OLANDA E SLOVENIA, DUE ORI STUPENDI. VAN VLEUTEN E ROGLIC DOMINANO LE PROVE A CRONOMETRO
Annemiek van Vleuten (Olanda) e Primoz Roglic (Slovenia) non danno scampo agli avversari essendo artefici di una prova a cronometro in cresendo che non dà adito a dubbi. L’olandese vince con quasi 1 minuto di vantaggio sulla svizzera Reusser, mentre la prova dello sloveno è ancora più ‘monstre’, visto che vince con oltre un minuto di vantaggio su Tom Dumoulin (Olanda), secondo. Bronzo per le donne Anna van der Breggen (Olanda) e per gli uomini Rohan Dennis (Australia). Deludono invece Filippo Ganna (Italia) e Wout van Aert (Belgio).
La prova a cronometro femminile alle Olimpiadi di Tokyo si svolge all’interno e nelle immediate vicinanze dell’International Fuji Speedway, per un totale di 22 km e 100 metri. La prova maschile si farà sullo stesso percorso, che però dovrà essere ripetuto una seconda volta. Il finale è identico a quello delle prove in linea della scorsa settimana. Tra le donne, finisce il dominio statunitense delle tre Olimpiadi consecutive vinte dalla statunitense Chloe Dygert. Torna in auge l’Europa con un podio tutto firmato Vecchio Continente. L’olanda è la grande protagonista, dopo la mezza delusione della prova in linea. Annemiek van Vleuten alla media di oltre 43 km e 800 metri all’ora, vola letteralmente tra le sinuosità dell’autodromo giapponese, facendo registrare un tempo di 30 minuti e 13 secondi. Nulla possono le sue dirette avversarie. La svizzera Marlen Reusser è argento con un ritardo di 56 secondi, mentre è ancora l’Olanda a salire sul gradino più basso del podio con Anna van der Breggen, a 1 minuto e 2 secondi di ritardo dalla connazionale. Chiudono la top five l’australiana Grace Brown, quarta a 1 minuto e 9 secondi di ritardo e la statunitense Amber Neben a 1 minuto e 13 secondi di ritardo. Elisa Longo Borghini non fa meglio della decima posizione a 2 minuti e 47 secondi di ritardo dalla van Vleuten. Nella prova maschile, dopo la leadership provvisoria del canadese Hugo Houle con 57 minuti e 56 secondi, entravano in scena i pezzi da novanta. Il primo a fare meglio di Houle era Remco Evenepoel (Belgio), che faceva segnare 57 minuti e 21 secondi. Poco dopo era la volta di Rigoberto Uran (Colombia), che faceva fermare il cronometro a 57 minuti e 19 secondi, facendo meglio di Evenepoel di 2 secondi. La corsa diventava incerta al primo passaggio sul traguardo. A metà corsa infatti Primoz Roglic aveva il miglio tempo con 27 minuti e 30 secondi, ma alle sue spalle, nel giro di 10 secondi, erano racchiusi cinque ciclisti: Tom Dumoulin (Olanda) con 27 minuti e 38 secondi, Filippo Ganna (Italia) e Rohan Dennis (Australia) con 27 minuti e 39 secondi e Wout van Aert (Belgio) con 27 minuti e 40 secondi. La proiezione e che Roglic andava ormai per l’oro, mentre era serratissima la battaglia per argento e bronzo. Dumoulin era il primo fare meglio di Uran con un perentorio 56 minuti e 6 secondi. Gli rispondeva poco dopo Roglic, unico a scendere sotto i 56 minuti con un clamoroso 55 minuti e 4 secondi. Lo sloveno vinceva l’oro con una facilità disarmante dopo una prova su strada incolore. Dumoulin si prendeva un argento meritato per il blasone e certificava il ritorno a grandi livelli dopo due anni bui dovuti all’infortunio al ginocchio al Giro 2019. Chiudeva terzo con un prestigioso bronzo l’ex campione del mondo Dennis, che aveva la meglio per una questione di centesimi su Stefan Kung (Svizzera), che chiudeva in crescendo ma non faceva meglio del quarto posto. Le note stonate venivano infine dai due ciclisti forse più attesi. Filippo Ganna era quinto, con un modesto 56 minuti e 10 secondi, a oltre 2 minuti di ritardo da Roglic. Ancora peggio faceva van Aert, sesto con il tempo di 56 minuti e 45 secondi. Dopo l’argento nella prova in linea e un Tour de France corso a tutta, era comunque da mettere in conto un po’ di stanchezza per il fenomeno belga. Il ciclismo alle Olimpiadi continuerà con le prove su pista, dove Filippo Ganna è atteso a un pronto riscatto, mentre per quanto riguarda le corse in linea si attende il week end con la Classica di San Sebastian.
