08-11-2022

novembre 9, 2022 by Redazione  
Filed under Ordini d'arrivo

LE TROPHÉE PRINCIER

Il marocchino Achraf Ed Doghmy (nazionale marocchina) si è imposto nella corsa marocchina, Guelmim – Tan Tan, percorrendo 125.4 Km in 2h40′05″, alla media di 47.001 Km/h. Ha preceduto allo sprint il connazionale Oussama Khafi (regionale marocchina) e di 40″ il connazionale Lahcen Saber (nazionale marocchina). Nessun italiano in gara.

NIBALI STORY – CAPITOLO 18: NIBALI SIGNORE DEL TOUR

novembre 8, 2022 by Redazione  
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Le tappe pirenaiche non fanno altro che confermare il dominio dello Squalo dello Stretto”, che lascia le briciole agli avversari nelle prime due frazioni per poi lasciare per l’ultima volta il segno nell’arrivo in salita ad Hautacam. E nelle lunga crono del penultimo giorno, affaire per gli specialisti, nessuno può più impensierilo

22 luglio – 16a tappa: Carcassonne – Bagnères-de-Luchon

TAPPA A ROGERS, MA IL COLPO E’ DI PINOT

L’australiano si impone nella prima frazione pirenaica al termine di una fuga di 150 km, anticipando con un allungo nel finale un quartetto composto da Voeckler, Kiryenka, Gautier e Serpa. Tra i migliori, brilla Thibaut Pinot, che attacca a più riprese sul Port de Balès e infligge pesanti distacchi a Bardet e Van Garderen. Il francese sale al terzo posto in classifica generale, togliendosi anche la soddisfazione di distanziare di qualche metro, in vista dell’ultimo GPM, un Vincenzo Nibali comunque sempre padrone della corsa.
Posta in apertura di un trittico d’alta montagna che vivrà domani e dopo le sue giornate più ardue, e percorsa ad andatura quasi turistica per quasi metà dei 237 km in programma, dopo 80 km di lotta selvaggia per centrare la fuga, la prima frazione pirenaica ha sconquassato la classifica generale del Tour de France in proporzioni difficilmente preventivabili: tre dei primi sette della generale di stamane sono saltati fragorosamente, inclusi due dei corridori che più avevano convinto nella due giorni alpina. Si parla ovviamente non di Bauke Mollema, 7° al via ma tenuto a galla più dall’incostanza e sfortuna degli avversari che non da una gamba da podio, bensì di Romain Bardet e Tejay Van Garderen, inchiodatisi nella seconda metà del Port de Balès, e costretti a scendere – rispettivamente – dal 3° al 5° e dal 5° al 6° posto.
Il merito del piccolo terremoto è da assegnare in parte alla Movistar di Alejandro Valverde, autrice dell’accelerazione che, all’imbocco dell’ultimo colle, ha scosso il gruppo dal torpore in cui era caduto nelle precedenti tre ore, e soprattutto di Thibaut Pinot, passato all’azione in prima persona a 4 km dal Gran Premio della Montagna. Un attacco facilmente pronosticabile, alla luce delle ben note difficoltà in discesa del 24enne di Mélisey, ma forse anticipato dalla visione del palese affanno di Bardet, agganciato con i denti al drappello maglia gialla ormai da qualche chilometro. Van Garderen e Mollema si erano staccati poco prima, al pari di corridori poco dentro o poco fuori dalla top 10, come Rolland e Schleck.
Alla ruota di Pinot si sono portati soltanto Nibali, Valverde e Péraud, per nulla intenzionato ad immolare la sua prima (e probabilmente ultima) chance di podio al Tour de France sull’altare delle ambizioni del più giovane compagno. Il quartetto non ha trovato l’accordo, ma il rientro di uno stupefacente Jeannesson (insieme a Gadret) ha ridato nuova linfa all’andatura, mantenendola su livelli accettabili fino al cartello dei -1 alla vetta.
È stato allora che Pinot ha ripreso l’iniziativa, lanciandosi in quasi 1000 metri di apnea che hanno distrutto il plotoncino dei migliori: Valverde si è piantato (problemi al cambio, questa volta, non dovrebbero essercene stati), Péraud ha retto solo per qualche centinaio di metri, e perfino la maglia gialla, sia pur ormai ad un pugno di metri dallo scollinamento, è stata costretta a cedere qualche metro al francese. Nulla che possa scompaginare il finale di Tour del siciliano, ma abbastanza da creare un nuovo motivo di interesse per le due tappe di montagna residue, nelle quali la superiorità in salita di Nibali, indiscutibile sulle Alpi, parrebbe essere meno scontata.
L’assolo di Pinot ha avuto vita brevissima, malgrado un’auto del seguito della corsa abbia trovato il modo di infilarsi tra il francese e l’italiano all’inizio della discesa, creando al secondo un piccolo disturbo e un enorme pericolo. Nibali, Péraud, Valverde e Gadret si sono infatti riportati subito sul transalpino, atteso nel frattempo da Jérémy Roy, membro della fuga iniziale.
In altre circostanze, avremmo impiegato l’espressione “fuga della prima ora”, che nel caso odierno sarebbe però scorretta. Il drappello buono (Kwiatkowski, Bakelants, Gautier, Rogers, Gallopin, Van Avermaet, Izagirre, Serpa, Voeckler, Keukeleire, Slagter, Albasini, Roy, Montaguti, Réza, Dumoulin, Delaplace, Kiryenka, Vachon, Eisel e Kluge) si è infatti sganciato dopo quasi 80 km di guerra furibonda per azzeccare la fuga; fattore che non è da escludere abbia contribuito alla grande selezione sul Balès.
Quale ideale compensazione per lo sforzo sostenuto in partenza, i ventuno attaccanti hanno ricevuto quasi subito un via libera definitivo dal plotone, che ha concesso loro un vantaggio arrivato a sfondare, alle pendici dell’ultima ascesa, i dodici minuti. Il gruppetto si è naturalmente sgretolato sulla salita finale, e al comando, in cima, si sono trovati i soli Rogers, Serpa e Voeckler, già due volte vincitore a Bagnères-de-Luchon. Gautier e Kiryenka, scollinati ad una ventina di secondi, hanno fatto in tempo a recuperare, ma solo per assistere da vicino, a 3 km dall’arrivo, alla stoccata vincente: partito per inseguire proprio il neo-rientrato francese, l’australiano lo ha levato di forza dalla propria ruota, guadagnando quella manciata di metri che ad un passista come lui non bisognerebbe mai concedere. La Europcar non è riuscita a mettere a frutto la superiorità numerica, e Voeckler si è dovuto accontentare di vincere la volata dei battuti, quando già Rogers aveva potuto celebrare con un inchino la sua prima vittoria in carriera alla Grande Boucle.
Il plotoncino maglia gialla è giunto al traguardo soltanto 8’32’’ più tardi, al termine di una discesa condotta ad andatura non forsennata, ma sufficiente a non dare occasione di recupero agli inseguitori, ad eccezione del sempre più sorprendente Leopold König. Ten Dam è così stato il più vicino fra gli altri big, pagando 1’12’’; Zubeldia ha reso 1’28’’, Bardet 1’50’’, Rolland 2’21’’, Van den Broeck, Schleck e Mollema 3’00’’, Van Garderen addirittura 3’36’’.
La nuova generale vede pertanto, ai primi quattro posti, i quattro uomini forti di giornata, con Nibali a precedere Valverde di 4’37’’, Pinot di 5’06’’ e Péraud di 6’08’’. Bardet, attardato ora di 6’40’’, chiude probabilmente il lotto dei pretendenti al podio, giacché i 9’25’’ di Van Garderen sembrano allontanare ogni ipotesi di rimonta a cronometro. Più probabile, semmai, sembra un sorpasso ai danni dell’americano da parte di König, che lo segue ad appena 7’’, ed è ormai stabilmente fra le prime cinque forze in salita. Ten Dam, 8° a 11’12’’, diventa il primo Belkin in classifica, scavalcando Mollema, ora preceduto anche da un Kwiatkowski che, speso il bonus fuga, scivolerà probabilmente fuori dalla top 10 nei prossimi due giorni.
Per domani, il menù offre tre GPM di 1a categoria e uno – quello d’arrivo – Hors Catégorie, sia pur compressi in una di quelle tappe sprint (124,5 km) che imperversano di recente in nome dello spettacolo, al modico prezzo di penalizzare i fondisti per i quali corse come il Tour de France sono state originariamente pensate (in questo senso, crediamo che il chilometraggio extra-large di oggi non sia stato irrilevante ai fini dei distacchi maturati). I quattro corridori affastellati in un minuto e mezzo, potrebbero comunque garantire battaglia, e chissà che quel breve attimo di appannamento del capoclassifica, pur assorbito in modo indolore, non induca qualcuno a lasciar volare la fantasia anche oltre il secondo e terzo gradino del podio.

Matteo Novarini

23 luglio – 17a tappa: Saint-Gaudens – Saint-Lary-Soulan (Pla d’Adet)

TAPPONE A POIS: MAJKA COME (E CON) UNA MOTO SUL PLA D’ADET

Secondo successo di tappa al Tour per il polacco, che per lanciarsi all’inseguimento di Visconti, sulla salita finale, approfitta del traino di una moto. Secondo posto per il siciliano della Movistar, davanti ad un Nibali che attacca e allunga ancora in classifica generale. Péraud, unico a restare con la maglia gialla, si porta a 8’’ dal 3° posto di Pinot e 42’’ dal 2° di Valverde.

Sul Pla d’Adet come a Risoul: il secondo atto pirenaico del Tour de France ha ricalcato fedelmente quello alpino, sia nella lotta per la vittoria di tappa, sia in quella per la classifica generale. Come sabato, ad alzare le braccia, tagliando in solitaria il traguardo dopo una giornata all’attacco, è stato Rafal Majka, il polacco che alla vigilia del Tour si lamentava pubblicamente della convocazione in extremis come rimpiazzo di Kreuziger, e che sulle strade francesi ha invece dato un senso diverso alla sua stagione, e forse non solo. Alle sue spalle, preceduti anche da un Visconti mai così a suo agio su salite della caratura di Portillon, Peyresourde, Val Louron-Azet e Pla d’Adet, Vincenzo Nibali e Jean-Christophe Péraud, i due trionfatori di giornata per quel che concerne la generale.
La maglia gialla, dopo aver attraversato ieri qualche secondo di difficoltà in cima al Port de Balès, ha riaffermato la propria superiorità attaccando a metà dell’ascesa finale, dopo aver lasciato sfogare la pattuglia francese; Péraud, a lungo trattato come “l’altro” padrone di casa, alle spalle dei due più giovani e frizzanti Bardet e Pinot, rischia invece di aver messo a segno un colpo decisivo nella lotta per i gradini più bassi del podio, aggrappandosi ancora – come a Risoul, per l’appunto – alla ruota del capoclassifica nei chilometri finali. Oltre i 50’’ il passivo dei due sbarbati connazionali, staccati nel finale anche da un Valverde che, a 5 km dall’arrivo, pareva destinato al naufragio.
Il verdetto di giornata, così favorevole alla maglia gialla, è maturato in realtà in capo ad una tappa tutt’altro che riposante per Nibali. Un avvio tirato, con mezzo gruppo a caccia della fuga, era da mettere in preventivo, ma di certo pochi si sarebbero aspettati una media di 50.2 km/h nella prima ora, condotta in avanscoperta da Gautier, Slagter, Elmiger, Arashiro, Edet, Kadri, Voigt e Paulinho (evasi al km 0), inseguiti a distanza sempre inferiore al minuto dalla Katusha, decisa a lanciare Joaquim Rodriguez.
Purito si è fatto trovare pronto sulle prime rampe del Portillon, inserendosi nella girandola di scatti avviata da José Serpa Perez. I chilometri iniziali del primo colle hanno rappresentato probabilmente il momento più teso per lo Squalo: la Movistar ha spedito all’attacco tre uomini (Visconti, Herrada e Izagirre), la BMC due (Moinard e Velits), la Ag2r uno (Kadri), uomini di medio-alta classifica (Mollema, Van den Broeck, Schleck) si sono lanciati, la Astana – dopo aver inserito a sorpresa Fuglsang in testa – è rimasta con i soli Scarponi e Kangert al fianco del leader, e l’aria che sembrava tirare in gruppo era quella di un moto rivoluzionario imminente.
All’opposto, una volta passato il temporale di scatti, la corsa si è improvvisamente assopita, con un gruppo di sei al comando (De Marchi, Lopez Garcia, Rodriguez, Mollema, Durasek e Roche) inseguito da uno di quindici (Rolland, Van den Broeck, Schleck, Gautier, Velits, Dumoulin, Fuglsang, Izagirre, Visconti, Moinard, Arashiro, Herrada, Kiryenka, Kadri e Taaramae), e il plotone, placidamente guidato da Scarponi, a lasciar fare.
Il ricongiungimento fra i due drappelli in avanscoperta, ai piedi del Peyresourde, è stato il prodromo ad una fase di stallo tra gli attaccanti di cui ha provato ad approfittare Kiryenka, capace di andarsene in solitudine e di guadagnare fino a due minuti. Roche e Herrada hanno spezzato l’impasse, lanciandosi in caccia del bielorusso, ma venendo riassorbiti nella successiva discesa, e soltanto sull’Azet il ritmo è tornato su livelli decorosi, fino a portare – oltre alla perdita di contatto dei meno scalatori – alla neutralizzazione dell’attacco di Kiryenka in vista del GPM.
Anche per il gruppo il penultimo colle ha coinciso con l’apertura delle ostilità, benché ancora di studio: la FDJ ha imposto una timida accelerazione sulle prime rampe, ma è stata la Ag2r, lanciando il forcing di Gastauer nell’ultimo chilometro e mezzo di scalata, a far esplodere finalmente il plotone. Valverde (assistito da Gadret), Van Garderen, Nieve, Ten Dam e Nibali si sono prevedibilmente accodati al trenino francese completato da Bardet e Péraud, mentre è stata una sorpresa trovare al fianco della maglia gialla anche un eccellente Tanel Kangert.
Proprio il più giovane degli Ag2r si è lanciato all’attacco nella tecnica discesa dell’Azet, tentando ancora una volta di mettere a nudo le difficoltà di un Thibaut Pinot che, pur essendo destinato a non raccogliere l’eredità di Savoldelli, ha comunque dimostrato di aver raggiunto standard più che accettabili sul terreno a lui tanto odioso. Il fatto che nessuno si sia assunto il rischio di seguire Bardet ha posto la pietra tombale sulle prospettive dell’azione, complice il rientro sul drappello maglia gialla di Jeannesson, subito messosi a disposizione del compagno in maglia bianca.
Rolland, conscio di godere di una forma ben distante dai fasti del Giro, ha provato a giocare d’anticipo ai piedi del Pla d’Adet, allungando in un tratto pianeggiante. Roche, Moinard e Visconti si sono accodati, ed è stato proprio il siciliano ad attaccare a sua volta sulle prime rampe della salita conclusiva, sbarazzandosi nel giro di un chilometro e mezzo della compagnia. Dal gruppetto inseguitore, però, dopo alcune scaramucce che hanno favorito il tentativo dei battistrada, è partita la rimonta di Rafal Majka, lanciatosi anche grazie all’ausilio dell’antenna di una moto-riprese, gesto tanto irrilevante ai fini del risultato quanto scorretto e pericoloso.
L’inseguimento del polacco si è concluso a 4 km circa dal traguardo, e dopo un altro chilometro e mezzo, al termine dell’unico tratto di respiro offerto dalla scalata, un’ultima accelerazione ha tolto definitivamente di mezzo Visconti, costretto a rimandare l’appuntamento con la prima vittoria in carriera al Tour de France.
Più indietro, Jeannesson è riuscito a limare qualche secondo al mezzo minuto che Bardet aveva accumulato in discesa, prima che Péraud rivelasse le reali gerarchie in casa Ag2r con uno scatto. Il solo Nibali è saltato con prontezza alla ruota dello stagionato transalpino, mentre Pinot e Van Garderen hanno dovuto attendere un rallentamento dei due per accodarsi; di Valverde, invece, si sono perse subito le tracce, lasciando intravedere una Caporetto che l’ex Embatido ha invece saputo evitare grazie all’esperienza e ad uno strepitoso Herrada, raccolto lungo l’ascesa.
Rendendosi conto di essere ancora una volta testa e spalle al di sopra degli avversari, la maglia gialla ha deciso di prendere in mano la situazione a 5 km dal traguardo, con un primo scatto d’assaggio e un secondo definitivo. Péraud, sia pur con non pochi patemi, è riuscito a guadagnare la scia di Nibali, mentre Bardet, Pinot e Van Garderen sono stati costretti ad accontentarsi di proseguire alla precedente velocità di crociera. A differenza di sabato, Péraud ha offerto al capoclassifica quel tanto di collaborazione che la fatica gli consentiva, ottenendo in cambio la rinuncia del messinese a produrre ulteriori scatti.
La coppia, andata nel frattempo a saltare tutti i fuggitivi meno due, è così rimasta unita fin sul traguardo, tagliato 46’’ dopo Majka e 17’’ dopo Visconti. Il solito, grande De Marchi – unico degli ex battistrada ad offrire collaborazione a Nibali, di cui dovrebbe diventare scudiero il prossimo anno – ha chiuso 5°, a 49’’, precedendo Rolland e la coppia Mollema – Schleck, entrambi abili nell’approfittare della giornata per una piccola risalita in graduatoria.
Pinot e Bardet (insieme a Van Garderen), dopo aver a lungo accarezzato il sogno di mandare gambe all’aria Valverde e di ridurre la sfida per il podio ad una questione bleu-blanc-rouge, hanno invece visto lo spagnolo – apparso ad un tratto sul punto di perdere anche le ruote di Nieve e Ten Dam – ricomparire alla loro ruota nel finale e trovare anche la forza di disputare la solita volatina, infliggendo ai due cinque secondi di discreta importanza psicologica.
A lungo vicino a subire il virtuale sorpasso di Pinot, il murciano ha così alla fine rimpinguato il margine nei confronti del terzo in classifica (ora 34’’), pur vedendo Nibali allontanarsi di altri 49’’ (5’26’’ ora la voragine). Su entrambi incombe però l’ombra di Péraud, che tallona il giovane connazionale a distanza di 8’’, e – con la cronometro di Périgueux a disposizione – minaccia di fagocitare tutti e due. Bardet, 5° a 7’34’’, vede invece congelata la propria posizione, anche se la ripresa di Van Garderen (6° a 10’19’’) lascia aperto uno spiraglio ad uno scambio di piazze sabato. Mollema torna a condurre nell’appassionante (per loro) duello di casa Belkin con Ten Dam (11’59’’ contro 12’16’’), ed entrambi sopravanzano un deludente König (12’40’’). La lotta per la top 10 premia per il momento Rolland (13’15’’), anche se la regolarità di Zubeldia (14’26’’) sembra destinata a spuntarla.
Con l’altro pseudo-tappone da Pau a Hautacam, il Tour chiuderà domani il suo capitolo montano. Il Tourmalet offrirebbe un eccellente trampolino di lancio per attacchi disperati dell’ultima ora, ma la riserva in cui sembrano essere finiti i tre pretendenti al podio, e la chiara inattaccabilità della maglia gialla, rischiano di produrre una giornata ancora più bloccata di quella di oggi.

