NIBALI STORY – CAPITOLO 29: NON SOLO GIOIA E TRIONFI
Nella carriera di un grande campione non ci sono solo gioie e trionfi, ma anche pagine che si vorrebbe dimenticare. Di Coppi, per esempio, non si rammentano soltanto le grandi imprese in montagna ma anche la famosa caduta ai piedi delle Scale di Primolano durante il tappone dolomitico del Giro del 1950 nella quale si fracasso il bacino, costringendolo ad una lunga convalescenza, dopo la quale riuscirà ancora a vincere, imponendosi in un Tour e in due edizione della Corsa Rosa. I tifosi di Gimondi, invece, ricordano ancora con terrore gli attimi d’angoscia che si vissero al Giro del 1976, quando rimase per qualche minuto a terra privo di senso dopo aver battuto il capo sull’asfalto nella tappa di Longarone, incidente dal quale si riprese al punto che qualche giorno più tardi riprese definitivamente la maglia rosa nella cronometro dell’ultimo giorno. Sotto questo aspetto anche Nibali ha avuto i suoi bei grattacapi, tra la clavicola rotta alle Olimpiadi di Rio nel 2016 e la frattura della vertebra rimediata a due passi dal mitico traguardo dell’Alpe d’Huez, al Tour del 2018, quando fu spedito a terra da una moto del seguito. Riviviamo ora quelle due pagine della storia del ciclismo italiano
6 agosto 2016 – Gara olimpica di Rio de Janeiro
NIBALI SOGNA, POI CADE. L’ORO E’ DI VAN AVERMAET
Una splendida gara olimpica vede il siciliano al comando in vetta all’ultima salita, in compagnia di Sergio Henao e Rafal Majka. Il sogno della medaglia d’oro sfuma però in discesa, quando Nibali cade insieme al colombiano. Il polacco, rimasto solo al comando, viene raggiunto a 2 km dall’arrivo da Van Avermaet, che conquista l’oro, e Fuglsang, medaglia d’argento, ed è costretto al gradino più basso del podio. L’Italia si deve accontentare del 6° posto di Aru.
A 12 km dal traguardo, la prima medaglia italiana ai Giochi di Rio era quasi cosa fatta. Nibali, magistralmente lanciato da Fabio Aru al penultimo Giro, aveva operato la selezione sperata sull’ultima salita, portando con sé i soli Sergio Henao e Rafal Majka, rimasti agganciati con i denti nel finale dell’ascesa. Dietro, nessuno aveva gregari da spendere, mentre l’Italia poteva contare su Fabio Aru, pur provato dal lavoro svolto in precedenza, in veste di stopper. La conquista dell’oro, viste le limitate doti di sprinter del messinese, sarebbe stata impresa complessa ma non proibitiva, al cospetto di altri due scalatori non noti per il loro spunto veloce.
Il lavoro dell’Italia per mettere il capitano nelle condizioni migliori era cominciato da lontano, quando Alessandro De Marchi era stato tra i primi ad attivarsi nell’inseguimento alla fuga della prima ora, promossa da più di un nome eccellente (Albasini, Kwiatkowski e Pantano su tutti, oltre a Geschke, Bystrom e Kochetkov). Al friulano si erano uniti i soli Erviti e Stannard, ma l’inferiorità numerica non aveva impedito ai tre di riportare entro margini di sicurezza il distacco dalla testa, giunto a toccare anche gli 8 minuti.
Nella lunga fase centrale, svoltasi su un primo circuito, comprendente le salite di Grumari e Grota Fonda, ad animare la corsa è stato perlopiù il vento, che intorno a metà percorso, nel tanto chiacchierato tratto in pavé, ha ad un tratto spezzato il gruppo in tre tronconi, prima del ricompattamento generale. Già in questa fase si sono chiamati fuori dal discorso medaglie atleti di alto livello, fra cui Tim Wellens, già staccato, e Wouter Poels, in chiaro affanno in coda al gruppo. Per l’Olanda si trattava della seconda uscita di scena, dopo il ritiro di Tom Dumoulin nei chilometri iniziali. Da chiarire le condizioni dell’uomo da battere nella prova a cronometro.
Lo scenario è cambiato quando la corsa ha imboccato il secondo circuito, la cui asperità principale, l’ascesa di Canoas, ha subito provveduto a falcidiare il sestetto di testa, riducendolo ai soli Kwiatkowski e Kochetkov. Dietro, l’Italia prendeva in mano la situazione, prima piazzando in testa al gruppo Diego Rosa (in generale al di sotto delle attese, ad onor del vero), utile a lasciare indietro, fra gli altri, Poels, Gilbert e Boasson Hagen; quindi lanciando l’attacco di Damiano Caruso, marcato stretto da Geraint Thomas e Greg Van Avermaet e seguito in un secondo momento anche da Rein Taaramae e Sergio Henao.
Il quintetto non ha mai acquisito un margine tale da impensierire più di tanto i favoriti, ma la sua mera presenza è stata sufficiente a costringere la Spagna ad entrare in azione. Caruso e compagni, nella tornata successiva, sono rientrati sulla testa della corsa, dove Kwiatkowski si era nel frattempo sbarazzato di Kochetkov. Le salite non hanno selezionato granché il plotone, scosso solo, per qualche chilometro, da un contrattacco non troppo minaccioso lanciato da Durasek.
A spaccare la gara ha provveduto invece la discesa, lungo la quale Richie Porte, cadendo, si aggiungeva alla lista dei big fuori gioco: Aru ha accelerato, con Nibali nella sua scia; i soli Fuglsang, Majka e Yates hanno avuto la prontezza di accodarsi, e quando il quintetto così formatosi si è riportato sui battistrada, il vantaggio ha fatto in tempo a salire a 50’’ prima che in gruppo venisse imbastito un inseguimento degno di tale nome. Fondamentale era la presenza in testa di Caruso, Kwiatkowski e Thomas tre, elementi sacrificabili per i leader appena rientrati, benché l’inglese non abbia fornito grande collaborazione e l’iridato di Ponferrada sia stato fermato pochi chilometri più tardi dai crampi.
L’emergenza costringeva intanto la Spagna ad una scelta fra i propri due capitani: Valverde si è sacrificato nell’inseguimento, consegnando i gradi di capitano unico a Purito. E se gli iberici non avessero trovato un inatteso alleato in Cancellara, evidentemente molto fiducioso nelle possibilità di Steve Morabito, la lotta per le medaglie si sarebbe di fatto ristretta ai battistrada già prima dell’ultimo giro.
Il lavoro di Caruso si è esaurito ai piedi dell’ascesa di Canoas, dove ha ceduto il testimone a Fabio Aru. Dietro è stato Kangert il primo a tentare la rimonta, rimbalzando però dopo poche centinaia di metri. Di ben altro spessore, invece, il contrattacco di Rodriguez e Meintjes, capaci di rifarsi sotto proprio mentre Nibali cominciava la sua serie di attacchi. Froome provava a sua volta la rimonta solitaria, arrendendosi però dopo un paio di chilometri. Alaphilippe, dopo aver atteso fin troppo, riusciva allora a saltare il vincitore dell’ultimo Tour e a riportarsi a sua volta nella scia di Purito e Meintjes.
Quella che pareva dover essere l’azione decisiva è nata sulla meno impegnativa delle due salite del circuito, quella di Vista Chinesa: Nibali è partito, Henao ha rilanciato, il siciliano ha ribattuto a sua volta, e il solo Majka ha tenuto botta, perdendo solo una manciata di metri, ricucita con passo regolare. Un ulteriore scatto di Nibali, a un chilometro circa dalla vetta, è parso per qualche istante poter lanciare il messinese verso una cavalcata solitaria, ma Henao ha provveduto con non pochi patemi a ricompattare il trio.
Forti di un margine di una quindicina di secondi al momento dello scollinamento, i tre si sono lanciati in discesa a rotta di collo, mentre Alaphilippe, con un paio di curve disegnate col compasso, riusciva a distanziare di qualche metro il resto degli inseguitori. Davanti, era Nibali a dettare le traiettorie, e l’impressione era che solo il francese potesse almeno ridurre il distacco dai battistrada.
Finché, a 12 km dal traguardo, la prima moto riprese ha mostrato prima Henao a terra, a bordo strada, e poi, pochi metri più avanti, lo stesso Nibali, in condizione analoga. La dinamica della caduta, in mancanza di immagini, dovrà essere ricostruita più avanti, in base alle testimonianze dei protagonisti. Argomento di interesse francamente limitato, al cospetto di una medaglia quasi vinta e sfumata sul più bello. Di lì a poco, sempre senza una telecamera a riprenderlo, anche Alaphilippe, il solo a potersi riportare sul terzetto, è finito a terra, riuscendo però a ripartire in tempi celeri e ad accodarsi al drappello di Aru.
Majka, il meno collaborativo e probabilmente il più stanco dei tre al comando, si è così ritrovato solo al comando nelle più rocambolesche delle circostanze, con una ventina di secondi da gestire. Dietro, per almeno un paio di chilometri, non si è vista neppure una parvenza di collaborazione, e la sensazione, a 6 km dal traguardo, era che l’oro fosse quasi al collo del polacco.
Nella girandola di scatti e controscatti, però, dal drappello inseguitore è evasa la coppia Van Avermaet-Fuglsang, che ha invece trovato subito un accordo impeccabile. La sagoma del polacco, davanti agli occhi dei due, si è fatta via via più grande, fino al ricongiungimento a 2 km dalla conclusione. Nulla poteva più impedire uno sprint a tre, e nulla poteva impedire a Van Avermaet, nettamente il più veloce, di fare polpette dei compagni di avventura.
Non è eresia parlare di una componente di fortuna nell’oro del belga, ma non si deve tuttavia perdere di vista l’impresa compiuta da un corridore che quasi nessuno considerava tra i papabili medagliati su un tracciato tanto selettivo (basti pensare che Sagan, corridore dalle caratteristiche non lontanissime da quelle del fiammingo, ha ritenuto il percorso olimpico così impegnativo da virare sulla mountain bike). E aiuta ad attenuare la delusione per la mancata medaglia azzurra pensare che a vincere sia stato un corridore dal credito sterminato con la sorte.
Fuglsang ha preceduto Majka, mentre Alaphilippe ha vinto l’inutile volata dei battuti, davanti a Purito e ad un ottimo Aru. Quello del sardo è un 6° posto che non può bastare a consolare per la sventura di Nibali, ma che evita almeno all’Italia di non figurare nelle zone alte della classifica, dopo una gara condotta in maniera magistrale, indubbiamente la migliore sotto la guida di Davide Cassani.
Estendendo il discorso, possiamo dire che la prova olimpica è stata di gran lunga la più spettacolare gara per nazionale degli ultimi anni. Merito, oltre che dell’intraprendenza degli azzurri, di un percorso all’altezza, come raramente ne abbiamo visti nei Mondiali recenti; dei 5 corridori (al massimo) per squadra, che ha reso impossibile anche alle compagini più forti un pieno controllo sulla corsa; forse anche della mancanza di radioline, che ha peraltro prodotto una situazione paradossale ad un centinaio di chilometri dal traguardo, quando Chris Froome, costretto ad un cambio di bici, ha dovuto inseguire per alcuni chilometri in compagnia di Geraint Thomas, mentre Cummings teneva alto il ritmo in testa al gruppo. Sarà difficile, però, ricordare la gara di oggi per il bello spettacolo, anziché per la maledetta caduta nell’ultima discesa.
Matteo Novarini
19 luglio 2018 – Tour de France – 12a tappa: Bourg-Saint-Maurice – Alpe d’Huez
THOMAS VINCE IN GIALLO MA IL PIÙ GRANDE E’ KRUIJSWIJCK
Grandissima azione dell’olandese della LottoNL-Jumbo che è andato in fuga solitaria per moltissimi chilometri ed ha percorso da solo al comando la curva degli olandesi sull’Alpe. Nei chilometri final scoppia la battaglia e Nibali, vittima di una caduta assurda, limita al minimo i danni grazie anche ad un rallentamento dei primi rotto da Bardet, bramoso di allungare la striscia dei vincitori francesi. Allo sprint vince Thomas, ma Dumoulin, che oggi era dato in difesa, non perde un metro ed anzi, con un’accelerazione, dà anche qualche grattacapo al keniano bianco.
Finalmente una tappa meravigliosa e piena di emozioni, non tanto per la battaglia finale sull’Alpe d’Huez, che si è sviluppata come al solito negli ultimissimi chilometri, ma per la grandissima azione di Steven Kruijswijk (LottoNL-Jumbo) che, dopo essersi inserito nella fuga iniziale, se n’è andato da solo sulla salita del Col de la Croix-de-Fer guadagnando un margine enorme in pochi chilometri. Per un lungo tratto l’olandese ha mantenuto un margine di 6 minuti sul gruppo maglia gialla, poi ovviamente il peso della lunghissima fuga e quello del tratto pianeggiante al vento verso l’inizio dell’Alpe d’Huez si è fatto sentire, ma il bravissimo scalatore olandese è riuscito a non colare a picco e, anche dopo essere stato raggiunto e staccato dai primi, ha retto bene ed è giunto al traguardo con soli 53 secondi di ritardo, mantenendo anche l’ottava in classifica generale.
Queste sono le azioni che tutti vorrebbero vedere in corse prestigiose come il Tour de France, queste sono le azioni coraggiose e, se vogliamo, scriteriate che rimangono però il sale del ciclismo, l’aspetto che rende questo sport il più bello che esista.
Sarebbe stato bello e meritato vedere Kruijswijk in giallo o, almeno, vederlo vincere la tappa, ma in ogni caso gli elogi non saranno mai sufficienti per un corridore che si trovava, e si trova tuttora, ancora ben messo in classifica e che inscena una azione del genere da solo, rischiando di saltare.
La classe dell’olandese si era già vista al Giro d’Italia del 2016 quando solo la rovinosa caduta nella discesa del Colle dell’Agnello gli impedì di vincere alla grande quell’edizione della Corsa Rosa.
Anche in quel caso Kruijswijk attaccò da lontano ma quell’azione, anche se ebbe un esito migliore, non è paragonabile per bellezza e fascino a quella di oggi e ogni appassionato non può non aver sperato che quest’impresa finisse nel migliore dei modi.