Giuseppe Scarfone
Il podio della cronometro uomini (foto Bettini)
KIESENHOFER, UN ORO CHE VALE PLATINO; BRONZO PER LA LONGO BORGHINI
La fuga che non ti aspetti sorprende le cicliste di riferimento nella prova in linea olimpica. L’austriaca Anna Kiesenhofer, fugaiola della prima ora, scatta a circa 40 km dall’arrivo e non viene più ripresa. E’ un trionfo inaspettato per l’Austria mentre la grande delusa è l’Olanda, che aveva portato alle Olimpiadi uno squadrone da podio completo, compresa medaglia di legno. La formazione olandese è argento con Anna van der Breggen mentre Elisa Longo Borghini è bronzo.
Il percorso della prova in linea olimpica femminile è lungo 137 km e ricalca grosso modo quello maschile, con la difficile ascesa del Mikuni Pass sulla quale si potrebbe scatenare la bagarre fra le cicliste più attese. La differenza maggiore, oltre a circa 100 km di lunghezza in meno, è l’assenza della salita di Mikuni Pass, che nella corsa maschile ha fatto esplodere il gruppo dei favoriti. Ci sarà comunque la salita di Doushi Road e quella successiva verso Kagosaka Pass a indurire le gambe delle cicliste, che nel tratto finale verso il Fuji International Speedway troveranno diversi mangia e bevi dove tentare gli attacchi decisivi, come del resto ha fatto Richard Carapaz nella sua corsa verso l’oro. L’Olanda riveste il ruolo di grande favorita, con le Marianne Vos ed Anna van der Breggen, già ori olimpici rispettivamente a Londra nel 2012 ed a Rio nel 2016. Completano il roster orange Annemiek van Vleuten e Demi Vollering, per un poker d’assi che difficilmente potrà essere impensierito da chicchessia. L’Italia gareggia con due punte di diamante come Marta Bastianelli ed Elisa Longo Borghini, quest’ultima bronzo a Rio cinque anni fa, mentre Marta Cavalli e Soraya Paladin dovranno cogliere il momento giusto per attaccare. Nel panorama generale, spiccano Elisabeth Deignan per la Gran Bretagna, Chloe Dygert per gli USA, Amanda Spratt per l’Australia, Katarzyna Niewiadoma per la Polonia e l’inossidabile Lisa Brennauer per la Germania. La fuga iniziale dopo la partenza dal Musashinonomori Park grazie all’azione di Omer Shapira (Israele), Vera Looser (Namibia), Anna Kiesenhofer (Austria), Carla Hoberholzer (Sud Africa) e Anna Plichta (Polonia). Un secondo gruppo formato da Catalina Soto Campos (Cile), Agua Marina Espinola (Paraguay), Osana Debesay (Eritrea) e Selam Amha (Etiopia) si metteva all’inseguimento delle cicliste davanti che avevano oltre 10 minuti di vantaggio sul gruppo principale quando mancavano circa 90 km all’arrivo. A 87 km dall’arrivo restavano in testa Shapira, Kiesenhofer e Plichta mentra il primo gruppo al loro inseguimento sembrava aver perso lo smalto iniziale ed infatti il gruppo principale era sempre più vicino e lo riprendeva a 75 km dal termine. Ai meno 60 si notava qualche movimento nel gruppo principale, soprattutto con Germania e Olanda a movimentare la situazione. A 55 km dall’arrivo il vantaggio della fuga era superiore ai 7 minuti. Le cicliste erano impegnate nel tratto in salita di Doushi Road che iniziava a spezzettare il gruppo. Il primo attacco deciso lo portava Annemiek van Vleuten a 54 km dall’arrivo mentre Marta Bastianelli e Soraya Paladin erano segnalate in coda al gruppo principale. A 40 km dal termine l’austriaca Kiesenhofer attaccava e si scrollava di dosso Shapiro e Plichta. Ai meno 37 la Germania dava un nuovo impulso in testa al gruppo, accorciando sulla Van Vleuten, che veniva ripresa poco dopo. A 18 km dallla conclusione la Kiesenhofer aveva 2 minuti di vantaggio su Shapira e Plichta e 4 minuti e 25 secondi di vantaggio sul gruppo delle big. Il sogno dorato della ciclista austriaca era sempre più reale. Già gli ultimi 10 km erano una passerella finale per la Kiesenhofer, che andava a trionfare sotto il traguardo. Anna van der Breggen era seconda, mentre una solida Elisa Longo Borghini conquistava la medaglia di bronzo, confermando la stessa posizione di cinque anni fa a Rio. Per quanto riguarda le prove su strada, il prossimo appuntamento olimpico è per mercoledì 28 con la cronometro individuale maschile e femminile. Per le donne c’è curiosità su chi succederà a Kristin Armstrong, dominatrice delle ultime tre olimpiadi, mentre tra gli uomini il risultato sembra essere più incerto di quanto non sembri, anche perché il percorso di 44 km presenta poca pianura e si scontreranno i migliori interpreti della specialità, praticamente un Mondiale bis.