Matteo Novarini

24 luglio – 18a tappa: Pau – Hautacam

NIBALI, ULTIMO SIGILLO

Lo Squalo attacca ai piedi della salita di Hautacam e si invola verso la quarta e più bella vittoria di tappa del suo Tour. A 1’10’’ Pinot, da stasera anche secondo in classifica generale. Terzo posto per Majka, che conquista definitivamente la maglia a pois. Péraud, 4° davanti a Van Garderen, scalza anche dal gradino più basso del podio Valverde, 10° a 1’59’’. Archiviate le montagne, a Nibali restano due probabili sprint e una cronometro prima del trionfo.

È difficile non lasciarsi andare alla retorica di fronte ad un’esibizione come quella offerta da Vincenzo Nibali sulla salita di Hautacam, quarto e più spettacolare sigillo impresso dal siciliano su un Tour de France guidato nella prima metà e dominato nella seconda. Più che una normale offensiva, quella portata dallo Squalo sull’ultima grande montagna del Tour è stata una prova di forza, un’esibizione di una superiorità ormai già acclarata, ma ribadita una volta di più per onorare una maglia gialla che non si potrebbe immaginare più solida.
Certo, l’attacco di oggi, il minuto e più inflitto agli avversari, il quarto successo parziale spalmato su 18 giorni di corsa, e gli oltre sette primi di margine in classifica su Thibaut Pinot, issatosi al comando della graduatoria degli altri, non basteranno a fugare i legittimi quesiti su cosa sarebbe successo se in gara fossero rimasti Froome e Contador, ma non c’è dubbio che Nibali, non padroneggiando ancora la difficile arte di sconfiggere gli assenti, abbia fatto tutto il possibile e qualcosa di più per rappresentare un degno vincitore della Grande Boucle.
A differenza dei primi tre successi dello Squalo, cercati soltanto una volta presentatasi l’opportunità nel finale, il quarto è stato invece costruito sin dalle battute iniziali, in cui la Astana si è incaricata di tenere a bada la fuga lanciata da Nieve, Herrada, Izagirre, Trofimov, De Marchi, Marcato, Boom, Bakelants, Kadri, Ladagnous, Oss, Coquard, Réza, Voeckler, Simon, Chavanel, Wyss, Huzarski, Machado e Guillou. Il vantaggio dei venti di testa è stato mantenuto sempre entro i quattro minuti fino alle pendici del Tourmalet, quando il ritmo non forsennato di Westra e Fuglsang ha consentito a Nieve e Kadri di incrementare leggermente. In cima, la coppia al comando poteva vantare un minuto e mezzo su un terzetto composto da Trofimov, Huzarski e il solito De Marchi, e oltre quattro e mezzo sul gruppo maglia gialla, ancora forte di una cinquantina di unità.
Se la salita non aveva provocato sussulti nel plotone, ben diversa è stata la discesa, che ha visto lanciarsi addirittura Valverde, atteso da Izagirre ed Herrada. Nessun altro uomo di classifica, però, ha pensato di approfittare dell’assist del murciano, e il gruppo, rimasto quasi del tutto compatto, non ha così avuto difficoltà a neutralizzare l’offensiva in fondo alla discesa. Se fossimo soltanto un po’ più cinici, potremmo ritenerlo il giusto contrappasso per un corridore il cui proverbiale attendismo ha spesso guastato i piani di chi provava a sovvertire le gerarchie della corsa.
I 17 km di fondovalle tra Luz-Saint-Sauveur e l’inizio dell’ultima scalata hanno prevedibilmente tagliato le gambe non soltanto all’azione della Movistar, ma anche alla fuga di Nieve e Kadri, che hanno visto scemare il loro vantaggio ad appena 1’30’’. Lo spagnolo ha tentato una resistenza à la Majka, sbarazzandosi subito di Kadri e mantenendo per un paio di chilometri intatto il proprio vantaggio; ma la rapidità con cui si è accesa la bagarre in gruppo, per merito del primo attacco al Tour di nonno Horner, ha spento definitivamente le speranze del Team Sky di salvare almeno in parte il bilancio di una Grande Boucle catastrofica.
Lo scatto del 42enne statunitense è cominciato a 11 km dal traguardo, e soltanto Nibali ha avuto il coraggio di saltare sulla sua ruota. Il revival della Vuelta 2013 è durato però appena qualche centinaio di metri, e già prima dello striscione dei -10 all’arrivo la maglia gialla ha attaccato a sua volta, mettendosi in caccia solitaria del battistrada.
La rincorsa è durata un paio di chilometri, venendo coronata dal ricongiungimento a 8 km dal termine. Un immediato rilancio d’andatura del capoclassifica ha lasciato sul posto il navarro (con la minuscola), mentre Majka, già una quarantina di secondi più indietro, evadeva dal gruppetto di Valverde, Pinot e compagnia, con il duplice scopo di tentare un clamoroso tris di tappe e di salvare una maglia a pois messa a rischio dai 50 punti che Nibali si avviava a conquistare.
Il polacco si è mantenuto a lungo ad una distanza tra i 40 e i 50 secondi dal leader, senza mai dare, tuttavia, la sensazione di potersi avvicinare oltre (salvo in un breve attimo di follia del GPS, che segnalava una riduzione quasi istantanea del divario da 49 a 31 secondi). A 4 km circa dalla vetta, anzi, l’azione di Majka si è spenta, dando l’occasione di riavvicinarsi a Pinot, Péraud e Van Garderen, che approfittavano intanto dell’ennesima débacle di Valverde.
Un po’ come ieri, lo spagnolo è sembrato ad un tratto sul punto di finire alla deriva, salvo poi riprendere vigore e rimontare su alcuni degli uomini che aveva visto scappare (Ten Dam, Mollema, Bardet, König e Zubeldia). A differenza di ventiquattro ore fa, però, la risalita del murciano non è andata oltre, e il distacco nei confronti del quartetto formatosi alle spalle di Nibali è lievitato fino a quasi 50’’.
Forte di un vantaggio di 1’20’’ all’ultimo chilometro, la maglia gialla si è potuta concedere di rallentare negli ultimi metri e assaporare il trionfo, dopo avere dato fondo, forse come mai prima (pavé a parte), a tutte le risorse che possedeva. Pinot ha tagliato il traguardo dopo 1’10’’, relegando Majka (+1’12’’) ad una terza piazza comunque sufficiente a difendere 13 dei 31 punti di vantaggio che poteva amministrare su Nibali. Il francese ha scalzato Valverde dalla piazza d’onore in classifica generale, restando però tallonato da Péraud – 4° a 1’15’’ -, che dovrebbe recuperargli a cronometro ben più dei 13’’ che li separano ora. Stesso ritardo all’arrivo per Van Garderen, la cui crisi sul Balès rischia di fare la differenza tra un secondo e un sesto posto.
Più indietro, Valverde ha dovuto fare i conti con compagni di viaggio che hanno corso secondo il mantra del murciano, evitando cioè con estrema cura di offrire qualsiasi parvenza di collaborazione. Il passivo dello spagnolo da Pinot si è assestato alla fine a 49’’: troppi per conservare un posto sul podio provvisorio, ma abbastanza da tenere vive le speranze di un controsorpasso a cronometro sul rivale, distante appena 15’’.
La nuova generale vede Nibali amministrare vantaggi ormai degni del Navarro (con la maiuscola): 7’10’’ su Pinot, 7’23’’ su Péraud, 7’25’’ su Valverde, 9’27’’ su Bardet, 11’34’’ su Van Garderen, 13’56’’ su Mollema, 14’15’’ su Ten Dam, 14’37’’ su König, 16’25’’ su uno Zubeldia che, come previsto, ha approfittato dell’affaticamento post-fuga di Rolland per intrufolarsi in top 10, senza che ci si sia praticamente accorti della sua presenza in gruppo per tre settimane.
Il principale motivo di interesse di quest’ultimo scampolo di Tour, a meno di imprevisti, sarà la sfida al podio tra i corridori dal secondo al quarto della generale, nella quale potrebbe inserirsi, nella remota ma non impensabile ipotesi di una gigantesca contro-prestazione contemporanea di Valverde e Pinot, Tejay Van Garderen, forse il più cronoman fra i top 10. Alla maglia gialla basterà invece mantenersi lontana dai guai per trasformare gli ultimi 400 chilometri di Tour in una lunghissima passerella.

Matteo Novarini

26 luglio – 20a tappa: Bergerac – Périgueux (cronometro individuale)

MARTIN E NIBALI… SEMPRE LORO

Tappa all’uomo nettamente più forte a cronometro al mondo e Tour de France all’uomo nettamente più forte nell’arco di tutte le tre settimane di questa 101a edizione della Grande Boucle. Come era prevedibile, la crono ha avuto il ruolo di sistemare definitivamente la top ten, con alcuni cambiamenti in classifica tutto sommato prevedibili. eccetto la débâcle di Valverde, in grave ritardo nei confronti degli avversari. Buona prova di Nibali che aumenta il distacco nei confronti degli altri uomini di classifica