L’altro episodio chiave della giornata è stata l’assurda caduta di Vincezo Nibali (Bahrain Merida), causata da una moto. Naturalmente un’organizzazione come quella di ASO, bravissima nel fare pubblicità, da alcuni anni fa ha cominciato a scricchiolare e perdere colpi, dalla scena di Froome a piedi sul Ventoux allo sgonfiamento improvviso dell’arco dell’ultimo chilometro, gonfiato ad aria compressa, nella tappa del Lac de Payolle, episodi entrambi verificatisi al Tour del 2016.
Chris Froome e Geraint Thomas (Sky) si sono cavallerescamente fermati per aspettare il siciliano, poi Romain Bardet (AG2R La Mondiale) ha rotto l’equilibrio scattando. Non è che si possa pretendere che i primi si fermino in occasioni del genere, perché va bene il fair play, ma la corsa era in una fase caldissima, la vittoria sull’Alpe è il sogno di ogni ciclista e quelli davanti si stavano giocando il Tour de France.
Nel dopocorsa Paolo Slongo, direttore sportivo dello “Squalo” si è recato dalla giuria per chiedere che Nibali fosse accreditato del tempo dei primi, come accadde nel caso della caduta di Froome sul Ventoux, ma stavolta i giudici di gara hanno deciso di considerare l’episodio come “incidente di gara” e così confermato il distacco di 13 secondi accusato dal siciliano. Chi scrive ritiene la decisione giusta, anche perché non si può sapere come sarebbe andata se l’incidente non si fosse verificato. Tuttavia, visto il precedente di Froome, per un’ovvia applicazione del principio che vuole situazioni uguali trattate in modo uguale, Nibali avrebbe dovuto vedersi accreditato il tempo dei migliori. Ovviamente il peso economico di una squadra come la Sky è molto superiore a quello di una squadra come la Bahrean, ma sarà davvero difficile per ASO giustificare questa discrasia nella valutazione.
Nibali, comunque, è stato davvero bravo perché non si è lasciato prendere dal nervosismo ed è risalito in bicicletta, riuscendo a recuperare molti secondi con un’ottima azione, anche se la fase di attesa ha sicuramente favorito in parte l’inseguimento. Lo “Squalo” è, ovviamente, sembrato molto deluso dopo il traguardo perché, come ha detto ai microfoni dei giornalisti, si sentiva bene (aveva anche provato un allungo per saggiare la reazione degli avversari) ed aveva intenzione di provare nel finale a vincere la tappa, magari riuscendo anche a guadagnare qualche secondo sui rivali e pareggiare il conto con gli olandesi nelle vittoria in cima a questa storica ascesa, conquistata per la prima volta nella storia dal Campionissimo.
Gli olandesi, in effetti, oggi si sono fatti onore perché, oltre all’immenso Kruijswijk, bisogna sottolineare anche l’ottima prova di Tom Dumoulin (Sunweb) che, pur non reagendo alle accelerazioni violente di Froome, è riuscito a chiudere il buco che si era aperto come al solito con il ritmo e nel finale ha anche provato un’accelerazione che aveva lasciato in debito Froome e Bardet. Su una salita diversa da quella di ieri e adatta agli scalatori, pure il fortissimo cronoman della Sunweb non ha pagato alcun dazio ed ha pure conquistato l’abbuono riservato al secondo piazzato.
A questo punto una considerazione tattica va fatta anche in casa Sky. Dumoulin ha solo 11 secondi di ritardo da Froome e, se l’olandese dovesse resistere ancora sulle montagne che mancano, nella cronometro del penultimo giorno potrebbe sopravanzare il keniano bianco ed allora Thomas, che ha un vantaggio abbastanza consistente su di lui in generale ed è anche forte a cronometro, potrebbe essere la scelta migliore nella squadra per vincere, a meno che Froome non riesca a confezionare un’azione come quella nata sul Colle delle Finestre, in condizioni che però erano ben diverse da quelle attuali.
La considerazione prende ancor più corpo se si pensa che sinora Thomas non è affatto sembrato inferiore a Froome e oggi si è addirittura andato a prendere la vittoria di tappa in maglia gialla, al termine di una tappa durissima.
Nairo Quintana, invece, dopo un velleitario scatto ha pagato un dazio molto pesante, nonostante la condotta di gara della Movistar (sballata secondo chi scrive) avesse fatto pensare che il colombiano fosse intenzionato a sferrare un grande attacco. In casa Unzué si è, invece, salvato Mikel Landa, che è sembrato in difficoltà quando è stato dato fuoco alle polveri, ma – anche grazie al rallentamento seguito alla caduta di Nibali – è riuscito a rientrare sui migliori ed ha addirittura tentato la volata lunga per vincere.
Da segnalare, inoltre, che Primož Roglič (Team LottoNL-Jumbo) è arrivato insieme a Nibali a 13 secondi da Thomas ed è quinto in generale a 2′46″ oltre ad essere un bruttissimo cliente a cronometro.
Oggi la corsa non è decollata dai primi chilometri, in quanto i vari scatti non hanno portato al formarsi di una fuga, ma sotto i colpi della Movistar, che con Andrey Amador riduce di molto il gruppo, nasce quasi spontaneamente un tentativo foltissimo e molto interessante per le presenze. Nella fuga ci sono, infatti, Alejandro Valverde (Movistar), Kruijswijk (LottoNL-Jumbo) e Ilnur Zakarin (Katusha-Alpecin), che sono in classifica generale. Insieme a loro, troviamo Mikel Nieve (Mitchelton-Scott), Warren Barguil (Fortuneo-Samsic), Pierre Rolland (EF Education First-Drapac), Daniel Navarro (Cofidis) e alcuni big “decaduti” come Rafał Majka (Bora-Martínez) e Tejay Van Garderen (BMC). Nel corso della salita alcuni corridori perdono terreno e davanti restano così Daniel Martinez, Pierre Rolland (EF Education First-Drapac), Pierre Latour (Ag2r La Mondiale), Laurens Ten Dam (Sunweb), Barguil, Maxime Bouet, Amaël Moinard (Fortuneo-Samsic), Gorka Izagirre (Bahrain-Merida), Nieve, Amador, Valverde (Movistar), Van Garderen (BMC), Julian Alaphilippe (Quick-Step Floors), Majka, Gregor Mühlberger (Bora-Hansgrohe), Jasper Hansen (Astana), Serge Pauwels (Dimension Data), Zakarin, David Gaudu (Groupama-FDJ), Kruijswijk, Robert Gesink (LottoNL-Jumbo), Romain Sicard (Direct Énergie), Nicolas Edet, Navarro, Anthony Perez (Cofidis) e Marco Minnaard (Wanty – Groupe Gobert).
La Sky non fa un gran ritmo – anche perché quello di Amador aveva causato alcune defezioni, poi rientrate, nel team britannico – e il tentativo d’attacco prende consistenza con Alaphilippe che va a conquistare il GPM del Col de la Madeleine per raggranellare punti per la maglia a pois.
Nel fondovalle si muove Rolland, che aveva tentato in vari modi di convincere gli uomini in buona posizione in classifica a desistere per permettere che il tentativo potesse decollare.
Rolland resta solo sui Lacets di Montvernier ma, nella discesa successiva, viene raggiunto prima da Kruijswijk e Valverde e poi anche da altri componenti del gruppo originario. Sulle rampe della Croix-de-Fer, il vantaggio sul gruppo resta intorno ai 4 minuti e Kruijswijk decide che deve aumentare e va a sollecitare violentemente l’andatura, voltandosi ripetutamente nella speranza che qualcuno lo segua. Non c’è nulla da fare: nessuno tiene il ritmo dell’olandese che prende il coraggio a due mani e se ne va da solo, riuscendo tosto a distanziare moltissimo gli inseguitori e il gruppo.
All’inseguimento dell’olandese si forma un gruppetto con Barguil, Majka e Nieve, mentre più indietro restano Valverde, Zakarin, Rolland e Gesink.
Visto il dilatarsi del vantaggio, Ag2R e Movistar aumentano il ritmo, causando il distacco di Bauke Mollema (Trek – Segafredo) e Adam Yates (Mitchelton-Scott), che già ieri avevano mostrato di non essere in condizione.
Il vantaggio di Kruijswijk al GPM è di 3 minuti sui più immediati inseguitori, 4 sul gruppo di Valverde e 6 su quello della maglia gialla. In discesa l’olandese mantiene il vantaggio che, invece, scende inevitabilmente nel tratto di pianura prima di iniziare a salire i 21 leggendari tornanti.
Gli inseguitori non ci credono più e vengono ripresi dal gruppo, in testa al quale gli Sky si mettono a fare un gran ritmo. Sulla salita è Egan Bernal che impone un ritmo forsennato e riduce ad undici unità il gruppo, dal quale si stacca Daniel Martin che ieri, invece, era sembrato in stato di grazia.
Bardet prova a partire in contropiede su un allungo di Landa e resta a lungo davanti a bagnomaria con pochi secondi sul gruppo dei migliori, nel quale ci sono ora solo Thomas, Froome, Dumoulin, Nibali, Roglič, Landa e Bernal, mentre Quintana appare in difficoltà.
A poco meno di 4 Km dall’arrivo cade Nibali e Thomas mette piede a terra, mentre Froome accelera e chiude su un bravissimo Kruijswijk, che si stacca ma non va alla deriva. Dopo un momento di attesa per vedere se Nibali poteva rientrare, parte Bardet, che non riesce a staccare nessuno. Dumoulin, invece, riesce solo per un attimo a distanziare gli altri, eccetto Thomas che rimane incollato alla sua ruota. Si arriva così in volata con Thomas che precede Dumoulin e Froome.
Roglič e Nibali arrivano dopo 13 secondi, mentre Kruijswijk chiude con 53 secondi di ritardo. Archiviate le Alpi, bisognerà stare attenti alle tappe che porteranno la carovana ai Pirenei, perché sono piene di insidie e qualcuno, vista la solidità della Sky, potrebbe cercare di approfittare proprio dei trabocchetti previsti dalle prossime giornate. Domani si annuncia, comunque, una delle ultime tappe facili del Tour 2018, anche se non è così scontato che si arrivi in volata perchè parecchi velocisti si sono ritirati nelle ultime due tappe (Gaviria, Groenewegen e Greipel oggi, Kittel e Cavendish ieri) e ben poche saranno le squadre che avranno l’interesse di collaborare affinchè si rientri sui fuggitivi di giornata.
E a propositi di ritiri, c’è il rischio concreto che domani mattina non si possa schierare al via proprio Vincenzo Nibali, in questi momenti ricoverato in ospedale per accertamenti temendosi una frattura vertebrale che lo costringerà ad un lungo stop, mettendo a repentaglio anche la sua partecipazione al mondiale.
Benedetto Ciccarone

Nibali a terra sulla salita dell'Alpe d'Huez
17-11-2022
novembre 19, 2022 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
VUELTA AL ECUADOR
L’ecuadoriano Santiago Montenegro (Movistar-Best PC) si è imposto nella sesta tappa, San Gabriel – Cayambe, percorrendo 179 Km in 4h46′14″, alla media di 37.528 Km/h. Ha preceduto di 2″ il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) e di 3″ il connazionale Bryan Raul Obando (Team Cys Tecnology). Nessun italiano in gara. Chalapud è ancora leader della classifica con 1′01″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 4′01″ su Montenegro
NIBALI STORY – CAPITOLO 28: A SANREMO IL NIBALI CHE NON TI ASPETTI
Alzi la mano chi avrebbe puntato un soldo sulla vittoria di un corridore come Nibali alla Milano – Sanremo? La classica primaverile da decenni è divenuta terreno di caccia per velocisti, mentre si sono drasticamente ridotte le possibilità di successo per quei corridori che vogliono tentare la sortita sulla salita del Poggio, mitica quando si vuole ma tutt’altro che dura. Infatti per trovare la vittoria di uno scalatore nell’albo d’oro della Classicissima bisognava tornare indietro nel tempo fino al 1994, quando si era imposto Giorgio Furlan. Ma c’è un corridore che ha dimostrato che quando ci sono classe e volontà sono raggiungibili i traguardi più insperati, anche a dispetto dell’età che avanza: è così il 17 marzo del 2018 il 35enne Nibali ha messo la classica “ciliegina” sulla sua carriera scattando a 7 Km dal traguardo di Sanremo, nel punto di massima pendenza del Poggio,e involandosi a prendere la sua seconda classica monumento dopo il Lombardia nonostante il disperato inseguimento del gruppo, che è riuscito a raggiungere lo “Squalo” proprio sulla linea d’arrivo, ma quando oramai era troppo tardi.
LO SQUALO SBANCA LA SLOT DELLA SANREMO
Vincenzo Nibali vince alla grande la Classicissima con un’azione di forza sul Poggio che non lascia scampo agli avversari. Il tentativo di inseguimento di Trentin naufraga negli ultimi chilometri sull’Aurelia, tratto in cui Nibali stringe i denti e riesce per un soffio a resistere al disperato tentativo di rientro del gruppo. Beffati i velocisti che, fino al Poggio, erano riusciti a tenere chiusa la corsa in un modo per loro ideale.
Non è la sua corsa in assoluto e quella di quest’anno non lo era neppure in modo relativo, visto come si è sviluppata. Ma Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) è noto per essere in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro quando meno te lo aspetti ed è esattamente quello che ha fatto oggi, inventandosi un’azione che, per audacia ed imprevedibilità, ha lasciato tutti di stucco, favorendo così il guadagno di un piccolo gruzzoletto di secondi, che gli hanno consentito di presentarsi sul rettilineo d’arrivo con un vantaggio sufficiente a tagliare il traguardo di Via Roma braccia al cielo, nonostante il disperato tentativo di recupero del gruppo, andato praticamente in porto sulla linea d’arrivo, quando oramai era troppo tardi.
