NIBALI STORY – CAPITOLO 16: LE PRIME FIAMMATE DI UN TOUR INDIMENTICABILE

novembre 6, 2022
Categoria: News

Se la stagione 2014 era partita con il freno a mano tirato per Nibali, fin da subito invece il Tour su cui lui aveva puntato con tutte le forze decolla all’insegna dello scalatore siciliano. Lo Squalo si veste di giallo con un attacco a sorpresa a Sheffield nel finale della seconda tappa e poi sorprende di nuovi tutti dimostrando di essere competitivo anche sul pavè della Roubaix, dopo la prematura uscita di scena del vincitore dell’anno precedente Chris Froome.

6 luglio – 2a tappa: York – Sheffield

NIBALI, CHE COLPO! TAPPA E MAGLIA GIALLA A SHEFFIELD

Il siciliano se ne va negli ultimi 2 km della seconda tappa, e precede di 2’’ il gruppetto dei migliori sul traguardo di Sheffield, al termine di una tappa dura e nervosa. Beffato Greg Van Avermaet, che ha regolato allo sprint Kwiatkowski e Sagan, grande deluso di giornata. Scaramucce, sul temuto strappo di Jenkin Road, anche tra Froome e Contador, annullatisi tuttavia a vicenda.

Cinque anni dopo Rinaldo Nocentini e la sua settimana in giallo fra Pirenei e Alpi, un italiano torna ad issarsi in vetta alla classifica generale del Tour de France; ma se allora le insegne del primato erano solo in prestito sulle spalle del toscano, in attesa che Contador limasse i minuti lasciati ai fuggitivi nella tappa di Arcalis, questa volta finiscono addosso ad un corridore con l’intenzione di mantenerle e i mezzi per farlo. A spezzare il digiuno giallo italiano ha infatti provveduto Vincenzo Nibali, trionfatore in solitaria nella seconda tappa del Tour, al termine di 201 km più da classica ardennese che da frazione della prima settimana di Grande Boucle. Certo, le possibilità di vittoria finale del siciliano non mutano in virtù dei 2’’ guadagnati oggi su Froome e tutti gli altri, sorpresi da un colpo di mano a 2 km dal traguardo, ma è ora difficile non pensare che l’avvicinamento di Nibali al Tour, che tante perplessità aveva alimentato nel corso della stagione, sia stato in realtà ottimale.
E dire che il canovaccio della giornata, pur risentendo di uno dei tracciati più nervosi che il Tour de France abbia proposto in anni recenti e non solo, non pareva granché favorevole ad un uomo da grandi montagne come il messinese. Già la prima ora di gara, in luogo della battaglia feroce per entrare in fuga che l’altimetria suggeriva, aveva invece visto il gruppetto buono sganciarsi dopo pochi chilometri, lasciando intendere una frazione meno agitata del previsto. I sette uomini così evasi (Matthew Busche, Blel Kadri, Perrig Quéméneur, David De La Cruz, Bart De Clercq, Armindo Fonseca e Cyril Lemoine) non hanno in realtà mai ricevuto un vero semaforo verde dal plotone, che ha sempre mantenuto il divario intorno alla soglia dei tre minuti, ma anche la Côte de Holme Moss, virtuale inizio della fase cruciale di tappa, vedeva il plotone salire ad andatura poco bellicosa.
Se non per assistere ad una prima vera selezione, l’unica salita di seconda categoria in programma era comunque utile per assistere ad uno di quegli eventi senza i quali un Tour de France non sarebbe tale: il primo scatto di Thomas Voeckler. Un attacco grazie al quale l’alsaziano si portava brevemente in testa alla corsa, raggiungendo Blel Kadri, ormai unico superstite del drappello in avanscoperta, salvo poi rimbalzare inopinatamente nell’ultimo chilometro di ascesa, fino ad essere riassorbito prima da Edet, e poi da un terzetto formato da Tony Martin, Burghardt e Gautier.
Tutti gli attaccanti venivano riassorbiti entro la salita successiva, la Côte de Midhopestones, da un gruppo ormai privo dei velocisti più puri – inclusa la maglia gialla Kittel -, ma comprendente Peter Sagan e Richie Porte, rimasti attardati poco prima dell’Holme Moss, a causa di una foratura e di una caduta rispettivamente. Proprio allora, con ancora 35 km da percorrere, la Garmin operava il primo vero forcing di giornata, evidenziando subito quali fossero le potenzialità del tracciato odierno: nello spazio di 5 km, tra Midhopestones e Broomhead (salita non classificata come GPM), il gruppo dei migliori si riduceva da un centinaio di unità a venticinque, con il solo Sagan presente tra gli uomini veloci.
