IMPRESA DI COVI SULLA MARMOLADA. HINDLEY: LE MANI SUL GIRO
Alessandro Covi vince il tappone dolomitico con un attacco solitario sulla Cima Coppi, dopo un tratto in fuga con altri uomini. Il portacolori UAE resiste nel finale al tentativo di ritorno di Novak e taglia il traguardo in solitaria. Hindley affonda il colpo e Carapaz va in crisi. Ora l’australiano ha un buon vantaggio in vista della prova contro il tempo di domani
Abbiamo aspettato moltissimo prima di vedere uno scontro frontale tra i big ed oggi lo scontro c’è stato. Durissimo e con conseguenze rilevanti. Ciò che è avvenuto oggi però non va a rimediare lo scandaloso attendismo delle precedenti dure tappe di montagna finite in nulla, ma va casomai a confermare l’impressione che nessuno dei big nelle scorse tappe di montagna abbia davvero provato ad affondare il colpo.
Gli uomini che lottavano per la classifica generale si sono punzecchiati con scattini brevi su salite dure come il Santa Cristina, il Menador o il Kolovrat, senza provare davvero una azione incisiva e decisa. Le differenze quindi non sono arrivate perché nessuno ha cercato davvero di provocarle.
La crisi che Carapaz ha patito oggi non è arrivata da sola, ma è stata provocata da una tirata a tutta di Kamna, durata un bel po’, e da un affondo di Hindley che è andato a tutta fino all’arrivo.
Se Hindley si fosse limitato a fare accenni di scatti come nelle scorse tappe, sarebbe andato a sprintare insieme a Carapaz. L’ecuadoriano poi, avendo solo tre secondi su Hindey, ha cercato di non mollarlo e ha fatto il classico fuori giri che ha pagato a carissimo prezzo.
L’ex maglia rosa poi ha pagato anche l’attendismo dei giorni passati, quando non ha mai davvero provato un attacco vero, forse pensando che tre secondi gli sarebbero stati sufficienti per vincere il Giro, considerato che Hindley potrebbe pagare qualcosa a cronometro rispetto a lui.
Ora, salvo imprevisti sfortunati che non auguriamo certo al forte australiano, il Giro è in cassaforte perché Hindley può permettersi di perdere fino a 5 secondi al chilometro nella crono di domani, il che pare francamente improbabile.
Landa non è più quello dei tempi migliori. Del resto, il capitano della Bahrein è uno votato all’attacco da lontano e il fatto che non abbia provato una delle sue azioni classiche è indice di condizione non ottimale e di età che comincia a non essere più verdissima.
Il ritmo impostato dalla sua squadra, specialmente oggi, è stato abbastanza imbarazzante, in quanto un uomo solo al comando continuava a guadagnare. Azione del tutto inutile. Se si voleva fare selezione in salita sarebbe stato necessario imporre un ritmo ben più alto mentre, se Landa puntava a non affaticarsi troppo, avrebbe dovuto lasciare l’iniziativa ad altre squadre.
La Bora ha, invece, corso bene perché hanno mandato un uomo in grande condizione come Kamna in avanscoperta e poi lo hanno fermato, in modo tale che Hindley se lo trovasse davanti nel tratto più duro della Marmolada. E’ stato proprio il fortissimo tedesco a imprimere il ritmo che ha provocato il fuori giri del vincitore del GIro 2019. Del resto Carapaz non era in crisi, Sivakov aveva fatto un grande ritmo e ridotto il gruppo maglia rosa ad uno sparuto drappello, lo stesso Carapaz aveva accennato il solito allungo dei cento metri e poi aveva risposto ad Hindley e, in un primo tempo, anche a Kamna. E’ stata proprio l’insistenza nell’azione ciò che ha mandato in crisi il corridore sudamericano, una cosa che era mancata nei giorni scorsi.
La tappa ha visto anche una grande impresa da parte di Alessandro Covi che, libero dai compiti di tutela dello sfortunato Joao Almeida, ha confezionato una grande impresa e ha regalato alla sua squadra quella vittoria di tappa che non era ancora arrivata.
Il giovane talento di Taino ha staccato tutti sulle rampe del Pordoi, salita che, per quanto mitica e paesaggisticamente splendida con i suoi affascinanti tornanti, presenta pendenze sulle quali non è semplice fare la differenza. Covi ha, invece, conquistato un grande vantaggio proprio sulla Cima Coppi e nella successiva discesa, grazie anche al mancato accordo nel gruppo dei contrattaccanti che lo inseguiva. Il vincitore di tappa è stato poi bravo a gestirsi sulla Marmolada e quando il suo vantaggio ha cominciato a calare sensibilmente non si è lasciato prendere dal panico e ha continuato al suo ritmo. Negli ultimi durissimi chilometri, anche lo sloveno Novak, il corridore all’inseguimento del varesino, ha iniziato ad accusare la fatica di una salita terribile con i suoi infiniti rettifili, su strada larga, che puntano dritti verso il cielo. Il distacco rimarrà intorno ai 30 secondi e Covi potrà celebrare una vittoria di grande prestigio.
La fuga era partita nelle prime fasi di gara dopo diversi tentativi andati a vuoto.
Sul primo strappo, verso San Gregorio delle Alpi, si era avvantaggiato un gruppetto per iniziativa di Giulio Ciccone (Trek – Segafredo), poi nei successivi chilometri ci sono altri movimenti e alla fine è venuta fuori una fuga con lo stesso Ciccone, Andrea Vendrame (Ag2r Citroën), Sam Oomen (Jumbo-Visma), Mauri Vansevenant (Quick-Step Alpha Vinyl Team), Davide Formolo (UAE Team Emirates), Edoardo Zardini (Drone Hopper – Androni Giocattoli), Lennard Kämna (Bora-Hansgrohe), Thymen Arensman (Team DSM), Antonio Pedrero (Movistar), Gijs Leemreize (Jumbo-Visma), Domen Novak (Bahrain Victorious), Sylvain Moniquet (Lotto Soudal), Alessandro Covi (UAE Team Emirates), Mathieu van der Poel (Alpecin-Fenix) e Davide Ballerini (Quick-Step Alpha Vinyl).
Il gruppo lascia subito sei minuti a questi atleti finché non si pone in testa la Bahrain, che ha anche un uomo in fuga, e si pensa subito ad un possibile attacco di Landa, anche da lontano, usando Novak come punto di riferimento da fermare al momento opportuno.
Anche la Bora ha in fuga Kamna, ma la squadra di Hindley non sembra avere intenzioni bellicose come era stato a Torino. Sul San Pellegrino non accade nulla mentre sul Pordoi, dopo un timido tentativo di Zardini, se ne va Covi, con il suo compagno di squadra Formolo che innervosisce gli altri andando a rompere i cambi.
Sulla Cima Coppi il corridore lombardo passa con oltre un minuto su un gruppetto di contrattaccanti, popolato da Arensman, Ciccone, Formolo, Kamna, Leemreize, Novak, Oomen e Pedrero, mentre il gruppo della maglia rosa, sempre guidato dagli uomini del terzo in classifica, passa con circa 6 minuti di ritardo.
Nella discesa e nel falsopiano che la spezza in due settori il distacco dei contrattaccanti dal battistrada si dilata enormemente, anche perchè tra gli inseguitori non c’è accordo; così Covi attacca la Marmolada con oltre 2 minuti sugli inseguitori.
A questo punto parte la girandola di scatti con Formolo che continua a rompere i cambi. Ben presto parte deciso all’attacco Novak, mentre dietro tentano di rispondere Ciccone a Arensman.
Nel gruppo maglia rosa, i Bahrain lasciano la testa agli Ineos. Il lavoro di Pavel Sivakov alza notevolmente il ritmo, polverizza il gruppo e lascia davanti solo i primi tre ed un ottimo Hugh Carthy (EF Education-EasyPost).
Terminato il lavoro di Sivakov, Carapaz accenna appena una accelerata ma è Hindley che rilancia e si porta dietro la maglia rosa, mentre Landa non risponde e pare piuttosto legnoso nella pedalata, con un rapporto troppo duro.
Nel tratto al 18% Hindley trova Kamna opportunamente utilizzato nella strategia di squadra. Il tedesco impone un ritmo impossibile che mette sulle ginocchia Carapaz, costretto a mollare. Non appena Hindley vede il leader della generale affaticato riparte a tutta e non mollerà fino all’arrivo, tentando di guadagnare il più possibile in vista della cronometro.
Carapaz va in netta crisi e nel finale viene ripreso e staccato anche da Landa e Carthy.
Kamna continua nel suo lavoro restando al fianco a Carapaz per smontarlo e, nel finale, lo stacca senza troppi problemi.
Oggi sono venute fuori differenze che in realtà ci sono sempre state, ma il timore reciproco aveva portato gli sfidanti a non provare mai ad affondare davvero il colpo.
La storia tuttavia insegna che è proprio questa la strada da seguire. Nel 1998 a Montecampione a Marco Pantani furono necessari ben 18 chilometri di allunghi continui per staccare Pavel Tonkov che, alla vigilia della cronometro, gli era molto vicino in classifica generale. Nel 1993 Piotr Ugrumov arrivò distrutto al traguardo di Oropoa, ma riuscì a staccare Miguel Indurain con un’azione di forza. Serve dare continuità all’azione di attacco per vedere se l’avversario è davvero inattaccabile o se, invece, può cedere se attaccato spesso.
Gli scattini dei cento metri andati in scena in tappe ben disegnate e con il terreno per attaccare come si deve non sono state un bello spettacolo.
Va detto anche che gli organizzatori hanno fatto il grave errore di non inserire una bella tappa a cronometro di 30 o 40 Km con terreno misto pianura e collina a metà Giro.
Una tappa del genere avrebbe certamente rimescolato le carte, creato distacchi e forse costretto gli scalatori ad essere un pochino più spregiudicati, invece che a sprintare in salita o a giocare a prendere abbuoni, come fatto da Carapaz nella tappa di Reggio Emilia.
Il povero Almeida, al netto del ritiro, era in ottima posizione, avendo resistito stoicamente sulle salite. Una prova contro il tempo a sua disposizione avrebbe certamente reso più interessanti le tappe di montagna.
Va infine espressa una considerazione sulla partecipazione al Giro.
Al via cerano come possibili contendenti per la generale come Miguel Angel Lopez, Wilco Kelderman, Simon Yates, Richard Carapaz, Joao Almedia, Mikel Landa e Romain Bardet. Insomma un buon gruppetto di uomini in grado di aspirare alla vittoria. Tra ritiri e crisi, molti di questi non sono stati della partita e non sapremo mai se con tutti questi uomini a lottare per la generale avremmo avuto più attacchi nelle tappe di montagna. L’unica cosa certa è che si avvia a vincere un atleta che nessuno aveva nominato tra i papabili alla vigilia e che era sembrata una meteora arrivata alla ribalta in era Covid, in uno scontro tra gregari.
A questo punto manca solo la crono di Verona e ovviamente a tutti torna in mente l’ultima tappa del Giro del 2020, quando Hindley affrontò la crono di Milano con la maglia rosa per perderla proprio quel giorno a favore di un uomo della Ineos, Tao Geoghegan Hart
Quest’anno però ci sono i presupposti perché le cose possano andare diversamente.
Benedetto Ciccarone

