DELFINATO STORY: VALFRÉJUS 2015

giugno 5, 2020 by Redazione  
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Ecco il racconto di un’altra vittoria del keniano bianco al Delfinato. Nel 2015 Froome domina e fa sue le ultime due frazioni della corsa transalpina, prima quella di Saint-Gervais Mont Blanc e poi quella conclusiva di Valfréjus, anche se il suo vantaggio finale sul secondo classificato sarà di appena 10 secondi

ANCORA SUPER-FROOME: TAPPA E DELFINATO

Il keniano bianco bissa il successo di Le Bettex, imponendosi anche a Valfréjus e sfilando la maglia gialla a Tejay Van Garderen all’ultima tappa. Vana la resistenza dell’americano, che viene passato nel finale anche da Yates e Rui Costa. Il portoghese sale sul podio, davanti a Intxausti e allo stesso australiano, maglia bianca di miglior giovane. Nibali si sacrifica per Scarponi, al quale non viene però lasciato spazio sull’ascesa finale.

Non c’era bisogno di aspettare il Giro del Delfinato per sapere che Chris Froome ha tutte le carte in regola per puntare al secondo successo al Tour de France, ma non si può restare indifferenti di fronte alle prove di forza con cui il keniano bianco, rimediando alla prova scadente del Team Sky nella cronosquadre di martedì, ha rimontato e scavalcato Tejay Van Garderen. Dopo l’assolo di Le Bettex, che lo aveva portato a 18’’ dall’americano, Froome si è ripetuto oggi in maniera forse ancor più convincente, sulla salita tutt’altro che proibitiva di Valfréjus.
Come ieri, Van Garderen non ha perso di vista per un istante il rivale, ma ancora una volta la progressione di Froome, anche oggi inscenata in maniera più classica e meno inguardabile rispetto alle usuali frullate, si è dimostrata fuori dalla portata dello statunitense, costretto anzi ad incassare la rimonta finale di Yates e Rui Costa. Troppa la differenza tra i due, emersa in maniera via via più evidente con il passare delle tappe.
Il controllo della frazione è gravato ancora una volta più sulle spalle del Team Sky che su quelle degli uomini della maglia gialla, e non si è trattato di un compito banale. Sin dalle battute iniziali, secondo costume di questo Delfinato e, in generale, secondo una gradita tendenza degli ultimi tempi (Giro docet), gli attacchi sono stati numerosi e insistiti, e a fermarli non è bastato nemmeno il via libera concesso dal gruppo ad un drappello formato da Kelderman, Izagirre, Pires, Quéméneur, Sicard, Timmer e Cummings. Gautier, Smukulis e Tony Martin si sono infatti mossi al contrattacco, riportandosi in breve sulla testa della corsa, imitati qualche chilometro più tardi da Boom, Simon e De Clercq. Vano, invece, l’ulteriore tentativo di Grivko, Vicioso, Salero, Cherel e Vuillermoz, partiti quando il vantaggio dei leader era già superiore ai 2’.
Gli uomini in nero non hanno lasciato spazio all’azione, tenendo il distacco sempre al di sotto dei quattro minuti e cominciando a ridurlo sensibilmente a partire dalla scalata ai Lacets de Montvernier, spettacolare novità (a dire il vero non durissima) che verrà riproposta al Tour, purtroppo non proposta in tv dalla regia francese, collegatasi cinque minuti troppo tardi. Davanti, a quel punto, si trovava già il solo Tony Martin, avvantaggiatosi nella discesa della Côte de Saint-Georges-d’Hurtières e in piene prove generali per il Tour, quando la quasi totale assenza di cronometro lo obbligherà a cercar gloria con uno dei suoi assoli.
Il test del tedesco si è esaurito poco prima di approcciare la Côte de Saint-André, sulla quale al comando gli è subentrato Cummings. La stessa ascesa, pur molto agevole, ha segnato anche l’apertura delle ostilità nel gruppo dei migliori, grazie a Valverde. La selezione è stata giocoforza limitata, ma il murciano, evidentemente in caccia di risposte dal suo fisico più che della vittoria, ci ha riprovato con miglior esito nella successiva discesa, guadagnando una quindicina di secondi e percorrendo così in solitudine il lungo falsopiano verso Modane e l’imbocco della salita finale.
A riportare il gruppo sullo spagnolo ha provveduto nientemeno che Vicenzo Nibali in persona, oggi in veste di gregario di lusso del fido Scarponi, che ha percorso a tutta i chilometri più agevoli della salita, prima di lanciare l’azione del marchigiano all’inizio del tratto più impegnativo.
Trovandosi costretto a contare anche sugli abbuoni per colmare il distacco da Van Garderen, Froome non ha potuto concedere spazio ad un avversario pur lontanissimo in classifica come Scarponi, il cui destino è toccato poco dopo anche ad un Purito Rodriguez che ha finalmente offerto segni di vita. In testa, sotto l’impulso di Poels, rimanevano a quel punto soltanto 9 corridori, otto dei quali in attesa della mossa di Froome.
Lo scatto a lungo atteso è arrivato a 2600 metri dal termine, e da subito è parso chiaro che Van Garderen avrebbe faticato non poco a difendere le insegne del primato, perdendo immediatamente la scia del rivale. Il distacco si è stabilizzato per circa un chilometro intorno ai 10’’, prima che l’azione di spalle sempre più marcata dello statunitense preannunciasse la chiusura dei giochi a favore di Froome. Yates e Rui Costa sono piombati sulla maglia gialla, aiutandolo da un lato a limitare il distacco, ma privandolo di quegli abbuoni che in teoria avrebbero potuto ancora giocare un ruolo fondamentale nella difesa del primato.
Il divario, al traguardo, si è assestato proprio su quei 18’’ che separavano i duellanti alla partenza, ma i 10’’ di abbuono conquistati del britannico hanno risolto la questione, consegnandogli il secondo Giro del Delfinato in carriera. Una vittoria meno perentoria di quella che due anni fa fu il prodromo del dominio al Tour, ma ugualmente significativa, alla quale vedremo se e come Contador e Quintana risponderanno alla Route du Sud.
Van Garderen, preceduto sul traguardo da Yates e Rui Costa, ha ovviamente chiuso 2°, mentre il portoghese ha soffiato per 5’’ ad Intxausti (10° a 44’’ oggi) il gradino più basso del podio. Per l’australiano è arrivata invece la doppia soddisfazione della top 5 e della maglia bianca, strappata con pieno merito al ben più quotato Bardet (6° in classifica generale). I primi dieci vengono completati da Daniel Martin, Rodriguez, Valverde e Talansky, con il murciano chiaramente più preoccupato di testarsi che della classifica. Stesso discorso per Nibali, 12°, che, a fronte di un piazzamento finale peggiore, ha però impressionato maggiormente quando si è provato a fondo.
Ragionando in ottica Tour, è d’obbligo ricordare come la storia del Delfinato inviti a prendere ogni indicazione con le pinze: da Indurain che trita avversari prima di fallire clamorosamente l’assalto al sesto Tour al sorprendente Talansky dell’anno passato, passando per un Mayo che sembra minacciare il trono di Armstrong e Valverde che si candida alla maglia gialla, sono innumerevoli gli esempi di edizioni contraddette poi in maniera radicale dei verdetti della Grande Boucle. La sensazione, però, è di trovarsi di fronte ad un Froome in un formato prossimo a quello migliore, anche se probabilmente al di sotto del corridore ingiocabile ammirato due anni fa. Soltanto un’altra prima settimana sciagurata potrà levare il britannico dal novero dei pretendenti alla maglia gialla più prestigiosa.

Matteo Novarini

Froome mette i sigilli sul Giro del Delfinato imponendosi anche a Valfréjus e ribaltando proprio allultimo la classifica generale (foto Getty Images Sport)

Froome mette i sigilli sul Giro del Delfinato imponendosi anche a Valfréjus e ribaltando proprio all'ultimo la classifica generale (foto Getty Images Sport)

DELFINATO STORY: VAUJANY 2016

giugno 4, 2020 by Redazione  
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Il 2016 è l’anno della terza vittoria di Chris Froome al Delfinato, che vede il britannico prevalere per pochissimi secondi sul francese Romain Bardet e sull’irlandese Daniel Martin. Riviviamo la quinta tappa di quell’edizione, che vide il passaggio di consegne in testa alla classifica tra lo spagnolo Alberto Contador e Froome

FROOME-CONTADOR: SECONDO ATTO AL BRITANNICO

Tappa e maglia per il britannico a Vaujany, nel primo appuntamento alpino del Giro del Delfinato. Richie Porte è l’unico a reggere il suo ritmo, cedendo soltanto allo sprint. Paga invece 21’’ Contador, che dopo aver vanamente tentato di resistere si vede battuto anche da Adam Yates e Daniel Martin. Froome guida ora la generale con 7’’ su Porte e 27’’ sul madrileno.

Dopo il terzo posto del prologo, nel quale in soli 4 km aveva reso 13’’ a Contador, per Chris Froome è arrivata una sonora rivincita nel primo atto del trittico alpino del Delfinato, sulla breve ma aspra salita di Vaujany: vittoria di tappa, maglia gialla, e soprattutto il pareggio nel duello con lo spagnolo, vero motivo di interesse della corsa francese.
L’azione decisiva è cominciata a 2 km e mezzo dal traguardo, quando il gruppetto dei migliori aveva da poco neutralizzato, grazie al forcing di Roman Kreuziger, il primo attacco eccellente, portato da Mikel Landa. Il basco si era mosso dopo un chilometro circa di salita, lanciato dal classico trenino Sky, sostituitosi in testa al gruppo alla FDJ e alla Tinkoff, a lungo in controllo del plotone. Davanti restavano ancora i cinque componenti di una fuga nata a metà percorso: Cyril Gautier, Dayer Quintana, Bartosz Huzarski, Enrico Gasparotto e Andriy Grivko, quest’ultimo evaso da un foltissimo drappello che aveva animato la corsa sul Col de Barrioz (oltre all’ucraino, ne facevano parte Poels, Van Avermaet, Kiserlovski, Kreuziger, Morabito, Reichenbach, Bakelants, Vuillermoz, lo stesso Gautier, Keukeleire, Marczynski, Boasson Hagen, Cummings, Teklehaimanot, Hesjedal, Pedrero, Voeckler, Slagter, Coppel, Thurau, Voss, Grmay, Pibernik e Tiralongo). Gli altri quattro attaccanti si erano riportati su di lui in un secondo momento, dando vita ad un tentativo che non ha comunque mai assunto proporzioni significative, e che ai piedi dell’ascesa conclusiva era di fatto già spacciato.
Sulle prime rampe, Gasparotto ha avviato una progressione che lo ha lasciato ben presto solo al comando, senza però poter resistere più di 2 km abbondanti al ritorno di Landa.
A 3 km e mezzo dalla conclusione, il basco si è così ritrovato solo al comando, senza però riuscire a dilatare il suo vantaggio oltre il centinaio di metri. È bastato così il contrattacco di Daniel Martin, ai -3, per neutralizzare la sua azione.
In scia all’irlandese si mantenevano la sagoma gialla di Contador, quella a pois di Porte, e quella nera di un uomo Sky; si trattava però di Sergio Henao, e non di un Chris Froome rimasto attardato di qualche metro. Sembrava un campanello d’allarme, e invece quella del britannico si è rivelata una strategia ben precisa: appena completato il rientro, evitando accuratamente cambi di ritmo inutili, Froome ha sferrato a propria volta uno scatto dei suoi, al quale i soli Porte e Contador hanno saputo replicare.
Non pago della selezione operata, al primo affondo il keniano bianco ha fatto seguire subito il secondo, poi un terzo. Porte, dopo aver rinunciato a rispondere ad ogni acceleraizone, è riuscito a rifarsi sotto con un’andatura più regolare; Contador, forse troppo ostinato nel tentare di reagire alle sparate del rivale più temuto, si è invece piantato, perdendo in un amen oltre 10’’.
Buon per lo spagnolo che da dietro stesse rinvenendo Daniel Martin, al quale si è potuto aggrappare nel momento più difficile, che in seguito sia rientrato anche un ottimo Adam Yates, e soprattutto che l’ultimo chilometro e mezzo fosse molto più agevole rispetto ai precedenti, con un tratto addirittura in discesa.
Gli ex compagni di squadra in maglia Sky al comando hanno trovato subito un accordo impeccabile, incrementando così, sia pur moderatamente, il proprio vantaggio fino ai 200 metri finali, quando si è aperta la volata finale. Froome ha preferito affrontarla in testa, lanciando una lunga progressione alla quale Porte ha saputo resistere soltanto fino a 50 metri dal traguardo. Per il nativo di Nairobi è arrivato dunque il quarto successo in stagione, indubbiamente il più significativo in chiave Tour de France.
A Porte è stato attribuito un distacco di 1’’, mentre Yates ha regolato Martin nello sprint per il gradino più basso del podio, a 19’’ dal vincitore. Contador, in evidente affanno, ha perso negli ultimi metri anche le ruote del duo anglo-irlandese, tagliando il traguardo con un passivo di 21’’. Bardet, che in un primo tempo aveva tentato di tenere la ruota di Froome, rendendosi conto dopo poche pedalate dell’impossibilità della missione, ha recuperato a sufficienza da prendersi la sesta piazza, a 25’’, precedendo di 2’’ un drappello comprendente Rolland, Mollema, Meintjes, Alaphilippe, Rosa, Rodriguez e Navarro, e di ulteriori 4’’ Landa. Con il basco si esaurisce, ordine d’arrivo alla mano, l’elenco di chi può ancora nutrire realistiche ambizioni di classifica in questo Delfinato: dal 15° posto di Valerio Conti, infatti, i distacchi si impennano oltre il minuto.
Costretti ad abbandonare qualsiasi sogno di gloria, dunque, anche Fabio Aru e Thibaut Pinot, giunti al traguardo con 1’57’’ e 2’31’’ di ritardo rispettivamente. Per il sardo, la resa odierna implica anche la definitiva cessione dei gradi di capitano a Diego Rosa, ora 7° in classifica generale a 1’08’’ da Froome.
Il britannico ha infatti scalzato Contador dalla vetta della generale, occupata dal madrileno sin dal primo giorno. Il Pistolero, staccato di 27’’ dalla maglia gialla, ripartirà anzi domani dalla terza piazza, preceduto anche da Richie Porte, il cui ritardo è invece di sette miseri secondi. Ancora in lizza anche Martin (37’’), Alaphilippe (42’’) e Yates (52’’), con i due anglosassoni che si sono oggi lasciati preferire.
Il prossimo capitolo del duello Froome-Contador andrà in scena domani, ancora sul palcoscenico delle Alpi: 141 km fra La Rochette e Méribel, con tre GPM di prima categoria, uno di seconda, e l’unico Hors Catégorie di questa edizione, il Col de la Madeleine. Una tappa magistralmente disegnata fino a metà percorso, con il poco conosciuto ma molto ostico Champ-Laurent poco dopo il via, seguito senza soluzione di continuità dal breve ma arduo Grand-Cucheron, prima di dare l’assalto alla salita più dura del Delfinato 2016. La salita di Méribel inizia di fatto in fondo alla discesa della Madeleine, offredo dunque la possibilità di un concatenamento naturale e senza respiro, favorevolissimo ad attacchi da lontano; Thierry Gouvenou e soci, onde minimizzare il rischio del verificarsi di questo scenario, hanno però preferito intercalare fra le due ascese la pedalabile Montée des Frasses, condita da una decina di chilometri di fondovalle sia prima che dopo.
Ciò nonostante, si tratterà della tappa regina del Delfinato, nonché, forse, dell’occasione migliore per provare ad incrinare la supremazia che Froome sembra aver acquisito oggi sulla corsa.