La sfuriata aveva comunque vita breve, e il successivo rallentamento consentiva ad una cinquantina di corridori di rientrare, restituendo al gruppo un aspetto meno da alta montagna.
Per registrare una nuova scossa, si dovevano attendere gli ultimi 200 metri della Côte d’Oughtibridge, penultima difficoltà sul menù, grazie al solito Pierre Rolland. Il francese se ne andava in compagnia di Jean-Christophe Péraud, guadagnando in breve una quindicina di secondi sugli inseguitori, ma vedendo l’offensiva stoppata dalla scarsa collaborazione del connazionale. Anche l’estremo tentativo del principale animatore dello scorso Giro d’Italia, sbarazzatosi della zavorra di Péraud a 12 km dal traguardo, risultava vano, lasciando che i favoriti si giocassero tappa e maglia gialla sul temutissimo strappo di Jenkin Road.
I muri al 33% di cui si era parlato in rete – a meno che non fossero riferiti a tratti di lunghezza inferiore al metro – si sono rivelati poco meno distanti dalla realtà delle voci su Zoff in gol di fantozziana memoria, ma gli 800 metri al 10.8% di media della rampa offrivano comunque a Contador e Froome l’occasione per le prime scaramucce del loro atteso duello. Prima lo spagnolo e poi l’inglese testavano se stessi e l’avversario, ma senza la convinzione necessaria a scavare solchi significativi su una salita tanto breve. Nibali seguiva senza patemi le accelerazioni di entrambi, e Sagan, pur più sofferente in viso, pedalava sempre nelle prime cinque posizioni.
Dopo una discesa condotta con autorevolezza al comando dallo slovacco, e alcuni innocui allunghi di Van den Broeck, Fuglsang e Van Avermaet, è arrivato lo scatto buono: a 2 km dall’arrivo, approfittando di un attimo di studio, Nibali ha individuato un varco per partire passando dal centro del gruppo, evitando così di preannunciare l’attacco, annullando il bonus sorpresa. La sparata è stata abbastanza secca da garantire al siciliano alcune decine di metri di margine, e qualche istante d’attesa di troppo fra gli inseguitori, unito al preziosissimo lavoro di stopper di Fuglsang, gli ha consegnato la prima vittoria di tappa in carriera al Tour de France. Un tentativo di rimonta promosso da Rui Costa in vista del triangolo rosso, appoggiato da Chris Froome in persona, è naufragato negli ultimi 500 metri, e la volata di Van Avermaet, capace di bruciare Kwiatkowski nello sprint fra i battuti, è servita soltanto a ridurre il vantaggio di Nibali a 2’’, sufficienti comunque a regalare al campione d’Italia la sua prima maglia gialla. Sagan, parso avviato alla conquista di tappa e primato ad appena 2 km dal termine, ha chiuso solo quarto, concludendo a mani vuote una giornata nella quale ha provato tutto il suo talento e tutti i suoi limiti.
Una conquista tanto prematura della maglia gialla ha ovviamente le sue controindicazioni, a cominciare dal lavoro che la Astana sarà chiamata a svolgere nei prossimi giorni, qualora decidesse di conservare più a lungo possibile la testa della generale. Oneri che rischiano di pesare, in ottica vittoria finale, più dei 2’’ guadagnati oggi da Nibali.
D’altro canto, sarà difficile per il messinese rinunciare di proposito alla prima maglia gialla in carriera, e non soltanto perché ciò comporterebbe l’obbligo di tornare a sfoggiare l’aberrante maglia tricolore approntata dalla Astana. Per fortuna sua e della sua squadra, all’orizzonte si profilano due frazioni per velocisti, nelle quali formazioni come Giant e Lotto potrebbero sobbarcarsi larga parte dell’inseguimento alle fughe del giorno, e quella del pavé, nella quale correre in testa sarebbe stato in ogni caso tassativo. A quel punto, una cessione della leadership potrebbe non dipendere più dalla volontà o meno di conservarla.
Matteo Novarini