Giuseppe Scarfone
L'arrivo della Kiesenhofer sul traguardo della gara olimpica (foto Bettini)
TOUR DE WALLONIE, JAKOBSEN BISSA LA TAPPA, A SIMMONS LA GENERALE
Fabio Jakobsen vince in volata l’ultima tappa del Tour de Wallonie davanti a Selig e Menten. Quinn Simmons porta a casa la classifica generale
Ultima frazione della 42° Edizione del Tour de Wallonie, 192 Km da Dinant a Quaregnon. La fuga di giornata prende il largo relativamente presto, composta da Senne Leysen (Alpecin-Fenix), Ward Vanhoof (Sport Vlaanderen-Baloise), Fumiyuki Beppu (EF Education-Nippo), Sean Quinn (Hagens Berman Axeon) e Jesper Hansen (Riwal Cycling Team). Il gruppo alle spalle lascia fare, ma sempre tenendo sotto controllo il distacco che a circa 20 Km dal traguardo è tornato ormai irrisorio.
Questa situazione ingolosisce nuovi tentativi in testa al gruppo principale come quello del leader della generale Quinn Simmons (Trek – Segafredo), che ha dimostrato di non accontentarsi soltanto di vestire la maglia di leader tentando più volte di onorarla a fondo con continui attacchi, sia nella tappa di oggi che in quella di ieri. Tutto però si risolve alla fine in un nulla di fatto, e il gruppo può procedere spedito verso la volata a ranghi compatti: il più veloce oggi è di nuovo Fabio Jakobsen (Deceuninck Quick Step), al secondo successo di tappa in questa edizione del Wallonie. Dietro di lui battuti abbastanza nettamente Rudiger Selig (Bora-Hansgrohe) e Milan Menten (Bingola Pauwels).
Per Simmons invece la gioia di portare a casa il successo finale della corsa, ampiamente meritato sul campo.
Lorenzo Alessandri
Twitter @LorenzoAle8

La vittoria di Jakobsen nell'ultima tappa della corsa vallone (Getty Images)
ECUAD’ORO CARAPAZ, L’OLIMPIADE E’ SUDAMERICANA!
La corsa olimpica si infiamma sul Mikuni Pass, ad una quarantina di km dall’arrivo. Sono Tadej Pogacar (Slovenia), Brandon McNulty (USA) e Michael Woods (Canada) ad attaccare ed a portarsi dietro un gruppetto di una quindicina di unità tra cui Alberto Bettiol (Italia). Ma è prima della seconda ascesa verso il Kagosawa Pass, a circa 25 km dall’arrivo, che si decide la corsa grazie all’azione di Brandon McNulty (USA) e Richard Carapaz (Ecuador). Quest’ultimo attaccava nello strappetto finale che anticipava l’entrata al Fuji International Speedway e andava a vincere l’oro olimpico. L’argento va a Wout van Aert (Belgio), il bronzo a Tadej Pogacar (Slovenia).
234 km di imboscate. Questo a prima vista sembra essere il leitmotiv che accompagnerà i ciclisti impegnati nella Prova in Linea Olimpica di Tokyo 2020. Si parte dal Musashinonomori Park e si arriva al Fuji International Speedway. I primi 100 km prevedono le due ascese di Doushi Road e di Kagosaka Pass, dopodiché si entrerà nel vivo con la scalata del Monte Fuji, il punto più elevato del percorso olimpico con i suoi 1451 metri. Dopo lo scollinamento ci saranno da affrontare una cinquantina di km tra discesa e diversi saliscendi prima di affrontare la salita più dura, il Mikuni Pass, dove la corsa potrebbe decidersi o, perché no, essersi già decisa. La parte centrale con i suoi 4 km con pendenze costantemente in doppia cifra renderanno dura la vita di molti ciclisti. Dalla vetta del MIkuni Pass mancheranno 34 km all’arrivo, inframmezzati dalla seconda breve ascesa verso il Kagosaka Pass, dopodiché ci saranno circa 10 km di discesa. Gli ultimi 13 km sono sostanzialmente in pianura ma ci sono alcuni zampellotti sui quali si scateneranno gli ultimi attacchi per la vittoria finale. Un percorso sicuramente esigente e che promette spettacolo. Le nazionali hanno un massimo di cinque atleti per squadra. Beneficiano di questo vantaggio Belgio, Spagna, Francia, Olanda ed Italia. Ma gli occhi saranno puntati anche su altre nazionali, con Slovenia, Svizzera, Danimarca, Colombia e Gran Bretagna, per dirne alcune, che non mancheranno di attaccare a ripetizione. Greg Van Avermaet, ai nastri di partenza col Belgio, cinque anni fa a Rio conquistò l’oro olimpico grazie ad una fuga a lunga gittata. Vedremo a Tokyo cosa succederà. A causa della positività al Covid, non partivano due ciclisti: il tedesco Simon Geschke ed il ceco Michal Schlegel. Le prime fasi della corsa servivano principalmente a mettere in atto la fuga di giornata da parte di ciclisti di seconda fascia. Erano in otto ad andare in fuga dopo poco più di 10 km: Nic Dlamini (Sud Africa), Michael Kukrle (Repubblica Ceca), Juraj Sagan (Slovacchia), Eduard-Michael Grosu (Romania), Polychronis Tzortzakis (Grecia), Orluis Aular (Venezuela), Paul Daumont (Burkina Fasu) ed Elchin Asadov (Azerbaijan). Gli otto in fuga raggiungevano un vantaggio che sfiorava i 20 minuti verso il km 80, quando si scollinava la prima asperità di giornata, la Doushi Road. Sul successivo