Hindley all'arrivo del tappone della Marmolada (Jai Hindley of Bora - Hansgrohe crosses the finish line taking the overall classification (foto Michael Steele/Getty Images)
E LA MARMOLADA PER DESSERT
Al penultimo giorno di gara il Giro propone maleficamente una delle salite più dure dell’edizione 2022. Stiamo parlando della Marmolada, la “regina delle Dolomiti”, in vetta alla quale terminerà un duro tappone che ha in serbo anche il mitico Pordoi e un’altra ascesa dotata di pendenzacce cattive, il San Pellegrino.
È come una sostanziosa porzione di tiramisù offerta al termine di un corposo banchetto, senza la possibilità – però – di digerire il tutto con un bel grappino. Anche senza gli ancora inagibili Serrai la salita della Marmolada rimane una delle più dure delle Dolomiti e proposta come arrivo dell’ultima tappa di un Giro di tre settimane è una vera e propria “botta calorica”, che potrebbe scardinare la classifica proprio all’ultimo giorno utile, anche perché difficilmente – considerate le salite finora affrontate – difficilmente i 17 Km della crono dell’ultimo dì riusciranno a cambiare le carte in tavola.
È una tappa voluta anche per ricucire lo “strappo” del Giro 2020, quando Vegni fu costretto a tagliare dal percorso del tappone di Cortina le salite ai passi Fedaia e Pordoi a causa del maltempo e ci fu chi si lamentò del fatto che le condizioni non erano così proibitive e si sarebbe potuto gareggiare sul tracciato originariamente prestabilito, “polemiche” che in parte furono tacitate dall’impresa di Egan Bernal, che riuscì a imprimere importanti distacchi sugli avversari grazie al solo Passo Giau.
I due storici passi non saranno le uniche difficoltà di una tappa che in precedenza proporrà anche il San Pellegrino a comporre un quadro complessivo che dipinge quasi 4700 metri di dislivello, tremila dei quali in corrispondenza delle tre ascese principali che, messe in fila, faranno oggi affrontare ai reduci del Giro 2022 una salita “globale” di 44.3 Km inclinata al 6.8% medio.
Lasciata Belluno, il tratto iniziale di questa tappa si snoderà in pianura nella valle del Piave, percorrendola in direzione di Feltre sino a Santa Giustina, dove il percorso volgerà in direzione delle Dolomiti Bellunesi andando ad affrontare l’unica salita inserita nel tracciato oltre a quelle conclusiva. Superati i 2.7 Km al 7.1% che condurranno nel paesino di San Gregorio nelle Alpi – dove è possibile ammirare una pala eseguita nel 1519 da Moretto da Brescia all’interno della chiesa parrocchiale – si cambierà aria puntando verso la valle del torrente Cordevole, che il gruppo raggiungerà dopo aver toccato Sospirolo, centro nel cui territorio ricade la Certosa di Vedana, fondata nel 1457 sul luogo di un antico ospizio per viandanti e fino al 2014 residenza di una piccola comunità religiosa, mentre nel periodo in cui fu vescovo di Vittorio Veneto (dal 1958 al 1969) vi dimorò per un mese intero il futuro papa Giovanni Paolo I.
Prendendo dolcemente quota il gruppo s’infilerà nella gola della Tagliata di San Martino, dove durante la Grande Guerra fu distrutto dall’esercito del Regno d’Italia un preesistente complesso di fortificazioni – si voleva impedire l’avanzata austriaca – che poi sarà ristrutturato da militari tedeschi in occasione del secondo conflitto mondiale. All’uscita dalla forra i corridori saranno sulle strade di Agordo, il principale centro della valle, dove presso i rustici di Villa Crotta – De Manzoni è possibile visitare un museo dedicato agli occhiali, voluto dall’imprenditore Leonardo Del Vecchio, fondatore della principale azienda mondiale del settore, Luxottica, che ha uno dei suoi quattro stabilimenti proprio ad Agordo.
Il passaggio da Cencenighe Agordino rappresenterà la fine del lungo preambolo al tappone dolomitico poiché è da questo comune che hanno inizio i 18.5 Km al 6.2% del Passo di San Pellegrino, delle tre di giornata la salita più dotata in chilometraggio e dislivello da superare. Si compone di due tratti d’ascesa distinti separati da un tratto centrale privo di pendenza di 2 Km che inizia alle porte della località di villeggiatura di Falcade, poco dopo aver sfiorato il centro di Canale d’Agordo, dove si trova la casa natale di Giovanni Paolo I, oggi sede di un museo recentemente inaugurato anche in vista della prossima beatificazione dell’indimenticato pontefice, prevista per domenica 4 settembre 2022. Tornando alla salita in oggetto, è la seconda parte quella fornita delle pendenze più cattive e in particolare negli ultimi 5.7 Km, che salgono all’8.9% medio, valore che sale all’11.5% se si prendono in considerazione i primi 2700 metri di quest’ultimo tratto. Lasciato temporaneamente il Veneto, il Giro farà ritorno sulle strade del Trentino proponendo ora ai “girini” la discesa verso Moena, località celebre tra gli appassionati di formaggi per il Puzzone DOP e tra quelli di ciclismo per la gran fondo di mountain bike “Val di Fassa Bike” (fino al 2007 nota come “Rampilonga”) e per i due tapponi del Giro che vi furono organizzati nel 1962 e nel 1963 sul medesimo tracciato e che Vincenzo Torriani ribattezzò “Cavalcata dei Monti Pallidi”. Solamente nel 1963 – quando s’impose Vito Taccone, alla sua quinta affermazione in quell’edizione della corsa rosa – si riuscì ad andare regolarmente al traguardo perché l’anno prima le estreme condizioni meteorologiche costrinsero l’organizzazione a interrompere la corsa in vetta al Passo Rolle, dove fu dichiarato vincitore un altro corridore abruzzese, Vincenzo Meco, evitando al gruppo le successive salite dirette ai passi Valles e San Pellegrino. Si giungerà quindi a Vigo di Fassa, una delle principali stazioni di villeggiatura della valle, situata ai piedi del Catinaccio e non distante dalle spettacolari Torri del Vajolet, ai cui piedi giunsero altre due difficilissime frazioni della corsa rosa, entrambe vinta da corridori spagnoli, Andrés Gandarias nel 1976 e Mikel Nieve nel 2011. Arrivati a Canazei terminerà la fase intermedia che separa il San Pellegrino dalle altre due storiche ascese di giornata perché è arrivato il momento d’inerpicarsi verso il mitico Passo Pordoi, Cima Coppi dell’edizione 2022 dall’alto dei suoi 2239 metri di quota e luogo di sfide belliche prima dell’avvento del ciclismo a queste latitudini (come ci ricorda l’ossario militare tedesco costruito lassù negli anni ’50 e nel quale riposano le spoglie di militari caduti durante entrambe le guerre mondiali). Per il Giro questa è la salita in assoluto più volte inserita nel percorso e quello di quest’anno sarà il quarantunesimo passaggio, che vedrà i corridori affrontare il versante occidentale, il meno impegnativo tra i due possibili ma il più frequentato dalla Corsa Rosa per la possibilità d’abbinarlo alla Marmolada e che raggiunge il passo in 11,8 Km e 28 tornanti, con una pendenza media del 6,7% e un picco massimo del 9%, raggiunto al secondo chilometro dell’ascesa.
Arrivati ad Arabba, forse l’unica stazione di sport invernali dell’area dolomitica concepita secondo gli schemi delle stazioni “sky-total” delle alpi francesi, si interromperà momentaneamente la discesa per percorrere 10 Km privi di difficoltà nella zona del Livinallongo, toponimo con il quale è identificata l’alta valle del Cordevole, terra che porta ancora oggi le “cicatrici” della Prima Guerra Mondiale, la più celebre delle quali è il cratere che sventrò il Col di Lana il 17 aprile del 1916, quando i militari dell’Arma del Genio “sventrarono” la montagna con 5 tonnellate di dinamite al fine d’impedire all’esercito austro-ungarico di conquistarne la vetta. Lo strappo di Cernadoi (1500 metri al 7.3%) anticipa la seconda e ultima parte della discesa dal Pordoi, che terminerà esattamente ai piedi dell’ascesa finale verso la Marmolada. È la “regina” delle Dolomiti, non certo una delle sovrane più magnanime, soprattutto per chi deve raggiungere il suo trono in sella a una bicicletta: gli aspri tratti all’interno della spettacolare gola dei Serrai di Sottoguda saranno evitati – la strada che li percorre è ancora in corso di ricostruzione dopo i danni provocati dalla tempesta Vaia nel 2018 – ma non si potrà fare a meno di percorrere il tremendo “drittone” dopo Malga Ciapela, rettilineo quasi perfetto di due chilometri e mezzo al 12% di pendenza media, “non plus ultra” di una salita di 14 Km al 7.6% che quasi al termine di quel tremendo propone il suo picco di pendenza massima, una stilettata al 18% che metterà in croce chi sarà giunto al suo cospetto in debito d’energie.
I VALICHI DELLA TAPPA
Passo di San Pellegrino (1918 metri). Sella prativa aperta tra le catene di Cima Bocche e di Costabella (facente parte del gruppo della Marmolada). Vi si trovano un minuscolo laghetto, una chiesetta e una stazione di sport invernali, inclusa in ben tre comprensori (Dolomiti Stars, Tre Valli e Dolomitisuperski). È attraversato dalla Strada Statale 346 “del Passo di San Pellegrino” (riclassificata a strada provinciale sul versante veneto), che mette in comunicazione Moena con Falcade. Il Giro l’ha superato finora 11 volte, che sarebbero state 13 senza l’accorciamento della Belluno – Moena del 1962, il taglio di percorso della Selva di Valgardena – Passo Pordoi del 1991, quando il rischio di una frana dirottò la corsa sulla vicina Marmolada, e la totale modifica al tracciato della tappa della Silandro – Tre Cime di Lavaredo del 2013. Il primo a transitarvi in vetta è stato l’abruzzese Vito Taccone nel citato precedente del 1963, l’ultimo il colombiano Julián Arredondo durante la Belluno – Rifugio Panarotta nel 2014, vinta dallo stesso corridore. Oltre a Taccone il San Pellegrino finì in mani italiane anche nel 1978 (Gianbattista Baronchelli, tappa Treviso – Canazei), nel 2007 (Fortunato Baliani, tappa Trento – Tre Cime di Lavaredo) e nel 2008 (Emanuele Sella, Arabba – Marmolada). Nel 2006 ci fu, unico caso nella storia del Giro, un arrivo di tappa in cima al passo, dove s’impose lo spagnolo Juan Manuel Gárate.
Passo Pordoi (2239 metri). Chiamato anche Pordoijoch, Jouf de Pordoi e Jou de Pordou, è una larga sella prativa costituita dal Sasso Beccè e dal Sass Pordoi. Vi transita la Strada Statale 48 “delle Dolomiti” tra Canazei e Arabba, riclassificata in strada regionale sul versante veneto. Il Giro l’ha scalato 40 volte e, in alcune occasioni, con due passaggi nella stessa tappa. La prima volta, il 5 giugno del 1940, vi scollinò in testa Gino Bartali nel corso della tappa Pieve di Cadore – Ortisei, vinta dallo stesso corridore toscano; mentre l’ultima scalata risale al 2016, quando il piemontese Diego Rosa conquistò questo prestigioso GPM nel corso della tappa Moena – Ortisei, vinta dallo statunitense Tejay van Garderen. In quattro occasioni il passo ha ospitato l’arrivo di tappa, sempre salendo dal versante di Canazei in abbinamento con la Marmolada: nel 1990 si impose il francese Charly Mottet, nel 1991 il toscano Franco Chioccioli, nel 1996 il bresciano Enrico Zaina e nel 2001 il messicano Julio Alberto Pérez Cuapio. Le scalate sarebbero state 41 se lo scorso anno l’organizzazione non avesse modificato all’ultimo momento il tracciato della tappa diretta a Cortina d’Ampezzo. In tutto i corridori italiani che hanno conquistato questo prestigioso Gran Premio della Montagna sono stati 18: il citato Bartali nel 1940, ben 5 volte Fausto Coppi (1947, 1948, 1949, 1952 e 1954), Taccone nel 1961, il toscano Franco Bitossi nel 1966, l’emiliano Luciano Armani nel 1970, eccezionalmente il velocista veneto Marino Basso nel 1971, il lombardo Leonardo Natale nel 1979, il romagnolo Roberto Conti nel 1989, l’emiliano Maurizio Vandelli nel 1990, due volte il laziale Franco Vona (1991, 1992), Chioccioli nel 1991, il lombardo Claudio Chiappucci nel 1992, il trentino Mariano Piccoli nel 1996, Zaina sempre nel 1996, l’umbro Baliani nel 2006, il veneto Sella nel 2008, il suo corregionale Damiano Cunego nel 2016 e Rosa nel 2017.
Passo di Fedaia (2057 metri). Vi transita la Strada Statale 641 “del Passo Fedaia” tra Rocca Pietore e Canazei, riclassificata in strada provinciale sul versante veneto. È il nome ufficiale della salita che i ciclisti conoscono come Marmolada e che deriva da termine latino “feda”, significante pecora. Prima della guerra vi transitava il confine tra Italia e Austria. Il Giro ha affrontato in 15 occasioni quest’ascesa, ma la prima volta – correva l’anno 1970 – ci si fermò alla Malga Ciapela, dove all’epoca terminava la strada e dove giunse primo Michele Dancelli. Questo traguardo era già stato messo in programma l’anno precedente, ma la tappa Trento-Marmolada sarà interrotta e annullata a causa del maltempo. Il primo a scollinare in testa sul Fedaia è stato il marchigiano Giancarlo Polidori durante la Pordenone – Alleghe del Giro 1975, vinta dal belga Roger De Vlaeminck, l’ultimo il lombardo Stefano Garzelli in occasione della Conegliano – Gardeccia disputata nel 2011 e vinta dallo spagnolo Mikel Nieve.Solo tre volte un corridore straniero ha “domato” questa salita, sempre affrontata dal versante veneto: il primo è stato l’olandese Johan van der Velde nel finale della Sappada – Canazei del 1987 (vinta dallo stesso corridore, che il giorno prima già si era imposto nello storico tappone di Sappada, quello del tradimento dell’irlandese Stephen Roche ai danni di Roberto Visentini), il secondo il colombiano José Jaime González durante la Asiago – Selva di Val Gardena del Giro del 1998 (il giorno della conquista della maglia rosa da parte di Pantani) e il suo connazionale Carlos Alberto Contreras durante la Montebelluna – Passo Pordoi del 2001. Il Fedaia, inoltre, già vanta un arrivo di tappa della Corsa Rosa, conquistata nel 2008 dal veneto Emanuele Sella.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
Mauro Facoltosi

La Marmolada e l’altimetria della ventesima tappa (smartnation.it)
CIAK SI GIRO
Non sono moltissime le volte nelle quali il cinema ha scelto le Dolomiti come luogo per le riprese. Ancor più rare sono le scene d’azione che hanno come fondale i Monti Pallidi e c’è un luogo, poco distante dalla vetta del Passo Fedaia, che ne ha ospitata una. Correva l’anno 2003 quando una troupe cinematografica statunitense risalì le pendenze della Marmolada (ma dal più facile versante di Canazei) per girare una scena de “The Italian Job”, remake di una pellicola britannica del 1969, “Un colpo all’italiana”, filmata tra il Regno Unito, l’Irlanda e l’Italia, dove le riprese si svolsero tra Torino, la Valle d’Aosta e la strada a tornanti del Colle del Nivolet, qualche chilometro più in alto rispetto al Lago Serrù, sede d’arrivo della prima tappa alpina del Giro del 2019. Quando gli americani, 34 anni più tardi, decisero di rifare il film del 1969 spostarono l’ambientazione delle scene straniere dall’Europa alla California, mentre per i set italiani si scelsero location decisamente più spettacolari. Così il rocambolesco colpo che dà il via al film e che ha come bottino una cassaforte ricolma di lingotti d’oro avviene nella sempre affascinante Venezia, mentre per la scena dell’agguato al furgone sul quale i ladri viaggiano con la refurtiva e nella quale viene assassinato uno dei capi della banda (John Bridger, interpretato dall’attore canadese Donald Sutherland) fu scelta la diga del Lago di Fedaia. Nella finzione è in Austria e al confine con l’Italia era ambientata anche la scena precedente, con tanto di cartelli fasulli: ma anche in questo caso sono le Dolomiti e per la precisione quel che si vede nel film è il vicino Passo Sella, del quale viene anche mostrata una panoramica da lontano curiosamente ribaltato rispetto alla realtà.

Il lago di Fedaia, poco distante dall'omonimo passo, come appare nel film "The italian job": mancano pochi istanti alla drammatica scena dell'uccisione di uno dei protagonisti del colpo (www.davinotti.com)

Un innevato Passo Sella (ribaltato) come appare in un'altra scena de "The italian job" (www.davinotti.com)
Cliccate qui per scoprire le altre location dei film citati
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/the-italian-job/50004255
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/un-colpo-all-italiana/50000805
FOTOGALLERY
Il duomo di Belluno
San Gregorio nelle Alpi, Chiesa di San Gregorio Papa
Certosa di Vedana
La gola della Tagliata di San Martino
Agordo, Villa Crotta – De Manzoni
Canale d’Agordo, casa natale di Papa Giovanni Paolo I
Passo di San Pellegrino
Passo Pordoi
Sacrario militare tedesco del Pordoi
La cappella eretta sulla vetta del Col di Lana
Un tratto della strada dei Serrai di Sottoguda
BOUWMAN BIS AL GIRO. FUGA ANCORA PROTAGONISTA ED ENNESIMO NO CONTEST TRA I BIG
Sull’arrivo in salita del Santuario di Castelmonte, dopo la temutissima scalata del Kolovrat in territorio sloveno, la fuga ha ancora la meglio in un Giro contraddistinto dalle azioni a lunga gittata. E’ Koen Bouwman (Team Jumbo Visma) a conquistare la seconda tappa del Giro 2022 mentre l’attendismo tra i big di classifica è sempre più accentuato con Richard Carapaz (Team INEOS) che resta in maglia rosa. Vediamo se le cose cambieranno domani nel tappone della ventesima tappa.
Forse chissà, questa tappa era stata disegnata per Primoz Roglic o per Tadel Pogacar…fatto sta che lo sconfinamento in Slovenia della diciannovesima tappa del Giro riserverà ai ciclisti una delle salite più dure dell’edizione 2022. I ciclisti inizieranno la scalata della salita di Kolovrat, GPM di prima categoria, al km 122; è lunga 10 km e 300 metri e presenta una pendenza media del 9.2%, con punte del 15%. Lo scollinamento segna il confine che riporterà la corsa rosa in Italia. Ma da Marano Lagunare al Santuario di Castelmonte ci saranno anche altri tre GPM tutti collocati in territorio italiano. Villanova Grotte e Passo di Tanamea saranno affrontati al km 70 ed al km 83. L’ultima salita verso il Santuario di Castelmonte coincide con la linea del traguardo ed è comunque da non sottovalutare visto la lunghezza di 7 km a quasi l’8% di pendenza media. Una tappa complessivamente lunga 178 km che potrebbe riservare sorprese nella classifica generale. Richard Carapaz (Team INEOS) e Jai Hindley (Team BORA Hansgrohe) sono separati da 3 secondi ed il rischio di marcarsi a vicenda è elevato; ecco perciò che qualche seconda linea può cercare la gloria ed attaccare i primi posti della classifica generale. Del resto, in questo Giro abbiamo avuto già gli esempi di gente come Guillaume Martin (Team Cofidis), Thymen Arensman (Team DSM) e Hugh Carthy. I primi km dopo la partenza da Marano Lagunare, completamente pianeggianti, favorivano le alte velocità e il gruppo era molto allungato con diversi ciclisti che provavano ad andare in fuga. Dopo una decina di km si formava in testa un drappello di dodici uomini composto da Andrea Vendrame (AG2R Citroen), Tobias Bayer (Team Alpecin Fenix), Alessandro Tonelli (Team Bardiani CSF), Magnus Cort Nielsen (Team EF Education EasyPost), Attila Valter e Clement Davy (Team Groupama FDJ), Fernando Gaviria (UAE Team Emirates), Edward Theuns (Team Trek Segafredo), Edoardo Affini e Koen Bouwman(Team Jumbo Visma) e Davide Ballerini e Mauro Schmid (Team Quick Step Alpha Vinyl). Gli attaccanti guadagnavano una ventina di secondi sul gruppo maglia rosa, in testa al quale tiravano gli uomini del Team DSM, per adesso esclusi dalla fuga. I fuggitivi insistevano nella loro azione e il gruppo maglia rosa rallentava progressivamente, dando infine l’assenso per la fuga. Gaviria si aggiudicava il primo traguardo intermedio di Buja posto al km 55.8. I fuggitivi iniziavano la salita di Villanova Grotte con quasi 10 minuti di vantaggio sul gruppo maglia rosa. Era a Bowman a scollinare per primo. L’olandese, che ormai ha praticamente ipotevato la maglia azzurra, scollinava per primo anche sul successivo GPM del Colle di Tanamea. La corsa entrava così in Slovenia e i fuggitivi iniziavano la scalata del Kolovrat con 9 minuti di vantaggio sul gruppo maglia rosa. La fuga iniziava a scomporsi a causa della difficile scalata, per lunghi tratti con pendenze in doppia cifra. Restavano in testa Bouwman, Tonelli, Attila e Schmid. Era ancora una volta Bouwman a scollinare in prima posizione. Uno scatenato Vendrame si buttava a capofitto in discesa e raggiungeva la testa della corsa. A 30 km dalla conclusione il quintetto di testa aveva oltre 1 minuto di vantaggio sul primo gruppo inseguitore ed oltre 7 minuti di vantaggio sul gruppo maglia rosa. Tonelli vinceva il secondo traguardo volante di Cividale del Friuli posto al km 168.4. I cinque di testa iniziavano l’ultima ascesa verso il Santuario di Castelmonte con oltre 8 minuti di vantaggio sul gruppo maglia rosa ridotto ad una ventina di unità. Nonostante qualche scattino di Bouwman e di Tonelli, i fuggitivi si giocavano la vittoria di tappa nella volata finale, approfittando anche degli ultimi 300 metri che spianavano. Un’insidiosa curva ad angolo retto a circa 150 metri dall’arrivo avvantaggiava Bouwman che vinceva davanti a Schmid e Tonelli. Valter e Vendrame chiudevano rispettivamente in quarta e quinta posizione, rispettivamente a 6 e 10 secondi da Bouwman. I primi tre della classifica generale, nonostante qualche timido attacco, arrivavano in parata con Richard Carapaz (Team INEOS) ottavo davanti a Jai Hindley (Team BORA Hansgrohe) e Mikel Landa (Team Bahrain Victorious) a quasi 4 minuti di ritardo da Bouwman. L’olandese ottiene la seconda vittoria del Giro 2022 e diventa di gran lunga il miglior ciclista della Jumbo Visma del Giro. In classifica generale resta ancora una volta tutto invariato nelle primissime posizioni con Carapaz davanti a Hindley e Landa. Domani è in programma la ventesima tappa da Belluno alla Marmolada di 168 km, il vero tappone alpino di questo Giro. Passo San Pellegrino, Passo Pordoi (Cima Coppi del Giro 2022 con i suoi 2239 metri d’altezza) e Passo Fedaia dicono tutto sulla durezza della tappa. Il Trentino quest’anno può decidere il vincitore del Giro 2022, a patto però che i big di classifica abbiano voglia di sfidarsi sul serio, senza aspettare l’ultima cronometro di Verona.
Giuseppe Scarfone

