A BRIVES-CHARENSAC VUILLERMOZ INTERROMPE UN DIGIUNO DI TRE ANNI. TAPPA E MAGLIA PER IL FRANCESE

giugno 6, 2022 by Redazione  
Filed under News

La seconda tappa del Giro del Delfinato 2022 vede la fuga protagonista. Nonostante gli sforzi profusi nell’inseguimento, il gruppo maglia gialla non riesce a riprendere i cinque fuggitivi ed Alexis Vuillermoz (Team TotalEnergies) coglie una vittoria che gli mancava da più di tre anni. Wout van Aert (Team Jumbo Visma) cede lo scettro del primato al francese, che domani dovrà diferderlo nella terza tappa sull’insidioso arrivo in salita di Chastreix-Sancy.

La seconda tappa del Giro del Delfinato presenta, come la prima, quattro GPM che molto probabilmente taglieranno fuori i velocisti meno resistenti – vedi ieri quanto capitato a Dylan Groenewegen (Team BikeExchange Jayco) – e favoriranno finisseur ed attaccanti vari. Anche la fuga potrà avere le sue buone chance di vittoria, ma tutto o quasi sarà nelle mani, anzi nei piedi della Jumbo Visma che vorrà difendere la maglia gialla di Wout van Aert ed anzi favorirlo per il bis in un arrivo adatto ancora alle sue caratteristiche. Le possibilità che il campione belga possa tenere il simbolo del primato fino alla fine è una eventualità da non sottovalutare e la cronometro di mercoledì potrà contribuire ad accrescere le sue speranze di primato. Oggi si parte da Saint-Péray e si arriva a Brives-Charensac dopo quasi 170 km. L’azione buona per la fuga partiva intorno al decimo km. Erano in sei che riuscivano ad evadere dal gruppo: Olivier Le Gac (Team Groupama FDJ), Anders Skaarseth (Uno-X Pro Cycling Team), Anthony Delaplace (Team Arkea Samsic), Xandres Vervloesem (Team Lotto Soudal), Kevin Vermaerke (Team DSM) ed Alexis Vuillermoz (Team TotalEnergies). Il gruppo lasciava andare la fuga che all’inizio del primo GPM della Cote des Desaignes aveva oltre 4 minuti di vantaggio. Era Vervloesem a scollinare in prima posizione. Il belga si ripeteva sette km più tardi scollinando per primo anche sulla successiva Cote de Saint-Agrève. All’inizio del GPM del Col de Mézilhav, posto al km 109.8, la fuga conservava un ritardo sul gruppo maglia gialla superiore ai 4 minuti. Erano Jumbo Visma e BikeExchande Jayco a condurre l’inseguimento. Vuillermoz scollinava in prima posizione. Il successivo traguardo volante di Le Gerbier-de-Jonc, posto al km 124.3, se lo aggiudicava Vermaerke. Dopo una decina di km di falsopiano in iniziavano gli ultimi 30 km quasi tutti in discesa, con l’unico intermezzo della Cote de Rohac, uno zampellotto di circa 1 km di lunghezza a 10 km dall’arrivo classificato come GPM di quarta categoria e sul quale era Vuillermoz a transitare per primo. Il gruppo maglia gialla aveva ridosso sensibilmente il suo ritardo sugli uomini in fuga, che erano rimasti in cinque visto che Vervloesem si era lasciato sfilare e riprendere dal gruppo precedentemente. I cinque di testa si davano cambi regolari e favoriti dalla strada in discesa e da alcune curve negli ultimi km riuscivano sorprendentemente a giocarsi la vittoria. Era Vuillermoz ad avere la meglio davanti a Skaarseth e Le Gac, il primo ad aver tirato la volata a circa 200 metri dall’arrivo. In quarta posizione si piazzava Vermaerke mentre chiudeva la top five Delaplace in quinta posizione. Il gruppo maglia gialla veniva regolato da Wout van Aert (Team Jumbo Visma) a 5 secondi di ritardo da Vuillermoz. Il francese, la cui ultima vittoria risaliva al 2019 quando vinse la Drome Classic con la maglia dell’AG2R La Mondiale, ottiene la prima vittoria del 2022 ed è anche la nuova maglia gialla con 3 secondi di vantaggio su Skaarseth e 4 secondi di vantaggio su Le Gac. Van Aert perde tre posizioni ed è ora quarto a 5 secondi di ritardo da Vuillermoz. Domani è in programma la terza tappa da Saint-Paulien a Chastreix-Sancy, per un totale di 169 km. I ciclisti affronteranno tre GPM; il primo di terza categoria dopo una quarantina di km ed il secondo di quarta categoria ad una trentina di km dal termine. L’arrivo è posto sul terzo GPM di Chastreix-Sancy, un seconda categoria lungo poco più di 6 km ad oltre il 5% di pendenza media, con un tratto centrale di circa 2 km a quasi il 9% di pendenza media. Forse è il primo vero test per verificare le velleità di alta classificadi coloro che aspirano alla vittoria della breve corsa francese. Vedremo se Vuillermoz riuscirà a mantenere la maglia gialla, che domani potrebbe avere davvero tanti pretendenti.

Giuseppe Scarfone

Alexis Vuillermoz vince a Brives-Charensac (foto: Dario Belingheri/Getty Images)

Alexis Vuillermoz vince a Brives-Charensac (foto: Dario Belingheri/Getty Images)

A BRUXELLES ARRIVA LA FUGA E VINCE TACO VAN DER HOORN

giugno 5, 2022 by Redazione  
Filed under News

Taco Van der Hoorn (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux) ha vinto la Brussels Cycling Classic al termine di una fuga di 185 chilometri battendo in volata Thimo Willems (Minerva Cycling) e Tobias Bayer (Alpecin – Fenix).

La centodueesima edizione della Brussels Cycling Classic prevedeva un percorso di 204 chilometri con sei settori di pavè, con le maggiori difficoltà concentrate nel circuito di Geraardsbergen con il leggendario Kapelmuur e il Bosberg da affrontare per due volte, tra il chilometro 115 e il chilometro 151. Dopo questo tratto il percorso comprendeva altre due salite e due tratti di pavè che sarebbero servite per le squadre che vogliono evitare una volata per attaccare o fare selezione.

I principali velocisti alla partenza erano Alexander Kristoff (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Sam Bennett e Danny Van Poppel (BORA – hansgrohe), Elia Viviani (INEOS Grenadiers), Giacomo Nizzolo (Israel – Premier Tech), Michael Matthews (Team BikeExchange – Jayco), Pascal Ackermann e Fernando Gaviria (UAE Team Emirates) e Tim Merlier (Alpecin-Fenix). Erano però molti anche gli atleti adatti a classiche del nord per eventuali attacchi come Davide Ballerini (Quick-Step Alpha Vinyl Team), Quinten Hermans (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Philippe Gilbert, Victor Campenaerts, Florian Vermeersch e Tim Wellens (Lotto Soudal), Magnus Sheffield, Ben Turner e Jhonatan Narvaez (INEOS Grenadiers) e Sep Vanmarcke (Israel – Premier Tech).