Kagosaka Pass, la fuga si rompeva in due tronconi. Restavano in testa Dlamini, Kukrle, Sagan, Tzortzakis ed Aular. Era principalmente il Belgio con Greg van Avermaet a tirare il gruppo. Per colpa della rotaia del tram, erano coinvolti in una caduta, apparentemente senza conseguenze, Giulio Ciccone (Italia), Geraint Thomas e Tao Hart (Gran Bretagna). Ai piedi della scalata verso il Monte Fuji, il vantaggio della fuga era sceso a 13 minuti e 40 secondi. Dopo il gran lavoro fatto nella prima parte della corsa, Greg van Avermaet si staccava sulle prime rampre del Monnte Fuji. Era sempre il Belgio con Beoon e Vansevenant a tirare il gruppo, coadiuvato da Tratnik per la Slovenia. Dopo Van Avermaet, alzava bandiera bianca anche Omar Fraile, che poteva essere una valida alternativa a Valverde per la Spagna. Giulio Ciccone si faceva vivo nelle prime posizioni del gruppo dando un forte impulso all’andatura, tant’è che sotto la sua spinta il gruppo iniziava a sfilacciarsi. Altri ciclisti di un certo livello si staccavano, come Zdenek Stybar (Repubblica Ceca), Ilnur Zakarin (Russia) e Alejandro Valverde (Spagna). La fuga scollinava con poco più di 6 minuti di vantaggio sul gruppo. A 60 km dall’arrivo il vantaggio della fuga era di 4 minuti e 10 secondi. Si avvicinava la scalata verso il Mikuni Pass, con il gruppo inseguitore forte ancora di un’ottantina di unità. Nel frattempo Thomas si ritirava. A 55 km dall’arrivo nel gruppo iniziavano le scaramucce. I primi a muoversi erano Damiano Caruso (Italia), Wilco Leldremann (Olanda) e Mauri Vansevenant (Belgio). Piùche altro era un allungo per testare la situazione generale. Ripartivano in contropiede Vincenzo Nibali (Italia), Remco Evenepoel (Belgio) ed Eddie Dunbar (Irlanda). Anche questo tentativo aveva vita breve. A 50 km dalla conclusione il gruppo dei migliori tornava compatto, anche se bisognava ancora andare a prendere Kukrle ed Aular. Il ricongiungimento effettivo avveniva a 48 km dall’arrivo. In testa al gruppo si segnalava la presenza delle nazionali francese e olandese. Sulle prime rampe del Mikuni Pass era il Belgio a mantenere un’andatura costante con Benoot. Anche Nairo Quintana (Colombia) si staccava. Insieme a lui, perdevano definitivamente il contatto col gruppo Kasper Asgreen (Danimarca) e Alejandro Valverde (Spagna), che era riuscito a rientrare precedentemente. Anche Tom Dumoulin (Olanda), Sergio Higuita (Colombia), Vincenzo Nibali e Giulio Ciccone (Italia) e Remco Evenepoel (Belgio) si facevano sfilare. Il Mikuni Pass si stava rivelando il punto clou della corsa olimpica, con il gruppo principale che contava non più di una trentina di unità. Tadej Pogacar (Slovenia) scattava a circa 4 km dallo scollinamento. Riuscivano a mantenere il suo ritmo Brandon McNulty (USA) e Michael Woods (Canada). Il gruppo era tirato da Alberto Bettiol (Italia) e Wout van Aert (Belgio), mentre sembrava in difficoltà Primoz Roglic (Slovenia). Sul terzetto di testa si riportavano Bauke Mollema (Olanda), Michal Kwiatkowski (Polonia), Alberto Bettiol (Italia) e Richard Carapaz (Ecuador). Anche Rigoberto Uran (Colombia) raggiungeva la compagnia a circa 2 km dallo scollinamento. Grazie al lavoro di Van Aert, rientravano sui primi, oltre al belga, anche Bauke Mollema (Olanda), Jakob Fuglsang (Danimarca) e David Gaudu (Francia). Prima della seconda ascesa verso il Kagosaka Pass, rientravano anche Maximilian Schachmann (Germania) ed Adam Yates (Gran Bretagna). A 25 km dall’arrivo attaccavano Carapaz e McNulty. La coppia di testa conquistava un discreto vantaggio sugli immediati inseguitori. Le doti da passista di McNulty si facevano vedere nella discesa successiva allo scollinamento del Kagosawa Pass. A 20 km dall’arrivo la coppia di testa aveva 40 secondi di vantaggio sui diretti inseguitori. Bettiol era vittima di crampi e si faceva sfilare. Restavano in 10 all’inseguimento di Carapaz e McNulty. A 6 km dall’arrivo Carapaz attaccava e si lasciava alle spalle McNulty che veniva ripreso dal drappello degli inseguitori. All’entrata del Fuji International Speedway, il ciclista ecuadoriano aveva una trentina di secondi di vantaggio sugli immediati inseguitori. Carapaz dava tutti negli ultimi km ed andava a trionfare sul traguardo, per il primo oro olimpico di un ciclista sudamericano. Nella volata ristretta per l’argento, van Aert batteva al photofinish Pogacar, che doveva accontentarsi del bronzo. Chiudevano la top five olimpica Bauke Mollema in quarta posizione e Michael Woods in quinta posizione. Prossimo appuntamento con gli uomini sarà il 28 Luglio nella prova a cronometro. Van Aert vorrà sicuramente rifarsi dopo un pur ottimo argento, ma la concorrenza è agguerrita con Filippo Ganna (Italia) e Rohan Dennis (Australia) che gli daranno filo da torcere.