Koen Bouwman vince al Santuario di Castelmonte (foto: Sprint Cycling Agency)
TRA I SEGRETI DELLE GIULIE
È l’ultima delle sei tappe di media montagna che gli organizzatori hanno disseminato lungo il percorso e, al pari di alcune di queste (Potenza, Torino), non dovrà essere sottovalutata dai pretendenti alla vittoria. Mancano solo tre giorni alla fine del Giro e nella terza e ultima settimana di gara basta poco per innescare una clamorosa crisi. E non son certo poca cosa i 10 Km al 9.2% del Monte Kolovrat, principale difficoltà della frazione italo-slovena della Corsa Rosa, che poi proporrà anche l’arrivo in salita al Santuario di Castelmonte.
In 113 anni di storia il Giro ha indagato in ogni angolo le Alpi, ma c’è un settore – quello delle Alpi Giulie, all’estremità orientale dell’arco alpino – che la Corsa Rosa ha scoperto solo in queste ultime stagioni grazie all’intraprendenza di Enzo Cainero, l’ex calciatore (ha gareggiato in serie A alla fine degli anni ’60, quando fu ingaggiato dal Varese come portiere) che da una ventina d’anni intesse le trame dei percorsi del Giro nel suo Friuli e, tra le altre cose, ha per primo promosso l’inserimento nel tracciato del Monte Zoncolan, affrontato per la prima volta nel 2003. Da quel giorno parecchie sono le frazioni che sono termine nella regione più orientale dell’Italia settentrionale e dal 2013 nel percorso sono entrate anche le Alpi Giulie che fino a quel momento erano la “Cenerentola” delle alpi italiane, prive di località turistiche di prestigio o di salite particolarmente blasonate. La prima è stata quella dell’Altopiano del Montasio, che nel 2013 ospitò l’arrivo dell’unica tappa di montagna di quella tormentata edizione a non essere modificata a causa del maltempo, vinta dal colombiano Rigoberto Urán. Tre anni più tardi Cainero propose una tappa interamente tracciata sulle strade delle Alpi Giulie, la Palmanova – Cividale del Friuli, che aveva nella difficile salita verso la Cima Porzus la punta di diamante di una frazione che fu conquistata dallo spagnolo Mikel Nieve, mentre la maglia rosa passava per la prima volta nella storia dei grandi giri sulle spalle di un corridore costaricano, Andrey Amador. Ci si tornerà anche nel 2020 (tappa Udine – San Daniele del Friuli, vinta dallo sloveno Jan Tratnik) e tra qualche stagione vedremmo forse l’arrivo – attualmente in “cantiere” – in uno dei luoghi più incantevoli di quest’angolo delle alpi, il Monte Santo Lussari. Nel frattempo Cainero non se n’è stato con le mani in mano e ha disegnato quella che sulla carta sembra la più impegnativa tra le frazioni finora tracciate sulle Alpi Giulie, una tappa classificata di media montagna ma che i corridori non dovranno assolutamente sottovalutare perché salite come quella del Kolovrat, che già i numeri dipingono come difficile, possono far più male del previsto se inserite nella terza settimana di gara, nella quale le energie sono oramai al lumicino.
Oggi per l’ultima volta i “girini” vedranno il mare perché la tappa scatterà dalle rive della laguna di Marano, “sorella povera” di quella più celebre di Venezia, protetta da due riserve naturale nelle quali, tra le altre, cresce una pianta erbacea estintasi altrove, l’apocino veneto, un tempo utilizzata dall’industria tessile per la produzione di tessuti che ricordavano per le loro caratteristiche la seta, il cotone e il cashmere.
Le salite non inizieranno subito ma per arrivare ai piedi delle Alpi bisognerà percorrere una sessantina abbondante di chilometri in pianura, andando a transitare dopo circa 20 Km dal via all’ombra dell’imponente campanile del Duomo di Mortegliano, costruito tra il 1955 e il 1959 su progetto dall’architetto udinese Pietro Zanini, che concepì quello che tuttora è il campanile più alto d’Italia, i cui 113 metri battono d’un soffio il precedente record detenuto fin dal 1309 dal celebre Torrazzo di Cremona.
Prendendo dolcemente quota, senza per questo abbandonare la pianura, si pedalerà quindi in direzione di Fagagna, borgo che merita una sosta per degustarvi una fetta del suo omonimo e tipico formaggio PAT (Prodotto agroalimentare tradizionale), magari da assaporare dopo aver ammirato gli affreschi dell’antica chiesa di San Leonardo o il panorama che si gode dalla collina del soprastante castello, uno dei cinque manieri che nel 983 l’imperatore Ottone II regalò al vescovo Rodoaldo, patriarca di Aquileia.
Raggiunta Majano – nel cui territorio ricade l’antico Ospitale di San Giovanni, fondato nel periodo delle crociate dai cavalieri appartenenti all’ordine di San Giovanni di Gerusalemme (futuri Cavalieri di Malta) – il gruppo approderà sulle strade del “Rosso di Buja” e in questo caso non si tratta di un’eccellenza enologica perché quello è il soprannome che da sempre accompagna Alessandro De Marchi, il corridore dalla fulva capigliatura che al Giro dell’anno scorso qualche giorno prima del suo 35° compleanno ha vestito per quarantottore la maglia rosa, tra le perle di una carriera che non l’ha mai visto vincente a Giro e Tour, mentre tre volte è stato vittorioso alla Vuelta. Il passaggio dal suo paese natale avverrà poco prima del termine della lunga fase pianeggiante iniziale, che si concluderà in quel di Tarcento, presso il quale svettano gli scarsi ruderi del castello di Coia, originato da un’antica torre romana poi trasformata dai longobardi. Qui terminerà la “pacchia” e si andrà ad affrontare la prima delle quattro ascese che caratterizzano gli ultimi 112 Km, in ordine di durezza seconda solo a quella del Kolovrat: sono i 3700 metri all’8.4% che conducono a Villanova delle Grotte, borgo che prende il nome dal principale complesso speleologico del Friuli, indagate sin dal 1876, anche se risale al 1925 la scoperta della cavità più spettacolare, la Grotta Nuova, che si estende per quasi 9 Km ed è la più grande d’Europa. Il tempo della discesa – caratterizzata, soprattutto nella prima parte, da una carreggiata piuttosto ristretta – e subito si riprenderà a salire alla volta del Passo di Tanamea (9.5 Km al 5.4%, è la più semplice tra le ascese odierne), dove si giungerà dopo aver sfiorato la borgata Musi, frazione del comune di Lusevera nota agli appassionati di meteorologia per essere la località più piovosa d’Italia (la media di pioggia caduta è di 3500 millimetri l’anno). Uno strappo di circa due chilometri e mezzo – la sua pendenza media è del 5.8% – interromperà la successiva discesa all’altezza del passaggio dal confine tra Italia e Slovenia, che accoglierà la Corsa Rosa nel paesino di Saga, centro situata nell’alta valle dell’Isonzo, fiume noto per il colore smeraldo delle sue acque cristalline ma è che più conosciuto per le dodici battaglie che lungo il suo corso furono combattute durante la Prima Guerra Mondiale, eventi che ebbero un precedente bellico nel V secolo quando lungo il fiume si scontrarono gli eruli di Odoacre e gli ostrogoti di Teodorico il Grande, vincitori della battaglia. La famosa Caporetto non è lontana e vedrà i “girini” transitare ai piedi della collina sulla quale nel 1938 il regime fascista – all’epoca la cittadina era ancora italiana – fece innalzare un sacrario che fu inaugurato personalmente da Mussolini e presso il quale negli anni ’90 è stato realizzato un museo che ricorda i tragici giorni della disastrosa Battaglia di Caporetto (autunno del 1917), dopo la quale il nostro esercito fu ricacciato indietro fino al Piave dagli austriaci. Anche i corridori ora dovranno ripiegare verso l’Italia e lo faranno affrontando il principale ostacolo di giornata, quel Kolovrat sul quale un altro museo, questo all’aperto, ci riporta ai drammatici giorni della Grande Guerra, quando questo massiccio di confine rappresentò la terza linea di difesa italiana. Se battaglia ci sarà anche nel 2022 sicuramente la vedremo lungo i 10 Km che conducono fino poco sotto la vetta del Monte Nachnoi, una delle cime che compongono il massiccio del Kolovrat: per arrivare sino a 1145 metri di quota si dovrà digerire una pendenza media del 9,2%, incontrando il picco massimo del 15% all’interno del tratto iniziale di 4.4 km al 10.4%, numeri che – come ricordavamo in apertura – potrebbero richiedere un salato conto nella terza settimana di gara. Recuperare un molto probabile svantaggio non sarà semplice perché la discesa che riporterà la corsa in Italia – il secondo e ultimo passaggio di confine è previsto 4 km dopo lo scollinamento del Kolovrat – non è di quelle che agevolano questo tipo di esercizio, stretta anche se non strettissima. Si finirà di scendere quando, a poco meno di 20 Km dal traguardo, si giungerà nella valle del fiume Natisone, che il gruppo attraverserà ai piedi del Monte Purgessimo, sulle cui pendici si trovano i resti del castello di Gronumbergo, che una leggenda vuole raccordato da una rete di cunicoli sotterranei alla vicina Cividale, prossima meta del gruppo. Vi si giungerà percorrendo l’ultimo tratto pianeggiante di questa frazione, una decina di chilometri privi di difficoltà che si concluderanno con il passaggio sul lastricato del monumento simbolo della cittadina friulana, il “finto medioevale” Ponte del Diavolo, ricostruito com’era e dov’era dopo che l’esercito italiano l’aveva abbattuto durante la ritirata di Caporetto nel vano tentativo di arrestare l’avanzata austriaca. È da questo centro, famoso anche per i suoi monumenti d’origine longobarda la cui importanza è stata riconosciuta dall’UNESCO, che ha inizio l’ascesa finale verso il Santuario di Castelmonte, un giudice senza possibilità d’appello proprio perché l’arrivo sarà in vetta e non ci sarà una discesa subito dietro per tentar disperati recuperi. La salita non è delle più irresistibili – sono 7.1 Km al 7.8% e un paio di rampacce più toste – ma pedalare verso il “monte antico” (così è chiamato dalle genti di lingua slovena) potrebbe rappresentare un grosso problema a quei corridori ai quali sarà ancora rimasto sullo stomaco il Kolovrat. E allora saran dolori e indigestione di minuti….
I VALICHI DELLA TAPPA
Sella Priesaca (619 metri). Valicata nel corso della discesa dalle Grotte di Villanova verso Lusevera, all’altezza del bivio per Monteaperta. Il Giro vi è transitato anche nel 2020, durante la citata tappa Udine – San Daniele del Friuli, provenendo in quell’occasione dal GPM di Monteaperta, al quale era transitato per primo il siciliano Giovanni Visconti.
Passo di Tanamea (851 metri). Valicato dall’ex Strada Statale 646 “di Uccea” tra Tarcento e Uccea, viene inserito per la prima volta nel percorso del Giro. È quotato 870 sulle cartine ufficiali della Corsa Rosa.
Passo Solarie (956 metri). Attraversato nel tratto iniziale della discesa dal Kolovrat, si trova in corrispondenza del passaggio di confine tra Slovenia e Italia. È quotato 955 sulle cartine del Giro.
Passo di Clabuzzaro (760 metri). Chiamato anche Passo Slieme, è attraversato dalla Strada Provinciale 45 “della Val Cosizza” nel corso della discesa dal Kolovrat, all’altezza del bivio per la località Clabuzzaro. La Corsa Rosa – così come i successi due valichi – vi è transitata anche nel 2016 durante la citata tappa Palmanova – Cividale del Friuli, dopo aver affrontato il GPM di Crai, conquistato dall’austriaco Stefan Denifl.
Passo di Rucchin (648 metri). Attraversato dalla Strada Provinciale 45 “della Val Cosizza” nel corso della discesa dal Kolovrat, si trova tra la frazione Prapotnizza e il bivio per Lombai, nei pressi della frazione Rucchin.
Sella di Tribil (620 metri). Quotata 618 sulle cartine del Giro, vi sorge il centro di Tribil Superiore, sfiorato nel corso della discesa dal Kolovrat (Strada Provinciale 45 “della Val Cosizza”).
Sella di Monte Subit (274 metri). Valicata dalla Strada Provinciale 31 “di Castelmonte” lungo la salita al Santuario di Castelmonte da Cividale del Friuli.
Sella di Castelmonte (586 metri). Vi sorge il bivio sottostante il santuario, luogo nel quale si concluderà la tappa. Quotata 612 metri sulle cartine del Giro, in passato questa salita è stata in alcune occasioni affrontata al Giro del Friuli, corsa che ha fatto parte del calendario professionistico dal 1974 al 2011.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
Mauro Facoltosi

Il santuario di Castelmonte, le Alpi Giulie e l’altimetria della diciannovesima tappa (www.turismofvg.it)
CIAK SI GIRO
Cinema, lirica e teatro non vanno molto d’accordo. Sono rare le trasposizioni cinematografiche di opere realizzate prendendo spunto dai lavori di celebri compositori e drammaturghi. Uno dei registi più prolifici in questo senso è stato Franco Zeffirelli, che sul grande schermo ha portato capolavori come “La bisbetica domata”, “Romeo e Giulietta” e “Amleto” di William Shakespeare, “La Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni, “La Traviata”, l“Otello” e l’”Aida” di Giuseppe Verdi. Anche Pier Paolo Pasolini – del quale quest’anno ricorrere il centenario della nascita – scelse di cimentarsi in opere del genere e così nel 1967 girò Edipo Re prendendo spunto dall’omonima opera di Sofocle, mentre tre anni più tardi puntò su di un soggetto che sposava sia il teatro, sia la lirica: le vicende di Medea, la figura della mitologia greca che aveva ispirato prima numerose tragedie (come quella, andata perduta, scritta da Ovidio) e poi opere musicali come quella composta nel ‘700 dal toscano Luigi Cherubini. Scritta la sceneggiatura, ora Pasolini doveva comporre il cast e per il ruolo della protagonista puntò dritto alla diva per eccellenza dell’opera lirica, la divina Maria Callas, che già da qualche stagione aveva imboccato la via del declino artistico anche a causa di problemi alle corde vocali. Convincerla non fu semplice, sia perché la Callas non aveva mai recitato in un film, sia perché lei mal sopportava certe tematiche scabrose che Pasolini toccava nei suoi film e anche l’omosessualità del regista, che lei riteneva di poter guarire. Anche lui temeva d’incontrare una donna altezzosa e viziata e invece nacque una sorta d’idillio platonico a prima vista, che più tardi sfocerà anche nella collaborazione per la realizzazione di un secondo film, ispirato all’Orestiade di Eschilo, che però non vide mai la luce, anche se i sopralluoghi in Africa in previsione della sua messa in opera saranno comunque filmati e composti in un documentario che sarà presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 1976. Tornando a Medea, Pasolini riuscì così a portare per la prima e unica volta la Callas sui set prescelti per le riprese, che spaziano dalla Cappadocia turca alla città siriana di Aleppo, da Piazza dei Miracoli di Pisa alla laguna di Grado, confinante con quella di Marano Lagunare dal quale prenderà le mosse la tappa odierna. Qui si girò presso il casone posto sull’isola Mota Safon e che da allora è per tutti il “Casone di Pasolini” anche per perpetuare il ricordo del celebre regista, bolognese di nascita ma friulano nel cuore: l’amata madre Susanna – che fu anche attrice per lui ne “Il vangelo secondo Matteo”, interpretando il ruolo della Madonna – era di Casarsa della Delizia, dove a lungo anche lui abitò e dopo fu sepolto dopo il suo drammatico assassinio, avvenuto il 2 novembre 1975 a Lido di Ostia.