La fuga prendeva piede immediatamente con dieci atleti presenti: Taco Van der Hoorn (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux), Jelle Wallays (Cofidis), Bram Welten (Groupama – FDJ), Tobias Bayer (Alpecin – Fenix), Axel Laurance (B&B Hotels – KTM), Arjen Livyns (Bingoal Pauwels Sauces WB), Gilles De Wilde e Rune Herregodts (Sport Vlaanderen – Baloise), Thimo Willems (Minerva Cycling) e Gianni Marchand (Tarteletto – Isorex). La corsa procedeva lineare fino all’inizio del circuito di Geraardsbergen con 7 minuti di vantaggio per i fuggitivi e 85 chilometri da compiere. Sul primo passaggio del Kapelmuur si creava un forcing da parte della INEOS con un buco creato dalla caduta di Loïc Vliegen (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux) che si trovava in quarta posizione. Florian Vermeersch (Lotto Soudal) e Sheffield riuscivano ad avvantaggiarsi con anche Campenaerts , Matthews, Hermans e Connor Swift (Team Arkea Samsic) a unirsi a loro, mentre dietro non esisteva più un gruppo, ma numerosi gruppetti. Sul Bosberg questi due gruppetti si univano e provavano a resistere al ritorno di un gruppo che andava via via a ricompattarsi con Turner a provare l’inseguimento in solitaria garantendo la possibilità di ricongiumento dei primi gruppi dai quali mancavano però vari velocisti tra i quali Viviani o Ballerini il quale era costretto al ritiro.
Sul Congoberg era Wellens ad attaccare con una pronta risposta di Gianni Vermeersch (Alpecin – Fenix), ma il gruppo tornava compatto con circa una settantina di atleti a formarlo quando si ritornava a Geraardsbergen ai -60 con meno di quattro minuti da recuperare sulla fuga. Una decina di atleti nel gruppo restavano coinvolti in una caduta proprio in vista del Kapelmuur. Sheffield prendeva di petto il muro con il solo Wellens che restava a fatica alla sua ruota. Al loro inseguimento c’erano Florian Vermeersch, Turner, Matthews, Axel Zingle e Piet Alleagaert (Cofidis) e Gianni Vermeersch (Alpecin – Fenix) che rientravano in vista del Bosberg, iniziava quindi un testa a testa tra il gruppo principale e quello di attaccanti divisi da circa 20 secondi che riuscivano a resistere fino ai -35 con diverse energie sperperate da entrambi i gruppi, mentre i fuggitivi erano ancora al comando con circa un minuto e trenta secondi inseguiti quindi da una quarantina di atleti, dai quali provava Campenaerts ad attaccare con Aimè De Gendt (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux) e altri due atleti. Una volta ripresi erano altri gli atleti che provavano ad attaccare, ma causando come effetto un aumento del margine per i fuggitivi. Il gruppo riusciva a capire che servisse collaborazione per ricucire sui fuggitivi non esistendo più una squadra compatta, ma un po’ il ritardo nella decisione e un po’ la mancanza di energie, permetteva alla fuga di arrivare negli ultimi dieci chilometri con un vantaggio di 44 secondi con INEOS e Lotto Soudal tra le principali formazioni che collaboravano all’inseguimento. In fuga erano rimasti in 8, con Laurance e Wallays che avevano perso contatto, con un distacco che calava leggermente fino a trenta secondi ai -5, per scendere poi a venti secondi entrando nell’ultimo chilometro quando Van der Hoorn partiva secco con Bayer alla sua ruota, Willems rientrava su di loro riuscendo a contrattaccare in maniera decisa costruendo un piccolo gruppo fra sè e la coppia dove Van der Hoorn si sacrificava spingendo al massimo e riuscendo a scavalcare Willems negli ultimi venticinque metri per conquistare il successo, mentre Bayer si classificava al terzo posto. Kristoff vinceva la volata di gruppo per il nono posto.

Carlo Toniatti.

Il successo di Taco Van Der Hoorn alla Brussels Cycling Classic (Sprint Cycling Agency)

Il successo di Taco Van Der Hoorn alla Brussels Cycling Classic (Sprint Cycling Agency)

NATNAEL TESFAZION BRILLA SUL MONTE GRAPPA!

giugno 5, 2022 by Redazione  
Filed under News

Natnael Tesfazion (Drone Hopper – Androni) conquista la tappa regina dell’Adriatica Ionica Race 2022 grazie ad una condotta di squadra perfetta, gli uomini di Gianni Savio prima logorano i diretti avversari e poi mettono il giovane eritreo in condizione di sfoggiare le sue doti veloci per imporsi su Filippo Zana (Bardiani-CSF Faizané), nuovo leader della corsa, e Vadim Pronskiy (Astana Qazaqstan).

Seconda frazione dell’Adriatica Ionica Race 2022 con arrivo in quota al Monte Grappa, la fuga di giornata questa volta tarda un po’ a formarsi, bisogna infatti attendere il chilometro venti di corsa per vedere un allungo di Santiago Umba (Drone Hopper – Androni), David Lozano (Team Novo Nordisk), Matteo Zurlo (Zalf Euromobil Fior) ed Eugenio Sánchez (Equipo Kern Pharma). Il gruppo lascia fare, concedendo ai tre un vantaggio massimo di 2’. In testa, come ieri, le squadre faro a tenere stabile il vantaggio sono la Bardiani-CSF Faizané e la Astana Qazaqstan. La corsa vive l’attesa dell’imbocco dell’unica salita di giornata ben 28,3 Km con pendenza media del 4,9%, qui sono attesi gli scalatori a darsi battaglia con il leader Chistian Scaroni (Nazionale italiana). Salita del Monte Grappa che fa subito selezione proprio nel tratto più duro dei primi chilometri, la selezione avviene da dietro e già al secondo chilometro il gruppo dei migliori, ripresa la fuga, resta di soltanto sedici unità, in testa abbiamo: Christian Scaroni (Nazionale italiana), Giovanni Carboni (Nazionale italiana), Samuele Zoccarato (Bardiani-CSF Faizané), Filippo Zana (Bardiani-CSF Faizané), Luca Covili (Bardiani-CSF Faizané), Eduardo Sepúlveda (Drone Hopper – Androni), Natnael Tesfazion (Drone Hopper – Androni), Jefferson Cepeda (Drone Hopper – Androni), Vadim Pronskiy (Astana Qazaqstan), Antonio Nibali (Astana Qazaqstan), Lorenzo Fortunato (Eolo Kometa), Alessandro Fancellu (Eolo Kometa), Riccardo Lucca (Work Service Vitalcare Vega), Paul Double (Mg.K Vis-Color for Peace-VPM), Mikel Bizkarra (Euskaltel Euskadi) ed Edoardo Sandri (Cycling Team Friuli ASD). Il ritmo in testa è scandito soprattutto dai Bardiani con, in particolare, Zoccarato che insieme agli Androni sono in superiorità numerica. Quando a fare il ritmo è Cepada l’andatura fa male a tanti, in testa per un lungo tratto della salita si porta Fancellu a fare un ritmo regolare per Fortunato. Il ritmo in testa diventa più sostenuto quando a tirare il gruppetto dei migliori sono Sepulveda e Cepada ed infatti a 10Km dall’arrivo in testa restano soltanto Scaroni, Zana, Covili, Pronskiy, Tesfazion, Cepeda, Bizkarra e Fortunato quest’ultimo un po’ dolorante dopo la caduta subita ieri. Il leader Scaroni è sempre in coda al gruppo ed ai meno otto chilometri è costretto ad alzare bandiera bianca, stessa sorte accade anche a Fortunato sotto i colpi di pedale di Zana prima e Cepada dopo. Ai meno cinque perde contatto Bizkarra, subito dopo provano un allungo Cepeda e Pronsky ma Zana riesce a portare il gruppetto sotto. Davanti restano in cinque, Zana, Covili, Pronskiy, Tesfazion, Cepeda il terreno per scattare non c’è più e quindi sarà volata ristretta. Gli Androni riescono a tenere alta l’andatura, Cepada si mette al comando a spingere il rapportone fin dentro l’ultimo chilometro, ai meno 150m a lanciare la volata è Zana ma Tesfazion lo affianca e lo salta nettamente andando a tagliare il traguardo a braccia alzate, secondo Zana, terzo arriva Pronskiy, quarto Covili e quinto Cepada. In classifica generale balza al comando Zana, seguito in seconda posizione proprio da Tesfazion a 21”, mentre terzo a 27” sale Pronskiy, al quarto posto a 39” Covili, quinto Cepada a 43”, sesto Bizkarra a 50”. Domani terza tappa nervosa da Ferrara a Brisighella di 141,3 Km.