Giuseppe Scarfone
Dopo il Giro del 2019 ecco un'altra perla firmata Carapaz, la gara su strada alle olimpiadi di Tokyo (foto Bettini)
TOUR DE WALLONIE, SECONDA PER GROENEWEGEN
Dylan Groenewegen raddoppia le vittorie di tappa in volata al Wallonie. Battuti Nizzolo e Gaviria
Tappa mossa e nervosa per tutto il percorso, con fughe e controfughe che si susseguono senza mai riuscire a prendere il largo.
Quando al traguardo mancano circa 60 Km se ne vanno in 7: Dries De Bondt (Alpecin-Fenix), Julius van den Berg (EF Education – Nippo), Loïc Vliegen (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Florian Vermeersch (Lotto Soudal), Eliot Lietaer (B&B Hotels p/b KTM), Dries Van Gestel (Team TotalEnergies), e Toon Aerts (Baloise – Trek Lions), i quali sembrano prendere finalmente il largo.
Il gruppo controlla e chiude il tentativo ai -20, ma non sono finite le emozioni odierne: sulle ultime cotes in programma si susseguono nuovi tentativi fra cui quello di Josef Černý (Deceuninck Quick Step) e della maglia arancione di leader Quinn Simmons (Trek – Segafredo), ma senza successo.
Si giunge dunque alla volata a ranghi compatti: il più veloce è di nuovo Dylan Groenewegen (Team Jumbo-Visma), che batte sulla linea del traguardo un buon Giacomo Nizzolo (Team Qhubeka NextHash) e Fernando Gaviria (UAE-Team Emirates).
Quinn Simmons mantiene il vessillo del primato in classifica generale.
Lorenzo Alessandri
Twitter @LorenzoAle8

Dylan Groenewegen bissa il successo di tappa al Wallonie (Getty Images Sport)
TOUR DE WALLONIE, È IL GIORNO DI SIMMONS
Quinn Simmons vince con una bella azione di forza la terza tappa del Wallonie. Dewulf e Renard completano il podio
Tappa mossa e nervosa lungo tutto il percorso odierno fatto di diversi saliscendi che non hanno permesso ad una vera e propria fuga di prendere il largo. L’azione decisiva si muove soltanto ai -10 Km dal traguardo lungo l’ascesa finale al Côte de Beffe, dettata da Matteo Fabbro (Bora-Hansgrohe), Alessandro Covi (UAE Team Emirates), Odd Christian Eiking (Intermarché-Wanty-Gobert) e Stan Dewulf (AG2R Citroën).
Alle loro spalle è lesto il duo Trek-Segafredo composto da Quinn Simmons e Juan Pedro López a lanciarsi all’inseguimento e rientrare sulla testa poco dopo lo scollinamento del GPM. Lo stesso Simmons è protagonista di ripetuti attacchi nel finale, ai quali riesce a resistere soltanto Dewulf. I due procedono di ottimo accordo mentre il gruppo dietro tarda ad organizzarsi, perdendo ogni ultima speranza di rientrare sulla testa della corsa.
Partita la volata finale a due, lo statunitense della Trek si lancia in un lunghissimo allungo al quale il belga della Cofidis non riesce a rispondere, dovendo accontentarsi della piazza d’onore. La volatina del plotone per la terza posizione è regolata da Alexis Renard (Israel Start-Up Nation). Per lo statunitense della Trek-Segafredo anche la doppia gioia della nuova maglia di leader della classifica generale.