Matteo Novarini

Chris Froome va a cogliere il primo successo di tappa in questo Giro del Delfinato (foto Bettini)

Chris Froome va a cogliere il primo successo di tappa in questo Giro del Delfinato (foto Bettini)

DELFINATO STORY: SOLAISON 2017

giugno 3, 2020 by Redazione  
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Prima dell’edizione dello scorso anno, il danese Jakob Fuglsang si era già imposto nel Delfinato nel 2017, anno nel quale la corsa francese si decise solo all’ultimo giorno di gara, nella tappa con arrivo in salita sul Plateau de Solaison. Riviviamo quella campale giornata

Attacchi e contrattacchi per tutto il giorno nell’ultima tappa della corsa francese. Ne approfitta il danese, che beneficia anche di un attacco da lontano di Fabio Aru, si invola sul Plateau de Solaison e sfila la maglia gialla a Richie Porte. Il sardo chiude quinto in classifica generale.

È solo giugno, ma l’ottava tappa del Giro del Delfinato ha già posto una seria candidatura a corsa dell’anno. Una frazione breve, 115 km appena, che ha visto bagarre su tutte e quattro le salite in programma (Saisies, Aravis, Colombière e Plateau de Solaison, inedito e durissimo arrivo in salita). Battaglia che ha premiato il gioco di squadra della Astana, capace di giocare al meglio la carta dei due uomini di classifica: Fuglsang e Aru, rispettivamente terzo e quarto alla partenza.
Il primo a muoversi è stato il sardo, partito all’inseguimento di Valverde nel tratto iniziale della Colombière. Per il murciano si trattava del secondo attacco di giornata, dopo quello prodotto sul Saisies. Nel mezzo, aveva provato a due riprese anche Chris Froome, sulla prima e poi sulla seconda salita: Richie Porte aveva risposto con prontezza, ma la BMC ne era uscita decimata.
Valverde e Aru hanno guadagnato in breve una quarantina di secondi su una maglia gialla troppo preoccupata di chi era rimasto alla sua ruota per inseguire chi aveva allungato. Daniel Martin ne ha approfittato per contrattaccare, trovando la replica e la collaborazione di Fuglsang e Bardet. Un terzo gruppo, comprendente Meintjes, Buchmann e Contador, si è avvantaggiato in un secondo tempo, mentre Porte e Froome continuavano a studiarsi. A 1 km dalla vetta, Aru, lontano 1’41’’ dal tasmaniano alla partenza, viaggiava ormai a pochi secondi dalla maglia gialla virtuale. È stato allora che Froome ha assestato il terzo scatto di giornata e che ha così messo per la prima volta in difficoltà Porte.
In cima alla Colombière, Aru e Valverde vantavano una trentina di secondi sul gruppetto di Fuglsang, un minuto circa su Contador e compagni, e poco di più su Froome. La maglia gialla non era lontana, ma il britannico del Team Sky ha dimostrato una volta di più di poter ormai considerare la discesa come un terreno su cui far male agli avversari, andando a riprendere i due drappelli che lo precedevano e a dilatare il margine sul capoclassifica.
Aiutato da Kwiatkowski, spedito in fuga al mattino e riassorbito nella discesa della Colombière, il keniano bianco ha neutralizzato anche la coppia di testa dopo pochi metri della salita verso il Plateau de Solaison, quando Porte pagava ormai più di un minuto.
I duellanti hanno inscenato per qualche chilometro una cronoscalata, in cui l’australiano è parso però subito più brillante. Delle difficoltà di Froome si è accorto per primo Daniel Martin, partito all’attacco a 7 km e mezzo dalla conclusione. Tutti hanno cercato di reagire, ma soltanto Fuglsang ha saputo guadagnare la sua scia. E quando, un paio di chilometri più su, il danese si è sbarazzato anche dell’irlandese, è stato chiaro che la sfida per la maglia gialla era diventata fra lui e Porte.
Gli ultimi 5 km, con Valverde e Contador già alla deriva, sono diventati uno spettacolare uomo contro uomo, con le energie di tutti ormai al minimo. Fuglsang e Martin hanno conservato le rispettive posizioni, separati sul traguardo da 12 secondi. Meintjes si è involato da solo verso il terzo posto di giornata, a 27’’ dal vincitore, mentre Buchmann, dopo aver pagato il tentativo di replicare al sudafricano, si è ripreso e ha chiuso quarto, a 44’’. Aru, pur provato dai 30 km di avanscoperta, ha trovato ancora la forza di tagliare il traguardo quinto, a 1’01’’. Un secondo più tardi ha concluso Bardet, mentre Porte ha accusato 1’15’’: esattamente il margine che poteva gestire al via su Fuglsang, premiato però dai 10’’ di abbuono raccolti con il successo parziale.
Il tasmaniano, privato in extremis di un Delfinato che era parso quasi dominare fino a ieri, si può consolare solo con il pensiero della nuova dimostrazione di superiorità nei confronti di Froome, raggiunto e staccato di 21’’ nel finale. Il keniano bianco si ritrova addirittura fuori dal podio, scalzato per un solo secondo da Daniel Martin (1’32’’ contro 1’33’’). Vicinissimo anche Aru, quinto a 1’37’’, ma soprattutto capace di mettere in mostra gambe e volontà che non si vedevano dalla Vuelta di due anni fa.

Matteo Novarini

Fuglsang festeggia sul podio il successo finale (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

Fuglsang festeggia sul podio il successo finale (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

DELFINATO STORY: VALMOREL 2018

giugno 2, 2020 by Redazione  
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Torniamo indietro nel tempo all’edizione disputata due anni fa, nella quale il britannico Geraint Thomas anticipò di un mese la vittoria al Tour de France imponendosi nel Criterium del Delfinato. La frazione decisiva fu quella terminata a Valmorel

MARTIN VINCE A VALMOREL. THOMAS IN MAGLIA GIALLA

Irlanda, Galles, Inghilterra. Non siamo al Sei Nazioni di rugby ma al Delfinato e questo è il podio della quinta tappa con Daniel Martin (UAE Team Emirates) che batte Geraint Thomas (Sky) ed Adam Yates (Mitchelton Scott) in quel di Valmorel. Thomas è il nuovo leader, probabilmente incontrastato, della breve corsa francese, visto il vantaggio superiore al minuto sui più immediati inseguitori. Domani penultima tappa con arrivo in salita alla Rosière.

La quinta tappa del Delfinato 2018 collega le località di Grenoble e Valmorel per un totale di 130.5 km. Sarà perciò una tappa non lunga ma esplosiva nel finale, visto che l’ascesa finale di una dozzina di chilometri animerà la corsa e saranno gli uomini di classifica a battersi presumibilmente per la vittoria di tappa, così come successo ieri a Lans-en-Vercors dove Julian Alaphilippe (Quick Step) ha messo la sua ruota davanti a quella di gente del calibro di Daniel Martin (UAE Team Emirates), Geraint Thomas (Sky) e Romain Bardet (AG2R). Gianni Moscon (Sky) parte da Grenoble con la maglia gialla di leader e vedremo nel corso della tappa come la formazione britannica gestirà il suo dominio fin qui evidente, visto che tre ciclisti dello squadrone inglese sono presenti nei primi tre posti della classifica generale. Dopo la partenza si formava la fuga di giornata grazie all’azione di nove ciclisti: Edward Ravasi (UAE Team Emirates), Nicholas Edet (Cofidis), Carlos Verona (Mitchelton Scott), Laurens De Plus (Quick Step), Alexis Gougeard (AG2R), Thomas De Gendt (Lotto Soudal), Matteo Fabbro (Katusha), Bruno Armirail (Groupama FDJ) e Dario Cataldo (Astana), quest’ultimo già protagonista nella tappa di ieri. Cataldo transitava in prima posizione sulla Côte de Naysord dopo soli 4 km dalla partenza, mentre Edet si aggiudicava il successivo GPM del Col des Mouillés, posto al km 19,5. Cataldo, alla luce di questi risultati, conservava la maglia a pois della speciale classifica con un vantaggio di 9 punti su Edet. Il lungo tratto di pianura che avrebbe portato i ciclisti ai piedi delll’ascesa finale di Valmorel vedeva il gruppo maglia gialla, tirato dal Team Sky, avvicinarsi sempre più minacciosamente alla fuga, che a 45 km dal termine aveva un vantaggio di poco superiore ai 2 minuti. La Bora Hansgrohe dava manforte alla Sky in testa al gruppo ed il vantaggio della fuga calava vistosamente a poco più di 1 minuto quando mancavano 20 km al termine. A 15 km dall’arrivo il vantaggio della fuga era di soli 30 secondi ed il gruppo, in testa al quale erano arrivati anche gli uomini della Bahrain Merida, sembrava ormai poter rinvenire senza problemi sulla testa della corsa. Il primo fuggitivo ad essere ripreso era Gougeard. In testa restavano Ravasi, Edet e De Plus. Ai meno 8 la Mitchelton Scott si portava in testa al gruppo, sintomo che Adam Yates voleva provare a smuovere le acque negli ultimi chilometri. Edet veniva infine ripreso a meno di 5 km dall’arrivo. Il primo a scattare era Marc Soler (ìMovistar) a 3 km e mezzo dall’arrivo. Alle sue spalle partivano Yates, Thomas e Romain Bardet (AG2R). Ai meno 3 contrattaccava Martin, mentre sembrava in difficoltà la maglia gialla Moscon ed anche Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) si faceva sfilare. Thomas scattava a meno di 2 km dall’arrivo ma oramai Martin era imprendibile, involato verso la prima vittoria stagionale. A 4 secondi giungeva Thomas mentre a 15 secondi chiudeva il podio parziale Adam Yates. Thomas è il nuovo leader della classifica generale con 1 minuto e 9 secondi di vantaggio su Damiano Caruso (Team BMC) e Moscon. Domani la sesta e penultima tappa, da Frontenex alla Rosière, è lunga soltanto 110 km ma prevede la scalata di quattro GPM, di cui due “Hors Catégorie”. Lo stesso arrivo in quota alla Rosière, classificato di prima categoria e che sarà affrontato anche al Tour de France al termine di una frazione identica a questa, dovrebbe garantire ancora battaglia tra i big e incidere nuovamente sulla classifica generale, ma probabilmente soltanto per le posizioni di rincalzo visto che oggi Thomas sembra aver ipotecato la vittoria finale.

Giuseppe Scarfone

Daniel Martin trionfa a Valmorel mentre, alle sue spalle, Geraint Thomas mette una seria ipoteca sul Criterium del Delfinato (foto Bettini)

Daniel Martin trionfa a Valmorel mentre, alle sue spalle, Geraint Thomas mette una seria ipoteca sul Criterium del Delfinato (foto Bettini)

DELFINATO STORY: PIPAY 2019

giugno 1, 2020 by Redazione  
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La prima settimana di giugno era destinata alla 73a edizione del Critérium du Dauphiné, rinviata ad agosto a causa della pandemia. In questi sette giorni vi proporremo una selezione di tappe delle più recenti edizioni della corsa francese, cominciando dalla frazione che decise l’ultima edizione del Delfinato, vinta dal danese Jakob Fuglsang

LA PIOGGIA NON FERMA POELS. FUGLSANG NUOVA MAGLIA GIALLA

In una seconda parte di tappa tormentata da condizioni meteo inclementi con pioggia e vento, i big di classifica si danno battaglia sull’ultima salita verso Pipay. E’ Wout Poels (Team INEOS) a sferrare l’attacco vincente ed a imporsi su Jakob Fuglsang (Astana) ed Emanuel Buchmann (Bora Hansgrohe). Fuglsang è la nuova maglia gialla e alla vigilia dell’ultima tappa di Champéry deve amministrare 8 secondi di vantaggio su Adam Yates (Mitchelton Scott).

