ROMEO SORPRENDE TUTTI A CHARANTONNAY, TAPPA E MAGLIA PER LO SPAGNOLO DELLA MOVISTAR
Una fuga ben assortita – basti pensare ai nomi di Mathieu van der Poel (Team Alpecin Deceuninck) e Florian Lipowitz (Team Redbull BORA Hansgrohe) – mette in scacco gruppo i presunti big di classifica che non riescono a riprenderla ed a Charantonnay a vincere è Ivàn Romeo (Team Movistar), che attacca al punto giusto ed indossa anche la maglia gialla. Domani ci si aspetta la reazione dei vari Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel nell’attesa cronometro di Saint-Péray
La terza tappa del Giro del Delfinato parte da Brioude e termina a Charantonnay dopo quasi 203 km. Jonathan Milan (Team Lidl Trek) deve difendere la maglia gialla conquistata ieri ma non sarà facile visto la presenza di cinque gpm, comunque non durissimi ma che spezzetteranno continuamente il ritmo ed in più i primi 150 km sono costellati da numerosi saliscendi che si faranno sentire specialmente nelle gambe dei ciclisti più pesanti. Pronti via si saliva subito verso il primo gpm della Côte de Cornille posta al km 8.9 sulla quale scollinava in prima posizione Ruben Guerreiro (Team Movistar). Quest’ultimo gpm, dopo una breve discesa si immetteva sulla successiva Côte de Brbate sulla quale era Louis Barré (Team Intermarchè Wanty) a scollinare per primo. Il francese vinceva poco dopo anche il traguardo volante di La Chaise-Dieu posto al km 29.4. Dopo una quarantina di km e diversi attacchi nel gruppo si formava finalmente la fuga di giornata composta da un totale di tredici ciclisti. Oltre all’attivissimo Barré erano presenti anche Florian Lipowitz (Team Redbull BORA Hansgrohe), Julien Bernard (Team Lidl Trek), Ivàn Romeo (Team Movistar), Mathieu van der Poel (Team Alpecin Deceuninck), Andreas Leknessund (Team Uno X Mobility), Harold Tejada (Team XDS Astana), Brieuc Rolland (Team Groupama FDJ), Krist Neilands (Team Israel Premier Tech), Eddie Dunbar (Team Jayco AlUla), Anthony Turgis (Team TotalEnergies), Axel Laurance e Michael Leonard (Team INEOS Grenadiers). Barré scollinava in prima posizione sulla Côte de Malataverne, terzo gpm in programma posto al km 78.7. Dopo essersi staccato già sui primi due gpm dei giornata, Milan provava comunque a tenere duro nonostante fosse segnalato in ritardo nella parte centrale della tappa rispetto al primo gruppo inseguitore in cui erano presenti tutti i big di classifica e dove UAE Team Emirates e Soudal Quick Step mantenevano un ritmo abbastanza sostenuto in modo da tenere a bada i tredici battistrada. Barré scollinava in prima posizione anche sul Col du Tracol posto al km 129.6. A 22 km dalla conclusione il ritardo del gruppo sulla fuga era di 1 minuto e 10 secondi. Sulla Côte du Château Jaune, ultimo gpm in programma, nel gruppo dei battistrada si avvantaggiavano di qualche metro Lipowitz, Leknessund, Bernard e Tejada. Era un tira e molla continuo che vedeva alla fine, a poco più di 5 km dalla conclusione, l’attacco decisivo di Romeo che allungava ed andava a vincere con 14 secondi di vantaggio su Tejada e Barrè mentre Lipowitz chiudeva in quarta posizione e Van der Poel in quinta a 27 secondi di ritardo da Romeo. Il gruppo inseguitore non riusciva a rientrare sui battistrada ed arrivava al traguardo con 1 minuto e 8 secondi di ritardo. Per Romeo è la seconda vittoria stagionale dopo quella ottenuta a febbraio nella terza tappa della Volta a la Comunitat Valenciana. Il giovane spagnolo è anche la nuova maglia gialla con 17 secondi di vantaggio su Barrè e 18 secondi di vantaggio su Tejada. Domani la cronometro individuale da Charmes-sur-Rhône a Saint-Péray di 17.4 km sarà il primo vero spartiacque di questo Giro del Delfinato con la classifica generale che cambierà fisionomia e con i veri protagonisti di questa edizione che dovrebbero emergere dalla massa, ed i nomi più caldi sono naturalmente quelli di Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel. Certo dovranno impegnarsi tutti e tre per riprendere quelli che gli stanno davanti, in particolare Van der Poel che a cronometro non scherza, perciò assisteremo sicuramente ad una bella lotta in ottica classifica generale.
Antonio Scarfone

Ivàn Romeo vince a Charantonnay (foto: Getty Images)
DELFINATO, STAVOLTA È VOLATA VERA: MILAN SEGNA E RADDOPPIA, LA MAGLIA GIALLA È SUA
Stavolta i velocisti non si sono fatti scappare i “grandi” sotto il naso, come era capito ieri pomeriggio nel finale della prima tappa. E così il nostro Jonathan Milan non solo ha potuto solo gustare il piacere del successo, ma è riuscito pure a condirlo con la conquista della maglia gialla, tolta grazie agli abbuoni a Tadej Pogacar
La seconda tappa del 77esimo Giro del Delfinato parte dal paese di Prémilhat, a pochi chilometri dalla città di Montluçon dove ieri si è conclusa la prima, e prosegue la lenta marcia di avvicinamento alla zona delle Alpi, che saranno le protagoniste assolute delle ultime tre tappe. L’arrivo è previsto nel paese di Issoire dopo 205 chilometri e, come già nella tappa di ieri, non mancheranno i GPM, nessuno dei quali davvero impegnativo: se ne contano uno di seconda categoria, due di terza e tre di quarta. Verranno affrontate in successione la Côte de la Font Nanaud (4° categoria, 3,5 chilometri al 5%) dopo 33 chilometri, la Côte de Saint-Priest-des-Champs (4° categoria, poco più di un chilometro al 5%) dopo 50 chilometri, la Côte des Rivauds (3° categoria, 3,5 chilometri al 4%) dopo 62 chilometri, la Côte de Saint Jacques-d’Ambur (3° categoria, 3 chilometri al 5%) dopo 71 chilometri e poi, nella seconda parte della tappa, la Côte du Château de Buron (2° categoria, 3 chilometri al 7%) al chilometro 147 e infine la Côte de Nonette (4° categoria, 2 chilometri al 6%), al chilometro 187, quando al traguardo ne mancheranno meno di 18. Vi saranno tuttavia altre salite nel corso della tappa, non considerate GPM, delle quali la più importante sarà probabilmente lo strappo di Chauffour (800 metri al 4%), situato ad appena 4 chilometri dall’arrivo e sul quale potremmo vedere gli scatti dei finisseur. Ogni esito è comunque possibile, dalla volata generale, ieri mancata per un soffio, allo show dei quattro grandi, che ieri sono arrivati ai primi quattro posti nell’ordine di arrivo dopo un finale incredibile, oltretutto corso in pianura e non già sull’ultima salita. Ma sarà difficile che anche oggi i grandi vogliano sprecare energie preziose in una tappa che non potrà produrre distacchi importanti e non c’è dubbio che anche le squadre dei velocisti faranno di tutto per non perdere nuovamente una delle poche occasioni di vedere un loro uomo sul gradino più alto del podio.
