NIBALI STORY – CAPITOLO 29: NON SOLO GIOIA E TRIONFI

novembre 19, 2022
Categoria: News

Nella carriera di un grande campione non ci sono solo gioie e trionfi, ma anche pagine che si vorrebbe dimenticare. Di Coppi, per esempio, non si rammentano soltanto le grandi imprese in montagna ma anche la famosa caduta ai piedi delle Scale di Primolano durante il tappone dolomitico del Giro del 1950 nella quale si fracasso il bacino, costringendolo ad una lunga convalescenza, dopo la quale riuscirà ancora a vincere, imponendosi in un Tour e in due edizione della Corsa Rosa. I tifosi di Gimondi, invece, ricordano ancora con terrore gli attimi d’angoscia che si vissero al Giro del 1976, quando rimase per qualche minuto a terra privo di senso dopo aver battuto il capo sull’asfalto nella tappa di Longarone, incidente dal quale si riprese al punto che qualche giorno più tardi riprese definitivamente la maglia rosa nella cronometro dell’ultimo giorno. Sotto questo aspetto anche Nibali ha avuto i suoi bei grattacapi, tra la clavicola rotta alle Olimpiadi di Rio nel 2016 e la frattura della vertebra rimediata a due passi dal mitico traguardo dell’Alpe d’Huez, al Tour del 2018, quando fu spedito a terra da una moto del seguito. Riviviamo ora quelle due pagine della storia del ciclismo italiano

6 agosto 2016 – Gara olimpica di Rio de Janeiro

NIBALI SOGNA, POI CADE. L’ORO E’ DI VAN AVERMAET

Una splendida gara olimpica vede il siciliano al comando in vetta all’ultima salita, in compagnia di Sergio Henao e Rafal Majka. Il sogno della medaglia d’oro sfuma però in discesa, quando Nibali cade insieme al colombiano. Il polacco, rimasto solo al comando, viene raggiunto a 2 km dall’arrivo da Van Avermaet, che conquista l’oro, e Fuglsang, medaglia d’argento, ed è costretto al gradino più basso del podio. L’Italia si deve accontentare del 6° posto di Aru.