La penultima tappa del Giro del Delfinato 2019 da Saint-Genix-les-Villages a Les Sept Laux-Pipay è lunga poco meno di 134 km ma presenta tre GPM di prima categoria ed un “hors catégorie” che dovrebbero finalmente delineare i veri valori in campo, all’interno di una classifica generale che sembra ancora troppo corta, visto che tra il primo – Adam Yates (Mitchelton Scott) – ed il decimo – Wout Poels (Team INEOS) – ci sono soltanto 40 secondi di differenza. Non prendeva il via Tom Dumoulin (Sunweb), ancora dolorante al ginocchio sinistro infortunato al Giro d’Italia. Vedremo nelle prossime settimane come proseguirà il recupero dell’olandese, che a questo punto ipotizziamo in dubbio per il Tour de France. La partenza subiva qualche minuto di ritardo per via della paventata decisione degli organizzatori di annullare la tappa, visto che era segnalata pioggia molto forte lungo il tracciato. Compiute le dovute verifiche la tappa partiva senza problemi ed erano immediati gli attacchi per portare via una fuga. Una ventina di ciclisti accumulava un vantaggio di circa 20 secondi intorno al km 20 e rra gli attaccanti si segnalava Julian Alaphilippe (Deceuninck Quick Step), vincitore della tappa di ieri. Gli altri componenti il tentativo erano Gianni Moscon e Dylan van Baarle (Team INEOS), Jack Haig e Damian Howson (Mitchelton-Scott), Mikaël Chérel (AG2R-La Mondiale), Philippe Gilbert (Deceuninck-Quick Step), Felix Grossschartner (Bora-Hansgrohe), Alexey Lutsenko e Magnus Cort Nielsen (Astana), Jesper Hansen (Cofidis), Rubén Fernández (Movistar), Lennard Hofstede (Jumbo Visma), Niklas Eg ed Edward Theuns (Trek-Segafredo), Michael Woods (EF Education First), Rémy Mertz (Lotto-Soudal), Mark Padun (Bahrain-Merida), Joey Rosskopf (CCC Team), Quentin Pacher (Vital Concept), Kévin Ledanois (Arkéa-Samsic) e Robert Power (Sunweb). Dopo 35 km il vantaggio della fuga era di 1 minuto sul gruppo. Lutsenko, con soli 30 secondi di ritardo da Adam Yates, era il ciclista meglio piazzato in classifica generale. Era ovviamente la Mitchelton Scott a imprimere il giusto ritmo al gruppo evitando che la fuga dilatasse il proprio vantaggio. Woods si aggiudicava il traguardo volante di Nances, dopodichè iniziava la scalata verso il primo GPM di giornata, il Col de l’Épine, posto al km 43. Uno scatenato Alaphilippe scollinava in prima posizione rafforzando il proprio primato nella classifica degli scalatori, e si lanciava nella discesa insieme ad Hofstede, unico a restare in scia al francese. Rimasto da solo in testa a causa della caduta che metteva momentaneamente fuori gioco Hofstede, Alaphilippe iniziava la scalata verso il Col du Granier, seconda asperità di giornata, con una trentina di secondi di vantaggio sul grosso della fuga iniziale, mentre il gruppo maglia gialla inseguiva con circa 3 minuti di ritardo. Alaphilippe scollinava ancora una volta in prima posizione mentre Hofsteve riusciva a riprendere il francese. Si formava così una coppia in testa anche se per poco, visto che Alaphilippe e Hofstede venivano ripresi dal numeroso gruppo al loro inseguimento. A 38 km dal termine il gruppo di testai aveva 2 minuti di vantaggio sul gruppo maglia gialla. Sul successivo Col de Marcieu, affrontato sotto una vera e propria tempesta, era Woods a transitare in prima posizione, seguito da Lutsenko. La nuova coppia di testa guadagnava una trentina di secondi di vantaggio sugli immediati inseguitori, poi il kazako rimaneva da solo al comando in seguito ad una foratura del canadese. L’ultima salita verso Pipay veniva percorsa sotto una fitta pioggia. Iniziavano gli attacchi nel gruppo maglia gialla e il primo ad accendere le micce era Nairo Quintana (Movistar). Provavano ad attaccare anche Romain Bardet (AG2R La Mondiale), Thibaut Pinot (Groupama FDJ) e Jakob Fuglsang (Astana). Lutsenko e Woods, rimasti nuovamente soli al comando, venivano ripresi a 4 Km chilometri dal traguardo, dopodichè prendevano la testa della corsa Fuglsang, Emanuel Buchmann (Bora Hansgrohe) e Wout Poels (Team INEOS). Era proprio l’olandese – alla prima vittoria stagionale – ad imporsi con un secondo di vantaggio su Fuglsang e Buchmann. Chiudevano la top five Pinot e Daniel Martin (UAE Team Emirates) a 10 secondi mentre la maglia gialla Adam Yates, sesto, perdeva il simbolo del primato che andava sulle spalle di Fuglsang. Il danese adesso ha 8 secondi di vantaggio su Yates, mentre più staccati sono Tejay Van Garderen (EF Education First), Buchmann e Poels, rispettivamente staccati a 20, 21 e 28 secondi. Domani è in programma l’ultima tappa da Cluses a Champéry per un totale di 113,5 km. Si tratta di una frazione ancora più corta di quella odierna ma infarcita di GPM, ben 7 che, seppur complessivamente non durissimi, potrebbero riservare interessanti scenari, con attacchi tra i big già dai primi chilometri. Fuglsang ha un vantaggio non trascurabile sugli avversari e resta a ben vedere il favorito principale per la vittoria nel Giro del Delfinato 2019.

Giuseppe Scarfone

In una giornata resta molto più complicata dalle condizioni meteo Wout Poels si impone nel tappone del Delfinato 2019 (foto Bettini)

In una giornata resta molto più complicata dalle condizioni meteo Wout Poels si impone nel "tappone" del Delfinato 2019 (foto Bettini)

1940: SORGE L’ASTRO DI COPPI, POI L’ABISSO DELLA GUERRA

maggio 31, 2020 by Redazione  
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Nel 1940 il ciclismo scopre Fausto Coppi, fino a quel momento noto soltanto ai pochissimi che ne avevano seguito i primi passi nel mondo dello sport del pedale, tra i quali c’è Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco che ne segnalò il nome a un dirigente della Bianchi. Ma a notarlo sarò anche la Legnano, la squadra di Bartali, che lo iscriverà al Giro come gregario del capitano. Poi la corsa prenderà tutt’altra piega, mentre le tristi vicende del mondo sconvolto dalla Seconda Guerra Mondiale pian piano arriveranno ad avvolgere con il loro lugubre mantello anche l’Italia.

Se a distanza di 80 anni stiamo qui ancora a narrare le straordinaria gesta di Fausto Coppi dobbiamo ringraziare un massaggiatore cieco, ma dall’affinato olfatto sportivo. Fu Biagio Cavanna, infatti, a segnalare ai dirigenti della Bianchi l’ex garzone d’un salumiere di Novi Ligure, che in bici aveva cominciato a pedalare per consegnare la spesa ai clienti e che aveva ottenuto già sette vittorie nei primi due anni da dilettante. I capi della formazione bergamasca, però, non riuscirono a metterlo sotto contratto perché aveva fiutato il suo talento anche Eberardo Pavesi, il direttore sportivo della Legnano, che lo inserì in organico e lo affiancò a Gino Bartali, decidendo già l’anno dopo di fargli disputare il Giro d’Italia. La sua deve essere nelle intenzioni una presenza “silenziosa”, quella del gregariato, ma la sfortuna metterà quasi subito all’angolo lo scalatore toscano, che nel 1940 si schiera al via come grande favorito per la vittoria finale nonostante in gara ci sia anche il piemontese Giovanni Valetti, vincitore delle ultime due edizioni della Corsa Rosa.

Il 17 maggio del 1940 il primo atto del Giro è una tappa classica, 180 Km da Milano al motovelodromo di Torino che si corre mentre altrove impazza la Seconda Guerra Mondiale, che da noi non è ancora arrivata grazie all’iniziale neutralità dell’Italia. Il giorno nel quale le truppe tedesche riescono a sfondare il fronte franco-belga e arrivano ad occupare Bruxelles, sotto la pioggia l’offensiva avversaria viene sferrata contro Bartali dopo un centinaio di chilometri di gara, ad opera di otto corridori tra i quali c’è il temuto Olimpio Bizzi. Il livornese, chilometro dopo chilometro, si scrolla di dosso i compagni di viaggio e in solitaria taglia il primo traguardo del 28° Giro d’Italia con 2’10” sul gruppo, regolato allo sprint da Bartali.

Il giorno successivo si materializza sulle strade della Torino-Genova un inatteso avversario per Bartali, un cane che gli attraversa improvvisamente la strada e lo manda per le terre lungo la discesa della Scoffera. “Ginettaccio” batte fianco, spalla e caviglia (si scoprirà solo più avanti che ha rimediato anche un’incrinazione al femore, con la quale conviverà fino alla fine della corsa), mentre l’incidente sprona ancora Bizzi, che nuovamente va all’attacco provocando il cedimento di Valetti. Sul Colle Caprile Bartali riesce a riprendere le ruote del corregionale, ma nel frattempo davanti a loro un folto drappello è riuscito a involarsi verso il capoluogo ligure e tra questi corridori c’è anche Coppi, che ha provato un paio di volte a far corsa dura con due secche accelerazioni. Il corridore di Novi è secondo al traguardo, dove il cremonese Pierino Favalli s’impone precedendo proprio Fausto, sulle cui spalle già fin d’ora ricadono i gradi di capitano avendo Bartali terminato la tappa con Bizzi più di 5 minuti dopo l’arrivo dei primi, tra i quali c’è la nuova maglia rosa, il piemontese Osvaldo Bailo.

Nonostante l’infortunio patito il giorno prima Bartali non offre l’apparente impressione di soffrirne più di tanto e l’indomani termina la Genova – Pisa nel mezzo del gruppo, che giunge al traguardo circa un minuto più tardi rispetto a un plotoncino di sei uomini regolato in volata dal pavese Diego Marabelli. Continua a soffrire, invece, il due volte vincitore del Giro Valetti che, dopo i nove minuti persi a Genova, oggi si stacca già sui saliscendi che l’Aurelia propone subito dopo la partenza e nella città della torre pendente i minuti perduti dal piemontese sono saliti a 18.

Mentre anche la Francia viene occupata dalla Wehrmacht e inizia la Battaglia di Dunkerque (Parigi verrà raggiunta il 14 giugno, il Tour – inizialmente in programma – salterà e riprenderà il suo cammino solamente nel 1947) si disputa la facile Pisa – Grosseto, tappa nella quale Coppi riesce ancora a guadagnare sugli assi nonostante una caduta a 300 metri dal traguardo che lo porta a tagliare la linea d’arrivo circa un minuto dopo gli altri componenti del gruppetto di 25 corridori che costituisce l’avanguardia della corsa, regolato allo sprint dal velocista umbro ma reatino d’adozione Adolfo Leoni. Mentre la maglia rosa passa sulle spalle di Favalli, il futuro “Campionissimo” (un soprannome che all’epoca era riservato al suo conterraneo Costante Girardengo) oggi precede di quasi nove minuti il gruppo nel quale c’è il suo ex capitano e si porta al secondo posto della classifica, preceduto di 1’04” dal nuovo leader della Corsa Rosa.

L’indomani con un’altra tappa pressochè priva di difficoltà altimetriche si arriva a Roma, dove sulla pista del Motovelodromo Appio (demolito dopo il 1960, quando all’EUR sarà costruito un nuovo impianto destinato a ospitare le gare delle Olimpiadi) si assiste al bis di Leoni al termine di una frazione decisamente più noiosa e avara di grossi spunti di cronaca rispetto a quelle vissute nei giorni precedenti. Poco meno di un minuto dopo l’arrivo dei primi tre corridori classificati, infatti, piomba sul rettilineo d’arrivo un folto gruppo composto da quasi tutti i partecipanti alla Corsa Rosa, che ora si ferma nella capitale per il primo dei quattro giorni di riposo.

La tappa che si deve affrontare alla ripartenza è la più lunga delle venti in programma, 238 Km per andare da Roma a Napoli su di un percorso la cui principale difficoltà è rappresentata proprio dalla distanza. Chi segue il Giro dalla radio sente, però, raccontare di una tappa non dissimile da quella affrontata quarantottore prima, con la differenza che stavolta non c’è nemmeno il distacco al traguardo, dove allo sprint il forlivese Glauco Servadei ha la meglio sul gruppo quasi completamente compatto e selezionato solo da una caduta avvenuta subito prima dell’ingresso nel velodromo dell’Arenaccia.

Ci si attende qualcosa di più dal finale della successiva frazione che prevede il finale in dolce ma progressiva ascesa verso il traguardo di Fiuggi. Invece anche stavolta non accade nulla tra i big che puntano alla vittoria finale e che forse attendono di affrontare le prime salite di una certa consistenza, per le quasi bisogna attendere ancora un paio di giorni. Nel frattempo va registrata la “resurrezione” di Valetti che, dopo aver patito le pene dell’inferno nelle prime frazioni, era stato uno dei protagonisti della battagliata tappa di Grosseto e oggi torna a mettere il naso fuori dalla finestra, riuscendo a guadagnare circa 35” sul gruppo attaccando nel finale e trascinandosi dietro il romagnolo Walter Generati, che poi lo precede allo sprint sulla breve rampa del traguardo fissato nella nota località termale laziale.