Si parte alle 12.20 con un tempo ottimo, così come quello di ieri, e subito torna all’attacco il francese Paul Ourselin (Cofidis), che forse nutre la segreta speranza di vincere la classifica degli scalatori che lo vede al comando dopo la lunga fuga di ieri, quando per quattro volte è transitato primo sui GPM di quarta categoria. Ourselin stavolta fa tutto da solo e, approfittando dell’andatura cicloturistica tenuta dal gruppo, porta il suo vantaggio a quasi 7 minuti già al 33esimo chilometro, quando passa sul primo GPM, la Côte de la Font Nanaud. A questo punto la distanza che lo separa da quelli che dovrebbero inseguirlo è di ben 5 chilometri! Finalmente gli uomini della Lidl – Trek, che hanno nelle loro fila il nostro Jonathan Milan, tra i più forti velocisti in circolazione, iniziano a darsi da fare e quando Ourselin passa sul secondo GPM, la Côte de Saint-Priest-des-Champs, il suo vantaggio è sceso a cinque minuti e mezzo. Il fuggitivo scollina per primo anche sul terzo e quarto GPM, col gruppo che, molto lentamente, riduce il distacco a poco più di quattro minuti. Ourselin è primo anche nel villaggio di Olby, situato a metà tappa, dove si trova un traguardo volante con 3 secondi di abbuono, e inizia la seconda parte della corsa odierna ancora con quattro minuti abbondanti di vantaggio. Da notare che Olby si trova a soli 8 chilometri dalla vetta del Puy de Dôme, tra le salite più iconiche del Tour de France, e che purtroppo viene solo aggirato dal percorso della tappa odierna: d’altra parte è da molti anni che questa montagna non può più essere scalata, neanche in bicicletta (sia pure con una notevole eccezione due anni fa). Dal gruppo iniziano a fare sul serio e, dopo che il vantaggio dello stremato Ourselin – ieri in fuga per 140 chilometri – è sceso ad un solo minuto, si riportano su di lui tre corridori, i francesi Romain Combaud (Team Picnic PostNL) e Victor Guernalec (Arkéa – B&B Hotels) e il danese Christopher Juul-Jensen (Team Jayco AlUla), anni fa campione nazionale a cronometro. Ourselin riprende fiato e in compagnia dei nuovi arrivati riporta il vantaggio a circa un minuto in mezzo quando inizia l’ascesa del GPM di 2° categoria, la Côte du Château de Buron. Sulla salita Combaud e l’affaticato Ourselin si staccano ed è Guernalec a passare per primo in cima: Ourselin è comunque terzo e rafforza il primato nella classifica degli scalatori, per quanto le grandi montagne siano ancora lontane. Dal gruppo, intanto, si staccano i corridori meno adatti alle salite, fra i quali Milan e il forte passista norvegese Magnus Cort (Uno-X Mobility), che tuttavia riusciranno a rientrare nella piana successiva. A 45 chilometri dalla fine il gruppo è nuovamente compatto, avendo riassorbito i fuggitivi, e dopo pochi minuti passa ad Issoire, sulla linea del traguardo, dove si immette in un circuito di circa 43 chilometri da percorrersi una volta sola e che presenta le ultime salite di questa tappa. Nulla accade sino all’ultimo GPM, la Côte de Nonette, dove parte il grande Romain Bardet (Team Picnic PostNL), che tra pochi giorni abbandonerà l’attività agonistica: è lui a scollinare per primo e poi a insistere nell’azione solitaria, sperando di ottenere un’ultima vittoria nel corso di questa stagione, cosa che ancora non gli è riuscito di fare. Ma anche in questa occasione la sorte e le gambe non gli sono amiche e a 9 chilometri dal traguardo il gruppo rinviene su di lui. Torna la calma finché non arriva lo strappo di Chauffour, sul quale Tim Wellens (UAE Team Emirates – XRG) e il compagno di squadra Jhonatan Narváez aumentano l’andatura, proteggendo il loro capitano Tadej Pogačar, leader della classifica, dagli attacchi dei finisseur. Si va dunque alla volata finale, con la squadra di Milan che all’ultimo chilometro prende in mano la situazione e lancia il nostro velocista verso una facile vittoria. Alle sue spalle si piazza il britannico Fred Wright (Bahrain – Victorious), già in evidenza ieri, mentre terzo è Mathieu van der Poel (Alpecin – Deceuninck), che probabilmente sperava di strappare la maglia gialla dalle spalle di Pogacar grazie al gioco degli abbuoni. È invece Milan a prenderla, con lo stesso tempo (ma migliori piazzamenti) dello sloveno e con Van der Poel ancora terzo. Domani la tappa sarà più impegnativa, ma è probabile che sino alla cronometro di mercoledì saranno gli abbuoni, e non i distacchi, a decidere i primi della classifica.
Andrea Carta

Il friulano Milan vince la seconda tappa del Delfinato (Getty Images)
CRITERIUM, ED È SUBITO POGACAR
Tadej Pogacar è già in formissima in vista del via del Tour e lo ha dimostrato oggi imponendosi subito nella prima tappa del Criterium del Delfinato. Ma hanno impressionato anche i diretti rivali per la Grande Boucle Vingegaard ed Evenepoel, che gli sono giunti immediatamente alle spalle in una volata nella quale s’è inserito Van der Poel.
Il Giro del Delfinato, giunto quest’anno alla sua 77esima edizione, inizia con una tappa quasi pianeggiante, che compie un lungo giro nelle basse colline della Francia centrale, con partenza nel paese da Domerat e arrivo nella città di Montluçon dopo 196 chilometri. Siamo ai margini della regione di Lione, dove tradizionalmente si svolge la maggior parte di questa storica corsa a tappe, e da domani i corridori si sposteranno progressivamente verso Est sino a raggiungere le Alpi, dove il Giro si concluderà domenica prossima con un’arrivo a pochi passi dal confine italiano, sul colle del Moncenisio.
Il percorso odierno prevede l’ascesa di ben 7 GPM di quarta categoria, in realtà delle semplici “côtes”che non dovrebbero presentare grandi difficoltà: nell’ordine s’incontrano la Côte de Sainte-Thérence (2.5 km al 4%) dopo 107 chilometri, la Côte d’Argenty (2 km al 5%) al chilometro 114 e, quindi, al chilometro 125, si sale per la prima volata sulla Côte de Buffon (600 metri al 9%) dopo aver imboccato il circuito finale intorno a Montluçon, anello che verrà percorso due volte così da poter effettuare altri due passaggi sia sulla citata Côte de Buffon (ai chilometri 157 e 189, a meno di 7 dal traguardo), sia sulla meno impegnativa Côte de Domérat (1.8 km al 4%) ai chilometri 140 e 171. È improbabile che i tre grandi delle corse a tappe – Tadej Pogačar (UAE Team Emirates – XRG), Jonas Vingegaard (Team Visma | Lease a Bike) e Remco Evenepoel (Soudal Quick-Step) – vogliano scoprire le carte dal primo giorno e l’esito finale della tappa è, almeno oggi, del tutto imprevedibile. Anche una volata generale non può essere esclusa, mentre un occhio di riguardo andrà tenuto nei confronti di Mathieu van der Poel (Alpecin – Deceuninck), che ha confermato la sua presenza solo pochi giorni fa, nonostante la frattura al polso subita durante una gara di MTB.