In realtà, due elementi potevano far presagire da un lato il possibile tentativo del siciliano, dall’altro la concreta possibilità di vincere. Durante le fasi importanti della corsa Nibali ha, infatti, fatto a “sportellate” per riuscire a mantenere le posizioni migliori in gruppo, sia sui tre storici capi, sia sulla Cipressa, e questo è l’elemento che poteva ingenerare il sospetto che lo “Squalo” fosse venuto a questa corsa per tentare di fare risultato. La caratteristica della Sanremo che, invece, poteva far pensare alla possibilità per un corridore come Nibali di imporsi era il chilometraggio. Per un fondisti di talento come lui, i più di 300 Km da percorrere (considerando anche i 7,5 Km da pedalare per raggiungere il via ufficiale) potevano essere l’elemento decisivo per riuscire a fare la differenza, nel momento nel quale le energie degli avversari si sarebbero ridotte al lumicino. La progressiva riduzione delle distanze delle corse attuali fa sì che, specialmente i più giovani, non siano più abituati a chilometraggi come quello della Sanremo, che ha lasciato la propria lunghezza quasi invariata rispetto al 1907, anno della prima edizione.
La vittoria di Nibali, inoltre, ha riportato questa meravigliosa corsa nella sua giusta dimensione per quanto riguarda la levatura dei vincitori. Scorrendo l’albo d’oro si trovano nomi come quelli di Girardengo, Binda, Bartali, Coppi, Merckx, Gimondi, De Vlaeminck, Fignon, Bugno,Chiappucci, Jalabert, oltre a molti altri che tralasciamo solo per brevità.
Nel ciclismo moderno, però, le caratteristiche del percorso hanno molto spesso portato alla volata, premiando i velocisti ma, anche in quei casi, coloro che sono riusciti a vincere sono stati quelli che hanno retto meglio il chilometraggio che oggi solo questa corsa presenta.
La Cipressa e il Poggio non sono salite durissime e, per di più, vengono percorse a velocità spesso molto elevate anche se regolari, rendendo difficili tentativi di attacco. Tuttavia, dopo aver percorso 290 K anche questa strategia di gara può saltare ed è esattamente ciò che è accaduto oggi. I velocisti sono riusciti a tenere narcotizzata la corsa nonostante la capitolazione della fuga già dal Capo Berta, quando mancavano ancora 40 Km alla conclusione. Sulla Cipressa uomini come Démare (Groupama – FDJ) sono andati in carrozza, leccandosi i baffi pensando alla volata finale nella quale le loro possibilità sarebbero state significativamente elevate. Anche la media molto bassa, dovuta anche al veloce formarsi di una fuga con uomini senza grandi pretese ed alla pioggia che è caduta copiosa per moltissimi chilometri prima di lasciar spazio ad ampie schiarite, sembrava favorire i velocisti, che così potevano risparmiare energie.
La fuga, come si diceva, è partita dopo pochissimi chilometri di gara ed era composta da Mirco Maestri e Lorenzo Rota (Bardiani – CSF), Evgeny Koberniak (Gazprom – Rusvelo), Guy Sagiv e Dennis Van Winden (Israel Cycling Academy), Sho Hatsuyama (NIPPO – Vini Fantini – Europa Ovini), Charles Planet (Novo Nordisk), Matteo Bono (UAE Team Emirates) e Jacopo Mosca (Wilier – Selle Italia).
Questi uomini hanno avuto un vantaggio massimo vicino ai 7 minuti, ma il gruppo ha sempre tenuto sotto controllo l’azione di costoro, che hanno preso moltissima acqua durante la loro azione. Il tentativo ha intrapreso il viale del tramonto nella marcia di avvicinamento alla fase calda della corsa ed è terminato definitivamente lungo la discesa del Capo Berta, dopo che il gruppo di testa si era appena sgretolato sulle pendenze più cattive del celebre strappo. In quel frangente il primo grosso nome a farne le spese è stato quello del tedesco Marcel Kittel (Team Katusha – Alpecin), che partecipava alla Sanremo per la prima volta in carriera.
Da questo momento è stata una guerra di posizione, con gli uomini più blasonati impegnati a tenere le migliori posizioni, anche perché ritrovarsi dietro in queste fasi potrebbe anche voler dire salutare definitivamente le speranze di vittoria. Diverse cadute si sono registrate negli ultimi 40 Km e la più paurosa è stata certamente quella occorsa a Mark Cavendish (Dimension Data) che, nel tratto immediatamente precedente l’imbocco del Poggio, è andato ad impattare violentemente contro uno spartitraffico posto dopo l’uscita di un rondò, facendo un volo pauroso e venendo centrato da un altro corridore che sopraggiungeva.
Sulla Cipressa, gli uomini di Démare hanno tenuto una andatura molto regolare e neppure l’avvicendarsi in testa degli Sky ha potuto scalfire la tranquillità del campione francese che, nella pericolosa discesa successiva, ha messo di nuovo in testa i suoi uomini e si è ripresentato sull’Aurelia addirittura con qualche secondo di vantaggio sul resto del gruppo, ancora composto da ben oltre cento unità.
Nel generale tentativo di restare davanti si è arrivati al Poggio con i migliori intenti a fare a spallate. Appena iniziato lo salita è partito Marcus Burghardt (Bora – Hansgrohe), che sembra più intenzionato ad accelerare l’andatura del gruppo in vista di un attacco di Peter Sagan piuttosto che a staccare gli altri. Quasi subito Jean-Pierre Drucker (BMC) si è riportato sul tedesco ma, tramontato tale tentativo, si è mosso Krists Neilands (Israel Cycling Academy) con a ruota Vincenzo Nibali. Dietro si sono marcati un po’ troppo, pensando ad un tentativo effimero e, nel tratto più duro della salita, lo “Squalo dello Stretto” ha provato l’affondo deciso, riuscendo a guadagnare una decina di secondi grazie all’indecisione di Sagan e Michał Kwiatkowski (Sky), che continuavano a marcarsi tra loro aspettando ognuno che fosse l’altro a prendere in mano la situazione. In un simile quadro l’esperto Matteo Trentin (Mitchelton-Scott), intuito il pericolo concreto, si è lanciato all’inseguimento ed un’altra volta Sagan e Kwiatkowski non sono saltati sulla ruota del corridore di Borgo Valsugana, lasciandolo da solo all’inseguimento di Nibali. Trentin ha continuato l’inseguimento nella discesa ma, una volta ritornato sull’Aurelia, il gruppo, lanciato a forte velocità, lo ha tosto riassorbito.
Gli ultimi 2,8 Km sono stati i più duri per Nibali che, dopo aver affrontato la discesa a forte velocità, ha dovuto dare fondo a tutte le energie per resistere al ritorno del gruppo su vialoni dritti e larghi da percorrere faccia al vento. In un simile terreno, 100 corridori che inseguono un uomo solo sono certamente in grado di recuperare una decina di secondi ma, ancora una volta, gli avversari del messinese non sono riusciti a condurre un inseguimento strutturato, procedendo un po’ disordinatamente alla ricerca di una quadra che non hanno mai trovato. Il vantaggio di Nibali ha cominciato a polverizzarsi solo quando da dietro hanno lanciato lo sprint lungo. Tutto ciò non è stato sufficiente per raggiungere il bravissimo siciliano che ha tagliato lo storico traguardo di Via Roma con almeno un paio di biciclette di vantaggio su Caleb Ewan (Mitchelton-Scott) che ha preceduto Arnaud Démare.
Dopo l’ormai lontano successo di Filippo Pozzato, datato 2006,, la Classicissima prende di nuovo la strada dell’Italia, grazie ad un numero veramente pregevole di Vincenzo Nibali.
Anche se la condotta di gara degli avversari dopo l’attacco ha certamente favorito la vittoria del siciliano, non si può non apprezzare la classe e la fantasia di questo atleta che si conferma un fuoriclasse che, dove non arriva con le gambe, arriva con la testa e con una perfetta visione di gara.
Dopo la conclusione, Nibali affermerà che la strategia di gara era quella di fare da stopper per portare alla volata Sonny Colbrelli, ma è apparso chiaro che l’inserimento in eventuale tentativo era finalizzato a tenere aperte entrambe le possibilità per la squadra.
La stagione delle classiche monumento non poteva iniziare in un modo migliore e si spera che anche la corse del Nord possano offrire grande spettacolo e qualche soddisfazione per i nostri atleti che vi parteciperanno. Il prossimo grande appuntamento sarà rappresentato dalla Gand-Wevelgem di domenica prossima, che anticiperà di una settimana l’atteso Giro delle Fiandre, quest’anno in calendario il giorno di Pasqua.
Benedetto Ciccatone

Nibali all'attacco sul Poggio, dove osano le grandi aquile della Sanremo (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 27: IL LOMBARDIA RITROVA IL SUO SQUALO
Se nel 2016 aveva scelto di “tradire” il Lombardia per andare a correre in Kazakistan il Tour of Almaty, la corsa sponsorizzata dalla sua ex squadra, nel 2017 Nibali decide di ritornare sul luogo dove dodici mesi prima aveva messo la firma, per la prima volta in carriera, sulla Classica delle foglie morte. Ad invogliarlo è anche il fatto che, dopo che l’edizione precedente s’è disputata sul meno prestigioso percorso inverso, il Lombardia torna a corrersi da Bergamo in direzione di Como sul tracciato classico, con il Ghisallo e il Muro di Sormano ad anticipare il tradizionale finale che prevede di scalare in successione Civiglio e San Fermo della Battaglia. Anche stavolta il suo affondo parte nella discesa del Civiglio e per gli altri la pinna dello “Squalo” diventerà imprendibile….
LO SQUALO FA IL BIS SUL LUNGOLAGO CON UN’AZIONE ALLA SUA MANIERA
Vincenzo Nibali conferma il feeling che lo lega al lungolago di Como. Dopo il successo del 2015, lo Squalo si conferma e con una grande azione, caratterizzata da un’ottima strategia di gara oltre che da una condizione invidiabile. Dopo aver ripreso Pinot, che aveva fatto di diavolo a quattro sul Civiglio, lo ha staccato in discesa ed ha aumentato il vantaggio sul successivo tratto in pianura e sulla salita di San Fermo della Battaglia.
Nibali non si smentisce, dal 2013 ad oggi ha sempre regalato grandi prestazioni. Se nel 2013, nel 2014 e 2016 ha conquistato un grande giro, nel 2015 e nel 2017 si è imposto al Giro di Lombardia con grandi azioni degne della sua classe. Quest’anno, inoltre, ha portato a casa una grande vittoria che è arrivata sia grazie alla condizione ottima del siciliano, sia grazie ad una perfetta strategia di gara.
Quanto al primo elemento va osservato che Vincenzo ha comunque centrato due podi in altrettanti grandi giri disputati, impreziositi da prestigiose vittorie di tappa come quella dello Stelvio, e che le sue caratteristiche di fondista gli hanno permesso di uscire dalla Vuelta con una grandissima condizione che rischiava di essere compromessa da una microfrattura. Lo “Squalo dello Stretto” è stato in grado di non farsi condizionare da tale sfortunato fuori programma e si è presentato al meglio ai nastri di partenza dell’ultima classica monumento di questa stagione.
Riguardo al secondo elemento, è bastato guardare la corsa per apprezzare l’ottima strategia adottata dal capitano della Bahrain Merida. Con una squadra non al meglio il siciliano ha cercato di far lavorare la formazione nella prima parte, prima dello scoppio della bagarre, per poi rimanere in posizione di controllo sul Civiglio. Ha chiuso sul primo allungo di Pinot (FDJ), mentre ha preferito lasciarsi sfilare sul secondo per poi partire deciso dalla retrovie con una progressione irresistibile. Ha saltato Pozzovivo (AG2R La Mondiale) a doppia velocità e si è riportato in men che non si dica sulla scatenato francese, che aveva tentato di mettere tutti alla frusta. Nella seconda parte della discesa Nibali, conscio delle difficoltà che Pinot ha sempre avuto in questo terreno di gara, ha forzato per andarsene. Il transalpino ha però dimostrato di essere migliorato molto e, pertanto, il vantaggio accumulato dallo “Squalo” non era rassicurante. A questo punto il messinese, come i migliori passisti, ha cercato di fare una sorta di cronometro nel tratto di pianura. Anche in questo terreno Pinot ha fatto ottimi progressi rispetto a qualche anno fa, ma in corse di elevato chilometraggio conta moltissimo il fondo dell’atleta, la resistenza agli sforzi prolungati ed in questa specialità Vincenzo non ha certo nulla da imparare. Le energie rimaste e la gestione dello sforzo hanno, infatti, permesso a Nibali di aumentare progressivamente sia il vantaggio sul gruppo, sia quello su Pinot, che sulla salita finale ha pagato gli sforzi tanto da essere raggiunto dal gruppo in vista dello scollinamento del San Fermo. Il connazionale Alaphilippe (Quick-Step Floors), che con un allungo era stato il primo a riprendere Pinot, ha fatto valere le sue doti di discesista nel disperato tentativo di riportarsi su Nibali, ma ormai il vantaggio era talmente ampio da permettere al siciliano di gestirsi senza prendersi eccessivi rischi, come ha dovuto invece fare Alaphilippe scendendo a rotta di collo verso Como.
A proposito di discesa va segnalata la paurosa caduta di Laurens De Plus (Quick-Step Floors) che è volato al di là del guard rail scendendo dalla Colma dei Sormano, finenendo nella sottostante scarpata. Per fortuna le conseguenze di questa rovinosa caduta non sono state gravi come si era temuto in un primo momento.
La corsa è partita forte sin dalle prime battute, tanto che Davide Ballerini (Androni – Sidermec) e Jacques Janse Van Rensburg (Dimension Data), che erano stati i primi ad uscire dal gruppo, restano per molti chilometri a bagnomaria con un vantaggio di una manciata di secondi senza che il tentativo riuscisse a prendere concretezza. La situazione si sblocca quando i due attaccanti vengono raggiunti da Pierpaolo De Negri (Nippo – Vini Fantini), Lorenzo Rota (Bardiani – CSF), Mathias Le Turnier (Cofidis) e Lennard Hofstede (Team Sunweb). A questo punto il gruppo rallenta sensibilmente e la fuga prende il largo, arrivando ad avere un vantaggio massimo di dodici minuti sul Colle del Gallo. Sono a questo punto la Cannondale e la Bahrain Merida che si portano in testa al gruppo, aumentando notevolmente il ritmo e dimezzando il gap nel giro di pochissimi chilometri. Una volta riportato sotto controllo lo svantaggio, il gruppo ha cominciato a viaggiare alla stessa velocità dei fuggitivi per diversi chilometri, fino a quando Movistar, Lotto Soudal e Sky non hanno preso in mano le operazioni per andare a ridurre ulteriormente la distanza dai fuggitivi che, ai piedi del Ghisallo, conservavano un margine intorno ai due minuti.
