno e in vetta transitò per primo il bresciano Alessandro Bisolti. È stato, invece, il belga Kobe Goossens a far suo questo GPM nel 2021, quando si è saliti dal versante opposto: la tappa, disputata tra Foggia e Guardia Sanframondi, terminò con la vittoria in solitaria del francese Victor Lafay.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Oggi il Giro riparte da Pompei, la città universalmente nota per la sua area archeologica, riportata alla luce a partire dal 1748 su iniziativa del re di Napoli Carlo III di Borbone, rimasto impressionato dai ritrovamenti avvenuti qualche anno prima nella vicina Ercolano. Così tornò a mostrarsi all’occhio umano la città romana rimasta sepolta sotto le ceneri del Vesuvio dopo la catastrofica eruzione avvenuta il 24 ottobre del 79 dopo Cristo e anche l’occhio della macchina da presa arriverà a immortalare scorci dell’antica Pompeii, con la doppia i secondo la denominazione adottata in epoca romana. In ordine cronologico il primo regista a scegliere di girare un film tra gli scavi fu il romano Mario Costa, che nel 1955 scese in Campania per le riprese di “Prigionieri del male”, opera che narra le vicende di una giornalista russa atea venuta in Italia per compiere un’inchiesta sul cattolicesimo e che invece finirà per convertirsi. Bisognerà poi aspettare 14 anni per vedere nuovamente una troupe muoversi tra le vestigia dell’antica città perché nel 1969 Pompei sarà s scelta dal regista vicentino Gian Luigi Polidoro per girarvi alcune scene di “Satyricon”, film che fu prodotto contemporaneamente – con tanto di polemiche e querele – a quello omonimo di Federico Fellini, che si vide costretto ad aggiungere il suo cognome al titolo per non confondere gli spettatori: si temeva che questi ultimi avrebbero corso il rischio di andare al cinema per vedere un film storico firmato dal grande cineasta romagnolo e di trovarsi in sala ad assistere a una commedia parodistica con accenni all’erotismo. Nulla impedì alla pellicola del Polidoro di uscire in sala, dove si poté così ammirare alcuni dei più celebri scorcii dell’antica città come la Villa di Giulia Felice e la celebre Villa dei Misteri, i cui affreschi fanno da sfondo alle scene ambientate nella dimora che il liberto arricchito Trimalcione – interpretato dall’indimenticato Ugo Tognazzi – intende lasciare in eredità alla sua cagnetta.

In collaborazione con www.davinotti.com

La protagonista del film si aggira tra le rovine di Pompei in “Prigionieri del male” (www.davinotti.com)

La protagonista del film si aggira tra le rovine di Pompei in “Prigionieri del male” (www.davinotti.com)

La villa di Giulia Felice in “Satyricon” (www.davinotti.com)

La villa di Giulia Felice in “Satyricon” (www.davinotti.com)

Qui potete vedere le altre location dei due film citati

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/non-ti-muovere/50009386

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/stesso-sangue/50002671

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Il Vesuvio sullo sfondo del Foro di Pompei

Poggiomarino, Parco Archeo-Fluviale di Longola

Cimitile, Complesso Basilicale Paleocristiano

San Felice a Cancello, Santuario di Sant’Angelo a Palombara

In salita verso le Forche Caudine

Castello di Montesarchio

Solopaca, Museo Enogastronomico

Solopaca, Ponte Maria Cristina

Cerreto Sannita, Piazza San Martino

Le forre del Triferno alle porte di Cusano Mutri

Pietraroja, Parco Geopaleontologico

Bocca della Selva

NAPOLI CALA ANCORA IL TRIPLETE

Il Giro si appresta a tornare a Napoli per il terzo anno consecutivo con una tappa il cui finale ricalcherà quello della frazione disputata nel 2022. Tra il promontorio di Monte di Procida e quello di Posillipo gli ultimi 40 Km proporranno una successione di basse colline che movimenteranno la corsa ed escluderanno buona parte dei velocisti dalla possibilità di giocarsi la vittoria, mentre parecchie occasioni da non perdere saranno offerte ai finisseur.