Tour de France ultimo atto. La classifica ha ridotto questa frazione contro il tempo ad una lotta per le posizioni di rincalzo, ma la tappa di oggi si presentava sulla carta tutt’altro che semplice. Una cronometro di ben 54 chilometri per specialisti. Il chilometraggio era ben diverso da quello che siamo abituati a vedere nei GT degli ultimi anni, più simile a quelli proposti nei Tour de France degli anni 90 e dei primi anni 2000. Il tracciato era ondulato e presentava diverse salitelle e discese facili ed adatte ancor più agli specialisti. Nel 1994 si disputò una tappa a cronometro con le stesse località di arrivo e partenza invertite rispetto ad oggi, ma su un tracciato parzialmente diverso e più lungo (64 Km), crono vinta da Miguel Indurain che inflisse distacchi pesantissimi a tutti gli avversari, raggiungendo anche un giovane Lance Armstrong in maglia iridata.
Si trattava quindi di una tappa durissima, da distacchi potenzialmente abissali se non fosse per la collocazione al penultimo giorno che favoriva i corridori dotati di un buon recupero. Si trattava, inoltre, dell’unica tappa a cronometro proposta dal Tour, novità assoluta per un GT che negli ultimi vent’anni ha sempre proposto percorsi decisamente favorevoli agli specialisti delle corse contro il tempo.
Tra i favoriti il maggior indiziato era senz’altro Tony Martin, campione del mondo contro il tempo e grande specialista. I dubbi su di lui, poi rivelatisi completamente infondati, riguardavano soprattutto le energie spese nelle tappe su Vosgi, nelle quale è stato grande sia nell’impresa personale a Mulhouse, sia nell’aiuto al capitano il giorno successivo.
Gli altri favoriti potevano essere Kwiatkowsky, che ha già dimostrato buone doti in questo tipo di corse, e Van Gardeeren, che doveva tentare di dare tutto per entrare nella top five. Anche Rogers, apparso ultimamente in gran forma con una vittoria di tappa e ottimo elemento per le prove contro il tempo, poteva giocarse le sue carte, ma ha preferito disputare una crono tranquilla ed ha chiuso in forte ritardo.
Gli uomini di classifica, dal canto loro, potevano sperare legittimamente di limitare i danni, proprio in ragione della collocazione al penultimo giorno di questa difficile frazione aquitana.
Un grosso interrogativo della vigilia riguardava la prestazione del capoclassifica. Da un lato, infatti, Nibali, pur non essendo uno specialista delle corse contro il tempo, si è sempre difeso dignitosamente in questa specialità con alcuni acuti in carriera. Per questo motivo, con la condizione attuale e considerate le caratteristiche degli avversari, si poteva pensare ad un Nibali con qualche chances di vittoria. Ma era anche ipotizzabile una cronometro tranquilla da parte di una maglia gialla solidamente in testa alla generale e, quindi, senza alcun interesse a prendere dei rischi inutili.
La corsa vera iniziava con la partenza di Tony Martin, che non sembrava minimanente aver pagato gli sforzi di questo Tour e volava imprendibile a segnare il miglior tempo. Kwiatkowski, invece, sembrava aver perso la condizione nel corso di questo Tour e anche la frazione di oggi non gli sorrideva, poichè il distacco finale da Martin superava i 3 minuti.
La lotta per il podio iniziava con la partenza di Alejandro Valverde, bramoso di riconquistare il podio perduto e, possibilmente, anche la seconda posizione. Pinot, invece, che era il meno performante dei tre contendenti nelle prove a cronometro, partiva per cercare di difendere la seconda posizione, impresa che non appariva semplicissima a causa della minima entità dei distacchi rispetto ai rivali.
Al primo intermedio, si cominciavano a capire molte cose: Valverde non era in giornata, oltre un minuto da Péraud, mentre Pinot cedeva la seconda posizione al connazionale, pur riuscendo a offrire una buona prima parte di crono, considerate le sue caratteristiche. Nibali, invece, al primo intertempo era in nona posizione a soli 6 secondi da Péraud.
Al secondo intertempo si confermava la tendenza nella top ten: Konig toglieva la settima posizione a Mollema, che scivolava in nona, mentre Ten Dam manteneva l’ottava. Van Garderen, dal canto suo, si avvicinava pericolosamente a Bardet. Poco dopo il passaggio di Van Garderen al secondo intertempo, avveniva un colpo di scena: Péraud forava e il cambio di bicicletta era tutt’altro che veloce. Valverde pagava oltre tre minuti e mezzo a Martin al secondo intertempo, mentre Konig chiudeva la sua ottima prova in quarta posizione, scalzando il campione nazionale francese a cronometro Chavanel.
Péraud, che sembrava essersi ripreso dopo la caduta, cedeva 1 minuto e 50″ a Martin e guadagnava poco meno di due minuti su Valverde. Pinot, invece, aveva una piacevole sopresa poiché cedeva solo 25 secondi a Péraud, che aveva perso secondi preziosi dopo la foratura. Migliorava il ritmo di Nibali che cedeva solo 1 minuto e 21″ a Martin al secondo intertempo ed era nettamente il migliore degli uomini di classifica. Pesante il ritardo di Mollema che cedeva 9 minuti e mezzo a Martin. Bardet, invece, perdeva per soli 2 secondi la quinta posizione, dopo aver patito anch’egli una foratura nel finale, inconveniente che si rivelava decisivo per la top five di questo Tour.
Valverde, in giornata negativa, chiudeva con un ritardo di 4 minuti e mezzo dal vincitore di tappa Tony Martin, mentre Péraud concludeva una buona prova a soli 2 minuti e 27″ dal leader.
Pinot perdeva la seconda posizione, ma può essere più che soddisfatto per aver raggiunto il podio e per aver disputato una buona cronometro.
Vincenzo Nibali, che aveva costantemente alzato il ritmo nel corso della tappa, chiudeva in quarta posizione a meno di due minuti da Martin.
Come era prevedibile la crono fissava solo le posizioni di rincalzo mentre Nibali aumentava il vantaggio sui diretti insegutori.
Valverde cedeva e si era capito subito che era fuori dalla lotta per il podio, Van Garderen penava un po’ per agguantare la top five, ma riusciva nell’intento grazie ad una sfortunata foratura per Bardet nel finale. Anche per il secondo posto la tendenza in favore di Péraud appariva chiara sin dall’inizio, anche se Pinot cercava comunque di stringere i denti, disputando una discreta cronometro lui che non è uno specialista sui tracciati molto lunghi.
Nibali si impegnava, senza però prendere rischi, e legittimava ancor una volta la sua maglia gialla che domani potrà portare a Parigi nella passerella finale.
È stato un Tour senza storia, la superiorità di Nibali è apparsa sin dalla seconda tappa, gli infortuni e i ritiri di Froome Contador hanno facilitato le cose al siciliano ma, vista la sua grande condizione, si può avere la certezza che non sarebbe stato facile strappare il primato allo “Squalo”.

Benedetto Ciccarone

Vincenzo Nibali alza le braccia al cielo sullarrivo di Hautacam (foto Bettini)

Vincenzo Nibali alza le braccia al cielo sull'arrivo di Hautacam (foto Bettini)

NIBALI STORY – CAPITOLO 17: A CASA ANCHE CONTADOR, TRA VOSGI E ALPI INIZIA LA LUNGA CAVALCATA GIALLA DELLO SQUALO

novembre 7, 2022 by Redazione  
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Dopo Froome anche Alberto Contador, un altro dei grandi favoriti per la vittoria finale, è costretto a lasciare il Tour. Una caduta mette fuori gioco lo spagnolo nella prima tappa di montagna e così Nibali non si trova praticamente più avversari al suo livello: alla Planche de les Belles Filles, dopo il tappone dei Vosgi, ha già più di due minuti di vantaggio sul secondo classificato e il suo potere è destinato ad incrementarsi nelle due frazioni alpini di Chamrousse e Risoul.

14 luglio – 10a tappa: Mulhouse – La Planche des Belles Filles

FUORI DUE!!! E IL TOUR S’AGGRAPPA ALLA PINNA DELLO SQUALO

Nel giorno della festa nazionale francese succede di tutto. Contador è costretto al ritiro da una brutta caduta, Kwiatkowski attacca la lontano aiutato da uno straordinario Martin, “Purito” conquista la maglia a pois e Nibali, sull’ultima salita, saluta la compagnia degli avversari e va a prendersi in scioltezza tappa e maglia gialla ai danni di Galoppin, in forte ritardo.

Tappa meravigliosa che conclude una altrettanto meravigliosa prima settimana di Tour de France. In una frazione con sette gran premi della montagna, senza un metro di pianura ed ancora una volta corsa sotto la pioggia, Contador cade in discesa e Nibali è prontissimo a riorganizzare i piani della squadra, richiamando in gruppo Westra, che si era inserito nella fuga, e mettendo la squadra davanti per evitare che Kwiatkowski potesse prendere il largo. Sulle ultime due ascese, le più dure, l’Astana prende decisamente in mano la situazione con Michele Scarponi, che fa un grosso lavoro anche dopo una spettacolare caduta in discesa.
La frazione di oggi era di difficile lettura in quanto la situazione creatasi ieri ed il tracciato previsto per oggi lasciavano aperti diversi interrogativi, soprattutto sul ruolo delle squadre in caso di possibili fughe da lontano di uomini di classifica. La risposta che ha dato la corsa è stata anche condizionata dalla caduta di Alberto Contador, che poteva essere oggi protagonista. Il tracciato, infatti, era di quelli che si addicono alle caratteristiche dello spagnolo, con diverse salite di prima categoria sin dall’inizio e le due salite finali brevi ma con pendenze terribili.
La corsa si accende subito e dopo soli tre chilometri dal via evadono Lieuwe Westra (Astana), Giovanni Visconti (Movistar), Arnaud Gérard (Bretagne – Séché), Markel Irizar (Trek), Thomas Voeckler (Europcar), Amaël Moinard (BMC) e Christophe Riblon (Ag2r La Mondiale), mentre successivamente si lanciano in contrattacco Joaquim Rodríguez (Katusha), Jan Bárta (Team NetApp – Endura) e Peter Sagan (Cannondale). Anche Jérôme Pineau (IAM) cerca di agganciare i tre contrattaccanti, ma il fallimento del suo tentativo lo costringe a desistere. Nel corso della prima salita i due gruppi si uniscono ed al comando si forma quindi un drappello di dieci atleti. La IAM, che non è riuscita ad entrare in fuga con Pineau, cerca di alzare il ritmo in seno al gruppo. Già nella prima discesa si assiste al primo attacco importante, quando allungano Reto Hollenstein, Marcel Wyss (IAM Cycling), Rein Taaramae (Cofidis), Michal Kwiatkowski (maglia bianca) e Tony Martin (Omega Pharma – QuickStep), che già ieri aveva lasciato tutti di stucco con una vittoria al termine di una lunghissima fuga, in una tappa non adatta alle sue caratteristiche di passista. Sulle rampe verso il GPM del Petit Ballon i contrattaccanti si riportano sulla testa della corsa, grazie alla potente azione proprio di Tony Martin in aiuto a Kwiatkowski. Il gruppo non sembra preoccuparsi eccessivamente di questo attacco, partito davvero molto lontano dall’arrivo, e la logica del controllo prevale su quella dell’inseguimento. Lungo la discesa bagnata e difficile finisce per terra Alberto Contador che è costretto a fermarsi per farsi medicare. In gruppo ci sono minuti di indecisione sul da frasi: aspettare il rientro di Contador o tirare dritto, anche per evitare che la fuga possa assumere proporzioni preoccupanti. Il dilatarsi del distacco di Contador convince il gruppo a continuare nella azione di controllo della fuga. Sulla terza salita di giornata lo spagnolo è, però, costretto ad alzare bandiera bianca ed a salire in ammiraglia a causa dei postumi della caduta (successivamente sarà rilevata la frattura della tibia). Il Tour dopo Froome perde così un altro protagonista di primissimo piano.
Davanti Tony Martin fa qualcosa di straordinario, tirando il gruppo di testa senza ricevere neppure un cambio; il ritmo è elevato e causa la riduzione del drappello a soli dieci uomini. “Purito” Rodríguez, andando a sprintare su tutti i traguardi valevoli per il GPM, conferma che l’allungo di ieri non era un fuoco di paglia, ma diretto ad inseguire l’obiettivo della maglia a pois, in assenza di mire alla generale: missione compiuta per “Purito” che, al termine della tappa, vestirà la maglia a pois.
Dopo il ritiro di Contador, l’Astana si trova costretta a prendere in mano la situazione poiché i Tinkoff non sono più nella condizione di dare una mano. Dalla discesa del Col d’Odeden in poi il ritmo del plotone sale sensibilmente e, proporzionalmente, si riduce il vantaggio dei battistrada che in venti chilometri è quasi dimezzato, dopodichè abbiamo una fase di stabilizzazione fino all’attacco della penultima salita, quando il ritmo sale ulteriormente sotto la spinta di Michele Scarponi, oggi splendido in appoggio al capitano. Nel gruppo di testa Martin esaurisce il lavoro e sembra non riuscire più a salire, stremato dalla fatica. Prende quindi le redini della fuga la maglia bianca che si porta dietro “Purito” Rodríguez. Lo spagnolo, però, ha un altro passo sulle arcigne rampe del Col de Chevrères, che in certi tratta arrivano anche al 24%, e lascia sul posto Kwiatkowski che viene ripreso e superato anche dall’ottimo Giovanni Visconti che, con passo regolare, va anche ad avvicinarsi al battistrada Rodríguez.
Nel gruppo, frattanto, iniziano a verificarsi defezioni illustri di uomini che non riescono a tenere l’elevato ritmo di Scarponi, su tutti Talanky e la maglia gialla Tony Galoppin che saluta il sogno di tenere la maglia al termine di questa dura giornata.
Nel corso della discesa Visconti Moinard e Kwiatkowski si riportano di Rodríguez e la maglia bianca tenta addirittura un allungo per anticipare l’attacco della salita finale. Nel gruppo, invece, Scarponi fa un dritto causato dalla asfalto viscido e vola oltre le protezioni su un prato al lato della strada. A questo punto prende in mano la situazione Fulsang, continuando a tirare il gruppo degli uomini di classifica, ma Michele Scarponi stringe i denti, risale in bicicletta, si riporta da solo sul gruppo di Nibali e riprende il proprio lavoro sulle rampe dell’ultima ascesa. Davanti, “Purito” alza il ritmo e Kwiatkowski è costretto a lasciarlo andare, mentre il gruppo si avvicina ai battistrada a gran velocità. Poco prima dei due all’arrivo, Scarponi si sposta e parte, in bella progressione, Vincenzo Nibali. Valverde accenna una risposta ma né lui né Porte sono in grado di tenere le ruote del siciliano che va a riprendere e staccare anche Rodríguez, conquistando per la seconda volta, nel giro di pochi giorni, tappa e maglia gialla, aumentando anche il distacco sui suoi diretti avversari che arrivano con un distacco di circa 20 secondi.
Nibali a questo punto ha un vantaggio di 2 minuti e 23 sul secondo in classifica generale Richie Porte e 2 minuti e 47 su Valverde, che occupa la terza piazza.
In base a ciò che si è visto oggi, sembra che Nibali abbia le mani sul Tour de France, ma tutto quel che è accaduto in questi primi dieci giorni consiglia di tenere gli occhi aperti e la testa sulle spalle, in quanto le insidie non mancano mai. Lo stesso Nibali, oggi, ha rischiato la caduta nello stesso punto in cui è finito fuori strada Michele Scarponi. In ogni caso, Valverde e Porte sono avversari tosti e Vincenzo dovrà stare attento agli attacchi che certamente gli verranno sferrati, anche perchè non bisogna dimenticare la lunghissima cronometro del penultimo giorno.
Nibali ha corso con grande intelligenza tattica; ha cercato inizialmente di risparmiare la squadra, tentando di lasciare il compito agli uomini della maglia gialla e a quelli della Tinkoff; dopo la caduta di Contador ha capito che il peso di controllare l’attacco di Kwiatkowski sarebbe ricaduto di nuovo sulla sua squadra, ha fermato Westra ed ha tentato di far collaborare anche altre squadre, a dir la verità con scarsi risultati. In ogni caso, è riuscito a chiudere su Kwiatkowski ed a trovarsi in posizione ideala per raggiungere e superare Rodríguez, andando a conquistare una straordinaria vittoria.
Porte e Valverde hanno hanno accennato una reazione, ma si sono subito resi conto che oggi Nibali aveva un altro passo ed hanno cercato di limitare i danni, riuscendoci anche abbastanza bene. Alla fine il loro passivo sul traguardo si aggira intorno ai venti secondi, ma quel che conta è il distacco nella generale che supera i due minuti.
Nelle prossime tappe il peso di controllare la corsa graverà ancora sulle spalle degli uomini dello “Squalo” e, sotto questo punto di vista, il giorno di riposo previsto per domani si rivela quanto mai opportuno per recuperare le energie spese in una prima settimana ricca di emozioni.