9 luglio – 5a tappa: Ypres – Arenberg

NIBALI GIGANTE DELLE PIETRE

Il siciliano compie un’impresa sul pavé della quinta tappa, chiudendo al terzo posto una frazione flagellata dal maltempo, a 19’’ dal vincitore, Lars Boom. Ritiro a metà percorso per Chris Froome, dopo la seconda caduta in tratti in asfalto. Distacchi pesanti per gli altri uomini di classifica: 48’’ per Kwiatkowski, 1’43’’ per Van den Broeck, 1’52’’ per Porte, 2’03’’ per Talansky, 2’09’’ per Valverde, Van Garderen e Rui Costa, 2’25’’ per Mollema, 2’35’’ per Contador.

Nibali che scappa in giallo, Froome che si ritira, Contador che affonda, i grandi della Roubaix a darsi battaglia sulle pietre bagnate che da tanti anni mancano ad aprile, gli uomini di classifica sparpagliati lungo un tracciato di per sé impegnativo, reso massacrante dalla pioggia, dal vento e dal nervosismo che ha disseminato cadute prima ancora dell’imbocco del primo tratto in pavé. Per raccontare nel dettaglio tutti gli eventi che hanno trasformato la quinta tappa nel primo snodo chiave del Tour de France 2014 sarebbe necessario lo spazio di un romanzo, anziché quello di un articolo di cronaca sportiva. Trovandoci costretti a scegliere, però, non abbiamo dubbi nell’assegnare la priorità all’impresa di un Vincenzo Nibali che, forte delle sue 0 partecipazioni complessive alle classiche delle pietre, ha avuto l’ardire di seminare specialisti del calibro di Sagan e Cancellara, per involarsi verso un terzo posto di tappa che non ha mai avuto un sapore tanto simile a quello del trionfo. Fondamentale, per lanciare il siciliano al primo vero allungo in classifica della Grande Boucle, la schiacciante superiorità di una Astana sulla carta priva di maghi del pavé, ma rivelatasi nei fatti la squadra padrona di una tappa destinata a lasciare strascichi polemici e fisici.
Oggetto del contendere, sin da ieri sera, la fermezza dell’organizzazione nel confermare il regolare svolgimento della tappa, accettando soltanto stamane, ad un paio d’ore dal via, di fronte alle pressioni di corridori e squadre, di cassare i due tratti in pavé nelle peggiori condizioni, quelli di Mons-en-Pévèle e Orchies à Beauvry-la-Forêt, ridotti ad acquitrini. Due tagli che hanno ridotto il computo dei chilometri di pavé a 13 (dai 15 e mezzo circa originali) e di quelli complessivi a 152, ma senza mutare nella sostanza il senso della frazione.
Chi auspicava una partenza tranquilla, alla luce del percorso e delle condizioni meteo da tregenda che hanno salutato la partenza, con pioggia da telefilm americano e raffiche di vento trasversali, è rimasto deluso: nemmeno il tempo di abbassare la bandiera che già Tony Martin e Lieuwe Westra stavano provando a promuovere la fuga, riuscendo nell’intento dopo una manciata di chilometri. I due hanno trovato in Tony Gallopin, Marcus Burghardt, Rein Taaramäe, Simon Clarke, Matthew Hayman, Janier Acevedo e Samuel Dumoulin dei validi compagni di viaggio, mentre Giovanni Visconti, in compagnia di Brice Feillu, ha atteso qualche istante di troppo prima di entrare in azione, senza riuscire così a chiudere i trenta secondi che già separavano il gruppo dai battistrada. Con un compagno di Nibali (Westra), uno di Kwiatkowski (Martin), uno di Van den Broeck (Gallopin), uno di Van Garderen (Burghardt) e uno di Talansky (Acevedo) in avanscoperta, bastava una rapida occhiata alla composizione del drappello per intuire quale sarebbe stato l’andazzo della giornata.
