MOLLEMA NON MOLLA: LE FOGLIE DEL LOMBARDIA SONO D’ALLORO ANCHE PER GLI SCONFITTI

ottobre 13, 2019 by Redazione  
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Il giro di Lombardia presenta per l’ennesima volta in anni recenti una startlist di fenomeni in gran forma. Alla fine trionfa il sempre solido ma di rado vincente Mollema con un gesto di intuito e coraggio. Valverde secondo, tutti marcano Roglic.

Il Giro di Lombardia è gara in grandissima ascesa negli ultimi anni, soprattutto in termini di quello spessore internazionale che finalmente gli conferisce il lustro corrispondente al ruolo di classica Monumento: un concetto, quest’ultimo, che pur sempre presente nei fatti, è maturato in ambito soprattutto anglosassone nell’ultimo quarto di secolo, e ha via via contribuito a fare del Lombardia un obiettivo fra i più prestigiosi in assoluto, appetito dal gotha del ciclismo mondiale nonostante la collocazione in calendario peculiare, di estrema chiusura, in simmetria con la Sanremo ma di fatto costituendo una soglia ancor più radicale. E tutto ciò a dispetto di un certo snobismo interno agli stessi organizzatori di RCS, che gli han sempre preferito la Sanremo stessa, per l’appunto, maltrattando il proprio secondo Monumento fin nel ridicolo battesimo di ILombardia (con una “L” sparita per crasi).
Cambi di percorso a tratti suicidi, inseguendo soldi e favori politici nella sponda lecchese, copertura televisiva talora insultante (specie a paragone delle interminabili ore di Sanremo), GPS ai limiti dell’ubriachezza, come accaduto oggi stesso: tanta approssimazione, a volte sconfinante nella pochezza, non è bastata a frenare un percorso di crescita che ha condotto dall’appannamento qualitativo degli anni Novanta al fulgore attuale, passando prima per vittorie italiane di peso, pur su un campo partenti non eccelso (Bartoli e Di Luca), poi per un’epoca di vincitori sempre nazionali ma a fronte di una concorrenza più ampia geograficamente (gli anni di Cunego e Bettini), e infine giungendo alla maturità di una gara contesa da campioni plurivincitori di Grandi Giri e Classiche Monumento. Con l’eccezione dello svizzero Zaugg, un podio al Tour de France, o almeno in un altro GT, è divenuto il requisito minimo per ambire alla vittoria sulle sponde lariane se già non si era campioni col sigillo di qualità di una Liegi nel palmarés. Possiamo anzi dire tranquillamente che nell’ultima dozzina di edizioni o giù di lì il Giro di Lombardia ha consolidato un albo d’oro perfino più robusto di quello della Doyenne e forse perfino del Fiandre. L’altra faccia della medaglia, o sintomo, di questa situazione è che dopo quasi trent’anni ci ritroviamo per la prima volta come nel 1990 senza italiani in top ten, a dimostrazione, certamente, della competitività globale della gara, ma anche di una difficile fase di transizione che il movimento italiano si trova ad affrontare.
Certo, se c’è un aspetto sul quale si è cominciato a lavorare davvero bene, dopo anni di insistenza da parte degli appassionati, è l’elaborazione di un calendario di avvicinamento e preparazione ben costruito. L’autunno italiano sta prendendo la forza di un vero e proprio polo della stagione, sfuttando la fionda gravitazionale della Vuelta e del Mondiale per condurre al Lombardia attraverso gare sempreverdi o rinverdite, tutte di enorme tradizione, come il Giro dell’Emilia (e contorno emiliano), la Tre Valli Varesine (e resti scorporati del Trittico Lombardo), la vera “Doyenne” o “Decana”, cioè la Milano-Torino ed anche il Giro del Piemonte, o Gran Piemonte che dir si voglia. Peccato che, siccome è destino non fare mai trentuno, al risveglio tardivo ma finalmente innegabile degli organizzatori italici, corrisponde in questo frangente un duro attacco da parte dell’UCI di matrice francese, che nel riorganizzare il calendario ha declassato la gran parte di queste corse in modo spudorato, per fare invece spazio all’ascesa in termini di categoria dei propri eventi nazionali fra cui garette in termini di albo d’oro quali Drôme Classic, GP Plumelec e simili, GP Fourmies. Spetterà al movimento italiano l’onore e l’onere di non perdere per strada la potente rivalorizzazione vissuta dal bel blocco autunnale di classiche e semiclassiche nonché dal Lombardia stesso a cui conducono.
Un altro sintomo di questa rivalorizzazione e del concomitante cambiamento di tempi, tutto positivo, a cui assistiamo è che per la prima volta dal lontano, udite udite, 1987 (se per la fretta non inciampo nelle statistiche sbagliate), ebbene, un vincitore del Tour de France conquista nella medesima stagione anche il podio di una Monumento. Naturalmente Nibali – ed è lui stesso una bella eccezione, più unico che raro – ha vinto il Tour e un tris di Monumenti, ma non nello stesso anno. E finalmente c’è voluto un Egan Bernal, con la freschezza dei suoi 22 anni, non appagato da un nonnulla come la maglia gialla, per ripresentarsi in forma e gasato al via delle classiche d’autunno. Lo si era visto pimpante al Toscana, ma la startlist non eccelsa giocava un ruolo in quel secondo posto, poi tanta fatica e km di corsa fra Peccioli e il Pantani, nono all’Emilia, sesto su Superga alla Mi-To, infine vincente a Oropa per il Gran Piemonte, supportato da un gran Ivan Ramiro Sosa. La coppia colombiana di casa Ineos torna a carburare nel triangolo lariano, in una gara vera, tattica, difficile, e nonostante tanti umanissimi stenti in gara, arriva questo terzo posto che sa davvero di statistica storica.
D’altronde non è cosa da poco vedere al via, e tirati a lucido, non solo il già nominato vincitore del Tour, ma anche quello della Vuelta, Roglic, che sarà faro della corsa, nonché il trionfatore della Liegi Fuglsang. Anche se non altrettanto brillanti ci sono pure il secondo del Giro, Nibali, e il vincitore della Roubaix, Gilbert. Insomma, diciamo che mancano giusto Alaphilippe (scusabilissimo) e il vincitore del Giro Carapaz, fuori causa per un presunto infortunio ma sopratutto per pesanti giochi di potere, nella fattispecie per il conflitto fra il gruppo dei suoi procuratori e la Movistar, uscita sconfitta, con gran parte dei propri talenti, tra cui lo stesso Carapaz, dirottati in massa alla Ineos. Forse la fine di una delle eminenze grigie di trent’anni di ciclismo, Unzué, e il segnale definitivo dei cambi di equilibri in questo sport.
Ma veniamo finalmente alle note di cronaca, che sono quasi il meno, a fronte di questo scenario complessivo e di ciò che rappresenta per il ciclismo a venire, italiano e non solo.
Della solida fuga del mattino segnaliamo solo Masnada, caparbio nel valicare per primo il Ghisallo, e Skuijns, che lo insegue, prima pedina di un importante gioco di squadra della Trek-Segafredo. L’avventura degli evasi del giorno si estingue fra Ghisallo e Muro di Sormano, capolinea per i due superstiti testé nominati, anche se non senza che Skujins dia il suo piccolo contributo all’allungo di Ciccone, seconda pedina importante in chiave tattica, sulle pendenze impossibili del Muro. La robustezza della fuga iniziale così come un tracciato non privo di asperità sono stati elementi funzionali al debilitamento delle due squadre faro, la Ineos devastante nel Gran Piemonte e la Movistar di Valverde, già secondo a Superga. Avventizio, fra Ghisallo e Muro, un allungo senza conseguenze di Jungels, salvo il fatto di scoppiare e lasciare poi isolato Enric Mas.
Sul Muro gli attacchi ripetuti di Ciccone generano una situazione fluida in cui mettono il naso davanti i vari Woods (strepitoso vincitore della Mi-To), Latour, Kuss (ottimo scalatore gregario di Roglic), Majka, Fuglsang, Gaudu e altri specialisti della salita. È però una scrollata di Nibali a far drizzare le antenne a Roglic prima e poi, definitivamente, a Valverde, che con una sparata conclusiva delle sue riporta tutti assieme in vista del Gpm. Discesa tesa ma asciutta, per fortuna senza i soliti incidenti, e poi fase tattica nel piano che costeggia il lago verso Como, fra infiniti mangia e bevi. Se ne vanno Buchmann (quarto in CG al Tour de France!) e il sempre valoroso Tim Wellens, mettendo in luce il fatto che a Valverde resta solo Rubén Fernández e a Bernal il fedelissimo Sosa. Meglio va a Roglic, che deve però spremere a fondo Kuss e Bennett, non fenomenali in pianura. Il gruppo giù dalla Colma si era ridotto a meno di venti unità, ma si va rimpolpando per la poca veemenza della caccia in questo tratto di transizione.
Poco cambia, perché il Civiglio è un vero castigamatti: anzitutto, però, è Nibali a essere castigato dalla sfortuna, quasi casca per una borraccia vagante e scivola in fondo al gruppo nel momento esatto in cui si scatena un forcing davanti. A Vincenzo scende la catena, almeno in termini morali, e dopo un accenno di inseguimento molla botta per passeggiare sereno fino all’arrivo.
Il forcing in testa al selezionato gruppetto, che in breve si mangia i due evasi di cui sopra, lo porta l’ultima pedina di Valverde, un ritrovato Rubén Fernández, talentuoso spagnolo tormentato da infiniti infortuni e dolori cronici. Qui il suo ritmo in salita fa malissimo e in un niente si è all’uno contro uno fra capitani. Ai nomi piu grossi in assoluto, cioè lo stesso Valverde, più Roglic, Fuglsang e naturalmente Bernal, si sommano l’uomo in forma del momento, ovvero Woods della EF1, nonché dei giovani scalatori di belle promesse: Pierre Latour, l’uomo dei rapporti impossibili che fece sudare Contador e Quintana; Jack Haig, il gregario degli Yates che spesso e volentieri va più forte dei capitani (come oggi con Adam, steso dal Civiglio); gli ancor più giovani spauracchi per le grandi montagne, il francese David Gaudu e lo spagnolo Enric Mas. E l’intruso di turno… Bauke Mollema! L’olandese, un predestinato in gioventù, ha raggiunto la maturità collezionando top ten nei GT e in qualche grande classica dal tracciato impervio, anche se le vittorie sono state sporadiche, seppur talora di peso: una tappa alla Vuelta o al Tour, una Classica di San Sebástian. La squalifica del Bisonte Cobo nella Vuelta 2011, oltre a omaggiare il povero Froome nel suo letto d’ospedale, si è tradotta in un podio di GT per Bauke, che così – lo diciamo fra il serio e il faceto – ha ottenuto il passaporto che descrivevamo sopra per viaggiare verso una legittima vittoria del Lombardia. Non pochi i suoi podi, da uomo poco veloce nelle gare di un giorno e da solido contendente senza guizzi nelle gare a tappe più prestigiose, come Tirreno o Svizzera.
Mollema coglie l’attimo, subito dopo una sfuriata di Valverde volta a finalizzare il lavoro di Fernández. Ma mentre lo spagnolo è marcato a uomo, all’olandese si lascia spazio: clamoroso errore. Bauke indovina la scalata della vita, probabilmente stacca il record del Civiglio con i suoi rapportoni e l’andatura a pendolo, poi è una crono fino alle fine (d’altronde l’abbiamo visto campione del mondo pochi giorni fa, nella nuova specialità di crono a staffetta mista per nazioni, con la sua Olanda).
Dietro è Pierre Latour a picchiare duro, un altro che più che ballare dondola sui pedali con un cambio mostruoso. Due, tre, quattro attacchi, lo tallonano sempre, con conseguenti pause di respiro in cui si decide a chi tocchi tirare, e intanto Mollema va. Quando il francese ottiene un provvisorio via libera, è roba da niente: la discesa e il piano precedente il San Fermo riportano tutti assieme.
Ancora asfissia tattica, marcature a uomo, recriminazioni… fra Valverde e Roglic, il tasso di succhiaruotismo è in effetti stellare. Nessuno si prende la responsabilità finché lo sloveno si incavola pesante e piazza uno scatto in pianura mostruoso, seguito da accelerazione tipo manetta aperta. Pare di un altro pianeta, pare minacciare Mollema. Ma la molla di Roglic si scarica e tutti gli altri tornano sotto. Valverde ci prova sul serio, e screma la compagnia: come previsto, restano lui, Woods, Fuglsang, Roglic, e Bernal, fino ad ora poco appariscente. Ma è proprio Bernal che lancerà in fondo al San Fermo la sparata più violenta, seminando solo provvisoriamente gli altri, con Roglic in debito permanente di ossigeno dopo il numero in solitaria. Si rimescolano le carte, per la gioia di un Mollema ormai involato verso le lacrime di gioia, e Valverde ritenta in discesa. Allunga, lo riprendono Bernal e Fuglsang – che batterà in volata. La volata del secondo posto.
Bernal è sul podio, un podio davvero incredibilmente storico, come dicevamo più sopra. Valverde, che fra sei mesi fa quarant’anni, porta a casa il secondo posto di un Lombardia in cui era probabilmente il più forte – non forse il più sveglio – a fare pendant con l’altrettanto clamoroso secondo posto in classifica generale alla Vuelta, il tutto condito da secondi posti pure alla Mi-To, al Gp Beghelli, dietro a Nibali nell’ultima tappa alpina del Tour, nella generale dei giri a tappe di Valencia e Murcia e via dicendo (un paio di “corsette” le ha vinte comunque, una tappa alla Vuelta e il campionato nazionale più tappa e generale alla Route du Sud). Fuglsang, quarto, si conferma alla miglior stagione della carriera, 34enne, con Liegi e Delfinato, tappe a Vuelta e Tirreno, posti d’onore a Strade Bianche e Freccia. Roglic finisce settimo ma è stato il vero faro della corsa: poco aggressivo, forse, ma tutti guardavano lui. Se ne lamenterà a fine gara, però tocca abituarsi: chiude l’anno come il numero uno al mondo. Lui e Bernal portano allori a questo Lombardia, che a sua volta li glorifica come corridori a tutto tondo.
Giovanni Visconti è il miglior italiano, a stento nei venti. Peggior risultato di tutti i tempi per i corridori di casa in questa corsa. Adesso che (forse) abbiamo salvato, almeno in parte, il patrimonio delle gare italiane, ci sarà da salvare il movimento dei corridori. La strada da fare non è poca.