Benedetto Ciccarone

18 luglio: 13a tappa: Saint-Étienne – Chamrousse

CHAMROUSSE, TERRA BRUCIATA: IL CALDO E NIBALI FRIGGONO IL TOUR

Prima vera tappa alpina, introduttoria ma già selettiva con un uno-due pugilistico di ascese, rispettivamente di 1.a categoria e HC, a susseguirsi nel finale. Caldo canicolare a 35 gradi, e uno scenario tattico apertissimo. La grande domanda è: avevano ragione i francesi a sperare nel caldo per far traballare Nibali?

Il gruppo è incenerito. Solo venti corridori riescono ad arrivare a meno di sei minuti da Vincenzo Nibali. Solo quattro, di cui due mossisi anticipatamente, incassano meno di un minuto. Tappa bollente, anzi ustionante (“non si riusciva quasi a toccare la bicicletta”, commenterà Nibali), che obbliga molto presto i capitani al faccia a faccia: e chi non è in perfetta forma si scotta. Chi addirittura è in condizioni traballanti, si brucia, come capita prima ancora delle salite a Dani Navarro, capitano della Cofidis piegato letteralmente in due da un malore e costretto al ritiro.

Prima di tutto, un doveroso riconoscimento a De Marchi, ultimo superstite di una fuga di nove uomini ad essere ripreso dal gruppo, sulle prime rampe della salita conclusiva. L’azione di Marchi era solitaria già da troppi chilometri, con la fuga squagliatasi poco a poco sotto il solleone e sotto la pressione degli uomini in rosso della Katusha. Sembrerebbe che Purito sia in vena di fumarsi un paio di Gpm con relativi punti (addirittura doppi quelli di Chamrousse, essendo arrivo in salita), ma purtroppo sarà tra i primi a perdere le ruote del gruppo quando il gioco si farà duro. Resterà enigmatica, la fiammata della squadra russa, con il barbuto Paolini a sferzare il peloton negli afosi fondovalle: ottimismo di Rodríguez o vendetta contro la fuga, magari sgradita?

Sul duro Palaquit la notizia di spicco sono le difficoltà Kwiatkowski, anche se il polacco, a sorpresa, non andrà poi totalmente alla deriva, arrivando anzi tra i venti eletti del giorno, a “soli” quattro minuti da Nibali. A cavallo del Gpm, però, piovono due cattive notizie per Nibali: in salita cede Scarponi, amante del freddo e non certo a suo agio con le temperature odierne; in discesa, cade Fuglsang, con conseguente rallentamento del gruppo che consentirà a Kwiatkowski di rientrare.

Le altre squadre iniziano a fiutare la possibilità di far terra bruciata intorno al siciliano, magari suggestionate dall’Equipe che pronosticava, tra le speranze per un crollo di Nibali, proprio l’avvento della calura. Nei soffocanti falsopiani di avvicinamento si alternano FDJ, BMC e Movistar, poi sarà quest’ultima a prendere in mano le redini della situazione quando comincia la salita vera e propria. Gregario dopo gregario il ritmo si infiamma, e cade dall’albero il primo frutto cotto da un colpo di sole e da un crollo di forma: è Richie Porte, in omaggio ai cui gradi di capitano viene fermato anche l’unico Sky rimasto in zona, ossia Mikel Nieve. A meno di sovvertimenti clamorosi, la poderosa armata Sky non ha più uomini in classifica generale, il che, tra l’altro, getta più di un’ombra anche sulle possibilità che avrebbe avuto Froome, qualora fosse rimasto in gara: da un lato la preparazione non sembra quest’anno delle migliori, a livello di team, dall’altro lo stile di corsa iperprogrammato degli uomini in nero esige comprimari all’altezza per dominare il teatrino.

Dopo le ultime sfuriate di Gadret, che lasciano in gruppo solo capitani accompagnati da un gregario al più (e Nibali ha Kangert, quindi la sua situazione di svantaggio è improvvisamente relativizzata), sorprendentemente non si muove Valverde, ormai abbandonato dai compagni spremuti uno via l’altro. Il murciano si lascia anzi scivolare verso il centro del gruppo: i km al traguardo sono ancora una quindicina, non sia mai agire con tanto anticipo!
A questo punto Nibali mette all’opera Kangert, dimostrando grande sicurezza nei propri mezzi. Che sia per far salire ulteriromente la temperatura nella pentola a pressione che è divenuta il gruppetto, o per assolvere al proprio dovere di maglia gialla, quel che è certo è che Vincenzo si brucia con noncuranza la carta dell’unico compagno che potrebbe coadiuvarlo nel coprire sugli altrui attacchi.

Di attacchi, tuttavia, per un po’ non se ne vedono. Si suda per la calura, e si suda freddo di paura. Per fortuna in gruppo c’è un altro uomo isolato, il giovane scalatore francese Pinot, e la voglia di accendere la miccia a lui non manca. Ecco nel tratto più aspro a tredici dall’arrivo una bella fiammata che sbollenta gran parte dei gregari superstiti, riducendo il gruppo, stavolta per davvero, a un manipolo di capitani, costretti al duello a sole non in un corral polveroso ma sull’asfalto bollente.

L’incertezza regna sovrana, fino a che non intuiscono che c’è spazio per una libera uscita i capitani, per così dire, di “seconda freschezza”: Majka della Tinkoff orfana di Contador e König della piccola NetApp vengono lasciati andare senza soverchie ansie. Poco dopo prende il volo anche Ten Dam, fino a che, ai meno 10km, è Valverde a tentare l’affondo.

Nibali non risponde. Non subito. Si guarda attorno, scruta le facce arrossate degli avversari, per capire se qualcuno abbia interesse a chiudere sul murciano, o più banalmente, a mettersi a ruota del siciliano per poi ripartirgli in contropiede. Macché!
Vincenzo accelera facile, e solo Pinot riesce a stare con lui per riportarsi sullo spagnolo.
Gli altri avversari sono inceneriti.

Ci sono storie, anche lì dietro: c’è, soprattutto, la lotta di Bardet per difendersi da Pinot, nella contesa tutta transalpina per il podio e la maglia bianca. È strenua, la resistenza di Bardet, capace di restare avanti per sedici secondi: anche con la collaborazione di Van Garderen, ben diversa da quel che vedremo sarà l’atteggiamento di Valverde verso Pinot. Grazie mille all’americano, anche perché il compagno in Ag2R Peraud difende il proprio diretto ad essere “co-capitano” e fare la propria corsa… finendo per tirare un parallelo gruppetto cento metri più indietro!

La vera corsa è però tra Nibali, Valverde e Pinot. Nibali sta a ruota, poi si decide a dare un paio di cambi: brutto segno per gli avversari, sono scintille che preludono all’incendio; che sia per alzare il ritmo o per dare un impulso simbolico all’azione, fatto sta che dopo poco lo Squalo riparte secco e agli avversari non resta che starlo a guardare.

Qui comincia il teatrino tra il francese e lo spagnolo. Valverde, da par suo, smette di tirare, si piazza a ruota, dice di essere al massimo, di non farcela proprio più. Pinot non mangia la foglia e insiste nel chiederne la collaborazione. Valverde si nega, vola qualche parola di troppo. Ed ecco che Valverde scatta fortissimo in faccia a Pinot. Il francese non lo molla di un metro, e quando la vampata si spegne, i due sono di nuovo affiancati: ora però non c’è spazio per altre sceneggiate, e in qualche modo i due cominciano a darsi di nuovo cambi regolari. Va da sé che nel finale Valverde sprinterà su Pinot con tale veemenza da relegarlo a 3” di ulteriore distacco. Il francese ringrazia, e una possibile futura alleanza anti-Nibali va allegramente a farsi benedire.

Nibali aveva intanto ripreso con gran facilità la coppia di attaccanti: sì perché, tra tutto, Majka e König erano ancora là davanti. Il siciliano li accompagna, li scorta anzi. Sembra che l’intenzione sia di non cannibalizzare anche la tappa. Da dietro, però, arriva la notizia del rinnovato accordo tra Valverde e Pinot, che han ripreso ad avvicinarsi. Non c’è tempo da perdere, Vincenzo riparte e tanti saluti a tutti. Mancano poco più di 3km alla fine. Sotto la flamme rouge, Nibali si volta, allenta il ritmo: i due cacciatori di tappa non sono poi così lontani, forse. Ma non c’è modo, anche a mezzo gas non si riescono a portare sotto. Tocca proprio vincere! Si assesta la zip della maglia gialla, si prepara l’esultanza, e la tappa è cucinata e servita.

A quanto pare, no, Vincenzo il caldo non lo patisce troppo. Speriamo che adesso non vogliano provarle tutte ma proprio tutte per bruciare il campione italiano, magari non appena spuntasse un francese al secondo posto in luogo del comunque scomodo Valverde. Confidiamo nella pelle dura degli squali…

Gabriele Bugada

19 luglio: 14a tappa: Grenoble – Risoul

RISOUL, ADDIO ALLE ALPI: LA CORSA È UNA LOTTA, NIBALI UNA ROCCIA

Il tappone alpino prospetta una gara di ardua gestione: partenza all’insù, molto dislivello in non troppi km, poca pianura per controllare. Scappa una fuga di lusso, scoppiano risse (reali o metaforiche) in gruppo, ma Nibali rimane imperturbabile.

Partenza al fulmicotone su un dentello presso Grenoble, e nei primi falsopiani verso Bourg-D’Oisans. Nonostante la strada tutt’altro che pianeggiante la prima mezzora di corsa vola ai 47 km/h di media. Aria alpina d’alta quota, non proprio fresca ma più frizzante di ieri, aria di tappone con lunghe salite piuttosto pedalabili, insomma aria di fuga con tutte le finestre spalancate da un padrone benigno. Ma quando da quella finestra così invitante vogliono scappare tutti, la corsa diventa una ressa da discoteca. E infatti la prima azione a prendere margine include ben quaranta atleti, tra cui… Vincenzo Nibali. Niente sorprese, niente maxifughe, questo il messaggio della maglia gialla: se sperate di pizzicarmi distratto non avete capito con chi avete a che fare. Quando la gara diventa mischia, le doti da corridore da classiche del siciliano vengono a galla, e non capiterà tanto facilmente di trovarlo incastrato in qualche retrovia.

Alla fine se ne vanno in diciassette, e la qualità dell’assortimento è altissima: i due “capitani” subentrati in Tinkoff, benché entrambi fuori classifica (Roche e Majka) e i due che nelle stesse condizioni ha la Sky (Thomas e Nieve), stante la definitiva debacle di Porte. Altre presenze notevoli sono quella della coppia Liquigas con De Marchi, ancora una volta combattivo fino allo stremo, e Sagan, che lascia qualche dubbio sulla sensatezza di estenuarsi oggi e non provare invece a scommettere su una vittoria della più adeguata tappa di domani. Il vivace Serpa per la Lampre (bandiera bianca ufficiale sui sogni di classifica generale per Rui Costa, nal mandare in caccia di tappe un fedele gregario da salita?), il promettente Yates, Riblon in cerca della forma dell’anno passato, e altri. Su tutti, Purito Rodriguez, voglioso di riprendersi a pieno titolo, e non solo in prestito, la maglia a pois.

Sembrerebbe fatta, con cotanta classe in avanscoperta, ma l’Astana non scioglie completamente le riserve e le briglie, così il distacco non lievita. Il vero problema è poi l’intervento di altri team, come la NetApp che difende la decima piazza di König collaborando in zona Lauteret, e poi la Ag2R che prende di mira l’Izoard per mettere in difficoltà Pinot, nello scontro franchicida tra giovani promesse.

Frattanto, Sagan si prende il traguardo intermedio, e Joaquim Rodriguez i due Gpm, scavalcando Nibali ma vedendosi tallonato, tanto sui passi come in classifica, da un Majka sempre meno scontento di essere stato coscritto per il Tour, con il Giro nelle gambe (chiamata di emergenza a causa dei problemi di Kreuziger, il polacco se ne uscì con un “sono stanco morto, certo che la squadra a farmi fare altre settimane proprio non mi vuole bene!”).

Il forcing dell’Ag2R sull’Izoard trova una ragion d’essere in un bell’attacco collettivo in discesa, sperando di cogliere in castagna Pinot nel terreno a lui meno congeniale. Pinot, in effetti, fa l’elastico, ma non molla. Sono però energie fisiche e mentali assai preziose che se ne vanno. Le schermaglie stavolta lasciano appiedati diversi capitani, da Van den Broeck a Van Garderen, mentre Nibali, attentissimo, e su un terreno a lui tutt’altro che sgradito, non si smuove dalle prime posizioni. Il gruppetto dei big è in questo momento ridotto a 14 unità. C’è Fuglsang , mentre Scarponi traballa in affanno e rientra con qualche attimo di ritardo (con Pinot e Mollema). Entrambi i luogotenenti Astana, però, cederanno sulle primissime rampe dell’ultima ascesa.

Salita poco meno lunga di quella di ieri, ma più pedalabile: il ricongiungimento operato dalle truppe BMC e Lotto ha rinfoltito i ranghi e se partisse qualche azione pericolosa Nibali potrebbe essere allo scoperto, paradossalmente proprio per la minor selettività del terreno. Qui, tuttavia, si coglie forse il senso del colpo assestato seccamente ieri: il timore di fungere da trampolino per un Vincenzo così dominante pervade probabilmente i pensieri di molti.

In testa alla corsa, a un minutino scarso, si avvia la giostra degli allunghi e dei controallunghi: prima va De Marchi, poi Serpa, poi Majka, poi Rodriguez. Partono, si raggiungono, si superano, e dagli e ridagli al crivello, alla fine ne vien fuori in solitaria l’uomo più in forma: è Majka, che nonostante tante belle e convincenti prestazioni nei Grandi Giri, soprattutto per un atleta così giovane, non aveva ancora vinto una corsa come professionista. Oggi è la sua giornata: profondendo uno sforzo estremo, con i lineamenti distorti dalla fatica (proprio lui che al Giro era apparso imperturbabile nelle buone quanto nelle cattive giornate), difende il suo vantaggio e taglia per primo il traguardo.

Dietro, ai -5km dal traguardo, si muove Rolland, poi parte Peraud. Nibali ci pensa un attimo, quindi decide: quando il gruppo transita ai meno quattro, scivola via incontrastato con la leggerezza e facilità che ha sempre contraddistinto i suoi attacchi finora, scorrendo su per la salita come il suo totem dall’idrodinamica letale. Proprio come uno squalo sembra non potersi fermare, questo Nibali, “gli scappa la gamba”, e quasi – pur con lo spirito di tifoseria che sentiamo verso di lui – ci spaventa l’idea che possa lanciarsi a collezionare un’altra tappa. Non aggiungerebbe molto al suo sovrano controllo della corsa, e anzi se l’Astana scricchiola le alleanze serviranno parecchio.

Per fortuna, Vincenzo oggi non vuole strafare. Non passeggia certo, dietro c’è gente da distanziare, e – come ribadito in conferenza stampa – la tappa Majka se l’è sudata con pieno e grandissimo merito. Ma quando Peraud, ripreso, gli si piazza a ruota, Nibali non dà segno di volersene disfare, benché il francese sia in classifica. Chiede perfino un po’ di collaborazione… comprensibilmente negata. È così che Majka approda al suo primo traguardo da vincente, ed è così esausto da non riuscire neppure a esultare. Poco male, avrà altre occasioni in futuro, questo è indubbio.