Alla partenza, che viene data poco dopo le 10, se ne vanno in fuga due gregari semisconosciuti: l’esperto Paul Ourselin (Cofidis) e il giovane Pierre Thierry (Arkéa – B&B Hotels), il cui vantaggio arriva sino a un massimo di tre minuti. Il gruppo procede tranquillamente, senza lasciare che il vantaggio dei fuggitivi diventi troppo importante, ma senza darsi concretamente da fare per riprenderli. Sulla prima “côte”, quella di Sainte-Thérence, quando i corridori sono già oltre metà gara, è Ourselin a passare per primo, mentre il vantaggio sul gruppo è di circa due minuti. Nulla cambia sulla seconda ascesa, quella di Argenty, con Ourselin primo e il gruppo a due minuti. Poi, quando inizia il circuito finale e si affronta per la prima volta la breve ma ripida salita di Buffon, i fuggitivi iniziano a perdere colpi e il gruppo si avvicina a circa un minuto. Ourselin transita primo anche su questa terza ascesa e al chilometro 132, quando siamo già oltre due terzi di gara, i corridori passano per la prima volta sulla linea del traguardo. Nulla cambia nei chilometri successivi, con Ourselin primo anche sulla salita di Domérat e il gruppo a soli 40 secondi. Poco dopo proprio Ourselin tira i remi in barca, lasciando Thierry in fuga da solo. Nonostante la defezione del compagno di fuga riduca al lumicino le sue possibilità di arrivare vittorioso sul traguardo finale, il corridore continua con decisione e transita primo al secondo passaggio sulla Côte de Buffon. Il suo vantaggio si riduce però a soli 10 secondi, anche perché su quest’ascesa il gruppo accelera. Poco dopo ne esce il britannico Fred Wright (Bahrain – Victorious), che raggiunge subito Thierry e continua la fuga con lui; la coppia di testa riprende un buon vantaggio e transita per la seconda e penultima volta sulla linea del traguardo di Montluçon con 36 secondi sul gruppo, ancora compatto. Si risale ben presto sulla penultima côte, col secondo passaggio sul Domérat, ed è ancora Thierry a transitare per primo; poi, come già aveva fatto Ourselin, il francese si fa riassorbire dal gruppo, mentre Wright continua da solo e a 20 chilometri dal traguardo mantiene a fatica una decina di secondi di vantaggio. Nel gruppo inizia a tirare la Lidl – Trek, probabilmente sperando che il loro velocista di punta, il nostro Jonathan Milan, possa vincere la volata a Montluçon, ma il corridore britannico resiste tenacemente ed è solo quando iniziano a tirare anche gli uomini di Van der Poel e Vingegaard che viene ripreso, a 7 chilometri dalla conclusione. In quel momento la corsa si trova sull’ultima salita, quella già du volte affrontata della Côte de Buffon. Nel tratto più ripido dil francese Axel Laurance (INEOS Grenadiers), un giro di Norvegia al suo attivo, allunga con decisione portandosi dietro il britannico Lukas Nerurkar (EF Education – EasyPost), che transita primo in cima alla salita. Entrambi vengono ripresi subito dopo, po il gruppo rimane allungato nel tratto pianeggiante successivo. Il colpo di scena arriva a 5 chilometri dalla conclusione: è Vingegaard che attacca in prima persona, con Pogačar che subito lo segue; si accodano immediatamente Van der Poel e il colombiano Santiago Buitrago (Bahrain – Victorious) e poco dopo, con un leggero ritardo sugli altri quattro, anche Evenepoel si accoda, Assistiamo così all’incredibile spettacolo di una fuga negli ultimi chilometri proprio da parte dei quattro grandi, ciascuno dei quali vuole intimorire gli altri mostrando di essere già al massimo della forma. Nel gruppo le squadre dei velocisti cercano di reagire e il quintetto dei fuggitivi non riesce mai a superare gli 8 secondi di vantaggio. All’ultimo chilometro il loro vantaggio è ancora di 5 o 6 secondi e dietro non si danno per vinti. Il finale è da cardiopalma: Van der Poel tenta un allungo a 700 metri dall’arrivo, senza successo, e ai 500 metri il gruppo, allungatissimo, ha che una cinquantina di metri di svantaggio. Ai 200 metri il vantaggio svanisce del tutto e partono simultaneamente due sprint: davanti Van der Poel lancia il suo, seguito da Evenepoel, Pogacar e Vingegaard, mentre Buitrago si arrende; dietro il gruppo tenta a sua volta di saltare i fuggitivi ma, senza avere in testa i migliori velocisti, rimasti attardati per il ritmo elevatissimo tenuto negli ultimi chilometri, non riesce nell’impresa e consente a Pogačar di andare incredibilmente a vincere la volata davanti a Vingegaard, con Van der Poel che cede negli ultimi metri e arriva terzo. Quarto è Evenepoel, seguto a pochi centimetri dal transito del primo elemento del gruppo, l’inglese Jake Stewart (Israel – Premier Tech). A leggere l’ordine d’arrivo, con 79 corridori accreditati dello stesso tempo, si direbbe che il fuoriclasse sloveno abbia vinto un “volatone” e non uno sprint ristretto. Il nostro Milan, che non è riuscito a portarsi in tempo nelle posizioni di testa, è solo 28esimo. Primo degli italiani Simone Velasco (XDS Astana Team), ventesimo.
Alla fine Pogačar si ritrova, forse inaspettatamente, in maglia gialla e con in tasca la 96esima vittoria della sua carriera. La classifica, basata soltanto sugli abbuoni, è cortissima, ma i segnali ci sono tutti: i tre grandi sono già in piena forma e nessuno vuole essere da meno degli altri. Questa edizione del Delfinato si preannuncia davvero combattuta e le salite vere, che come in ogni edizione saranno numerose, devono ancora arrivare.
Andrea Carta

Pogacar vince in volata la prima tappa del Giro del Delfinato (Getty Images)
GIRO DI SLOVENIA 2025; IVO OLIVEIRA TRIONFA NELL’ULTIMA TAPPA, JOHANNESSEN SI IMPONE IN CLASSIFICA
Ivo Oliveira (UAE Team Emirates-XRG) si impone nettamente nella quinta e ultima tappa del Giro di Slovenia, conquistando uno sprint ristretto a Novo Mesto. A trionfare in classifica generale è il norvegese Anders Halland Johannessen (Uno-X Mobility), che difende con successo la maglia gialla e firma la sua prima vittoria in carriera in una corsa a tappe.
L’ultima frazione del Giro di Slovenia 2025 ha regalato emozioni e conferme, con un finale a tutta velocità nella tradizionale volata di Novo Mesto. Ivo Oliveira, portacolori della UAE Team Emirates-XRG, ha dimostrato una determinazione rabbiosa e una condizione eccellente battendo in volata Andrea Bagioli (Lidl-Trek) e Fernando Barceló (Caja Rural-Seguros). Per Oliveira si tratta della terza vittoria stagionale, dopo le due tappe vinte al Giro d’Abruzzo, portando a sei i successi in carriera. Si è trattato di un trionfo dal sapore speciale, dedicato al fratello Rui Oliveira, che era stato declassato nella seconda tappa, decisione della giuria che era stata contestata dal fratello.
La tappa, di 124 km da Litija a Novo Mesto, è stata movimentata sin dai primi chilometri con continui attacchi e una doppia scalata a Vače che ha animato la corsa. Un gruppo di cinque corridori, tra i quali Juan Pedro López e Sam Oomen (entrambi in forze alla Lidl-Trek), ha tentato la fuga ma è stato ripreso a meno di un chilometro dal traguardo. Nel finale Ivo Oliveira ha piazzato lo scatto decisivo a 300 metri dal traguardo, lasciando Bagioli e Barceló senza risposta.
Oltre a Oliveira sono da segnalare le ottime prestazioni di Fabio Christen (Q36.5) – quarto e vincitore delle classifiche a punti e GPM – e di Ludovico Crescioli (Polti-VisitMalta), quinto. Bene anche Lorenzo Quartucci (Solution Tech), ottavo, e Matteo Scalco (VF Group-Bardiani CSF-Faizanè), nono.
In classifica generale non ci sono stati cambiamenti di rilievo: Anders Halland Johannessen (Uno-X Mobility) ha saputo controllare la corsa gestendo il vantaggio sugli inseguitori e ha chiuso con 14” di margine su Felix Großschartner (UAE Team Emirates-XRG) e di 19” su Tao Geoghegan Hart (Lidl-Trek). Chiudono la topfive Quarto Jakob Omrzel (Bahrain-Victorious) e Christen. Il primo italiano in classifica è Alex Tolio (VF Group Bardiani CSF Faizanè), decimo a 1’32”.
Con questa vittoria di tappa e la conferma di Johannessen in maglia gialla, il Giro di Slovenia 2025 si chiude con un bilancio positivo per entrambe le squadre e per i tanti giovani protagonisti pronti a emergere nel panorama internazionale.
Mario Prato

La premazione di Anders Halland Johannessen, il vincitore dell'edizione 2025 del Giro di Slovenia (foto Sportida)
GIRO DI SLOVENIA: TSARENKO TRIONFA IN SALITA A GOLTE, JOHANNESSEN NUOVO LEADER
Kyrylo Tsarenko (Solution Tech-Vini Fantini) si impone nella tappa regina del Giro di Slovenia 2025, con l’arrivo in salita a Golte. L’ucraino ha staccato nel finale l’italiano Samuele Zoccarato (Team Polti VisitMalta), conquistando una vittoria di prestigio. Sul podio anche il norvegese Anders Halland Johannessen (Uno-X Mobility), che grazie al terzo posto balza in testa alla classifica generale.