È la movimentata altimetria della tappa di Terni a spronare finalmente il gruppo, durante la quale Coppi perde tre dei minuti guadagnati nei primi giorni di corsa a causa di un infelice cambio di bicicletta, inadatta alle sue misure, al quale è costretto dopo il “passaggio” di un’ammiraglia sopra il suo mezzo, che Fausto ha momentaneamente adagiato nel mezzo della strada per andare a dissetarsi ad una fontana. È l’occasione per un attacco alla Legnano orchestrato da ben cinque formazioni, azione che prova anche il cedimento della maglia rosa Favalli, che al termine di questa frazione – conquistata allo sprint da Bizzi – lascia le insegne del primato al torinese Enrico Mollo, nuovo capoclassifica con 25” sul lussemburghese Christophe Didier e 58” sul varesino Severino Canavesi, mentre Coppi scende in quarta posizione a 3’07” e il passivo di Bartali rasenta il quarto d’ora.

Alla vigilia delle prime salite il Giro fa ritorno in Toscana e si torna a respirare in gruppo il clima “stantio” visto nelle tappe antecedenti, al punto che un giornalista – il bolognese Giuseppe Ambrosini, che adesso scrive di ciclismo per “La Stampa” e dieci anni dopo diventerà direttore della Gazzetta della Gazzetta – arriva a scrivere quel giorno che la cronaca di quella frazione non meritava nemmeno d’esser narrata. Lo fa solo per dovere di cronaca, arrivando alla fine alla descrizione dell’unico momento degno d’esser ricordato, lo sprint nel quale il senese Primo Volpi riesce a precedere a sorpresa Bizzi e Servadei, dopo che Bartali ha tentato fino all’ultimo di tenere le ruote del suo compagno di squadra, poi risultato vincitore.

Lo scalatore toscano avrà recuperato le botte della caduta giù dalla Scoffera? Lo diranno gli appena 91 Km della Arezzo – Firenze, la tappa più breve del Giro nel corso della quale si deve salire fino ai 1058 metri del Passo della Consuma, una difficoltà che Gino – che è del posto – conosce a menadito. Chi si attende un attacco del corridore toscano rimane, però, sorpreso perchè il primo corridore della Legnano ad attaccare sulla Consuma è Coppi, che allo scollinamento viene preceduto da Volpi – il vincitore della tappa del giorno prima – mentre il gruppo transita alla spicciolata, la maglia rosa Mollo a 30” di ritardo e Bartali a 51”. È poi il gruppetto di quest’ultimo a raggiungere Coppi, cinque uomini che viaggiano spediti verso il traguardo dove Bizzi precede in volata Bartali, Volpi, Fausto e il cesenate Mario Vicini, mente Mollo perde 25” ma non la testa della classifica, che comanda ancora con 56” su Canavesi e 2’42” su Coppi.

In parallelo al Giro continua la sua inarrestabile corsa anche la guerra e il 28 maggio, quando i “girini” si riposano nel capoluogo toscano, le agenzie lanciano la notizia della resa del Belgio, in seguito alla quale il sovrano dello stato, Leopoldo III, si consegna ai tedeschi che lo confinano nel castello di Laeken. Anche la successiva data del 29 maggio è storica, segnata in rosso sui libri di storia sportiva, perché è il giorno della prima impresa siglata da Coppi. È in programma quel giorno una frazione più consistente rispetto a quella di Firenze perché per andare fino a Modena bisogna attraversare a più riprese l’Appennino, percorrere 184 Km e superare quattro salite non formidabili nelle pendenze ma reste ostiche dal fondo sterrato, le Piastre, il Passo d’Oppio, l’Abetone e il Barigazzo. La prima cavalcata solitaria di Fausto dura quasi 100 Km, iniziata dopo che sull’Abetone ha sgretolato la concorrenza – con Bartali messo fuori caso da un problema al movimento centrale sulla salita dell’Oppio, dov’era stato attaccato da Valetti, Bizzi e Didier – e ha successivamente raggiunto nel corso della discesa l’ultimo uomo rimasto in avanscoperta, il toscano Ezio Cecchi, corridore conosciuto con il soprannome di “scopino di Vicchio” perché la sua famiglia è dedita alla produzione artigianale di scope. Coppi quel giorno non lo rivedranno più fino al traguardo, dove giunge con 3’45” su Bizzi, che precede allo sprint un gruppetto selezionato dalle montagne odierne e composto da 12 elementi, l’ultimo dei quali a transitare sulla linea d’arrivo è Mollo, oramai ex maglia rosa perché Coppi con l’impresa odierna s’è portato al vertice della classifica sopravanzandolo di 1’03”, mentre Canavesi scende dal secondo al terzo posto con un ritardo di 3’46”.

La prima giornata da “re della classifica” per Coppi non è una passeggiata, nonostante non presentino nemmeno un cavalcavia i quasi 200 Km della frazione di Ferrara. Esattamente a metà tappa Fausto è costretto a una sosta imprevista a causa di problemi al tubo che regge il manubrio. Non è possibile ripararlo e occorre cambiare bicicletta, operazione all’epoca più complicata rispetto ad oggi perché il regolamento prevede che le ruote – a meno di rottura – non possano essere sostituite e così bisogna smontarle dalla bici vecchia e rimontarle su quella nuova. L’operazione richiede qualche tempo e qualcuno tenta di approfittarne – in particolare gli uomini dell’Olympia, la formazione di Mollo – ma nel giro di 15 Km Fausto, con l’aiuto dei compagni di squadra, riesce ad annullare i 2 minuti di ritardo accumulati in seguito all’inconveniente. L’ultima parte della tappa vede poi andare in porta una fuga partita dopo il rientro di Coppi in seno al gruppo e nella cittadina romagnola s’impone per la terza volta Leoni, che stavolta precede in volata il toscano Aimone Landi e l’astigiano Sebastiano Torchio.

Mentre la guerra si estende anche al Giappone e alla Cina, dove viene bombardata la città di Chongqing, in Italia le ruote scorrono placide nella breve tappa di Treviso. Oggi le battaglie a pedali si limitano a un po’ di scatti qua e là, portati da corridori non pericolosi e tutti tentativi di brevissima durata. E così dei 61 partiti da Ferrara solo in sei perdono le ruote del gruppo nel finale, quando un numeroso plotone si presenta sulla pista sabbiosa dell’ippodromo di Treviso per disputarsi un successo che finisce con l’arricchire il palmarès di Bizzi, che per il momento nega la quarta affermazione a Leoni.

Entrati nel mese di giugno si corre una lunga frazione che conduce la carovana del Giro in Istria, terra ancora per poco italiana perché dopo la fine del conflitto i patti del Trattato di Parigi del 1947 l’assegneranno alla Jugoslavia. L’arrivo è fissato ad Abbazia, l’odierno centro croato di Opatija, dove si giunge dopo una tappa movimentata solo altimetricamente, perché anche oggi latitano le azioni degne di note di cronaca. Come il giorno prima, infatti, in tanti arrivano a giocarsi la vittoria, che stavolta arride a Servadei, primo allo sprint su Generati e Leoni, piazzato anche oggi.

Decisamente più elettrizzante è la successiva tappa che riporta la corsa in Friuli, non solo per i continui saliscendi del Carso ma anche per lo stato delle strade, che provocano molte forature, e per le vicissitudini di una gara che vede Coppi costretto a un complicato inseguimento, dopo una caduta nella discesa inghiaiata di Montemaggiore d’Idria che lo porta ad accumulare quasi 2 minuti di ritardo al traguardo di Trieste. Qui Vicini precede allo sprint Bizzi e un distacco ancora più grande patisce Bartali, che affonda letteralmente e termina la sua corsa quasi mezz’ora dopo l’arrivo del vincitore. Nonostante i disagi patiti da Coppi non cambia nulla al vertice della classifica perché Mollo, che era secondo alla partenza con 1’03” da recuperare, oggi ha terminato la tappa assieme a Fausto, mentre al terzo posto è salito un corridore che oggi “giocava” in casa, il triestino Giordano Cottur, staccato di 10’19”.

Dopo aver osservato il terzo giorno di riposo ci si rimette in sella per affrontare le attese e temute tappe di montagna alpine, che debuttano con la Trieste – Pieve di Cadore. Ci sono due salite da affrontare, un’ascesa che sulle cartine ufficiali è priva di nome (il Passo della Morte) e la successiva Mauria; sulla prima l’imberbe Coppi vacilla, a causa di un’indigestione dirà lui nel dopo tappa, mentre davanti si accelera e Mollo si ritrova a un certo punto a indossare la maglia rosa virtuale. Poi la situazione lentamente migliora e, mentre Vicini vola a prendersi un’altra vittoria, Coppi riduce progressivamente il distacco da Mollo dai 45” che i cronometristi registrano in cima alla Mauria agli appena quattro secondi che il corridore piemontese riesce effettivamente a guadagnare a Pieve di Cadore, riducendo il suo distacco da Coppi a 59 secondi.

È ancora incerta, dunque, la situazione in classifica tra i primi due alla vigilia del tappone dolomitico dei tre passi, il secondo della storia dopo quello vinto da Bartali nel 1937 perché nelle due edizioni precedenti i “Monti Pallidi” erano stati appena sfiorati dal tracciato di gara. In appena 110 Km, tale la distanza da percorrere tra Pieve di Cadore e Ortisei, devono essere affrontati il Falzarego, il Pordoi e il Sella, superando a tre riprese i 2000 metri di quota, un’altitudine che finora il Giro aveva violato soltanto in cima al Sestriere, inserito nel tracciato della corsa per la prima volta nel 1911. I più pensano che, dopo quanto patito da Coppi il giorno prima e da Bartali nella tappa di Trieste, i corridori della Legnano oggi gareggeranno in difesa, ma la strada rivelerà tutt’altro: a sorpresa il corridore toscano, nel frattempo ripresosi, parte all’attacco già sul Falzarego per poi farsi raggiungere dal piemontese e successivamente da Cecchi, che poi i due distaccano di 42” in vetta al passo. Sul Pordoi il “Campionissimo” ancora sbanda, perde le ruote del suo capitano che la strada ha trasformato in gregario ed è proprio Gino a spronarlo, usando anche le maniere forti quando Fausto gli fa capire di voler scendere di bici e ritirarsi. Non ci sono tifosi a bordo strada a vedere quei frangenti – le grandi masse osannanti i campioni sui passi dei grandi giri arriveranno nel dopoguerra – che saranno raccontati anni dopo dallo stesso Bartali: Gino lo rimprovera insultandolo (“Sei un acquaiolo”, cioè un venditore di acqua e, sottinteso, un uomo dalla personalità debole) e quando vede che le parole non servono passa alle vie di fatto, prendendo manciate di neve fredda a bordo strada per “massaggiare” Fausto, provocandogli uno shock termico che lo rinvigorisce. Da lì in avanti è un’autentica marcia trionfale che li porta a tagliare assieme il traguardo di Ortisei, dove passa primo Bartali, con 2’13” su Mollo e Cottur e a questo punto il Giro si può considerato concluso per quanto concerne la lotta per la classifica, nonostante siano previste ancora tre salite da affrontare nei giorni successivi. Ora, infatti, il primato di Coppi è tornato a rinsaldarsi, forte di 3’12” sul corregionale e di 12’28” su Cottur.

Intanto ci si gode nella quiete delle Dolomiti l’ultimo giorno di riposo, mentre non conoscono soste i venti di guerra, che da qualche tempo spazzano anche sulla penisola scandinava. È in quei giorni che ha, infatti, termine la battaglia terreste di Narvik con la fuga nel Regno Unito di Re Haakon VII e dell’intero governo norvegese. È il 7 giugno, giorno nel quale al Giro si deve affrontare una delle salite più impegnative dell’edizione 1940, il Passo delle Palade. Ma, complici la lontananza dal traguardo di Trento e forse anche una sorta di annichilimento generale causato dall’impresa siglata da Coppi e Bartali nel tappone, nessuno ha il coraggio di tentare un attacco. Va a finire che due velocisti come Servadei e Leoni, che a un certo punto della tappa si erano trovati a pedalare con 10 minuti di ritardo dalla testa della corsa, riescono facilmente a rientrare e partecipare alla volata, nella quale si piazzano nell’ordine.

L’indomani c’è la tappa verso Verona che prevede l’ultima grande salita del Giro, il Pian delle Fugazze, che viene affrontata con piglio deciso almeno nella parte conclusiva dell’ascesa. C’è un po’ di selezione, Bartali transita per primo in testa giusto per consolidare il suo primato nella classifica degli scalatori, poi tutto rientra nel corso della successiva discesa e non succede più nulla di rilevante fino ai piedi delle Torricelle, la salita che sessant’anni più tardi sarà il fulcro di due edizioni dei mondiali disputate nella cittadina scaligera: lì se ne va di nuovo Bartali, che poco più tardi coglie almeno un successo parziale in quello che doveva per lui essere un altro Giro trionfale.