A 12 km dal traguardo, la prima medaglia italiana ai Giochi di Rio era quasi cosa fatta. Nibali, magistralmente lanciato da Fabio Aru al penultimo Giro, aveva operato la selezione sperata sull’ultima salita, portando con sé i soli Sergio Henao e Rafal Majka, rimasti agganciati con i denti nel finale dell’ascesa. Dietro, nessuno aveva gregari da spendere, mentre l’Italia poteva contare su Fabio Aru, pur provato dal lavoro svolto in precedenza, in veste di stopper. La conquista dell’oro, viste le limitate doti di sprinter del messinese, sarebbe stata impresa complessa ma non proibitiva, al cospetto di altri due scalatori non noti per il loro spunto veloce.
Il lavoro dell’Italia per mettere il capitano nelle condizioni migliori era cominciato da lontano, quando Alessandro De Marchi era stato tra i primi ad attivarsi nell’inseguimento alla fuga della prima ora, promossa da più di un nome eccellente (Albasini, Kwiatkowski e Pantano su tutti, oltre a Geschke, Bystrom e Kochetkov). Al friulano si erano uniti i soli Erviti e Stannard, ma l’inferiorità numerica non aveva impedito ai tre di riportare entro margini di sicurezza il distacco dalla testa, giunto a toccare anche gli 8 minuti.
Nella lunga fase centrale, svoltasi su un primo circuito, comprendente le salite di Grumari e Grota Fonda, ad animare la corsa è stato perlopiù il vento, che intorno a metà percorso, nel tanto chiacchierato tratto in pavé, ha ad un tratto spezzato il gruppo in tre tronconi, prima del ricompattamento generale. Già in questa fase si sono chiamati fuori dal discorso medaglie atleti di alto livello, fra cui Tim Wellens, già staccato, e Wouter Poels, in chiaro affanno in coda al gruppo. Per l’Olanda si trattava della seconda uscita di scena, dopo il ritiro di Tom Dumoulin nei chilometri iniziali. Da chiarire le condizioni dell’uomo da battere nella prova a cronometro.
Lo scenario è cambiato quando la corsa ha imboccato il secondo circuito, la cui asperità principale, l’ascesa di Canoas, ha subito provveduto a falcidiare il sestetto di testa, riducendolo ai soli Kwiatkowski e Kochetkov. Dietro, l’Italia prendeva in mano la situazione, prima piazzando in testa al gruppo Diego Rosa (in generale al di sotto delle attese, ad onor del vero), utile a lasciare indietro, fra gli altri, Poels, Gilbert e Boasson Hagen; quindi lanciando l’attacco di Damiano Caruso, marcato stretto da Geraint Thomas e Greg Van Avermaet e seguito in un secondo momento anche da Rein Taaramae e Sergio Henao.
Il quintetto non ha mai acquisito un margine tale da impensierire più di tanto i favoriti, ma la sua mera presenza è stata sufficiente a costringere la Spagna ad entrare in azione. Caruso e compagni, nella tornata successiva, sono rientrati sulla testa della corsa, dove Kwiatkowski si era nel frattempo sbarazzato di Kochetkov. Le salite non hanno selezionato granché il plotone, scosso solo, per qualche chilometro, da un contrattacco non troppo minaccioso lanciato da Durasek.
A spaccare la gara ha provveduto invece la discesa, lungo la quale Richie Porte, cadendo, si aggiungeva alla lista dei big fuori gioco: Aru ha accelerato, con Nibali nella sua scia; i soli Fuglsang, Majka e Yates hanno avuto la prontezza di accodarsi, e quando il quintetto così formatosi si è riportato sui battistrada, il vantaggio ha fatto in tempo a salire a 50’’ prima che in gruppo venisse imbastito un inseguimento degno di tale nome. Fondamentale era la presenza in testa di Caruso, Kwiatkowski e Thomas tre, elementi sacrificabili per i leader appena rientrati, benché l’inglese non abbia fornito grande collaborazione e l’iridato di Ponferrada sia stato fermato pochi chilometri più tardi dai crampi.
L’emergenza costringeva intanto la Spagna ad una scelta fra i propri due capitani: Valverde si è sacrificato nell’inseguimento, consegnando i gradi di capitano unico a Purito. E se gli iberici non avessero trovato un inatteso alleato in Cancellara, evidentemente molto fiducioso nelle possibilità di Steve Morabito, la lotta per le medaglie si sarebbe di fatto ristretta ai battistrada già prima dell’ultimo giro.
Il lavoro di Caruso si è esaurito ai piedi dell’ascesa di Canoas, dove ha ceduto il testimone a Fabio Aru. Dietro è stato Kangert il primo a tentare la rimonta, rimbalzando però dopo poche centinaia di metri. Di ben altro spessore, invece, il contrattacco di Rodriguez e Meintjes, capaci di rifarsi sotto proprio mentre Nibali cominciava la sua serie di attacchi. Froome provava a sua volta la rimonta solitaria, arrendendosi però dopo un paio di chilometri. Alaphilippe, dopo aver atteso fin troppo, riusciva allora a saltare il vincitore dell’ultimo Tour e a riportarsi a sua volta nella scia di Purito e Meintjes.