Gabriele Bugada

Lattacco di Mollema sulla salita di Civiglio (foto Bettini)

L'attacco di Mollema sulla salita di Civiglio (foto Bettini)

BERNAL SENZA RIVALI AD OROPA. IL TEAM INEOS DOMINA IL GRAN PIEMONTE

ottobre 10, 2019 by Redazione  
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Il Team INEOS domina il Gran Piemonte adottando un’impeccabile tattica di squadra che consente ad Egan Bernal di involarsi tutto solo sulla salita di Oropa, a circa 2 km dal termine. Seconda posizione per Iván Sosa, compagno di squadra di Bernal, a dimostrazione della forza della formazione britannica. Terzo un buon Nans Peters (AG2R La Mondiale), mentre il primo italiano è Davide Villella Team Astana), settimo. Ed ora grande attesa per il Giro di Lombardia di sabato, atto finale di una stagione ancora una volta entusiasmante.

Se nel recente passato il tracciato del Gran Piemonte aveva strizzato l’occhio a uomini veloci e volate più o meno di massa, per l’edizione 2019 gli organizzatori hanno optato per un radicale cambiamento di prospettive. Sono 183 i km da percorrere tra Agliè e il santuario di Oropa, con la salita finale che premierà scalatori e uomini da grandi giri. Uno su tutti, Egan Bernal, vincitore del Tour e faro del Team INEOS che conta tra le sue fila anche gente del calibro di Gianni Moscon, Diego Rosa e Iván Sosa. Per la Bahrain Merida è presente Sonny Colbrelli, vincitore di questa gara nel 2018, ma la squadra rosso blu dovrebbe puntare sull’austriaco Hermann Pernsteiner, che si è già fatto notare alla recente Vuelta. La Movistar schiera tra le sue fila Richard Carapaz, vincitore del Giro ma in forma ancora precaria dopo l’infortunio di agosto che lo ha escluso dalla Vuelta. Molto ben strutturata è la Bora Hansgrohe che presenta un roster di tutto rispetto con Patrick Konrad, Emanel Buchmann, Rafał Majka e il campione italiano Davide Formolo. Nell’Astana a dividersi i gradi di capitano, in assenza di Jakob Fuglsang, sono Gorka Izagirre e Davide Villella, mentre altre squadre WT come AG2R La Mondiale, EF Education First e UAE-Team Emirates puntano sull’imprevedibilità. E poi ci sono le squadre professional che possono sempre dire la loro come la variegata Androni Giocattoli o la Neri Sottoli – Selle Italia che avrà in Giovanni Visconi il capitano designato. La fuga di giornata vedeva protaconisti Stéphane Rossetto (Cofidis), Carlos Barbero (Movistar), Élie Gesbert (Arkéa Samsic), Francesco Romano (Bardiani CSF), Mattia Bais (Androni Giocattoli) ed Enrico Battaglin (Katusha Alpecin). Dopo 25 km la fuga aveva 2 minuti e 30 secondi di vantaggio sul gruppo, tirato da Neri Sottoli ed INEOS. A 100 kn dall’arrivo il vantaggio della fuga si attestava sui 3 minuti, per poi scendere a 1 minuto e 50 secondi a 40 Km dal termine. I fuggitivi iniziavano la salita verso Nelva con 50 secondi di vantaggio sul gruppo, ora tirato dall’UAE-Team Emirates. Rossetto e Bais restavano in testa ma quest’ultimo si staccava a 30 km dall’arrivo. Il francese era nel mirino del gruppo ed in particolare del Team INEOS, tutto schierato per Bernal. Rossetto veniva ripreso a 25 km dal termine. L’inizio della salita verso Oropa vedeva il gruppo composto da una trentina di unità ma il forcing imposto dall’INEOS lo riduceva progressivamente grazie ad una collaudata tattica di squadra: dopo il prezioso lavoro di Jonathan Castroviejo, erano nell’ordine Salvatore Puccio, Gianni Moscon, Diego Rosa ed infine Sosa a creare i presupposti per Bernal di scattare a poco meno di 2 km dall’arrivo e salutare la compagnia, ridotta ormai a cinque – sei unità. Bernal aumentava il vantaggio sui diretti inseguitori – Buchmann e Nans Peters (AG2R La Mondiale) – andando a conquistare la vittoria a braccia alzate proprio laddove Marco Pantani aveva compiuto uno delle più belle imprese del ciclismo vent’anni orsono. Al secondo posto si piazzava Sosa, abile a recuperare nelle ultime centinaia di metri, a 6 secondi da Bernal, mentre terzo era Peters a 8 secondi di ritardo dal colombiano. Chiudevano la top five Buchmann e Daniel Martin (UAE-Team Emirates), mentre nella top ten si segnalavano il settimo posto di Davide Villella (Astana) e l’ottavo di Giovanni Visconti (Neri Sottoli). Bernal vince con autorità una corsa cucita su misura per lui ed ora si appresta a recitare un ruolo da protagonista anche nell’attesissimo Giro di Lombardia in programma dopodomani; tra i grandi avversari da temere nell’ultimo appuntamento italiano della stagione e ultima corsa WT, il talento colombiano troverà Vincenzo Nibali (Bahrain Merida), Primož Roglič (Jumbo-Visma) ed Alejandro Valverde (Movistar).