Nibali, come accennato, è meno cannibale, ma quando Peraud accenna a scattargli in faccia, con una “valverdata” antologica, non c’è altro da fare che rimetterlo al suo posto, tanto più che il transalpino è pure in classifica!

La corsa, così lineare davanti, è furibonda dietro. Valverde tentenna, e tutti gli danno addosso. Pinot e Bardet che poco fraternamente si scannano (il secondo cercando di vendicarsi del primo per ieri) giungono a un mezzo minuto da Nibali; subito dietro di loro un generosissimo Van Garderen, che ha tirato da solo il gruppo dei migliori per gran parte dell’ascesa. Quindi onesti comprimari, come Schleck e Ten Dam, poi König che pian pianino risale la generale giustificando gli sforzi del team. Il resto, a cominciare da Valverde, a un minuto o più da Nibali, con Mollema che incassa un duro colpo e Van den Broeck e Rui Costa che crollano quasi allo sbando.

Il Tour esce dalle Alpi sconquassato, ma nelle mani di un tiranno: che, forse, ora può iniziare a gestire la corsa da “despota illuminato”.

Gabriele Bugada

Nibali allattacco anche verso Chamrousse (foto Bettini)

Nibali all'attacco anche verso Chamrousse (foto Bettini)

06-11-2022

novembre 7, 2022 by Redazione  
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GRAND PRIX AL MASSIRA

L’olandese Jules de Cock (Global Cycling Team) si è imposto nella corsa marocchina, Laayoune – El Marsa, percorrendo 116.7 Km in 2h35′35″, alla media di 45.000 Km/h. Ha preceduto di 6″ il marocchino Nasr Eddine Maatougui (Sidi Ali – Unlock Team) e di 13″ il connazionale Jarri Stravers Global Cycling Team). Nessun italiano in gara.

NIBALI STORY – CAPITOLO 16: LE PRIME FIAMMATE DI UN TOUR INDIMENTICABILE

novembre 6, 2022 by Redazione  
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Se la stagione 2014 era partita con il freno a mano tirato per Nibali, fin da subito invece il Tour su cui lui aveva puntato con tutte le forze decolla all’insegna dello scalatore siciliano. Lo Squalo si veste di giallo con un attacco a sorpresa a Sheffield nel finale della seconda tappa e poi sorprende di nuovi tutti dimostrando di essere competitivo anche sul pavè della Roubaix, dopo la prematura uscita di scena del vincitore dell’anno precedente Chris Froome.

6 luglio – 2a tappa: York – Sheffield

NIBALI, CHE COLPO! TAPPA E MAGLIA GIALLA A SHEFFIELD

Il siciliano se ne va negli ultimi 2 km della seconda tappa, e precede di 2’’ il gruppetto dei migliori sul traguardo di Sheffield, al termine di una tappa dura e nervosa. Beffato Greg Van Avermaet, che ha regolato allo sprint Kwiatkowski e Sagan, grande deluso di giornata. Scaramucce, sul temuto strappo di Jenkin Road, anche tra Froome e Contador, annullatisi tuttavia a vicenda.

Cinque anni dopo Rinaldo Nocentini e la sua settimana in giallo fra Pirenei e Alpi, un italiano torna ad issarsi in vetta alla classifica generale del Tour de France; ma se allora le insegne del primato erano solo in prestito sulle spalle del toscano, in attesa che Contador limasse i minuti lasciati ai fuggitivi nella tappa di Arcalis, questa volta finiscono addosso ad un corridore con l’intenzione di mantenerle e i mezzi per farlo. A spezzare il digiuno giallo italiano ha infatti provveduto Vincenzo Nibali, trionfatore in solitaria nella seconda tappa del Tour, al termine di 201 km più da classica ardennese che da frazione della prima settimana di Grande Boucle. Certo, le possibilità di vittoria finale del siciliano non mutano in virtù dei 2’’ guadagnati oggi su Froome e tutti gli altri, sorpresi da un colpo di mano a 2 km dal traguardo, ma è ora difficile non pensare che l’avvicinamento di Nibali al Tour, che tante perplessità aveva alimentato nel corso della stagione, sia stato in realtà ottimale.
E dire che il canovaccio della giornata, pur risentendo di uno dei tracciati più nervosi che il Tour de France abbia proposto in anni recenti e non solo, non pareva granché favorevole ad un uomo da grandi montagne come il messinese. Già la prima ora di gara, in luogo della battaglia feroce per entrare in fuga che l’altimetria suggeriva, aveva invece visto il gruppetto buono sganciarsi dopo pochi chilometri, lasciando intendere una frazione meno agitata del previsto. I sette uomini così evasi (Matthew Busche, Blel Kadri, Perrig Quéméneur, David De La Cruz, Bart De Clercq, Armindo Fonseca e Cyril Lemoine) non hanno in realtà mai ricevuto un vero semaforo verde dal plotone, che ha sempre mantenuto il divario intorno alla soglia dei tre minuti, ma anche la Côte de Holme Moss, virtuale inizio della fase cruciale di tappa, vedeva il plotone salire ad andatura poco bellicosa.
Se non per assistere ad una prima vera selezione, l’unica salita di seconda categoria in programma era comunque utile per assistere ad uno di quegli eventi senza i quali un Tour de France non sarebbe tale: il primo scatto di Thomas Voeckler. Un attacco grazie al quale l’alsaziano si portava brevemente in testa alla corsa, raggiungendo Blel Kadri, ormai unico superstite del drappello in avanscoperta, salvo poi rimbalzare inopinatamente nell’ultimo chilometro di ascesa, fino ad essere riassorbito prima da Edet, e poi da un terzetto formato da Tony Martin, Burghardt e Gautier.
Tutti gli attaccanti venivano riassorbiti entro la salita successiva, la Côte de Midhopestones, da un gruppo ormai privo dei velocisti più puri – inclusa la maglia gialla Kittel -, ma comprendente Peter Sagan e Richie Porte, rimasti attardati poco prima dell’Holme Moss, a causa di una foratura e di una caduta rispettivamente. Proprio allora, con ancora 35 km da percorrere, la Garmin operava il primo vero forcing di giornata, evidenziando subito quali fossero le potenzialità del tracciato odierno: nello spazio di 5 km, tra Midhopestones e Broomhead (salita non classificata come GPM), il gruppo dei migliori si riduceva da un centinaio di unità a venticinque, con il solo Sagan presente tra gli uomini veloci.
La sfuriata aveva comunque vita breve, e il successivo rallentamento consentiva ad una cinquantina di corridori di rientrare, restituendo al gruppo un aspetto meno da alta montagna.
Per registrare una nuova scossa, si dovevano attendere gli ultimi 200 metri della Côte d’Oughtibridge, penultima difficoltà sul menù, grazie al solito Pierre Rolland. Il francese se ne andava in compagnia di Jean-Christophe Péraud, guadagnando in breve una quindicina di secondi sugli inseguitori, ma vedendo l’offensiva stoppata dalla scarsa collaborazione del connazionale. Anche l’estremo tentativo del principale animatore dello scorso Giro d’Italia, sbarazzatosi della zavorra di Péraud a 12 km dal traguardo, risultava vano, lasciando che i favoriti si giocassero tappa e maglia gialla sul temutissimo strappo di Jenkin Road.
I muri al 33% di cui si era parlato in rete – a meno che non fossero riferiti a tratti di lunghezza inferiore al metro – si sono rivelati poco meno distanti dalla realtà delle voci su Zoff in gol di fantozziana memoria, ma gli 800 metri al 10.8% di media della rampa offrivano comunque a Contador e Froome l’occasione per le prime scaramucce del loro atteso duello. Prima lo spagnolo e poi l’inglese testavano se stessi e l’avversario, ma senza la convinzione necessaria a scavare solchi significativi su una salita tanto breve. Nibali seguiva senza patemi le accelerazioni di entrambi, e Sagan, pur più sofferente in viso, pedalava sempre nelle prime cinque posizioni.
Dopo una discesa condotta con autorevolezza al comando dallo slovacco, e alcuni innocui allunghi di Van den Broeck, Fuglsang e Van Avermaet, è arrivato lo scatto buono: a 2 km dall’arrivo, approfittando di un attimo di studio, Nibali ha individuato un varco per partire passando dal centro del gruppo, evitando così di preannunciare l’attacco, annullando il bonus sorpresa. La sparata è stata abbastanza secca da garantire al siciliano alcune decine di metri di margine, e qualche istante d’attesa di troppo fra gli inseguitori, unito al preziosissimo lavoro di stopper di Fuglsang, gli ha consegnato la prima vittoria di tappa in carriera al Tour de France. Un tentativo di rimonta promosso da Rui Costa in vista del triangolo rosso, appoggiato da Chris Froome in persona, è naufragato negli ultimi 500 metri, e la volata di Van Avermaet, capace di bruciare Kwiatkowski nello sprint fra i battuti, è servita soltanto a ridurre il vantaggio di Nibali a 2’’, sufficienti comunque a regalare al campione d’Italia la sua prima maglia gialla. Sagan, parso avviato alla conquista di tappa e primato ad appena 2 km dal termine, ha chiuso solo quarto, concludendo a mani vuote una giornata nella quale ha provato tutto il suo talento e tutti i suoi limiti.
Una conquista tanto prematura della maglia gialla ha ovviamente le sue controindicazioni, a cominciare dal lavoro che la Astana sarà chiamata a svolgere nei prossimi giorni, qualora decidesse di conservare più a lungo possibile la testa della generale. Oneri che rischiano di pesare, in ottica vittoria finale, più dei 2’’ guadagnati oggi da Nibali.
D’altro canto, sarà difficile per il messinese rinunciare di proposito alla prima maglia gialla in carriera, e non soltanto perché ciò comporterebbe l’obbligo di tornare a sfoggiare l’aberrante maglia tricolore approntata dalla Astana. Per fortuna sua e della sua squadra, all’orizzonte si profilano due frazioni per velocisti, nelle quali formazioni come Giant e Lotto potrebbero sobbarcarsi larga parte dell’inseguimento alle fughe del giorno, e quella del pavé, nella quale correre in testa sarebbe stato in ogni caso tassativo. A quel punto, una cessione della leadership potrebbe non dipendere più dalla volontà o meno di conservarla.
Matteo Novarini

9 luglio – 5a tappa: Ypres – Arenberg

NIBALI GIGANTE DELLE PIETRE

Il siciliano compie un’impresa sul pavé della quinta tappa, chiudendo al terzo posto una frazione flagellata dal maltempo, a 19’’ dal vincitore, Lars Boom. Ritiro a metà percorso per Chris Froome, dopo la seconda caduta in tratti in asfalto. Distacchi pesanti per gli altri uomini di classifica: 48’’ per Kwiatkowski, 1’43’’ per Van den Broeck, 1’52’’ per Porte, 2’03’’ per Talansky, 2’09’’ per Valverde, Van Garderen e Rui Costa, 2’25’’ per Mollema, 2’35’’ per Contador.