Antonio Scarfone

Natnael Tesfatsion esulta sul Monte Grappa (Foto: Sprint Cycling Agency)

Natnael Tesfatsion esulta sul Monte Grappa (Foto: Sprint Cycling Agency)

VAN AERT APRE IL DELFINATO CON UNA VOLATA DELLE SUE. TAPPA E MAGLIA PER IL CAMPIONE BELGA

giugno 5, 2022 by Redazione  
Filed under News

Wout van Aert (Team Jumbo Visma) vince la prima tappa del Giro del Delfinato 2022 battendo nella volata di Beauchastel Ethan Hayter (Team INEOS) e Sean Quinn (Team EF Education EasyPost). Il belga è la prima maglia gialla ed ha già dichiarato che cercherà di difenderla fino all’ultimo, nonostante la presenza in squadra di gente come Primoz Roglic e Jonas Vingegaard. Un antipasto di Tour davvero niente male.

Il Giro del Delfinato 2022 propone otto tappe interessanti ed aperte a molte soluzioni. Spiccano su tutte la cronometro individuale della quarta tappa da Montbrison – La Bâtie d’Urfé lunga quasi 32 km e l’ottava ed ultima tappa con il duro arrivo in salita sul Plateau de Solaison, che con le sue pendenze spesso in doppia cifra determinerà quasi certamente il vincitore della breve corsa francese. Alla partenza sono presenti molti attesi protagonisti del prossimo Tour de France come Damiano Caruso (Team Bahrain Victorious), David Gaudu (Team Groupama FDJ), Tao Geoghegan Hart (Team INEOS), Enric Mas (Team Movistar) e Brandon McNulty (UAE Team Emirates). Da segnalare la Jumbo Visma che schiera una tridente fenomenale con Primoz Roglic, Wout van Aert e Jonas Vingegaard. Non manca neanche qualche reduce dal recente Giro d’Italia come Wilco Kelderman (Team BORA Hansgrohe) e Jan Hirt (Team Intermarchè Wanty Gobert). La prima tappa da La Voulte-sur-Rhône a Beauchastel presenta già quattro GPM. Dopo la partenza da La Voulte-sur-Rhône si affronteranno i GPM del Col de Leyrisse e della Cote des Baraques prima di entrare al km 88 nel circuito finale da ripetere due volte in cui si affronterà la doppia scalata della Cote du Chambon de Bavas. L’ultimo scollinamento avverrà ad una trentina di km dall’arrivo ed è probabile che la vittoria se la contenderà in volata un gruppo compatto ma non troppo. La corsa si animava già sulle prime rampe del Col de Leyrisse ed erano molti gli attacchi per provare a evadere da gruppo e formare la fuga di giornata. Pierre Rolland (Team B&B Hotels KTM) era il primo a scollinare sul primo GPM di tappa. Alle ruote del francese si accodavano Laurens Huys (Team Intermarchè Wanty Gobert) e Maxime Bouet (Team Arkea Samsic). Si segnalava intanto il primo ritiro del Giro del Delfinato. A dover mettere il piede a terra dopo una quarantina di km era Imanol Erviti (Team Movistar), malconcio per una caduta precedente. Rolland scollinava in prima posizione anche sulla successiva Cote de Baraques posta al km 41. Il gruppo manteneva la fuga ad una distanza di sicurezza. Era il Team BikeExchange Jayco a dettare il ritmo dell’inseguimento. All’entrata del circuito finale la fuga aveva poco più di due minuti di vantaggio sul gruppo. Rolland scollinava in prima posizione sul primo dei due passaggi sulla Cote du Chambon de Bavas posta al km 93.1. Era invece Bouet ad aggiudicarsi il traguardo volante di Beauchastel posto al km 129.1. All’inizio della seconda ed ultima scalata verso il GPM della Cote du Chambon de Bavas, il vantaggio del terzetto di testa era sceso a 1 minuto e 50 secondi. Rolland scollinava ancora in prima posizione mentre il gruppo aveva ormai annullato il vantaggio sui fuggitivi proprio dopo lo scollinamento. Il ritmo del gruppo era aumentato decisamente anche perchè Dylan Groenewegen (Team BikeExchange Jayco) era segnalato in difficoltà nelle retrovie. L’olandese scollinava con oltre un minuto di ritardo sul gruppo e tutta la sua squadra si impegnava in un difficilissimo inseguimento. Nel frattempo in testa alla corsa si era portato Mikkel Honorè (Team Quick Step Alpha Vinyl) che sfruttava le sue buone doti di discesista per guadagnare qualcosa sul gruppo. Il gruppo, tirato dal uomini della INEOS, riprendeva Honorè a 22 km dall’arrivo. Anche la Jumbo Visma e la Trek Segafredo davano man forte in testa al gruppo per mantenere una velocità costante e impedire il rientro di Groenewegen. Il gruppo Groenewegen cercava fino alla fine di rientrare sul gruppo principale ma quest’ultimo manteneva un vantaggio di 30-40 secondi che non veniva più eroso dagli inseguitori. Nella volata sul traguardo di Beauchastel era Wout van Aert (Team Jumbo Visma) a vincere davanti a Ethan Hayter (Team INEOS) e Sean Quinn (Team EF Education EasyPost). Chiudevano la top five Hugo Page (Team Intermarchè Wanty Gobert) in quarta posizione ed Edvald Boasson Hagen (Team TotalEnergies) in quinta posizione. Van Aert ricomincia a mietere successi anche in una corsa a tappe dopo la Campagna del Nord che lo aveva già visto trionfare all’Omloop Het Nieuwsblad ed all’E3 Saxo Bank Classic, per non dimenticare la vittoria nella cronometro individuale della quarta tappa della Parigi – Nizza ed i podi della Parigi – Roubaix e della Liegi-Bastogne-Liegi. Il belga veste la prima maglia gialla del Giro del Delfinato 2022 con 4 secondi di vantaggio su Hayter e 6 secondi di vantaggio su Quinn. Domani è in programma la seconda tappa da Saint-Péray – Brives-Charensac, per un totale di 170 km. E’ una tappa che presenta quattro GPM, non durissimi ma posizionati in punti che potrebbero portare a qualche attacco o scaramuccia tra i big. In particolare dopo il Col de Mezilhac, quasi 12 km al 4% di pendenza media, la strada presenta diversi saliscendi sui quali chi ha voglia può provare qualche attacco, anche se mancheranno ancora una cinquantina di km all’arrivo.