Giuseppe Scarfone

Egan Bernal vince il Gran Piemonte (Getty Images Sport)

Egan Bernal vince il Gran Piemonte (Getty Images Sport)

WOODS PRIMO A SUPERGA, IL CANADESE VINCE LA MILANO – TORINO

ottobre 9, 2019 by Redazione  
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Attacchi e contrattacchi a ripetizione negli ultimi 3 km consentono a Michael Woods (EF Education First) di scrollarsi di dosso tutti gli avversari più temibili nella 100° edizione della Milano – Torino e di imporsi tutto solo sul colle di Superga. Battuti Alejandro Valverde (Movistar) e Adam Yates (Mitchelton Scott): un podio che promette scintille al Giro di Lombardia di sabato

La Milano-Torino giunge alla sua 100° edizione, testimoniando di essere la corsa ciclistica più antica d’Italia. Il percorso non di discosta da quello proposto degli ultimi anni, con la pianura a fare da padrona incontrastata per oltre 150 km, prima degli ultimi 25 km nei quali si affronterà la doppia scalata al colle di Superga. È una corsa nella quale scalatori e finisseur vanno a nozze e che vede ai nastri di partenza gente del calibro di Alejandro Valverde (Movistar), Michael Woods (Team Education First), Jakob Fuglsang (Astana), Adam Yates (Mitchelton Scott) ed Egan Bernal (Team INEOS). Tra gli italiani occhi puntati su Davide Formolo (Bora Hansgrohe), che dopo la caduta alla Vuelta sta recuperando la condizione per questo rush finale di stagione. La fuga di giornata partiva dopo circa 5 km grazie all’azione di Daniel Savini (Bardiani-CSF), Nicolas Dalla Valle (UAE-Team Emirates), Joan Bou (Nippo-Vini Fantini), Joey Rosskopf (CCC Team) e Rémi Cavagna (Deceuninck-Quick-Step). Dopo 20 km di corsa il vantaggio dei fuggitivi sfiorava già i 5 minuti. In testa al gruppo inseguitore erano in particolare la Movistar e il Team EF Education First ad imprimere l’andatura. Dopo 50 km il vantaggio della fuga si stabilizzava intorno ai 5 minuti. Il gruppo inseguitore iniziava a recuperare sui fuggitivi lentamente ma progressivamente. Cavagna, ultimo ad essere ripreso, alzava bandiera bianca poco prima dell’inizio della scalata iniziale verso il Colle di Superga. Molto concentrati i ciclisti del Team INEOS che con Diego Rosa e Tao Geoghegan Hart conducevano al meglio Bernal. Il gruppo si controllava durante la prima ascesa imponendo un ritmo costante. Gianluca Brambilla (Trek Segafredo) scattava a un centinaio di metri dallo scollinamento e iniziava la discesa in testa ma il gruppo non si faceva sorprendere. Alex Howes (EF Education First) si alternava con Geoghegan Hart in testa al gruppo nel tratto pianeggiante di circa 5 km che precedeva l’ultima e decisiva ascesa verso Superga. La prima vera accelerazione la portava Fuglsang ai meno 4. Subito dovo ripartiva il compagno di squadra Gorka Izagirre, che trainava con sè con sè Woods e Jack Haig (Mitchelton Scott). Dal gruppo inseguitore partiva David Gaudu (Groupama – FDJ) mentre Woods accelerava in testa. Si muovevano a loro volta Yates, Valverde e Bernal. Haig chiudeva il distacco con Gaudu e Woods, che rilanciava ancora una volta a meno di 2 km dal termine. All’ultimo chilometro rientravano anche Bauke Mollema (Trek Segafredo) e Tiesj Benoot (Lotto Soudal). Era ancora una volta Woods a partire a 300 metri dall’arrivo ed era l’accelerazione decisiva, alla quale Valverde non riusciva a rispondere. Il canadese vinceva sullo spagnolo mentre terzo era Yates. Completavano la top five Benoot e Gaudu. Da segnalare l’assenza di ciclisti italiani nella top ten. Woods, che non aveva mai vinto in carriera sul suolo italiano, raccoglie i frutti di una forma fisica che è migliorata nel finale di stagione e guarda con ottimismo al Giro di Lombardia di sabato. Domani ancora Piemonte protagonista con il Gran Piemonte, ancora una volta organizzato da RCS Sport, che prevede la partenza da Agliè e l’arrivo in salita al santuario di Oropa dopo 183 Km di gara e un’ascesa finale di 10 Km e mezzo al 6.6% di pendenza media. Sarà l’ultima corsa che consentirà ai ciclisti di affinare la gamba prima dell’atteso Giro di Lombardia di sabato.

Giuseppe Scarfone

Michael Woods precede Alejandro Valverde al termine dellimpegnativa salita di Superga (Getty Images Sport)

Michael Woods precede Alejandro Valverde al termine dell'impegnativa salita di Superga (Getty Images Sport)

ROGLIČ, “MOTO” PERPETUO A VARESE. ALLO SLOVENO LA 99° EDIZIONE DELLA TRE VALLI VARESINE

ottobre 8, 2019 by Redazione  
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Dopo aver vinto il Giro dell’Emilia, Primož Roglič (Jumbo Visma) si ripete a Varese facendo sua la Tre Valli Varesine 2019. Lo sloveno sfrutta l’indecisione del gruppo a meno di un chilometro dall’arrivo piazzando uno scatto irresistibile, che gli consente di ottenere la prima vittoria in carriera in una corsa del Trittico Lombardo. Da segnalare, a meno di 20 km dall’arrivo, una ‘disfunzione’ nell’organizzazione ad una rotonda mal segnalata che manda su di una strada sbagliata un gruppetto del quale facevano parte Alejandro Valverde (Movistar) e Vincenzo Nibali (Bahrain Merida), che sembravano avere grosse chances di contendersi la vittoria finale.