L’ultima tappa, una galoppata pianeggiante di 180 Km attraverso la Pianura Padana alla volta del finale approdo di Milano, si svolge come le consuete passerelle conclusive e vede Leoni collezionare un prestigioso poker nel giorno della consacrazione del ventenne Coppi. Ma la festa di Fausto sarà di breve durata perché il giorno dopo è il 10 giugno e Mussolini ha previsto per quella data d’affacciarsi al balcone di Palazzo Venezia e proclamare agli italiani l’entrata in guerra al fianco della Germania.
E del Giro non se parlerà più per sei, lunghi, interminabili anni….
Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: mancano la 9a (Arezzo) e la 12a tappa (Ferrara)


















1948, LO STRANO GIRO DEL PROFESSOR CASAMANDREI

maggio 30, 2020 by Redazione  
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Il 1948 fu un anno straordinario per il Giro d’Italia, che vide andare in scena ben due edizioni della “Corsa Rosa”, una “seria” e l’altra molto meno. La prima fu quella vinta da Fiorenzo Magni, che s’impose con un distacco impensabile per l’epoca, appena 11 secondi su Ezio Cecchi, a tutt’oggi il vantaggio tra primo e secondo più basso della storia del Giro. Ma stavolta non vi parleremo di questo Giro, ma dell’altro, tutto da ridere, che fu confenzionato da Mario Mattoli, il regista marchigiano di “Totò al Giro d’Italia”, lo spassoso film che vide il “principe della risata” interpretare il ruolo di Casamandrei, un professore che s’innamora non ricambiato di una splendida ragazza, la quale ne respinge le avances dicendogli che gli cederà solo nel caso lui vincesse il Giro d’Italia. Peccato che il Casamandrei in bici non ci sappia andare e per riuscirci arriverà a stringere un patto nientemeno che con il diavolo…

In questo articolo andremo a scoprire i dettagli di quel film, esaminandone non solo la trama ma svelandovi  alcuni segreti della produzione e portandovi sui luoghi nel quale furono girate le scene, individuati con la collaborazione del sito www.davinotti.com, che da anni sta effettuando il mappaggio delle location utilizzate dalle varie produzione cinematografiche proponendo paralleli tra le immagini dei film e fotografie odierne dei luoghi nei quali si è girato. In quelle scene si vedono Totò e la sua controfigura storica Dino Valdi (al quale assomiglia molto e che lo sostituirà in gran parte delle scene in “sella”) interagire con i veri campioni dell’epoca, da Gino Bartali a Fausto Coppi, da Fiorenzo Magni al francese Louison Bobet, dall’elvetico Ferdi Kübler al belga Alberic Schotte. La presenza di quest’ultimo ci permette anche di capire in quale periodo si svolsero le riprese perché Schotte indossa la maglia iridata di campione del mondo che aveva conquistato il 22 agosto 1948 a Valkenburg e, dunque, giocoforza – almeno per quanto riguarda le scene con presenti i corridori – si girò tra quella data e almeno un mesetto prima del 30 dicembre, quando “Totò al Giro d’Italia” per la prima volta fu trasmesso al cinema Ambrosio di Torino, ricevuto il giorno precedente il visto di censura necessario per tutti i film. Concluse le riprese, successivamente si montò il film aggiungendo scene di giri del passato prese a piene mani dai cinegiornali dell’epoca – non esiste ancora la TV in Italia, la RAI inizierà le trasmissioni nel 1954 – e accostate una accanto all’altra senza badare troppo al “pelo” e così capita di imbattersi in una svista del montatore che, nel finale della prima tappa del Giro al quale partecipa Totò, che si corre tra Milano e Torino, inserì lo spezzone di un vecchio Giro nel quale si vede il gruppo entrare in Roma, con tanto di pannello segnaletico in bella vista.

La storia ha inizio al concorso di Miss Italia, alle cui fasi eleminatorie partecipano nel ruolo di giurati il professor Totò Casamandrei e la bella Doriana, la ragazza per la quale il protagonista perde la testa e che è interpretata dall’attrice sanremese Isa Barzizza, oggi novantenne e unico membro ancora in vita del cast artistico (almeno per quel che riguarda gli attori che interpretarono i ruoli principali). Per queste riprese Mattoli scelse di girare a Stresa perché è nella cittadina affacciata sul Lago Maggiore che all’epoca si svolgeva il celebre concorso, che qui si tenne dal 1946 al 1949 presso l’hotel Regina Palace. Sono, infatti, gli esterni e gli interni di questo lussuolo albergo dalla storia centenaria, inagurato nel 1908, che compaiono nelle prime scene del film, dopo che i personaggi di Dante e Nerone (interpretati da Carlo Ninchi e Luigi Catoni) hanno introdotto la storia durante i titoli di testa: le riprese, almeno quella della premiazione della miss, si svolsero effettivamente la sera della finale, il 26 settembre del 1948, e a essere incoronata è proprio Fulvia Franco, la 17enne triestina che quell’anno erediterà lo scettro di Miss Italia da Lucia Bosè e che in questo film ottiene anche il ruolo della sorella di Doriana, nonché della miss deputata a premiare il vincitore delle tappe del Giro.

Incassato il “due di picche con la condizionale” dalla bella Doriana Totò decide comunque di provarci, pur non essendo mai salito in bici, e per farsi conoscere dal mondo del ciclismo prende a frequentare il celebre Bar Vittorio Emanuele di Milano, che all’epoca era realmente il bar degli sportivi, del quale erano habituè i grandi personaggi del mondo dello sport di passaggio dal capoluogo lombardo. Concedersi un caffè in quel bar oggi è però, impossibile perché ha chiuso i battenti da decenni e gli ambienti che lo ospitavano, in Via Orefici, sono oggi occupati da negozi di moda. E scomparsi sono anche gli interni che si vedono nel film, ma per un altro motivo: tutti le scene in interno furono girate in set allestiti presso i teatri di posa degli studi Titanus, che si trovavano sulla collina alle spalle del Palazzo della Farnesina a Roma e che saranno demoliti nel 1965, quando inizierà in quel luogo la costruzione del complesso residenziale “Colli della Farnesina”, abitualmente chiamato proprio “Comprensorio Titanus”.

Dopo un primo, rovinoso tentativo di salire in sella a una bicicletta, il professor Casamandrei torna mestamente nella sua abitazione, nella quale lo vediamo arrovellarsi sul come fare fin quando esprime ad alta voce il proposito di esser disposto a vendere l’anima al diavolo pur di riuscire a impalmare la ragazza. Detto e fatto, si sente bussare alla porta ed entra in scena Filippo Cosmedin, “diavolo di seconda classe” dal simpatico accento veneto interpretato dal veneziano (anche se di natali napoletani) Carlo Micheluzzi. Il patto è stretto e in men che non si dica il Casamandrei si ritrova a essere, da assoluto incapace che era, un autentico asso della bici: esce nella piazza antistante il palazzo dove abita e, sotto gli occhi di un gruppo di sbalorditi bimbetti, si appropria della bici di un garzone e si esibisce in evoluzioni degne di un funambolo. E, in effetti, fu un giocoliere di professione a sostituire l’attore partenopeo in questa scena, girata in Piazza Campitelli a Roma, di fronte al portone di Palazzo Capizucchi, che nella finzione è il palazzo dove abita il Casamandrei e che fino al 2012 accoglieva l’Ambasciata d’Irlanda. Non sarà, quello, l’unico “trucco” utilizzato per quella scena, nella quale Totò riesce a far muovere la bici a distanza con un semplice sguardo, una prodezza che il mondo del cinema consente grazie ad un paio di corde che non furono adeguatamente mascherate e che un occhio attento può cogliere in quella sequenza.

Fatto il ciclista bisogna fare il corridore, ottenere la licenza e iscriversi al Giro. Il primo passo che Totò compie è quello di munirsi di una divisa da gara, che si reca ad acquistare in un negozio tra l’ilarità dei passanti, che scoppiano a ridere nel vedere l’attempato professore (all’epoca delle riprese Totò aveva 50 anni) uscire dall’esercizio commerciale vestito di tutto punto con la giacca sopra i pantaloni da corridore. Anche qui si filmò a Roma, per la precisione in Via Paolo Emilio 14, nel rione Prati, dove oggi c’è un grande magazzino della COIN.

Ora il professore può finalmente cominciare a dare corpo al suo desidero e lo vediamo in sella alla sua bici schierarsi al via della prima tappa del Giro, la Milano – Torino, dove viene inizialmente scambiato dai giudici addetti alla punzonatura per il papà di uno dei corridori. La tappa parte e, grazie ai poteri diabolicamente avuti dal Cosmedin, il Casamandrei va presto in fuga, trovando anche il tempo di una breve sosta lungo la tappa per salutare la bella Doriana, scena anche questa girata – come molte altre di questo film – a Roma: siamo in Viale di Tor di Quinto, in un punto dal quale all’epoca era ancora visibile sullo sfondo la verde Collina Fleming, oggi fagocitata dallo sviluppo urbanistico della capitale, e sul quale 8 anni prima era terminata una corsa vera, l’edizione del Giro del Lazio del 1940 vinta da Bartali e valevole come sesta prova del campionato nazionale che sarà conquistato proprio dallo scalatore toscano. La tappa prosegue, Totò è “vittima” di una secchiata di un tifoso che lo infradicia e lo farà infuriare non poco (anche se, guardando con attenzione quella scena, si vede come il tifoso abbia clamorosamente mancato e di parecchio il professore e l’acqua sia piovuta tutta sull’asfalto), poi la giornata si conclude con il vittorioso arrivo del Casamandrei al motovelodromo di Torino, dove sua è la prima maglia rosa.

Anche la seconda tappa, da Torino a Genova, finisce nel palmarès del Casamandrei nonostante la salita della Scoffera e un paio di fermate fuori programma, prima a un laghetto per pescare e poi al punto di rifornimento volante, al quale lui preferisce un rifornimento fisso, seduto al tavolo come se fosse al ristorante con tanto di sigaro fumato a fine pasto. E per rientrare in gruppo agevolmente si fa trainare dall’ammiraglia, ma è tanta la forza “diabolica” del corridore che si ritrova lui a essere il trascinatore della vettura: nella finzione siamo da qualche parte dell’appennino tra Piemonte e Liguria, nella realtà la strada che si vede in quei fotogrammi è sempre a Roma, per la precisione è Via della Camilluccia, all’altezza del cancello di una villa che negli anni successivi sarà set dei film “Fantasmi e ladri” (1959), “Le vacanze del Sor Clemente” e “Buonanotte… Avvocato!” (entrambi del 1955).

Intanto le stravaganze del Casamandrei contagiano gli altri corridori, anche i più celebri, che al raduno di partenza della terza tappa si presentano fumando il sigaro, una cosa a loro sconsigliatissima ma che pensano possa farli andare veloce come lui. Il giornalista Bruno, interpretato dall’indimenticato Walter Chiari, li rimprovera aspramente invitandoli a prendere esempio dal morigerato Coppi, che però immediatamente dopo lo zittisce entrando in scena fumando con vigore un sigaro in formato extralarge. E intanto il Casamandrei è sempre più inarrestabile e giunge prima di tutti anche nella tappa di Pisa, dopo essersi concesso un bagno in mare a Viareggio, scena che nel film non si vede ma che viene annunciata dai titoli della copia farlocca della “Gazzetta dello Sport” che viene mostrata a fine tappa.

Mentre ci s’interroga sul misterioso corridore (“Fenomeno o imbroglio?” titola il “Corriere dello Sport”), si arriva a Roma dove stavolta il Casamandrei manca la fuga, ma riesce comunque a prevalere precedendo in volata Bartali e Coppi. E il barbuto professore offre spettacolo anche il giorno dopo, quando taglia vittorioso il traguardo di Napoli suonando il mandolino, sempre scene che il film non ci mostra ma che ci lascia immaginare attraverso i titoloni dei quotidiani. E poi nel carniere del professore finiscono anche le tappe di Ancona e Bologna, dove alla premiazione chiede tortellini al posto dei tradizionali fiori destinati al vincitore.

Qui tornano in scena Dante e Nerone che introducono il giorno di riposo nel capoluogo emiliano, momento nel quale Totò si rende conto d’esser spacciato. Preso dall’euforia del momento non si era reso conto del conto da pagare al diavolo, che si sarebbe preso la sua anima subito dopo la fine vittoriosa del Giro. Rivela tutto alla sua squadra e a Doriana e poi, in preda alla depressione, medita addirittura di suicidarsi gettandosi dalla Torre degli Asinelli, ma giunto in cima ai 446 gradini della torre (contati uno a uno da Totò, anche se nella realtà sono 498) si trova di fronte il custode che riesce a distrarlo affinchè non commetta l’insano gesto (lo spettatore scoprirà solo alla fine della scena che in realtà si tratta del diavolo Cosmedin sotto mentite spoglie).

Inizia a questo punto a congegnare tutta una serie di strategie per mandare all’aria il patto, come fingersi improvvisamente impazzito per farsi ricoverare in manicomio, dove però viene per sbaglio condotta la vittima di una delle sue “follie”, un cliente dell’albergo dove alloggia con la sua ridottissima squadra. Così lo ritroviamo ancora in gruppo per l’ottava tappa, durante la quale prima fa comandare uno spargimento di chiodi al momento del suo passaggio (ma sarà lui l’unico a uscirne indenne, mentre foreranno tutti gli altri) e poi accoglie il suggerimento del suo tecnico di attaccarsi all’ammiraglia affinchè la giuria lo espella dalla corsa. Ma il demonio ci mette lo zampino anche stavolta e fa magicamente scomparire la vettura al momento del passaggio dal punto di controllo, dove Totò si presenta con il braccio alzato nel gesto del traino, che viene dai giudici scambiato per un cenno di saluto: sempre Roma è quella che si vede in quella scena, girata nel tratto di Via dei Due Ponti che scavalca con un viadotto la sottostante Via Flaminia e offre sullo sfondo la vista sullo spelacchiato Monte delle Grotte, così chiamato per le cavità che lo sforacchiano.