Dopo il terzo scudetto conquistato lo scorso anno la città di Napoli è pronta a un altro “triplete” sportivo, stavolta con il Giro d’Italia. Il capoluogo campano, infatti, ospiterà un arrivo della corsa rosa per il terzo anno consecutivo, un evento più unico che raro in tempi moderni, nei quali già si fatica a trovare municipi che vogliano sobbarcarsi l’onere di ospitare l’arrivo di una tappa di un grande giro per due anni di fila (l’unico caso, in tempi recenti, risale al biennio 2021-2022 quando il Tour de France ha fatto scalo a Carcassonne). Stavolta la tappa partenopea avrà un formato diverso rispetto a quello visto negli ultimi due anni perché Napoli ospiterà solamente l’arrivo della frazione, che scatterà dall’Abruzzo e attraverserà il Lazio prima di giungere in Campania, dove si andrà a ricalcare il tratto conclusivo della tappa disputata nel 2022, che prevedeva di ripetere più volte il tortuoso circuito di Monte di Procida. In particolare negli
ultimi 40 Km si dovrà superare una successione di piccole colline che dovrebbe scongiurare un arrivo in volata a gruppo compatto sul tradizionale traguardo di Lungomare Caracciolo, offrendo parecchi spunti ai finisseur, anche se l’ipotesi di uno sprint finale non va del tutto esclusa. Entrerebbero così in giochi quei velocisti che sanno rimanere a galla tra i flutti dei finali più tormentati, corridori del calibro del belga Wout Van Aert, che prenderà parte alla Corsa Rosa per la prima volta in carriera e le cui doti sui percorsi più tormentati sono ben note: in particolare sulle nostre strade andiamo a rimarcare l’affermazione alla Milano-Sanremo nel 2020 e alla Coppa Bernocchi lo scorso anno.
Il raduno di partenza si svolgerà ad Avezzano, la cittadina che ha legato sportivamente il suo nome al ricordo di Vito Taccone, l’indimenticato “Camoscio d’Abruzzo” che al Giro colse le principali affermazioni della sua carriera, come le quattro tappe vinte consecutivamente nel 1963, alle quali aggiunse qualche giorno più tardi l’affermazione nel tappone dolomitico di Moena.
Il tratto iniziale si snoderà in scorrevole discesa sulle strade della Valle Roveto toccandone i principali centri, quasi tutti ricostruiti ex novo nel fondovalle dopo il tremendo terremoto che colpì la Marsica il 13 gennaio del 1915, causa più di trentamila vittime e classificato al quinto posto tra i sismi italiani più forti di tutti i tempi, con una magnitudo di 11 gradi della vecchia Scala Mercalli. All’inizio di questo tratto si transiterà per Civitella Roveto, dove è possibile visitare una pinacoteca d’arte moderna intitolata a Enrico Mattei, l’imprenditore che nel 1953 fondò l’ENI e il cui padre era originario di questo centro. Il passaggio dalla nuova Balsorano, ricostruita ai piedi del colle sui quali si trovano il vecchio centro e il Castello Piccolomini (del quale parleremo più avanti nella rubrica “Ciak si giro”), anticiperà di qualche chilometro l’ingresso in Lazio, che accoglierà la corsa rosa alle porte di Sora, la città natale del grande attore e regista Vittorio De Sica, nel cui centro spicca la Cattedrale di Santa Maria Assunta, innalzata nell’XI secolo nel luogo dove un tempo sorgeva il “Forum Aureum” dell’omonima colonia romana. Attraversata la piana in parte occupata dal Lago di Posta Fibreno, famoso per la sua isola galleggiante di arbusti che può essere spostata con la sola pressione di un piede, si sfiorerà il colle sul quale si erge il Castello di Vicalvi, noto agli appassionati di esoterismo per il fantasma di una cortigiana che, secondo la leggenda, vi uccideva gli amanti ai quali si accompagnava durante le assenze del marito. Poco più avanti si lascerà la solita viabilità per imboccare un lungo tratto – quasi 30 Km – nel quale si percorrerà una strada a scorrimento veloce, superstrada inserita nel percorso per evitare ai “girini” la comunque facile salita del Capo di China e il passaggio dall’antica cittadina volscia di Atina, definita “potente” dal celebre Virgilio, il quale ebbe l’opportunità di ammirare le sue possenti mura poligonali, delle quali oggi rimangono solo alcuni avanzi. Si uscirà da questo scorrevole tratto una volta giunti nella piana di Cassino, dominato dall’altura sulla quale non si trova solamente la celebre abbazia, ma anche la vetusta Rocca Janula, che per secoli fu il cuore militare della cosiddetta “Terra di San Benedetto” e che pure subì pesanti danneggiamenti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, oggi ricordati da un Monumento alla Pace che fu eretto poco distante dal castello e realizzato dallo scultore Umberto Mastroianni (zio del celebre attore Marcello).