La quarta tappa del Giro di Slovenia, la più attesa e impegnativa, ha regalato uno spettacolo avvincente con una fuga da manuale e una battaglia in salita degna di una grande classica. Fin dai primi chilometri un gruppo di sei corridori – Samuele Zoccarato (Team Polti VisitMalta), Carl-Frederik Bevort (Uno-X Mobility), Kyrylo Tsarenko (Solution Tech-Vini Fantini), Anže Skok (Adria Mobil), Dominik Röber (Benotti Berthold) e Mihael Štajnar (Pogi Team Gusto Ljubljana) – ha preso il largo, guadagnando fino a cinque minuti sul gruppo.
Tra i battistrada Tsarenko e Zoccarato sono i più forti e, dopo una lunga lotta, Tsarenko impone il suo ritmo sulla salita finale di Golte (13 km al 7,5%), staccando Zoccarato a meno di 4 chilometri dal traguardo e andando a vincere con 28 secondi di margine. Il giovane azzurro si è difeso con orgoglio, chiudendo secondo, mentre a completare il podio è arrivato Anders Halland Johannessen (Uno-X Mobility), primo dei big della generale, terzo a 38 secondi.
La bagarre tra i favoriti si è accesa a circa 2,5 km dall’arrivo, quando Tao Geoghegan Hart (Lidl-Trek) e Juan Pedro Lopez (Lidl – Trek) hanno provato ad attaccare, ma senza successo. Il gruppo si è ridotto a una decina di corridori, con il leader della classifica Fabio Christen (Q36.5 Pro Cycling Team) in difficoltà negli ultimi 2500 metri, costretto a cedere oltre un minuto alla nuova maglia gialla Johannessen.
Alla vigilia dell’ultima frazione il norvege3se guida la classifica generale con 16 secondi su Felix Großschartner (UAE Team Emirates-XRG) e 19 secondi su Geoghegan Hart. Il primo degli italiani in classifica è Alex Tolio (VF Group Bardiani-CSF Faizanè), decimo a 1’32”.
Con questo risultato Tsarenko festeggia la sua quarta vittoria stagionale in appena due mesi, dopo il successo al Tour of Hainan e al Trofeo De Gasperi, mentre Johannessen dimostra di essere un serio candidato alla vittoria finale del Giro di Slovenia.
Domani la corsa si concluderà a Novo Mesto con un’ultima frazione dal finale interessante perchè nel circuito finale dovrà essere affrontato il breve ma erto muro di Trška, 1500 metri al 10.5% che potrebbero buttare all’aria il verdetto della tappa di montagna, considerati i pochi secondi che distanziano i primi 5 corridori della classifica generali, raccolti in un fazzoletto di 50 secondi.
Mario Prato

Tsarenko vince la tappa regina del Giro di Slovenia 2025 (Eurosport)
GIRO DI SLOVENIA 2025, GROENEWEGEN CONCEDE IL BIS. SUA ANCHE LA TERZA TAPPA A ORMOŽ
Il velocista olandese domina di nuovo in volata e conquista la settima vittoria in carriera nella corsa slovena. Molano secondo, bene gli italiani Parisini e Colnaghi. Fabio Christen resta leader in classifica generale.
La terza tappa del Giro di Slovenia 2025, Majšperk-Ormož di 172 chilometri, premia ancora Dylan Groenewegen. Il corridore del Team Jayco AlUla, già vincitore della frazione inaugurale, ha messo il proprio sigillo anche sul traguardo di Ormož, battendo in uno sprint serrato il colombiano Juan Sebastian Molano (UAE Team Emirates-XRG) e il tedesco Phil Bauhaus (Bahrain Victorious).
Un finale non semplice, quello di oggi, disegnato tra saliscendi, strade strette e raffiche di vento, che non ha impedito al gruppo di riassorbire la fuga del giorno e lanciarsi compatto verso l’arrivo. Il copione si è ripetuto: Molano ha provato ad anticipare la volata partendo lungo, ma Groenewegen ha reagito con lucidità cogliendo il momento giusto per superarlo sul filo dei centimetri. Per l’olandese si tratta della terza vittoria stagionale, la settima complessiva al Giro di Slovenia.
La tappa era stata animata da una lunga fuga a sei, con protagonisti Mikel Retegi (Equipo Kern Pharma), Danny van der Tuuk (Euskaltel Euskadi), Marcel Skok (Adria Mobil), Albert Gathemann (Benotti Berthold), Nejc Komac (Factor Racing) e Jon Pritržnik (Pogi Team Gusto Ljubljana). Il loro vantaggio ha superato i cinque minuti, poi a 37 chilometri dal traguardo Komac ha tentato l’azione solitaria, tenendo il gruppo a distanza fino ai -4 km, prima dell’inevitabile epilogo in volata.
Tra gli italiani si segnalano due piazzamenti importanti: Nicolò Parisini (Q36.5 Pro Cycling Team) ha chiuso ottavo, mentre Luca Colnaghi (VF Group – Bardiani CSF – Faizanè) ha ottenuto il decimo posto.
La classifica generale non subisce scossoni. Lo svizzero Fabio Christen (Q36.5) conserva la maglia di leader con 16” di vantaggio su Anders Halland Johannessen (Uno-X Mobility) e 21” su Tao Geoghegan Hart (Lidl-Trek). Primo degli italiani è Colnaghi, 12º a 1’18”.
Le parole di Groenewegen al traguardo confermano la difficoltà e il valore di questa affermazione:
“È stata una grande battaglia con Molano. Il percorso non era affatto facile, tra salite, vento e strade strette. Ma la squadra ha fatto un lavoro perfetto per mettermi nelle condizioni di vincere. Questa seconda vittoria è una spinta importante per me e per tutti i compagni”.
Domani sarà il giorno della frazione regina, con l’atteso arrivo in salita a Golte: la classifica generale è pronta a cambiare volto.
Mario Prato

Groenewegen vince la terza tappa del Giro di Slovenia (foto Sportida)
GIRO DI SLOVENIA, RUI OLIVEIRA FESTEGGIA MA LA VITTORIA VA A CHRISTEN DOPO IL DECLASSAMENTO
La seconda frazione della corsa slovena regala spettacolo, scossoni in classifica e un colpo di scena nel finale: il portoghese Rui Oliveira taglia per primo il traguardo ma viene retrocesso per sprint irregolare. Il successo e la maglia vanno all’elvetico Fabio Christen.
Il Giro di Slovenia 2025 accende subito i riflettori con una seconda tappa piena di colpi di scena. A Rogaška Slatina il primo a tagliare il traguardo è Rui Oliveira (UAE Team Emirates – XRG), ma la sua gioia dura poco perchè una manovra scorretta negli ultimi metri gli costa il declassamento, regalando così tappa e maglia verde all’elvetico Fabio Christen (Q36.5 Pro Cycling Team), già tra i più attivi di giornata. Cambia la classifica generale e cambia anche il volto della corsa, che si anima ben oltre le previsioni della vigilia.
La tappa prende vita fin dai primi chilometri grazie a una fuga composta da Diego Uriarte (Equipo Kern Pharma), Andrea Piras (Solution Tech-Vini Fantini), Teo Pečnik (Adria Mobil), Mihael Štajnar (Pogi Team Gusto Ljubljana) e lo stesso Christen. Il loro vantaggio cresce fino a superare i due minuti, ma viene eroso gradualmente durante la salita di Celjska Koča (7,8 km al 6,2%), quando la Lidl-Trek decide di alzare il ritmo, approfittando delle difficoltà del leader della classifica Dylan Groenewegen (Team Jayco AlUla), staccato dal gruppo principale.