Lorenzo Alessandri
Twitter LorenzoAle8
Quinn Simmons esulta sul traguardo. Photo Credit: Bettini Photo
TOUR DE WALLONIE, BENTORNATO JAKOBSEN
Fabio Jakobsen vince la seconda tappa del Tour de Wallonie, la prima volta dopo il terribile incidente. Secondo Gaviria, terzo Capiot
Giornata particolare oggi: la tappa originale è stata stravolta nel percorso a causa delle terribili inondazioni che hanno colpito il Belgio nei giorni scorsi, costringendo gli organizzatori a emulare il tracciato iridato 2002 tanto caro all’Italia e a Mario Cipollini.
L’altimetria è pressoché inesistente in termini di dislivello rendendo il ritmo corsa forsennato nelle battute iniziali. Alla fine dopo un po’ di confusione se ne vanno Dries De Bondt (Alpecin-Fenix), Logan Owen (EF Education – Nippo), Quinten Hermans (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Juan Pedro López (Trek – Segafredo), Erik Nordsaeter Resell (Uno-X Pro Cycling Team), Toon Aerts (Baloise – Trek Lions) e Gianni Marchand (Tarteletto – Isorex). Come prevedibile però le squadre dei velocisti non lasciano mai il pallino del gioco agli attaccanti fino alla definitiva chiusura del tentativo del mattino, quando al traguardo mancano 20 Km.
Qui la Deceuninck QuickStep detta il ritmo e lancia una volata magistrale per il redivivo Jakobsen che riesce a mettere la ruota davanti a tutti sul traguardo del circuito di Zolder e tornare alla vittoria dopo il terribile incidente al Giro di Polonia dello scorso anno. Alle sue spalle Fernando Gaviria (UAE Team Emirates) e Amaury Capiot (Arkéa-Samsic).
Lorenzo Alessandri
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Fabio Jakobsen torna alla vittoria al Tour de Wallonie (foto Bettini)
TOUR DE WALLONIE, PRIMA A GROENEWEGEN
Dylan Groenewegen vince la prima tappa del Tour de Wallonie davanti a Hugo Hofstetter e Gianni Vermeersch
Prima tappa del Giro di Vallonia 2021, edizione segnata dal lutto per la perdita di troppe vite umane causata dalle terribili inondazioni che hanno colpito Germania e Belgio nei giorni scorsi.
Dopo il minuto di silenzio commemorativo, parte la corsa vera e propria ma la fuga tarda a delinearsi con tentativi che si susseguono senza successo. È solo quando al traguardo mancano 40 km che Stan Dewulf (AG2R Citroën Team) e Jenthe Biermans (Israel Start-Up Nation) prendono il largo e comandano la corsa fino ai -10, quando il plotone riesce a ricucire il distacco accumulato.
Rintuzzati anche gli ultimi tentativi da finisseurs parte la volata a ranghi compatti: Dylan Groenewegen è il più veloce di tutti e ritrova la vittoria dopo ben 17 mesi di astinenza. Alle sue spalle, secondo Hugo Hofstetter (Israel Start-Up Nation) e terzo Gianni Vermeersch (Alpecin-Fenix).
Lorenzo Alessandri
Twitter LorenzoAle8

Dylan Groenewegen esulta sul traguardo dopo 17 mesi di attesa (Getty Images Sport)
GRANDI POGI, CAV E I VANS MA LO SFONDO È DI CARTAPESTA
Tour fenomenale fino alla tappa numero nove, poi irrigidito in una coazione a ripetere resa inevitabile dall’eccessiva superiorità di pochi eccelsi protagonisti
Un Cavendish alla seconda, anzi terza freschezza, dopo anni di moscio e mesto appassimento (zero vittorie nelle scorse due stagioni, faticando a piazzarsi nei dieci contro rivali di modesta levatura in quel del Saudi Tour, della Vuelta a San Juan o del Giro di Turchia) ritrova la livrea vincente dei magici anni HTC e finisce nel verde squillante di una banana appena spiccata dall’albero.