Sulla salita verso la Madonna dei Ciclisti iniziano a muoversi gli outsiders con Primož Roglič (Lotto NL – Jumbo), Laurens De Plus (QuickStep – Floors), Rodolfo Torres (Androni – Sidermec), Jan Polanc (UAE Team Emirates) e Mikaël Cherel (AG2R La Mondiale) che, partendo in contropiede sul tentativo di Jesús Herrada (Movistar Team) e Andrei Grivko (Astana), riescono a sfuggire al controllo del gruppo.
Tra i fuggitivi Ballerini tenta di allungare, ma Le Tournier resiste all’attacco ed in un secondo momento stacca l’italiano andandosene tutto solo, mentre tra i contrattaccanti sono Cherel e De Plus, che riescono a resistere al ritmo di Roglič . Anche in questo caso saranno i due che si erano accodati a staccare chi aveva promosso il cambio di ritmo. Cherel e De Plus riescono a riportarsi sul battistrada in vista del prestigioso scollinamento, mentre in gruppo iniziano a muoversi le acque con Philippe Gilbert (QuickStep – Floors), Mathias Frank (AG2R La Mondiale), Alessandro De Marchi (BMC), Fabrice Jeandesboz (Direct Énergie), Enrico Battaglin (Lotto NL – Jumbo) e Diego Rosa (Sky) che mettono la testa avanti ma vengono ripresi ai piedi della salita verso la Colma di Sormano che, anche quest’anno, è stata raggiunta dalla via del prestigioso muro, con pendenze sino al 27%.
Su questa salita la situazione dietro si ricompatta con i contrattaccanti, ma il gruppo va progressivamente perdendo pezzi ed assottigliandosi chilometro dopo chilometro, mentre davanti Cherel stacca i due compagni di avventura. In discesa, De Plus si prende qualche rischio di troppo per cercare di ricucire e finisce al di là del parapetto, lasciando tutti col fiato sospeso finché non arriva la notizia delle buone condizioni generali del belga.
Al termine delle discesa Gilbert e De Marchi ci riprovano, ma con loro stavolta c’è anche Pello Bilbao (Astana). I tre riprendono Cherel ma da dietro i ritmi aumentano in vista delle fasi cruciali della corsa con la FDJ di Pinot in testa a fare l’andatura.
Gli attaccanti devono alzare bandiera bianca sulle prime rampe del Civiglio ed a quel punto scoppia la battaglia tra i grandi. Al primo allungo di Alexis Vuillermoz (AG2R La Mondiale) risponde Nairo Quintana (Movistar) con Nibali che riporta sotto anche gli altri. Il secondo tentativo è di Gianni Moscon (Sky) che tenta di soprendere tutti partendo in contropiede in un momento di rallentamento generale. L’italiano viene seguito dal giovane Sam Oomen (Team Sunweb) prima e da Ben Hermans (BMC) poi. A sfruttare la scia di Hermans ci pensa Pinot che, con poche pedalate, si riporta sulla testa. Stavolta è Nibali a reagire per primo, portandosi dietro Rigoberto Urán (Cannondale-Drapac), Quintana ed Egan Bernal (Androni-Sidermec), mentre Fabio Aru (Astana), Alaphilippe e Pozzovivo perdono qualche secondo. Dopo la chiusura su Pinot il gruppo, ormai ridottissimo, si ricompatta ma è solo la quiete che precede l’uragano perché Pinot riparte a tutta con Pozzovivo che tenta di reagire e Nibali che sembra in un primo momento guardare in faccia gli altri. Il siciliano sta però affilando le armi: infatti, si lascia sfilare leggermente per poi aprire il gas, dando il via allo show che abbiamo raccontato nella prima parte.
Il siciliano giunge in perfetta solitudine sul traguardo lariano, mentre Alaphilippe conquista la piazza d’onore. Terzo in volata Gianni Moscon, con qualche polemica con i francesi.
La classica delle foglie morte ancora una volta non ha deluso, ha regalato grande spettacolo ed ha rappresentato una degna chiusura della stagione del grande ciclismo.
Per questo chi scrive non può condividere quanto scritto da Pier Bergonzi sulle pagine della Gazzetta dello Sport di oggi, paventando uno spostamento del Lombardia in primavera per radunare le classiche monumento e permettere la partecipazione anche a corridori che, dopo la Vuelta ed il mondiale, chiudono bottega. Chi scrive ritiene che questo non sia un buon motivo per snaturare questa corsa che trova proprio nella sua collocazione attuale molti dei suoi pregi. Il tutto accompagnato dall’imprevedibilità meteorologica che ci permette di vedere corse calde ed assolate come oggi oppure gare flagellate dalle piogge che accompagnano il cambio di stagione ed i colori dell’autunno che cominciano ad avanzare dandoci l’appuntamento all’anno successivo.
Eccessivo romanticismo? Sarà, ma spostare il Lombardia in primavera sarebbe come festeggiare il Natale ad Agosto. Chi preferisce scartare i regali sotto l’ombrellone piuttosto che sotto l’albero?
Benedetto Ciccarone

Al Giro di Lombardia 2017 Nibali raccoglie a piene mani un'altra perla della sua prestigiosa carriera (foto Bettini)
16-11-2022
novembre 17, 2022 by Redazione
Filed under Ordini d'arrivo
VUELTA AL ECUADOR
L’ecuadoriano Jhon Elvis Cotacachi (Team Jonathan Narváez S-F) si è imposto nella quinta tappa, Tufiño – Tulcán, percorrendo 117.4 Km in 3h21′11″, alla media di 35.013 Km/h. Ha preceduto di 1″ il connazionale Bryan Rosero (Team Cinecable Internet – Twitter) e di 2′55″ il connazionale Byron Guamá (Movistar-Best PC). Nessun italiano in gara. Il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) è ancora leader della classifica con 21″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 1′11″ sul connazionale Marlon Castro (Nariño Tierra Ciclistas)
NIBALI STORY – CAPITOLO 26: GIRO 2017, L’UNICO ACUTO ITALIANO È DELLO SQUALO
Sarà un Giro da dimenticare per i corridori italiani quello del 2017, il peggiore di sempre per quel che riguarda il bilancio delle vittorie. Fino alla 15a tappa nessuno dei nostri riuscirà ad imporsi e sarebbe stato così fino alla fine se uno spiraglio di sole azzurro sarebbe arrivato proprio da Nibali nel tappone del doppio Stelvio. Lo Squalo ha già superato da un paio di stagioni i 30 anni d’età e lentamente si sta avvicinando al progressivo declino della sua carriera ad alti livelli, anche se lampi d’altissima classe ce li fornirà negli anni successivi, come il secondo Lombardia, l’inattesa vittoria alla Sanremo e i piazzamenti sui podi dei grandi giri: a quello del 2017 si dovrà accontentare del gradino più basso, terzo a 40” da Tom Dumoulin, poi arriveranno il secondo posto alla Vuelta 2017 e il quarto al Giro del 2022, l’ultimo della sua carriera.
23 maggio – 16a tappa: Rovetta – Bormio
SHOW DI NIBALI IN DISCESA. FINE DEL DIGIUNO ITALIANO, DUMOULIN DIFESA STRENUA
Nella tappa regina del Giro d’Italia numero 100, i big si muovono in grave ritardo, nonostante il problema intestinale che aveva costretto la maglia rosa a fermarsi per un considerevole lasso di tempo. Tuttavia, Nibali, gettandosi a capofitto in discesa, raggiunge e batte in volata il bravissimo Landa in fuga dal mattino, che avrebbe anch’egli meritato la vittoria.
Indubbiamente sul Passo dell’Umbrail è successo di tutto, però qualche perplessità sulla condotta di gara dei big rimane. A inizio salita, Tom Dumoulin si ferma in preda ad un problema intestinale e dopo parecchio tempo riprenderà la corsa. Il gruppo dei migliori però non aumenta l’andatura subito, nessuno attacca e per lunghissimi chilometri il ritardo di un Dumoulin da solo e in difficoltà scende addirittura nei confronti del gruppo dei migliori. Alla fine, il tanto atteso attacco di Quintana non è arrivato e probabilmente il colombiano non era in giornata di grazia. Il più attivo è stato proprio Vincenzo Nibali che, grazie alle sue accelerate, è riuscito a portar via un quartetto con Zakarin, Pozzovivo e il colombiano, staccando anche gli altri uomini di classifica ed in particolare Pinot che lo precedeva nella generale.
A guardar la classifica, sembrerebbe che Quintana abbia sferrato un grande attacco, ma in realtà la tattica di gara non è stata particolarmente sagace. Tre dei migliori uomini in fuga facevano pensare ad intenzioni bellicose che invece non si sono concretizzate. Altre perplessità nascono da alcune indecisioni, come lo stop and go di Anacona che prima si lascia sfilare dalla fuga e poi, spendendo notevoli energie, si riporta sul gruppo di testa. Amador è stato ripreso quando era ormai molto provato e, anche se ha dato tutto per aiutare Quintana, poteva essere sfruttato meglio.
Si è discusso di fair play per il problema di Dumoulin. Sinceramente, chi scrive ritiene che, in quella occasione, i big avrebbero dovuto attaccare a testa bassa, mentre invece l’andatura è calata notevolmente. La corsa è corsa, si gareggia per arrivare primi e il fair play non è questo. Proprio ieri, durante la trasmissione, si ricordava come nel 1955 Coppi e Magni attaccarono Nencini in maglia rosa approfittando di una foratura del giovane Gastone. Fu proprio tale attacco che consentì a Fiorenzo Magni di vincere il suo terzo ed ultimi Giro. Questa è la corsa e, pertanto, il comportamento del gruppo è stato sinceramente eccessivamente gentile nei confronti del leader.
Per quel che riguarda la condotta di gara in generale, questa tappa ha un po’ deluso perché, problemi fisici a parte, con i distacchi con i quali gli avversari dell’olandese sono partiti stamattina da Rovetta l’attacco doveva essere sferrato sull’ascesa verso la Cima Coppi, anche perché l’ultimo giorno è in programma un’altra tappa a cronometro, nella quale l’olandese probabilmente si rifarà con gli interessi.
In conclusione, pare ci sia stato un eccessivo attendismo, anche se gli ultimi 30 chilometri sono stati spettacolari e anche se la maglia rosa ha certamente speso energie preziose nel salire in solitudine verso il Giogo di Santa Maria, energie che potrebbero mancare nelle prossime tappe di montagna. Bravissimo e stoico l’olandese che è riuscito a limitare i danni con grande caparbietà, aiutato comunque da avversari che hanno iniziato a fare sul serio un po’ troppo tardi.
Per quanto riguarda la cronaca della corsa, il gruppo è partito a tutta, facendo registrare una media di 50 km orari nelle fasi iniziali ed impedendo tentativi di fuga.
In una girandola di scatti e controscatti riescono ad avvantaggiarsi Quentin Jaregui (A2gr La Mondiale), Pello Bilbao, Zhandos Bizhigitov (Astana), Manuel Senni (BMC), Joe Dombrowski, Davide Villella (Cannondale-Drapac), Felix Grossschartner, Branislau Samoilau (CCC Sprandi), Mathieu Ladagnaous (FDJ), Jasper De Buyst (Lotto Soudal), Winner Anacona, Davide Bennati (Movistar), Laurens De Plus, Pieter Serry (Quick-Step Floors), Natnael Berhane (Dimension Data), Maxim Belkov, Alberto Losada (Katusha-Alpecin), Jurgen Van den Broeck (LottoNL-Jumbo), Vasil Kiryienka (Sky), Phil Bauhaus, Chad Haga (Team Sunweb), Mads Pedersen, Jasper Stuyven (Trek-Segafredo), Marco Marcato, Matej Mohoric, Edward Ravasi (UAE Team Emirates) e Julen Amezqueta (Wilier-Selle Italia).
Si forma così la fuga, con il gruppo che si tiene a distanza di sicurezza, ma sul Mortirolo si avvantaggiano, riportandosi sulla testa della corsa, anche uomini importanti come Landa (Sky), Kruijswijk (Lotto NL Jumbo) e Luis León Sánchez (Astana). E’ proprio colui che doveva essere l’ultimo uomo per Michele Scarponi che va a transitare per primo sulla cima che gli organizzatori hanno voluto dedicare al corridore di Filottrano scomparso tragicamente un mese fa.
Durante la discesa del Mortirolo si ricompone il gruppone dei fuggitivi, che si era notevolmente scompigliato. Ci pensano gli Sky a forzare il ritmo in modo tale che davanti rimangono solo gli uomini più forti, ossia Sánchez, Hirt, Amador, Gorka Izagirre, Antón, Kruijswijk, Landa e Deignan. Anacona, che si era staccato, si riporta su questi uomini in prossimità dello Stelvio. L’indecisione sul da farsi da parte della Movistar è alquanto imbarazzante perché prima era stato fermato proprio Anacona, che poi ha dovuto spendere energie per rientrare sulla testa, mentre successivamente viene fermato Izagirre, che si fa riprendere dal gruppo della maglia rosa che transita sulla Cima Coppi con un ritardo di 2 minuti e 20. Nella discesa allunga l’ottimo discesista Amador sul quale si riporta il bravissimo Mikel Landa. Vedendo cosa è riuscito a fare oggi il basco, molti sono i rimpianti per aver perso un uomo che non era certo venuto al Giro per fare il gregario di Geraint Thomas, come pure era stato affermato.
I due vengono ripresi dagli altri uomini che si erano avvantaggiati sullo Stelvio, ad eccezione di Sánchez che viene ripreso dal gruppo che, già sulla Cima Coppi, era ridotto a circa trenta unità.
I fuggitivi se la vedono brutta nel falsopiano che separa la fine della discesa dello Stelvio (dal magnifico versante altoatesino) dall’attacco del Giogo di Santa Maria in quanto, in quel tratto logorante, la riluttanza a tirare è grande e solo Steven Kruijswijk, oggi grande interprete della tappa, alimenta questo tentativo che comunque perde molto terreno rispetto al gruppo, che in questa tratto riesce a sviluppare velocità decisamente superiori.