La corsa si accende definitivamente negli ultimi 20 chilometri, quando si avvantagia un gruppo selezionato. I primi a lanciarsia all’attacco sono Oliveira e Sjoerd Bax (Q36.5 Pro Cycling Team), seguiti da Felix Großschartner (UAE Emirates XRG), Anders Halland Johannessen (Uno-X Mobility), Jakob Omrzel (Bahrain-Victorious), il vincitore del Giro d’Italia del 2020 Tao Geoghegan Hart (Lidl-Trek) e ancora Christen. I sette trovano subito l’accordo e arrivano insieme al chilometro finale con un margine sufficiente per giocarsi la vittoria. In un finale teso e combattuto, è Rui Oliveira a trovare il guizzo vincente. Rimonta Christen e taglia per primo il traguardo, festeggiando quella che sarebbe stata la sua prima vittoria da professionista. Ma la festa dura poco: la giuria analizza le immagini e rileva un’irregolarità nello sprint del portoghese, retrocedendolo all’ultima posizione del gruppetto di testa. Il successo viene così assegnato a Christen, già brillante protagonista della tappa, che si prende anche la maglia di leader della classifica generale.
Alle sue spalle salgono sul podio Johannessen e un ritrovato Geoghegan Hart, che torna protagonista dopo un lungo periodo lontano dai vertici. Ottavo posto per Nicolò Parisini (Q36.5 Pro Cycling), miglior piazzato del gruppo inseguitore, giunto a 53” dal vincitore.
Con la vittoria e gli abbuoni accumulat Christen guida ora la classifica generale con 14” di vantaggio su Johannessen e 21” su Geoghegan Hart. Oliveira, inizialmente secondo, scivola al sesto posto nella generale dopo il declassamento. Il Giro di Slovenia, atteso come banco di prova per le giovani promesse e i corridori in cerca di rilancio, si conferma anche quest’anno imprevedibile e combattuto, con una lotta per la maglia verde già apertissima.
Prossimo appuntamento, la terza tappa da Majšperk›Ormož, favorevole ai velocisti. Ma con un Christen in grande forma e avversari determinati a ribaltare la situazione, lo spettacolo è tutt’altro che finito.
Mario Prato

Oliveira vince in volata ma viene declassato (foto Sportida)
GROENEWEGEN INAUGURA IL GIRO DI SLOVENIA CON UN COLPO DA MAESTRO
Il campione olandese firma la volata di Skofljica e torna al successo. Jayco AlUla impeccabile nel pilotarlo alla vittoria.
La prima tappa del Giro di Slovenia 2024 ha visto il ritorno al successo di Dylan Groenewegen. Il velocista olandese della Jayco AlUla ha conquistato la Pirano–Skofljica (170,6 km) con uno sprint deciso e perfettamente orchestrato dal suo team. Sul traguardo ha preceduto Phil Bauhaus (Bahrain Victorious) e Manuel Peñalver (Team Polti VisitMalta), mentre Luca Colnaghi (VF Group-Bardiani CSF-Faizanè) è stato il miglior italiano con un solido sesto posto.
Nel corso della giornata, il gruppo ha lasciato spazio a una fuga composta da quattro corridori, mantenendo però sempre il controllo della corsa grazie al lavoro della Jayco AlUla. Il distacco si è mantenuto stabile attorno ai due minuti fino alle battute finali, quando l’andatura si è fatta più sostenuta e i fuggitivi sono stati ripresi a meno di dieci chilometri dal traguardo.
La squadra australiana ha poi svolto un lavoro magistrale nel portare Groenewegen nelle prime posizioni al momento decisivo. Il velocista dei Paesi Bassi è stato perfettamente scortato fino all’ultima curva, dove ha lanciato una progressione irresistibile, imponendosi con autorità.
Quella odierna è la sesta vittoria di tappa di Groenewegen al Giro di Slovenia, corsa dove si conferma protagonista. Le prossime due tappe offriranno altre occasioni per i velocisti e l’olandese si candida già come uomo da battere.
Nel post-gara, Groenewegen ha commentato con soddisfazione:
«La posizione migliore in finale è stata la ruota dei miei compagni di squadra. Mi hanno tenuto davanti molto bene, tutti sapevano che soprattutto nell’ultima curva a sinistra era molto importante avere una buona posizione. Max Walscheid si è assicurato che potessi fare la curva perfetta, quindi avevo un’ottima posizione di partenza per lo sprint. Sono estremamente felice di aver vinto oggi. Nei giorni scorsi non mi sentivo perfettamente in forma, ma oggi le cose sono andate molto bene per me e per la squadra. Avevamo un piano e ci siamo attenuti ad esso in modo ordinato. La squadra merita questa vittoria dopo tutto il duro lavoro svolto durante la tappa».
Il Giro di Slovenia è appena iniziato, ma il tono è già stato dato: servirà brillantezza, strategia e – soprattutto – gambe veloci.
Mario Prato

Groenewegen vince la prima tappa del Giro di Slovenia (www.alesfevzer.com)
IL GIRO FINISCE IN GIALLO: DEL TORO MATADOR DI SE STESSO
Tappa di Roma e trionfo in rosa per lo sciame giallo Visma. Il simbolo è Wout: senza troppo brillare, fanno alla grande quel che sanno fare…
Roma ribadisce papale papale la sentenza del Sestriere: assist da manuale di Wout Van Aert, e Kooji insacca la vittoria della tappa finale.
Poco altro da ricordare in una tappa passerella, se non l’omaggio Visma alla moglie di Gesink, scomparsa prematuramente: l’ennesimo lutto nella vita di un corridore (ritiratosi l’anno scorso e per quasi vent’anni bandiera del team) per il quale i trionfi o le amarezze offerti dalla bicicletta sono stati ricacciati a forza in una prospettiva assai relativa, anche se è significativo e commovente che proprio in sella lo stesso Gesink abbia voluto rimarcare col ricordo la propria risposta a quest’altro violento scossone esistenziale.
Ancora non si è posato il poverone del Colle del Finestre, dove la sensazione generalizzata è che – nonostante la prova magistrale indiscutibilmente offerta da Simon Yates e dal suo team Visma – non abbia effettivamente vinto, anzi diciamo pure dominato, l’atleta più forte, bensì il più pronto, disposto e predisposto a giovarsi del mutuo scornarsi altrui. Anche questa è la bellezza del ciclismo, dove non tutto è scatto secco, irruenza, wattaggio, ma talora viene a galla la più profonda natura della sfida che è quella con se stessi: non tanto nel senso ovvio e quasi banale di trascendere i propri limiti atletici nello sforzo o perfino nella sofferenza, quanto in quello ben più profondo di rivedere e cesellare adeguatamente i condizionamenti impostici dal proprio ego.
È un equilibrio sottile perché senza voglia di affermarsi nello sport è difficile vincere. Ma questo è uno sport in cui per vincere bisogna essere molte volte pienamente disposti a perdere. Non si tratta solo di bluffare – capitolo pur importantissimo nel manuale della tattica in bicicletta – bensì di comportarsi in modo da accettare pienamente il rischio di una sconfitta bruciante per potersi così infilare in pertugi di possibilità che, a volte, possono diventare sfuggenti anche per il più forte di tutti.