Toccata Pignataro Interamna – il cui toponimo ricorda l’antica colonia romana di Interamna Lirenas, che ebbe notevole importanza per l’esercito romano quale base d’appoggio in occasione della guerra contro i sanniti – s’imboccherà un secondo e più breve tratto di superstrada, con il quale si sguscerà attraverso le alture dei Monti Aurunci percorrendo il viadotto che bypassa il centro di Ausonia, situato su una collina al cui vertice si trova la collegiata di San Michele Arcangelo, al cui interno si possono vedere le are che abbellivano un antico tempo dedicato a Ercole, sulle cui rovine fu innalzata la chiesa. Quando mancheranno poco meno di 100 Km all’arrivo il gruppo giungerà in prossimità delle rive del Mar Tirreno all’altezza dell’area archeologica dell’antica Minturnae, situata lungo l’asse della storica Via Appia e caratterizzata in particolare dalla presenza di un teatro risalente al primo secolo dopo cristo.
Varcando il corso del Garigliano su un viadotto moderno parallelo all’ottocentesco Ponte Real Ferdinando, che fu il primo sospeso a catenaria di ferro realizzato in Italia, la Corsa Rosa entrerà in Campania imboccando la strada che ricalca le rotte dell’antica Via Domitiana, la principale strada consolare costruita su iniziativa dell’imperatore Domiziano per ridurre i tempi di percorrenza tra il porto di Puteoli (l’odierna Pozzuoli) e la capitale, costeggiando per un lungo tratto il Tirreno. Il tratto costiero per il gruppo inizierà alle porte di Mondragone, il principale centro del litorale casertano e nota stazione balneare, molto frequentata grazie all’estensione della sua spiaggia, che costuisce anche l’estremità meridionale del golfo di Gaeta. Ci si discosterà dal mare giusto il tempo di aggirare il non meno celebre centro di Castel Volturno, poi si riprenderà la litoranea per imboccare il rettilineo più lungo di questa tappa, poco meno di 15 Km nel corso del quale si toccherà il Villaggio Coppola, complesso residenziale principalmente conosciuto per le otto “torri” costruite in riva al mare, vero e proprio ecomostro che sarà demolito a “tappe” tra il 2001 e il 2003. La pineta di Castel Volturno, riserva naturale dal 1977, ruberà la scena al mare nell’ultimo tratto del rettilineo, che si snoderà a breve distanza dal lago di Patria, il più esteso della Campania tra quelli costieri. A questo punto il percorso si discosterà leggermente dal mare, seguitando in pianura in direzione del promontorio di Monte di Procida, prima di giungere al quale con un leggero falsopiano ci si porterà alle soglie dell’antica città di Cuma, famosa in particolare per l’Antro della Sibilla, scoperto nel 1932 nelle viscere della collina dell’acropoli e luogo dove risiedeva la sacerdotessa del culto di Apollo. Le sponde del Lago Fusano, sulle cui acque gli architetti Luigi e Carlo Vanvitelli realizzarono alla fine del ‘700 un casino di caccia per i sovrani borbonici, saranno compagne di viaggio del gruppo nell’ultimo tratto pianeggiante di questa tappa, terminato il quale si dovrà affrontare la prima delle cinque salite che caratterizzano il finale, diretta a Monte di Procida, 3.6 Km al 3.2% con i primi 1300 metri al 5.9% e una ripida rampetta finale di 300 metri all’11.5%.
Percorrendo in discesa la spettacolare strada panoramica che offre impareggiabili viste sulle isole dell’arcipelago campano si planerà in riva al Lago Miseno e subito si riprenderà a salire per affrontare un breve strappo che termina proprio sotto il Castello Aragonese di Baia. Seguirà a ruota la salita più dura di questa tappa, 900 metri all’8.5% seguiti dal tuffo verso il Lucrino, l’ultimo dei quattro bacini costieri che punteggiano il finale e le cui acque furono in epoca romana messe in comunicazione tramite un canale navigabile con quelle del retrostante Lago d’Averno, al fine di realizzare un porto interno nel quale riparare le navi durante una battaglia combattuta tra Ottaviano e Sesto Pompeo.
Il passaggio dalla vicina Pozzuoli arriverà in coincidenza con l’inizio della penultima difficoltà altimetrica di giornata, una salita di 2 Km al 4.8% che inizierà presso l’anfiteatro romano dell’antica Puteoli e si concluderà poco distante dalla Solfatara, il più noto tra i 40 crateri dei Campi Flegrei, presso il quale si possono ammirare fumarole e getti di fango bollente. All’inizio della successiva discesa il gruppo entrerà nel vasto territorio municipale della città di Napoli, che riaccoglierà la Corsa Rosa sulle strade della frazione di Agnano, conosciuta per le terme e per il suo ippodromo. Un altro importante impianto sportivo partenopeo è il glorioso Stadio San Paolo, dal 2020 intitolato alla memoria di Maradona, lambito il quale si tornerà a puntare in direzione del mare, dirigendosi verso l’istmo dell’isola di Nisida, dominata dal castello che oggi ospita un carcere minorile. È un altro dei suggestivi scorci offerti dalla corsa campana, al quale anche i “girini” lanceranno una fugata occhiata proprio al momento d’intraprendere la salita verso Posillipo, 3.3 Km al 4.4% seguiti dalla planata planare verso Mergellina e la Riviera di Chiaia, palcoscenico di un’altra recita del Giro in casa Cupiello.