Ultimo appuntamento del Trittico Lombardo, dopo Coppa Agostoni e Coppa Bernocchi, la Tre Valli Varesine giunge alla sua 99° edizione sfornando una lista partenti di grande livello. Sono ben 14 le squadre WT alla partenza sulle 22 totali. Presente, con il dorsale n°1, il neo campione del mondo Mads Pedersen (Trek Segafredo), a cui si aggiungono altri nomi altisonanti come il campione spagnolo Alejandro Valverde (Movistar), già in gran spolvero al Giro dell’Emilia ed al GP Beghelli, lo sloveno Primož Roglič (Jumbo Visma) che ha fatto faville al Giro dell’Emilia, Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) che forma una temibilissima coppia con il compagno di squadra Sonny Colbrelli. Molto variegate e forti sono anche l’EF Education First con Michael Woods e Sergio Higuita, la Bora Hansgrohe con Davide Formolo e Rafał Majka, il Team Astana con Luis León Sánchez e Jakob Fuglsang, il Team INEOS con Gianni Moscon, che sembra aver recuperato la miglior forma in questo finale di stagione, il Team Lotto Soudal con Tim Wellens, che ritorna a correre sulle strade italiane, e l’UAE-Team Emirates con un Diego Ulissi anch’egli in un’ottima condizione. Ma anche le squadre Continental e Professional possono vantare tra le loro fila gente agguerrita ed esperta che può dire la sua, come Giovanni Visconti (Neri Sottoli Selle Italia) e Mattia Cattaneo (Androni Giocattoli). La fuga di giornata è stata caratterizzata dall’azione di sei ciclisti: Valerio Agnoli (Bahrain Merida), Davide Ballerini (Astana), Mattia Frapporti (Androni Giocattoli), Umberto Marengo (Neri Sottoli), Michael Gogl (Trek Segafredo) e Josè Herrada (Cofidis). I sei fuggitivi erano tenuti a bada dalla Jumbo Visma, che non lasciava loro troppo spazio concedendo un vantaggio massimo di poco superiore ai 3 minuti. Le cose cambiano piuttosto drasticamente durante il secondo dei cinque giri del circuito finale con una decisa accelerazione del Team Lotto Soudal e alcune difficoltà palesate da alcuni dei fuggitivi, in particolare da Agnoli e Frapporti che si staccano dalla testa. Da segnalare anche il ritiro in questi frangenti del campione del mondo Mads Pedersen (Team Trek Segafredo). A circa 60 km dal termine ai fuggitivi resta un margine di poco più di un minuto sul gruppo inseguitore, con la Jumbo Vusma sempre molto attiva. Gli ultimi due rinnovati giri del circuito finale di Varese sono indigesti per Herrada, altro fuggitivo a staccarsi. Sono Wellens e David Gaudu (Groupama FDJ) a far esplodere la corsa a meno di 40 km dall’arrivo. I fuggitivi della prima ora vengono tutti ripresi e si forma un nuovo gruppo in testa alla corsa composto da nomi altisonanti come Ulissi e Daniel Martin (UAE-Team Emirates), Valverde, Formolo , George Bennett (Jumbo Visma) e Sánchez. All’inizio dell’ultimo giro proprio quest’ultimo scatta sulla salita di Via Montello. Tentano di accodarsi in discesa Valverde, Bauke Mollema (Trek Segafredo), Alex Aranburu (Caja Rural) ed un pimpante Nibali, ma in una rotatoria la moto della RAI che precede questo drappello fa sbagliare loro strada, mettendoli fuori gioco. Nel frattempo Sánchez aumenta il vantaggio su un altro drappello di inseguitori segnalati ad una quarantina di secondi di ritardo. Lo spagnolo dà tutto in vista del traguardo ma evidenti movimenti di stretching testimoniano problemi alla schiena. E così il gruppo inseguitore lo riprende a poco meno di un chilometro dall’arrivo. Scattano dal gruppo Moscon, Pierre-Roger Latour (AG2R La Mondiale) e Jakob Fuglsang (Astana), che riprendono il corridore spagnolo a poco più di 600 metri dall’arrivo. A questo punto Roglič sferra una rasoiata delle sue, che gli consente di fare il vuoto ed di andare ad imporsi sul traguardo di Varese, ottenendo in pochi giorni una doppietta di grande pregio, dopo il Giro dell’Emilia conquistato sabato scorso, nonchè la dodicesima vittoria stagionale. A 3 secondi dallo sloveno è Visconti a piazzarsi in seconda posizione, anticipando Toms Skujiņš (Trek Segafredo), vincitore dell’edizione 2018. Chiudono la top five Andrea Vendrame (Androni Giocattoli) ed Higuita. Dalla Lombardia ci si sposta ora in Piemonte per altre due gare altrettanto interessanti come la Milano-Torino di domani e il Gran Piemonte di giovedì prima del gran finale del programma autunnale italiano con il Giro di Lombardia di sabato 12 Ottobre.

Giuseppe Scarfone

Dopo aver fatto suo pochi giorni prima il Giro dellEmilia Primož Roglič vince anche la Tre Valli Varesine (Getty Images Sport)

Dopo aver fatto suo pochi giorni prima il Giro dell'Emilia Primož Roglič vince anche la Tre Valli Varesine (Getty Images Sport)

ADAM YATES, TRIONFO ALLA CRO RACE

ottobre 7, 2019 by Redazione  
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Adam Yates (Mitchelton – Scott) ha vinto la CRO Race dopo aver trionfato nella frazione regina di Platak. Davide Villella (Astana) ha concluso al secondo posto davanti a David De La Parte (CCC Team).