Di fatto, la notizia in cronaca per quest’ultima tappa passarella è che Cavendish riesce a non vincere, forse sopraffatto da un senso di leggero imbarazzo che l’ha frenato nel supremo atto iconoclasta di superare il record di Merckx quanto a tappe vinte al Tour. Record solamente eguagliato dunque, con la consolazione per l’uomo di Man che se parliamo di volate vinte al Tour, il povero Merckx resta senz’altro in secondo piano, dato che il Cannibale per fare numero ha dovuto ricorrere a ogni sorta di mezzuccio, vincendo crono, arrivi in salita, tapponi in fuga più o meno solitaria e, certo, qualche volata. Ma allo sprint la coazione a ripetere di Cannoball è impareggiabile! Si ironizza, ma l’impresa resta, e probabilmente colloca il buon Cav al primo posto nella graduatoria assoluta dei più grandi velocisti puri di tutti i tempi, grazie a questo spareggio fuori tempo massimo con cui viene decretata, pur nell’arbitrio di queste valutazioni, la sua superiorità nei confronti di Cipollini, che costituiva finora il più accreditato rivale in questa volata nella Storia, improntata, com’è ovvio per la categoria, alla pura prolificità, senza scendere in altre sottigliezze. Perché, se di sottigliezze volessimo parlare, andrebbe detto che l’efficacia della Quickstep nel fare e disfare sprinter imbattibili con un semplice tocco di bacchetta magica in qualche modo sminuisce il valore intrinseco del campione di volta in volta elevato a insospettate altezze. Non si tratta di lanciarsi in campagne di sospetto (anche se ci pensa da sé il buon Lefevere a farci rabbrividire quando critica a mezzo stampa Sam Bennett per essersi sottratto alle cure dell’ineffabile Vanmol – della serie, sì, il nostro patto col diavolo continua e guai a chi non firma). Anche rimanendo alla più superficiale evidenza tecnica, una combinazione di preparazione e gestione del treno ha in questi anni trasformato onestissimi mestieranti come Bennett o specialisti non purissimi come Viviani, direttamente, nel “miglior sprinter del mondo” finché durava l’idillio. Idem dicasi per un talento puro ma di arduo affinamento come Gaviria. La commovente resurrezione dell’ex campione 36enne dopo quattro anni di buio puro va contestualizzata in questo quadro favorevole: ma per le circostanze bisogna farsi trovare pronti, e Cavendish ha indiscutibilmente trovato il guizzo fra temerarietà e scelta dell’attimo per piegare lo spazio tempo ed entrare nel mito, proprio come nella sua indimenticabile Sanremo di dodici anni fa.Di questa congiuntura fa parte anche un parco di rivali ai minimi storici, nel comparto almeno degli sprinter purissimi, con la ciliegina dei vezzi di casa Alpecin ove, dopo la prima vittoria, si è sacrificato il più veloce Merlier alle ambizioni di Philipsen in nome di una improbabile legge di alternanza. Mettiamoci il declino inarrestabile della magica classe 1990 (Sagan e Matthews appannati perfino nel loro specifico, la caccia alla maglia verde) e si intuirà come perfino un Greipel ormai quasi quarantenne, già determinato a pensionarsi a breve, abbia raccolto svariate top ten.
Il rivale principale di Cavendish, o almeno il più fatale, è stato un altro gigante, in questo caso davvero al culmine del proprio splendore, ma non certo un velocista puro – e anche questo la dice lunga! Wout Van Aert ha stroncato sui Campi Elisi i sogni di sorpasso made in UK e così si è in qualche modo elevato a paladino del record del proprio connazionale, della cui stravolgente polivalenza sembra il più degno e inedito erede, anche se un’epoca troppa diversa e altri valori fisici gli predestinano un cammino differente. E tuttavia è inevitabile la sensazione di monumentalità che comunica un atleta capace di vincere tre tappe al Tour (dove si porta sempre a casa due o tre tappe da quando ha debuttato, come se nulla fosse), e non tre tappe “qualunque”, ammesso che ne esistano, bensì lo sprint più importante ed emblematico sui Campi Elisi, la crono pura dell’ultima settimana e la tappa regina in montagna, quella del doppio Mont Ventoux, casomai il tutto non fosse già abbastanza leggendario. Un atleta fuori da ogni incasellamento, che rende trionfale il Tour dei Jumbo Visma nonostante il ritiro causa cadute del capitano Roglic: la squadra finisce ridotta alla metà, e ciò nondimeno il livello di forma esibito è così insultante che riescono a vincere, oltre alle tre di Van Aert, un’altro tappone pirenaico, con Kuss (e perfino Teunissen ci va vicino). Il secondo posto finale dell’esordiente e giovanissimo Vingegaard, capace di staccare Pogacar in salita e, alla faccia dei propri 58 kg, pure in una crono piatta non fa che confirmare lo stato di grazia di un collettivo che, senza il capitano designato, si è espresso in una costellazione di talenti individuali invece che replicare l’effetto “schiacciasassi da guerra” dell’anno passato. Francamente, tutto a maggior godimento dello spettatore, con una conversione che invece è riuscita solo a metà (cioè solo al Giro…!) al Team INEOS, qui precipitato invece in una parodia di se stesso sui Pirenei, col duplice risultato di ammazzare la gara e magnificare il proprio stato attuale di irrilevanza.
Ma, francamente, i Pirenei è meglio dimenticarli. Non che ci sia stato molto da ricordare in quel paio di tappette formato juniores, con troppi km piatti prima delle scalate, che presuntamente dovrebbero far la delizia dello spettatore moderno. Basti dire che il podio di giornata si è ripetuto identico da un giorno all’altro. Premessa smorta di una terza settimana afflosciata su stessa, tutta affidata alle alzate di ingegno in cerca di gloria del già giallissimo Pogacar. Ne è un altro esempio quella crono che pur corposetta è del tutto irrilevante per la classifica generale: se non andiamo errati l’unico mutamento nelle prime venti posizioni è l’ingresso di Mollema (appunto 20esimo con più di un’ora di distacco da Pogacar) ai danni di Henao. Il resto della top 20 ne esce del tutto identico.