Anzitutto, però, un grande e doveroso omaggio a Simon Yates che, pur con qualche stagione difficile, è sempre stato fra i grandi protagonisti delle corse a tappe, soprattutto i grandi giri, e perfino nell’era dei fenomeni transumani si è spesso ricavato piazzamenti di prestigio da “primo o secondo fra i mortali”, per di più militando ostinatamente, quasi a oltranza, in una squadra australiana di media caratura, il suo primo team professionistico, pur di poter fare le cose a modo proprio. Su altra scala, un atteggiamento da van der Poel ante litteram. L’anno scorso però qualcosa si era rotto, le prestazioni apparivano opache e sicuramente ormai abbondantemente scoccata la trentina le sensazioni erano di demotivazione e declino: di qui la scelta di cambiare aria in cerca di metodologie nuove. Ammettendo i limiti delle proprie prassi e priorità pregresse – del proprio personalissimo “modo di essere se stesso” insomma – pur di levarsi la curiosità di scoprire quale sarebbe stato il proprio punto di arrivo una volta accettata una guida diversa. Chissà che in ciò non abbia influito l’esempio del fratello gemello Adam, che cedette ben prima alle sirene del team britannico INEOS (britannico come i due gemelli, attesi come profeti dal proprio movimento nazionale), ricavandone una prima miglioria del rendimento sportivo, per poi dare un autentico salto verso l’alto, adempiendo al potenziale da sempre attribuitigli, con l’approdo allo squadrone UAE nelle vesti di gregario extralusso per Pogi – e qualche bella vittoria collaterale come ricompensa. Il destino ha voluto che per Simon la squadra a cui rispondere di sì fosse quel Team Visma che della UAE sono gli arcinemici, capaci in più occasioni di sopraffare il talento puro dello stratosferico capitano avversario grazie a tattiche eccellenti e preparazioni fisiche estremamente mirate.
Dalla stagione passata, nondimeno, il Team Visma, perdute sponsorizzazioni importanti, pare aver perso una parte della propria preponderanza atletica. Complici infortuni assortiti, i suoi atleti di punta apparivano nel 2024 tutti un’ombra sbiadita di quanto avessero esibito al mondo intero fra 2022 e 2023. E il 2025 sembrava partito con la stessa musica, epitome della quale il talento cristallino di Wout Van Aert ridotto spesso a correre di rimessa per poi perdere addirittura volate in teoria scontatissime. Si erano aperte allora due scuole di pensiero, in realtà in parte compossibili: da un lato chi riteneva che il Team Visma avesse ormai passato i picchi del biennio 2022 e 2023, per cui i suoi atleti sarebbero andati nel 2025 a collocarsi come già nel 2024 in un ambito di più normale competitività, magari scontando pure qualche scoria da eccesso prestazionale protratto, con la possibile eccezione dei nuovi inserti che magari si giovassero del primo impatto di metodologie innovative rispetto a team di provenienza comunque più mediocri, o addirittura giovanili; dall’altro lato, c’è invece chi considera che l’abnorme forza gravitazionale del Tour de France da rivincere a ogni costo con Vingegaard abbia, anche solo inconsapevolmente, fatto slittare in avanti il fulcro prestazionale del team, di cui si spiegherebbe così una primavera mediocre, con picchi di forma raggiunti macchinosamente, e sempre arrivati con tre o quattro settimane di ritardo.
Il Giro non conferma né smentisce alcuna di queste due elucubrate teorie. Certamente fa piacere che la Visma non abbia dominato con uno strapotere fisico insultante, anzi. Emblematica la vittoria di Wout Van Aert a Siena, accettando – proprio nel teatro della sua propria rivelazione al mondo intero come fenomeno assoluto anche su strada (complice lo sterrato) – di trovarsi ora a seguire passivamente, quasi sommessamente, le ruote di uno scatenato Del Toro 21enne, senza mai dare un cambio neppure simbolico, pur di garantirsi il margine di fiato necessario a giocarsela d’esperienza nel finale. Astuzia, prudenza, saggezza, calcolo, accettazione dell’umiliazione, tattica, regole del gioco, opportunità o opportunismo, tutto però ampiamente nei limiti del bello, del poetico, della dignità di non sapersi il più forte atleticamente, ma comunque entro la fierezza di volere – e dovere – imporre a quell’altro, lui sì più forte, la necessità sportiva di superar-si, per poter vincere, cioè senza concedergli di farlo per mera inerzia fisica.
E tale è parso anche il Giro di Simon Yates e dei gregari Visma tutti. Momenti di notevole brillantezza fisica e altri di appannamento, sempre nei parametri imposti a ciascuno dal proprio talento. Il più al di sotto del proprio potenziale, Van Aert, è stato colui che si è rilevato, e di gran lunga, il più decisivo per i trionfi altrui, pilotando magistralmente lo sprinter Kooji, di per sé meno esplosivo del previsto, ma capace comunque di vincere così due tappe. La gestione perfetta sul Finestre per farsi trovare nel luogo perfetto con il massimo di forze per innestare quella trenata devastante che ha trasformato un minuto o due scarsi di vantaggio in una voragine mostruosa profonda cinque incolmabili, lunghissimi minuti. Distruggendo del tutto il morale e le opzioni strategiche di chi inseguiva. E seppur Simon Yates sia apparso la propria miglior versione, nemmeno lui ha proposto il tipo di stravolgimento dei valori in campo che si ricorda con sacro timore dall’altro Finestre britannico, quello di Froome (e del crollo di Simon, come si è ribadito a iosa in questi giorni).
Pur in tutt’altro modo – questo un Giro divertentissimo, quello uno noiosissimo – è emersa una qualche reminiscenza della vittoria 2023 da parte di Roglic, allora appunto capitano dell’alveare giallo Jumbo-Visma. Una condotta sorniona, di risparmio, di attendismo, di presenza attenta, a tratti sofferta, ma mai preponderante… fino a un colpo da KO in cui scatenare tutto il potenziale di una forma finalmente al culmine. È anche (ma col culmine anticipato di quattro tappe) lo schema vincente del Tour di Vingo 2023. Così come la giocata scacchistica facente perno su Van Aert ha ricordato l’identica chiave, seppur allora solo potenziale, del Tour 2022, quando Pogacar fu costretto a inseguire Roglic per impedire che si ricongiungesse con Van Aert là davanti. Molti, avendo visto la capacità distruttiva di questo Wout (e non certo il Super Wout 2022!) sabato in pochi km di falsopiano, avranno forse dovuto ricredersi in merito alla presunta ingenuità di Pogacar in quel frangente.
Insomma, per risolvere il giallo di questo Giro 2025 enigmatico e misterioso fino all’ultimo colosso alpino, i Visma hanno dovuto far ricorso a tutto il proprio repertorio da autentici Sherlock Holmes della bicicletta, strategie geniali e rivelazioni conclusive comprese. Sarà da capire se al Tour alzeranno ulteriormente l’asticella atletica o se sarà con queste stesse armi, compreso magari un Simon in veste di super gregario, che affronteranno la rivincita contro l’UAE, che senza Pogi è veramente apparsa più allo sbando che mai.
Ora però bisogna parlare di chi questo Giro lo ha reso così appassionante, e va detto che, al netto della bella giocata di chiusura, non sono stati certo i Visma, anzi in generale piuttosto pedissequi e complici nello spegnere ogni focolaio di battaglia.
Il merito è invece per la prima parte di Bernal e della sua INEOS, che chiudono il Giro un po’ obliati perché giunti al finale con il fiato corto e pure con la squadra accorciata dai vari ritiri. Egan è stato comunque esemplare. Campione vero nella testa, anche con gambe non all’altezza della volontà, ha usato la squadra e la strategia per smuovere la corsa in mille frangenti, peraltro venendo penalizzato da un tracciato che offriva tappe scandalosamente predisposte a una facile difesa da parte di squadroni compatti proprio quando la sua forma era al meglio. Senza farsi demoralizzare, le ha animate aprendo crepe a non finire nelle corazzate avversarie, e probabilmente inducendo quell’alzarsi imprevisto del livello di competizione durante la seconda settimana che ha messo fuori gioco tutti coloro che non fossero al meglio. Il risultato, un settimo posto non generoso nei suoi confronti (ci sarebbe stata una top 5, rispetto a un Caruso da applausi vista l’età ma comprensibilmente sparagnino nello stile di corsa) resta comunque di gran lunga il migliore nei grandi giri, dopo il tremendo incidente contro il bus che quasi gli costò la carriera o la vita a inizio 2022. Deve essere durissima per un fenomeno arrampicarsi faticosamente non mese dopo mese bensì anno dopo anno lungo la viscida parete della miglioria prestazionale, dal nulla assoluto in risultanze, il mero potersi allenare e correre (che è già moltissimo), alle prime top 10 in corse a tappe brevi, poi i podi in queste ultime, e infine lottare al vertice in un Grande Giro, e in un Giro d’Italia addirittura.