Nella settimana appena conclusa si è disputata la quattordicesima edizione della CRO Race, fino allo scorso anno disputata nel mese di aprile e conosciuta come Tour of Croatia. Grazie alla nuova collocazione ha trovato una startlist di livello internazionale grazie alla presenza di corridori come Matej Mohorič (Bahrain – Merida), Adam Yates (Mitchelton – Scott) e Pierre Rolland (Vital Concept – B&B Hotels).
Nei sei giorni di corsa i corridori hanno affrontato inizialmente due tappe a favore dei velocisti, seguite da altrettante frazioni che potevano favorire le ruote veloci capaci di resistere su percorsi più mosso nel tratto conclusivo. Era invece la quinta tappa la frazione regina con l’arrivo in salita a Platak che probabilmente avrebbe deciso la classifica conclusiva, prima del finale a Zagabria con un circuito insidioso dall’esito non scontato.
La corsa partiva martedì da Osijek per approdare a Lipik dopo 202 chilometri privi di particolari difficoltà, lungo i quali quali era il solo Markus Wildauer (Tirol KTM) a tentare la fuga, tentativo che veniva ripreso senza patemi dal gruppo a quattro chilometri dall’arrivo; nell’ultimo chilometro era la Adria Mobil a controllare la corsa lanciando molto bene il proprio velocista Marko Kump, che riusciva a difendersi al fotofinish dal prepotente ritorno di Yevgeniy Gidich (Astana) e da Eduard-Michael Grosu (Delko Marseille Provence), rispettivamente secondo e terzo. Mattia Frapporti (Androni Giocattoli – Sidermec) concludeva dodicesimo come migliore degli italiani. La seconda tappa con partenza da Slunj prevedeva l’arrivo a Zara dopo 183 chilometri; il percorso era più impegnativo della giornata precedente, ma comunque ancora adatto ai velocisti. La tappa vedeva due fughe in atto, con la seconda di queste attiva nell’ultimo terzo di corsa. Gli ultimi contrattaccanti venivano ripresi ai -6, poco dopo una grossa caduta che aveva coinvolto metà del gruppo e ridotto di due terzi i pretendenti alla vittoria di tappa. In quest’occasione perdevano diversi minuti uomini di classifica come Rolland, Amaro Antunes (CCC Team) e Sam Bewley (Mitchelton – Scott), con il primo che riusciva in parte a recuperare e a limitare il ritardo a 36 secondi. Nel tecnico finale di Zara era Mohorič a provare ad anticipare la volata, ma lo stesso Grosu andava a chiudere su di lui portandosi dietro Mirco Maestri (Bardiani – CSF). La loro azione veniva ripresa a quattro chilometri dalla conclusione dal lavoro della Mitchelton – Scott e poco dopo erano Vadim Pronskiy (Astana) e Michel Aschenbrenner (P&S Metalltechnik) a provare la sortita vincente, ma anche il loro attacco veniva chiuso poco prima del chilometro conclusivo. Grosu riusciva ad anticipare il gruppo nella curva che apriva un finale estremamente tecnico e, sfruttando l’azione che gli era riuscito anche nell’edizione passata su questo traguardo, beffava i suoi avversari andando a conquistare tappa e maglia. La volata dei battuti era appannaggio di Alex Edmondson (Mitchelton – Scott) davanti a Kump e Frapporti. Dopo l’arrivo uno sconsiderato spettatore attraversava la strada venendo centrato dallo stesso Frapporti e causava la caduta di altri atleti, tra i quali Edmondson e Mohorič, costretto al ritiro con due costole fratturate. La terza frazione prevedeva sulla carta un percorso di 154 km con partenza da Okrug e arrivo a Macarsca, ma a causa del vento la corsa veniva interrotta dopo un’oretta dall’avvio e ripresa negli ultimi 47 chilometri, che prevedavano la salita di Biokovo, 5.3 km al 5.3%, da scalare dieci chilometri prima della conclusione. La corsa ripartiva con la situazione in atto prima della sospensione, la fuga di Wildauer (Tirol KTM), Stephan Rabitsch (Felbermayr-Simplon Wels), Ben Hill (Ljubljana Gusto Santic), Lars van den Berg (Metec-TKH), Timon Loderer (Hrinkow Advarics) e Robert Jägeler (P&S Metalltechnik). Questi atleti potevano vantare un vantaggio nell’ordine dei due minuti e venivano inseguiti principalmente dalla Mitchelton – Scott. Lungo la salita erano prima Kump e poi il leader Grosu a staccarsi, mentre in gruppo era lo stesso Yates ad seguito a ruota da Mauro Finetto (Delko Marseille Provence), ma non veniva lasciato loro spazio. Alex Edmonson riusciva ad avvantaggiarsi ad una dozzina di chilometri dall’arrivo, prima di venir ripreso da Yates, Finetto, Davide Villella (Astana) e David De La Parte (CCC Team). Questo quintetto scollinava insieme agli ultimi due fuggitivi ad arrendersi, Rabitsch e Van der Berg; successivamente, nonostante il lavoro di Yates per il suo compagno di squadra, alcuni corridori riuscivano a rientrare in discesa portando il gruppo al comando ad una ventina di componenti. La volata finale veniva lanciata molto bene dall’Astana per Gidich, che riusciva ad imporsi davanti a Grega Bole (Bahrain Merida) ed Edmondson, mentre Frapporti restava sempre il migliore degli italiani con la settima piazza. Gidich conquistava anche la maglia di leader.
La quarta frazione con partenza da Cittavecchia e arrivo a Cirquenizza dopo 155 chilometri prevedeva un percorso abbastanza pianeggiante, con uno strappo di un chilometro all’8% ad appena sette chilometri dalla conclusione che offriva la possibilità di anticipare la volata conclusiva o stroncare qualche ruota veloce. La fuga composta da Alexander Cataford (Israel Cycling Academy), Matthias Krizek (Felbermayr-Simplon Wels), John Mandrysch (P&S Metalltechnik), Samuele Rivi (Tirol KTM) e Javier Moreno (Delko Marseille Provence) veniva ripresa proprio prima di questo strappo. Jan Tratnik (Bahrain Merida) era il primo ad attaccare all’inizio dello strappo, seguito a ruota da Finetto e Maxime Chevalier (Vital Concept-B&B Hotels), incapaci però di tenere il passo dello sloveno che veniva in seguito ripreso allo scollinamento da Villella ed Edmondson. Il gruppo, ancora forte di una cinquantina di atleti, riusciva a chiudere su di loro all’imbocco del chilometro conclusivo estremamente tecnico. Grosu guidava il gruppo quando a 500 metri dalla conclusione scivolava in una curva andando a coinvolgere un paio di altri atleti, mentre Paolo Simion (Bardiani – CSF) conduceva il gruppo nelle restanti curve, dove avveniva un’altra caduta, da parte di un corridore della Vital Concept-B&B Hotels, nelle prime posizioni. Simion si trovava quindi a lanciare la volata con solo tre atleti alla sua ruota ed era il giovane velocista serbo Dušan Rajović (Adria Mobil) a sfruttare l’occasione andando a conquistare la tappa davanti allo stesso Simion e ad Heinrich Haussler (Bahrain Merida). Gidich riusciva a mantenere il primato di leader della generale alla vigilia della tappa regina, a lui non adatta.
Con partenza da Porto Albona, la frazione più impegnativa della corsa trovava nella salita di Ucka, 7 Km al 9.2%, collocata 76 chilometri dopo la partenza, una difficile ascesa che precedeva la salita conclusiva di Platak, in tutto 136 chilometri dei quali gli ultimi 14 con una pendenza media del 5.6%. La salita centrale non vedeva particolari azioni in atto, se non un’andatura in grado di selezionare il gruppo. Un attacco interessante avveniva a dodici chilometri dall’arrivo con l’azione di Matteo Badilatti (Israel Cycling Academy) che andava a riprendere e immediatamente staccare Quentin Pacher (Vital Concept-B&B Hotels). Nello stesso momento Gidich doveva rinunciare alla sua maglia di leader staccandosi dal gruppo guidato dalla Mitchelton – Scott. A cinque chilometri dalla conclusione veniva ripreso Badilatti e Yates attaccava con il solo Villella che provava a seguirlo, senza però riuscire a tenere il passo dell’inglese. Andrey Zeits (Astana) si occupava dell’inseguimento per il suo compagno di squadra, con i soli Rolland, De La Parte, Domen Novak (Bahrain Merida) e Nathan Earle (Israel Cycling Academy) capaci di restare con loro. Novak tentava un inseguimento solitario a 1500 metri dall’arrivo, ma Yates riusciva a mantenere un buon ritmo andando a conquistare tappa e maglia nella frazione più attesa. Novak nel frattempo veniva ripreso e Villella andava a chiudere al secondo posto con 10” di ritardo, davanti a De La Parte, Rolland e allo stesso sloveno. Così Villella prima della tappa finale aveva 15” da recuperare al britannico, mentre per De La Parte i secondi di distacco erano 17.
L’ultima giornata di corsa prevedeva 154 chilometri da Sveta Nedelja a Zagabria, quasi interamente pianeggianti con un circuito cittadino conclusivo di cinque chilometri da ripetere tre volte che proponeva uno strappo finale in acciottolato di 500 metri, ascesa che poteva favorire un’azione per tentare di ribaltare la classifica finale della corsa. La tappa veniva caratterizzata da una fuga composta da Alessandro Fedeli (Delko Marseille Provence), Matic Grošelj (Ljubljana Gusto Santic), Florian Kierner e Daniel Lehner (Felbermayr-Simplon Wels), Dylan Bouwmans e Stef Krul (Metec TKH) e Florian Gamper e il fratello Patrick (Tirol KTM). Questi atleti arrivavano a Zagabria con circa 40 secondi di margine sul gruppo guidato dalla Bahrain Merida. Nel secondo passaggio sullo strappo finale era Fedeli ad accelerare inseguito da Gamper, Kierner e Krul, mentre il gruppo frazionato transitava circa quindici secondi dopo, guidato nell’ultima tornata dalla Ljubljana Gusto Santic e dall’Adria Mobil. Fedeli riusciva a mantenere un piccolo margine sul resto degli attaccanti prima dello strappo conclusivo e riusciva a difendersi e trionfare per la seconda volta in questa stagione. Tratnik concludeva al secondo posto dopo una forte azione che per poco non riusciva a concludersi in qualcosa di più, mentre il terzo posto andava a Kierner.
Yates riusciva senza difficoltà a difendere la vittoria conclusiva, con Villella e De La Parte a completare il podio. Edmondson conquistava, invece, la classifica a punti e lo stesso Yates si portava a casa la classifica del miglior scalatore. Pronskiy era il miglior giovane davanti a Luca Covili (Bardiani – CSF), mentre la stessa Astana conquistava la classifica a squadre.

Carlo Toniatti

La vittoria di Adam Yates nella tappa di Platak (foto Bettini)

La vittoria di Adam Yates nella tappa di Platak (foto Bettini)

COLBRELLI, FAVILLE AL BEGHELLI

ottobre 6, 2019 by Redazione  
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Sonny Colbrelli (Bahrain-Merida) vince il GP Beghelli battendo allo sprint l’eterno Alejandro Valverde (Movistar). Corsa decisa negli ultimi chilometri con vari attacchi dei protagonisti odierni.

Ventiquattresima edizione del Gran Premio Bruno Beghelli, semiclassica italiana che si svolge come tradizione sul circuito di Monteveglio, nel comune di Valsamoggia (BO), sede degli stabilimenti Beghelli. Corsa vinta meritatamente da Sonny Colbrelli (Bahrain-Merida) che, sfruttando la buona gamba dimostrata anche al recente mondiale, non lasciava scampo agli avversari. La gara veniva caratterizzata dalla fuga iniziale di tre ciclisti, Stepan Kuriyanov (Gazprom Rusvelo), Tommaso Fiaschi (Beltrami TSA – Hopplà – Petroli Firenze) e Emil Dima (Giotti Victoria), che si avvantaggiavano nei primissimi chilometri dopo la partenza. I tre tiravano dritto finché a 75 km dall’arrivo, sulla salita dello Zappolino, si staccava Fiaschi, che non reggeva il ritmo degli altri compagni di fuga. Gli attaccanti, che avevano toccato anche superato i 10′ di vantaggio dal gruppo, venivano ripresi a 40 chilometri dall’arrivo grazie al lavoro della Movistar, della Bahrain-Merida e dell’Astana. Il gruppo compatto procedeva coeso solo per qualche chilometro, poi vari ciclisti provavano ad evadere e tra questi si segnalava un attivissimo Gianni Moscon (Team Ineos). La Movistar, molto impegnata nel tenere la corsa chiusa prima dell’attacco del proprio capitano, riusciva a riprendere a 9 chilometri dalla linea del traguardo un attacco tentato dal solito Moscon, da Georg Bennett e Neilsen Powless (Jumbo-Visma), da Edoardo Affini (Mitchelton-Scott), da Hugo Houle (Astana), da Julien Bernard (Trek-Segafedo) e da Iván Sosa (Team Ineos). Grazie ad una gamba invidiabile Moscon era l’ultimo ad arrendersi assieme a Powless. A quattro chilometri dal traguardo nasceva l’azione che decideva il GP Beghelli quando Bauke Mollema (Trek-Segafredo), vincitore l’anno scorso, allungava portandosi dietro Jack Haig (Mitchelton-Scott), David Gaudu (Groupama-FDJ), Guillame Martin (Wanty), Alejandro Valverde (Movistar), Sonny Colbrelli (Bahrein-Merida) e Iván García, compagno di formazione di Colbrelli. Il tentativo di inseguimento dell’Astana non dava frutti e i sette arrivavano spediti al traguardo, dove il corridore lombardo della Bahrain-Merida, già vincitore nel 2015, allo sprint batteva tutti resistendo alla grande anche al tentativo di rimonta di Valverde. Si tratta della terza vittoria stagionale per Colbrelli dopo le due frazioni conquistare al Tour of Oman e al Deutschland Tour, un successo che ben fa sperare per questo finale di stagione. Secondo posto per Valverde, mentre Houle saliva sul gradito più basso del podio. Quinto posto per Mollema, vincitore lo scorso anno.