Un contributo decisivo alla selezione feroce che si sarebbe di lì a poco registrata è stato fornito dal passo sostenuto dal plotone già prima dell’imbocco dei tratti in pavé, ben esemplificato dai 49 km percorsi in una prima ora pur martoriata dal meteo. Andatura che contribuiva peraltro a rendere dispendiosi i rientri in gruppo dei molti corridori finiti a terra in curve e rotonde varie, fra cui spiccava ancora una volta il nome di Chris Froome: dopo una trentina di chilometri, il campione uscente ha battuto a terra il fianco rimasto sano ieri, in quello che sarebbe stato il preludio al secondo e ben più rovinoso capitombolo, destinato a cambiare le gerarchie della Grande Boucle.
Fra le tante scivolate prive di conseguenze che si sono succedute – paradossalmente più su asfalto che su pietra -, una delle quali costringeva intanto Acevedo a salutare il drappello di testa e attendere il plotone, una delle poche a lasciare traccia è stata infatti la seconda di Froome, ad una settantina di chilometri dal termine. Malgrado gli incitamenti di David Lopez e dei meccanici fermatisi ad assisterlo, il kenyano bianco, scosso nella mente e nel fisico, con un braccio destro bloccato che non promette un rapido recupero, ha scelto di salire in ammiraglia, chiudendo dopo neppure una settimana la sua seconda campagna francese da leader. Additare l’organizzazione come responsabile, approfittando della coincidenza del ritiro con la giornata del pavé, parrebbe piuttosto pretestuoso, visto che le tre cadute in due giorni che hanno messo fuori combattimento il vincitore dell’anno passato sono arrivate tutte su strade asfaltate.
Sulle prime pietre, a prendere in mano le redini del gruppo, staccato a quel punto di due minuti e mezzo circa da un gruppetto di testa orfano anche di Burghardt, lasciatosi sfilare per restare al fianco di Van Garderen (il senso del suo ingresso in fuga rimane oscuro), è stata la Tinkoff di Contador, diventato in un attimo l’unico faro del Tour. Davanti si è formato un drappello di una trentina di corridori, ben presto rinfoltito però dal rientro dei drappelli di Van Garderen e Valverde, rimasti attardati causa caduta poco prima del pavé di Gruson au Carrefour de l’Arbre.
Per assistere alla vera scossa, però, si è dovuto attendere il secondo settore, quello di Ennevelin à Pont-Thibaut: Contador ha commesso la leggerezza di approcciare il tratto a centro gruppo, e le inevitabili fratture in gruppo hanno relegato lo spagnolo nella seconda metà del plotone, in compagnia – tra gli altri – di Rui Costa, Valverde, Van Garderen e Porte. Astana e Lotto non si sono lasciate sfuggire l’attimo, e il lavoro congiunto delle due formazioni ha ben presto dilatato il divario fino ad una quarantina di secondi.
A sparpagliare definitivamente i resti del plotone ha quindi provveduto il tratto di Bersée, ed in particolare una curva a sinistra sbagliata da metà del gruppo maglia gialla, valsa a Lars Bak il premio per il capitombolo più spettacolare di giornata, con cappottamento completo e atterraggio in un fosso. Boom e Vanmarcke – unico corridore a criticare la scelta dell’organizzazione di tagliare i due settori allagati – hanno attaccato, e le repliche arrivate dagli avversari hanno provocato una serie di buchi che Nibali è stato abilissimo ad evitare. Al ritorno sull’asfalto, il siciliano, dopo aver evitato con riflessi e abilità di guida notevoli (oltre ad un pizzico di fortuna) il povero Gruzdev, cadutogli davanti, è riuscito ad accodarsi in extremis a quello che si sarebbe poi rivelato il trenino buono.