La divina Callas in uno scena di "Medea" girata nella laguna di Grado
Immagini di questo film non sono presenti sul sito di riferimento https://www.davinotti.com
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Uno scorcio della Laguna di Marano
Il campanile del Duomo di Mortegliano
https://i.postimg.cc/1RWhk6tq/treviso.jpg
Vista panoramica dal colle del castello di Fagagna
Majano, Ospitale di San Giovanni
Castello di Coia

Una delle sale della Grotta Nuova di Villanova (www.grotteturistiche.it)
Borgata Musi, la località più piovosa d’Italia
La vecchia dogana tra Italia e Slovenia nel corso della discesa dal Passo di Tanamea
Il sacrario di Caporetto
Uno scorcio del museo all’aperto realizzato sul Kolovrat
Il rientro in Italia nel corso della discesa dal Kolovrat
Castello di Gronumbergo
Cividale del Friuli, Ponte del Diavolo sul Natisone
DE BONDT, LICENZA DI VINCERE. A TREVISO IL BELGA BATTE I COMPAGNI DI FUGA.
A Treviso la fuga della prima ora resiste all’impetuoso ritorno del gruppo ed è Dries de Bondt (Team Alpecin Fenix) ad avere la meglio nella volata più che ristretta davanti ad Edoardo Affini (Team Jumbo Visma) e Magnus Cort Nielsen (Team EF Education EasyPost). In classifica generale resta tutto – quasi – invariato, con il ritiro di Joao Almeida (UAE Team Emirates) che è risultato positivo al covid.
La diciottesima tappa del Giro 2022 è sicuramente la più semplice della terza settimana e rimanda la lotta per la maglia rosa, ancora incertissima, alle ultime tre tappe. Oggi i velocisti avranno l’ultima possibilità di giocarsi la vittoria nella Borgo Valsugana – Treviso di 156 km. Nei primi due terzi del percorso si dovranno affrontare i due GPM di quarta categoria de Le Scale di Plimolano e del Muro di Ca’ del Poggio, posti rispettivamente al km 24.6 e 102. Le forze sono ormai quelle che sono e se i velocisti non ce la faranno, spazio allora all’ennesima fuga di questo Giro 2022, corso spesso all’attacco dalle seconde e terze linee, per non parlare dei delusi della classifica generale come Simon Yates (Team BikeExchange Jayco), ritiratosi ieri o della Jumbo Visma che dovrebbe comunque consolarsi con la maglia azzurra finale di Koen Bowman. Un tampone positivo effettuato stamattina esclude dal Giro 2022 Joao Almeida (UAE Team Emirates). Il portoghese, pur non brillando nelle ultime tappe, stava conservando con le unghie e con i denti il terzo posto, che avrebbe potuto fare suo nella cronometro finale di Verona. Dopo la partenza da Borgo Valsugana si formava la fuga di giornata costituita da quattro ciclisti: Dried De Bondt (Team Alpecin Fenix), Davide Gabburo (Team Bardiani CSF), Magnus Cort Nielsen (Team EF Education EasyPost) ed Edoardo Affini (Team Jumbo Visma). All’inizio del primo GPM delle Scale di Primolano, posto al km 24.6, il quartetto di testa aveva poco più di 2 minuti di vantaggio sul gruppo maglia rosa. Era De Bondt a scollinare in prima posizione. Gabburo si aggiudicava il primo traguardo volante di Valdobbiadene posto al km 72.6. A 80 km dall’arrivo il vantaggio del quartetto di testa sul gruppo maglia rosa era di 1 minuto e 50 secondi. Le squadre dei velocisti tenevano costantemente sotto tiro la fuga nell’attesa del Muro di Ca’ del Poggio, sul quale ci si poteva aspettare qualche movimento tra i big di classifica. De Bondt scollinava in prima posizione sul secondo GPM di Ca’ del Poggio. Nel gruppo maglia rossa si pedalava ad un ritmo costante e tutti i velocisti riuscivano a scollinare indenni sul piccolo mostriciattolo. A 50 km dal termine la fuga aveva 2 minuti e 23 secondi di vantaggio sul gruppo, in testa al quale si alternavano a tirare gli uomini di Groupama FDJ, UAE Team Emirates e Quick Step Alpha Vinyl. De Bondt vinceva il secondo traguardo volante di Susegana posto al km 116.4. I quattro uomini di testa transitavano sul traguardo di Treviso, a 12 km dal termine del circuito cittadino, con 1 minuto e 20 secondi di ritardo sul gruppo maglia rosa, il cui ritmo indiavolato metteva in crisi Juan Pedro Lopez (Team Trek Segafredo), nuovo leader della classifica giovani. A 10 km dall’arrivo il vantaggio della fuga era di poco superiore al minuto. A 4 km dall’arrivo il vantaggio della fuga era di 45 secondi. A 2 km e mezzo dall’arrivo Jai Hindley (Team BORA Hansgrohe) forava ma la regola dei 3 km salvava l’australiano che al traguardo avrebbe preso lo stesso tempo del gruppo maglia gialla. I cambi regolari consentivano ai quattro di testa di giocarsi la vittoria. Era De Bondt ad avere la meglio su Affini e Cort Nielsen. Quarto era Gabburo mentre il gruppo maglia rosa era regolato a 14 secondi di ritardo da Alberto Dainese (Team DSM). Nella top ten si segnalavano anche il settiumo posto di Davide Cimolai (Team Cofidis) ed il decimo posto di Simone Consonni (Team Cofidis). De Bondt ottiene la prima vittoria stagionale, la prima della sua carriera nella tappa di un GT. In classifica generale Richard Carapaz (Team INEOS) conserva la maglia gialla davanti a Jai Hindley e Mikel Landa (Team Bahrain Victorious). Domani è in programma la diciannovesima tappa da Marano Lagunare al Santuario di Castelmonte. Si sconfina in Slovenia dopo aver oltrepassato i GPM di Villanova Grotte e del Passo di Tanamea e si affronterà una delle salite più dure del Giro 2022: il Kolovrat, scollinato il quale si ritorna in Italia. Gli oltre 10 km di ascesa a quasi il 9% di pendenza media la dicono tutta sulla difficoltà della salita. I 40 km che mancheranno al termine della tappa – gli ultimi sette dei quali in salita verso il Santuario di Castelmonte – potrebbero bagnare le polveri tra i big di classifica ma ormai ogni momento può essere quello giusto per attaccare e sorprendere i diretti avversari. La lotta per la maglia rosa, dopo il ritiro di Almeida e un Mikel Landa regolarista ma niente di più, sembra ormai una questione tra Carapaz e Hindley e vedremo se in questa tappa il sudamericano e l’australiano avranno voglia di sfidarsi.
Giuseppe Scarfone

Dries De Bondt vince a Treviso (foto: Michael Steele/Getty Images)
VELOCISTI, ULTIMA CHANCE
Ultima occasione per i velocisti sulle strade della Corsa Rosa. C’è il muro di Ca’ del Poggio da scalare, ma i 50 Km da percorrere successivamente per andare al traguardo dovrebbero consentire di neutralizzarne in gran parte gli effetti.
Il mare i “girini” lo vedranno per l’ultima volta domani, al raduno di partenza di Marano Lagunare, ma per diversi corridori l’ultima spiaggia sarà rappresentata dalla frazione odierna, estrema occasione per i velocisti per portare a casa un risultato, al termine di una tappa non del tutto pianeggiante ma nemmeno eccessivamente movimentata. È vero che ci sarà da fare i conti con il ripido muro di Ca’ del Poggio, ma i 50 Km che separeranno la cima dalla salita dal traguardo di Treviso dovrebbero metterli al riparo dagli effetti di questa verticale. In passato in altre due occasioni il muro trevigiano è stato inserito nel finale di tappe in linea e in entrambe si è arrivati in volata, con i successi di Mark Cavendish a Treviso nel 2013 e di Alessandro Petacchi a Valdobbiadene nel 2009 e in quest’ultimo caso il finale era molto più “tormentato” rispetto a quello sul quale si pedalerà oggi.
La pianura sarà protagonista per gran parte del tracciato, a partire dai 22 Km iniziali disegnati in Valsugana seguendo il corso del Brenta fino a Primolano, centro che i gli appassionati conoscono per le sue “scale” e il cui nome è finito nei libri di storia dello sport per l’incidente che vi capitò a Fausto Coppi il 2 giugno del 1950. Si stavano disputando i chilometri iniziali del tappone dolomitico di Bolzano, disegnato sul medesimo percorso che l’anno prima aveva visto il Campionissimo imporsi con quasi 7 minuti sul secondo, impresa che gli sarà stavolta negata da una caduta avvenuta poco prima d’imboccare le “scale” e che lo costringerà – per via della frattura al bacino – a una lunghissima convalescenza (la sua successiva vittoria sarà la cronometro di Terni al Giro dell’anno dopo). Anche nel 2022 i corridori dovranno affrontare quella breve e non troppo difficile salita (2.3 Km al 4.7%) sopra Primolano, soprannominata “scale” per i suoi sette tornanti che sgusciano accanto alle fortificazioni erette a difesa del confine tra il Regno d’Italia e l’impero austro-ungarico, precipitosamente abbandonate dopo la disfatta di Caporetto. Raggiunta la vicina Arsiè il gruppo s’infilerà nel corridoio naturale che separa il massiccio del Monte Grappa dal gruppo delle Vette Feltrine, il più meridionale delle Dolomiti, puntando quindi su Feltre, piccola città d’arte il cui cuore è rappresentato da Piazza Maggiore, alla quale si sale attraverso la suggestiva Via Mezzaterra.
Dopo il Brenta, a questo punto il gruppo incontrerà un altro compagno di viaggio, il fiume Piave, sulle cui sacre sponde si giungerà dopo esser transitati ai piedi del colle sul quale sorge il Santuario dei Santi Vittore e Corona, eretto nel luogo dove furono collocati i resti dei due santi, martirizzati in Siria e portati in Italia dai crociati. Percorso un altro canale naturale, la “Stretta di Quero”, il gruppo farà il suo ingresso nella pianura veneta per lasciarla quasi subito e dirigersi verso Valdobbiadene, che non è soltanto la capitale del Prosecco ma anche un centro apprezzato anche dagli amanti nella natura per la presenza di ben sei alberi monumentali dei 22.000 tutelati dalla guardia forestale (il più alto è il tiglio della località Boc, che raggiunge i 29 metri, il più largo è il faggio situato in località Zimion, la cui circonferenza è di 6.5 metri). Nei successivi 24 Km si percorrerà a ritroso quello che fu il finale della tappa a cronometro di Valdobbiadene del Giro del 2020 – partita da Conegliano e vinta da Filippo Ganna – andando ad affrontare una docile ascesa di 1800 metri al 5.3% subito dopo la quale si giungerà a Guia, piccola frazione la cui chiesa parrocchiale si dice sia stata progettata dal celebre scultore Antonio Canova, nativo della non distante Possagno. Planati su Col San Martino, presso la quale la chiesa di San Vigilio si staglia dal 1100 su di una piccola elevazione ammantata di vigneti e “dotata” di una bella vista panoramica, si ritroverà la pianura pedalando verso Farra di Soligo, centro dominato dal complesso fortificato medioevale delle Torri di Credazzo. Il muro di Ca’ del Poggio bussa alle porte, anche se non è ancora arrivato il momento d’affrontarlo perché prima bisognerà scavalcare la penultima difficoltà altimetrica di giornata, la pedalabile Sella di Mire, 1200 metri al 4.2% che iniziano nel paesino di Refrontolo, conosciuto il suo Passito D.O.C.G. e che merita una sosta anche per ammirare l’antico e delizioso Molinetto della Croda, risalente al 1630. Eccolo il muro: quando all’arrivo mancheranno poco più di 50 Km una rotatoria annuncerà l’inizio della ripida verticale, 1.1 Km al 12.3% e un picco del 19% che il ciclismo ha scoperto in occasione della citata tappa del Giro del 2009 e che da allora è divenuto un irresistibile richiamo e non solo per la “Corsa Rosa”. Già l’anno successivo fu ripetuto per ben 11 volte al campionato nazionale vinto da Giovanni Visconti, nel 2014 vi sono salite le atlete impegnate nella tappa di San Fior del Giro d’Italia femminile (vinta dalla londinese Emma Pooley) mentre nel 2018 in vetta al muro era fissato l’arrivo dell’ultima tappa del Giro riservato ai dilettanti, una cronometro individuale di 22 Km vinta dall’australiano Robert Stannard.
Da qui in avanti non s’incontreranno più ostacoli naturali per il gruppo, che ora planerà velocemente verso Susegana, centro presso il quale s’incontra l’interessante complesso fortificato del Castello di San Salvatore, il cui attuale aspetto è quello della ricostruzione successiva ai bombardamenti della Prima Guerra Mondiale. I tragici ricordi del primo conflitto mondiali sono onnipresenti nella valle del Piave, che i “girini” a breve supereranno per la seconda e ultima volta in questa tappa sul Ponte della Priula, a breve distanza dal tempio votivo inaugurato nel 1983 in memoria dei caduti di tutte le guerre. Una battaglia si comincerà vedere anche in questi frangenti perché, mancando oramai poco più di 30 Km all’arrivo, il gruppo inizierà sempre più velocemente a erodere il vantaggio accumulato strada facendo dai fuggitivi di giornata, che potrebbero almeno avere l’onore delle armi di transitare ancora in testa alla corsa al primo passaggio dal traguardo. Un veloce circuito semicittadino di una decina abbondante di chilometri consentirà, nel frattempo, ai velocisti di prendere le misure del lungo rettilineo d’arrivo, ultima spiaggia per mostrar le chiappe agli avversari.
I VALICHI DELLA TAPPA
Colle di Chiesa (352 metri). Valicato dalla Strada Regionale 50 bis “del Grappa e del Passo Rolle” tra Primolano e Arsiè, all’altezza dell’abitato di Fastro. È la salita comunemente nota con il toponimo di “Scale di Primolano”, quotata 350 metri sulle cartine del Giro 2022. Inserita spesso nel percorso del Giro d’Italia, quest’anno ospiterà per la seconda volta nella storia un Gran Premio della Montagna dopo di quello conquistato nel 2014 dal belga Tim Wellens durante la tappa Sarnonico – Vittorio Veneto, vinta dal laziale Stefano Pirazzi.
Sella di Arten (319 metri). Si trova nei pressi dell’omonima località, frazione del comune di Fonzaso.
Sella di Santa Lucia (319 metri). Attraversata dalla Strada Statale 50 “del Grappa e del Passo Rolle” tra Feltre e Arten, coincide con il bivio per Caupo e per il versante settentrionale del Monte Grappa.
Sella di Mire (220 metri). Valicata dalla Strada Provinciale 86 “delle Mire” tra Refrontolo e il bivio per San Pietro di Feletto.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
Mauro Facoltosi

Porta di San Tomaso a Treviso e l’altimetria della diciottesima tappa (www2.comune.treviso.it)
CIAK SI GIRO
Ogni anno, a partire dal 2014, il Giro ha introdotto nel percorso le “wine stage” dedicate ai vini più prestigiosi prodotti nella nostra nazione. I primi sono stati Barbaresco e Barolo (2014), i quali hanno avuto come degni successori il Prosecco (2015), il Chianti (2016), il Sagrantino di Montefalco (2017), i vini della Franciacorta (2018), il Sangiovese di Romagna (2019), nuovamente il Prosecco (2020), il Brunello di Montalcino (2021) e lo Sforzato di Valtellina quest’anno. Il cinema, invece, di film specificamente dedicati ne ha fatti pochissimi, giusto un paio. È del 2013 Vinodentro, che prende ispirazione dal Marzemimo citato da Mozart nel “Don Giovanni” ed è interamente girato in Trentino, mentre di tre anni più tardi è “Finché c’è prosecco c’è speranza”, mescita tra commedia e film giallo che ruota attorno alla scomparsa del conte Desiderio Ancillotto e una serie di altri omicidi che hanno come filo conduttore il Prosecco: le indagini porteranno l’ispettore Stucky, interpretato da Giuseppe Battiston, fino alla panoramica chiesetta di San Lorenzo, sopra Farra di Soligo, dalla quale si gode una stupenda vista sui vigneti tutt’attorno.