Vinta anche l’ottava tappa, stavolta non viene precisato dove sia il traguardo, arriva il momento del tappone dolomitico, che Totò tenta di evitare aggredendo il sindaco del paese dove è in programma la partenza e facendosi così arrestare. Stavolta riesce nell’intento ma in prigione si ritrova come compagno di cella il Cosmedin, che ancora una volta manda letteralmente al diavolo i progetti del Casamandrei: la notte porta consiglio in casa del sindaco, che decide di perdonarlo e ritirare la denuncia, consentendogli così di prendere il via alla penultima tappa.

Stavolta vengono avvertiti anche gli altri campioni che, al raduno di partenza, si mettono d’accordo con Totò per batterlo. Ma non servirà a nulla perché al traguardo non sarà cambiato niente… nemmeno il luogo! Infatti, sia la scena della partenza, sia quella dell’arrivo furono girate nella medesima piazza, avendo l’accortenza di riprenderla da due prospettive differenti per non far capire allo spettatore che in realtà la troupe, gli attori, i corridori e le comparse reclutate a interpretare il pubblico non si erano mai spostati da Piazza Diaz di Lecco, dove si girò nei giorni nei quali i campioni in scena erano impegnati negli allenamenti precedenti l’edizione del Giro di Lombardia che sarà vinta per il terzo anno consecutivo da Coppi.

Manca ora soltanto una tappa alla conclusione del Giro e al momento della fatale consegna dell’anima, ma c’è un personaggio con il quale il Cosmedin non ha ancora fatto i conti, la madre del Casamandrei, interpreta da Giuditta Rissone, attrice ligure che nella realtà non avrebbe mai potuto essere madre di suo figlio perché di tre anni più anziana di Totò. Sarà proprio lei a rovinare i piani del diavolo – ma vi abbiamo già detto troppo, sul come ce la farà vi lasciamo il piacere della scoperta gustandovi il film (in calce all’articolo trovate il link al film su youtube) – mentre il figlio perderà il Giro ma riuscirà a conquistare il cuore di Doriana.

E il Giro chi lo vince? Il film non lo dice perché in una serata di gala alla conclusione della corsa (dove ricompare ancora il Cosmedin, ora cacciato dall’inferno e assunto come domestico dai Casamandrei) alla presenza di tutti i campioni Totò riceve una telefonata dal velodromo Vigorelli nella quale gli viene comunicato il nome del vincitore, ma lui decide di lasciare il mistero sulle sorti della maglia rosa, accompagnandolo da un celebre motivetto, riadatto dal compositore milanese Nino Rota sulle note di “Una voce poco fa”, aria del “Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini. Ed è con il testo di quella canzone che vi lasciamo alla visione del film

LA MAGLIA ROSA (di Nino Rota)

Una voce poco fa nel telefono squillò

Ma chi ha vinto non si sa?

Come mai? Io non lo so

Di chi è la maglia rosa? Di chi è? Di chi è? Di chi è?

La maglia rosa, la maglia rosa è quella cosa che mai non riposa

Chi la conquista doman la può perdere e chi la perde può ritrovarla con facilità

Ma di chi sarà? Ma di chi sarà? Di chi sarà? Di chi sarà? Di chi sarà?

La maglia rosa, la maglia rosa è quella cosa che mai non riposa

Svolazza un po’ di qua, svolazza un po’ di là

Oggi è di Gino, domani Coppi se la mette sul pancino

Dopodomani pure Cottur potrà tenerla tra le mani

Ora basta! Lo devi dire!

Io lo so, io lo so, ma però non lo dirò

Lui lo sa, lui lo sa, ma però non lo dirà

Di tutti quanti lieti voglio far, la maglia rosa a tutti voglio dar

Una a te, una a te, una a Magni che fa tre

Questa a te, questa a te, ce n’è una anche per Bobet

Voi siete i primi al traguardo del valor…

Io sono il primo al traguardo dell’amor…

Una a te, una a te, una a Magni che fa tre

Questa a te, questa a te, ce n’è una anche per Bobet

Voi siete i primi al traguardo del valor…

Io sono il primo al traguardo dell’amor…

IL FILM SU YOUTUBE

https://www.youtube.com/watch?v=U47w5wS3iC8

LE LOCATION DEL FILM (dal sito www.davinotti.com)

La sfilata delle Miss all’Hotel Regina Palace di Stresa:



Lo scomparso “Bar Vittorio Emanuele” di Milano:


Totò all’esterno di Palazzo Capizucchi a Roma, nella finzione l’abitazione del professor Casamandrei:




Totò acquista una divisa da corridore al futuro COIN di Via Paolo Emilio a Roma:


La sosta di Totò in Via Tor di Quinto durante la prima tappa del Giro (il secondo fotogramma è un confronto con un film del 1965, “Le bambole”):








Durante la tappa Torino-Genova totò si fa trainare in Via della Camilluccia a Roma per rientrare agevolmente in gruppo:


Totò medita il suicidio ai piedi della Torre degli Asinelli a Bologna:




Il fallito tentativo di farsi espellere per traino in Via dei Due Ponti a Roma, durante l’ottava tappa:





La partenza della penultima tappa da Piazza Diaz a Lecco:



L’arrivo della penultima tappa…. nella medesima piazza di Lecco dalla quale si era partiti:



SCENA MISTERIOSA

Tra le altre c’è una location “misteriosa” che ancora non siamo riusciti ad individuare. È il luogo dove Totò si ferma a pranzare in piena tappa sedendosi al tavolino anzichè prendere il rifornimento come tutti. Dalla tipologia delle abitazioni sembrerebbe un posto in montagna, probabilmente non molto distante da Lecco (alcune scene furono girate nelle frazione alte, e poi a Ballabio e ai Piani Resinelli). Se qualcuno riconoscesse il luogo è pregato di segnalarlo alla mail redazione@ilciclismo.it



30 MAGGIO 1909: L’EPICA LOTTA E’ CONCLUSA

maggio 29, 2020 by Redazione  
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Ultimo capitolo sulla storia del primo Giro d’Italia. La tappa conclusiva non si rileva una passerella, anche perché una foratura di Ganna scatena gli appettiti di Galetti, distaccato di pochi punti. L’attacco non va a buon fine (complice involontario uno zelante cantoniere) e nemmeno in volata il milanese riesce a colmare il disavanzo: il primo Giro d’Italia è dell’atleta varesino. In appendica un documento storico, il verbale della giuria che “omologò” la vittoria finale di Ganna.

Il primo Giro d’Italia è arrivo al suo atto conclusivo. L’ultimo raduno di partenza avviene alla Cascina Marchese, appena fuori la barriera Milano. Rispondono all’appello tutti i 51 corridori rimasti in gara. Ci sono anche il piemonte Giovanni Battista Carena, il cremonese Camillo Carcano e il bolognese Enrico Nanni. I primi due prendono il via sotto condizione, essendo stati accusati, per il momento senza prove, d’aver preso il treno. Nanni, invece, è il veterano del gruppo dall’alto dei suoi 44 anni e partecipa fuori gara alle ultime frazioni, essendo giunto fuori tempo massimo nel tappone di Napoli. Lui aveva preso il via nella successiva frazione di Roma con l’intenzione di percorrerne solo il tratto iniziale… invece, eccolo ancora qua pronto a sobbarcarsi gli ultimi 206 Km. È la tappa più breve di tutte ed anche la più facile, senza l’ombra di una salita, ma la classifica stilata a punti e non a tempi rende la corsa ancora apertissima. Si passerà per Vercelli, Novara ed Arona prima di far ritorno a Milano, dove la strategia della doppia partenza sarà messa in pratica anche per l’arrivo, stavolta concordando le operazioni per tempo con tutte le autorità: arrivo ufficiale sul viale di Musocco, arrivo ufficioso all’Arena Civica.

Giusto il tempo di dare il via e subito bisogna assegnare l’oscar della sfortuna al milanese Pietro Molina, al quale il 13 (è il numero di dorsale assegnatogli) porta male: percorsi nemmeno 100 metri si trova improvvisamente la strada sbarrata da un’anziana donna e per evitare lo scontro si esibisce in un repentino scarto, finendo a terra e rimediando una frattura,

A testimonianza della tensione agonistica provocata dalla corsa ancora aperta, subito dopo la partenza prendono già il comando gli uomini che contano, il piemontese Luigi Chiodi, il varesino Luigi Ganna, il pavese Clemente Canepari e i milanesi Carlo Oriani e Carlo Galetti. La velocità è elevata per gli standard dell’epoca, quasi 30 Km orari, favorita dalla strada pianeggiante. Non c’è selezione, però; a perdere contatto sono soltanto una ventina di uomini e tra questi c’è il ligure Piero Lampaggi che, ad un certo punto, accellera nel tentativo di riprendere il gruppo di testa. Il polverone sollevato dalle auto al seguito, però, finisce per accecarlo e per non fargli vedere dove finisce la strada ed inizia il fosso: vi cade dentro ma, aggrappandosi all’erba, riesce ad evitare un bagno fuori programma, mentre la sua bicicletta dovrà essere ripescata con un lungo bastone e poi fatta riparare da un meccanico di Vercelli, nella cui officina il povero corridore è costretto ad arrivare a piedi, essendo il suo mezzo inservibile.

Alle porte di Novara, i milanesi Mario Bruschera e Giuseppe Brambilla, corridori che si erano ritirati diversi giorni prima, vestiti con le casacche rosse ufficiali del team di Ganna – loro compagno di formazione – tentano di intrufolarsi nella corsa in bici per aiutare il capitano. I colleghi avversarsi protestano e la giuria li avvicina e li invita ad allontanarsi, cosa che avviene immediatamente anche se alcune cronache dell’epoca, non quelle ufficiali, raccontano che Brambilla colse l’occasione per insultare i giudici che l’avevano messo fuori gara a Napoli.

Inizia adesso il momento più difficile di questa tappa, l’interminabile rettilineo – oltre 30 Km – che da Novara porta a Borgomanero. Si tratta di una difficoltà più rilevante sul piano morale che fisico, essendo la salita facilissima e limitata solo all’ultimo tratto. A pesare è la monotonia di una strada infinitamente diritta, che sembra non finire mai. Chi segue la corsa dall’auto avverte questo disagio nella condotta di gara del gruppo che procede a scatti: a tratti si va velocissimi, per tentare di giungere il più rapidamente possibile al termine del rettifilo; ma quando si avverte che la fine è ancora lontana il gruppo quasi si demoralizza e la velocità cala all’istante, fino al momento della successiva accellerata. Sembra che stiano pedalando “come dei suggestionati senza che il loro cervello agisca menomamente”.

In occasione di questi scatti, i soliti noti si alternano in testa alla corsa ma, di fatto, non accade nulla fino a Borgomanero, dove si assistono ai primi tentativi, inaugurati da uno slancio del pavese Giovanni Rossignoli. Il gruppo si screma e si lancia giù per la dolce discesa verso il Lago Maggiore. Affrontando questo tratto Ganna incappa in una foratura. È l’evento fa letteralmente esplodere la corsa, anche se non nell’immediato perché gli avversari ci metteranno qualche minuto ad accorgersi dell’incidente accaduto al capoclassica. Ma quando si “svegliano” partono a tutta e ad Arona, dove termina la discesa, il capoclassifica è già staccato di due minuti. Al comando si formano due gruppetti. Il primo è composto da Canepari, Oriani, Galetti, Rossignoli e il romando Dario Beni. Nel secondo plotoncino, brevemente staccato, ci sono milanese Enrico Sala, il piemontese Giovanni Marchese, il mantovano Luigi Azzini, il bolognese Ezio Corlaita e i romagnolo Ildebrando Gamberini e Attilio Zavatti. Imprimono una forza tale sui pedali da alzare un grosso polverone. A sorvolare il percorso di gara si vedrebbero non i corridori ma due nuvole che s’inseguono veloci, sullo sfondo delle montagne.

Il Giro rientra in Lombardia, da dov’era partito due settimane prime, le due settimane più intense e vissute di quel 1909, destinate ad essere rivissute negli anni a venire.

Con l’avvicinarsi a Milano la folla presente a bordo strada aumenta in maniera esponenziale, ottimamente trattenuta dai gendarmi. Alcuni automobilisti imprudenti ed importuni riescono ad infilarsi in corsa, tra le due “nuvole” al comando. Nel frattempo, per evitare incidenti e pericolosi assembramenti (si stimano tra le ottantamile e le centomila persone assiepate negli ultimi 6 Km), i responsabili dell’arrivo decidono di scegliere solo all’ultimo momento il punto preciso del viale di Musocco nel quale innalzare lo striscione del traguardo. È una scelta che disorienta ed impazientisce i milanesi che continuano ad ondeggiare su e giù per il viale.

Sulla marcia della muta scatenata degli attaccanti s’infrappongono due passaggi a livello abbassati. Il primo, quello di Busto Arsizio, è superato scavalcando le barriere, ma al secondo stop sono bloccati da uno zelante cantoniere, che finisce per favorire il rientro di Ganna. La crème della classifica torna così a ricompattarsi in vista dell’ingresso nel capoluogo lombardo. Poco dopo le quindici viene finalmente stesso lo striscione, esattamente all’altezza della trattoria “Isolino”, nel quartiere Cagnola, al termine d’un lunghissimo rettilineo. La gente è troppa e vengono chiamati dei rinforzi, sotto forma d’uno squadrone di Lancieri di Novara a cavallo, che scorteranno i “girini” nell’ultimo dei 2448 Km stabiliti per il primo Giro d’Italia. Si riesce a sgombrare dagli intrusi il rettilineo d’arrivo proprio in extremis, perché subito giunge la notizia che i corridori hanno già imboccato l’ultimo chilometro. Contemporaneamente partono al galoppo i lancieri, riuscendo nel compito di tenere lontana la folla ma provocando indirettamente l’ultimo incidente di corsa: l’improvviso scartare di un cavallo, forse spaventato dallo sferragliare dei pesanti “destieri di ferro”, causa un’eguale azione nel gruppo, che teme che l’animale caschi in mezzo alla strada. A finire a terra, proprio all’ultimo, sono invece i corridori, in un groviglio di bici contorte ed accessori di corsa.