Mauro Facoltosi

Il quartiere napoletano di Posillipo e l’altimetria della nona tappa (www.napolike.it)

Il quartiere napoletano di Posillipo e l’altimetria della nona tappa (www.napolike.it)

CIAK SI GIRO

Sopra la città di Balsorano, presso l’antico borgo distrutto dal terremoto del 1915 e in seguito recuperato, s’erge la possente mole del Castello Piccolomini, innalzato nel XV secolo sulle fondamenta di una precedente struttura medioevale. Il suo nome può dire poco, il suo aspetto certamente no, soprattutto se si è appassionati di cinema perché questo è stato (e lo è ancora) uno dei castelli più sfruttati dalla “settima arte” quale luogo di riprese. Il sito www.davinotti.com, che da anni sta mappando le location utilizzate nella produzione nostrana di pellicole, ha realizzato una serie di “servizi speciali” dedicati alle location più ricorrenti e tra queste c’è, per l’appunto, il castello di Balsorano, che dal 1964 ad oggi è già stato notato in 32 pellicole, quasi tutte ovviamente ambientate in epoca medioevale ma anche l’hard ha effettato qui più di una capatina e in particolare qui ci fu il debutto nel settore di Moana Pozzi. La prima apparizione sul grande schermo del maniero abruzzese porta la data del 27 maggio 1964, quando uscì nei cinema italiani “La cripta e l’incubo”, film horror italo-spagnolo diretto da Camillo Mastrocinque che ebbe come principale protagonista il britannico Christopher Lee, un attore esperto di questo genere di pellicole, ricordato per aver interpretato in parecchie occasioni il ruolo del principe Dracula. Non bisognerà attendere molto per rivedere il castello di Balsorano al cinema, poiché la vigilia di Natale dello stesso anno uscirà un’altra coproduzione italo-spagnola, il film d’avventura “Genoveffa di Brabante”. Seguiranno, come già detto, una buona trentina di film, anche se l’archivio di Davinotti è in progressivo incremento e tale numero potrebbe essere destinato ad aumentare. Manca per esempio il film “Il pataffio” del 2022, pellicola che rammenta la mitica “Armata Brancaleone” di Mario Monicelli (tra gli interpreti c’è Alessandro Gassmann, figlio dell’indimenticato Vittorio, che invece fu il “mattatore” dell’altro film): questa pellicola ha rappresentato il ritorno di una troupe cinematografica al castello, che non prestava il suo volto a una macchina da presa dal 1995, quando lassù Rocco Siffredi, un’altra stella dell’hard, girò un film pornografico con protagonista lo scespiriano Amleto. Per ritrovare, invece, una pellicola più tradizionale bisogna tornare indietro nel tempo fino al 1984 quando Aristide Massaccesi (un altro che di porno se ne intendeva) ne fece uno dei set del film fantastico “Ator 2 – L’invincibile Orion”, che ha per protagonista un guerriero – interpretato dall’attore statunitense Miles O’Keeffe, conosciuto per aver vestito i panni di Tarzan nel 1981 – la cui missione è quella di salvare la terra dal “nucleo geometrico”, una bomba atomica primitiva.