Giuseppe Scarfone

Wout van Aert vince a Beauchastel (foto: Getty Images Sport)

Wout van Aert vince a Beauchastel (foto: Getty Images Sport)

SPLENDE D’AZZURRO MONFALCONE, CHRISTIAN SCARONI PRIMA VITTORIA TRA I PROFESSIONISTI!

giugno 4, 2022 by Redazione  
Filed under News

Bellissimo acuto di Christian Scaroni (Nazionale italiana) nella tappa di apertura dell’Adriatica Ionica Race 2022 con arrivo a Monfalcone. Per il bresciano prima vittoria tra i professionisti conquistata grazie ad uno sprint vincente su un drappello di cinque atleti avvantaggiatisi nei chilometri finali. Il 24enne si è imposto su Filippo Zana (Bardiani CSF Faizanè) e Raul Garcia Pierna (Equipo Kern Pharma). Il gruppo dei migliori ha chiuso con un ritardo di 19”.

Prende il via l’edizione 20022 dell’Adriatica Ionica Race con la prima frazione, delle cinque previste, da Tarvisio a Monfalcone per 193,8 Km. Fin dal chilometro zero tanti i tentativi per portare via la fuga buona. A riuscirci sono in quattro: Matteo Donegà (Cycling Team Friuli), Adriano Brogi (Giotti Victoria-Savini Due), Federico Burchio (Work Service-Vitalcare-Dynatek) e Matteo Zurlo (Zalf Euromobil Fior). Il quartetto in testa arriverà ad avere un vantaggio massimo di 4’:25”. Dietro in testa al gruppo le formazioni più attive per ricucire sono soprattutto la bardiani CSF e la selezione della Nazionale italiana. Poco prima di metà gara, il vantaggio degli attaccanti scende a 3’:20”, oscillando fino a 3:35” al passaggio dallo sprint intermedio di Capriva del Friuli, vinto da Zurlo. La seconda parte della tappa offre un’orografia più mossa ed il gruppo si porta a 1:30 sulla testa della corsa quando i battistrada iniziano l’ascesa verso San Floriano del Collio, salita breve di 2,7 Km al 6,5% di pendenza media. Il gruppo dei migliori inizia a sfilacciarsi, il ritmo sempre più sostenuto fa sì che la fuga viene annullata nella successiva difficoltà altimetrica di giornata, segnata come unico GMP, la salita che porta in cima a San Michele del Carso 3,5 km al 6.5% di media. In vista dello scollinamento provano un allungo Paul Double (MG.K Vis Colors for Peace), Edoardo Zardini (Drone Hopper-Androni Giocattoli), Luca Covili (Bardiani CSF Faizanè) e Veljko Stojnic (Team Corratec). I nuovi quattro contrattaccanti riescono subito a guadagnare una trentina di secondi che diventano 20” alla fine della discesa. Il gruppo riesce a ritornare sotto, e assorbire i quattro, a 6Km dall’arrivo. Il profilo altimetrico non offre più alcuna difficolta tanto che si pensa ad una volata con gruppo compatto, ma ai meno cinque un terzo allungo in testa al gruppo viene promosso da: Christian Scaroni (Gazprom-Rusvelo), Filippo Zana (Bardiani CSF Faizanè), Raul Garcia Pierna (Equipo Kern Pharma), Riccardo Lucca (Work Service-Vitalcare-Dynatek) e Mikel Iturria (Euskaltel-Euskadi). Dietro la rezione del gruppo è tardiva, tanto che nessuno riesce ad organizzare l’inseguimento. I cinque arrivano all’arco dell’ultimo chilometro con 20” di vantaggio, lo sprint ristretto è vinto da Scaroni, che si impone in modo netto su Zana e Garcia Pierna. Il giovane bresciano va quindi al comando della classifica generale grazie agli abbuoni con 4” di vantaggio su Zana e 6” su Garcia Piena. Domani seconda tappa da Castelfranco Veneto a Monte grappa per un arrivo in salita che potrà rivoluzionare la classifica generale.

Antonio Scarfone

La vittoria di Scaroni a Monfalcone allAdriatica Ionica Race 2022 (Foto: Sprint Cycling Agency)

La vittoria di Scaroni a Monfalcone all'Adriatica Ionica Race 2022 (Foto: Sprint Cycling Agency)"

GIRO DELL’APPENNINO, MEINTJES RITORNA AL SUCCESSO

giugno 2, 2022 by Redazione  
Filed under News

Louis Meintjes (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux) ha vinto il Giro dell’Appennino con un attacco all’interno degli ultimi dieci chilometri. Al secondo posto si è classificato Natnael Tesfatsion (Drone Hopper – Androni Giocattoli) e terzo Georg Zimmermann (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux). Il classe 2001 Alessandro Verre (Team Arkéa Samsic) è stato il migliore degli italiani chiudendo al quinto posto.

L’edizione 83 del Giro dell’Appennino presentava un percorso molto impegnativo rispetto alle precedenti edizioni, con un dislivello di 3000 metri dispersi su 192 chilometri di corsa.
La partenza avveniva da Pasturana con un percorso pianeggiante nei primi 60 chilometri, per iniziare una lunga sequenza di salite con Franconalto, 5.5 chilometri al 6.8%, e Crocefieschi, 5 chilometri al 6.7%, seguite da una lunga discesa e la salita di Crocetta d’Orero, 5.2 chilometri al 5.5% al chilometro 120 di gara. A questo punto i corridori scendevano a Pontedecimo per iniziare il complicato finale di 50 chilometri, la prima asperità era quella di Pietralavezzara, 6.2 chilometri al 7.7%, seguita dalla Madonna della Guardia, 6.9 chilometri al 7.9%, collocata a 25 chilometri dalla conclusione, dei quali 10 in discesa che portavano al traguardo conclusivo di Genova.

I favoriti della vigilia erano Alessandro Covi (UAE Team Emirates) e il blocco della Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux che schierava diversi atleti di livello tra i quali Lorenzo Rota, Quinten Hermans e Louis Meintjes. Alcuni dei principali outsiders potevano essere Simon Clarke (Israel – Premier Tech), Filippo Zana e Henok Mulubrhan (Bardiani-CSF-Faizanè), Natnael Tesfatsion (Drone Hopper – Androni Giocattoli), Alessandro Verre e Nicolas Edet (Team Arkea Samsic).