Nibali che scappa in giallo, Froome che si ritira, Contador che affonda, i grandi della Roubaix a darsi battaglia sulle pietre bagnate che da tanti anni mancano ad aprile, gli uomini di classifica sparpagliati lungo un tracciato di per sé impegnativo, reso massacrante dalla pioggia, dal vento e dal nervosismo che ha disseminato cadute prima ancora dell’imbocco del primo tratto in pavé. Per raccontare nel dettaglio tutti gli eventi che hanno trasformato la quinta tappa nel primo snodo chiave del Tour de France 2014 sarebbe necessario lo spazio di un romanzo, anziché quello di un articolo di cronaca sportiva. Trovandoci costretti a scegliere, però, non abbiamo dubbi nell’assegnare la priorità all’impresa di un Vincenzo Nibali che, forte delle sue 0 partecipazioni complessive alle classiche delle pietre, ha avuto l’ardire di seminare specialisti del calibro di Sagan e Cancellara, per involarsi verso un terzo posto di tappa che non ha mai avuto un sapore tanto simile a quello del trionfo. Fondamentale, per lanciare il siciliano al primo vero allungo in classifica della Grande Boucle, la schiacciante superiorità di una Astana sulla carta priva di maghi del pavé, ma rivelatasi nei fatti la squadra padrona di una tappa destinata a lasciare strascichi polemici e fisici.
Oggetto del contendere, sin da ieri sera, la fermezza dell’organizzazione nel confermare il regolare svolgimento della tappa, accettando soltanto stamane, ad un paio d’ore dal via, di fronte alle pressioni di corridori e squadre, di cassare i due tratti in pavé nelle peggiori condizioni, quelli di Mons-en-Pévèle e Orchies à Beauvry-la-Forêt, ridotti ad acquitrini. Due tagli che hanno ridotto il computo dei chilometri di pavé a 13 (dai 15 e mezzo circa originali) e di quelli complessivi a 152, ma senza mutare nella sostanza il senso della frazione.
Chi auspicava una partenza tranquilla, alla luce del percorso e delle condizioni meteo da tregenda che hanno salutato la partenza, con pioggia da telefilm americano e raffiche di vento trasversali, è rimasto deluso: nemmeno il tempo di abbassare la bandiera che già Tony Martin e Lieuwe Westra stavano provando a promuovere la fuga, riuscendo nell’intento dopo una manciata di chilometri. I due hanno trovato in Tony Gallopin, Marcus Burghardt, Rein Taaramäe, Simon Clarke, Matthew Hayman, Janier Acevedo e Samuel Dumoulin dei validi compagni di viaggio, mentre Giovanni Visconti, in compagnia di Brice Feillu, ha atteso qualche istante di troppo prima di entrare in azione, senza riuscire così a chiudere i trenta secondi che già separavano il gruppo dai battistrada. Con un compagno di Nibali (Westra), uno di Kwiatkowski (Martin), uno di Van den Broeck (Gallopin), uno di Van Garderen (Burghardt) e uno di Talansky (Acevedo) in avanscoperta, bastava una rapida occhiata alla composizione del drappello per intuire quale sarebbe stato l’andazzo della giornata.
Un contributo decisivo alla selezione feroce che si sarebbe di lì a poco registrata è stato fornito dal passo sostenuto dal plotone già prima dell’imbocco dei tratti in pavé, ben esemplificato dai 49 km percorsi in una prima ora pur martoriata dal meteo. Andatura che contribuiva peraltro a rendere dispendiosi i rientri in gruppo dei molti corridori finiti a terra in curve e rotonde varie, fra cui spiccava ancora una volta il nome di Chris Froome: dopo una trentina di chilometri, il campione uscente ha battuto a terra il fianco rimasto sano ieri, in quello che sarebbe stato il preludio al secondo e ben più rovinoso capitombolo, destinato a cambiare le gerarchie della Grande Boucle.
Fra le tante scivolate prive di conseguenze che si sono succedute – paradossalmente più su asfalto che su pietra -, una delle quali costringeva intanto Acevedo a salutare il drappello di testa e attendere il plotone, una delle poche a lasciare traccia è stata infatti la seconda di Froome, ad una settantina di chilometri dal termine. Malgrado gli incitamenti di David Lopez e dei meccanici fermatisi ad assisterlo, il kenyano bianco, scosso nella mente e nel fisico, con un braccio destro bloccato che non promette un rapido recupero, ha scelto di salire in ammiraglia, chiudendo dopo neppure una settimana la sua seconda campagna francese da leader. Additare l’organizzazione come responsabile, approfittando della coincidenza del ritiro con la giornata del pavé, parrebbe piuttosto pretestuoso, visto che le tre cadute in due giorni che hanno messo fuori combattimento il vincitore dell’anno passato sono arrivate tutte su strade asfaltate.
Sulle prime pietre, a prendere in mano le redini del gruppo, staccato a quel punto di due minuti e mezzo circa da un gruppetto di testa orfano anche di Burghardt, lasciatosi sfilare per restare al fianco di Van Garderen (il senso del suo ingresso in fuga rimane oscuro), è stata la Tinkoff di Contador, diventato in un attimo l’unico faro del Tour. Davanti si è formato un drappello di una trentina di corridori, ben presto rinfoltito però dal rientro dei drappelli di Van Garderen e Valverde, rimasti attardati causa caduta poco prima del pavé di Gruson au Carrefour de l’Arbre.
Per assistere alla vera scossa, però, si è dovuto attendere il secondo settore, quello di Ennevelin à Pont-Thibaut: Contador ha commesso la leggerezza di approcciare il tratto a centro gruppo, e le inevitabili fratture in gruppo hanno relegato lo spagnolo nella seconda metà del plotone, in compagnia – tra gli altri – di Rui Costa, Valverde, Van Garderen e Porte. Astana e Lotto non si sono lasciate sfuggire l’attimo, e il lavoro congiunto delle due formazioni ha ben presto dilatato il divario fino ad una quarantina di secondi.
A sparpagliare definitivamente i resti del plotone ha quindi provveduto il tratto di Bersée, ed in particolare una curva a sinistra sbagliata da metà del gruppo maglia gialla, valsa a Lars Bak il premio per il capitombolo più spettacolare di giornata, con cappottamento completo e atterraggio in un fosso. Boom e Vanmarcke – unico corridore a criticare la scelta dell’organizzazione di tagliare i due settori allagati – hanno attaccato, e le repliche arrivate dagli avversari hanno provocato una serie di buchi che Nibali è stato abilissimo ad evitare. Al ritorno sull’asfalto, il siciliano, dopo aver evitato con riflessi e abilità di guida notevoli (oltre ad un pizzico di fortuna) il povero Gruzdev, cadutogli davanti, è riuscito ad accodarsi in extremis a quello che si sarebbe poi rivelato il trenino buono.
Forte dell’appoggio di Fuglsang e Westra, lasciatosi raggiungere, e della collaborazione di una Omega Pharma presente con Kwiatkowski e tre compagni, il siciliano ha potuto respirare in mezzo al gruppetto di una dozzina di uomini così formatosi, rimpolpato poco dopo dal ricongiungimento con gli ultimi superstiti della fuga.
Con tutti gli altri uomini di classifica distanti oltre un minuto, la giornata stava già assumendo per la maglia gialla i contorni del trionfo, ma è stato negli ultimi 25 km che Nibali ha completato il suo capolavoro. Superati in scioltezza il quartultimo e il terzultimo settore, neutralizzando un’effimera sfuriata di Sagan, la Astana è passata al contrattacco nel tratto di pavé più lungo in programma, i 3700 metri di Wandignies-Hamage à Hornaing. Westra – MVP morale di giornata – ha speso le ultime energie per accelerare nella seconda metà del settore, e all’uscita, voltandosi, ha trovato nella sua scia soltanto Fuglsang, Nibali e Boom, che non ha esitato ad offrire la propria collaborazione al trio di maglie originariamente azzurre, ormai smaltate di fango.
Westra ha alzato bandiera bianca prima ancora di arrivare al settore di Hélesmes à Wallers, e né il danese né il messinese hanno avuto la forza di tenere il ritmo imposto da uno specialista delle pietre come l’olandese della Belkin, andato a cogliere il primo successo stagionale. I 19’’ lasciati al vincitore non sminuiscono tuttavia in alcun modo la portata dell’impresa di Fuglsang e Nibali, 2° e 3° al traguardo, capaci di mettersi alle spalle per 42’’ Sagan (4°), Cancellara (5°) e Keukeleire (6°) e di 48’’ Kwiatkowski, primo inseguitore fra gli uomini di classifica. Per tutti gli altri big, il cronometro ha registrato passivi pesantissimi: Van den Broeck, penalizzato da una foratura nel terzo settore, ha lasciato 1’43’’ alla maglia gialla; Porte, autore di una notevole ma tardiva rimonta finale nella scia di Geraint Thomas, ha accusato 1′52’’; Talansky (stessa disdetta di Van den Broeck) ha ceduto 2’03’’; Valverde, Rui Costa e Van Garderen addirittura 2’09’’; Contador, infine, ha pagato più di tutti, perdendo addirittura 2’35’’ dal rivale, e destando una pessima impressione nei chilometri finali, quando ha perso le ruote del drappello di Valverde.
Pensare che Nibali abbia le mani sul Tour de France dopo cinque giorni sarebbe folle, e significherebbe dimenticarsi della classe di alcuni degli avversari oggi distanziati, Contador in primis. Nulla di quanto visto finora, inoltre, può fornire indicazioni sui rapporti di forza che osserveremo, da sabato, in montagna. Se le ambizioni di successo finale del siciliano passavano per la capacità di approfittare dei terreni più insidiosi e delle tappe più nervose, però, si può dire che Vincenzo abbia superato sin qui le più ottimistiche aspettative. La nuova generale vede infatti Kwiatkowski a 50’’, Van den Broeck a 1’45’’, Porte – divenuto capitano unico Sky – a 1’54’’, Talansky a 2’05’’, Valverde, Van Garderen e Rui Costa a 2’11’’, Contador a 2’37’’. Distacchi non certo incolmabili, ma che rendono i propositi di vittoria manifestati alla vigilia più fondati di quanto i primi mesi di stagione lasciassero immaginare.

Matteo Novarini

Nibali precede Cancellara in un tratto in pavé (foto Roberto Bettini)

Nibali precede Cancellara in un tratto in pavé (foto Roberto Bettini)

05-11-2022

novembre 5, 2022 by Redazione  
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GRAND PRIX OUED EDDAHAB

Il tedesco Heiko Homrighausen (Team Embrace The World Cycling) si è imposto nella corsa marocchina, Laayoune – Tarfaya, percorrendo 98 Km in 2h33′12″, alla media di 38.381 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’emiratino Ahmed Al Mansoori (nazionale emiratina) e il marocchino Youssef Bdadou (nazionale marocchina). Nessun italiano in gara.

NIBALI STORY – CAPITOLO 15: UN TRICOLORE DESTINATO A TINGERSI DI GIALLO

novembre 5, 2022 by Redazione  
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Non sembra partire con il piede giusto per Nibali la stagione 2014, nella quale ha deciso di rinunciare al Giro per concentrale le sue forze sul Tour de France: è 12° al Giro dell’Oman, 21° alla Parigi-Nizza, 5° al Romandia e 7° al Delfinato, una sfilza di insuccessi che – complici anche i risultati insoddisfacenti dei suoi compagni di squadra – sfocia in una lettera di rimprovero da parte della dirigenza dell’Astana. La “lavata di capo” fa presto sortire i suoi effetti perché, stimolato dall’imminente partenza del Tour sul quale ha focalizzato la sua stagione, Nibali si schiera al via del campionato nazionale e sulle strade del Trofeo Melinda, che già lo avevano visto vincitore nel 2010, conquista la maglia tricolore. Ancora non sa che una settimana più tardi sarà costretto a rimetterla nel cassetto per sostituirla con una ancora più prestigiosa…

NIBALI, UNA MAGLIA TRICOLORE PER GUARDARE CON FIDUCIA AL TOUR

Vincenzo Nibali è il nuovo Campione Italiano su strada, dopo una corsa ben controllata dall’Astana che si è sviluppata inizialmente con una fuga di sette ciclisti. Nella seconda parte il pressing dell’Astana, alla quale si aggiungevano Cannondale e Lampre-Merida, riprendeva la fuga e riduceva il gruppo finale, dopo attacchi vari, a una decina di unità. Gli ultimi 3 km decidevano la corsa, con il decisivo scatto di Nibali ai meno 2, al quale resisteva soltanto Davide Formolo (Cannondale). Al terzo posto Rabottini (Neri Sottoli) chiudeva il podio. Adesso attesa per il Tour de France in cui Nibali, oltre a indossare il tricolore, sarà uno dei grandi protagonisti attesi insieme a Froome e Contador.

Ancora il Trentino ed il Trofeo Melinda hanno fatto da sfondo all’edizione 2014 dei Campionati Italiani di Ciclismo su strada. Vincenzo Nibali si è imposto meritatamente, assistito al meglio dall’Astana, che ha visto soprattutto in Scarponi un’ottima spalla su cui Vincenzo potrà sicuramente appoggiarsi anche nell’imminente Tour de France. La corsa iniziava immediatamente con attacchi e contrattacchi di diversi atleti, ma la fuga buona si formava soltanto intorno al 13° km e comprendeva Nicola Testi (Androni Giocattoli), Silvio Giorni (Area Zero), Enrico Franzoi (Marchiol), Matteo Gozzi e Giacomo Forconi (Nankang), Alessandro Malaguti (Vini Fantini) e Giorgio Cecchinel (Neri Sottoli). Il gruppo lasciava fare e i sette in fuga accumulavano un vantaggio massimo di 6 minuti e mezzo dopo circa 65 km di corsa. Nel frattempo il gruppo iniziava ad organizzarsi ed a fare l’andatura erano gli uomini delle squadre più attrezzate numericamente, tra cui Cannondale, Lampre e Bardiani. Nella seconda parte della corsa, con l’inizio del circuito finale di Fondo da percorrere 4 volte, Cecchinel e Gozzi erano gli ultimi a resistere al ritorno del gruppo e venivano ripresi a circa 50 km dall’arrivo, subito dopo il penultimo passaggio dal traguardo. Ripartivano all’attacco Montaguti (AG2R), Dodi (Lampre), Damiano Caruso (Cannondale) e Francesco Gavazzi (Astana), ma un tentativo più interessante era portato dallo stesso Montaguti, Elia Viviani (Cannondale), Gianluca Brambilla (Omega Pharma) e Ricardo Pichetta (Team Idea), con quest’ultimo che perdeva le ruote dopo un paio di chilometri. Dietro l’Astana controllava e faceva il ritmo con Scarponi. che scattava e riprendeva i tre battistrada. Nel frattempo Viviani ‘trainava’ De Marchi e anche Zilioli (Androni Giocattoli) e Santaromita (Orica GreenEDGE) si riportavano sui primi. Il gruppo era tirato dagli uomini della Bardiani e della Vini Fantini. Ai meno 31 Viviani si arrendeva alla fatica e si lasciava sfilare, dopo aver lavorato per De Marchi. Nibali con un esplosivo scatto rientrava in poco tempo sui fuggitivi, insieme a Rabottini, Formolo e Pozzovivo. Dietro Oss (BMC) e Caruso (Cannondale) provavano a rientrare sul gruppetto di testa, formando un gruppetto all’inseguimento che comprendeva tra gli altri anche Capecchi e Visconti (Movistar), Finetto e Rabottini (Neri Sottoli), Pozzovivo (AG2R), Trentin (Omega Pharma) e Bennati (Tinkoff Saxo), transitando al penultimo passaggio da Fondo con un ritardo di 18 secondi. Ai meno 20 gli inseguitori riuscivano infine a raggiungere il sestetto di testa, compattando così un gruppetto di 16 ciclisti che si sarebbero disputati la maglia tricolore. Nibali, Formolo e Santaromita provavano addirittura l’allungo in discesa. Al loro inseguimento si buttava Trentin, che riusciva a raggiungere i tre nel giro di un paio di chilometri. Capecchi riportava tutti gli inseguitori (tra cui Visconti, il suo capitano della Movistar) sul quartetto di testa; Scarponi si rimetteva subito in testa a fare l’andatura e sulla strada che iniziava a salire i primi ad alzare bandiera bianca erano De Marchi, Bennati e Trentin. Scatti e contro scatti iniziavano intorno ai meno 13 ed ai meno 10 rimanevano in 11: Nibali, Scarponi, Rabottini, Oss, Finetto, Santaromita, Puccio, Formolo, Pozzovivo, Visconti e Caruso. Scarponi manteneva un ritmo elevato che non permetteva attacchi nel tratto pianeggiante che anticipava i 3 km finali in costante ascesa. Il primo a scattare era Finetto, ma subito dopo era Nibali a prendere in mano le redini della corsa ed involarsi nel tratto finale. Gli riusciva a resistere soltanto un intrepido Davide Formolo, che cercava anche di contrattaccare a sua volta il siciliano sotto lo striscione dell’ultimo chilometro. Ma Nibali lasciava sfogare il giovane ciclista della Cannondale per poi superarlo ai meno 200 metri. Nibali poteva così alzare le braccia al cielo e fare sua la prima vittoria stagionale, con Formolo secondo e Rabottini terzo. Quarto si classificava un redivivo Giovanni Visconti mentre chiudeva la top five Damiano Caruso. Adesso il ciclista dell’Astana potrà esibire la maglia tricolore già al Tour de France, che resta il suo grande obiettivo stagionale.

Giuseppe Scarfone

Nibali veste la maglia tricolore a Fondo, dopo essersi imposto nel Trofeo Melinda (foto Bettini)

Nibali veste la maglia tricolore a Fondo, dopo essersi imposto nel Trofeo Melinda (foto Bettini)

NIBALI STORY – CAPITOLO 14: QUATTRO MOSSE PER RISCALDARE UN GIRO “GELIDO”

novembre 4, 2022 by Redazione  
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Il Giro del 2013 è il primo dei due vinti da Nibali ma passerà alla storia per essere stato uno dei più “freddi” di sempre, vessato dal maltempo al punto che l’organizzazione sarà costretta a cambiare il percorso di tre dei cinque tapponi alpini previsti e addirittura ad annullare quello della Val Martello, che aveva in programma Gavia e Stelvio nella medesima giornata. Lo “Squalo dello Stretto” non riesce a esorcizzare il maltempo ma si impone in grande stile con quattro mosse, la prima nella lunga crono di Saltara che gli consente di vestire per la prima volta in carriera la maglia rosa, poi a Bardonecchia dove otterrà una vittoria postuma per la squalifica di Santambrogio, quindi nella cronoscalata della Polsa e infine ai 2300 metri delle Tre Cime di Lavaredo, dove mette la classica ciliegina sulla torta trionfando in solitaria sotto la neve.