Luigi Giglio

Sonnt Colbrelli a segno nel GP Beghelli (foto Bettini)

Sonnt Colbrelli a segno nel GP Beghelli (foto Bettini)

ROGLIČ ACCENDE UN CERO A SAN LUCA

ottobre 5, 2019 by Redazione  
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Primož Roglič (Jumbo-Visma) è il vincitore della centoduesima edizione del Giro dell’Emilia, anche quest’anno corsa in modo spettacolare e onorata dai partecipanti. Proprio lo sloveno aveva vinto sul San Luca la cronoscalata che aveva dato il via all’ultima edizione del Giro d’Italia, un traguardo dunque a lui particolarmente congeniale.

Il Giro dell’Emilia, manifestazione ciclistica organizzata dal GS Emilia, è una tra le corse più antiche e di maggiore spessore dell’intero panorama ciclistico del vecchio continente. Percorso e tracciato sono rimasti invariati rispetto all’anno scorso, quando a sorpresa Alessandro De Marchi, con una grande azione da lontano, vinse sorprendendo gli avversari più quotati. Lo stesso De Marchi non poteva difendere il titolo a causa dell’infortunio rimediato il 14 luglio nella nona tappa del Tour de France. Partenza da Bologna come copione, e come da tradizione, grandi nomi erano presenti per giocarsi le loro chances di vittoria: erano al via, infatti, Primož Roglič (Jumbo-Visma), Vincenzo Nibali (Bahrain-Merida), Mikel Landa, Richard Carapaz e Alejandro Valverde (Movistar), Egan Bernal (Team Ineos), Esteban Chaves (Mitchelton-Scott) e Giovanni Visconti (Neri Sottoli – Selle Italia), vincitore nel 2017.
Tra gli iscritti non si presentavano alla partenza Jérôme Baugnies e Thomas Degand della Wanty, mentre dopo 5 chilometri di gara avveniva la prima fuga di giornata con Jacopo Mosca (Trek), Davide Ballerini (Astana) e Umberto Orsini (Bardiani). Il terzetto allungava e si registrava un vantaggio di oltre 2′ al traguardo volante di Zola Pedrosa, dove un pimpante Ballerini anticipava allo sprint i compagni di fuga. Ancora Ballerini, che dalla prossima stagione difenderà i colori della Deceuninck – Quick Step, era il primo a passare dal traguardo volante situato in Località Gessi, al dodicesimo chilometro. I tre attaccanti si spremevano molto nei primi chilometri, tanto che al GPM di di Mongardino (Km 22), vinto da Orsini, aveva oltre 11′ di vantaggio sul gruppo guidato dalla Bahrain-Merida. Mosca riusciva a sorprendere i due compagni di fuga solo in un’occasione, al traguardo volante situato al 154 km di gara, non per mancanza di gambe ma perché si stava gestendo meglio degli altri.
Con l’ingresso nel circuto del San Luca la musica cambiava, i favoriti metteva i propri uomini in testa al gruppo mentre altri corridori di spessore provavano ad attaccare evadendo il controllo del gruppo: tutto ciò riduceva il vantaggio dei tre in fuga che, stremati, perdevano terreno. Diego Rosa (Team Ineos) dopo alcuni tentativi riusciva ad evadere al controllo del gruppo guidato dalla Movistar: per il piemontese si annuncia un finale di stagione in crescendo. Sfruttando una gamba meno affatticata rispetto ai compagni di fuga Jacopo Mosca scattava e lasciava Ballerini e Orsini sul posto: così a 30 chilometri dal finale si creava una situazione che vedeva Mosca in testa alla corsa con 40” Ballerini e Orsini, più indietro Rosa e altri sei ciclisti che lo avevano seguito all’attacco, tra i quali Giulio Ciccone (Trek-Segafredo) e Pierre-Roger Latour (Ag2r LaMondiale).
A tre giri di circuito dalla fine Mosca era ancora in testa alla corsa, mentre Ballerini e Orsini veniva assorbiti dal grupp e resistevano alle spalle del ciclista di testa solo Ciccone e Latour. Non si capiva che tattica usasse la Trek-Segafredo, che aveva un ciclista in testa ad attaccare e uno ad inseguirlo, così un superbo Ciccone, sfruttando una buona gamba, trainava anche Latour verso l’aggancio in testa alla corsa. Una volta ripreso, Mosca si rialzava lasciando il campo libero al duo Ciccone-Latour. A meno di un minuto di distanza viaggiava il gruppo trainato dalla Jumbo-Visma di Roglič, che anche all’Emilia si dimostrava una squadra coesa e compatta in salita. George Bennett, Sepp Kuss e Robert Gesink ancora una volta rappresentavano un treno formidabile in salita e difficilmente avrebbero lasciato spazio a qualcuno. Ad 11 chilometri dall’arrivo il giovane corridore abruzzese e il suo compagno d’attacco aveva 40” di vantaggio su Antwan Tolhoek (Jumbo-Visma), che guidava l’inseguimento del gruppo, lavoro che si sarebbe concluso all’inizio dell’ultimo giro di circuito. Provavano ad attaccare prima Valverde, poi Diego Ulissi (UAE-Team Emirates), Luis León Sánchez (Astana) e Nibali, tutti con esito negativo. A sei chilometri dall’arrivo riprovava Ulissi e questa volta sembrava essere la volta giusta per il corridore toscano, al quale si univano Rudy Molard (Groupama-FDJ), Sergio Higuita (EF Education First), Chaves e Gianluca Brambilla, un altro ciclista di una Trek-Segafredo disordinata ma agguerrita. I cinque riuscivano ad accumulare un discreto vantaggio sugli inseguitori, tra i quali Nibali iniziava a mostrare segni di fatica cedendo qualche metro. A 1500 metri dal traguardo, quando la salita finale era già inizia da qualche centinaia di metri, da dietro spuntavano altri corridori, tra i quali l’atteso Roglič, che aveva scelto il tempo giusto per lanciarsi all’inseguimento, Michel Woods (EF Education First) e Bauke Mollema, tanto per cambiare un corridore della Trek-Segafredo. Lo sloveno, che conosceva a menadito la salita essendocisi imposto quest’anno nella cronometro d’avvio del Giro d’Italia, a 800 metri dalla linea d’arrivo attaccava lasciando tutti dietro. Metro dopo metro, pedalata dopo pedalata, faceva il vuoto alle sue spalle. Ultimi metri in trionfo per lo sloveno che andava a raccogliere un successo straordinario, specie dopo le fatiche fatte poche settimane fa per imporsi nella Vuelta di Spagna. Alle sue spalle terminava il Giro dell’Emilia con 14″ di ritardo la coppia della EF Education First Woods-Higuita. Quarto si piazzava Mollema, primo posizionato della Trek-Segafredo, squadra che oggi tanto aveva animato la corsa, quinto Alejandro Valverde. Sesto posto per Diego Ulissi, primo degli italiani.

Luigi Giglio

Primož Roglič si impone ancora al Santuario della Madonna di San Luca dopo aver espugnato questo traguardo anche al Giro dItalia di questanno (foto Bettini)

Primož Roglič si impone ancora al Santuario della Madonna di San Luca dopo aver espugnato questo traguardo anche al Giro d'Italia di quest'anno (foto Bettini)

TRENTIN SCARICO IN VOLATA, IRIDE A PEDERSEN

settembre 29, 2019 by Redazione  
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Ottima gara fino a 200 metri dall’arrivo per l’azzurro Matteo Trentin, che ha interpretato alla perfezione il mondiale e si è trovato nella situazione ideale per conquistare la maglia iridata fino a 200 metri dall’arrivo; ma proprio nella situazione in cui non avrebbe dovuto avere problemi non è invece riuscito a primeggiare, facendosi saltare con facilità da Max Pedersen. Argento quindi per l’italiano, bronzo per un ottimo Küng che è stato in avanscoperta molti chilometri.