La chiesetta di San Lorenzo a Farra di Soligo vista nel film "Finché c'è prosecco c'è speranza" (www.davinotti.com)
Cliccate qui per scoprire le altre location dei film citati
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/finche-c-e-prosecco-c-e-speranza/50042126
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/vinodentro/50047098
FOTOGALLERY
Il Brenta attraversa il centro di Borgo Valsugana
Uno dei tornanti “fortificati” delle Scale di Primolano
Piazza Maggiore a Feltre
Santuario dei Santi Vittore e Corona
Il fiume Piave e la Stretta di Quero
La chiesa parrocchiale di Guia
Col San Martino, Chiesa di San Vigilio
Farra di Soligo, le Torri di Credazzo sovrastano i vigneti del Prosecco
Refrontolo, Molinetto della Croda
Il rettilineo iniziale del muro di Ca’ del Poggio
Susegana, Castello di San Salvatore
Ponte della Priula, tempio votivo
IL KÄISER E I BIMBI CHE MENANO DURO (ANCORA FUGA E ANCORA IN TRE PER LA ROSA)
Tappa di facce, i grandi primi piani che ci regala questa regia non più domestica e quindi ancora un po’ aliena per gli appassionati del Giro. Van der Poel finalmente torna a far sul serio, Landa attivo ma deluso fa le facce imitando le smorfie furbesche di Carapaz.
Parafrasando il regista interpretato ne “La ricotta” di Pasolini da Orson Wells, che sintetizzava in “egli danza” il proprio giudizio su Fellini, potremmo dire di van der Poel a questo Giro: “egli giuoca”. Avendo fin da subito timbrato il cartellino della vittoria già dalla tappa numero 1, Mathieu si è imbarcato in un’avventura che, gradualmente, e specialmente dopo aver perso per strada il super rivale Biniam Girmay, pareva o pare aver abbandonato la stella polare del ciclista professionista, “vincere”, sostituendola con la croce del Sud che pure anima questo sport, in gara e non: “divertirsi”. Divertirsi, sia ben chiaro, al modo di chi pedala, e cioè soffrendo, faticando, sperperando energie preziose.
Da Napoli in poi, MVDP è riuscito ad andare in fuga nel 40% delle tappe con oltre 400 km percorsi in avanscoperta. Difficile fare i conti in cronaca, e con il profluvio di evasioni massive vissute, però è forte il sospetto che in questa frazione di Giro Mathieu sia stato il corridore più fugaiolo. Senza dire del fatto ancor più folle che pur quando non c’è riuscito, è stato sistematicamente in ballo nelle grandi battaglie di inizio tappa, fra i momenti migliori di questo Giro, e più di una volta lanciandosi programmaticamente in solitario appena calata la bandierina del via, come una sorta di Don Chisciotte pronto a sfidare tutto quanto il peloton in una singolar tenzone.
Quando tireremo le fila di questo Giro, è possibile che dobbiamo chiederci se proprio MDVP sia stato il colpevole da biasimare o il genio da ringraziare per aver innescato la dinamica ormai ricorrente di cominciare ogni tappa o quasi con i calcistici 90 minuti… corsi a 45 km/h di media, se con dislivello!, o a 55 km/h, se in pianura. Vale a dire che l’aperitivo è subito un bombardamento nucleare, anche perché a questa fase non si scappa, uomini di classifica o meno. Si potrà procedere meno a scatti, ci si potrà valere del solido abbraccio dei gregari, ma la velocità va fatta. Una sorta di contrappasso dantesco imposto a un Giro che riserva così sfacciatamente la rosa e il podio agli scalatori puri, e che si identifica con circostanze tecnicamente eccelse, senza dubbio. Ecco, il dubbio è se poi quando arrivano le salite intermedie qualcuno abbia la necessaria voglia residua per continuare il castigo insistendo col martello, aprendo ancora il gas al massimo.
Lasciando i bilanci all’ultima tappa, va anche soggiunto che troppo spesso questo atteggiamento di van der Poel è parso pretestuoso e velleitario. Perché tanto fuoco e tante fiamme se poi su un Trensasco “qualsiasi”, duro, questo sì, ma appena appena a cavallo fra la definizione di “salita” e quella di “côte”, salta fuori che contro gli scalatori, o semplicemente i corridori con attitudine alla salita, Mathieu non reggeva mezza? Se si va a scartabellare, si scopre che proprio in quella tappa van der Poel si era fatto apprezzare per aver favorito la vittoria del compagno Oldani. E a Jesi, con Girmay ancora in corsa, ben altro era stato l’atteggiamento: anzi, specie a confronto con l’Intermarché, si era trattata di una piena assunzione di responsabilità a livello singolo e di squadra. Poi a volte tocca inchinarsi al più forte di giornata, cosa che MDVP fa con speciale classe. Insomma, ci si chiede, il fenomeno olandese si sta crogiolando nel proprio personaggio epperò da troppi giorni senza costrutto, rinunciando un po’ troppo comodamente a obiettivi ardui ma realistici, che avrebbero comportato il rischio di fallire (per dirne uno, piazzarsi in volata e puntare alla maglia ciclamino); oppure dietro la giocosità e lo sperpero c’è sempre e comunque la voglia di giocare sul serio, solamente… a modo proprio? La risposta generale non è ovvia e chi scrive non ce l’ha. Una risposta chiara emerge però sulla tappa di oggi, in cui Mathieu van der Poel ha fatto dannatamente sul serio, e quel che è più affascinante, l’ha fatto comunque oltre ogni logica: riuscendo tuttavia nell’impresa memorabile di far sembrare a tutti, ma proprio a tutti (o a tutti tranne due persone al mondo) che l’incredibile fosse possibile, cioè che MDVP potesse andare a vincere una tappa alpina su una salita finale durissima e contro signori scalatori.
I due che non hanno creduto al miracolo, alla magia di quella faccia determinatissima, a quello sguardo in macchina baluginante di convinzione assoluta, sono due ragazzini di 22 anni, praticamente dei neoprofessionisti, anche se con un certo bagaglio già macinato, ciascuno di loro non scevro di ferite antiche o recenti, fisiche o metaforiche. Ma entrambi ancora con un viso incredibilmente infantile, pulito, rotondo, chiaro, terso, da bimbo, letteralmente, cioè non quello da adolescente che ancora sfoggia Pogacar e di cui resta qualcosa negli occhi di MVDP, in mezzo alla spigolosità decisamente adulta di mascella e zigomi.
Gijs Leemreize è connazionale di van der Poel, lo guarda dall’alto dei suoi 6 cm in più e con la leggerezza del suo paio di kg minimo in meno. Una falange già persa per strada in un incidente di gara. Zero vittorie da professionista. Finora tre volte in fuga a questo Giro, sempre in top ten, e due podi con oggi. Lo ricordiamo a Genova intrappolato in uno sprint senza speranze fra i due italiani. È l’unico che se ne va con Mathieu nella discesa del Vetriolo, penultimo Gpm di giornata e momento chiave del piano olandese. Anticipare. Lasciare i cagnacci degli scalatori a un minuto e mezzo perché si sfianchino, svuotino e demoralizzino. Gijs lo capisce e lo accompagna, senza complessi in discesa, anzi spesso tirando per il collo van der Poel che regala così, en passant, un salvataggio clamoroso su un lungo in curva. Van der Poel lo sgancia subito sui primi muri del Menador o strada del Käiser. Imperiale. Sì, sappiamo che il Käiser del ciclismo è unico e irripetibile, ma oggi van der Poel ricorda le dinastie olandesi degli uomini veloci omnivincenti, gli imperatori appunto, e diremmo quasi più van Steenbergen (Rik I) che van Looy (Rik II), dominatore delle volate, il primo, ma meno bisognoso della corte di cavalieri attorno, non estraneo ad avventure alpine, prendendo la scalata come puro hobby reale.
Leemreize però non molla. Perde, si sgancia, poi si riavvicina, controlla, misura e lì fra i tunnel di roccia rientra a velocità doppia e fulmina un MVDP incagliato, forse con lo spettro della crisi di fame. Il re è nudo. Gijs guarda avanti coi suoi occhi da scuola elementare, di quelli che non si voltano indietro perché sono ancora così di fabbrica, proiettati al futuro.
Ed è al futuro che Gijs deve guardare perché da dietro emerge l’altro 22enne, il colombiano Santiago Buitrago. La sua espressione pure fissa in macchina, determinata, la ricordiamo dall’infinito inseguimento a Ciccone verso Cogne. Pure lui fra le facce un po’ così dei delusi di Genova, ma fu quel secondo posto alpino a bruciargli fino alle lacrime in diretta mondiale. Oggi a bruciargli sono le ferite e le botte di una cadutaccia nei su e giù della Valsugana, poi lo sforzo di rientrare. Il suo team là dietro che lavora compattissimo per Landa, a caccia del podio e magari qualcosa in più. Manca solo lui. Lo fermeranno? E se lo lasciano fare ma non vince? Santiago aspetta, in compagnia dei due stakanovisti monstre degli ultimi tapponi alpini, Carthy (tre su tre, sempre più scomposto in una specie di autoflagellazione mistica) e Hirt, che tutti attendono pronto all’avvio del turbo. Santiago aspetta, ma il momento opportuno, il kairos, sarà forse volato via coi biondi d’Olanda? Paiono lontanissimi e c’è sempre meno salita. Poi Buitrago scatta secco, accelera, smaterializza i vecchi lupi di montagna. L’inseguimento è interminabile e sembra disperato, ma su una salita al 12% il tempo e lo spazio trasmutano sotto l’effetto della gravità. Ora Buitrago scandisce un passo forte e regolare, con un rapporto non cortissimo ma fluido. Disintegra van der Poel. Prende Leemreize a cinquecento metri dallo scollinamento e si apposta alla sua ruota. Entrambi sanno che si tratta per l’olandese di reggere meno di due minuti. Buitrago aspetta, aspetta, sempre meno salita per lui. Poi scatta. Leemreize chiude. Game over. Stallo, pausa. Pochissimi secondi che sembrano infiniti mentre le bici scorrono pigre sull’asfalto.
Altro scatto, violentissimo, Leemreize scoppia. Buitrago prende il largo. C’è discesa, per Lavarone, poi una morbida ascesa, un falsopiano, quasi, e ancora discesa, e l’arrivo appena appena all’insù. Una passerella di sicurezza e gioia per il giovane talento colombiano. Gijs non cede, sarà secondo. Poi i cagnacci, Hirt e Carthy. E poi è già il momento degli uomini di classifica, che supereranno van der Poel, ormai una statua di sale, proprio allo sprint.
Già, e la generale? Addio a una delle tappe meglio disegnate di questo Giro le cui tappe spesso suscitano qualche perplessità per tracciato o collocazione. Quella odierna era perfetta. Ma nessun team, nemmeno secondario, nemmeno messo alle strette, ha voluto cavare il sugo dalla sezione complicata in Valsugana, non diciamo certo per spezzare il gruppo, ma magari per creare un po’ di pressione. Che poi non si sa mai. Nessun capitano prova una scrollata all’albero in prima persona sul Vetriolo, né punte, né mezze punte, queste seconde via via più spuntate e dunque strategicamente inutili quanto più passano le tappe (Bilbao e Buchmann ormai a 6-7 minuti). Nessuno dei leader ha la curiosità di scoprire se, essendo tutti tanto uguali nella modalità “salita finale a fucile”, magari possa sorgere qualche differenza a sorpresa se si passasse a un approccio “due salite di fila forte”, o perfino “penultima salita a fucile e poi vediamo chi ne ha ancora”. Già. Troppa la paura di saltare. Meglio restare in ballo un giorno ancora. Meglio contare sulla selezione naturale, che si fa carico di un incredibile Almeida, mai a fondo (e che, sic stantibus rebus, sarebbe il vincitore in pectore di un GT parallelo identico a questo ma con un chilometraggio decente a crono!); mai a fondo, dicevamo, ma sempre in fondo al gruppo, e sempre più presto, tanto che le dozzine di secondi intascati lo porteranno ad affondare in classifica sebbene al ralenti, come un galeone con una falla. Così come la selezione naturale si fa carico dei grandi vecchi, Pozzovivo e Valverde in primis, ma anche lo stesso Nibali, quindi assolto per non aver provato qui, terreno ideale e quasi ultimo per la tappa – epperò con la gamba palesata, non sufficiente, non sarebbe bastato anticipare i big attaccando sul penultimo.
E se già sul Blockhaus Landa era stato il più propositivo, e se ciò si era confermato sul Santa Cristina, scalato alla pazzesca velocità di oltre 18 km/h, ove Landa avevo tirato il terzetto col suo animo gregario per quasi la metà del tempo, oggi il basco ci mette tutto il team. Sono i Bahrain a picchiare duro per alzare il passo verso la cima del Vetriolo (anche se… too little, too late), è un monumentale Poels a scortare eroicamente il capitano, sì “Landa capitano”, per tutto il Menador, staccandosi, rientrando, tirando, lanciando gli abbozzi d’attacco…
E se van der Poel “giuoca”, Landa felliniano più che mai “danza”, mani basse, rapporto pieno, niente frullate seduto in cicloergometro come Hindley, niente scenette da vecchio volpone alla Carapaz. Bello da vedere, il pubblico ringrazia. E va forte, fortissimo, ma gli altri non li stacca. Sono al gancio? Bluffano? Approfittano di lui e intanto risparmiano? Questa è l’impressione. Anche di Landa, che in un momento epico della salita smette di colpo di tirare, si gira diretto a Carapaz e gli fa il verso, imita la smorfia di inenarrabile sofferenza sfoggiata dall’ecuatoriano, come a dirgli, “caro mio, tante facce fai, ma se fossi cotto come sembri ti saresti staccato da un pezzo, e intanto sei quello che tira di mano”. Il tutto in attesa della volatina di Lavarone, dove ovviamente Hindley e Carapaz issano tutte le vele e si slanciano a tutta birra, chissà che ci siano qualche abbuono… e intanto anche solo sull’impulso, Landa incassa qualche altro secondino di distacco gratis.
Landa è quel che fin qui in salita ha dimostrato, o “mostrato” di più, ma non è bastato. Forte il sospetto è che gli altri abbiano in tasca ancora qualche carta, strategicamente coperta vuoi per attendismo vuoi per sorprendere i rivali. Oppure no. Ma fra crono e altri eventi di gara, su tutti Torino, Landa è già un minuto dietro, quindi è ovvio che sia anche il più obbligato ad attaccare. Sarebbe bello che, chiunque vinca il Giro, lo facesse finalmente mostrando e dimostrando di meritarlo con un’impresa degna di questo nome. Val la pena di ricordare che il Giro, a differenza del Tour, suole regalare almeno una manciata di tappe davvero belle per la generale, non solo per la vittoria di giornata, e il computo annovera fin qui solo Torino, con le ultime due discrete e tuttavia assai prossime a un “vorrei ma non posso” in stile Tour. Perché, fra l’altro, il Giro dovrebbe avere di prammatica, fra quelle belle, anche un paio di tappe letteralmente epiche. Reggerà questa regola d’oro? Le occasioni che restano sono poche, giusto due, ma lo speriamo di tutto cuore perché, in termini di ascolti italiani sulla RAI, c’è da recuperare la situazione peggiore da quando esiste Auditel.
Gabriele Bugada