Quella che pareva dover essere l’azione decisiva è nata sulla meno impegnativa delle due salite del circuito, quella di Vista Chinesa: Nibali è partito, Henao ha rilanciato, il siciliano ha ribattuto a sua volta, e il solo Majka ha tenuto botta, perdendo solo una manciata di metri, ricucita con passo regolare. Un ulteriore scatto di Nibali, a un chilometro circa dalla vetta, è parso per qualche istante poter lanciare il messinese verso una cavalcata solitaria, ma Henao ha provveduto con non pochi patemi a ricompattare il trio.
Forti di un margine di una quindicina di secondi al momento dello scollinamento, i tre si sono lanciati in discesa a rotta di collo, mentre Alaphilippe, con un paio di curve disegnate col compasso, riusciva a distanziare di qualche metro il resto degli inseguitori. Davanti, era Nibali a dettare le traiettorie, e l’impressione era che solo il francese potesse almeno ridurre il distacco dai battistrada.
Finché, a 12 km dal traguardo, la prima moto riprese ha mostrato prima Henao a terra, a bordo strada, e poi, pochi metri più avanti, lo stesso Nibali, in condizione analoga. La dinamica della caduta, in mancanza di immagini, dovrà essere ricostruita più avanti, in base alle testimonianze dei protagonisti. Argomento di interesse francamente limitato, al cospetto di una medaglia quasi vinta e sfumata sul più bello. Di lì a poco, sempre senza una telecamera a riprenderlo, anche Alaphilippe, il solo a potersi riportare sul terzetto, è finito a terra, riuscendo però a ripartire in tempi celeri e ad accodarsi al drappello di Aru.
Majka, il meno collaborativo e probabilmente il più stanco dei tre al comando, si è così ritrovato solo al comando nelle più rocambolesche delle circostanze, con una ventina di secondi da gestire. Dietro, per almeno un paio di chilometri, non si è vista neppure una parvenza di collaborazione, e la sensazione, a 6 km dal traguardo, era che l’oro fosse quasi al collo del polacco.
Nella girandola di scatti e controscatti, però, dal drappello inseguitore è evasa la coppia Van Avermaet-Fuglsang, che ha invece trovato subito un accordo impeccabile. La sagoma del polacco, davanti agli occhi dei due, si è fatta via via più grande, fino al ricongiungimento a 2 km dalla conclusione. Nulla poteva più impedire uno sprint a tre, e nulla poteva impedire a Van Avermaet, nettamente il più veloce, di fare polpette dei compagni di avventura.
Non è eresia parlare di una componente di fortuna nell’oro del belga, ma non si deve tuttavia perdere di vista l’impresa compiuta da un corridore che quasi nessuno considerava tra i papabili medagliati su un tracciato tanto selettivo (basti pensare che Sagan, corridore dalle caratteristiche non lontanissime da quelle del fiammingo, ha ritenuto il percorso olimpico così impegnativo da virare sulla mountain bike). E aiuta ad attenuare la delusione per la mancata medaglia azzurra pensare che a vincere sia stato un corridore dal credito sterminato con la sorte.
Fuglsang ha preceduto Majka, mentre Alaphilippe ha vinto l’inutile volata dei battuti, davanti a Purito e ad un ottimo Aru. Quello del sardo è un 6° posto che non può bastare a consolare per la sventura di Nibali, ma che evita almeno all’Italia di non figurare nelle zone alte della classifica, dopo una gara condotta in maniera magistrale, indubbiamente la migliore sotto la guida di Davide Cassani.
Estendendo il discorso, possiamo dire che la prova olimpica è stata di gran lunga la più spettacolare gara per nazionale degli ultimi anni. Merito, oltre che dell’intraprendenza degli azzurri, di un percorso all’altezza, come raramente ne abbiamo visti nei Mondiali recenti; dei 5 corridori (al massimo) per squadra, che ha reso impossibile anche alle compagini più forti un pieno controllo sulla corsa; forse anche della mancanza di radioline, che ha peraltro prodotto una situazione paradossale ad un centinaio di chilometri dal traguardo, quando Chris Froome, costretto ad un cambio di bici, ha dovuto inseguire per alcuni chilometri in compagnia di Geraint Thomas, mentre Cummings teneva alto il ritmo in testa al gruppo. Sarà difficile, però, ricordare la gara di oggi per il bello spettacolo, anziché per la maledetta caduta nell’ultima discesa.