La sbandata finisce per frenare l’azione di Galetti, che si vede soffiare il successo da Dario Beni. Il Giro, dunque, s’apre e si chiude con la firma del medesimo uomo, mentre Ganna taglia il traguardo con aria smarrita e sconsolata. È convinto d’aver perduto il Giro, ma ha fatto male i conti: per un’inezia, due punti appena, la prima edizione della corsa rosa è sua. Completano la top ten dell’ultimo ordine d’arrivo Oriani, Luigi Azzini, Chiodi, Rossignoli (vincitore “cronometrico del Giro”; se non ci fosse stata la classifica a punti, avrebbe sopravanzato Galetti di 23′34″ e Ganna di 36′54″), Corlaita, Canepari e Zavatti, giunti sparpagliati sull’ultimo traguardo.

Neanche le contromisure prese dagli organizzatori riescono a contenere l’esultanza dei milanesi. Impossibile compiere in bici la prevista passerella d’onore dal viale di Musocco all’Arena Civica, percorrendo Corso Sempione e sfiorando l’Arco della Pace. I “girini” vengono così aricati su degli automezzi d’emergenza, dai quali Ganna appare agli occhi del pubblico “malconcio di polvere e di sudore, lo si poteva scambiare per Radames”.

L’ingresso all’Arena è trionfale e non solo per il vincitore. Tutti vengono osannati mentre si effettua una volata simbolica, replicando quella vissuta pocanzi; poi i corridori si sottopongono per l’ultima volta ai rituali del foglio firma e della punzonatura. La premiazione è effettuata nello stile “belle èpoque” dell’epoca, una coreografia fatta di giro d’onore, fiori, banda, strette di mano, congratulazioni, arrivederci e bacio da parte di miss “d’antan” che sfoggiano ombrellino, frangetta e fazzolettino profumato col Coty.

La Gazzetta dello Sport chiude la festa prendendo un impegno storico con l’Italia e gli italiani: “è stato scritto con profondo solco negli annali dello sport un avvenimento glorioso da ripetersi annualmente con crescente entusiasmo ed amore”.

L’epica lotta è compiuta.

9 – fine

Mauro Facoltosi

APPENDICE: IL VERBALE DELLA GIURIA

Milano, 1 giugno – Riunitasi la Giuria del Primo Giro Ciclistico d’Italia indetto e organizzato dalla Gazzetta dello Sport nelle persone di: conte Orazio Oldofredi, presidente, E.C. Costamagna, rag. Cougnet, rag. Bongrani, cav. Carozzi Pilade, delegato dell’U.V.I. al Giro d’Italia, ha proceduto alla classifica generale degli arrivati dopo aver preso in esame l’unico reclamo pervenuto nel tempo utile e che qui si allega.

A questo proposito la giuria mentre deplora che il corridore Galetti abbia reso pubblico a mezzo dei giornali il reclamo stesso ancora sub judice (caso previsto e vietato dal regolamento dell’U.V.I.) respinge il detto reclamo per le motivazioni seguenti:

I corridori Brambilla e Bruschera non possono aver portato aiuto alcuno al corridore Ganna, trovandosi essi di parecchio distanziati, e non appena invitati a ritirarsi dai membri della giuria che seguivano la corsa, i succitati corridori si allontanavano.

Per il fatto riguardante il Danesi, che avrebbe dato un berretto fuori di un posto di rifornimento al corridore Ganna, la giuria considerando l’importanza della corsa e stando allo spirito del regolamento esclude che il deferito fatto possa menomamente essere implicato nel capoverso secondo dell’articolo 7 del regolamento Giro d’Italia ed abbia potuto pregiudicare l’esito finale.

A carico del corridore Carcano, essendo risultato che nella quinta tappa (Roma – Firenze) si servì del treno nel tratto da Civitacastellana a Pontassieve, la Giuria che gli aveva lasciato proseguire la corsa dietro sua dichiarazione, in base ora a formale denuncia documentata da testimonianze squalifica il detto corridore togliendolo dalla classifica finale.

Avverte pure altri corridori sui quali gravano denunzie non ancora provate che risaltando l’evidenza dei fatti denunziati incorreranno nelle pene disciplinari prescritte dal regolamento dell’U.V.I.

Ciò deliberato si passa alla classifica generale che viene stabilita come segue:

1 Ganna Luigi                                               punti 25

2 Galetti Carlo                                              ››    27

3 Rossignoli Giovanni                                    ››    40

4 Canepari Clemente                                    ››    59

5 Oriani Carlo                                               ››    72

6 Azzini Ernesto                                            ››    77

7 Beni Dario                                                 ››    91

8 Sala Enrico                                                ››    98

9 Celli Ottorino                                             ››    117

10 Marchese Giovanni                                  ››    139

11 Chiodi Luigi                                              ››    141

12 Petrino Alberto                                         ››    141

13 Lampaggi Pietro                                       ››    157

14 Zavatti Attilio                                           ››    157

15 Cellerino Giuseppe                                   ››    164

16 Rotondi Antonio                                       ››    166

17 Galoppini Arnolfo                                     ››    175

18 Jacchino Giuseppe                                   ››    177

19 Corlaita Ezio                                            ››    185

20 Milano Domenico                                     ››    206

21 Magagnoli Angelo                                     ››    208

22 Cocchi Giovanni                                       ››    221

23 Pazienti Alessandro                                  ››    221

24 Gamberini Ildebrando                              ››    222

25 Sabbaini Ottorino                                     ››    224

26 Modesti Giulio                                          ››    229

27 Gatti Luigi                                                ››    245

28 Osnaghi Cesare                                       ››    245

29 Zuliani Ronco                                           ››    246

30 Azzini Luigi                                              ››    248

31 Fortuna Mario                                          ››    255

32 Caratti Eugenio                                        ››    265

33 Belloni Amleto                                         ››    272

34 Di Marco Guido                                        ››    274

35 Anzani Giuseppe                                      ››    275

36 Magrini Guido                                          ››    281

37 Carena Giovanni                                      ››    282

38 Secchi Mario                                            ››    284

38 Rho Augusto                                            ››    284

38 Lonati Mario                                             ››    284

38 Lissoni Pasquale                                      ››    284

42 Tomarelli Azeglio                                      ››    285

43 Moretti Angelo                                         ››    286

44 Galbai Giuseppe                                       ››    290

45 Castellini Senofonte                                 ››    291

46 Colombo Giovanni                                   ››    292

46 Roscio Emilio                                           ››    292

46 Martano Luigi                                           ››    292

49 Perna Giuseppe                                       ››    297

Conte Orazio Oldofredi

E.C. Costamagna

Rag. Armando Cougnet

Rag. Primo Bongrani

Cav. Carozzi Pilade

Grande protagonista del Giro del 1909 fu anche il pubblico, nel bene e nel male: ecco la calorosa accoglienza che fu riservata ai girini al momento dellarrivo a Milano

Grande protagonista del Giro del 1909 fu anche il pubblico, nel bene e nel male: ecco la calorosa accoglienza che fu riservata ai "girini" al momento dell'arrivo a Milano

27 MAGGIO 1909: GANNA FA TRIS, GLI ORGANIZZATORI FANNO GAFFE

maggio 28, 2020 by Redazione  
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Giornata dai risvolti tragicomici la penultima di corsa. Per fronteggiare l’imprevista marea umana che si riversa prima a Genova e poi a Torino gli organizzatori decidono di attuare una doppia strategia per ingannare il pubblico: la prima parte del piano riuscirà alla perfezione, al punto da essere riproposto in futuro, la seconda fallirà a causa di un clamoroso errore di Costamagna e Cougnet. Chi non sbaglia è Ganna che ottiene uno strepitoso terzo successo. Ma la partita non è ancora chiusa

Le mani nei capelli. È questo il gesto che immediatamente compiono Armando Cougnet ed Eugenio Camillo Costamagna alle 2.30 del mattino del 27 maggio, al loro sopraggiungere al raduno di partenza della penultima tappa. Nonostante l’ora, il terrazzo dei Magazzeni Generali, luogo previsto per le operazioni di foglio firma, è letteralmente preso d’assalto dai tifosi. Sono in tantissimi, sia in questo luogo, sia al Ponte di Cornigliano, dove sarà dato il via ufficiale. La folla è eterogena: ci sono eleganti dame di classe strette a fianco di più rustiche popolane, amanti dello sport pigiati ai “camalli”, gli aitanti scaricatori del porto di Genova. La preoccupazione per l’incolumità dei corridori sale, memori di quanto successo due giorni prima al Lido d’Albaro ed alla luce delle notizie che la sera precedente erano state telegrafate da Torino. Dal capoluogo piemontese, dove sono attesi ben cinquantamila tifosi, l’amministrazione cittadina aveva fatto sapere che non avrebbe potuto assicurare un efficiente servizio d’ordine poiché, a causa di un’improvvisa manifestazione di piazza, si doveva indirizzare gran parte degli agenti preposti alla sicurezza del Giro verso un corteo di fornai in sciopero.
Subito si decide si tenere una riunione d’emergenza con i membri della giuria, per risolvere la questione. Nell’incontro è studiato un “piano di battaglia” in due tempi, il primo da attuare alla partenza e l’altro all’arrivo. Il primo tempo prevede di effettuare una doppia partenza, un sistema che si rivelerà efficacissimo e che poi sarà utilizzato da tutte le corse. Alle 4, concluse le operazioni d’avvio, i corridori sono trasferiti al Ponte di Cornegliano, seguiti da un codazzo non ufficiale di auto e di amatori in bicicletta. La giuria procede all’appello, al quale non risponde Gerbi (il corridore astigiano si era ritirato nella tappa precedente, prima che iniziassero le montagne), da’ il via fittizio alla tappa e poi i “girini” si dirigono verso un luogo periferico di Genova dove, lontano da orecchie ed occhi indiscreti, è data una terza partenza. Nell’occasione i “girini” vengono avvertiti della seconda parte del piano: la tappa sarà segretamente più breve di 6 Km per la decisione d’anticipare il traguardo a Beinasco, in modo da “bidonare” la folla. Complessivamente la Genova – Torino misura 354 Km, con il tratto iniziale tracciato sulle ancora non usuali strade della Milano – Sanremo, la corsa che la Gazzetta dello Sport aveva messo in calendario per la prima volta due anni prima. Dopo Imperia si lascia il mare per raggiungere la pianura padana scavalcando le ultime due grandi salite del Giro 1909, i colli di San Bartolomeo e di Nava, mentre il finale non prevede più asperità.
I su e giù dell’Aurelia non creano grande scompaginamento in testa alla corsa, nemmeno quando l’inghiaiata salita della Colletta d’Arenzano costringe il gruppo a disporsi su due file, con i corridori in fondo al plotone costretti a scendere di bici ed a percorrere una cinquantina di metri a piedi. In vista del passaggio per Laigueglia il gruppo è ancora forte di 35 uomini, poi la famosa teoria dei capi compie una prima selezione. Mele e Cervo fanno poco, è il Berta a creare la maggior selezione. Al passaggio per Oneglia (Imperia non c’è ancora, nascerà 14 anni dopo, frutto della fusione con il vicino comune di Porto Maurizio), davanti sono rimasti in sette: il pavese Carlo Rossignoli, il varesino Luigi Ganna, il piemontese Luigi Chiodi, il mantovanao Ernesto Azzini, il ligure Piero Lampaggi e i romani Antonio Rotondi e Dario Beni. Gli immediati inseguitori hanno già un minuto di ritardo. Molti riescono a rientrare, ma alcuni di essi sono immediatamente respinti dall’ascesa verso il San Bartolomeo.
Mentre i corridori sono impegnati sul Colle di Nava, l’Itala di Armando Cougnet allunga ed affronta a tutta velocità la discesa verso Ormea, dove l’auto si ferma e il direttore di corsa si arma di orologio e cronometro per costatare quanto male abbia fatto l’ultima grande salita del Giro. Selezione c’è stata e i corridori transitano alla spicciolata: quando passa il primo, il milanese Carlo Oriani, l’orologio di Cougnet segna le 11.13; trenta secondi dopo transita il capoclassifica Ganna, alle 11.15 sopraggiungono il pavese Clemente Canepari e il milanese Enrico Sala, alle 11.18 Chiodi seguito a mezzo minuto da Galetti, che stava divinamente scendendo in testa alla corsa ma era stato fermato da una foratura.
Improvvisamente si scatena l’inferno. Sulla corsa rosa si rovescia un devastante nubrifagi e la temperatura scende di parecchi gradi. A tratti grandina pesantemente mentre la strada prende la parvenza del letto di un fiume. Passata la bufera, l’Itala si ferma muovamente a Ceva, stavolta per una sosta fuori programma perchè la tempesta ha seriamente danneggiato la vettura e i meccanici impiegheranno quasi un’ora per ripararla. Cougnet approfitta dello stop forzato per telegrafare le ultime direttive al traguardo: solo ed esclusivamente le autorità dovranno essere avvisate del trasferimento a Beinasco, per dar loro modo di allontanarsi da Torino senza dare nell’occhio.
Nessun problema registra la Züst sulla quale viaggia Costamagna che, solo in testa alla corsa, gongola per il successo della sua creatura. Si sta per transitare da San Michele Mondovì, il paesello dov’è nato e dove, 16 mesi prima, era scoccata la scintillia primigenia del Giro d’Italia. È un onore per lui che il primo Giro passasse per le sue terre e comincia a meditare ad un ritorno (cosa che accadrà già l’anno dopo, quando il secondo Giro proporrà un traguardo a Mondovì).
Nel frattempo, sotto la tempesta, i vari gruppetti si sono saldati. Ora marcia in testa un trio di attaccanti di spessore (Oriani, Ganna e Rossignoli), tallonati a circa 3 minuti da un altro terzetto di tutto rispetto (Galetti, Canepari e Chiodi). Avvicinandosi a Cuneo dal gruppo d’avanguardia si stacca Oriani, come il solito appediato da una foratura: non riuscirà più a rientrare.
All’arrivo a Beinasco, a “Magno” viene quasi un colpo e non certo per lo strepitoso terzo successo di Ganna (a dire il vero, arrivato grazie alla provvidenziale foratura – a 3 Km dalla meta – di Rossignoli). Lo scenario che si presenta ai suoi occhi è esattamente l’opposto di quel che si aspettava: una folla strabocchevole, le autorità mischiate ai “profani”, una massa che i pochi volontari del comitato tappa non riescono a trattenere. E dei tutori dell’ordine? Neanche uno! Per capire cosa sia avvenuto è necessario attendere l’arrivo di Cougnet. Un veloce scambio tra i due ed emerge una clamorosa gaffe organizzativa: nel baillame generale, erano state allertate le autorità, ma ci si era dimenticati di avvisare del trasferimento gli agenti!!!
La folla – che non era proprio così “collettivamente stupida”, come l’aveva definita qualche giorno prima lo stesso Cougnet – vedendo gli invitati svignarsela alla chetichella, aveva mangiato la foglia e si era subito accodata alle vetture dirette a Beinasco.
In quei concitati momenti tutti i vigili si aggiravano come anime in pena per le vie improvvisamente sgombre di Torino, chiedendosi che fine avessero fatto tutti. Perché i vigili erano realmente presenti al completo sul traguardo. La notizia dello sciopero dei fornai era stata inventata di sana pianta dagli organizzatori per rendere credibile, l’indomani sulla Gazzetta, le motivazioni delle loro scelte.
Invece, quel giorno a nessun torinese mancò, sul proprio desco, una fragrante pagnotta.