La volata tra Carapaz e Hindley al traguardo di Lavarone (foto Tim de Waele/Getty Images))
SOTTO I COLPI DEL MENADOR
Un’altra dura salita sotto le luci della ribalta del Giro. Dopo il tradizionale valico di Santa Cristina oggi farà per la prima volta la sua comparsa al balcone del Giro la panoramica ma faticosa salita del Menador, inedita scoperta che va ad affiancarsi a quella della Sega di Ala, lanciata nella scorsa edizione della Corsa Rosa. Un altro passaggio fondamentale lungo la strada per Verona.
Dopo la Sega di Ala lo scorso anno, anche nel 2022 il Giro d’Italia è pronto a tirar fuori dal cilindro una dura ascesa trentina inedita che promette scintille, a partire dal soprannome di “Menador” con il quale è conosciuta la salita del Monte Rovere, geograficamente non troppo distante (in linea d’aria sono una quarantina di chilometri) da quella che fece pericolosamente traballare il trono rosa di Egan Bernal. Quest’ultima era più lunga d’oltre 3 Km rispetto al Menador, con il quale condivide una pendenza media di fatto identica (9.9%), mentre picchi più aspri – fino al 17% – presentava l’altra ascesa, ma quella che si affronterà quest’anno potrebbe causare “danni” ben peggiori. La tappa disputata dodici mesi fa, infatti, era molto meno impegnativa rispetto a quella che i corridori dovranno trascorrere oggi tra Ponte di Legno e Lavarone, scalando in partenza il Tonale e affrontando a ridosso dell’ascesa finale quella del Vetriolo, in una posizione che potrebbe ricordare quella che era stata del Passo di San Valentino nella tappa dello scorso anno, ma che in realtà sarà molto più vicina all’ascesa finale, la quale – a sua volta – non sarà arrivo in quota perché per andare al traguardo bisognerà percorrere una discesa di 8 Km, un epilogo che accumuna questa frazione a quella dell’Aprica. E le fatiche profuse lungo la strada per completare quest’ultima potrebbero incidere non poco sugli esiti di quest’altra tappa che, anche per questo motivo, potrebbe risultare molto più selettiva rispetto a quella della Sega di Ala, che terminò con la vittoria del britannico Simon Yates.
La partenza, come dicevamo, sarà in salita ma non ci sarà lo striscione del Gran Premio della Montagna ai 1883 metri del Passo del Tonale dove – percorsi 8.6 Km al 6.3% – il gruppo sfilerà senza troppi sussulti dinanzi al sacrario nel quale riposano le spoglie di oltre 800 militari caduti sul fronte della Prima Guerra Mondiale. Subito dopo inizierà la discesa verso la Val di Sole, il cui nome nulla avrebbe a che fare con la principale stella del sistema solare ma deriverebbe da quello di Sulis, la divinità celtica che i romani “adotteranno” ribattezzandola Minerva e che eleggeranno protettrice delle fonti termale della zona, ancor oggi sfruttate a Peio e Rabbi. Il gruppo attraverserà Dimaro e Malè prima di giungere sulle strade della Val di Non alle porte di Cles, centro che ha tra i suoi figli più illustri Maurizio Fondriest e, andando molto più indietro nel tempo, il cardinale Bernardo Clesio, uno dei promotori del Concilio di Trento: presso il borgo si trova ancora il castello che appartenne al suo casato e che fu costruito a sorveglianza del Ponte Alto, manufatto romanico che collegava Cles al resto della Val di Non e che oggi non è più possibile ammirare poiché sommerso dalle acque del lago artificiale di Santa Giustina, la cui diga fu inaugurata nel 1951 e per molti anni fu la più alta d’Europa.
Sfiorata l’estremità meridionale del lago, pedalando tra i meleti che sono uno dei principali vanti di questa valle si scenderà verso la stretta Chiusa della Rocchetta, gola di là dalla quale si apre la Piana Rotaliana, area conosciuta per la produzione del Teroldego Rotaliano, vino il cui nome deriverebbe dal termine tedesco Tiroler gold (letteralmente “Oro del Tirolo”) oppure dalla Teroldola, varietà d’uva che ebbe il suo primo momento di gloria quando fu menzionata in un documento redatto durante il citato Concilio di Trento. La pianura avrà breve durata perché, superato il corso dell’Adige, si riprenderà l’ascensore per portarsi in 6 Km – inclinati al 6.7% medio – a Giovo, scollinando a breve distanza dalla frazione di Palù, patria della dinastia dei Moser, che conta non soltanto i dieci corridori che portano questo cognome ma anche il due volte vincitore del Giro Gilberto Simoni, che è cugino di secondo grado dell’ex recordman dell’ora e che pure una storica edizione della Corsa Rosa la vinse nel 1984. Dopo Giovo inizierà un lungo tratto, tortuoso e vallonato, disegnato sulle strade della Val di Cembra andando a sfiorare il centro di Segonzano, presso il quale si possono ammirare curiosi pinnacoli di roccia scolpiti 50000 anni dall’azione erosiva delle acque e che si sono meritati tra le genti locali il soprannome di “òmeni”, mentre ai più sono noti con l’appellativo di “piramidi”. Giunti sulle sponde del piccolo lago di Lases, bacino la cui esistenza in tempi recenti è stata messa in pericolo dalla presenza di cave di porfido (la pietra del celebre “pavé”), s’imboccherà la discesa verso la Valsugana, che il gruppo raggiungerà alle porte di Pergine, centro dominato dal colle dal quale troneggia l’omonimo castello, edificato in periodo rinascimentale ma rispettando le regole dell’arte militare gotica. Manterrà la sua storica funzione di sentinella anche quest’anno, sorvegliando l’ingresso nella fase topica di questa tappa perché è all’uscita di Pergine che ha inizio la salita del Vetriolo. Il nome può incutere timore eccessivo – pungenti sono le “battute al vetriolo” e “vetriolo” è il soprannome con i quali i chimici chiamano l’acido solforico concentrato – pur comunque essendo questa una non trascurabile salita di 12 Km al 7.6%, che termina poco sotto la piccola località termale dalla quale deriva il suo soprannome (più correttamente sarebbe Passo del Compet), presso la quale sgorgano le due sorgenti che hanno fatto la fortuna della sottostante Levico; quest’ultima è la principale località turistica della Valsugana, frequentata sin dall’epoca della dominazione asburgica e prediletta in particolare dalla principessa Sissi, la cui residenza estiva è oggi diventata un hotel di lusso. Gli agi di cui godette l’indimenticata consorte dell’imperatore Francesco Giuseppe non saranno, ahi loro, concessi ai corridori che puntano al trono sul quale lo scorso anno si assise con tutti gli onori Bernal perché attraversata Levico un breve tratto di pianura – poco meno di 4 Km – separerà questo centro da Caldonazzo, dove inizierà la salita più temuta, quel Menador che “mena” per davvero con i suoi 7900 metri al 9.9%. In particolare picchia dura il tratto di 2000 metri all’11.2% che termina in vista del penultimo dei nove tornanti della strada, costruita letteralmente strappandola alla roccia alla fine dell’Ottocento dai militari appartenenti ai reggimenti dei “cacciatori imperiali” e che all’epoca della Grande Guerra divenne per l’impero austro-ungarico la principale porta d’accesso al fronte dell’Altopiano di Asiago”. Spentisi gli echi del primo conflitto mondiale rimase una delle più spettacolari strade alpine italiane, che offre impareggiabili viste verso il Monte Panarotta e il sottostante Lago di Caldonazzo, che non è soltanto il più grande del Trentino ma anche il più “caldo” per temperatura delle acque tra tutti quelli presenti nell’arco alpino.
Giunti in vetta a quest’affascinante belvedere ne vedremo anche gli effetti sul gruppo: faranno più male gli aguzzi denti della Sega di Ala o le scudisciate dei tornanti del Menador?
I VALICHI DELLA TAPPA
Passo del Tonale (1883 metri). Ampio valico prativo aperto tra il Monticello e la Cima di Cadì, costituisce anche il punto di separazione tra i massicci dell’Adamello e dell’Ortles-Cevedale. Sede della principale stazione di sport invernali della provincia di Trento, è valicato dalla SS 42 “del Tonale e della Mendola” tra Vermiglio e Ponte di Legno. Vi transita il confine tra Lombardia e Trentino-Alto Adige. Dal 1933, anno dell’istituzione dei GPM, è stato inserito 29 volte nel tracciato del Giro, contando anche la tappa alternativa che avrebbe dovuto sostituire la Ponte di Legno – Val Martello nel 2013 e sulla quale neppure si riuscì gareggiare. Il primo a conquistare questa storica vetta fu Binda nel 1933, nel corso della conclusiva Bolzano – Milano, pure vinta dall’asso varesino. L’ultima scalata è avvenuta nel 2017 durante la tappa Tirano – Canazei vinta dal francese Pierre Rolland, con lo sloveno Matej Mohorič primo sul passo. Il Tonale è stato teatro anche di due arrivi di tappa, conquistati dal colombiano José Jaime González Pico nel 1997 e dall’elvetico Johann Tschopp nel 2010. Quest’anno non ci sarà Gran Premio della Montagna in vetta e non si tratta di una novità perché accadde anche nel corso della Selva di Val Gardena – Bormio del 2000 (vinta da Gilberto Simoni), quando il passaggio dal Tonale fu considerato valido solo come traguardo volante Intergiro, conquistato dallo spagnolo José Enrique Gutiérrez Cataluña.
Passo di Lases (639 metri). Coincide con l’omonima località, principale frazione del comune di Lona-Lases.
Sella di Pergine Valsugana (482 metri). Coincide con l’omonimo abitato.
Sella di Vignola (Masetti) (557 metri). Valicata dalla Strada Provinciale 228 “di Levico – Novaledo” tra Pergine Valsugana e il bivio per la salita del Vetriolo.
Passo del Compet (1383 metri). Si trova allo scollinamento della salita del Vetriolo, nel punto dove convergono le strade che salgono da Pergine Valsugana e da Levico Terme. Quest’ascesa è stata in passato affrontata cinque volte al Giro d’Italia, la prima nel 1966 al termine della Riva del Garda – Levico Terme, che prevedeva la salita dallo stesso versante di quest’anno e l’arrivo in fondo alla discesa, traguardo che fu conquistato dalla maglia rosa in persona, Gianni Motta, dopo che in vetta al Compet era transitato in testa lo spagnolo Julio Jiménez. Quest’ultimo sarà protagonista sul Vetriolo anche nel 1968, stavolta riuscendo a imporsi sul traguardo della Brescia – Lago di Caldonazzo, sempre salendo dal versante di Pergine. Dopo questi due precedenti bisognerà attendere ventidue anni per rivedere il Giro lassù, salitovi in occasione di una cronoscalata – stavolta affrontata da Levico, il versante più impegnativo – inserita nel tracciato del Giro del 1988 e vinta dall’americano Andrew Hampsten, che indossava la maglia rosa fin dallo storico tappone del Gavia innevato e che porterà le insegne del primato fino al conclusivo traguardo di Vittorio Veneto, primo e finora unico statunitense a conquistare la Corsa Rosa. Anche due anni più tardi si salirà dal versante di Levico nel finale della Brescia – Baselga di Pinè: era il Giro vinto da Gianni Bugno che quel giorno si piazzò secondo al traguardo, preceduto di 33” dal francese Eric Boyer dopo che in vetta al Vetriolo era transitato per primo lo spagnolo Eduardo Chozas. L’ultima scalata porta la data del 29 maggio del 2014, ma quel giorno non ci fu scollinamento perché si proseguì la scalata fino al Rifugio Panarotta, dove s’impose il colombiano Julián Arredondo, mentre il suo connazionale Nairo Quintana conservava la maglia rosa conquistata un paio di giorni prima nel tappone della Val Martello. Oltre ai precedenti del Giro, nel 1996 a Vetriolo Terme, poco oltre lo scollinamento del Compet, terminò un’altra gara organizzata dalla Gazzetta dello Sport, una tappa del Trofeo dello Scalatore vinta dal toscano Massimo Donati, mentre nel 2013 la medesima località è stata traguardo di una frazione del Giro del Trentino, vinta dal bielorusso Kanstantsin Siutsou.
Passo di Spiazzo Alto (1261 metri). È il nome ufficiale dello scollinamento della salita del Monterovere (o Menador che dir si voglia). Oltre a confluirvi la Strada Provinciale 133 “di Monterovere” (dalla quale proverranno i corridori) vi transita la Strada Statale 349 “di Val d’Assa e Pedemontana Costo” lungo la salita da Lavarone al Passo di Vezzena. Pur essendo una novità il “Menador”, dallo Passo di Spiazzo Alto il Giro è già transitato due volte, la prima nel 1972 durante la Solda – Asiago (vittoria del belga Roger De Vlaeminck, primo in vetta al Vezzena il suo connazionale Eddy Merckx), la seconda nella direzione opposta durante la Asiago – Corvara del 1993 (vittoria del veneto Moreno Argentin, scollinamento del Vezzena al trentino Mariano Piccoli).
Passo Cost (1298 metri). Vi transita la Strada Statale 349 “di Val d’Assa e Pedemontana Costo” lungo la salita da Lavarone al Passo di Vezzena. I corridori vi transiteranno in discesa provenendo dal Menador.
Valico di Chiesa (1171 metri). Coincide con l’omonima frazione del comune di Lavarone, luogo dove terminerà la tappa. È quotata 1172 metri sulle cartine ufficiali del Giro 2022.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
Mauro Facoltosi

Scorcio del Lago di Caldonazzo visto da una delle gallerie della strada del Menador e l’altimetria della diciasettesima tappa (www.alpecimbra.it)
CIAK SI GIRO
Fino a qualche anno fa il Trentino e l’Alto Adige erano territori quasi del tutto inesplorati dal cinema, poi il fiorire delle “film commission” in tutte le regioni italiane hanno “decentrato” produzioni che in passato si concentravano quasi esclusivamente nel Lazio, non tanto perché sede della capitale ma per la presenza degli studi di Cinecittà. Si pensi che un tempo esisteva un regolamento interno agli studi che prevedeva di pagare gli straordinari alla troupe se il luogo delle riprese si trovava a più di 40 Km dalla capitale! Così numerosi sono i film che in queste ultime stagioni hanno visto sbarcare sulle strade trentine i giganteschi tir che si portano dietro tutto il necessario per le riprese, riprese che nel 2012 hanno riservato un ruolo predominante al Grand Hotel Imperial di Levico Terme, l’albergo ospitato in quella che un tempo era la residenza estiva degli Asburgo. Nelle stanze dove si aggirò la principessa Sissi la protagonista stavolta divenne la bella Bella (si chiama proprio così), interpretata da Laura Chiatti: è la primadonna de “Il volto di un’altra”, film dove una star della tv dopo esser rimasta sfigurata viene operata in un’esclusiva clinica che altro non è che l’altrettanto elitario albergo della Valsugana.