Carapaz ci ha regalato la versione migliore di se stesso. Il corridore che non sbaglia il tempo di un attacco, che coniuga l’esecuzione mirata di ogni passo con il risultato da perseguire, che raccoglie il massimo di quanto stia sul piatto. Il tutto con uno stile aggressivo, esplosivo, sorprendente. A Bismantova quell’attacco fulminante che lasciò il pubblico così incredulo da far pensare a molti “lo hanno lasciato andare”. Niente di più falso, lo dissero subito i colleghi e lo confermò la strada poi. Devastante nel tappone omerico del massacro di San Valentino, seccamente il più forte, determinato nel portarsi a ruota Pellizzari, pur consapevole che l’italiano (finalmente libero da obblighi di gregariato dopo il ritiro di Roglia) lo avrebbe infilzato in contropiede – ma Richard aveva in testa solo l’obiettivo rosa. Di nuovo eccezionale verso Bormio, prima il forcing sul Mortirolo per predisporre il terreno a che l’ultimo strappetto delle Motte divenisse potenzialmente selettivo, poi la fucilata, con Del Toro, e di nuovo con Del Toro protagonismo a due nella tappa della noia, quella valdostana, dove nondimeno i due latinos si sarebbero confermati nel finale una spanna sopra tutti in termini sia di fondo sia di esplosività. E qui forse si è annidata la serpe che sarebbe costata il Giro ad entrambi…
Perché quando Carapaz a sorpresa usa tutta la squadra per far esplodere il gruppo da inizio e salite e trasformare l’intero interminabile Finestre in un infinito anfiteatro per un duello uno contro uno (contro uno…), in Del Toro si radica un pensiero assurdo e autodistruttivo, il pensiero che confesserà candidamente poi in tutte le interviste. “Carapaz era arrogante, pensava di poterci demolire tutti, e io ho deciso che gli avrei dimostrato che quanto a me, no, non avrebbe mai potuto staccarmi”. Dall’orgoglio alla paura di vederlo incrinato il passo è breve. E dalla paura alla paralisi il passo è più breve ancora. Così Del Toro si rifiuta ostinatamente di collaborare con Carapaz che per tutto il Finestre porta il peso degli allunghi sugli inseguitori, e fin qui ci potrebbe anche stare, degli scatti per scuotere il catenaccio della maglia rosa, e pure questo potrebbe avere una logica, ma perfino il peso tutto dell’inseguimento a Simon Yates perché, questa la scusa di Del Toro a domanda esplicita, “essendo Yates terzo e Carapaz secondo, toccava a lui inseguirlo”. Ebbene, lo abbiamo visto. La colossale baggianata è il tipico grumo di pensiero a cui la mente si attacca disperatamente per giustificare a se stessa l’ingiustificabile: pur di non correre il benché minimo rischio di vedersi in qualche momento staccato da Carapaz, Del Toro ha buttato alle ortiche il Giro d’Italia. Diciamo Del Toro perché in bicicletta c’era lui e lo stile di corsa lasciava trasparire appieno il suo stato d’animo, ma la responsabilità principale, con un atleta di 21 anni, è dell’ammiraglia, che deve strillargli nell’auricolare, per una volta con giusta causa, la condotta di gara da seguire. C’era un’ora di ascesa per farlo entrare in ragione.
La peculiarità della situazione è che essa non era simmetrica: senza poter staccare Del Toro, a nulla valeva a Carapaz riprendere Yates. Per lui, già vincitore di un Giro, e già secondo nel 2022, poco o nulla cambia il gradino del podio. E, sic stantibus rebus, Carapaz ha potuto e dovuto fare del tutto e di più pur di staccare Del Toro, ma non è stato possibile. Dunque amarezza tanta, ma rimpianti pochi. La possibilità per Carapaz di vincere sarebbe cominciata laddove Del Toro stesso avesse voluto, prima di tutto, vincere. Si badi bene, non una certezza di vincere, perché altrimenti Del Toro avrebbe avuto ben ragione di non imbandire la vittoria a Carapaz, e dunque di imbandirla a chi altri avesse lui voluto.
Ma esisteva eccome una terra di nessuno, una striscia nebbiosa e polverosa e tortuosa come gli ultimi km del Finestre, entro la quale Carapaz, e Del Toro, e pure Yates, certo (in terz’ordine!), si sarebbero potuti giocare la definitiva maglia rosa su un equilibrio di secondi, misurando le rispettive forze e i rispettivi sforzi. In questo modo invece Del Toro ha ottenuto ciò che si era prefisso, non perdere da Carapaz. Sicuramente penserà, e ne ha ben donde, che non sarà questa la sua ultima occasione. Ma proprio le storie personali di Bernal, e di Carapaz, e dell’America Latina tutta, insegnano che non si sa mai per davvero se la prima occasione sarà anche l’ultima (in realtà per Bernal parliamo del Tour, e per Carapaz speriamo che l’ultima non sia ancora giunta, ma il riferimento è ai Giri sfuggiti di un niente). Bernal e Carapaz hanno còlto la propria occasione maiuscola quando è toccato loro, ormai nel 2019, per entrambi, poi per il resto della carriera hanno dimostrato – e proprio non vincendo – di essersela meritata eccome. La domanda resta aperta per Del Toro, ma forse, come per quasi ogni 21enne (o 104enne) di questo mondo, la sua vera corrida in cui al contempo sopravvivere e lasciarsi sopraffare, toro e torero in uno, è ancora quella celebrata nell’arena interiore.
Gabriele Bugada

Il podio del Giro 2025 (foto Dario Belingheri/Getty Images)
LE FINESTRE PARLANO ANCORA INGLESE: YATES SI RIPRENDE QUELLO CHE AVEVA LASCIATO LASSÙ NEL 2018
Con una grande impresa Simon Yates vince il Giro d’Italia sulla stessa salita sulla quale lo aveva perduto nel 2018. Del Toro e Carapaz si marcano agevolando Yates ma gli errori più gravi sono di Del Toro e della UAE.
Una bellissima tappa ha ribaltato il Giro d’Italia grazie all’attacco di Simon Yates (Team Visma | Lease a Bike), che si è inserito nella battaglia in corso tra Isaac Del Toro (UAE Team Emirates – XRG) e Richard Carapaz (EF Education – EasyPost) e si è involato verso la Cima Coppi, trovando in discesa un passistone con un grande motore come Wout Van Aert (Team Visma | Lease a Bike), che gli ha permesso di incrementare il vantaggio nel tratto in falsopiano.
Yates ha fatto una grande impresa come quella che il connazionale Froome aveva fatto proprio ai suoi danni nel 2018 e quindi bisogna attribuirgli il merito della sua stupenda azione, ma vanno parimenti sottolineati i gravissimi errori della UAE e di Del Toro.
Il primo errore della formazione emiratina è stato quello di non inserire un uomo nella fuga, che in una tappa come quella di oggi era una mossa praticamente obbligata vieppiù pensando a che corridore aveva inserito la squadra del terzo della classifica.
Quando Carapaz ha attaccato all’inizio della salita del Colle delle Finestre Del Toro ha risposto molto bene mentre Yates ha proseguito regolare con il suo passo, comunque ottimo, e si è riportato sulla coppia. Nella girandola di scatti e attacchi Yates è stato lasciato andare e sin lì ci può anche stare, visto che non si può rispondere a tutti colpo su colpo, ma quando il vantaggio di Yates aveva superato il minuto Del Toro e Carapaz hanno fatto quasi una sorta di surplace, al punto che Derek Gee (Israel – Premier Tech), che si staccava ad ogni scatto, non solo si riportava sulla coppia dei sudamericani ma rilanciava la velocità semplicemente proseguendo con il proprio passo.
Ora un uomo in maglia rosa sotto attacco non può permettersi di giocare a chi va più piano perché ovviamente per Carapaz arrivare secondo o terzo non fa grossa differenza.
Chi rischiava di perdere il giro era Del Toro che, quindi, doveva mettersi in testa e andare al massimo che poteva per cercare di evitare che il vantaggio lievitasse troppo.