La fuga prendeva immediatamente il largo con la presenza Pietro Aimonetto (Beltrami TSA – Tre Colli), Alessandro Motta (Biesse – Carrera), Mattia Viel (D’Amico – UM Tools), Paul Wright (Mg.K Vis-Color for Peace-VPM), Davide Baldaccini (Team Corratec), Lukas Meiler (Team Vorarlberg) e Riccardo Ricci (Work Service Vitalcare Vega). L’inseguimento era a carico della Israel-Premier Tech e della Intermarché-Wanty-Gobert che lasciavano un ritardo di tre minuti circa sulla fuga nella quale riusciva a unirsi in un secondo momento Kyrylo Tsarenko (Gallina Ecotek Lucchini Colosio).
Sulla salita di Franconalto il gruppo dei fuggitivi perdeva i primi componenti, ovvero Aimonetto e Viel, il primo riusciva però a rientrare grazie alla fiscesa, ma si tornava a staccare sulla salita di Crocefieschi insieme a Ricci. Nel lungo tratto transitorio il gruppo recuperava velocemente andando a scollinare la Crocetta d’Orero con una situazione di gruppo compatto. Lungo la discesa il gruppo si allungava dividendosi in più gruppi con un azione intensa imposta da parte della Intermarché. Sulle prime rampe di Pietralavezzara scattava Meintjes con Sebastian Berwick (Israel-Premier Tech), Dayer Quintana (Team Arkéa Samsic) e Alexis Guerin (Team Vorarlberg). Questa azione causava un importante aumento del ritmo nel gruppo che riusciva a recuperare su questi atleti andando però a scremare il gruppo di testa a una quindicina di atleti guidati sempre dalla Intermarché.
Durante la tecnica discesa avveniva ulteriore selezione con solo Clarke, Meintjies, Hermans e Tesfatsion rimasti al comando ai piedi della salita finale. Nei primi chilometri si riportavano su di loro Verre, Guerin, Georg Zimmermann (Intermarché-Wanty-Gobert), Michael Ries (Team Arkea Samsic), Ivan Romero (Equipo Kern Pharma), Alessio Martinelli (Bardiani-CSF-Faizanè) e Paul Double (Mg.K Vis-Color for Peace-VPM).
Ries provava ad attaccare con Meintjes alla sua ruota, mentre Tesfatsion si riportava su di loro seguito da Verre, mentre Zimmermann rientrava in un secondo momento. Ai -28 attaccava Verre con il solo Meintjes capace di seguirlo, Tesfatsion provava nuovamente a rifarsi sotto di passo, ma una volta che stava per chiudere il buco Verre scattava nuovamente lasciando il corridore eritreo in compagnia di Ries e Zimmermann, il quale restava però coinvolto in un salto di catena che gli faceva perdere il momento giusto. Tesfatsion riusciva con Ries a riportarsi nel gruppetto di testa proprio al momento dello scollinamento. Lungo la discesa si avvicinavano Martinelli e Clarke permettendo il ricompattamento ai -15. Ai -10 anche Zimmermann, Double e Moreno riuscivano a riportarsi al comando, poco dopo attaccava Zimmermann, ma veniva chiuso facilmente. Era quindi il turno di Meintjes che partiva secco ai -7 in maniera convinta con un gruppo che non riusciva a reagire permettendo allo scalatore sudafricano di ritrovare il successo dopo un attesa di sette anni. Per il secondo posto era Tesfatsion ad anticipare Zimmermann. Verre era il migliore degli italiani chiudendo quinto.

Per Meintjes è solo la quinta vittoria in carriera, le prime 4 ottenute tutte tra i 21 e 23 anni a testimonianza di una prospettiva di carriera decisamente diversa, soprattutto dopo come vinse l’ultima tappa e la classifica generale della Coppi e Bartali 2015, da quel giorno sono passati 2622 giorni, Geraint Thomas era ancora un uomo da classiche del nord avendo vinto da due giorni la E3 Harelbeke, e Alberto Contador vinceva il suo ultimo Grande Giro.

Carlo Toniatti.

Louis Meintjes solleva le braccia al cielo sul traguardo di Genova (Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency)

Louis Meintjes solleva le braccia al cielo sul traguardo di Genova (Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency)

MERCAN’TOUR CLASSIC, SI RIVEDE FUGLSANG

giugno 1, 2022 by Redazione  
Filed under News

Jakob Fuglsang torna alla vittoria nella classica francese. Dietro di lui Woods e Gaudu

Seconda edizione della classica di un giorno nel dipartimento delle Alpi Marittime in Francia.
La fuga di giornata è propiziata al km 15 da Théo Delacroix (Intermarché – Wanty – Gobert Matériaux) e Sebastian Schönberger (B&B Hotels – KTM), ai quali si aggiungono in seconda battuta Alessandro Verre (Team Arkéa – Samsic), Valentin Ferron (TotalEnergies) e Lawrence Warbasse (AG2R Citroën Team). I cinque raggiungono un vantaggio massimo di 6 minuti sul plotone già ridotto consistentemente sulla prima salita di giornata, nonostante un ritmo di controllo. Sulla seconda salita del Col de la Couillole è la Groupama – FDJ a prendere in mano seriamente le redini della corsa, riducendo sensibilmente il divario e poi riassorbendo completamente la fuga quando al traguardo mancano circa 40 km.
Sull’ultima asperità di giornata lavorano in sequenza Pinot e Reichenbach, imprimendo un ritmo insostenibile per Chris Froome (Israel – PrimerTech) costretto a lasciarsi sfilare. Ai -7 iniziano gli attacchi: Gaudu è il primo a provarci portandosi appresso Woods, Cras, Herrada e Fuglsang. Gli Israel possono giocare sulla superiorità numerica, così dal gruppetto formatosi prima ci prova Woods e poi Fuglsang. Gaudu è il più pimpante oggi, ma una volta rientrato sul canadese non riesce a rispondere anche al nuovo attacco del danese, che guadagna così 20″. Vantaggio che sarà decisivo per il portacolori della Israel – PrimerTech conducendolo alla vittoria in solitaria.
Alle sue spalle Woods non molla di un centimetro le ruote del transalpino, indisposto dal gioco di squadra perfetto della coppia avversaria che lo ha messo in mezzo, tanto che giunti alla volata per il secondo posto è proprio il canadese a prevalere e completare la doppietta Israel – PrimerTech.

Lorenzo Alessandri

Jakob Fuglsang sferra lattacco decisivo per la vittoria. Photo Credit: Dario Belingheri Getty Images

Jakob Fuglsang sferra l'attacco decisivo per la vittoria. Photo Credit: Dario Belingheri Getty Images

NOIA E ARENA, MA BRAVO SOBRERO. E BRAVI I BORA IN UN GIRO DOWN UNDER

maggio 29, 2022 by Redazione  
Filed under News

Cronometro passerella in quel di Verona, luogo di aspettative disattese se mai ve ne furono nel ciclismo, con quei Mondiali sempre sulla carta durissimi e poi inevitabilmente preda dell’inerzia e del fulmineo Freire. Oggi vince Sobrero. Fine.