Il Grand Hotel Imperial di Levico Terme trasformato in clinica di lusso ne "Il volto di un’altra" (www.davinotti.com)
Cliccate qui per scoprire le altre location del film
https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-volto-di-un-altra/50030983
FOTOGALLERY
Il sacrario del Passo del Tonale
Cles, Castel Cles
Scorcio del Lago di Santa Giustina
La Chiusa della Rocchetta, oltre la quale si apre la Piana Rotaliana
I vigneti della Piana Rotaliana
Le Piramidi di Segonzano
Lago di Lases
Il castello di Pergine Valsugana
In salita verso Vetriolo Terme
Lago di Caldonazzo
Laghetto alpino alle porte di Lavarone
HIRT RE DELL’APRICA. MOLTO EQUILIBRIO E POCO CORAGGIO TRA I BIG
Ian Hirt ha vinto la tappa regina del Giro d’Italia partecipando ad una fuga che perso pezzi nel corso dei chilometri. Il ceco ha poi gestito molto bene le forze nell’ultima salita ed è riuscito a trionfare. Gli uomini di classifica si sono mossi solo negli ultimi chilometri del Santa Cristina, benché la tappa offrisse diverse occasioni per anticipare gli attacchi, e si sono ritrovati addirittura a sprintare per quattro secondi di abbuono.
La tappa regina ha regalato una grande prova da parte di coloro che si sono battuti per la vittoria di tappa senza risparmiarsi e hanno mandato in scena un grande spettacolo, mentre gli uomini di classifica hanno pensato a controllarsi, benché la generale sia ancora molto corta. I primi quattro si sono addirittura ritrovati a sprintare sul traguardo per racimolare i quattro secondi di abbuono riservati al terzo classificato.
Almeida ha fatto una ottima prova, riuscendo con la sua solita tattica a limitare moltissimo i danni e anche Nibali, pur andato in difficoltà negli ultimi chilometri, è riuscito a mantenere la calma ed a non naufragare, cosa che gli vale la quinta posizione provvisoria in classifica.
I tre scalatori, Carapaz, Hindley e Landa, non sono sembrati in grado di affondare il colpo. Hanno dato delle accelerate, ma non sono arrivate le vere rasoiate e, in ogni caso, le accelerate non hanno avuto seguito, sono state poche e sono durate pochi metri. Se si vuole staccare qualcuno non si può solo aspettare che vada in crisi da solo, bisogna insistere, scattare più volte e dare continuità all’azione. Il fatto che tutto ciò non sia successo fa pensare che siano mancate le energie.
Il posizionamento di una salita come quella di Teglio, con pendenze durissime, subito prima del Santa Cristina invitava certamente a provare l’attacco da lontano, ma il gruppo ha affrontato quella salita con il ritmo, senza alcuna ostilità.
Una tappa di 200 Km con quattro salite dure doveva certamente essere affrontata con maggiore aggressività.
Non si sono, invece, risparmiati coloro che lottavano per la tappa e se le sono date di santa ragione già dai primi chilometri. Tra di loro è stata una corsa ad eliminazione e alla fine Hirt è stato quello che è riuscito a coniugare alla condizione fisica la capacità mentale di gestire correttamente le energie.
I primi ad andare in fuga, subito dopo il via ufficiale, sono stati Nans Peters (AG2R Citroën Team), Pascal Eenkhoorn (Jumbo-Visma), Mathieu van der Poel (Alpecin-Fenix), Thomas De Gendt (Lotto Soudal), Christopher Juul-Jensen (BikeExchange – Jayco) e Mark Cavendish (Quick-Step Alpha Vinyl).
Nella lunghissima salita verso Goletto di Cadino ci sono diversi movimenti e alla fine si forma un nutrito gruppo in avanscoperta, composto da Guillaume Martin (Cofidis), Alejandro Valverde (Movistar), Jan Hirt (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Wilco Kelderman (BORA – hansgrohe), Thymen Arensman (Team DSM), Giulio Ciccone (Trek – Segafredo), Hugh Carthy (EF Education-EasyPost), Lorenzo Fortunato (Eolo-Kometa), Simon Yates (BikeExchange – Jayco), Lennard Kämna (BORA – hansgrohe), Koen Bouwman (Jumbo-Visma), Lorenzo Rota (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Mauri Vansevenant (Quick-Step Alpha Vinyl), Davide Formolo (UAE), Wouter Poels (Bahrain – Victorious), Filippo Zana (Bardiani-CSF-Faizanè), Sylvain Moniquet (Lotto Soudal), Dario Cataldo (Trek – Segafredo) e Christopher Juul-Jensen (BikeExchange – Jayco), oltre ai già citati Peters ed Eenkhoorn.
Cataldo fa un ottimo lavoro per Ciccone, tirando sostanzialmente su tutta la salita, ma il gruppo non sembra intenzionato a concedere un vantaggio significativo, anche perché la presenza di uomini come Martin e Kelderman consiglia prudenza.
Il ritmo di Cataldo fa diverse vittime prima del GPM e, mentre qualcuno riesce a rientrare in discesa, altri vengono ripresi dal gruppo.
Kelderman fora in un punto in cui non può avere l’assistenza dell’ammiraglia e deve affidarsi al cambio ruote, vendendo così raggiunto da Bais, che aveva perso contatto in salita. I due procedendo regolari riescono a riportarsi sulla testa della corsa.
Nel tratto di falsopiano salta l’accordo e si avvantaggiano Alejandro Valverde, Arensman, Kämna, Bouwman, Rota, Christopher Hamilton (Team DSM), Poels e Cataldo, sorprendendo i compagni di avventura.
La Trek decide di fermare Cataldo per aspettare Ciccone, che è rimasto nel gruppetto inseguitore. L’abruzzese riesce a ridurre solo di pochi secondi lo svantaggio e a questo punto, sulle rampe del Mortirolo, Ciccone, Carthy e Hirt che di rientrare sui battistrada. Ma Ciccone non ha le energie e, proprio quando aveva i battistrada a vista, cede mentre gli altri due riescono a riportarsi sul gruppo di testa.
Nel frattempo, nel tratto di falsopiano che precedeva il Mortirolo il gruppo si era rilassato e il vantaggio era arrivato a superare i cinque minuti. Lungo la salita Nibali mette la squadra davanti e il gruppo maglia rosa comincia a perdere pezzi, ma non a guadagnare sui battistrada. Inizia a farsi strada l’idea che qualche componente della fuga possa andare all’arrivo.
Nella discesa Pozzovivo finisce in terra e dovrà faticare molto per rientrare, un dispendio di energie che gli presenterà il conto sulle rampe del Santa Cristina.
Nibali, nel tratto tecnico, si avvantaggia sugli altri. Più che a un vero e proprio attacco, il vantaggio accumulato sembra essere stato determinato da una migliore attitudine alla discesa e alla scelta delle traiettorie da parte del siciliano, anche perché obiettivamente non era possibile andare da solo a riprendere i vari gruppetti davanti, che avevano ancora un buon vantaggio. Al termine del tratto tecnico, infatti, rientrano un po’ tutti sul siciliano.
Ciccone attende gli altri componenti del gruppetto inseguitore – ossia Hamilton, Fortunato, Kelderman, Martin, Vansevenant e Yates – che non erano riusciti a seguire il terzetto che l’abruzzese aveva in un primo tempo formato con Hirt e Carthy. Così si riforma un gruppo di contrattaccanti che, però, continua a perdere terreno rispetto agli uomini in testa alla corsa.
Nella salita verso Teglio Bouwman si rialza e, dopo aver intascato l’abbuono del traguardo volante, si lascia riprendere dal gruppo. Anche il gruppetto degli inseguitori di Ciccone molla, dopo aver capito che davanti ne hanno di più.
Dopo la discesa da Teglio, è Kamna a provare l’azione solitaria, la sua pedalata è buona e il vantaggio arriva molto vicino al minuto. Dietro il gruppo maglia rosa si assottiglia sempre di più, mentre la Bahrain prende in mano le operazioni d’inseguimento e il distacco continua a diminuire.
Quando si lascia la strada dell’Aprica per prendere il tratto finale del Santa Cristina, nel gruppo maglia rosa ci sono Richard Carapaz ( NEOS Grenadiers), Jai Hindley (BORA – hansgrohe), João Almeida (UAE), Mikel Landa (Bahrain – Victorious), Domenico Pozzovivo (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Pello Bilbao (Bahrain – Victorious), Vincenzo Nibali (Astana), Santiago Buitrago (Bahrain – Victorious), Pavel Sivakov (INEOS Grenadiers), Richie Porte (INEOS Grenadiers) e Poels.
Davanti prima Arensman e poi Hirt accelerano per inseguire Kamna, che comincia ad accusare la fatica. Appena raggiunto il corridore della Bora Aresman riparte a tutta, ma Hirt non si fa sorprendere e continua con il ritmo, sino a staccare Aresman che aveva esagerato.
Dietro, terminato il lavoro della Bahrain, Landa prova ad accelerare, ma non imprime un vero cambio di ritmo e non dà la classica rasoiata da scalatore. Con lui rimangono agevolmente Hindley e Carapaz, mentre Nibali e Almeida restano leggermente staccati.
Il portoghese, con la sua solita tattica, riesce ad andare in progressione e a non perdere il contatto visivo, mentre Nibali sale di testa e di esperienza, ma il fisico non è quello dei giorni migliori. La difesa è comunque buona, ma il ritmo di Almeida – che è regolare ma sempre a crescere – è eccessivo per il siciliano.
I tre davanti sembrano temersi e, nonostante Hindley provi un paio di accelerate, non viene data continuità all’azione e il terzetto scollina compatto, mentre Hirt – che ha ormai staccato Aresman – ha qualche problema su una discesa che si presenta leggermente bagnata a causa della pioggia che comincia a cadere sulla corsa.
Hirt, nonostante i rischi, riesce comunque a cavarsela ed a vincere la tappa, mentre Aresman – giunto a pochi secondi – sembra piuttosto contrariato per la sconfitta.
Dietro, insieme al terzetto dei big, c’è anche Valverde, da poco ripreso. La volata che vale il terzo posto è affare tra il primo ed il secondo della classifica generale, con quest’ultimo che, riuscendo a vincere lo sprint, si porta a soli tre secondi dalla maglia rosa. Almeida perde solo 14 secondi, riuscendo a mantenere la terza posizione per 15 secondi su Landa. Quinto è Nibali, che ha 3 minuti e 40 secondi di ritardo.
Stando così le cose il Giro sembra ormai affare per i primi quattro.
Landa dovrebbe essere più spregiudicato, lui è sempre stato uomo adatto ad attaccare da lontano ed è anche il meno attrezzato in caso di distacchi minimi nella cronometro finale.
Il Santa Cristina è una salita su cui si può far male se si è fatta corsa dura prima e se si va su decisi. Del resto chi ha buona memoria ricorda che Pantani inflisse un distacco di 3 minuti e mezzo a Indurain in soli quattro chilometri di salita proprio grazie al fatto che aveva fatto corsa dura sin dal Mortirolo.
Ora, è vero che Pantani è stato un fuoriclasse e ha corso in un’altra epoca, tuttavia Landa non ha molte alternative se vuole cercare di vincere il Giro e non può certo aspettare che Carapaz, Hindley e Almeida vadano in crisi.
Hindley ha dimostrato di tenere sulle tre settimane, ma ha anche già perso un Giro in una breve cronometro finale e siamo certi che non voglia ripetere l’esperienza.
Carapaz, dal canto suo, non può dormire sonni tranquilli con Hindley a tre secondi, senza dimenticare che Almeida è un cronoman, anche se i 17 chilometri a disposizione l’ultimo giorno a Verona sembrano pochi per recuperare un gap che, anche se di poco, potrebbe aumentare nelle prossime tappe.
Insomma tutto rimandato.
La speranza è che, nelle prossime giornate, i big tentino di inventarsi qualcosa e che il drittone che da Malga Ciapela porta ai piedi della Marmolada con pendenze terribili sia solo l’ultimo teatro di una sfida che non è tuttavia ancora entrata nel vivo.
Benedetto Ciccarone