Matteo Novarini

19 luglio 2018 – Tour de France – 12a tappa: Bourg-Saint-Maurice – Alpe d’Huez

THOMAS VINCE IN GIALLO MA IL PIÙ GRANDE E’ KRUIJSWIJCK

Grandissima azione dell’olandese della LottoNL-Jumbo che è andato in fuga solitaria per moltissimi chilometri ed ha percorso da solo al comando la curva degli olandesi sull’Alpe. Nei chilometri final scoppia la battaglia e Nibali, vittima di una caduta assurda, limita al minimo i danni grazie anche ad un rallentamento dei primi rotto da Bardet, bramoso di allungare la striscia dei vincitori francesi. Allo sprint vince Thomas, ma Dumoulin, che oggi era dato in difesa, non perde un metro ed anzi, con un’accelerazione, dà anche qualche grattacapo al keniano bianco.
Finalmente una tappa meravigliosa e piena di emozioni, non tanto per la battaglia finale sull’Alpe d’Huez, che si è sviluppata come al solito negli ultimissimi chilometri, ma per la grandissima azione di Steven Kruijswijk (LottoNL-Jumbo) che, dopo essersi inserito nella fuga iniziale, se n’è andato da solo sulla salita del Col de la Croix-de-Fer guadagnando un margine enorme in pochi chilometri. Per un lungo tratto l’olandese ha mantenuto un margine di 6 minuti sul gruppo maglia gialla, poi ovviamente il peso della lunghissima fuga e quello del tratto pianeggiante al vento verso l’inizio dell’Alpe d’Huez si è fatto sentire, ma il bravissimo scalatore olandese è riuscito a non colare a picco e, anche dopo essere stato raggiunto e staccato dai primi, ha retto bene ed è giunto al traguardo con soli 53 secondi di ritardo, mantenendo anche l’ottava in classifica generale.
Queste sono le azioni che tutti vorrebbero vedere in corse prestigiose come il Tour de France, queste sono le azioni coraggiose e, se vogliamo, scriteriate che rimangono però il sale del ciclismo, l’aspetto che rende questo sport il più bello che esista.
Sarebbe stato bello e meritato vedere Kruijswijk in giallo o, almeno, vederlo vincere la tappa, ma in ogni caso gli elogi non saranno mai sufficienti per un corridore che si trovava, e si trova tuttora, ancora ben messo in classifica e che inscena una azione del genere da solo, rischiando di saltare.
La classe dell’olandese si era già vista al Giro d’Italia del 2016 quando solo la rovinosa caduta nella discesa del Colle dell’Agnello gli impedì di vincere alla grande quell’edizione della Corsa Rosa.
Anche in quel caso Kruijswijk attaccò da lontano ma quell’azione, anche se ebbe un esito migliore, non è paragonabile per bellezza e fascino a quella di oggi e ogni appassionato non può non aver sperato che quest’impresa finisse nel migliore dei modi.
L’altro episodio chiave della giornata è stata l’assurda caduta di Vincezo Nibali (Bahrain Merida), causata da una moto. Naturalmente un’organizzazione come quella di ASO, bravissima nel fare pubblicità, da alcuni anni fa ha cominciato a scricchiolare e perdere colpi, dalla scena di Froome a piedi sul Ventoux allo sgonfiamento improvviso dell’arco dell’ultimo chilometro, gonfiato ad aria compressa, nella tappa del Lac de Payolle, episodi entrambi verificatisi al Tour del 2016.
Chris Froome e Geraint Thomas (Sky) si sono cavallerescamente fermati per aspettare il siciliano, poi Romain Bardet (AG2R La Mondiale) ha rotto l’equilibrio scattando. Non è che si possa pretendere che i primi si fermino in occasioni del genere, perché va bene il fair play, ma la corsa era in una fase caldissima, la vittoria sull’Alpe è il sogno di ogni ciclista e quelli davanti si stavano giocando il Tour de France.
Nel dopocorsa Paolo Slongo, direttore sportivo dello “Squalo” si è recato dalla giuria per chiedere che Nibali fosse accreditato del tempo dei primi, come accadde nel caso della caduta di Froome sul Ventoux, ma stavolta i giudici di gara hanno deciso di considerare l’episodio come “incidente di gara” e così confermato il distacco di 13 secondi accusato dal siciliano. Chi scrive ritiene la decisione giusta, anche perché non si può sapere come sarebbe andata se l’incidente non si fosse verificato. Tuttavia, visto il precedente di Froome, per un’ovvia applicazione del principio che vuole situazioni uguali trattate in modo uguale, Nibali avrebbe dovuto vedersi accreditato il tempo dei migliori. Ovviamente il peso economico di una squadra come la Sky è molto superiore a quello di una squadra come la Bahrean, ma sarà davvero difficile per ASO giustificare questa discrasia nella valutazione.