Nelle fasi iniziali della salita Kruijswijk, che scopriamo oggi aver corso sino ad ora con una costola incrinata, prova ad accelerare e guadagna qualche metro, ma Landa prima e Hirt poi riescono a rientrare.
A quel punto in gruppo avviene il fattaccio: Dumoulin si ferma a bordo strada e si leva la maglia rosa. Qualcuno pensa ad un problema come una vespa entrata nella maglietta ed invece, quando il leader della generale si leva anche i pantaloni e si abbassa dietro ad un fosso a lato della strada, si capisce che il problema è di natura intestinale e che le cose per il leader della generale iniziano a farsi complicate. In gruppo, nonostante l’assenza della maglia rosa, il ritmo non è affatto alto, tanto che i fuggitivi riescono addirittura a guadagnare. Incomprensibilmente nessuno attacca, nonostante l’elevato distacco che tutti accusano nella generale e nonostante la tappa a cronometro conclusiva costituisca un’altra occasione per Dumoulin. La corsa soffre un eccessivo attendismo in questa fase, mentre davanti Landa stacca i due compagni d’avventura. Dumoulin sembra sofferente in volto, eppure recupera secondi sul gruppo dei migliori, anche se il ritardo è comunque elevato. Solo quando Nibali prova un paio di accelerate, portandosi dietro Quintana e successivamente anche Pozzovivo e Zakarin, il distacco della maglia rosa riprende lentamente a salire. Le accelerazioni di Nibali lasciano sulle ginocchia tutti gli altri importanti uomini di classifica come Mollema, Yates, Jungels e soprattutto Pinot, che alla partenza precedeva il messinese in classifica generale.
Il quartetto va a riprendere e staccare Hirt e Kruijswijk, che non erano riusciti a rispondere all’ultimo attacco di Mikel Landa. L’olandese sarà poi bravissimo a tenere il ritmo del gruppetto di Jungels e, al termine della tappa, guadagnerà una posizione in classifica. Con l’attacco a lunga gittata, Kruijswijk ha rischiato di saltare, perdendo la posizione nella top ten, ma per uno come lui che l’anno scorso ha mancato la vittoria del Giro per via della caduta nella discesa del colle dell’agnello, il decimo posto non significa molto e, pur in una condizione non ottimale, si è dimostrato un duro ed un corridore molto generoso, essendosi sobbarcato il peso del lavoro per molti chilometri.
Il gruppetto di Nibali scollina a 10 secondi da Landa e, nella discesa, Nibali si getta a capofitto, lasciando Quintana un po’ indietro, mentre Zakarin ha gravi problemi ad impostare le traiettorie. Va un po’ meglio Pozzovivo, mentre Nibali raggiunge Landa, altro ottimo discesista. Nella volata, lo Squalo prende l’ultima curva internamente e supera sulla linea del traguardo un Mikel Landa che tira un pugno sul manubrio per la frustrazione di un’impresa sfuggitagli all’ultimo metro. In ogni caso, il basco merita i complimenti per essere partito dalla prima salita in una tappa di oltre 220 km e di essere arrivato a giocarsela in volata con Nibali.
Quintana taglia la linea d’arrivo dopo 12 secondi e conquista l’abbuono per il terzo posto; successivamente arrivano gli altri corridori un po’ alla spicciolata, con Pinot che accusa un grave ritardo da Nibali e scende dal podio provvisorio.
Dumoulin, grazie ad un’ottima difesa, arriva a 2 minuti e 20 secondi e conserva la maglia rosa per 31 secondi.
L’olandese è ancora il favorito del Giro perché, oltre ad avere ancora la maglia rosa sulle spalle, ha anche a disposizione la cronometro finale a Milano ed oggi il gap patito è stato causato non da una crisi ma da un problema intestinale che è sembrato transeunte, visto l’ottimo recupero messo in atto. Bisognerà vedere se la salita dell’Umbrail percorsa a tutta ed in solitudine non gli presenterà il conto nelle prossime tappe. Per sua fortuna domani la tappa non è durissima, ma nelle fasi iniziali qualcuno potrebbe testarne la condizione, anche se la cosa appare francamente improbabile visto l’atteggiamento attendista che ha regnato oggi fino alle fasi caldissime. In ogni caso giovedì, nel tappone dolomitico, si potrà capire se il problema di oggi ha avuto un contraccolpo, anche psicologico, sul forte cronoman che, all’arrivo, non ha nascosto la sua delusione per il tempo perduto.
Nibali, come tutti speravano grazie alle sue caratteristiche di fondista, è in crescendo di condizione, mentre chi non è apparso brillantissimo è stato Quintana, che non ha provato nessun attacco e non ha mostrato le stilettate che gli avevano permesso di staccare tutti sulla Maielletta. E’ possibile che il colombiano, avendo impostato la stagione sulla doppietta Giro/Tour, sia in un momento di calo per poi recuperare la brillantezza nella terza settimana della corsa francese, vista anche la prestazione opaca offerta ad Oropa
Tutte interrogativi che troveranno risposta nei prossimi giorni.
Benedetto Ciccarone

Porta la firma di Vincenzo Nibali il successo che l'Italia inseguiva da ben due settimane (Getty Images Sport)
15-11-2022
novembre 16, 2022 by Redazione
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VUELTA AL ECUADOR
L’ecuadoriano Santiago Montenegro (Movistar-Best PC) si è imposto nella quarta tappa, Otavalo – San Gabriel, percorrendo 153.4 Km in 4h09′12″, alla media di 36.934 Km/h. Ha preceduto di 1″ il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) e di 3″ il connazionale Wilson Steven Haro (Team Banco Guayaquil Ecuador). Nessun italiano in gara. Chalapud è ancora leader della classifica con 19″ sul connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e 1′11″ sul connazionale Marlon Castro (Nariño Tierra Ciclistas)
NIBALI STORY – CAPITOLO 25: IN CROAZIA CON SCARPONI NEL CUORE
Il 22 aprile del 2017 è una data rimasta impressa nella memoria di tutti gli appassionati di ciclismo, italiani e stranieri. È il giorno della tragica scomparsa di Michele Scarponi, piombata come un fulmine a ciel sereno poche ore dopo la fine del Tour of The Alps, che il corridore marchigiano aveva terminato in quarta posizione a 27 secondi dal britannico Geraint Thomas. In quelle stesse ore il suo ex compagno di squadra Vincenzo Nibali è impegnato sulle strade del Giro di Croazia, ultimo appuntamento per lo “Squalo” prima del Giro, corsa alla quale arriva dopo una prima parte di stagione deludente, che l’ha visto sempre terminare le gare alle cui aveva preso parte lontano dai primi e in particolare danno molto da pensare i 6 minuti perduti alla Tirreno-Adriatico. In Croazia lo scalatore siciliano palese una condizione migliorata, concludendo al terzo posto a soli 3 secondi dal vincitore la tappa con l’arrivo posto in vetta alla difficile salita del Biokovo. Un altro arrivo in quota è in programma proprio il giorno della scomparsa di Scarponi e Nibali corre quella tappa con l’intenzione di vincerla e dedicargli la vittoria, ma questa gli sfugge perché sul traguardo del Monte Maggiore lo precede in volata lo spagnolo Rosón, che per soli due secondi gli impedisce anche di conquistare la maglia di leader. A quel punto manca solo la conclusiva tappa di Zagabria, prevalentemente pianeggiante, ma quel giorno Nibali mette sui pedali non solo la sua forza fisica ma anche il cuore e, tra abbuoni e un piccolo vantaggio acquisto sullo strappo che conduce al traguardo, riesce a scavalcare lo spagnolo in classifica e a dedicare la vittoria all’amico scomparso.
19 aprile – 2a tappa: Traù – Biokovo
EMIRI ANCORA IN FESTA IN CROAZIA, BUON TERZO POSTO PER VINCENZO NIBALI
La seconda tappa del Giro della Croazia prevedeva un arrivo in salita, una perfetta prova per il grande favorito del Giro d’Italia Vincenzo Nibali. Lo Squalo dello Stretto in questa tappa è stato sempre nelle prime posizioni insieme ai suoi compagni, che hanno svolto un grande lavoro in suo favore. La vittoria è andata al corridore di casa del ciclista Kristijan Đurasek , militante nella formaziona araba della UAE Team Emirates, vittoriosa anche nella giornata d’apertura.
La seconda tappa del Tour of Croatia prevedeva la lunga salita finale verso il monte Biokovo, oltre 25 Km da percorrere all’insù, ma a causa del maltempo in mattinata l’organizzazione aveva preso la decisione di anticipare il traguardo di circa 14 Km. Poco dopo il via parte una fuga con cinque corridori, che vengono ripresi definitivamente a circa 18 km dal traguardo. Quattro uomini della Bahrain Merida – Agnoli, Boaro, Pellizotti e Siutsou – sono stati per gran pare della corsa in testa al gruppo a fare l’andatura e controllare la corsa per il loro capitano, Vincenzo Nibali. Iniziata la salita finale, cominciano gli scatti da parte di vari corridori, ma il team del siciliano continua a tenere alto il ritmo, recuperando i vari tentativi di fuga. A circa 12 km dal traguardo si stacca Manuale Boaro, dopo aver svolto un grande lavoro per lo Squalo dello Stretto, che sembra avere una buona pedalata, un buon segno in vista della Corsa Rosa. A circa 4 km scatta Samojlau della CCC, ma il gruppo avanza rapidamente con Pellizotti, che riesce a riprendere il fuggitivo bielorusso. A 1900 m dal traguardo è proprio Nibali a scattare; alla sua ruota si attaccano altri cinque corridori, ovvero il suo compagno Siutsou insieme a Rosòn, Đurasek, Hirt e Grossschartner. Mancano meno di 200 m, si supera l’ultima curva e Đurasek scatta andando a tagliare il traguardo per primo. Lo “Squalo” arriva terzo: il Giro è sempre più vicino e la condizione di Nibali migliora di giorno in giorno, allontanando lo spettro della débâcle vista alla Tirreno-Adriatico.
Giada Gambino
22 aprile – 5a tappa: Parenzo – Monte Maggiore
TOUR OF CROATIA, SFIDA ROSÓN-NIBALI CON SCARPONI NEL CUORE
È stato un brutto risveglio quello odierno per il mondo del ciclismo, sgomento per la tragica notizia della scomparsa di Michele Scarponi. Più di tutti ci avrebbe tenuto ad onorarlo il suo ex compagno di squadra Vincenzo Nibali, chiamato oggi a difendere, e forse incrementare, il risicato vantaggio conquistato ieri nella quarta tappa del Giro di Croazia. Ma così non è stato: la sfida tra il messinese e il suo diretto avversario di classifica sull’arrivo in salita del Monte Maggiore si è risolta totalmente a favore dello spagnolo Jaime Rosón, che non solo ha vinto la tappa ma si è anche ripreso la maglia di leader. Gli appena 2 secondi di vantaggio del corridore iberico, però, potrebbero permettere a Nibali di ribaltare nuovamente la situazione nel particolare epilogo della corsa a Zagabria.
Il risveglio dell’Italia e di tutto il mondo del ciclismo non è stato dei migliori. Michele Scarponi, ritornato a casa ieri dal Tour of the Alps, rivede finalmente i suoi “scarponcini” – come affettuosamente chiamava i suoi gemelli di 4 anni – poi questa mattina, quando esce in bicicletta per un allenamento in vista dell’imminente Giro d’Italia, a pochi metri da casa viene travolto da un camion, perdendo la vita.
Il Giro della Croazia prima di prendere il via sta un minuto in silenzio, per ricordare il simpatico campione marchigiano. Il viso dei corridori è sconvolto, i compagni dell’Astana piangono e Vincenzo Nibali non riesce ad esprimere il suo dolore per aver perso un grande amico, prima ancora che un collega di strada.
La seconda ed ultima tappa di montagna scatta da così da Parenzo in questo clima di mestizia generale e subito partono in fuga sette corridori. In quattro vengono successivamente ripresi e così rimangono solo davanti in tre: lo spagnolo Lluís Guillermo Mas (Caja Rural – Seguros RGA), l’italiano Antonino Parrinello (GM Europa Ovini) e il polacco Lukasz Owsian (CCC Sprandi Polkowice). Il team Bahrain Merida inizia da subito a fare l’andatura perchè Vincenzo vuole vincere la tappa e possiamo intuire tutti a chi vuole dedicarla. A circa 17 km vengono ripresi i fuggitivi e, dopo altri tentativi di fuga, ai meno 11 scatta lo svizzero Roland Thalmann (Roth-Akros). La squadra di Nibali continua a fare l’andatura con Manuele Boaro che ricuce la distanza tra il gruppo e il fuggitivo. A 8 Km e mezzo dal traguardo scatta il bielorusso Branislaŭ Samojlaŭ ((CCC Sprandi Polkowice), che viene ripreso nel giro di poche centinaia di metri. Il team Bahrain si mantiene sempre in testa e recupera i vari corridori che tentano la fuga. A 4.3 km va all’attacco un compagno di squadra di Vincenzo, l’altro bielorusso Kanstantsin Siutsou (4° in classifica), in modo da far stare tranquilli il suo capitano e la sua squadra, facendogli prendere un attimo di fiato. A 3,8 km dall’arrivo Siutsou viene ripreso e Pellizotti prende in mano la situazione. Il Bahrain continua a stoppare i tentativi di fuga e a 2,3 dall’arrivo Nibali scatta; alla sua ruota si incollano lo spagnolo Jaime Rosón (Caja Rural – Seguros RGA secondo in classifica a soli 2” dallo “Squalo”) e il ceco Hirt. Vincenzo accelera il passo cercando di fare la differenza, ma non riesce nell’intento. Il messinese si ritrova a disputare la volata finale con Hirt e Rosón ma, per quanto si sforzim non riesce a transitare sulla linea del traguardo per primo. Ad imporsi sul traguardo in salita del Monte Maggiore è lo spagnolo, che riesce a riprendersi quella maglia di leader che Nibali gli aveva strappato il giorno prima e proprio per lo stesso “strappo” di due secondii 2”. Nibali si piazza secondo e sfuma anche la possibilità di dedicare la vittoria all’amico Michele. La tappa di domani non è adatta ai mezzi del siciliano ma la conclusiva frazione di Zagabria non si presenta come la classica conclusione favorevole ai velocisti, per via dello strappetto in vetta al quale sarà collocato il traguardo. Non è detta l’ultima, quindi.