11 maggio – 8a tappa: Gabicce Mare – Saltara (cronometro individuale)

ALTRO ROUND A NIBALI: VINCENZO IN ROSA DOPO LA CRONO

Il siciliano chiude 4° la cronometro di Saltara, cedendo soltanto 11’’ a Bradley Wiggins, rifilando quasi 4’ all’ex capoclassifica Intxausti, e impossessandosi della maglia rosa dopo tre anni. All’inglese, vittima di una foratura, sfugge anche la vittoria di tappa, soffiatagli per 10’’ dal sorprendente Alex Dowsett. Tra gli uomini di classifica, ottime le prove di Evans, Scarponi e Gesink. Grandi delusi di giornata Sanchez, che scivola ad oltre 3’, e Hesjedal, crollato nella seconda parte.
Prendete la classifica che, alla partenza di Napoli, vi aspettavate di trovare stasera, dopo la maxi-cronometro di Saltara; ora rovesciatela, e avrete più o meno la graduatoria che la strada ha plasmato nei primi sette giorni di gara. Il primo snodo chiave della Corsa Rosa, quello che doveva sulla carta regalare a Bradley Wiggins un patrimonio di almeno un paio di minuti su tutti gli avversari, segna invece il passaggio dei galloni di favorito sulle spalle di Vincenzo Nibali, quarto di tappa e nuova maglia rosa di un Giro che ancora deve avventurarsi sul suo terreno preferito.
Che i propositi di supremazia del britannico fossero destinati ad essere ridimensionati, lo si era capito molto presto: dopo un buon avvio, sufficiente a fugare i dubbi su eventuali postumi fisici del capitombolo di ieri, a rallentare la sua marcia ha provveduto una foratura, il cui impatto è stato aggravato dalla lentezza del soccorso dell’ammiraglia Sky. Nemmeno l’evidente blocco psicologico di Wiggo nell’affrontare anche la curva più innocua, però, autorizzava a prevedere i 52’’ accusati nel primo settore dal capoclassifica Alex Dowsett, fra i primi a lasciare la rampa di partenza e al comando ad ogni intermedio sino al termine della prova.
Il successivo tratto, meno tortuoso e più piatto, ha permesso all’inglese di limitare meglio i danni, prima di una brillante ascesa al muro finale che ha addirittura messo a repentaglio la leadership di Dowsett, e ha perlomeno allontanato le prospettive di un’impronosticabile Caporetto.
Penultimo a partire, prima di un Intxausti ben presto costretto a salutare ogni velleità di permanenza in rosa, Nibali ha approfittato meglio di tutti della prova inopinatamente umana del quattro volte olimpionico, creando addirittura a lungo l’illusione di poter fare bottino pieno. Al mostruoso primo intermedio (8’’ di vantaggio su Dowsett), è seguito un meno entusiasmante secondo (1’07’’ di ritardo), prima di una chiusura in linea con quella dell’avversario di riferimento, per un tempo finale più di alto di 21’’ rispetto al vincitore, ma soprattutto di appena 11’’ rispetto a Wiggo.
Se nessuno ha saputo cogliere meglio dello Squalo l’occasione offerta dallo Skyborg di punta, altri hanno comunque visto salire le loro quotazioni; primo fra tutti Cadel Evans, ora secondo a 29’’ da Nibali, nonché autore di un significativo miglior tempo parziale sul muro conclusivo. Alle loro spalle, in graduatoria, si collocano altri due uomini per i quali il Giro sarebbe dovuto essere tutto in salita dopo la crono, che si trovano invece adesso sul podio provvisorio o appena sotto: Robert Gesink, 3° a 1’15’’, sorprendentemente brillante su strade strette e tortuose, a dispetto della fama di guidatore non eccelso, e Michele Scarponi, 5° a 1’24’’, non nuovo a brillanti difese contro il tempo.
Proprio stretto fra i due, a 1’16’’, si trova ora Wiggins, la cui sola opzione per vincere il Giro sembra essere quella di correre in modo antitetico rispetto ai piani: attaccando in salita anziché difendendosi, impiegando la corazzata a disposizione per dinamitare la corsa anziché per addormentarla. Fondamentali, in questo senso, saranno Henao ed Uran, entrambi ancora in top 10: 7° a 2’11’’ il primo (sarebbe addirittura 3° senza il terreno perso ieri per attendere il capitano), 10° a 2’49’’ il secondo. Una risorsa – quella di potersi giocare al momento opportuno dei compagni nelle parti alte della classifica – che Wiggo condivide con il solo Scarponi, forte ancora di un Niemec al 9° posto della generale a 2’44’’, appena 1’’ dietro Mauro Santambrogio.
Se l’inglese esce male dalla crono, può tuttavia rallegrarsi parzialmente pensando di aver recuperato più del previsto su almeno un paio di avversari: Samuel Sanchez, ora distante addirittura 3’43’’ dalla maglia rosa, dopo una di quelle inspiegabili giornate di mediocrità che ne hanno spesso minato il rendimento sulle tre settimane, e soprattutto Ryder Hesjedal, discreto nella prima metà ma disastroso nella seconda, pur restando 6° in classifica a 2’06’’. Entrambi dovranno lavorare di fantasia per rimontare, e già da domani gli sconfitti della crono potrebbero trovare terreno fertile per la vendetta. Le quattro salite della Sansepolcro – Firenze esortano infatti alla battaglia, e il giorno di riposo in programma per lunedì strizza ulteriormente gli occhi agli attaccanti. Il GPM di Vetta le Croci – 4 km al 9% di media – appare il trampolino più intrigante.

Matteo Novarini

18 maggio – 14a tappa: Cervere – Bardonecchia (Jafferau)

NIBALI PADRONE DEL GIRO

Il siciliano attacca sulla salita di Jafferau, trovando la resistenza del solo Mauro Santambrogio. La maglia rosa rinuncia alla volata e cede la tappa al compagno d’avventura, al primo successo in carriera sulle strade del Giro. Perdono terreno Evans e Uran, crolla Gesink. Pesante l’incidenza del maltempo, che ha causato la cancellazione del Sestriere e la mancata diretta televisiva.

Se la cronometro di Saltara e l’arrivo del Montasio lo avevano lanciato come uomo da battere, è stata la salita di Jafferau a fare di Vincenzo Nibali il padrone del Giro d’Italia, a dispetto di una classific generale ancora corta. Evans e Uran, usciti dal primo appuntamento alpino come uniche alternative credibili al messinese, hanno visto le loro quotazioni crollare negli ultimi 2 km, dove la maglia rosa, preso atto del generale attendismo, ha deciso di muoversi in prima persona; e se le difficoltà dell’australiano, già attaccato con i denti al capoclassifica sul Montasio, potevano essere preventivate, meno previste erano quelle incontrate dal colombiano, che proprio a partire da oggi avrebbe dovuto provare ad avvicinare la vetta.
Eppure, il neo-capitano Sky aveva lasciato immaginare qualcosa di diverso, provando a smuovere la corsa a 4 km dal termine, rispondendo – per la verità senza particolare convinzione – ad un allungo di Diego Rosa. Soltanto Mauro Santambrogio e Carlos Betancur, invece, hanno saputo replicare all’affondo del capoclassifica, mentre Evans provava a resistere con la grinta di sempre, ma senza il sostegno dalle gambe degli anni d’oro. Già superato lo striscione dell’ultimo chilometro, e raggiunti Colbrelli e Paolini, ultimi reduci di una fuga inizialmente comprendente anche Pietropolli e Trentin, anche il colombiano di scorta si è dovuto arrendere, lasciando al duo italiano la sfida per il successo parziale.
Sfida in realtà mai cominciata, giacché Nibali ha preferito rinunciare alla volata e cedere una comunque meritatissima vittoria all’avversario. Scelta compiuta forse in ossequio ad una norma non scritta del ciclismo, ma probabilmente anche a criteri di convenienza: già privo dei migliori Aru e Tiralongo, il siciliano ha perso oggi per strada Alessandro Vanotti, vittima di una caduta che ha coinvolto anche Chalapud e ha costretto al ritiro Battaglin. Comprensibile, dunque, che non gli dispiaccia l’idea di garantirsi un occhio di riguardo – o perlomeno la scarsa belligeranza – della Vini Fantini, formazione tra le più in palla e attive del Giro.
A fine giornata, in ogni caso, soltanto Michele Scarponi, giunto a 1’28’’, e Robert Gesink, arrivato dopo 4’16’’, hanno riportato danni consistenti. Uran, 5° all’arrivo, alle spalle di un redivivo Samuel Sanchez, ha contenuto le perdite in 30’’, salvando per 1’’ il podio virtuale dall’assalto di Santambrogio (2’46’’ contro 2’47’’); Evans ha chiuso 3’’ più tardi, restando saldamente 2°, a 1’26’’. Pozzovivo e Kiserlovski, tagliando il traguardo in compagnia dell’ex iridato, lanciano le loro candidature per un piazzamento nei 5 e nei 10 rispettivamente, collocandosi ora al 7° e 12° posto (5’12’’ e 6’42’’ i distacchi). Continuano a tenere botta Niemec, ora 6° a 4’55’’, arrivato davanti al capitano Scarponi, e Majka, 8° a 5’32’’, per 7’’ davanti a Betancur.
A determinare distacchi relativamente contenuti, oltre alla brevità della pur aspra ascesa finale, ha senz’altro contribuito l’eliminazione dal percorso del Sestriere, dovuta ad una nevicata che non ha in realtà mai intaccato la praticabilità della strada. Sorte analoga a quella che rischiano di subire, fra meno di ventiquattro ore, Moncenisio e Galibier, per i quali gli organizzatori continuano a trattare con la prefettura francese competente. Difficile che la tappa possa essere disputata come originariamente disegnata, anche se resiste la speranza di poter percorrere la salita conclusiva almeno fino alla stele dedicata a Marco Pantani, a circa 2300 metri di quota; viceversa, il primo week-end alpino verrebbe quasi del tutto neutralizzato da un maltempo presente, ma non parso tale da giustificare la quasi totale assenza di copertura televisiva: l’aereo ponte necessario alla trasmissione non è infatti decollato per motivi non ancora ben chiariti (la prima spiegazione fornita è stata la possibile formazione di ghiaccio sulle ali, che lasciava però aperto l’interrogativo sul perché tutti gli altri velivoli decollassero regolarmente dall’aeroporto di Caselle; in seguito si è parlato di una sconcertante mancata predisposizione del mezzo; la causa principale è probabilmente di natura burocratica), lasciando alle sole telecamere fisse il compito di raccontare una frazione che avrebbe meritato ben altro.
Impossibile abbozzare previsioni sulla tappa di domani, anche se l’augurio – nel massimo rispetto dell’incolumità dei corridori – è che, per evitare di correre i rischi eccessivi di alcuni ben noti episodi (Gavia 1988 su tutti), non si cada nell’errore opposto, amputando il Giro di passaggi chiave per eccesso di prudenza. Altrimenti, nella giornata in cui la corsa renderà omaggio alla più bella impresa di Marco Pantani, verrà da chiedersi il senso di un simile tributo, se è opinione degli organizzatori che l’indimenticabile cavalcata verso Les Deux Alpes abbia avuto luogo in condizioni non regolari.

Matteo Novarini

23 maggio – 18a tappa: Mori – Polsa (cronometro individuale)

LO SQUALO AZZANNA IL GIRO, EVANS SOFFRE

In attesa dei due tapponi di Val Martello e Tre Cime di Lavaredo su cui però pesa l’incognita meteo Vincenzo Nibali sfodera una prestazione monstre nella cronoscalata Mori-Polsa imponendosi con largo margine su un ritrovato Samuel Sanchez e sulla rivelazione Damiano Caruso e portando ad oltre 4′ il suo vantaggio nella generale sull’australiano della Bmc che vede ridursi drasticamente il suo vantaggio su Rigoberto Urán e Michele Scarponi in chiave lotta per il podio.

Dopo il secondo giorno di riposo e le due frazioni relativamente interlocutorie, sebbene la battaglia anche tra gli uomini di classifica non sia mancata, di Ivrea e Vicenza il Giro d’Italia è entrato nella sua fase decisiva con la 16a tappa, una cronoscalata di 20,6 km da Mori a Polsa caratterizzata da pendenze piuttosto costanti tra il 5 e l’8% lungo tutto il percorso ad eccezione dei due km iniziali pianeggianti e da altri tre di falsopiano subito dopo l’abitato di Brentonico, in corrispondenza del quale al km 9,4 era posto l’unico intertempo di giornata, un tracciato ideale dunque per passisti scalatori come Bradley Wiggins (Team Sky), che però ha ormai da giorni abbandonato la corsa rosa, e di Vincenzo Nibali (Astana), che ha corso da padrone fin qui ma che era ancora in cerca di un successo di tappa al Giro che non arrivava dal 2010, quando si impose in solitudine ad Asolo dopo un gran numero nella discesa del Monte Grappa: il siciliano, malgrado la pioggia che ha iniziato a cadere copiosamente poco dopo la sua partenza, non si è fatto sfuggire l’occasione infliggendo distacchi pesantissimi agli avversari già a metà percorso e continuando a incrementare il vantaggio fino al traguardo con il solo Samuel Sanchez (Euskaltel), tornato stabilmente ai livelli abituali dopo aver perso diverso terreno nella crono di Saltara e nell’arrivo in salita del Montasio, che ha saputo limitare il gap a meno di un minuto chiudendo a 58” e risalendo al 10° posto della generale mentre il terzo gradino del podio è stato occupato a sorpresa da Damiano Caruso (Cannondale), che dopo il tentativo di fuga senza esito nella tappa di Ivrea è uscito di classifica ma in questa cronoscalata ha dato il meglio di sè concludendo a 1′20” e precedendo per solo 1” Michele Scarponi (Lampre-Merida), che dopo un ottimo avvio in cui ha fatto segnare il secondo tempo a Bertonico è un po’ calato alla distanza ma ha comunque guadagnato terreno nella generale su Rigoberto Urán, che al contrario del marchigiano è partito molto lentamente ma si è superato nella seconda metà di gara in cui ha perso solo 6” da Nibali chiudendo 6° a 1′26”, e soprattutto sul grande sconfitto del giorno Cadel Evans (Bcm) che, dopo aver già dato i primi segnali di cedimento nel weekend di montagna franco-piemontese, è incappato in una giornata nera, rischiando addirittura l’onta di essere ripreso dalla maglia rosa partita 3′ dopo di lui e non andando oltre il 25° posto con un distacco di 2′36”, salvando per soli 10” il secondo posto in classifica dall’assalto di Urán. Dal discorso podio non possono essere esclusi neppure i due duellanti per la maglia bianca Rafal Majka (Saxo-Tinkoff) e Carlos Betancur (Ag2r), entrambi autori di ottime prove con il polacco che ha chiuso 5° a 1′25” riprendendosi per soli 2” la leadership nella classifica dei giovani davanti al colombiano 7° a 1′32”, e Przemyslaw Niemiec (Lampre), che al pari del suo capitano Scarponi ha perso qualche secondo di troppo da Brentonico in poi ma ha comunque portato a casa un positivo 12° posto a 1′56”, alle spalle del sempre competitivo in questo tipo di esercizio Stef Clement (Blanco) 8° a 1′36”, del campione italiano a cronometro Dario Cataldo (Team Sky) 9° a 1′41”, di un sorprendente Danilo Di Luca (Vini Fantini) 10° a 1′52” e di Eugeni Petrov (Saxo-Tinkoff) 11° a 1′54” consolidando la sua quinta piazza nella generale davanti a Majka, Betancur e a un Mauro Santambrogio (Vini Fantini), che è scivolato indietro di due posizioni non andando oltre il 24° posto a 2′33” mostrando nuovamente la corda dopo la defaillance sulla salita di Andrate nella tappa di Ivrea: per quanto riguarda gli altri uomini di classifica, il cui obiettivo massimo ora non può che essere un piazzamento nella top ten, si sono comportati discretamente Domenico Pozzovivo (Ag2r), che pur non al meglio per via di una bronchite ha chiuso 15° a 2′11”, e Franco Pellizotti (Androni), da cui magari ci si attendeva qualcosa di più dopo il successo di Plan de Corones del 2008, 16° a 2′12” mentre sono rimasti decisamente al di sotto delle aspettative Beñat Intxausti (Movistar) 28° a 2′49”, Robert Gesink (Blanco) 29° a 2′55” e Robert Kiserlovski (RadioShack) addirittura 39° a 3′46” preceduto anche da un Tanel Kangert (Astana) che si è piazzato 34° a 3′19” e probabilmente non ha dato il meglio di sè per essere il più possibile utile a Nibali nelle ultime giornate di corsa.
Lo Squalo dello Stretto sembra in ogni caso avere ormai ben più di un piede e mezzo sul gradino più alto del podio finale di Brescia in virtù di una condizione straripante mostrata fin dal mese di marzo con la Tirreno-Adriatico e soprattutto di un vantaggio in classifica generale divenuto di tutta sicurezza con Evans 2° a 4′02”, Urán 3° a 4′12”, il duo Scarponi-Niemiec 4° e 5° a 5′14” e 6′09”, Majka 6° a 6′45” e Betancur 7° a 47”: nei prossimi due tapponi di montagna potrà comunque succedere di tutto anche se, alla luce delle previsioni meteo che annunciano neve e temperature ad alta quota ben al di sotto dello zero, non si sa ancora quale sarà il percorso a partire dalla 19a frazione, 139 km da Ponte di Legno in cui, per la prima volta nella storia del Giro, dovrebbero essere scalati nello stesso giorno due moloch come Gavia e Stelvio prima dei 21 km di ascesa finale verso il traguardo ma in cui è più probabile che si opti per un percorso alternativo con l’abbordabile Tonale in partenza e l’impegnativo Castrin a metà percorso anche se a quel punto dalla vetta ai piedi dell’ultima salita mancherebbero ben 60 km di discesa e falsopiano per cui con ogni probabilità la bagarre tra i big sarebbe rimandata ai km conclusivi.