Un bellissimo tracciato per il mondiale di quest’anno, un paesaggio stupendo ed un elevato tasso tecnico, strade strette, curve difficili, saliscendi continui e pianura inesistente nello spettacolare scenario dell’Inghilterra rurale dello Yorkshire, teatro anche di grandi classici della letteratura come Cime Tempestose.
La gara femminile ha offerto un’impresa epica, di quelle che ormai non si vedono più nelle corse maschili, con l’ultima vincitrice del Giro Rosa che se ne è andata in solitaria ancor prima di entrare nel circuito finale ed ha rifilato oltre 2 minuti alla seconda classificata, in un tracciato davvero complicato tecnicamente ma senza salite da scalatori puri.
La gara maschile non è stata da meno perché, anche se non ha riservato lo spettacolo della grande impresa, è stata comunque incerta sino all’ultimo, molto selettiva anche a causa della pioggia con ritiri e corridori staccati ad ogni giro.
Gara interpretata alla perfezione dagli uomini di Davide Cassani che hanno inserito due punte nel tentativo giusto, creando la superiorità numerica, mancata poi nel finale, e con gli altri membri bravissimi a restare in testa al gruppo nel ruolo di stopper, contribuendo alla buona riuscita del tentativo. Matteo Trentin ha seguito il superfavorito Mathieu Van der Poel (Paesi Bassi) e, quando costui ha ceduto di schianto probabilmente a causa di una crisi di fame, il trentino ne ha ereditato il ruolo. Nettamente più veloce di Mads Pedersen (Danimarca) e di Stefan Küng (Svizzera), che gli hanno tenuto compagnia sin sul traguardo, il capitano della nazionale italiana ha ceduto proprio in volata. Ha tentato di uscire ai 200 metri, forse un po’ troppo presto, ma non è stato certamente questo il problema poichè si è visto nettamente che Pedersen ne aveva molto di più. La gara del resto è stata molto dispendiosa, sia per l’elevata distanza che, pur se inopinatamente ridotta rispetto al chilometraggio previsto, era comunque superiore a 260 Km, sia per le condizioni meteorologiche che hanno costretto i corridori a gareggiare sotto la pioggia per molte ore su di un tracciato planimetricamente complesso.
Il primo imprevisto è stato causato proprio dalla pioggia che ha costretto gli organizzatori ad eliminare due salite abbastanza toste previste nel tratto in linea, riducendo contestualmente il chilometraggio dai 280 chilometri originariamente previsti ai 261 effettivamente percorsi. La decisione appare francamente bizzarra dato che quella zona del Regno Unito è notoriamente piovosissima, per cui l’organizzazione doveva essere predisposta pensando ad una elevatissima possibilità di gara bagnata.
Dopo circa venti chilometri di corsa, si forma una fuga… e che fuga! In avanscoperta si portano, infatti, Richard Carapaz (Ecuador), Jonas Koch (Germania) e Jan Polanc (Slovenia), che già aveva provato ad avvantaggiarsi in precedenza. A questi corridori si agganciano poco dopo Nairo Quintana (Colombia), Primož Roglič (Slovenia), Maciej Bodnar (Polonia), Silvan Dillier (Svizzera), Magnus Cort Nielsen (Danimarca), Alex Howes (Stati Uniti), Hugo Houle (Canada) e Petr Vakoč (Repubblica Ceca). I vincitori dell’ultimo Girod’Italia e dell’ultima Vuelta a España si inseriscono così nella fuga insieme ad un big come Quintana, che ha vinto sia l’una sia l’altra corsa, anche se in questi ultimi anni appare in grande declino.
Il vantaggio di questi uomini tocca una punta di 4 minuti e 40 secondo ma il gruppo inseguitore, soprattutto grazie alla nazionale australiana, fa buona guardia e già al primo passaggio sotto la linea d’arrivo il gap è sensibilmente ridotto ad un minuto e 25 secondi.
Nel primo giro cade Philippe Gilbert (Belgio) che sembra abbastanza frastornato a causa dell’impatto. Remco Evenepoel, giovanissimo compagno di squadra dell’esperto asso belga, si ferma per confortare psicologicamente il compagno e poi si mette a tirare per riportarlo in gruppo. L’inseguimento sembra destinato a concludersi positivamente, visto il progressivo avvicinamento del drappello con i due belgi, ma un’accelerazione proprio ad opera dei loro compagni di squadra in testa al gruppo, che intanto aveva annullato la fuga del mattino, fa naufragare l’inseguimento con Evenepoel e Gilbert che concludono mestamente la gara con il ritiro. Stessa sorte toccherà più avanti al campione uscente Alejandro Valverde (Spagna). I ritmi, in effetti, continuano ad aumentare con la pioggia, mentre i saliscendi favoriscono una sempre maggiore selezione, con il gruppo principale che si ridurrà di consistenza giro dopo giro.
Ai – 60 si muovono Küng Lawson Craddock (Stati Uniti). Il tentativo sembra del tutto effimero, anche perché i due restano a contatto visivo col gruppo per diversi chilometri, ma il sopraggiungere in momenti successivi di Mads Pedersen (Danimarca), di Mike Teunissen (Paesi Bassi) e, soprattutto, di Gianni Moscon (Italia), che sente puzza di bruciato, conferisce alla fuga una maggiore struttura, che non sembra ancora sufficiente per sperare in una conclusione positiva. Nel frattempo Craddock si stacca e viene riassorbito.
Le cose cambiano significativamente ai – 33, quando si muove il superfavorito Van der Poel e Trentin non perde un secondo per zompare sulla ruota dell’olandese. I due si riportano sui battistrada, che nel frattempo hanno perso anche Teunissen. Davanti sono quindi in cinque con due italiani, mentre alle loro spalle si forma un gruppo di contrattaccanti con Carlos Betancur (Colombia), Gorka Izagirre (Spagna) e Toms Skujiņš (Lettonia). Mentre questi ultimi vengono ripresi qualche chilometro più tardi, i battistrada continuano a guadagnare terreno grazie ad un buon accordo ed a cambi regolari. Il gruppo nonostante il forcing della Francia di Julian Alaphilippe e del Belgio di Greg Van Avermaet, rimasti fuori dal tentativo, non riesce a ridurre il gap.
Poco dopo l’inizio dell’ultimo giro, su un tratto di salita, si pianta letteralmente Van der Poel, colto probabilmente da una crisi di fame. L’olandese è quasi fermo e il gruppo, che pure era quasi un minuto dietro, lo riprende e lo stacca in un batter d’occhio.
A questo punto, considerando la superiorità numerica e le doti in volata, Trentin è indubbiamente il favorito numero uno e la tattica non può che essere quella di portare gli altri alla volata. Ovviamente Küng, che si sente battuto allo sprint, prova a forzare il ritmo staccando Moscon, che già al giro precedente era andato in difficoltà ma era riuscito stoicamente a rientrare. Sull’accelerazione del corridore elvetico anche Pedersen perde due metri, ma l’azione non prosegue ed il danese riesce a salvarsi. Gli ultimi chilometri sono di studio, visto l’ampio margine sul gruppo; nessuno vuole tirare e si arriva così fino ai 200 metri quando Trentin lancia lo sprint un po’ lungo e Pedersen che lo affianca, superandolo abbastanza agevolmente e andando a laurearsi campione del mondo, lasciando l’argento a Trentin e il bronzo a Küng.
Trentin è nettamente più forte del danese in volata ma, quando ci sono chilometraggi elevati ai quali i corridori sono sempre meno abituati e quando si fa corsa dura, le energie rimaste contano più della specializzazione e Pedersen, uscito allo scoperto molto prima di Trentin, è arrivato sul rettifilo finale con maggiore brillantezza rispetto all’italiano.
Naturalmente come italiani non si può che essere dispiaciuti per un’occasione del genere sfuggita, tuttavia l’essenza del ciclismo è questa, vince il più resistente, quello che sopporta meglio la fatica, che riesce ad arrivare in fondo con qualcosa in più degli altri ed è proprio quello che è accaduto oggi con Pedersen che, nonostante fosse in fuga da molto prima di Trentin, è riuscito a stravolgere il pronostico.
In ogni caso, la nazionale italiana è stata perfetta nella lettura della corsa, con Moscon che ha intuito che il tentativo di Küng poteva avere sviluppi interessanti quando si sono uniti altri atleti, con Trentin che ha battezzato la ruota di Van der Poel cogliendo l’attimo e con Sonny Colbrelli e Alberto Bettiol ottimi nel ruolo di stopper in gruppo. Sotto tono la Spagna che non è riuscita ad esprimersi con i fratelli Izagirre e con Luis León Sánchez; malissimo Belgio e Francia che hanno fatto grande confusione e non si sono fatti trovare pronti nei momenti topici, nonostante avessero tra le fila due uomini adattissimi al tracciato come Van Avermaet e Alaphilippe.
Archiviata questa bella edizione dei mondiali, si può sperare che la prossima edizione prevista in Svizzera, con un tracciato per scalatori puri, riservi altrettante emozioni e, per l’italia, una medaglia ancor più nobile di quella conquistata oggi.

Benedetto Ciccarone

Mads Pedersen conquista il mondiale dello Yorkshire e vestirà per un anno la prestigiosa maglia iridata (foto Bettini)

Mads Pedersen conquista il mondiale dello Yorkshire e vestirà per un anno la prestigiosa maglia iridata (foto Bettini)

HOLLAND GATE AD HARROGATE. VAN VLEUTEN ORO, VAN DER BREGGEN ARGENTO. DELUDE L’ITALIA

settembre 28, 2019 by Redazione  
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Annemiek Van Vleuten (Olanda) compie l’impresona al Mondiale 2019 salutando tutte ad oltre 100 km dall’arrivo, ben prima dell’entrata nel circuito finale di Harrogate. L’olandese sfrutta le sue doti di scalatrice per attaccare nella prima parte del percorso, che presentava in particolare la salita di Lofthouse. Alle sue spalle il gruppo si spezzettava in più tronconi con una decina di unità che restavano all’inseguimento dell’olandese. Anna Van der Breggen (Olanda) è argento a oltre 2 minuti dalla Van Vleuten mentre completa il podio Amanda Spratt (Australia). L’Italia delude con il quinto posto senza infamia e senza lode di Elisa Longo Borghini.