Che bello l’arrivo nell’Arena, sempre spettacolare ed emozionante; ma, come in una riproduzione in scala del resto del Giro, una volta ripresici dalla sindrome di Stendhal prodottaci dai panorami scenografici entro cui scorre la gara, vale giusto la pena di applaudire il vincitore di tappa, brillante in mezzo al nulla e alla noia di una corsa ingessata.
La cronaca si riduce dunque all’entusiasmo per Matteo Sobrero, che, coerentemente con i suoi 25 anni, rende sempre più corposa la propria graduale crescita tecnica come cronoman versatile dal potenziale aperto, dando lustro alla maglia di campione italiano, e così confermando en passant l’ottimo lavoro condotto per la crescita della disciplina sul medio-lungo periodo in Italia, grazie ad alcune menti illuminate più che alla Federazione, dopo epoche assai fosche. Matteo ha dato fiducia al traballante progetto Bike Exchange e il team ha dato fiducia a lui: il risultato, una ciliegina finale di ulteriore consolazione dopo le glorie e disgrazie di Simon Yates. Addio alla generale, ma tre tappe vinte sono un bottino niente male anche in termini di quei punticini UCI che per gli australiani quest’anno valgono oro nella lotta per non essere espulsi dal World Tour.
Ecco, va detto che dietro a Sobrero proprio non succede quasi nulla, l’unico uomo a subire meno di 2” al km (!) da Sobrero è il giovinetto formidabile Arensman (che ne becca comunque quasi uno e mezzo…), promettente spilungone tuttofare già probabilmente razziato da Ineos. Per il resto arrivano alla rinfusa cacciatori di tappa più o meno orfani di forma o fortuna e gioie, come Mollema, Schmid e Cort, oppure il prezzemolino MDVP o il gioiellino britannico Tulett; magari l’uno o l’altro uomo di classifica ansioso di dimostrare qualcosa, categoria che include ovviamente Carapaz, più sorprendentemente Hindley (che comunque patisce 7 secondi dal colombiano, sottolineando l’eccezionalità della cesura di ieri), o il povero Hugh Carthy, vero Ecce Homo di questo Giro disperato per la sua EF, altro team in lotta per non retrocedere.
Ebbene sì, l’ennesima stramazzata del povero Hugh stavolta vale 40 punticini extra per la squadra, come aver fatto secondo in una tappa, e ben più di quanto non avessero apportato finora le sue disumane fatiche e il paio di quarti posti ricavatini. Nessuno avrà fatto caso al suo undicesimo posto odierno, e pochi avranno osservato che grazie ad esso Carthy scambia nono e decimo in generale, scavalcando così l’iconico Juanpe López, più che contento della sua maglia bianca dopo tanta rosa provvisoria; mentre a pochi sarà sfuggito il protagonismo in fuga dell’uomo EF. Ma così è se vi pare, o anche se non vi pare, questa dei punticini è una curiosità in più non necessariamente in accordo con la logica globale dello sport. Aggiunge pepe, senz’altro, e quanto ce n’è bisogno a questo Giro.
Tanto per dare un altro riferimento in merito al vuoto cosmico odierno, lo scambio di posizioni fra Hugh Carthy e Juanpe López, peraltro non proprio trascendentale (ribadiamolo: si invertono nono e decimo in CG…!), è l’unico, attenzione attenzione, “unico” mutamento in classifica generale verificatosi entro le prime 32 posizioni di classifica nella giornata odierna. Il resto permane immutato, nemmeno bastano le rispettive attitudini a spostare alcunché. E se sembra scontato, possiamo prendere a paragone un’altra pagina nera dei grandi giri degli ultimi anni, il Tour 2017, la cui altresì discutibile crono conclusiva, tanto bella quanto poco significativa, oltre a invertire nono e decimo come quella odierna permise in questo ventaglio di posizioni anche lo scambio fra secondo e terzo nonché quello fra 13º e 14º (per non dire di Landa a un secondo dal podio). Poca roba, invero, perché come premesso peschiamo nel torbido, ma oggi è valsa pure meno. Tanto per capirci, nella tutt’altro che stravolgente ma quantomeno dignitosa crono finale dello scorso Giro 2021 si vide entro lo stesso range di una trentina di atleti almeno la metà di essi cambiare il proprio posizionamento nella generale.
Chiusa la cronaca su questa tappa, emblematica come dicevamo del Giro in toto, tracciamo qualche bilancio. È triste a dirsi, ma probabilmente si è testé concluso il peggior Giro, in termini di spettacolo sportivo, da che siamo entrati nell’era dei vari Pro Tour, World Tour e compagnia. E ciò non si legga nei termini di una critica pregiudiziale al Giro del 2004 o a quello del 2003, bensì come un semplice riferimento per pesare parametri comuni, vale a dire senza entrare in un dibattito che diverrebbe annosissimo relativo alla qualità dei partecipanti, al sistema degli inviti e via dicendo. Si sarebbe potuto scrivere con egual arbitrio che l’edizione 2022 è il peggior Giro in 20 anni, richiamando il 2002 in nome di quella allora sfumata prima vittoria di un australiano, il giovane Cadel Evans in maglia Mapei; o il peggior Giro del millennio, maledicendo il 1999 e Madonna di Campiglio; oppure perfino il peggior Giro in un quarto di secolo, riscattando le imprese di Pantani in quel 1999 e prendendocela con le vittorie di Tonkov o Gotti su top-10 finali dalla qualità un po’ zoppicante (ma quell’Enrico Zaina 1996 è l’unico ciclista pro ad avere scalato in gara la Marmolada più velocemente che Jai Hindley in tutta la storia dello sport!). Comunque, ci siamo capiti, è il più brutto Giro in un lasso di tempo parecchio lungo.
Poi, sia chiaro, il Giro resta la corsa più bella del mondo nel Paese più duro del mondo, o qualcosa del genere, quindi un brutto Giro non è comunque uno spettacolo infame. C’è stata una bella tappa per la generale, una!, vale a dire Torino. A volte questo basta per fare un Tour de France (i transalpini sono capacissimi di produrne zero). C’è stato un attacco serio per la classifica, sul Fedaia. Uno!, e a meno di 3 km dalla linea del traguardo (sic), ma potevano non essercene proprio. Ci sono state tappe dove i primissimi non si sono scannati a sciabolate, ma una selezione atletica pesante s’è data da sé (e vorrei vedere con cinquemila metri di dislivello, per quanto mal disegnato), vedansi Blockhaus e Aprica. E delle belle lotte per la vittoria di giornata, come no. Un monumento a Mathieu van der Poel pagato da Vegni, per favore. Anche se perfino MDVP diventa gigione col passare del tempo e una volta saltato per il tappo di Prosecco l’altro fenomeno, Bini. Il monumento a De Gendt, invece, se l’è tirato su da solo in quel di Napoli. Ecco, a proposito di De Gendt, il 2012 è stato a lungo, e giustamente, il titolare della corona spinosa al “Giro più brutto che si ricordi”: perché quel Giro aveva avuto – al di là delle battaglie di giornata – “solo” l’epica giornata dello Stelvio a spiccare fra le schermaglie con poco costrutto per la generale. Quella sola tappa, però, basta a spostare poderosamente gli equilibri, unitamente all’attitudine aggressiva, anche se solo alla flamme rouge, del buon Purito, e di Hesjedal a Pampeago, naturalmente, pure lui con tempi record come quelli della Marmolada. Lotta fra Giri poveri, o poveri Giri, ma tant’è.
Un po’ come nel 2012 ciò che affossa del tutto il morale è una somma fra opportunità perse, nelle poche occasioni in cui il tracciato offriva guizzi d’ingegno, e assenza generalizzata di azioni da parte degli uomini di classifica. In generale, quel che si riassume in “fumarsi il Giro”.
Chiudiamo qui con due domande, tanto per rimuginare un po’ visto che non possiamo crogiolarci nel semplice ricordo dei momenti memorabili quest’anno alquanto latitanti. Il primo interrogativo concerne le squadre che hanno perso: erano in qualche modo conscie della propria inferiorità, sia in termini di team sia in termini di capitani, rispetto alla Bora? E se tale equilibrio o inferiorità si palesava soprattutto negli sforzi brevi e concentrati, perché non provare a mutare l’organizzazione del lavoro erogato, proponendo moduli differenti, ad esempio con intensità medio-alta su due Gpm invece che ridurre il tutto a un braccio di ferro di pura scalata negli impervi finali? Il Giro, va detto, aveva fra i suoi enormi limiti una chiara predisposizione a favore di questa seconda impostazione, divenuta rapidamente dominante. Epperò un poco di fantasia non guasta: e se l’azzardo a cui chiamava a gran voce la tappa di Potenza con la Montagna Grande di Viggiano – greggismo dei più nefasti mai visti, con la strada bloccata dai team con interessi al passeggio – poteva essere in effetti prematuro, un lusso per veri risk-takers (Astana 2015, Contador 2011, Nibali 2013), non ci sono più scuse di sorta per il modo in cui sono stati neutralizzati il Vetriolo o, autentico crimine sportivo, il Kolovrat. Perdoniamo solo la tappa valdostana perché mettere una tappa da forzature dopo Torino è un errore così grossolano del tracciatore che i team finiscono assolti. E allora bravi i Bora, perché alla fin della fiera non solo Hindley ha proposto l’unico serio attacco individuale (col supporto ben orchestrato di Kämna peraltro) fra uomini della generale, ma anche giacché l’unica volta che si è visto un team propositivo al 100%, puntando fiches pesanti, in un’azione aggressiva e concertata dal medio raggio, sono sempre stati loro, in quel di Torino. Niente di più e niente di meno, ma in uno scenario mediocre tanto basta. I Bahrain qualcosina hanno fatto, non si dica di no. Epperò senza quell’ingegno che era assolutamente indispensabile a colmare il divario fisico-tecnico inevitabilmente implicito in un Landa, figuriamoci!, quasi 33enne. Hanno tiricchiato tutti in buon ordine, ma senza rinunciare alle chance di tappa con gli uomini in avanscoperta; alzando un pochino il ritmo prima del duello finale, e tuttavia non parliamo certo di martellate feroci a scremare e infilare il gruppo. Senza con ciò disprezzare le occasionali prestazioni eroiche di un Poels o la giornata vincente di Buitrago. Ineos – che dire? – fra le proprie incarnazioni peggiori, in modalità difensiva: compatta e sciatta. Altro che il 2020, o la prima metà di 2021.
Ricordiamo fra l’altro che sono state “fumate” a ritmi letteralmente da amatori (pur di livello alto) salite come Crocedomini, Mortirolo, San Pellegrino…
Seconda domanda: Bora e Hindley, bene, bravi, bis. Le ragioni di chi si prende la ragione. Ma col senno di poi. In sé, come valutare la strategia post Torino? Ovviamente l’incognita chiave è il reale potenziale di Hindley, che non è detto fosse noto nemmeno al team o a lui stesso. Se però Hindley ne aveva un po’ di più di quanto visto sulla strada, mantenere le carte coperte può essere stata una furbata da pokeristi… o anche no. È vero che così segni il tuo gol vincente al 90esimo e nessuno ti può rimontare, niente imboscate o assalti disperati da fronteggiare. Tuttavia è pur vero che se la palla non entra, perdi tutto ma proprio tutto, o comunque finisci in un pasticcio non da poco. Le grandinate previste si materializzano, e Hindley reagisce così così. Una caduta che intacca la forma. Carapaz non abbocca e invece che crollare regge sui suoi ritmi visti in precedenza, perdendo magari una ventina di secondi scarsi (un Landa cotto e Hugh Carthy hanno incassato solo 49” d’altronde; e già è un miracolo, in meno di tre km…). Se Hindley davvero è entrato in forma via via e ne aveva tanto quanto vistosi in quel lampo finale, allora quest’attesa esasperata che tanto ha premiato avrebbe anche potuto tradursi in un errore madornale. Un’assunzione di rischi probabilmente eccessiva, oltreché – apparente paradosso! – un modo di correre sparagnino che ammazza lo spettacolo, ma questa è un’altra storia.
Se invece Hindley ha dato tutti gli altri giorni il massimo che aveva, o poco meno, c’è di che rimanere basiti dal salto prestazionale. Per poi tornare all’equilibrio nella crono, corsa, come detto, con l’aggressività di chi ancora volesse dimostrare qualcosa, non con estrema prudenza. Se è così che è andata, possiamo parlare di vincitore quasi aleatorio, pur nei parametri di un atleta che già ha ampiamente dimostrato (nel ridotto campione a disposizione) ottima crescita prestazionale attraverso le tre settimane – anche se gli scettici snobbano questo concetto – e focalizzazione in picchi di rendimento straordinari su occasioni mirate.
Concludiamo con il doveroso applauso a Nibali, ai piedi del podio, pur lontano dagli stambecchi. Giro meno adatto a lui per il suo addio non si poteva disegnare, con tutti quei muri finali a schiacciare la fantasia. Certamente una sua impresa, foss’anche fallita, foss’anche per la tappa, avrebbe strappato questo Giro al suo destino di capofila della colonna infame dei “Giri brutti”. Ma ciò non toglie nulla a lui, a cui nulla si può chiedere visto che una resa del genere nell’anno del ritiro è semplicemente brutale. E si noti che avrebbe comunque potuto correre pian piano a raccogliere fiori e applausi senza che ciò potesse essere in alcun modo criticabile. Porta all’Astana in dura crisi punti preziosissimi, pesantissimi: per averne una misura, il suo risultato al Giro da solo vale oltre il 50% di tutti i punti raccolti da tutto il resto del team fin da inizio stagione. E se Contador chiuse quinto la sua ultima Vuelta attaccando sui cavalcavia, Nibali chiude quarto il suo ultimo Giro confermando ciò che è sempre stato, un professionista eclatante, che va al sodo, e andando al sodo incide a fondo sulla realtà del ciclismo finanche nel suo ultimo anno di carriera. Nibali ama correre in bici, non sfugge a nessuno, ma al contempo Nibali oltre a trasmettere la sua passione per questo sport ci rammenta costantemente (col suo mero agire, per fortuna non con prediche) che il ciclismo non è un gioco, è roba seria. Una percezione profonda legata all’eterna precarietà che permea ogni aspetto di questo sport, al suo non essere mai abbastanza di massa, mai abbastanza dominante, mai abbastanza lussuoso, mai abbastanza straricco, mai abbastanza “a posto”, una percezione insomma che in qualche modo ci fornisce un importante controcanto per quando sentiamo, come a questo Giro, che “non ci hanno fatto divertire abbastanza”.