Forte dell’appoggio di Fuglsang e Westra, lasciatosi raggiungere, e della collaborazione di una Omega Pharma presente con Kwiatkowski e tre compagni, il siciliano ha potuto respirare in mezzo al gruppetto di una dozzina di uomini così formatosi, rimpolpato poco dopo dal ricongiungimento con gli ultimi superstiti della fuga.
Con tutti gli altri uomini di classifica distanti oltre un minuto, la giornata stava già assumendo per la maglia gialla i contorni del trionfo, ma è stato negli ultimi 25 km che Nibali ha completato il suo capolavoro. Superati in scioltezza il quartultimo e il terzultimo settore, neutralizzando un’effimera sfuriata di Sagan, la Astana è passata al contrattacco nel tratto di pavé più lungo in programma, i 3700 metri di Wandignies-Hamage à Hornaing. Westra – MVP morale di giornata – ha speso le ultime energie per accelerare nella seconda metà del settore, e all’uscita, voltandosi, ha trovato nella sua scia soltanto Fuglsang, Nibali e Boom, che non ha esitato ad offrire la propria collaborazione al trio di maglie originariamente azzurre, ormai smaltate di fango.
Westra ha alzato bandiera bianca prima ancora di arrivare al settore di Hélesmes à Wallers, e né il danese né il messinese hanno avuto la forza di tenere il ritmo imposto da uno specialista delle pietre come l’olandese della Belkin, andato a cogliere il primo successo stagionale. I 19’’ lasciati al vincitore non sminuiscono tuttavia in alcun modo la portata dell’impresa di Fuglsang e Nibali, 2° e 3° al traguardo, capaci di mettersi alle spalle per 42’’ Sagan (4°), Cancellara (5°) e Keukeleire (6°) e di 48’’ Kwiatkowski, primo inseguitore fra gli uomini di classifica. Per tutti gli altri big, il cronometro ha registrato passivi pesantissimi: Van den Broeck, penalizzato da una foratura nel terzo settore, ha lasciato 1’43’’ alla maglia gialla; Porte, autore di una notevole ma tardiva rimonta finale nella scia di Geraint Thomas, ha accusato 1′52’’; Talansky (stessa disdetta di Van den Broeck) ha ceduto 2’03’’; Valverde, Rui Costa e Van Garderen addirittura 2’09’’; Contador, infine, ha pagato più di tutti, perdendo addirittura 2’35’’ dal rivale, e destando una pessima impressione nei chilometri finali, quando ha perso le ruote del drappello di Valverde.
Pensare che Nibali abbia le mani sul Tour de France dopo cinque giorni sarebbe folle, e significherebbe dimenticarsi della classe di alcuni degli avversari oggi distanziati, Contador in primis. Nulla di quanto visto finora, inoltre, può fornire indicazioni sui rapporti di forza che osserveremo, da sabato, in montagna. Se le ambizioni di successo finale del siciliano passavano per la capacità di approfittare dei terreni più insidiosi e delle tappe più nervose, però, si può dire che Vincenzo abbia superato sin qui le più ottimistiche aspettative. La nuova generale vede infatti Kwiatkowski a 50’’, Van den Broeck a 1’45’’, Porte – divenuto capitano unico Sky – a 1’54’’, Talansky a 2’05’’, Valverde, Van Garderen e Rui Costa a 2’11’’, Contador a 2’37’’. Distacchi non certo incolmabili, ma che rendono i propositi di vittoria manifestati alla vigilia più fondati di quanto i primi mesi di stagione lasciassero immaginare.

Matteo Novarini

Nibali precede Cancellara in un tratto in pavé (foto Roberto Bettini)

Nibali precede Cancellara in un tratto in pavé (foto Roberto Bettini)

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