Nibali, comunque, è stato davvero bravo perché non si è lasciato prendere dal nervosismo ed è risalito in bicicletta, riuscendo a recuperare molti secondi con un’ottima azione, anche se la fase di attesa ha sicuramente favorito in parte l’inseguimento. Lo “Squalo” è, ovviamente, sembrato molto deluso dopo il traguardo perché, come ha detto ai microfoni dei giornalisti, si sentiva bene (aveva anche provato un allungo per saggiare la reazione degli avversari) ed aveva intenzione di provare nel finale a vincere la tappa, magari riuscendo anche a guadagnare qualche secondo sui rivali e pareggiare il conto con gli olandesi nelle vittoria in cima a questa storica ascesa, conquistata per la prima volta nella storia dal Campionissimo.
Gli olandesi, in effetti, oggi si sono fatti onore perché, oltre all’immenso Kruijswijk, bisogna sottolineare anche l’ottima prova di Tom Dumoulin (Sunweb) che, pur non reagendo alle accelerazioni violente di Froome, è riuscito a chiudere il buco che si era aperto come al solito con il ritmo e nel finale ha anche provato un’accelerazione che aveva lasciato in debito Froome e Bardet. Su una salita diversa da quella di ieri e adatta agli scalatori, pure il fortissimo cronoman della Sunweb non ha pagato alcun dazio ed ha pure conquistato l’abbuono riservato al secondo piazzato.
A questo punto una considerazione tattica va fatta anche in casa Sky. Dumoulin ha solo 11 secondi di ritardo da Froome e, se l’olandese dovesse resistere ancora sulle montagne che mancano, nella cronometro del penultimo giorno potrebbe sopravanzare il keniano bianco ed allora Thomas, che ha un vantaggio abbastanza consistente su di lui in generale ed è anche forte a cronometro, potrebbe essere la scelta migliore nella squadra per vincere, a meno che Froome non riesca a confezionare un’azione come quella nata sul Colle delle Finestre, in condizioni che però erano ben diverse da quelle attuali.
La considerazione prende ancor più corpo se si pensa che sinora Thomas non è affatto sembrato inferiore a Froome e oggi si è addirittura andato a prendere la vittoria di tappa in maglia gialla, al termine di una tappa durissima.
Nairo Quintana, invece, dopo un velleitario scatto ha pagato un dazio molto pesante, nonostante la condotta di gara della Movistar (sballata secondo chi scrive) avesse fatto pensare che il colombiano fosse intenzionato a sferrare un grande attacco. In casa Unzué si è, invece, salvato Mikel Landa, che è sembrato in difficoltà quando è stato dato fuoco alle polveri, ma – anche grazie al rallentamento seguito alla caduta di Nibali – è riuscito a rientrare sui migliori ed ha addirittura tentato la volata lunga per vincere.
Da segnalare, inoltre, che Primož Roglič (Team LottoNL-Jumbo) è arrivato insieme a Nibali a 13 secondi da Thomas ed è quinto in generale a 2′46″ oltre ad essere un bruttissimo cliente a cronometro.
Oggi la corsa non è decollata dai primi chilometri, in quanto i vari scatti non hanno portato al formarsi di una fuga, ma sotto i colpi della Movistar, che con Andrey Amador riduce di molto il gruppo, nasce quasi spontaneamente un tentativo foltissimo e molto interessante per le presenze. Nella fuga ci sono, infatti, Alejandro Valverde (Movistar), Kruijswijk (LottoNL-Jumbo) e Ilnur Zakarin (Katusha-Alpecin), che sono in classifica generale. Insieme a loro, troviamo Mikel Nieve (Mitchelton-Scott), Warren Barguil (Fortuneo-Samsic), Pierre Rolland (EF Education First-Drapac), Daniel Navarro (Cofidis) e alcuni big “decaduti” come Rafał Majka (Bora-Martínez) e Tejay Van Garderen (BMC). Nel corso della salita alcuni corridori perdono terreno e davanti restano così Daniel Martinez, Pierre Rolland (EF Education First-Drapac), Pierre Latour (Ag2r La Mondiale), Laurens Ten Dam (Sunweb), Barguil, Maxime Bouet, Amaël Moinard (Fortuneo-Samsic), Gorka Izagirre (Bahrain-Merida), Nieve, Amador, Valverde (Movistar), Van Garderen (BMC), Julian Alaphilippe (Quick-Step Floors), Majka, Gregor Mühlberger (Bora-Hansgrohe), Jasper Hansen (Astana), Serge Pauwels (Dimension Data), Zakarin, David Gaudu (Groupama-FDJ), Kruijswijk, Robert Gesink (LottoNL-Jumbo), Romain Sicard (Direct Énergie), Nicolas Edet, Navarro, Anthony Perez (Cofidis) e Marco Minnaard (Wanty – Groupe Gobert).