Gabriele Bugada

Jai Hindley accolto da trionfatore nellArena di Verona (foto Tim de Waele/Getty Images))

Jai Hindley accolto da trionfatore nell'Arena di Verona (foto Tim de Waele/Getty Images))

GIRO DI NORVEGIA 2022, REMCO EVENEPOEL VINCE MAGLIA E TRE TAPPE

maggio 29, 2022 by Redazione  
Filed under News

Remco Evenepoel porta a casa da dominatore la corsa norvegese vincendo ben tre frazioni. Completa il podio la coppia australiana Jay Vine e Lucas Plapp

Remco Evenepoel (Quick-Step Alpha Vinyl) si conferma ad un ottimo livello in questo 2022, dopo un periodo di tentennamento fisiologico nel recupero dal terribile infortunio. Nella kermesse in terra norvegese corre da campione mettendo subito in fila tutti gli avversari nella prima tappa, controllando a tratti e continuando ad attaccare nelle frazioni successive, riuscendo alla fine a portarne a casa tre.
D’autore è l’assolo nella prima tappa vallonata da Bergen a Boss, in cui conquista in solitaria tappa e maglia di leader della classifica generale che lascerà solo per un giorno, la tappa seguente, appannaggio di Ethan Hayter (INEOS Grenadiers) con il vessillo del primato sulle spalle di Tobias Halland Johannessen (Uno-X Pro Cycling Team). La terza tappa, l’arrivo in salita più duro di Stavsro Gaustatoppen, vede di nuovo sugli scudi il giovane belga che vince e si riprende di forza la maglia di leader, questa volta conducendola fino al termine della corsa. Nella quarta frazione tutta pianeggiante infatti è Marco Haller (Bora – Hansgrohe) ad esultare, mentre nella quinta più vallonata sui fiordi norvegesi da Flekkefjord a Sandnes è ancora Evenepoel ad attaccare e portare a casa la tappa, accrescendo il vantaggio in classifica generale. La sesta ed ultima tappa infine è regolata in volata dal padrone di casa Alexander Kristoff (Intermarché – Wanty – Gobert), con passerella conclusiva per il talento belga in maglia Quick-Step Alpha Vinyl. Alle sue spalle in generale si piazza la coppia australiana Jay Vine (Alpecin-Fenix) e Luke Plapp (INEOS Grenadiers), confermando il periodo di grazia per il ciclismo down under.