Giada Gambino
23 aprile – 6a tappa: Samobor – Zagabria
NIBALI, VITTORIA DI CUORE E DI VOLONTÀ
Ieri una triste notizia aveva percosso i nostri cuori, Michele Scarponi era andato in fuga per sempre. Nibali, il pomeriggio stesso aveva tentato di vincere la tappa del Monte Maggiore, la più adatta alle sue potenzialità, più per dedicarla all’amico scomparso che per portare a casa il Giro di Croazia. Non ce l’aveva fatta ma la volontà di onorare Scarponi è stata più forte di tutto e si è concretizzata oggi nella più facile tappa-passerella finale, vinta da Sacha Modolo e nella quale il corridore siciliano è riuscito dove il giorno prima aveva fallito: staccato lo spagnolo Jaime Rosón, che lo precedeva in classifica di soli 2 secondi, si è imposto in classifica e ha avuto così modo di dedicare il successo allo scalatore marchigiano.
Nell’aria non c’è un buon clima, tristezza e amarezza sono ben visibili sul volto dei corridori anche alla partenza dell’ultima tappa del Giro di Croazia. Sono in programma 147 km da Samobor a Zagabria, senza troppe pretese, anche c’è uno strappo finale in pavè da ripetere tre volte. Il gruppo nei primi chilometri rimane compatto. Arrivati allo sprint intermedio è Nibali (Bahrain Merida) ad aggiudicarsi l’abbuono, prendendo 3″ di vantaggio allo spagnolo Rosón che già gli bastano per portarsi virtualmente al vertice della classifica, precedendo di appena un secondo il corridore della Caja Rural. Intorno ai 30 km si forma una fuga di ben quindici corridori, che vengono definitivamente ripresi a 600 metri dal traguardo. A 50 metri dalla linea d’arrivo scatta Jan Polanc (UAE Team Emirates ), ma il corridore sloveno non sembra in ottime condizioni. A questo punto fuoriesce dal gruppo il suo compagno di squadra Sacha Modolo, che transita per primo sulla linea del traguardo. Vincenzo Nibali arriva 4°, staccando Rosòn di altri 7 secondi, che divento otto nella classifica definitiva. Lo Squalo dello Stretto si aggiudica così il Giro della Croazia, sua prima vittoria stagionale e sua prima vittoria in maglia Bahrain Merida. Il suo trionfo, com’era ovvio, lo dedica a Michele e ai suoi due gemelli. Sul podio Vincenzo accenna appena un sorriso perchè troppa è la tristezza che alberga nel cuore di chi considerava Michele un fratello prima che un collega ed un ex compagno di squadra. Qualche minuto dopo, alla Liegi-Bastogne-Liegi, arriva per primo al traguardo un brillante Valverde, che dedica anche lui la vittoria all’amico Scarponi. Undici mesi prima Valverde, Scarponi e Nibali si erano abbracciati, quando lo Squalo aveva preso la Maglia Rosa. Oggi i i tre si sono abbraccati nuovamente, con il cuore.
Giada Gambino
14-11-2022
novembre 15, 2022 by Redazione
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VUELTA AL ECUADOR
Il colombiano Robinson Chalapud (Team Banco Guayaquil Ecuador) si è imposto nella terza tappa, Puerto Quito – Calacalí, percorrendo 121.9 Km in 3h41′57″, alla media di 32.953 Km/h. Ha preceduto di 1″ il connazionale Cristhian Montoya (Team Medellin-EPM) e di 51″ il connazionale Marlon Castro (Nariño Tierra Ciclistas). Nessun italiano in gara. Chalapud è il nuovo leader della classifica con 5″ su Montoya e 57″ su Castro
NIBALI STORY – CAPITOLO 24: TONFI E TRIONFI ALLA CORSA ROSA
Al via del 99° Giro d’Italia il favorito numero uno è proprio lui, Vincenzo Nibali, nonostante non abbia brillato nella prima parte della stagione. Dopo la vittoria al Tour of Oman nulla si è più visto della sua classe: alla Tirreno-Adriatico non ha potuto lottare per la vittoria a causa della cancellazione per neve della tappa di montagna del Monte San Vicino, al Giro del Trentino si è piazzato 21° con un ritardo di quasi sette minuti dallo spagnolo Landa, mentre alla Liegi ha concluso in 51a posizione. Al Giro la situazione sembra migliorata perché al termine del tappone dolomitico di Corvara è secondo in classifica con soli 41 secondi di ritardo dalla maglia rosa, l’olandese Steven Kruijswijk. Nelle 48 ore successivo Nibali è protagonista in negativo di due autentici “tonfi” nella cronoscalata dell’Alpe di Siusi e nella non certo impegnativa tappa di Andalo, dopo la quale scivola al quarto posto con un passivo dall’olandese lievitato a quasi 5 minuti. La squadra comincia a preoccuparsi, la situazione sembra oramai irrecuperabile ma sulle Alpi francesi l’uscita di scena di Kruijswijk per un ruzzolone nella neve scendendo dal Colle dell’Agnello riapre un Giro che sembrava finito per lo “Squalo”: coadiuvato dall’indimenticato Scarponi nel giro di due giorni Nibali ribalta a suo favore la situazione riportandosi a soli 44 secondi dalla maglia rosa nel tappa di Risoul per poi colmare con gli interessi l’inseguimento alla leadership spodestando il colombiano Esteban Chaves nel tappone di Sant’Anna di Vinadio. E il Giro è suo, per la seconda volta in carriera. Riviviamo quattro dei capitoli di quel Giro, quelli dei difficili momenti patiti tra Alto Adige e Trentino e quelli della risurrezione in terra di Francia
22 maggio – 15a tappa: cronoscalata Castelrotto – Alpe di Siusi
TRACOLLO NIBALI: KRUIJSWIJK SEMPRE PIU’ IN ROSA
Il siciliano non trova mai il ritmo e viene rallentato anche da un problema meccanico, cedendo alla fine 2’10’’ alla maglia rosa, che vede sfumare per questione di centesimi il successo di tappa a favore del sorprendente Foliforov, ma può ora gestire 2’51’’ sul più quotato degli avversari. Chaves, autore di una prova in crescendo, sale in seconda posizione, a 2’12’’. Risorge Valverde, terzo, che si porta a 38’’ soltanto dal terzo gradino del podio provvisorio.
Se ieri sera appariva prematuro assegnare a Steven Kruijswijk i gradi di nuovo favorito del Giro 2016, l’operazione appare necessaria dopo la cronoscalata dell’Alpe di Siusi. Soltanto una manciata di centesimi hanno impedito alla maglia rosa di completare una giornata pressoché perfetta, ossia quelli che lo hanno separato dal tempo vincente dello stupefacente Alexander Foliforov. Un successo frutto senz’altro anche della giornata di semi-relax che il russo si è concesso ieri, giungendo al traguardo 24’ dopo il vincitore, ma che non per questo cessa di essere uno dei risultati meno prevedibili registrati sin qui nella Corsa Rosa.
Per chi ormai punta senza mezzi termini al successo finale, in ogni caso, la seconda piazza d’onore consecutiva non costituirà un cruccio eccessivo, a confronto di quanto di buono è venuto dalla giornata odierna: il più vicino degli uomini di classifica è stato un redivivo Valverde, terzo a 23’’, ma già relegato a distanza di sicurezza dal vertice dal tappone dolomitico; Chaves, unico a reggere il passo dell’olandese sul Valparola, ha lasciato per strada 40’’, pur recuperando qualcosa nella seconda metà della prova, dopo un avvio letargico; Nibali, più diretto inseguitore stamane e per molti ancora favorito numero uno, ha disputato una prova inspiegabile, partendo piano e finendo peggio, con l’ulteriore handicap di un guaio meccanico e relativo cambio di bicicletta nel finale, per un passivo finale di 2’10’’. Tutti gli altri, a cominciare da Rafal Majka, distano ora più di quattro minuti e mezzo in classifica generale.
La graduatoria con cui il Giro si prepara al terzo ed ultimo lunedì di riposo è lontanissima da qualsiasi previsione partorita nei giorni scorsi. Kruijswijk entrerà nella settimana decisiva con 2’12’’ di vantaggio su Chaves, salito in seconda posizione. Il colombiano, attardato di 43’’ dalla maglia rosa all’interemedio dei 4.4 km, aveva fatto temere uno scarso recupero dallo sforzo di ieri, dubbio fugato però prontamente dal secondo tempo fatto segnare dal rilevamento al traguardo, 3’’ meglio anche del leader. Alla luce della costanza dimostrata sino a questo momento, unica a rivaleggiare con quella di Kruijswijk, viene naturale pensare a Chaves come alla più seria minaccia al primato. Fra i due, però, è probabilmente il sudamericano a fornire, sulla carta, le minori garanzie di tenuta col passare di giorni, e non è detto che un corridore che non ha ancora all’attivo podi nelle grandi corse a tappe sia disposto a rischiare un probabile piazzamento fra i primi tre per un difficile assalto alla maglia rosa.
Assalto che tenterà invece senza ombra di dubbio Nibali, il cui distacco è però oggi lievitato a 2’51’’. Un dato di per sé allarmante, che si aggrava ulteriormente in virtù della tremenda prestazione offerta oggi dal siciliano. Una débacle non dissimile – per impressione più che per proporzioni cronometriche – da quella che, dieci mesi fa, lo costrinse ad accantonare qualsiasi velleità di bis al Tour de France, sulle rampe della Pierre-Saint-Martin. Il problema meccanico cui si è accennato ha senz’altro contribuito, sia in modo diretto, sia complicando la ricerca di un ritmo che Nibali non aveva comunque mai trovato, ma la tanto attesa crescita di condizione sembra drammaticamente in ritardo.
Dopo il disastro odierno, il messinese dovrà inventarsi qualcosa di eccezionale per attentare alla leadership di Kruijswijk, e non potrà neppure più considerare debellata la minaccia Valverde, che lo segue ora a soli 38’’. Il murciano, dopo il tracollo del Valparola, si è ripreso a tempo di record, anche se il terreno che attende i girini nella terza settimana, all’insegna di salite in successione e alta quota, non sembra particolarmente propizio ad un suo maxi-recupero. Per rimontare 3’29’’ a Kruijswijk, peraltro, occorrerebbe almeno un’azione a lunga gittata, non certo il pezzo forte del pur vasto repertorio dell’Embatido.
Gli altri favoriti hanno invece confermato di essere destinati con ogni probabilità ad un ruolo da comprimari: Majka, 5° a 4’38’’, ha dimostrato una volta di più di non essere all’altezza dei migliori, perdendo ancora 1’09’’; Zakarin, 6° a 4’40’’, dopo un avvio lanciatissimo, ha ceduto nella seconda parte, vedendo crescere il passivo in classifica di altri 47’’; già Amador, 7° a 5’27’’ dopo una prestazione in linea con quella di ieri (+2’12’’), sembra tagliato fuori da qualsiasi discorso di podio.
La tappa di Andalo, la prima dopo il riposo, potrebbe costituire una prima occasione per saggiare la condizione di un Kruijswijk sin qui inscalfibile, la cui principale debolezza sta probabilmente nella consistenza della squadra. Sino ad oggi, il solo Battaglin è stato in grado di reggere oltre la prima scrematura, ed è facile ipotizzare che squadre come Astana e Movistar potranno isolare con relativo agio la maglia rosa, già sulla salita di Fai della Paganella martedì, e soprattutto sulle montagne del gran finale franco-piemontese. A quel punto, occorrerà però trovare il modo di sbarazzarsi del capoclassifica; impresa che, per quanto visto sin qui, e più che mai nella giornata di oggi, promette di essere molto complicata.
Matteo Novarini
24 maggio – 16a tappa: Bressanone – Andalo
LA PRIMA DI VALVERDE AL GIRO. KRUIJSWIJK PEDALA DA PADRONE
Valverde ha vinto la tappa odierna del Giro d’Italia, rimanendo sempre tra i primi e staccando con un suo allungo Vincenzo Nibali sulla salita di Fai della Paganella. Il siciliano paga pesantemente sul traguardo di Andalo e Slongo paventa esami medici per controllare le condizioni di salute dello “Squalo”. Chaves si fa sorprendere sulla Mendola e, anche lui, paga qualcosa nel finale. Zakarin, in crescendo, ora è vicino a Nibali e il podio non è più un miraggio.
Zakarin, Valverde e Kruijswijk sono gli atleti meglio usciti dalla Bressanone – Andalo, in programma oggi al Giro, non tanto e non solo per essere arrivati in testa alla corsa sul traguardo, ma per ciò che questo ha significato in termini di classifica generale e di conferme.
Ilnur Zakarin registra un crescendo di condizione, lo stesso che l’anno scorso gli ha permesso di essere protagonista nel corso della terza settimana. Il vantaggio accumulato sul traguardo nei confronti degli avversari gli permette di portarsi a pochi secondi da Nibali in classifica generale. Valverde trova una conferma del fatto che la giornata storta vissuta sulle Dolomiti è stata solo una crisi passeggera e che le condizioni di forma sono invece buone. Oggi è riuscito a restare con Kruijswijk e, anzi, è stato proprio del murciano lo scatto che ha provocato il cedimento di Nibali. Naturalmente, la vittoria di tappa impreziosisce splendidamente anche la terza posizione provvisoria conquistata da Valverde in classifica generale.
Kruijswijk, naturalmente, esce molto bene dalla giornata di oggi, perché, nonostante la squadra abbia ceduto già sulla Mendola, la maglia rosa ha risposto colpo su colpo a tutti gli allunghi inscenati dai big per metterlo in difficoltà e, mentre gli avversari cedevano via via, lui non ha mai mollato il gruppetto principale, offrendo anche fattiva collaborazione per aumentare il vantaggio sugli inseguitori e andando altresì a sprintare sul traguardo.
Chaves si è fatto sorprendere, forse anche per inesperienza più che per ingenuità, dalla bagarre scoppiata sul Passo della Mendola ed ha dovuto condurre una tappa tutta all’inseguimento, che certamente gli sarà costata un notevole dispendio di energie. Alla fine, il secondo in generale si è difeso bene perché, anche se non è riuscito a rientrare sui primi, ha comunque raggiunto tutti gli altri, inscenando anche attacchi lungo la salita di Fai della Paganella prima e quella finale poi.