La Sky non fa un gran ritmo – anche perché quello di Amador aveva causato alcune defezioni, poi rientrate, nel team britannico – e il tentativo d’attacco prende consistenza con Alaphilippe che va a conquistare il GPM del Col de la Madeleine per raggranellare punti per la maglia a pois.
Nel fondovalle si muove Rolland, che aveva tentato in vari modi di convincere gli uomini in buona posizione in classifica a desistere per permettere che il tentativo potesse decollare.
Rolland resta solo sui Lacets di Montvernier ma, nella discesa successiva, viene raggiunto prima da Kruijswijk e Valverde e poi anche da altri componenti del gruppo originario. Sulle rampe della Croix-de-Fer, il vantaggio sul gruppo resta intorno ai 4 minuti e Kruijswijk decide che deve aumentare e va a sollecitare violentemente l’andatura, voltandosi ripetutamente nella speranza che qualcuno lo segua. Non c’è nulla da fare: nessuno tiene il ritmo dell’olandese che prende il coraggio a due mani e se ne va da solo, riuscendo tosto a distanziare moltissimo gli inseguitori e il gruppo.
All’inseguimento dell’olandese si forma un gruppetto con Barguil, Majka e Nieve, mentre più indietro restano Valverde, Zakarin, Rolland e Gesink.
Visto il dilatarsi del vantaggio, Ag2R e Movistar aumentano il ritmo, causando il distacco di Bauke Mollema (Trek – Segafredo) e Adam Yates (Mitchelton-Scott), che già ieri avevano mostrato di non essere in condizione.
Il vantaggio di Kruijswijk al GPM è di 3 minuti sui più immediati inseguitori, 4 sul gruppo di Valverde e 6 su quello della maglia gialla. In discesa l’olandese mantiene il vantaggio che, invece, scende inevitabilmente nel tratto di pianura prima di iniziare a salire i 21 leggendari tornanti.
Gli inseguitori non ci credono più e vengono ripresi dal gruppo, in testa al quale gli Sky si mettono a fare un gran ritmo. Sulla salita è Egan Bernal che impone un ritmo forsennato e riduce ad undici unità il gruppo, dal quale si stacca Daniel Martin che ieri, invece, era sembrato in stato di grazia.
Bardet prova a partire in contropiede su un allungo di Landa e resta a lungo davanti a bagnomaria con pochi secondi sul gruppo dei migliori, nel quale ci sono ora solo Thomas, Froome, Dumoulin, Nibali, Roglič, Landa e Bernal, mentre Quintana appare in difficoltà.
A poco meno di 4 Km dall’arrivo cade Nibali e Thomas mette piede a terra, mentre Froome accelera e chiude su un bravissimo Kruijswijk, che si stacca ma non va alla deriva. Dopo un momento di attesa per vedere se Nibali poteva rientrare, parte Bardet, che non riesce a staccare nessuno. Dumoulin, invece, riesce solo per un attimo a distanziare gli altri, eccetto Thomas che rimane incollato alla sua ruota. Si arriva così in volata con Thomas che precede Dumoulin e Froome.
Roglič e Nibali arrivano dopo 13 secondi, mentre Kruijswijk chiude con 53 secondi di ritardo. Archiviate le Alpi, bisognerà stare attenti alle tappe che porteranno la carovana ai Pirenei, perché sono piene di insidie e qualcuno, vista la solidità della Sky, potrebbe cercare di approfittare proprio dei trabocchetti previsti dalle prossime giornate. Domani si annuncia, comunque, una delle ultime tappe facili del Tour 2018, anche se non è così scontato che si arrivi in volata perchè parecchi velocisti si sono ritirati nelle ultime due tappe (Gaviria, Groenewegen e Greipel oggi, Kittel e Cavendish ieri) e ben poche saranno le squadre che avranno l’interesse di collaborare affinchè si rientri sui fuggitivi di giornata.
E a propositi di ritiri, c’è il rischio concreto che domani mattina non si possa schierare al via proprio Vincenzo Nibali, in questi momenti ricoverato in ospedale per accertamenti temendosi una frattura vertebrale che lo costringerà ad un lungo stop, mettendo a repentaglio anche la sua partecipazione al mondiale.

Benedetto Ciccarone

Nibali a terra sulla salita dellAlpe dHuez

Nibali a terra sulla salita dell'Alpe d'Huez

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