Sicuramente sulla salita avrebbe limitato i danni, visto che il gioco tattico con Carapaz è andato avanti per diversi chilometri. Allo stesso modo in discesa e nel tratto in falsopiano verso il Sestriere invece di chiedere collaborazione a Carapaz e passeggiare dopo aver ricevuto un diniego avrebbe dovuto mettersi a testa bassa e andare a tutta.
Probabilmente avrebbe perduto lo stesso, visto che Yates aveva trovato Van Aert, ma sarebbe stato certamente meglio che consegnare il giro su un piatto d’argento al britannico.
Ovviamente questo non cancella tutte le cose ottime che Del Toro ha mostrato in questo Giro d’Italia, ma quello di oggi è stato un gravissimo errore che nemmeno un giovane deve commettere. Quando Yates è davanti con un minuto di vantaggio la maglia rosa deve prendere l’iniziativa. Non era Carapaz che rischiava di perdere il Giro ma Del Toro. Ora è possibile che Del Toro fosse al limite, però certamente poteva provare ad andare del suo passo senza quasi fermarsi nei momenti in cui Carapaz rallentava per costringerlo ad andare davanti.
Yates ha giocato di esperienza, ma certamente l’errore della Uae e quello di Del Toro hanno facilitato non poco la riuscita dell’impresa.
La tappa è stata caratterizzata da una fuga di circa 30 corridori formatasi in più tempi, che è andata via nelle fasi iniziali della corsa e ha raggiunto un vantaggio massimo di circa 10 minuti
Il tentativo era composto da Timo Kielich (Alpecin-Deceuninck), Sylvain Moniquet (Cofidis), Dries De Bondt (Decathlon Ag2r La Mondiale Team), Enzo Paleni (Groupama-FDJ), Kim Heiduk (Ineos Grenadiers), Jacopo Mosca (Lidl-Trek) e Gianmarco Garofoli (Soudal Quick-Step),Francesco Busatto (Intermarché – Wanty), Mads Pedersen (Lidl-Trek), Carlos Verona (Lidl-Trek), Jon Barrenetxea (Movistar Team), Ethan Hayter (Soudal Quick-Step) e Manuele Tarozzi (VF Group Bardiani CSF – Faizanè),Quinten Hermans (Alpecin-Deceuninck), Jimmy Janssens (Alpecin-Deceuninck), Alessandro Verre (Arkea-B&B Hotels), Pello Bilbao (Bahrain Victorious), Fran Miholjević (Bahrain Victorious), Stefano Oldani (Cofidis), Andrea Vendrame (Decathlon Ag2r La Mondiale Team), Sven Erik Bystrøm (Groupama-FDJ), Kévin Geniets (Groupama-FDJ), Rémy Rochas (Groupama-FDJ), Kevin Colleoni (Intermarché – Wanty), Simon Clarke (Israel – Premier Tech), Jefferson Cepeda (Movistar Team), Chris Harper (Team Jayco AlUla), Mattia Bais (Team Polti VisitMalta), Mirco Maestri (Team Polti VisitMalta), Wout van Aert (Team Visma | Lease A Bike) e Martin Marcellusi (VF Group Bardiani CSF – Faizanè).
Sul Colle delle Finestre la fuga ha perso via via pezzi, finché non sono restati davanti solo Harper e Verre. Quest’ultimo ha provato a tenere il ritmo dell’australiano ma non è riuscito nell’impresa. Verre è stato, però, bravo e gestirsi e a non naufragare, cosa che gli ha permesso di resistere al ritorno di Yates e di guadagnare il secondo posto.
La corsa dei big è stata tutta un’altra cosa. La EF di Carapaz ha tirato per lunghi tratti sino alle prime rampe del Colle delle Finestre, quando l’ultimo uomo ha aperto il gas per lanciare l’attacco di Carapaz, che è stato molto violento e potrebbe aver causato problemi allo stesso corridorre. Del Toro ha risposto prontamente, mentre Yates ha proseguito regolare in progressione ed è riuscito a riportarsi sulla coppia di sudamericani. I primi 3 della generale hanno proseguito assieme per qualche chilometro, alternandosi negli scatti, mentre il quarto, Gee, andava su costante, come da sue caratteristiche. L’ennesimo scatto di Yates ha visto un rallentamento da parte di Carapaz e Del Toro, che si guardavano in faccia perché probabilmente entrambi aspettavano che fosse l’altro a rispondere e così, pian piano, Yates ha guadagnato secondi. L’impressione è stata che Carapaz fosse in grado di seguire Yates e questo è stato forse il più grave errore commesso dall’ecuadoriano, non certo quello di non collaborare con Del Toro (come pure vari opinionisti hanno sostenuto).
Il patatrac ha iniziato a materializzarsi quando Carapaz e Del Toro non inseguivano affatto e anzi quasi si fermavano, consentendo diverse volte il rientro di Gee. In questa fase Yates ha guadagnato oltre un minuto, divenuti un minuto e mezzo in vetta al Finestre. Nei primi chilometri della discesa il britannico ha trovato Van Aert, che si era inserito nella fuga proprio con lo scopo di aiutare il capitano, in un tratto adattissimo alla caratteristiche del belga e, a quel punto, è finita la corsa. Dietro Del Toro e Carapaz non potevano certo competere con un motore come quello di Van Aert, ciò tuttavia non giustifica comunque la totale arrendevolezza dei due, che litigavano su chi dovesse tirare.
Ovviamente, le colpe maggiori ricadono su Del Toro perché era lui in maglia rosa e Carapaz, non essendo riuscito a staccarlo sul Colle delle Finestre, non aveva più alcun interesse a collaborare, dato che per lui arrivare secondo o terzo non avrebbe fatto certo la differenza.
Se Carapaz avesse collaborato con Del Toro, anche nell’ipotesi in cui fossero riusciti a chiudere su Yates, l’ecuadoriano non avrebbe comunque vinto ma avrebbe al massimo fatto secondo, invece che terzo (cosa che per uno che il Giro lo ha vinto non avrebbe fatto grande differenza).
Del Toro, a quel punto, avrebbe dovuto provare ad andare a tutta, invece che proseguire a velocità da gita domenicale, anche se con Van Aert davanti sarebbe stato comunque difficile recuperare.
L’andatura blanda ha consentito il rientro del gruppo di Giulio Pellizzari (Red Bull – BORA – hansgrohe) e Damiano Caruso (Bahrain – Victorious) che era in ritardo di ben due minuti al GPM di Colle delle Finestre.
Terminato il lavoro di Van Aert, Yates ha proseguito di ottimo ritmo sulle dolci rampe verso Sestriere e, mentre Harper tagliava il traguardo braccia al cielo, il britannico pregustava quella maglia rosa che aveva dovuto cedere a Chris Froome proprio sul Colle delle Finestre nel 2018 (quando la tappa, però, terminò sopra Bardonecchia).
Il gruppo maglia rosa con tutti i big, eccetto Egan Bernal (INEOS Grenadiers), è arrivato con quasi 6 minuti di ritardo da Yates, che si ritrova quindi in maglia rosa con un vantaggio di poco inferiore ai 4 primi su Del Toro, con Carapaz sul gradino più basso del podio.
Ottimo Caruso che, a 38 anni, entra in top five grazie alla sua grande esperienza e solidità, mentre Pellizzari ha conquistato un ottimo sesto posto dopo aver lasciato diversi minuti sulla strada per aiutare il capitano Primoz Roglic, ritiratosi a causa di vari problemi fisici in gran parte dovuti alla cadute.
Si chiuderà domani un Giro d’Italia molto emozionante che ha visto delle belle sfide nelle tappe intermedie e insidiose forse più che sulle grandi montagne, con l’eccezione della tappa di oggi.
A questo punto, occhi puntati sul Tour de France e sulle storiche corse di preparazione, Criterium del Delfinato e Giro di Svizzera.
Benedetto Ciccarone

Yates all'attacco verso il Colle delle Finestre (Getty Images)