In collaborazione con www.davinotti.com

La prima apparizione del Castello di Balsorano nel film “La cripta e l’incubo” (www.davinotti.com)

La prima apparizione del Castello di Balsorano nel film “La cripta e l’incubo” (www.davinotti.com)

Il servizio speciale dedicato al castello di Balsorano

https://www.davinotti.com/articoli/il-castello-di-balsorano/160

FOTOGALLERY

Avezzano, Castello Orsini Colonna

Civitella Roveto, Museo Pinacoteca Enrico Mattei

Il Castello di Balsorano visto dal percorso di gara

Sora, Cattedrale di Santa Maria Assunta

Lago di Posta Fibreno

Castello di Vicalvi

Atina, resti della antiche mura

Cassino, la Rocca Janula vista dalla strada a tornanti per l’abbazia di Montecassino

Ausonia, collegiata di San Michele Arcangelo

Minturno, teatro romano

La spiaggia di Mondragone

Lago di Patria

Lago Fusaro, casina vanvitelliana

Lago Miseno

Baia, Castello Aragonese

Lago Lucrino

Pozzuoli, Anfiteatro Romano

Napoli, Isola di Nisida

L’ALTRA FACCIA DEL GRAN SASSO

Dopo la frazione di Oropa affrontata in partenza, il Giro sale ancora in montagna per la prima delle due tappe appenniniche previste nel 2024, nella quale si torneranno ad affrontare le pendici del Gran Sasso d’Italia. A differenza della tappa disputata lo scorso anno, quando si arrivò ai 2130 metri di Campo Imperatore, stavolta l’epilogo sarà sul versante opposto, più basso ma più esigente nelle pendenze. I quasi 15 Km al 7% che condurranno ai Prati di Tivo promettono uno spettacolo più appassionante rispetto a quello deludente vissuto dodici mesi fa.