Nibali esce, invece, con le ossa rotte, al di là dei paventati possibili problemi di salute. Il siciliano sembrava volesse oggi inscenare un grande attacco e, in effetti, sul Passo della Mendola è stato proprio lo “Squalo” a farsi promotore dell’azione che ha portato in testa una decina di corridori con tutti i big, eccetto Chaves. Sulla salita di Fai della Paganella basta, però, un allungo di Valverde e il siciliano deve cedere, mollando le ruote dei tre di testa. Successivamente al ricongiungimento da parte di Chaves Nibali cede nuovamente, stavolta in seguito alle accelerate del colombiano, ed è costretto ad avanzare verso il traguardo in notevole difficoltà, pagando un pesante passivo di un minuto e 40 secondi.
Degna di menzione è anche la prestazione di Bob Jungels che è apparso in crescendo di condizione rispetto alle tappe di salita che lo avevano visto pagare dazio pesantemente. Oggi la maglia bianca è stata molto attiva nei vari gruppetti in seno ai quali si è trovata. Sul traguardo è giunto quinto a soli 37 secondi dai primi e, nel finale, è riuscito anche ad allungare su Chaves, guadagnando una manciata di secondi.
La tappa molto breve è partita subito fortissimo, complice anche il falsopiano discendente verso Bolzano. Dopo circa 13 Km di corsa allungano Mirco Maestri (Bardiani – CSF), Daniel Oss (BMC Racing Team),Simon Clarke (Cannondale Pro Cycling Team), Eugert Zhupa (Wilier-Southeast) e Pavel Brutt (Tinkoff), ma poco dopo altri atleti escono dal gruppo ed in testa si forma un gruppetto composto, oltre che dagli elementi citati, da Olivier Le Gac (FDJ), Joey Rosskopf (BMC Racing Team), Simon Clarke (Cannondale Pro Cycling Team), Matteo Trentin (Etixx – Quickstep), Pim Ligthart (Lotto Soudal) e Marco Coledan (Trek-Segafredo). inseguiti da Kluge, Txurruca e Zhupa, staccatosi dai primi.
Il gruppo, però, non concede molto spazio e riprende i fuggitivi senza che questi siano riusciti a conseguire un vantaggio superiore ai 45 secondi. Anche il successivo tentativo Clarcke, inseguito da Maestri, Kudus, Pirazzi e Taaramae, naufraga nel giro di poco. All’attacco del Passo della Mendola la situazione vede il gruppo nuovamente compatto.
La situazione non dura molto perché, dopo un timido scatto di Igor Antón, subito rintuzzato, è Ilnur Zakarin a muoversi ed il gruppo si sfilaccia alquanto, mentre la maglia rosa risponde con grande autorità. Nella successiva fase tranquilla partono Tanel Kangert (Astana Pro Team), David López (Team Sky) e Diego Ulissi (Lampre – Merida). Dopo un salto di catena prontamente risolto da Vincenzo Nibali, i big cominciano a scattarsi in faccia, ma la maglia rosa appare la più pronta a riportarsi sulla ruota di chiunque provi ad uscire, mentre al terzetto al comando si uniscono Firsanov, Jungels e Dombrowskj. Dietro prova l’allungo Nibali, con Kruijswijck che risponde insieme a Valverde e Zakarin, mentre ancora più dietro Chaves rimane imbrigliato nel gruppo, perdendo secondi sui quattro che intanto si riportano velocemente sul drappello di testa, andando così a comporre un gruppo di dieci uomini, tra i quali ci sono ottimi atleti che hanno interesse a tirare a tutta per distanziare il secondo in generale.
La fase successiva al GPM vede Kangert tirare il gruppo davanti, mentre dietro sono i compagni di squadra di Chaves a lavorare per riportare il gruppo – con Majka, Amador e Pozzovivo – sulla testa della corsa. La cosa si rivela piuttosto problematica perché davanti sono in dieci e sono tutti molto forti, per cui il vantaggio rimane per moltissimi chilometri oscillante tra i 20 e i 35 secondi.
Sulla salita di Fai della Paganella cedono man mano tutti gli uomini del drappello di testa e davanti restano solo Nibali, Zakarin, Kruijswijk e Valverde, che oggi conferma che la crisi delle Dolomiti è passata. E’, infatti, proprio il campione di Spagna in carica che rompe gli indugi, andando ad allungare e causando il cedimento di Nibali, che non risponde allo scatto e sale del proprio passo, decisamente più pesante rispetto a quello dei giorni migliori, tanto che sul siciliano si porta prontamente Firsanov, staccatosi in precedenza.
Dietro Chaves, dopo il lavoro dei compagni di squadra nel fondovalle, deve fare tutto da solo per cercare di ricucire. Su Nibali si riportano anche Jungels e López e, su questi, anche il gruppetto di Chaves che si unisce al gruppo Nibali, mentre i tre davanti continuano a comandare la corsa con un vantaggio che oscilla tra i 20 e i 40 secondi. Nonostante il lungo lavoro sulla salita di Fai il colombiano riesce a mantenere invariato il distacco dai migliori e decide anche di scattare sull’ultimo tratto della salita, dove si raggiungono pendenze del 15%. Lo scatto ancora una volta è indigesto a Nibali, che non riesce ad avere la brillantezza nel cambio di ritmo e deve rassegnarsi a salire regolare, con un passo che però non è efficace.
A questo punto si formano tre gruppetti con davanti Zakarin, Valverde e Kruijswijk, subito dietro un drappello con Chaves, Majka, Jungels, Ulissi, López e Firsanov, ancor più indietro la coppia Nibali-Pozzovivo che continua a perdere terreno molto rapidamente. Sulla salita finale, infatti, Zakarin impone un ritmo elevato per guadagnare secondi su Nibali, Majka e Chaves, situazione che va a beneficio sia della maglia rosa che di Valverde, che non mancano di offrire di tanto in tanto la loro collaborazione. Allo sprint è ovviamente Valverde ad imporsi su Kruijswijk, mentre Zakarin, forse stanco per il lavoro svolto, non partecipa allo volata e perde 8 secondi dai primi due. Dietro è Ulissi a precedere gli altri componenti del gruppo Chaves, giunto al traguardo qualche secondo dopo il corridore toscano.
Pesante il passivo di Nibali e Pozzovivo che giungono con 1 minuto e 47 di ritardo da Valverde e Kruijswijk. La generale vede ora Kruijswijk sempre più in rosa, con 3 minuti su Chaves e 3′23″ su Valverde. A 4′43″ c’è Nibali che scende dal podio e, in definitiva, in tre tappe paga 4 minuti e 45 secondi alla maglia rosa. Ora Zakarin e Majka non sono lontani per cui, se il momento negativo dello “Squalo” dovesse continuare sulle Alpi francesi, è a rischio anche la top five.
Domani giorno di relax con tappa per i velocisti ancora in gara, mentre giovedì il finale è insidioso, quasi a far venire l’acquolina in bocca per il gran finale con l’Agnello e Sant’Anna di Vinadio.
Benedetto Ciccarone
27 maggio – 19a tappa: Pinerolo – Risoul
AGNELLO DIVORATORE DI UOMINI: RISOUL SORRIDE ANCORA A NIBALI
Che cosa succederà domani? Impossibile saperlo in un Giro folle e imprevedibile: quel che è certo è che oggi è stato il giorno del riscatto di un enorme Vincenzo Nibali.
Altissima quota, al Giro, grandi montagne con pendenze in doppia cifra per molti km ad altitudini che si avvicinano più ai tremila che ai duemila metri. Questo è il Colle dell’Agnello, montagna e moloch del mito ciclista, questo è il finale di terza settimana di una gara fin qui avvincente, già ricca di colpi di scena, ma che ciò nondimeno sembra ogni volta voler rilanciare con più drammatiche svolte e con imprese memorabili.
Una fuga numerosa, di quasi trenta atleti, prende il via dopo un’ora e mezza di gara al fulmicotone (52 km/h di media su un terreno che tira leggermente all’insù), a logico correlato e dimostrazione del fatto che ci troviamo in una delle fasi chiave della gara: la Lotto Jumbo del leader non manda uomini in avanscoperta, mentre l’Astana riesce a infilare nel drappello la propria pedina più cruciale, uno Scarponi già martellante sulle Dolomiti, accompagnato da uno scudiero kazako a supporto, Kozhatayev. L’Orica del principale contendente per la maglia rosa, il giovane colombiano Chaves, manda in testa alla gara un solo uomo, ma quanto mai azzeccato, quel Rubén Plaza forte sul passo e in salita, predisposto alle maratone solitarie, tanto da entrare nella storia del ciclismo recente vincendo una delle più belle tappe dei GT degli ultimi anni, quella della Cercedilla all’ultima Vuelta, con oltre cento km di fuga solitaria su e giù per le vette della Sierra Madrilena. Per Majka ci sono un paio di fidi gregari, come il duro Petrov e il fratello di latte di Contador, Jesús Hernández. Per la Movistar ben tre scherani, i bulldozer Sutherland e Rojas a spianare la strada del più scalatore Herrada. Insomma, un gigantesco ciclone comincia a vorticare lentamente sulla corsa, anche se probabilmente Kruijswijk confida nel poter rimanere anche solo soletto, forte del suo splendido stato di forma, nell’occhio dell’uragano, stoppando ogni velleità avversaria in prima persona.
Sull’Agnello prende il largo dalla fuga un ottimo Scarponi, mentre dietro è l’Orica a sfoltire il sottobosco del gruppo con le falciate di Howson e Txurruka, inevitabile preludio alla fiammata incendiaria di Chaves. Solo Kruijswijk, in controllo, Valverde, apparentemente ancora a suo agio e Nibali, in ultima ruota, resistono, per il resto è subito sparpaglio. In breve lo stesso Nibali va in affanno e si sgancia, venendo affiancato da Zakarin e da Majka, che da bravo diesel riavvicina il gruppo di testa. Mancano una sessantina di km alla fine, siamo ben oltre i duemila metri di altitudine e di dislivello, e la battaglia è già dichiarata, con tutta l’apparenza, per di più, di avviarsi a una risoluzione rapida e feroce che confermi il podio degli uomini sembrati più brillanti, l’olandese, il colombiano e lo spagnolo.
Tuttavia, mentre l’aria diventa bianca di nebbia, nubi basse, condensa e barbagli di neve, il gruppetto, che poco a poco va a rinfoltirsi con i rientri da dietro di tutta la top ten, da Nibali a Jungels, fino a Pozzovivo ed Urán, va addentrandosi nella zona rossa. La zona del poco ossigeno a disposizione, la zona dove emerge il motore capace di lavorare sotto sforzo su quello che brucia tanto e rapido ad altissimi giri. Chaves con una progressione micidiale comanda un nuovo rimescolamento del mazzo, e il risultato stavolta è mutato: Valverde perde contatto, patendo come da lui stesso dichiarato le altissime quote, e scivola indietro con corridori più addietro di lui in generale; Zakarin stringe i denti ma finisce per cedere, sopravanzato da Majka. Il nuovo drappello di quattro eletti include Nibali, Kruijswijk, Chaves e Majka, in rigoroso ordine di brillantezza. Chaves sembra leggerissimamente appannato, pagando gli allunghi prepotenti imposti agli avversari: la sorte, insomma, fin qui toccata a Nibali in tappe precedenti. La responsabilità di corsa pesa, quando si vuole o si deve assumerla, giovane età o meno! Non solo psicologicamente, ma anzitutto nelle gambe, quando il livello è reciprocamente bilanciato e ogni tirata in testa al gruppo implica maggiori tossine accumulate. Kruijswijk appare in controllo, ma non lucidissimo. Majka è solido, ma poco brillante, e finirà per soffrire in vista dello scollinamento.
Il gruppetto guadagna terreno anche grazie all’aiuto di Kozhatayev, ripreso al momento opportuno, nell’ambito di una strategia ben ponderata, per poter dare giusto quelle due trenate che fan passare i chilometri senza che il quartetto di uomini di classifica si fermi di nuovo per studiarsi.
Nemmeno Nibali sembra che sia immune alla fatica: quando il kazako si stacca, passa lui in testa, e lancia perfino qualche timido affondo, sufficiente a mettere in croce almeno Majka; però le sue accelerazioni sono brevi, alzarsi sui pedali sembra uno sforzo immane, come se tutto l’Agnello dovesse sollevarsi di quei venti centimetri in più e non solo il corpo del ciclista. Ad ogni modo, pur poco folgorante, Nibali si dimostra il più lucido allo scollinamento (Scarponi è transitato per primo circa cinque minuti prima, inframmezzate le schegge di fuga): ancora ben coordinato, afferra la sacca con mantellina e rifornimenti, si veste rapido e poi comincia subito a sferzare le curve con decisione.
Ecco la svolta fatidica: quando ancora la carreggiata è costeggiata da due muri di neve, Kruijswijk sbanda, lui stesso ammette una distrazione nel pensare al mangiarsi una barretta. La strada rugosa, umida, incerta, è un attimo perdere il controllo e finire per capitombolare con una capriola spettacolare contro una delle pareti nevose a bordo strada. Sfortuna? Forse, ma la pressione messa sull’olandese ad ogni discesa di questo giro, costringendolo a un continuo nervosismo, unitamente all’affanno di controllare scatto dopo scatto altrui senza lasciare spazio alcuno, certamente hanno pesato sulla sua concentrazione. Rialzarsi, risettare la bici, non va, ancora non va bene, cambiarla, il tempo passa rapidissimo , fulmineo come la sagoma celeste Astana di Kozhatayev che, staccatosi da un pezzo dopo tanto tirare, ora sfreccia a fianco dell’altro K., la maglia rosa, invece arenato a bordo strada.
A proposito di “k” e cadute, c’è la kappa di Zakarin che, già dimostratosi incerto nel controllo del mezzo, ruzzola in un ghiaione, presso un torrente, perdendo bici e ruota a molti metri: le immagini sono spaventose, ma, pur costando il ritiro al russo, le conseguenze saranno meno tragiche di quanto apparisse in prima battuta, “solamente” – con virgolette d’obbligo – frattura di clavicola e scapola.