A fronte della modestia di troppi protagonisti, con una startlist che per la generale lasciava parecchio a desiderare specie dopo le cadute di prammatica (ma il Giro ha retto meglio pur con grandi perdite), il tracciato è divenuto un fattore estremamente determinante. Disegnatasi benissimo la “prima settimana”(che sono poi nove tappe, di fatto), al di là delle brutte cadute è stata anche sulla strada entusiasmante. La seconda settimana è vissuta solo di imprese individuali, di poco peso in GC, perché il tracciato favoriva il controllo e la stasi. La terza settimana all’insegna della leggerezza non ha fatto altro che ratificare il già noto. Troppa leggerezza è sconfinata nell’inconsistenza.
Ma, oltre al tracciato, in quella prima settimana c’era un’altra macchina da spettacolo. Totalmente on fire, oltretutto. Mathieu van der Poel è stato il mattatore della settimana che ha trascorso in giallo, fin dal vero e proprio arrembaggio con cui ha strappato il primato a un Alaphilippe che ha bruciato quasi tutto il proprio splendore in quel primo ed unico jour en jaune. Il capolavoro, la sua “difesa all’attacco” nella lunghissima tappa di Le Creusot. Tornano i chilometraggi over 200, quelli che portano noia secondo gli esperti da salotto televisivo, e il Tour vive cinque ore e mezza di spettacolo puro, nonché probabilmente l’unico momento in cui Pogacar deve aver avvertito un effettivo senso di minaccia. Complicità assoluta con Van Aert nel mettere in subbuglio il pollaio, rivalità assoluta nel giocare il tutto e per tutto pur di non passare il giallo all’arcinemico, che lo tallonava a trenta secondi.
Tutto il resto è Pogacar. Devastante nella prima crono, incomparabile sul bellissimo percorso di Le Grand Bornand dove attacca in solitaria a 30 km dalla fine per firmare un’impresa che resterà negli annali. Il Tour finisce il giorno dopo a Tignes, con la conferma che non di fiammata isolata si è trattato. Da lì in poi restano solo le occasioni perse, quelle degli altri s’intende. Pogacar si andrà a prendere le sue tappe di montagna in giallo per la foto mentre il resto del peloton si spartisce il contorno del banchetto. Impazzano i Bahrain (per una volta, davvero eloquente la classifica finale per squadre che li premia), raccattano un paio di stuzzichini i Bora e i Trek, vive la propria favola di fuga bidone, crolli e infine tenuta il buon Ben O’Connor… e poco altro. Piacciono diversi atleti, Enric Mas che regge, stenta ma non si arrende a ci prova sempre (chiaramente in chiave tradizionale, senza troppa fantasia, ma si fa apprezzare), sulla stessa linea pure Bilbao. Ancor meglio i Guillaume Martin o Gaudu che provano pure a inventare. Ma l’impressione è che la loro dimensione sia sempre e comunque la top 10, forse top 5, più che un podio. Bravissimi comprimari, non autentici rivali che costituiscano la pietra di paragone per un campione. Per fortuna in questo caso ci pensa il campione a metter se stesso alla prova, dando così una qualche indiretta misura della propria caratura. Ma, soprattutto, regalandoci grande ciclismo anche in un Tour di chiaroscuri, dove i lampi individuali, pregiatissimi, spiccano fra carriere in appannamento, eterni incompiuti e imponenti dinamiche di squadra.
Gabriele Bugada
Il podio del Tour de France 2021 (foto Bettini)
SETTIMANA CICLISTICA ITALIANA, TRIS DI ACKERMANN. ULISSI VINCITORE FINALE
Pascal Ackermann cala il tris nell’ultima tappa della corsa sarda battendo in volata Jhonatan R. Valencia e Sep Vanmarcke. Diego Ulissi porta a casa la classifica finale
Ultima tappa della corsa in terra sarda, da Sassari a Cagliari. Come da copione delle precedenti frazioni, anche quest’oggi la corsa è movimentata e fatica a prendere una direzione delineata. La fuga non riesce a partire: dato il forte ritmo il gruppo si fraziona in più tronconi nella fase centrale di corsa, e alcuni dei velocisti favoriti per la vittoria finale vengono tagliati fuori dalla contesa. Il drappello formatosi al comando giunge così al traguardo pronto a lanciare la volata: ancora una volta è Pascal Ackermann (Bora Hansgroe) il più veloce, battuti nettamente il colombiano Jhonatan Restrepo (Androni Giocattoli Sidermec) e Sep Vanmarke (Israel Start Up Nation). Per il tedesco è la terza vittoria di tappa in questa edizione della corsa sarda.
L’altro vincitore di giornata è Diego Ulissi (UAE Emirates) che non si fa trovare impreparato nei frazionamenti in testa alla corsa e giunge al traguardo con i migliori, sigillando la vittoria in classifica generale.
Lorenzo Alessandri
Twitter @LorenzoAle8
Pascal Ackermann cala il tris sul traguardo di Cagliari. Photo Credit: Bettini Photo