Ricorderete che dodici mesi fa la tappa con arrivo sul Gran Sasso si risolse in un totale “no contest” tra gli uomini di classifica, intimoriti dalla cronoscalata monstre del penultimo giorno che condizionò fortemente anche tutte le altre tappe. Quest’anno si tornerà sulla montagna più alta d’Abruzzo, ma il rischio di rivedere un simile e deludente “spettacolo” non ci sarà e non soltanto per la mancanza di una tappa “accentratrice” come quella del Lussari; stavolta, infatti, il Gran Sasso sarà affrontato dal versante teramano, decisamente più difficile di quello aquilano pur non salendo sopra i 2000 metri di quota, com’era successo lo scorso anno quando si arrivò sopra Campo Imperatore. Ci si fermerà ai 1450 metri sul livello del mare della stazione di sport invernali di Prati di Tivo, percorsa una salita poco abituale per la Corsa Rosa ma che negli ultimi anni si è costruita un piccolo ma già blasonato curriculum grazie ai recenti arrivi della Tirreno-Adriatico, che ha visto lassù imporsi campioni del calibro di Vincenzo Nibali (2012) e di Chris Froome (2013). Decisamente più lontano nel tempo è l’unico precedente del Giro che porta la data del 19 maggio del 1975, quando questo traguardo fu tenuto a battesimo da un altro grande del ciclismo, il vicentino Giovanni Battaglin. La possibilità di vedere grande spettacolo verso Prati di Tivo sarà, dunque, garantita e non soltanto per i numeri dell’ascesa finale – quasi 15 Km al 7% – ma anche per il disegno complessivo della tappa: strada facendo si dovranno affrontare quasi 3800 metri di dislivello, “spalmati” su altre 6 ascese oltre a quella finale. Su tutto peseranno gli sforzi della crono del giorno prima e anche lo stress indotto dalla precedente tappa di Rapolano, se qualcuno si sarà trovato ad inseguire sullo sterrato.
Il biglietto per la salita dovrà essere obliterato subito dopo il via perché, lasciato il raduno di partenza all’ombra della bianca mole della Rocca Albornoziana di Spoleto, la tappa comincerà con l’ascesa di quasi 9 Km al 4.3% verso la Forca di Cerro. Si scenderà quindi in Valnerina, sul cui fondovalle s’incontrerà uno dei rarissimi e brevi tratti pianeggianti previsti dalla tappa, percorrendo il quale si sfiorerà il borgo di Castel San Felice, presso il quale si trova l’Abbazia dei Santi Felice e Mauro, intitolata ai due eremiti che evangelizzarono questa valle nel V secolo. Raggiunto il vicino centro di Sant’Anatolia di Narco, dove è possibile visitare un museo dedicato alla coltivazione della canapa, la strada tornerà a inerpicarsi e stavolta in direzione della più lunga salita di giornata, che condurrà in 16.4 Km ai quasi 1200 metri della Forca Capistrello, ascesa caratterizzata da una pendenza media del 5.6% e da una rampa di 1400 metri al 9% medio nel tratto conclusivo. Si tratta di una difficoltà inedita per la Corsa Rosa, almeno da questo lato, poiché nell’unico precedente del 2007 si salì dal più facile versante che plana verso Monteleone di Spoleto, borgo cinto da una triplice cinta muraria al cui interno sono conservate numerose chiese. Terminata la discesa e lasciata la strada sulla sinistra che conduce alla celebre Cascia, il gruppo imboccherà la modestissima ascesa – più che altro un lungo falsopiano – che introdurrà la corsa nel Lazio, dove si attraverserà l’altopiano di Leonessa, situato ai piedi del Terminillo e al cui centro si adagia l’omonima località di villeggiatura, dove si può ammirare la duecentesca chiesa di San Francesco, la cui facciata romano-gotica è ancora oggi “imbrigliata” a causa dei danni provocati dal terremoto che nel 2016 ha distrutto la vicina Amatrice. Per uscire dalla conca di Leonessa si dovrà scavalcarne il bordo orientale superando una salita di 2.7 Km al 4.2%, seguita da un altro tratto in quota e dalla discesa verso la Valle del Velino, che sarà incrociata all’uscita dalle gole di Sigillo, definite sul volume dedicato al Lazio delle celebri “Guide Rosse” del TCI come la forra più suggestiva e selvaggia dell’intero Appennino. Attraversato il centro di Posta, collocato lungo la storica Via Salaria e impreziosito da edifici d’origine medioevale (Palazzo della Gabella e chiesa di San Francesco), si tirerà dritto verso la vicina Borbona per poi entrare in Abruzzo poco prima di giungere ai piedi di un’altra pedalabile difficoltà altimetrica, il Valico di Santa Vittoria (3.6 Km al 4.6%). Seguirà la discesa verso Montereale, borgo d’antichissima origine nel cui centro si trova Palazzo Farnese Cassiani, che nel XVI secolo fu una dimora della nobildonna d’origine fiamminghe Margherita d’Austria, che era figlia dell’imperatore Carlo V del Sacro Romano Impero e dal quale ebbe in dote questo e altri feudi dell’Italia centrale. Il passaggio attraverso la sottostante Piana di Montereale rappresenterà l’ultimo tratto tranquillo della tappa, che terminerà ai piedi della penultima salita di giornata, la Croce Abbio. I suoi 7500 metri al 4.5% – nel corso dei quali si toccherà il centro di Capitignano, con il Santuario della Madonna degli Angeli, costruito nel luogo dove la Madonna apparve a una pastorella nel 1657 – rappresentano un versante secondario e inedito del Passo delle Capannelle, affrontato in passato sia al Giro, sia alla Tirreno-Adriatico. Scollinati un paio di chilometri a nord rispetto al Capannelle ci si lancerà in discesa giù per il versante teramano, incontrando dopo circa 5 Km la diga del Lago di Provvidenza, costruito lungo il corso del Vomano e le cui acque nelle ore notturne vengono pompate nelle verso quello soprastante di Campotosto, il più grande d’Abruzzo e il più grande d’Italia tra quelli di origine artificiale. È un’opera dell’uomo, così come la strada che pochi chilometri più avanti si dovrà percorrere per risalire le pendici del Gran Sasso verso i Prati di Tivo: il nome fa pensare a una scampagnata, ma non lo sarà affatto per i “girini”, chiamati alla ribalta per uno spettacolo sportivo che si annuncia e spera più avvincente di quello offerto lo scorso anno.