Comincia la lunghissima discesa, dura, da pedalare, come quella che già stroncò Nibali giù dal Valparola, discesa che poi diventa ancor più morbida fino al falsopiano o perfino alla leggera contropendenza. Lezione di strategia, parte seconda. Si costituiscono in breve una serie di gruppetti, che, per il diletto dello spettatore, rappresentano interessi diversi in vario modo coalizzati, inaugurando una vera e propria serie di cronocoppie, una sorta di rinato Trofeo Baracchi, che determineranno i distacchi decisivi in vista dell’ultima scalata, quella a Risoul dove Nibali suggellò il proprio trionfo nel Tour 2014. Prima Nibali e Chaves si riuniscono con Rubén Plaza, poi viene fermato Scarponi, e abbiamo dunque un primo trenino Orica-Astana, guidato da due motori di grandissima cilindrata, che va riassorbendo via via uomini della fuga (l’ultimo Monfort) i quali però, naturalmente, si mettono a ruota. Dietro ci sono Valverde e Majka, il polacco andato in difficoltà proprio sulla vetta, lo spagnolo rientrato grazie a una grande discesa; li supportano gli ex-fuggitivi Hernández per la Tinkoff ed Herrada per la Movistar. Con loro Urán, a corto di forma ma stoico e prodigo di classe ritrovata sulle grandi montagne. Ancor più dietro la maglia rosa e la maglia bianca, con la presenza di quest’ultima, vestita da Jungels, cruciale per garantire l’aiuto delle bocche da fuoco Quickstep, in special modo Verona. Una curiosità: tolto Scarponi, i gregari chiave di questa fase sono tutti spagnoli! In quest’ultimo trenino si contano un bel po’ di Movistar, riuniti attorno ad Amador, ma con Valverde davanti non lavorano, così come non lavorano i Cannondale (Cardoso e Clarke) che hanno davanti Urán. Come già nel tappone dolomitico, lì a spese di Nibali, la vera componente di fortuna, e non è tutta fortuna nemmeno questa, va attribuita agli incroci di combinatorie nei vari gruppetti, più che a cadute in buona parte imputabili a errori di chi ne è vittima.
La battaglia è ben combattuta e con forme similari, i distacchi rimangono simili, di circa un minuto, un minuto e mezzo, tra ogni gruppetto. Tutto apaertissimo.
A Risoul Scarponi profonde l’ultimo sforzo, poi tocca la capitano. Nibali alza il ritmo e con lui resta Chaves, Ulissi e Nieve, i sopravvissuti della fuga ripescati durante il lungo inseguimento per le valli francesi, fanno l’elastico. A tutta prima sembra che solo l’italiano lavori, con Chaves freddo o cinico inchiodato a ruota. Vuole evidentemente ripetere il giochino già così ben riuscito di cuocere lo squalo e poi mangiarselo. Ma da dietro la collaborazione tra Majka e Valverde comincia a dare frutti, e in un primissimo momento anche Kruijswijk sembra avvicinarsi: Chaves inizia a collaborare, e, come vedremo, quando la lotta diventa ad armi e responsabilità assunte pari, con migliaia di km sulle spalle giorno dopo giorno, e oggi migliaia di metri di dislivello accumulati ora dopo ora, l’esito non è così scontato a favore del colombiano.
Le tensioni iniziali, su una salita lunga come Risoul, possono portare la corda a rompersi, specie per atleti abituati a ottimizzare uno sforzo di 5 o 10 minuti, pur dentro a prestazioni più estese. Tutti gli inseguitori cominciano a rinculare. La maglia rosa entra in una vera e propria crisi che vede tutti i più o meno blasonati accompagnatori scattargli in faccia. Poi si riprenderà. Poi di nuovo crollerà – ma non di schianto. Davanti, in testa, il braccio di ferro fisico e mentale è tutto tra il siciliano e il colombiano. Nibali allunga, Chaves si riporta sotto con rapide accelerazioni… ma non senza aver dovuto in prima istanza mollar la ruota. Una volta, due volte, alla terza, per poco bruciante che sia lo scatto nibaliano attuale, il folletto della Orica, pur essendo finora il più forte scalatore del Giro, deve mollare la presa. E la pinna dello squalo si allontana. Nibali è solo in testa alla corsa. Un uomo solo al comando. Strategie, tattiche, calcoli, azzardi, tutti si riduce a un uno contro uno micidiale. Nessuno cede di schianto, e la pressione sale vertiginosamente.
Ma l’aria di Risoul porta a Nibali dolci ricordi, i secondi diventano minuti, Chaves si inceppa, tanto che Nieve lo riprende e dapprima lo aiuta, ma poi finisce per staccarlo. Ulissi, gliene va reso merito, tiene botta, e non perde molto dalla coppia ispanoparlante. Poi l’arrivo, le braccia alzate di Nibali, il dito al cielo, poi entrambe le mani, le lacrime, i singhiozzi dell’eroe di giornata dopo un’impresa memorabile. Era dietro di quasi cinque minuti, ora il Giro è riaperto. La maglia rosa, però, è di Chaves: stanchezza finale, la sua, o oculatezza, risparmio in vista di una tappa di domani in cui difendersi con l’agio della sua forza in salita da un Nibali comprensibilmente esausto e forse quasi appagato? Poi Majka e Valverde, due età diverse, ma in entrambi una grande solidità e regolarità. Majka cementa una top 5, Valverde vede a una quarantina di secondi il podio, se riuscirà a scalzare Kruijwijk. Sì Kruijswijk oggi arriva al traguardo con enorme tenacia, evitando con incredibile forza caratteriale di sprofondare alla deriva, ed è ancora terzo, in questo Giro meraviglioso. Si scopre una costola rotta (Visconti ci sta correndo da diversi giorni, ma non è certo una gran consolazione): che farà domani? Potrebbe anche non ripartire. O potrebbe tornare in sella per far valere la propria grande gamba. Dal basso in alto, lui, Nibali e Chaves sono racchiusi in meno di un minuto, con all’orizzone Vars, Bonette, Lombarda e Sant’Anna di Vinadio. Quattro voltre sopra i duemila metri, una delle quali prossima ai tremila, più di 4000 metri di dislivello da coprire. Attraverso tutto questo, peserà la minuzia di un minuto. Ma comunque andrà, ancora una volta abbiamo assistito a un grandissimo Giro, e in questo grandissimo Giro a una tappa eccelsa, epica, e non è un’iperbole. Ancora una volta, grazie Vincenzo Nibali.
Gabriele Bugada
28 maggio – 20a tappa: Guillestre – Sant’Anna di Vinadio
LA RIMONTA E’ COMPLETA: IL GIRO E’ DI NIBALI
Il siciliano attacca a 5 km dalla vetta del Colle della Lombarda e rifila 1’36’’ a Chaves, che incappa nella peggiore giornata del suo Giro d’Italia. Valverde, unico a limitare il passivo da Nibali insieme al redivivo Uran, scalza dal gradino più basso del podio Kruijswijk, penalizzato dai postumi della caduta di ieri. Il successo di tappa va a Taaramae, al termine di una fuga nata sul Col de Vars, che ha permesso anche a Nieve di conquistare all’ultima occasione utile la maglia di miglior scalatore.
Non è stata forse la battaglia campale che molti attendevano e auspicavano, dopo i fuochi d’artificio del Colle dell’Agnello e di Risoul, ma la ventesima e penultima tappa del Giro 2016 ha perlomeno offerto una mezzora finale difficile da dimenticare. Una mezzora iniziata dalle parti di Isola 2000, l’abominio architettonico che ammorba la Val di Ciastiglione, a cinque chilometri circa dal Colle della Lombarda, a quindici dal traguardo di Sant’Anna di Vinadio.
Il gruppo maglia rosa era allora ridotto a otto unità, pilotate dal sempre fondamentale Scarponi, dopo quasi quattro ore di gara assai più monotona del previsto.
La scalata a freddo del Col de Vars, in partenza, non aveva prodotto più di 7-8 km di vera bagarre, quelli necessari a far partire una fuga di uomini fuori classifica (Nieve, Dombrowski, Denifl, Kangert, Visconti, Atapuma, Brambilla), cui si sarebbero di lì a poco aggiunti Rybalkin e Taaramae, e poco più tardi Diego Ulissi. Una fuga che ha incontrato resistenza nulla da parte di un gruppo adeguatosi al ritmo giustamente blando della Orica-GreenEDGE di Chaves, e che ha preso definitivamente il largo sul Col de la Bonette, dai più individuato come occasione per cominciare almeno ad impostare un ritmo più esigente, e invece quasi bypassato dal gruppo al placido traino della Movistar, sostituita soltanto in vista del GPM dalla leggermente più bellicosa Tinkoff. Il vantaggio dei battistrada, fra i quali Nieve si involava solitario a conquistare i 35 punti del GPM e a sfilare la maglia azzurra di miglior scalatore dalle spalle di Cunego, si attestava allora intorno ai dieci minuti; l’ennesimo rallentamento del plotone in fondo alla lunghissima discesa, brevemente animata da una timida azione di Amador, prontamente abortita, ha di fatto sancito il buon esito della fuga.
Soltanto dopo un paio di chilometri della Lombarda, quando davanti già infuriava il batti e ribatti di scatti destinato a lanciare Rein Taaramae verso il successo solitario, dopo una serie di sfuriate tanto violente quanto effimere di Atapuma e Dombrowski, la stessa Tinkoff si incaricava di imporre un passo meno pacifico. E non prima di un terzo di salita, quando la Astana è subentrata agli uomini in giallo fluo, con un Fuglsang finalmente dedito alla causa di Nibali, la corsa fra i migliori è finalmente cominciata davvero.
Sotto i colpi del danese, il drappello dei favoriti si è assottigliato ad una quindicina di unità, fra le quali figuravano in ogni caso tutti i top 10, con l’eccezione di un Pozzovivo già disperso sulla Bonette, giunto al traguardo con tre quarti d’ora di ritardo. Perché la spia di qualcuno iniziasse ad accendersi, tuttavia, è servita l’entrata in scena del solito Scarponi, tranquillamente fra i primi cinque-sei scalatori del Giro nella terza settimana. Soltanto Nibali, Valverde, Chaves, Uran, Majka, Jungels e uno stoico Kruijswijk restavano nella sua scia a 5 km dalla vetta, quando, all’uscita da un tornante, il marchigiano ha lasciato via libera al suo capitano. Quest’ultimo è partito da seduto e dalla prima posizione, con un’azione di ispirazione froomeiana, ed è bastata quella prima accelerazione perché alla sua ruota restassero soltanto la maglia rosa e Valverde, mentre Kruijswijk si arrendeva alla costola fratturata e ai dolori assortiti conseguenti alla caduta di ieri.
Facendo tesoro della lezione imparata a proprie spese e a più riprese in questo stesso Giro, Nibali ha spostato la battaglia dal terreno dello scatto secco a quello della progressione; e dopo 500 metri circa in cui il terzetto ha proceduto in fila indiana, la terza accelerazione del siciliano ha definitivamente piegato la resistenza di Chaves.
Il colombiano ha rischiato il crollo istantaneo, perdendo per qualche istante anche la ruota di Valverde, prima di riportarsi sul murciano con un moto d’orgoglio e di tentare di imbastire in sua compagnia un inseguimento. Come ieri, il distacco fra Nibali e Chaves, dopo l’affondo decisivo, si è stabilizzato fra i sei e i nove secondi per diverse centinaia di metri, prima di cominciare a crescere gradualmente.
Quando il divario già lambiva i venti secondi, sul duo Valverde-Chaves si è riportato un redivivo Uran, che, non tardando ad onorare la promessa di fare il possibile per favorire il connazionale, ha gettato alla maglia rosa l’ultimo possibile salvagente, portandosi in testa a scandire il ritmo come il più diligente dei gregari. Ma quando, un chilometro più tardi, anche il passo di Uran si è rivelato eccessivo per il capoclassifica, ben presto riassorbito anche dal drappello di Majka e Jungels, mentre Nibali trovava per strada l’appoggio di Tanel Kangert, il passaggio di consegne in vetta alla generale era sostanzialmente cosa fatta.
In cima, Nibali poteva gestire una trentina di secondi sulla coppia Valverde-Uran, mentre Chaves cedeva già il primato virtuale, scollinando a quasi un minuto. La discesa, tanto breve quanto tecnica e spettacolare, ha visto ridursi la forbice tra Nibali e i più diretti inseguitori, ma allargarsi quella fra il siciliano e la maglia rosa, già in ritardo di venti secondi nella generale provvisoria.
La rampa conclusiva di 2300 metri, pur tutt’altro che agevole, si è trasformata in una passerella per un Nibali ancora in piena spinta, circondato finalmente, a differenza di quanto accaduto sulle strade francesi (per le quali esistono tuttavia valide giustificazioni, non necessariamente di carattere sportivo), da una folla degna del gran finale del Giro.
Sei minuti e quarantaquattro secondi dopo l’arrivo di Taaramae, vincitore su Atapuma e Dombrowski, Nibali ha così potuto tagliare il traguardo già forte della consapevolezza di aver conquistato il suo secondo Giro d’Italia. Valverde ha preceduto Uran tredici secondi più tardi, mentre per l’arrivo di Chaves, staccato nel finale anche da tutti i componenti del suo gruppetto, si è dovuto attendere ancora un minuto e ventitré. Meglio ha fatto Kruijswijk, davanti all’ormai ex leader di 7’’; una prova eccezionale alla luce delle condizioni dell’olandese, ma non sufficiente a respingere l’assalto al podio di Valverde, che lo precede ora di 33’’, arrivato anzi ad insidiare anche la piazza d’onore.
Domani, fra Cuneo e Torino, andrà in scena la tradizionale passerella, la cui prevedibile banalità non potrà comunque scalfire il ricordo di un Giro a cui nessuno potrà mai contestare il difetto della prevedibilità. Alcuni altri Giri e molti Tour, anche negli ultimi anni, hanno probabilmente potuto vantare un lotto partenti più prestigioso e dei valori in gioco superiori; ben pochi, però, hanno saputo svelare una trama tanto avvincente.
Matteo Novarini

Vincenzo Nibali sfoggia la maglia rosa appena conquistata a Sant'Anna di Vinadio (foto Getty Images Sport)