La vittoria del ceco Hirt all'Aprica (foto Michael Steele/Getty Images)
VINO & MONTAGNE, C’È DA PERDERSI…
È il giorno del tappone principe del percorso del Giro 2022. Goletto di Cadino, Mortirolo e Santa Cristina nobilitano una frazione nella quale s’inserisce – apparentemente come intrusa – la piccola salita di Teglio, dotata però di pendenze feroci. Oggi si possono ribaltare le sorti della Corsa Rosa e ancora non è finita perché l’indomani è prevista un’altra dura tappa di montagna.
È dal 2014 che il Giro ha introdotto nel suo tracciato le “wine stage”, tappe interamente dedicate a uno dei numerosi vini prodotto nella nostra nazione. Finora queste giornate, con un paio di eccezioni (la tappa disputata in Franciacorta nel 2018 e terminata allo sprint e quella degli sterrati di Montalcino lo scorso anno), sono state abbinate a frazioni a cronometro e nel 2022 per la prima volta avrà questo speciale marchio una tappa di montagna. È il connubio perfetto perché in montagna il vino è una componente fondamentale della vita delle genti contadine, utile per dare vigore prima e dopo una giornata di lavoro sui campi o per fornire riscaldamento in quelle più rigide. E la terra dove più forte il legame tra vino e montagna è la Valtellina, da sempre teatro di tappe appassionanti e decisive per le sorti della Corsa Rosa, che quest’anno ha scelto di legare il suo nome a quello dello Sforzato, vino che nel 2003 è stato il primo passito ad aver faticosamente raggiunto il traguardo della DOCG, la denominazione di origine controllata e garantita. Ed è garantito anche che quella che lo celebrerà sarà una tappa fondamentale sulla strada per Verona, frazione più dura tra le ventuno che compongono il mosaico del Giro 2022, forte della presenza di tre storiche ascese della corsa, il Goletto di Cadino, il Passo del Mortirolo e il Valico di Santa Cristina, anche se un bel peso potrebbe averlo anche l’apparentemente più defilata salita di Teglio, inserita all’inizio del tratto nel quale i “girini” si troveranno a pedalare ripidamente tra i vigneti che danno lo “Sfursat”. Alla fine di questa tappa la classifica ordine d’arrivo e classifica potrebbero per davvero dare i numeri e noi cominciamo subito con il fornirvi quelli dei dati tecnici di questa tappa, sulla quale peserà come una spada di Damocle il giorno di riposo trascorso dopo la frazione di Cogne, spesso indigesto: oggi in 202 Km si dovranno superare quasi 5230 metri di dislivello complessivo mentre le quattro salite ufficiali (conteggiando anche Teglio, che non sarà GPM) messe in fila porteranno oggi i “girini” ad affrontare quasi 50 Km d’ascesa, la cui pendenza media “globale” risulta del 7.5%. E non dimentichiamo che il giorno dopo si dovrà disputare un’altra dura tappa di montagna, fatto che potrebbe portare i corridori che puntano alla maglia rosa oggi a una condotta di gara prudente.
Si partirà dalle rive del lago di Garda con un lungo tratto di trasferimento verso il “chilometro 0”, una decina di chilometri nei quali il gruppo risalirà fuori gara il tratto iniziale della Val Sabbia, terra del quale è originario Sonny Colbrelli il quale immaginiamo – se non gli farà troppo male al “cuore” – scenderà dalla sua Casto alla strada sulla quale staranno pedalando i suoi colleghi. A quel punto la tappa sarà partita ufficialmente da una dozzina di chilometri e si starà pedalando ancora in pianura in direzione del Lago d’Idro, costeggiato sul lato verso il quale troneggiano le strutture della Rocca d’Anfo, complesso di fortificazioni eretto nel XV secolo dalla Repubblica di Venezia, utilizzate nel corso dei secoli anche come carcere e deposito di munizioni. Non è ancora il momento di sfoderare le armi, anche se a breve si giungerà ai piedi della prima delle tre grandi salite di giornata. Attraversato il centro di Bagolino – conosciuto per il formaggio bagòss e per le particolari manifestazioni che qui si tengono in occasione del Carnevale fin dal XVI secolo – si andrà all’attacco del versante orientale del Goletto di Cadino, ascesa che il Giro ha inserito nel percorso con il “contagocce” (cinque passaggi tra il 1970 e il 1998) ma che ha spesso fatto tribolare grandi campioni: Eddy Merckx ci passò un momentaccio nel corso della tappa di Folgaria del Giro del 1970 e si salvò perché nessuno ne approfittò; peggio andò a Bernard Hinault nel 1982 quando, salendo dallo stesso versante di quest’anno (19 Km al 6.2% per arrivare fin quasi a quota 2000 metri), fu messo alla frusta da Lucien Van Impe e da Silvano Contini, che quel giorno riuscì a portargli via quella maglia rosa che il francese si riprenderà con gli interessi ventiquattrore più tardi sullo storico traguardo di Montecampione. Superata la prima difficoltà di giornata il gruppo si lancerà giù per il più impegnativo tra i due versanti del Goletto, che in poco più di 20 Km plana verso Breno, cittadina che funge da “cerniera” tra la bassa e la media Val Camonica, un luogo un tempo strategico come ci ricordano i resti del soprastante castello, del quale sono giunti ai giorni nostri due torri, le mura di cinta e parte di una chiesetta intitolata a San Michele.
La prossima meta del gruppo sarà il Mortirolo e per giungere ai suoi piedi bisognerà percorrere il secondo dei tre tratti di trasferimento di questa frazione, una trentina di chilometri da pedalare sul fondovalle della Valcamonica in condizione di lieve e costante falsopiano ascendente. In questo tratto si toccherà una delle località più visitate della valle, Capo di Ponte, che attira turisti da tutto il mondo per il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, “griffato” UNESCO, ma che merita la sosta per ammirarvi anche l’antica la Pieve di San Siro e il Monastero di San Salvatore. Giunti a Edolo ecco l’appuntamento con il Mortirolo, meno temibile del solito perché si salirà dal versante meno impegnativo, che comunque non è una passeggiata perché sono 13 Km d’ascesa al 7.5%. Per intenderci è lo stesso lato del “mostro” che fu affrontato nel 2017 – durante la tappa di Bormio vinta da Nibali – e il 3 giugno del 1990, quando per la prima volta fu inserito nel percorso della Corsa Rosa un valico il cui nome era già scritto sui libri di storia. Nella piana sottostante il passo, infatti, nell’aprile del 1945 si svolsero due battaglie che contrapposero partigiani e truppe formate da fascisti e tedeschi in ritirata, ma già nel 773 quella era stata terra di scontri quando, secondo una leggenda, Carlo Magno sfidò l’esercito longobardo.
Per evitare in discesa le tremende pendenze verso Mazzo, come nella tappa del Giro 2017 si percorrerà il versante nord orientale che scende in direzione di Grosio, dove i corridori imboccheranno l’ultimo tratto intermedio, esattamente speculare a quello percorso in precedenza, stavolta filando in lieve discesa verso Tirano e transitando ai piedi della rupe tra Grosio e Grosotto sulla quale sono state rinvenute negli anni ’60 interessanti incisioni rupestri, “parenti” di quelle più celebri della Valcamonica, per le quali è stato realizzato un apposito parco, istituito anche per salvaguardare due antichi castelli.
Lambita la mole del santuario rinascimentale della Madonna di Tirano, costruito sull’orto nel quale la Vergine Maria era apparsa nel 1504 al contadino Mario Omodei, si entrerà nelle terre di produzione della “Sforzato” e gli “sforzi” da qui all’arrivo non mancheranno. Ancora qualche chilometro tranquillo e dopo un ultimo tratto di pianura si andrà a imboccare la salita diretta a Teglio, i cui 851 metri di quota la fanno sembrare una “nanerottola” rispetto alle più elevate ascese del Goletto (1938 metri), del Mortirolo (1854 metri) e del Santa Cristina (1448 metri). Ma si tratta di un nano con i denti ben affilati perché non si salirà dal versante più tradizionale ma da uno secondario che presenta i connotati del muro e una carreggiata notevolmente ristretta: hanno una media del 10,2% i 3 Km centrali di una salita che complessivamente misura 5 Km (media dell’8.7%) e ha come meta l’antico capoluogo della Valtellina, oggi più conosciuto come patria dei pizzoccheri e per i suoi monumenti come l’antico Palazzo Besta e la torre detta “de li beli miri” per le viste che offre sulla valle. Poco dopo esser usciti da Teglio si abbandonerà la “Strada Panoramica del Castelli”, itinerario che si spinge fino a Sondrio sgusciando tra vigneti e meleti, per raggiungere Tresenda seguendo ancora una volta un versante secondario, terminato il quale i “girini” si troveranno ai piedi del Valico di Santa Cristina. Non è una novità per la Corsa Rosa, ma per la prima volta nella storia sarà affrontato in maniera “totale” poiché nei precedenti si percorse – arrivati in discesa dall’Aprica – solo il tratto conclusivo, quello più duro. In tutto saranno quasi 13 Km all’8.1%, numeri che possono chiedere un salato conto al termine della tappa più difficile del Giro 2022. Finché si rimarrà sullo stradone diretto all’Aprica, nei primi 6 Km, s’incontreranno inclinazioni nella norma (media del 6.4%), poi la musica cambierà diametralmente quando ci s’infilerà nel budello diretto al passo, con la pendenza media che si schizza al 10.2% negli ultimi 6500 metri. È lassù che, nella storica tappa del Giro del 1994, Marco Pantani si sbarazzò per la seconda volta dei grandi “big” al via della corsa dopo averli già staccati sul Mortirolo ed essersi fatto raggiungere nel corso dell’ascesa da Edolo verso l’Aprica. Indurain raccontò d’aver provato a inseguire il romagnolo, ma fu immediatamente ricacciato indietro e lo sforzo fu tale da appannargli da vista…. E ben poco potranno contribuire a snebbiare i sensi dei corridori in malcapitata crisi i 6 Km del tuffo finale verso Aprica, dove riassaporare la leggenda del Pirata tentando di emularne l’eroiche gesta. Ci sarà ancora il rischio di perdersi nella nebbia…. e non sarà solo quella dovuta ad abbondanti libagioni a base di “Sfursat” e degli altri prelibati vini della Valtellina.
I VALICHI DELLA TAPPA
Goletto Gavero (1783 metri). Valicato lungo la salita al Goletto di Cadino da Bagolino, è quotato 1795 metri sulle cartine del Giro 2022, dove è chiamato con il nome di Goletto di Gaver.
Goletto di Cadino (1938 metri). Vi transita la Strada Provinciale 669 “del Passo di Crocedomini” tra Bagolino e Breno. Il Giro l’ha inserito sei volte nel suo tracciato, anche se solo in cinque occasioni si è riusciti ad affrontare questa salita perché nel 1978 l’organizzazione fu costretta dalla neve a modificare il percorso della Mezzolombardo-Sarezzo togliendo quello che all’epoca era segnalato sulle cartine con il nome di Passo di Croce Domini, valico che in realtà viene attraversato nel corso della discesa verso Breno, un chilometro dopo aver raggiunto la cima del Goletto. Il primo corridore a domare questa salita fu il belga Martin Van Den Bossche nel corso della Zingonia – Malcesine del 1970, vinta dal pesarese Enrico Paolini. Questa fu anche l’unica volta che si salì dal versante di Breno, il più impegnativo, mentre quello di Bagolino fu affrontato per la prima volta nel 1976 durante la Terme di Comano – Bergamo, vinta tra i tifosi di casa da Felice Gimondi dopo che sul Goletto era transitato in testa lo spagnolo Andrés Oliva. Nella Fiera di Primiero – Boario Terme, la citata tappa della crisi di Hinault del 1982, fece un en plein quasi perfetto il belga Lucien Van Impe, GPM e tappa, mentre come ricordavamo la maglia rosa passò temporaneamente dalle spalle del francese a quelle del varesino Silvano Contini. Bisognerà poi attendere 15 anni per rivedere il Giro su quella strada, quando per la prima (e finora unica) volta sarà un corridore italiano a transitare in testa al Goletto: sarà Gianni Bugno, oramai nella parabola discendente della sua carriera (si ritirerà l’anno successivo), poi sul traguardo della Malè-Edolo s’imporrà il russo Pavel Tonkov, grande sconfitto di quell’edizione della Corsa Rosa, secondo a Milano con 1’27” di ritardo da Ivan Gotti. L’anno dopo, infine, sarà lo svedese Niklas Axelsson a conquistare il Goletto di Cadino nella storica Cavalese – Plan di Montecampione, la tappa dell’impresa di Marco Pantani con Tonkov ancora nei panni del grande sconfitto.
Passo di Croce Dominii (1892 metri). Valicato dalla Strada Provinciale 345 “delle Tre Valli” tra Breno e Collio, è anche uno dei “capolinea” della Strada Provinciale 669 “del Passo di Crocedomini”. Erroneamente è più conosciuto come “Passo di Croce Domini” (o anche Crocedomini) in quanto il termine più utilizzato ha un diverso significato: “Croce Domini” significa “Croce del Signore” mentre il più corretto “Croce Dominii” vuol dire “Croce dei Domini” perché qui un tempo passava il confine tra i territori della Serenissima e del principato vescovile di Trento.
Sella di Breno (342 metri). Vi sorge l’omonimo centro.
Passo della Foppa (1852 metri). È il valico comunemente identificato come Mortirolo, attraversato dalla strada provinciale che mette in comunicazione Monno con Grosio e Mazzo di Valtellina. Sulle cartine del Giro è quotato 1854 metri. In realtà, il vero Mortirolo si trova a breve distanza dal valico stradale. Anzi, ne esistono due, il Passo del Mortirolo-Nord e il Passo del Mortirolo-Sud, entrambi alti 1896 metri: il primo si trova a nord est della Foppa ed è raggiunto da una strada sterrata a fondo cieco che si stacca dal tratto terminale del versante bresciano; il valico sud, invece, è toccato dalla strada di cresta asfaltata che permette di raggiungere il Mortirolo direttamente dall’Aprica, passando per Trivigno. Il Giro vi è finora salito quattordici volte e gli “eroi” di quest’ascesa sono stati, in rigoroso ordine d’apparizione, il venezuelano Leonardo Sierra nel 1990 (tappa Moena – Aprica, vinta dallo stesso corridore), Franco Chioccioli nel 1991 (Morbegno – Aprica, identico vincitore), Pantani nel citato precedente del 1994, Gotti nel 1996 (Cavalese – Aprica, idem), Wladimir Belli nel 1997 (Malè – Edolo, primo Tonkov), ancora Gotti nel 1999 (Madonna di Campiglio – Aprica, primo al traguardo lo spagnolo Roberto Heras), Raffaele Illiano nel 2004 (Bormio – Presolana, primo Stefano Garzelli), Ivan Basso nel 2006 (Trento – Aprica, idem), lo spagnolo Antonio Colom nel 2008 (Rovetta – Tirano, vinta da Emanuele Sella), nuovamente Basso nel 2010 (Brescia – Aprica, vinta da Michele Scarponi), l’elvetico Oliver Zaugg nel 2012 (Caldes – Passo dello Stelvio, vinta dal belga Thomas De Gendt), l’olandese Steven Kruijswijk nel 2015 (tappa Pinzolo – Aprica, vinta dallo spagnolo Mikel Landa), lo spagnolo Luis Léon Sanchez nel 2017 (tappa Rovetta – Bormio, vinta da Vincenzo Nibali) mentre l’ultimo eroe del Mortirolo è stato Giulio Ciccone, in occasione della tappa Lovere – Ponte di Legno vinta dallo stesso scalatore abruzzese nel 2019.
Sella di Teglio (851). Non citata sul testo di riferimento, è costituita dalle prime pendici delle Alpi Retiche e dall’elevazione sulla quale sorge la torre “de li beli miri”. Vi sorge l’omonimo abitato. Il Giro vi è transitato in due tre occasioni. La prima volta, nel 1991, ci fu semplicemente un traguardo volante Intergiro in vetta (si saliva dal versante più facile, quello di Chiuro) durante la tappa Morbegno – Aprica, vinta da Franco Chioccioli, sprint finito nel palmarès del veneto Massimo Ghirotto . Nel 2012 si saliva dallo stesso ripido versante di quest’anno e Matteo Rabottini conquistò il GPM durante la Caldes – Passo dello Stelvio, vinta dal belga Thomas De Gendt. Infine nel 2015, dal versante di Tresenda, è stato Giacomo Berlato a transitare in testa nel centro di Teglio nei chilometri iniziali della Tirano – Lugano, terminata allo sprint con il successo di Sacha Modolo.
Valico di Santa Cristina (1427 metri). Quotato 1448 sulle cartine del Giro 2022, si trova nei pressi della congiunzione delle strade che salgono a Trivigno da Tresenda e dall’Aprica. Il Giro l’ha affrontato tre volte come GPM, sempre in abbinamento al Mortirolo e sempre in occasione di frazioni terminate nella vicina Aprica. Anche per questo motivo l’uomo primo al comando sul GPM è risultato poi il vincitore della tappa: Chioccioli nel 1991 (il primo anno si salì dal più facile versante di Edolo, tappa Morbegno – Aprica), Pantani nel 1994 (Merano – Aprica) e lo spagnolo Heras nel 1999 (Madonna di Campiglio – Aprica). Dal Santa Cristina si transitò anche nel 2010, prolungando successivamente l’ascesa fino a Trivigno, dove scollinò per primo il colombiano Leonardo Fabio Duque; la tappa, Brescia – Aprica, terminò con il successo dell’indimenticato Michele Scarponi.
Passo di Aprica (1113 metri). Ampia sella pianeggiante, lunga quasi 3 Km, che mette in comunicazione la Valtellina con la Valcamonica tramite la Valle di Corteno. È valicato dalla Strada Statale 39 “dell’Aprica” e vi sorge l’omonima stazione di sport invernali, costituita dai tre nuclei di Madonna, Mavigna e San Pietro. Quotata 1173 sulle cartine del Giro 2022, è stata affrontata alla corsa rosa 13 volte come GPM, una come traguardo volante Intergiro (nel 1992, tappa Palazzolo sull’Oglio – Sondrio, vinta da Marco Saligari che transitò in testa anche sul valico) e due come traguardo di tappa senza gran premio (nel 2006, quando Ivan Basso s’impose in rosa nella Trento – Aprica, e al termine della Brescia – Aprica del 2010, vinta da Scarponi). Il primo a transitare in testa sotto lo striscione GPM è stato Fausto Coppi nel corso della Locarno – Brescia del Giro del 1950, vinta da Luciano Maggini. In seguito hanno conquistato questo traguardo Vittorio Adorni nel 1962 (tappa Moena – Aprica), Bruno Vicino nel 1979 (Trento – Barzio, vinta da Amilcare Sgalbazzi), lo svizzero Stefan Joho nel 1988 (la mitica tappa Chiesa Valmalenco – Bormio con il Gavia affrontato con la neve, vinta dall’olandese Erik Breukink), il venezuelano Sierra nel 1990 (Moena – Aprica), Gotti nel 1996 (Cavalese – Aprica), Mariano Piccoli nel 2000 (Bormio – Brescia, vinta da Biagio Conte), Emanuele Sella nel 2008 (Rovetta – Tirano, vinta dallo stesso corridore), l’ucraino Yuriy Krivtsov nel 2010 (passaggio intermedio nella citata tappa Brescia – Aprica), lo spagnolo Pablo Lastras Garcia nel 2011 (Feltre – Tirano, vinta da Diego Ulissi), Matteo Rabottini nel 2012 (Caldes – Passo dello Stelvio, vinta da De Gendt), il canadese Ryder Hesjedal e lo spagnolo Mikel Landa nella Pinzolo – Aprica del 2015 che prevedeva due passaggi sul passo. L’ultima volta, nel 2017, l’Aprica fu relegata a un ruolo marginale, inserita subito dopo la partenza della poco impegnativa frazione di trasferimento Tirano – Canazei, vinta in fuga dal francese Pierre Rolland, che era transitato in testa anche sul GPM inserito a inizio tappa.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).
Mauro Facoltosi

I vigneti dello Sforzato e l’altimetria della sedicesima tappa (www.beverfood.com)
CIAK SI GIRO
La partenza dal Lago di Garda ci offre l’occasione per ricordare una grandissima esponente del cinema italiano recentemente scomparsa, Lina Wertmüller. La celebre regista romana con origini lucano-elvetiche, nel 2020 premiata con l’Oscar alla carriera, era celebre per aver diretto film dai titoli chilometrici, al punto che uno di essi è pure finito nel Guinness dei Primati: è la pellicola che in Italia è uscita come “Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici”, ma che secondo le intenzioni originarie si sarebbe dovuto chiamare “Un fatto di sangue nel comune di Siculiana fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici. Amore-Morte-Shimmy. Lugano belle. Tarantelle. Tarallucci e vino”. Tra queste pellicole dai titoli “fiume” ce n’è una per la quale la Wertmüller scelse il Garda per girarvi scene che nella finzione sono ambientate nella fittizia Isola di Marascosa, in Sardegna. È “Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico” del 1986, nella quale l’indimenticata Mariangela Melato interpreta Fulvia Block, ricca manager che viene sequestrata dal brigante sardo Beppe Catanìa (Michele Placido). Se le scene del sequestro furono effettivamente girate in Sardegna – il Catanìa vive presso la celebre Roccia dell’Orso di Palau – per la villa in Sardegna della Block si assiste a un vero e proprio “coup de théâtre”: quella che si vede nel film è la spettacolare Villa Cavazza Borghese, realizzata alla fine del XIX secolo in stile neogotico-veneziano sull’Isola di Garda, piccola “perla” del Benaco che solo nel 2002 ha dischiuso le sue porte ai turisti.

Villa Cavazza sull'Isola di Garda inquadrata nel film "Notte d'estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico" (www.davinotti.com)
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FOTOGALLERY
Salò
Lago d’Idro
Rocca d’Anfo
Lo scollinamento del Goletto di Cadino
Castello di Breno
Pieve di San Siro, Capo di Ponte
Passo del Mortirolo
Uno dei due castelli situati sulla rupe tra Grosio e Grosotto
Santuario della Madonna di Tirano
Teglio, Torre “de li beli miri”
Scollinamento del Valico di Santa Cristina
Il passo dell’Aprica visto dal tratto finale della discesa dal Santa Cristina