Marco Salonna

25 maggio – 20a tappa: Silandro – Tre Cime di Lavaredo

NIBALI SIGNORE DELLE TRE CIME

La maglia rosa attacca e trionfa in solitaria nella bufera delle Tre Cime di Lavaredo, coronando un Giro vinto da dominatore. Uran, 3° dietro Duarte, strappa la seconda posizione in classifica ad Evans, che resiste a sua volta all’attacco di Scarponi. Maglia bianca a Betancur, 4° al traguardo, capace di soffiarla a Majka malgrado una foratura ai piedi del Passo Tre Croci, e di salire al quinto posto della generale.

Pochi sport sanno mettere alla prova la fede degli appassionati quanto il ciclismo del terzo millennio; e la giornata di ieri – con il caso Di Luca a sommarsi all’annullamento del tappone di Gavia e Stelvio – avrebbe fatto vacillare il più fermo dei tifosi; ma è altrettanto vero che pochi sport sanno riconquistare quegli stessi appassionati traditi con tanta rapidità, cancellando con il pezzo di bravura di un campione la rabbia e l’amarezza. È grazie a Vincenzo Nibali se, dopo la Caporetto di ventiquattro ore fa, il Giro 2013 può tornare a sperare di non essere ricordato soltanto per i tagli di percorso, le montagne annullate o mutilate, il freddo, la neve, alcune non trascurabili pecche organizzative e l’ennesimo affare di doping.
Forte di un margine di oltre 4’ sul più vicino rivale, e scongiurato con una cronoscalata ammazza-classifica il rischio di chiudere in rosa senza successi di tappa, lo Squalo avrebbe sulla carta dovuto limitarsi a controllare nella 20a e penultima tappa, privata di Costalunga, San Pellegrino e Giau per le ben note vicissitudini meteorologiche. Sono però bastate poche decine di chilometri per capire che Nibali sarebbe andato in caccia di una chiosa più incisiva, allorché la Astana – coadiuvata da un’attivissima Euskaltel – ha assunto il comando dell’inseguimento a Brutt, Ermeti, Popovych e Hansen, evasi dopo una trentina di chilometri e giunti ad un vantaggio massimo di 7’ e mezzo.
Virtualmente neutralizzati i fuggitivi già prima dell’ascesa al Tre Croci, approcciata dai quattro con poco più di 2’, a scuotere il gruppo sono stati – più che gli effimeri attacchi di Capecchi, Brambilla e i soliti Weening, Pirazzi e Atapuma – i due stop forzati di Carlos Betancur, fermato da una foratura ai piedi della salita, e da un cambio di bicicletta a metà della stessa. Majka, partito con 2’’ sul colombiano nella classifica dei giovani, ha provato ad approfittarne lanciando il forcing di Petrov, il cui principale esito è stato però quello di riavvicinare il plotone alla testa della corsa, momentaneamente occupata ancora da Brutt, e di distanziare definitivamente Mauro Santambrogio, già in difficoltà sulle prime rampe.
Kiserlovski ci ha provato ai -6, venendo però agilmente controllato da Agnoli e Aru; e proprio il sardo, prendendo di petto i 4 km della vera scalata alle Tre Cime, ha dato il là al numero della maglia rosa. Con 3 km e spiccioli ancora da percorrere, Nibali ha rotto gli indugi, quasi cogliendo di sorpresa lo stesso Kangert, deputato a fargli da apripista. Majka, accodandosi per primo, ha confermato tanto la sua intraprendenza quanto la sua immaturità, incappando in un fuorigiri di cui ha fatto la fortuna di Betancur, rientrato a ritmo più regolare.
Anche il colombiano, ultimo ad arrendersi insieme al connazionale Uran, non ha però potuto reggere a più di due o tre cambi di ritmo del capoclassifica, andato nel frattempo a riassorbire gli attaccanti superstiti. Evans ha dato ad un tratto l’impressione di poter riagganciare i due sudamericani e difendere la piazza d’onore, ma al prezzo di uno sforzo pagato carissimo negli ultimi 1500 metri. Fortuna per l’australiano che il più serio aspirante al podio, Michele Scarponi, abbia faticato ancora una volta più del previsto sul terreno a lui più congeniale, riuscendo soltanto nel finale a scavalcare Cadel, e senza mai attentare seriamente alla terza piazza virtuale.
In mezzo ad una tormenta che ha conferito un tocco epico alle ultime pedalate, Nibali ha costruito un margine di 32’’ nel giro di 2 km, scemato soltanto quando il siciliano si è concesso il meritato arrivo a braccia alzate, mentre i colombiani, divenuti tre con il rientro di un sorprendente Fabio Duarte, si giocavano la piazza d’onore in una volata vinta proprio dall’alfiere Coldeportes. 3°, a 19’’ dal vincitore e a 2’’ dal compatriota, Rigoberto Uran ha comunque scalato un gradino del podio, issandosi alle spalle della maglia rosa, staccato di 4’43’’; altri 2’’ più tardi ha tagliato il traguardo Betancur, ancora costretto a rinviare (a questo punto almeno all’anno prossimo) l’appuntamento con il primo successo in carriera al Giro. Per lui la consolazione della maglia bianca, strappata in extremis a Majka (10° a 1’04’’), e del 5° posto finale, reso tuttavia agrodolce dal pensiero di cosa sarebbe potuto diventare se il tempo fosse stato più clemente negli ultimi due giorni.
Alle loro spalle, uno strepitoso Fabio Aru ha chiuso 5°, davanti a Pellizotti, Pozzovivo, Caruso e Atapuma, mentre Evans, commovente nel suo versare ogni goccia di energia sull’asfalto, lottando contro l’età che avanza e una condizione in picchiata rispetto ad inizio Giro, ha alla fine concesso 1’30’’ a Nibali, ma soltanto 16’’ a Scarponi, salvando per 56’’ la terza piazza. La giornata no della Lampre è completata dalla non entusiasmante prova di Niemec, scavalcato da Betancur e ora 6° in generale, appena davanti a Majka. Completano la nuova top 10 Intxausti, Santambrogio e Pozzovivo, al quale fa spazio un Sanchez più indecifrabile che mai, crollato ad oltre 2’ dopo la splendida cronoscalata e il lavoro comandato ai suoi per quasi tutto il giorno, superato anche da Pellizotti.
Soltanto incidenti e contrattempi potrebbero modificare la graduatoria domani, quando il Giro ritroverà pianura e temperature più miti dirigendosi verso Brescia, per una passerella che potrebbe consentire a Cavendish di riappropriarsi della maglia rosa, passata oggi sulle spalle di Nibali. Non crediamo che Vincenzo, nel caso, farà drammi, dopo aver regalato a se stesso un Giro, e al Giro un finale all’altezza.

Matteo Novarini

La vittoria sotto la neve di Nibali alle Tre Cime di Lavaredo (foto Bettini)

La vittoria sotto la neve di Nibali alle Tre Cime di Lavaredo (foto Bettini)

03-11-2022

novembre 3, 2022 by Redazione  
Filed under Ordini d'arrivo

GRAND PRIX SAKIA EL HAMRA

L’emiratino Ahmed Al Mansoori (nazionale emiratina) si è imposto nella corsa marocchina, Laayoune – Boujdour, percorrendo 140 Km in 2h29′30″, alla media di 56.187 Km/h. Ha preceduto allo sprint i marocchini Youssef Bdadou (nazionale marocchina) e Mounir Makhchoun (regionale marocchina). Nessun italiano in gara.

NIBALI STORY – CAPITOLO 13: QUANDO LO SQUALO MOLÒ I DENTI DELLA SEGA

novembre 3, 2022 by Redazione  
Filed under News

C’è da fare il “tagliando” in vista della Corsa Rosa e Nibali sceglie di effettuare l’ultima preparazione in gara prima del via del Giro in Trentino, dove già si era imposto nel 2008. Stavolta c’è da andare allo scoperta di una salita inedita, mai affrontata prima in una corsa ciclistica e che 8 anni più tardi metterà alle corde un corridore del calibro di Egan Bernal al Giro: è la Sega di Ala, che lo “Squalo dello Stretto” doma alla sua maniera riuscendo a togliere la maglia di leader dalle spalle del francese Bouet, che la indossava con quasi 4 minuti di vantaggio su Nibali

LO SQUALO ATTACCA, STACCA TUTTI E VINCE

Arrivo in solitaria per Vincenzo Nibali (Astana) sul traguardo di Sega di Ala. Il siciliano dell’Astana ha preceduto di 7 secondi Mauro Santambrogio (Vini Fantini) e di 44 la coppia Niemec (Lampre-Merida)-Aru (Astana). Più staccato invece Bradley Wiggins causa incidente meccanico durante la scalata finale. Per Nibali c’è anche la soddisfazione di vincere anche la classifica generale di questa 37esima edizione del Giro del Trentino.

Niente fuga oggi, ma questo si sapeva; d’altronde quell’ultima dura salita era troppo appetibile a coloro che avessero ancora voglia di smuovere le acque in classifica generale. Sull’ultima ascesa le acque si sono smosse alla grande con un Vincenzo Nibali in ottima condizione che è riuscito a staccare sulle ultime rampe un Mauro Santambrogio in versione “Hard to die”.
Un plauso va anche allo sconfitto di questa tappa, ovvero Maxime Bouet, che, nonostante abbia perso la maglia di leader, è riuscito, con la fuga bidone del primo giorno, a rendere il Giro del Trentino una corsa diversa da quella che poteva essere.
Tappa odierna che partiva da Arco e terminava a Sega di Ala dopo aver percorso 166 chilometri contraddistinti da 2 GPM nell’ultima parte: Brentonico di 2a categoria ai meno 34 dall’arrivo e la salita finale di Sega di Ala segnalata addirittura come Hors Categorie (“fuori categoria) per quei 13 chilometri con pendenza media del 9% e massima del 20.
Prima parte della frazione animata da una fuga composta da dieci corridori: Serpa (Lampre-Merida), Gautier (Europcar), Sella (Androni-Venezuela), Zardini (Bardiani-CSF), Bongiorno (Bardiani-CSF), Pantano (Colombia), Txurruka (Caja Rural), Taciak (CCC Polsat), Huzarski (NetApp-Endura) ed Antunes (Ceramica Flaminia). Fuggitivi che avranno un vantaggio massimo di circa tre minuti, ma il gruppo tirato in particolare dagli uomini Vini Fantini per Santambrogio annullano il vantaggio ai piedi della salita finale. Sulle prime rampe dell’ascesa si muove prontamente l’Astana di Vincenzo Nibali con Agnoli e Tiralongo che con il loro ritmo scremano il gruppo ad una ventina di unità. É Tiralongo che rompe gli indugi e allunga portandosi dietro Nibali e pochi metri dopo anche tutti i favoriti, tranne Wiggins: l’inglese, causa la rottura del cambio, è costretto a fermarsi e ripartire solo dopo il cambio della bicicletta, ma il tempo trascorso non permetterà all’inglese di recuperare il gap.
Nel frattempo in testa alla corsa sono rimasti sette corridori: Tiralongo che fa il ritmo seguito da Nibali e Aru (Astana), Santambrogio (Vini Fantini), Niemec (Lampre-Merida), Evans (BMC) e Locatelli (Bardiani-Csf).
Ai meno 5 dalla vetta c’è il primo allungo di Nibali, l’azione del siciliano costringe alla risposta immediata il solo Santambrogio, che dopo un grande sforzo riesce a rientrare su Vincenzo. Dietro rimangono uniti ad inseguire Evans, Niemec e Aru.
Ma questo Nibali non si accontenta, ed è così che sull’ultima rampa prima del falsopiano, si alza sui pedali e riparte: questa volta per Mauro Santambrogio non c’è nient’altro da fare che arrendersi.
Al traguardo Nibali giunge a braccia alzate precedendo il capitano della Vini Fantini di 4 secondi. Seguono nell’ordine: Niemec ed Aru a 44 secondi, Evans a 1′01”, Locatelli a 1′10, Pirazzi a 1′35, Garcia e Wiggins a 1′37 e, decimo, Rolland a 2′20.
In classifica generale c’è il ribaltone: Bouet essendo arrivato con 4′30 di ritardo è costretto a capitolare e a consegnare la maglia di leader a Vincenzo Nibali che si aggiudica anche la classifica finale. Sul podio salgono Santambrogio e Bouet: il primo con un ritardo di 21 secondi di ritardo, mentre il secondo con 55.
In prospettiva Giro d’Italia spiccano senz’altro le vittorie di Nibali, ma non possiamo dimenticare Bradley Wiggins: il vincitore dello scorso Tour de France è parso in forma nonostante i guasti meccanici. Ottime le prove dei giovanissimi Locatelli e Aru, con il sardo che si aggiudica fra l’altro la maglia di migliore giovane. Discreta la performance di Evans, mentre da rivedere quelle di Basso, Scarponi (ma almeno il marchigiano della Lampre si è fatto vedere nella tappa di ieri) e Pellizotti.

Paolo Terzi

Nibali stacca Santambrogio e si lancia verso il vertice del Giro del Trentino (foto Bettini)

Nibali stacca Santambrogio e si lancia verso il vertice del Giro del Trentino (foto Bettini)

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