Il gran finale del Mondiale di Ciclismo su Strada 2019 si svolge nel week end con le prove Elite riservate alle donne e agli uomini. Per quanto riguarda la prova femminile le donne dovranno percorrere 150 km da Bradford ad Harrogate, con tre giri conclusivi del circuito finale che finora ha tanto animato le discussioni tra gli appassionati. Come già visto nelle prove juniores ed under 23, potrebbe essere proprio l’interpretazione del circuito finale e gli eventuali attacchi nei punti chiave a determinare i vincitori. Un circuito che in caso di fuga pare venire incontro più agli attaccanti che agli inseguitori, anche perchè questi ultimi, complici condizioni meteo e durezza del tracciato, dovrebbero sparpagliarsi in gruppetti più o meno numerosi. Tra le donne l’Olanda parte da favorita, anche perchè è reduce da un bis iridato che porta i nomi di Chantal Blaak nel 2017 e di Anna Van Der Breggen nel 2018. Lo squadrone orange, oltre alle due già citate, può contare anche su cicliste di altissimo livello come Marianne Vos ed Annemiek Van Vleuten. Per quanto riguarda l’Italia, l’obiettivo dichiarato è la zona medaglia e ad atlete esperte come Tatiana Guderzo, Elisa Longo Borghini e Marta Bastianelli sono state aggregate giovani promesse come Letizia Paternoster ed Elisa Balsamo, un mix di talento che può creare presupposti per ben figurare. Tra le altre nazionali da tenere in considerazione anche USA, Germania ed Australia, con la mina vagante della Gran Bretagna padrone di casa che vorrà ben figurare. Le prime fasi della corsa vedevano un’andatura abbastanza sostenuta; era l’Olanda a tirare il gruppo che si spezzettava in diversi tronconi. Davanti restavano circa una trentina di unità; il gruppo ritornava, però, compatto dopo che le cicliste olandesi si rialzavano; sulla salita di Lofthouse il gruppo tornava a spezzettarsi a causa del ritmo imposto questa volta dalla Gran Bretagna. Era la Van Vleuten a contrattaccare ed a scollinare in prima posizione sulle immediate inseguitrici, tra le quali “Lizzie” Deignan (Gran Bretagna) e la Longo Borghini. Del gruppo inseguitore facevano parte anche Soraya Paladin (Italia), la Van der Breggen (Olanda), Clara Koppenburg (Germania), Amanda Spratt (Australia), Chloé Dygert Owen (USA) e Cecilie Uttrup Ludwig (Danimarca). Più staccato era il gruppo con la Vos e la Bastianelli. A 85 km dall’arrivo la Van Vleuten aveva 50 secondi di vantaggio sulle otto inseguitrici, un vantaggio che la ciclista olandese gestiva ottimamente e riusciva pure ad aumentavare, anche perchè alle sue spalle veniva meno l’accordo tra le inseguitrici. All’ingresso del circuito di Harrogate il vantaggio della Van Vleuten era di poco superiore ai 2 minuti. A meno di 40 km dall’arrivo la Dygert Owen rompeva gli indugi ed allungava nel gruppo delle inseguitrici, sfruttando anche le sue abilità di passista che gli erano già valse la vittoria nella cronometro iridata qualche giorno fa. A 25 km dal termine il vantaggio dell’olandese sull’americana era di 2 minuti. Alle spalle della statunitense si rifacevano sotto la Spratt e la Van der Breggen, che proprio nei primi chilometri dell’ultima tornata lasciavano al palo l’avversaria. La Van Vleuten si involava indisturbata verso la vittoria iridata e si imponeva con 2 minuti e 15 secondi di vantaggio sulla Van der Breggen e 2 minuti e 28 secondi di vantaggio sulla Spratt. Chiudevano la top five la Dygert quarta Owen e la Longo Borghini, rispettivamente a 3 minuti e 24 secondi e 4 minuti e 45 secondi dalla Van Vleuten. Lo strapotere femminile olandese nelle ultime edizioni dei mondiali è evidente se si pensa che dal 2012 le atlete orange hanno vinto cinque volte su otto. La corsa delle donne Elite ha dimostrato che il percorso mondiale può offrire diverse soluzioni tattiche. Questa volta è stata decisiva l’azione di una sola ciclista ad oltre 100 km dall’arrivo, mentre nelle prove juniores e under 23 c’è stato un po’ più di equilibrio e le azioni decisive si sono concretizzate sul circuito finale. Resta il fatto che la durezza del percorso tende a spezzettare il gruppo ed alla fine i ciclisti arrivano sul traguardo alla spicciolata. Domani nella prova uomini Elite il previsto maltempo, con vento e pioggia costante, creeranno una situazione ancora più complicata e spettacolare.

Giuseppe Scarfone

Annemiek van Vleuten vince il mondiale 2019 (foto Bettini)

Annemiek van Vleuten vince il mondiale 2019 (foto Bettini)

NEGLI UNDER23 VINCE EEKHOFF, MA È SAMUELE BATTISTELLA IL CAMPIONE DEL MONDO

settembre 28, 2019 by Redazione  
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Finale a sorpresa nella prova iridata Under23. Il primo a tagliare il traguardo è stato l’olandese Nils Eekhoff, ma a indossare la maglia iridata sul palco è stato l’italiano Samuele Battistella dopo che il rappresentante dei Paesi Bassi è stato squalificato per traino prolungato. La prova del mattino dedicata alle donne kuniores è andata alla statunitense Megan Jastrab.

La prova degli Under23 in un Campionato Mondiale è sempre un po’ la prova generale di quanto accadrà poi la domenica successiva nella competizione regina, quella degli Uomini Elite. Se il buongiorno si vede dal mattino, come si dice, dopo quanto accaduto ieri ci sono tutti i presupposti per una buona prova per gli uomini di Davide Cassani.
La gara di quelli che una volta venivano chiamati “dilettanti” è stata una corsa lunga, complicata, segnata da innumerevoli cadute e corsa sempre con antenne ritte e radar attivati. Il percorso non permetteva la minima distrazione, altrimenti si rischiava o di finire per terra o di perdere il treno giusto, visto i continui frastagliamenti che il plotone ha subito negli oltre 170 km di gara.
Le fasi più interessanti si sono avute con l’avvicinarsi dell’ingresso del circuito “mondiale”, anche se pure il tratto in linea non è stata certo una passeggiata.
L’apertura di alcuni ventagli ha messo in difficoltà la pattuglia azzurra e il solo Samuele Battistella è stato pronto a farsi trovare nel gruppo di testa, dal quale successivamente si è formato il plotoncino, che si è poi andato a giocarsi il mondiale, grazie all’azione di Szymon Sajnok (Polonia) e Idar Andersen (Norvegia). Sui due si sono portati successivamente Battistella, Tom Pidcock (Gran Bretagna), Tobias Foss (Norvegia) e Stefan Bissegger (Svizzera). Anderson e Sajnok, anche se per motivi diversi, non riescono a rimanere con i primi, pur avendo il merito di aver fatto nascere l’azione decisiva. I quattro rimanenti incominciano a studiarsi e a controllarsi mentre l’arrivo si fa sempre più vicino, favorendo così il rientro all’ultimo chilometro di Sergio Higuita (Colombia), di Niels Eekhoff (Olanda) e di Andreas Kron (Danimarca). La volata a ranghi ristretti ha visto poi primeggiare Eekhoff davanti all’italiano e a Bissigger, Pidcock, Higuita, Kron e Foss.
Dopo circa mezz’ora, però, il collegio di giuria stilerà un nuovo ordine d’arrivo con l’olandese primo sul traguardo squalificato per traino prolungato e la stessa sorte toccherà anche al danese Andreas Stokbro e all’italiano Alexander Konychev.
Dopo l’intervento dei giudici la maglia di campione del mondo viene così assegnata a Samuele Battistella che si insedia in “cima al mondo” 17 anni dopo Francesco Chicchi, che si imponse tra gli Under23 nel 2002 a Zolder, nello stesso mondiale che vide imporsi tra i professionisti Mario Cipollini.
Nella mattinata si era, invece, disputata la prova in linea dedicata alle donne juniores. Ad imporsi, così come nella prova dei pari età maschili disputata giovedì, è stata un rappresentante della nazionale “Stars and Stripes”, la diciassettenne Megan Jastrab, che dopo essere rimasta con la russa Aigul Gareeva a poco più di 2 Km dal traguardo, è andata a cogliere il trionfo iridato. Lo studiarsi troppo protratto tra le due ha, però, favorito il ritorno della belga Julie de Wilde e dell’olandese Lieke Nooijen, che sono riuscite a superare la russa in dirittura d’arrivo andandosi a prendere rispettivamente le medaglie d’argento e di bronzo. Delusione per le italine con la prima delle azzurre, Camilla Alessio, solo undicesima al traguardo, tagliato 9 secondi dopo l’arrivo della Jastrab.

Mario Prato

La volata ridisegnata a tavolino dalla giuria che ha tolto vittoria e medaglia doro allolandese Nils Eekhoff per assegnarla allitaliano (Getty Images Sport) Samuele Battistella

La volata "ridisegnata" a tavolino dalla giuria che ha tolto vittoria e medaglia d'oro all'olandese Nils Eekhoff per assegnarla all'italiano (Getty Images Sport) Samuele Battistella

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