Mauro Facoltosi

Il Gran Sasso d’Italia visto dai Prati di Tivo e l’altimetria dell’ottava tappa (www.paesaggioitaliano.eu)

Il Gran Sasso d’Italia visto dai Prati di Tivo e l’altimetria dell’ottava tappa (www.paesaggioitaliano.eu)

I VALICHI DELLA TAPPA

Forca di Cerro (734 metri). Quotato 733 metri sulle cartine del Giro 2024, vi transita la Strada Regionale 395 “del Passo di Cerro” tra Spoleto e Piedipaterno. Il Giro d’Italia vi è salito due volte, entrambe dal versante che quest’anno si percorrerà in discesa e in tutti e due i precedenti l’arrivo era fissato a Spoleto. Nel 1977 il traguardo era previsto in salita nella frazione di Monteluco, dove si impose il pugliese Mario Beccia dopo che alls Forca di Cerro era transitato per primo lo spagnolo Faustino Fernández Ovies. Sarà, invece, il colombiano Luis Felipe Laverde a fare l’en plein nel 2007, conquistando sia il GPM della Forca di Cerro, sia il traguardo (stavolta collocato nella vicinanze della stazione ferroviaria di Spoleto).

Passo di Gavelli (1211 metri). Con questo nome è più nota, soprattutto nel mondo del cicloturismo, la salita chiamata Forca Capistrello sulle cartine del Giro 2024. Vi transita la Strada Provinciale 471 “di Sant’Anatolia di Narco” che mette in comunicazione Sant’Anatolia di Narco con Monteleone di Spoleto. Il nome deriva da quello del centro più prossimo al punto di valico. Il Giro d’Italia vi è salito per la prima e finora unica volta nel 2007 durante la tappa Tivoli – Spoleto vinta dal colombiano Luis Felipe Laverde, che scollinò in testa anche su questo Gran Premio della Montagna.

Valico di Val Carpineto (1049 metri). Vi transita la Strada Regionale 471 “di Leonessa” tra Leonessa e Posta. Il Giro d’Italia vi è transitato in diverse occasioni, ma non è mai stato affrontato come GPM; l’ultimo passaggio è avvenuto nel 1991 durante la tappa Scanno – Rieti, vinta dall’ucraino Volodymyr Pulnikov.

Valico di Santa Vittoria (1054 metri). Vi transita la Strada Regionale 471 “di Leonessa” tra Borbona e Montereale. Il Giro d’Italia non vi è mai transitato.

Valico. Valicato dalla Strada Statale 80 “del Gran Sasso d’Italia” nel corso della discesa dal GPM di Croce Abbio, tra il bivio per Capitignano e quello per Campotosto.