8 – continua

Mauro Facoltosi

25 MAGGIO 1909: ATTACCO AL “DUCE”, MA GANNA SALVA IL PRIMATO

maggio 27, 2020 by Redazione  
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“Duce” è, nell’antica terminologia latina, il capo e così Costamagna appella Ganna nella tappa vede il varesino seriamente attaccato dagli sfidanti. Il ciclismo è agli albori, non si parla ancora di legge non scritta che recita di non approfittare delle disgrazie altrui per trarne vantaggio in corsa: Ganna fora e davanti partono a tutta, per staccare più possibile il capo della classifica. Ma questa è stilata a punti e non a tempi: concludendo terzo dopo una dispendiosa rimonta il varesino salva il suo primato. Il settimo capitolo della storia del primo Giro d’Italia.

Un’altra giornata difficile attende i corridori, che alle 3 e mezza della notte del 25 maggio cominciano a raggiungere il parco delle Cascine. Nel medesimo luogo dove s’era conclusa la precedente tappa prende anche il via l’ultima frazione montana della prima edizione della corsa rosa. Il tracciato è meno impegnativo rispetto alla giornata di Napoli per la presenza d’ampi tratti pianeggianti fino alla Spezia, dove la carovana lascerà il mare per salire verso il Passo del Bracco. Tornati sulle rive del Mar Ligure, il percorso prende poi a serpeggiare, assecondando gli anfratti della Riviera di Levante: ultimi saliscendi tra Chiavari e Recco, con la salita della Ruta da affrontare nel doppiare il Monte di Portofino, poi il tracciato torna a farsi relativamente filante con l’approssimarsi a Genova. Il traguardo è fissato al Lido d’Albaro dove, per la prima volta nella storia del Giro, è allestito il quartiertappa. Allora definito “quartiere dei corridori”, è ospitato nei locali dello stabilimento balneare, dove a ciascuno è assegnato un camerino nel quale depositare i propri effetti personali. Sono inoltre predisposti un servizio di toilette e le docce, creando un’atmosfera che oggi si è persa ed è possibile respirare solo nelle spartane docce del velodromo di Roubaix. L’entusiasmo dei genovesi è enorme, come si evince dalla quantità di premi straordinari messi in palio: il comune assegnerà a tutti una medaglia d’argento con dedica, il commendator Croce (capo console del Touring Club Italiano a Genova e presidente del comitato di tappa) premierà i primi tre genovesi dell’ordine d’arrivo con una medaglia d’oro; due coppe artistiche sono fornite dal cavalier Picasso (vicepresidente del comitato) e dal signor Prada (presidente della società ciclistica “Veloce Sport Club”); un’altra medaglia d’oro sarà assegnata dal signor Pietro Brunoldi al primo corridore a piazzarsi delle quattro case ciclistiche dei quali il Brunoldi è rappresentante (Rudge Whitworth, Swift, Humber e Gritzner).
L’entusiasmo contagia anche la popolazione, sin dai giorni precedenti l’arrivo del Giro. Per evitare i disagi delle tappe scorse è potenziato il servizio di sorveglianza mentre, per distogliere una parte dei genovesi dalla zona d’arrivo, viene allestito un punto d’informazioni presso la sede del quotidiano “Il Secolo XIX”, dove campeggia una gigantografia del percorso di gara che sarà presa d’assalto da numerosi “zenesi” che, comunque, si rileveranno essere i tifosi più indisciplinati incontrati dalla partenza da Milano. I tantissimi che si porteranno al Lido d’Albaro invaderanno ogni buco possibile, creando due ali di folla che entusiasmeranno e stordiranno Armando Cougnet, ma creeranno anche non pochi grattacapi agli uomini preposti all’ordine pubblico, soprattutto quando un nutrito gruppo si fionderà sopra al palco riservato alle autorità, arrivando a provocarne il collassamento.
Il via, dato mediante uno squillo di tromba ed il classico abbassamento della bandierina, è dato alle 5 e mezza. Manca Louis Troussellier che, dopo le traversie patite nella tappa precedente, ha preferito ritirarsi e tornare in Francia, seguito dal fidato André Pottier.
I “big” sono già sull’attenti fin dai primi chilometri, pianeggianti ma insidiosi a causa della strada, polverosa e tortuosa. Già a 9 Km dalla partenza, dopo le prime scaramucce, il gruppo di testa è costituito dalla crème della classifica (il varesino Luigi Ganna, il milanese Carlo Galetti, il mantovano Ernesto Azzini, i pavesi Carlo Rossignoli e Clemente Canepari), mentre due plotoni d’inseguitori seguono staccati, rispettivamente di 300 e 500 metri. D’improvviso la velocità cala, favorendo il ricompattamento dei tre gruppetti; andando verso Pistoia la testa della corsa è ora formata da una quarantina di corridori, che procedono in maniera piuttosto monotona. Incominciano le prime difficoltà altimetrie, che si sposano ai disagi tecnici: sulla salita di Serravalle si registrano, infatti, le prime forature. Il passaggio per Montecatini è disturbato dal viavai di carri e carrozzelle che solleva un polverone accecante. A Lucca la corsa transita sulla passeggiata delle mura, dove è previsto il primo controllo a firma, che avviene sotto una pioggia di fiori, lanciata dai tifosi locali. È un gesto simpatico che piace al direttore della Gazzetta Costamagna, mentre è tacciato come maleducato da Cougnet. È anche l’occasione per eseguire riparazione tecniche o far rifornimento di energie: così Ganna ne approfitta per cambiare il sellino, mentre Canepari, appena rientrato dopo una foratura, arraffa un’enorme costoletta.
Un’altra difficoltà si prospetta all’orizzonte, “il monte per cui i Pisani veder Lucca non ponno” : i primi ad arrampicarsici, ovvero la testa della corsa, sono Ganna, Ernesto Azzini, il piemontese Luigi Chiodi, Galetti, il ligure Piero Lampaggi, Rossignoli, il piemontese Giovanni Marchese e i milanesi Galetti, Oriani, Giovanni Cocchi, Enrico Sala e Mario Gajoni. Anche in questo caso, poco distanziati seguono due gruppetti d’inseguitori mentre appare all’orizzonte la Torre di Pisa. Nei pressi del celebre monumento è previsto un altro punto di firma, dove giungono per primi Ganna e Azzini, che s’impegnano in un piccolo sprint. Il gruppo al vertice, che si era ridotto nel numero approssimandosi a Pisa, torna a ricompattarsi una volta imboccate le dritte strade versiliane. Non ce la fanno a rientrare, però, il bolognese Corlaita, Oriani e Cocchi, frenati da forature e cadute. Anche la Züst di Costamagna è costretta più volte a fermarsi, ma per ben altri e più lieti motivi: i sindaci dei comuni attraversati avvicinano spesso il direttore della “Rosea” per consegnare lettere di congratulazione, mentre s’innalzano grandi striscioni inneggianti ai campioni e allo sport. La sfortuna si accanisce ancora contro Oriani che cade e, rimediata una contusione alla gamba, si ferma a bordo strada; attendendo l’arrivo del medico, è avvicinato da un colonnello che, saputo che si tratta di un militare (è arruolato nei bersaglieri), lo incita calorosamente a resistere e a terminare il Giro.
Passata Massa nella girandola delle forature rimane nuovamente coinvolto Ganna ma stavolta, così lontano dal traguardo e con tutte le montagne ancora da affrontare, sarà impossibile recuperare. Il varesino cerca di non lasciar intendere agli avversari del sopraggiunto incidente, rallenta e si porta nell’ultima posizione del gruppo di testa. Davanti non se ne sono accorti, neppure il suo compagno di squadra Chiodi. Ma quando questi si volta per cercarlo e, non vedendolo, si ferma, la frittata è fatta: un brivido percorre il gruppetto di testa, che subito accellera. È Canepari a trainarlo a tutta, causando il cedimento dei corridori meno resistenti e riducendolo nel giro di pochi chilometri a soli sei elementi: Canepari, Galetti, Rossignoli, il romano Ottorino Celli e i due fratelli Azzini, Ernesto e Luigi. In vista del passaggio dalla Spezia, dove finisce la pianura ed è previsto un rifornimento prima d’affrontare le salite, il gruppetto degli attaccanti s’è ulteriormente ridotto, poiché si sono staccati Celli e Luigi Azzini, anch’egli vittima di una foratura.
Prima del Bracco si deve affrontare la breve salita della Foce, dalla cima della quale si ammira il Golfo della Spezia, lievemente ammantato d’una cappa di nebbia. Bastano già i suoi sei tortuosi chilometri a far emergere i più forti: scollinano in testa Rossignoli e Galetti mentre si staccono primal’altro Azzini e poi Canepari, che rimedia la seconda foratura di giornata.
Il Bracco non è ripido ma molto temuto. Cougnet, che l’ha scelto personalmente nel tracciare il suo primo Giro d’Italia, definisce la salita come “molto forte: il terreno è buono, ma i frequenti e rapidi tourniquets ci costringono ad andare adagio”. L’Itala è dunque costretta a frenare, permettendo ai giornalisti al seguito di ammirare il panorama dell’Appennino Ligure. Il conseguente rallentamento consente loro anche di assistere a ciò che accade nelle retrovie; mentre i due di testa scollinano assieme ai 618 metri del Bracco, dietro Ganna si lancia in un veemente inseguimento – il suo distacco dal duo al comando era inizialmente di un minuto e mezzo – che gli consente di raggiungere nella discesa verso Sestri Azzini e Canepari, protagonista di uno sbandamento che manda per le terre il compagno d’avventura.
Dalle stesse parti i due di testa collaborano fino quando una foratura di Rossignoli scatena gli appettiti di Galetti: al passaggio da Lavagna il corridore milanese ha 3 minuti di vantaggio su Rossignoli e quasi un quarto d’ora sul terzetto costituito dal capoclassifica Ganna, Canepari ed Ernesto Azzini; altri sette minuti bisogna attendere per vedere transitare Chiodi, due minuti in più per Celli.
La difficoltà successiva, l’ultima prevista dal percorso di gara, non cambia la situazione in testa, mentre crea ancor più sparpaglio tra gli inseguitori: sulla Ruta Chiodi fora, Canepari cade e si fa male, Ernesto Azzini si stacca e in breve chi gli sta davanti guadagna quasi un chilometro. C’è chi tira a tutta, Ganna per tentare d’accorciare le distanze, Galetti per sortire l’effetto opposto. Per il milanese la vittoria sembra assicurata poichè il suo vantaggio pare rassicurante, ma una buca si para sul suo cammino. Il milanese l’avverte solo all’ultimo e scarta d’impeto, con un’irruenza dettata dal nervosismo che gli provoca un salto di catena. L’inconveniente permette a Rossignoli di raggiungere il corridore milanese e di dar con lui vita ad un finale emozionante al cardiopalmo tra conterrane, una sfida tra l’”uomo cronometro” e “Baslott”, come sono soprannominati Galetti e Rossignoli: è quest’ultimo ad imporsi, con uno sprint di tale potenza da staccare di 100 metri l’avversario nel rettilineo d’arrivo in leggera discesa, tracciato sulla strada che dall’Aurelia porta verso il lungomare. “Angosciosa” per tutti è l’attesa di Ganna che, tagliando il traguardo in terza posizione dopo qualche minuto, grazie alla classifica a punti salva la sua leadership.

7 – continua

Mauro Facoltosi

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