Passo delle Capannelle (1280 metri). Citato nell’articolo ma non toccato dal percorso di gara (si scollinerà alla Croce Abbio, circa 2 Km a nord) è valicato dalla Strada Statale 80 “del Gran Sasso d’Italia” tra Arischia e Nerito. Affrontato in passato anche alla Tirreno-Adriatico, il Giro d’Italia vi è salito in passato in 4 occasioni, la prima durante la tappa Porto Civitanova – L’Aquila dell’edizione 1935, che ebbe come mattatore Gino Bartali, primo al GPM e poi al traguardo. Gli altri conquistatori di questo valico sono stati eccezionalmente il velocista spagnolo Miguel Poblet nel 1957 (tappa Terni – Pescara, vinta dal francese Antonin Rolland), il marchigiano Fabio Roscioli nel 1990 (tappa Sora – Teramo, vinta dal carrarese Fabrizio Convalle) e il bergamasco Mirco Gualdi nel 2001 (tappa Giulianova – Francavilla al Mare, vinta dal piacentino Ellis Rastelli), occasione nella quale la salita fu ribattezzata Colle del Capraro.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Nella scorsa puntata abbiamo parlato di Pupi Avati e di una delle sue ultime fatiche, il film su Dante Alighieri. La carriera cinematografica del regista bolognese era iniziata ufficialmente nel 1970 quando il costruttore edile Carmine Domenico Rizzo si era offerto di finanziargli i primi due suoi film (“Balsamus, l’uomo di Satana” e “Thomas e gli indemoniati”), mentre il “sacro fuoco” per il cinema gli si era acceso nel 1963 dopo la visione di “8½” del suo conterraneo Federico Fellini. Il suo apprendistato fu brevissimo perché per imparare il mestiere gli bastò una sola esperienza come aiuto regista nel 1968, quando collaborò con il toscano Piero Vivarelli alla realizzazione di “Satanik”, unica trasposizione cinematografica (a parte un cortometraggio del 2003) del personaggio creato negli anni sessanta dal fumettista milanese Max Bunker e del disegnatore bolognese Magnus e che si differenziava dai “colleghi” Diabolik e Kriminal per essere una donna, il cui vero nome era Marny Bannister. Coprodotto con la Spagna, vide alcune scene girate lungo il percorso della tappa odierna e per la precisione a Leonessa, con il Terminillo che fa da sfondo alla sequenza dell’inseguimento finale alla protagonista, che si lancerà proprio verso i tornanti della celebre ascesa. Leonessa tornerà a essere visitata da una troupe cinematografica nel 1996, quando da quelle parti si è visto il mitico Ugo Fantozzi: Paolo Villaggio qui girerà una scena di “Fantozzi – Il ritorno”, nella quale il celebre ragioniere si lancerà da un viadotto con il bungee-jumping dopo esser arrivato fin lì alla ricerca dell’orrenda nipote Uga, che non era rientrata a casa dopo una serata in discoteca e che in realtà aveva inscenato il suo rapimento. Quello fu il penultimo film della saga e il primo nel quale il personaggio di Uga (e della madre Mariangela) non fu interpretato da Plinio Fernando ma da un’attrice femmina (Maria Cristina Maccà in questa pellicola e Dodi Conti nel successivo “Fantozzi 2000 – La clonazione”).

In collaborazione con www.davinotti.com

Da Leonessa, con il Terminillo sullo sfondo, inizia la fuga di Satanik nel film del 1968 (www.davinotti.com)

Da Leonessa, con il Terminillo sullo sfondo, inizia la fuga di Satanik nel film del 1968 (www.davinotti.com)

Il viadotto alle porte di Leonessa in “Fantozzi – Il ritorno” (www.davinotti.com)

Il viadotto alle porte di Leonessa in “Fantozzi – Il ritorno” (www.davinotti.com)

Le altre location dei due film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/satanik/50000693

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/fantozzi-il-ritorno/50003477

FOTOGALLERY

Spoleto, Rocca Albornoziana

Forca di Cerro

Il borgo di Castel San Felice

Uno scorcio del borgo di Monteleone d’Orvieto

Il Terminillo visto dall’altipiano di Leonessa

Leonessa, Chiesa di San Francesco

Gola di Sigillo

Montereale, Palazzo Farnese Cassiani

Capitignano, Santuario della Madonna degli Angeli

Lago di Provvidenza

Lago di Campotosto

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