Lorenzo Alessandri

Remco Evenepoel sul podio finale. Photo Credit: Tour of Norway

Remco Evenepoel sul podio finale. Photo Credit: Tour of Norway

SIPARIO ROSA SULL’ARENA

maggio 29, 2022 by Redazione  
Filed under News

Finale in Arena per il Giro d’Italia e sarà la settima volta nella storia che una frazione del Giro terminerà all’interno dell’anfiteatro veronese. In 17 Km e 400 metri sapremo se il tradizionale circuito delle Torricelle, erede di due edizioni dei mondiali disputate nel 1999 e nel 2004, riuscirà a scardinare la classifica determinata dalle frazioni di montagna affrontate nell’ultima settimana della Corsa Rosa.

Porta la data del 4 giugno del 1967 la prima volta del Giro in Arena. Fu una delle geniali invenzioni partorite dalla vulcanica mente di Vincenzo Torriani, la stessa che in quella stessa edizione aveva inventato il prologo, la stessa che una decina di anni dopo riuscì a portare la Corsa Rosa in un luogo che si pensava irraggiungibile, Piazza San Marco a Venezia, un approdo che sogna anche l’attuale direttore del Giro Mauro Vegni. Si dovevano percorrere 45 Km quel giorno e all’interno dell’anfiteatro scaligerò si festeggiò la vittoria per strettissima misura del danese Ole Ritter, che fece meglio per un solo secondo del tedesco Rudy Altig e anche i corridori arrivati subito dietro accusarano tempi molto vicini a quelli di Ritter, con Ferdinand Bracke terzo a 2 secondi e il favoritissimo Jacques Anquetil quarto a 6 secondi e nuova maglia rosa, tolta dalle spalle dello spagnolo José Pérez Francés. Dopo questo precedente l’Arena il Giro non la vedrà più per quattordici anni, fin quando Torriani decise di far terminare nuovamente una cronometro all’interno del celebrato monumento e stavolta in occasione della tappa finale del Giro del 1981, 42 Km con partenza dalla vicina Soave, località conosciuta per il vino che da essa prende il nome. Fu quello un finale di Giro degno dell’Arena perché alla partenza la classifica era ancora apertissima, avendo la maglia rosa Giovanni Battaglin soli 39” di vantaggio su Giuseppe Saronni e 50” sullo svedese Tommy Prim, decisamente più attrezzati a cronometro dello scalatore vicentino che, tra l’altro, pochi giorni prima della partenza della Corsa Rosa aveva vinto il Giro di Spagna, che all’epoca si disputava in primavera. C’erano anche gli abbuoni – quell’anno previsti anche nelle cronometro – a turbare i sonni di Battaglin che, invece, riuscì a difendersi egregiamente, prendendole solo da Prim e facendo meglio di Saronni, così che potè salvare la maglia rosa, definitivamente vestita con 38” sullo svedese e 50” sul piemontese. Il ribaltone sembrava, invece, improbabile il 10 giugno del 1984, quando la corsa terminò ancora con la Soave – Verona, partita con un Laurent Fignon saldamente in maglia rosa con 1’21” su vantaggio su Francesco Moser. Ma l’asso trentino, reduce dalla conquista del record dell’ora, stupì tutti rovesciando le carte in tavola e vincendo la crono a quasi 51 Km/h e distanziando il corridore francese di 2’24” (senza abbuoni, stavolta), che gli consentirono di imporsi in classifica con 1’03” di vantaggio. La conclusione del Giro fu così entusiasmante che si pensò di replicarla l’anno successo anche se a ruoli invertiti e così Lucca – nel 1984 sede del prologo – fu scelta come punto d’arrivo dell’edizione 1985, scattata con una crono lunga poco meno di 7 Km terminata dentro l’Arena, altro appuntamente al quale si fece ancora trovare in perfetto orario Moser, che iniziò in bellezza un Giro nel quale dovrà poi soccombere al francese Bernard Hinault, che così “vendicò” Fignon vincendo il Giro con un vantaggio sul trentino molto simile (1’08”) a quello accusato dodici mesi prima dal connazionale. Nel 2007 un’altra prova contro il tempo terminerà a Verona, ma stavolta l’Arena farà solo da spettatrice e bisognerà attendere altri tre anni per rivedere i “girini” pedalare sulla speciale passerella rosa installata all’interno dell’anfiteatro, quando questo tempio della lirica sarà ancora una volta scelto quale “location” della frazione conclusiva, disputata sul circuito delle Torricelle – quello dei mondiali del 1999 e del 2004 – e vinta dallo svedese Gustav Erik Larsson, mentre la maglia rosa Ivan Basso, forte alla partenza di un vantaggio di 1’15” sullo spagnolo David Arroyo e di un tracciato lungo appena una quindicina di chilometri, non ebbe particolare problemi e, anzi, riuscì anche a dilatare il proprio dominio. Nel 2019, 52 anni dopo la prima volta, l’Arena è tornata ad accogliere la crono finale del Giro, proposta su di un tracciato dalla distanza non molto dissimile da quella del 2009 ma percorso in senso inverso in senso inverso, affrontando la salita dal versante opposto. Contro il tempo si sono dovuti percorrere poco più di 17 Km al termine dei quali si è imposto lo statunitense Chad Haga mentre la maglia rosa Carapaz le “prendeva” dai diretti rivali di classifica senza troppe preoccupazione, forte di un vantaggio di quasi 2 minuti su Nibali alla partenza di 1′54″, vantaggio che verrà quasi dimezzato alle soglie dell’Arena.
53 anni dopo la prima volta, anche nel 2022 l’Arena sarà sede d’arrivo della frazione conclusiva, che si disputerà sul medesimo tracciato della crono di tre anni fa, con l’unica differenza dell’allungamento del tracciato di 400 metri per l’aggiunta di un appendice alla tradizione ascese delle Torricelle.
La rampa di lancio dell’ultima tappa del 105° Giro d’Italia sarà collocata fuori città, nel piazzale antistante l’ingresso della Fiera di Verona, terzo complesso fieristico per dimensioni d’Italia, conosciuto per manifestazioni come Vinitaly mentre gli appassionati di ciclismo lo frequentano per il CosmoBike Show, erede dello storico Salone del Ciclo di Milano. Scesi dalla pedana, tolte un paio di curve da affrontare nelle prime centinaia di metri, la cronometro inizierà con uno dei suoi tratti più snelli e veloci, percorrendo il rettifilo di Viale Piave che dalle campagne a sud di Verona punta dritto verso il centro. A circa 1500 metri dal via i “girini” arriveranno al cospetto di Porta Nuova, monumentale accesso alla città realizzato nel ‘500 dall’architetto Michele Sanmicheli, operà che colpì il suo più celebre collega aretino Giorgio Vasari che ne disse “già mai altr’opera di maggior grandezza né meglio intesa”. A questo punto il percorso costeggerà per un breve tratto le mura di Verona, uno dei più importanti complessi fortificati esistenti in Italia, costituito da ben cinque cinte innalzate in epoche differenti – dai tempi dell’Impero Romano sino al periodo della dominazione austriaca – e in gran parte giunto ai giorni nostri. Anche per la sua posizione strategica, dopo il 1815 la fortezza di Verona divenne uno dei capisaldi del celebre “Quadrilatero”, il principale sistema difensivo del Regno Lombardo-Veneto, lo stato dell’Impero Austriaco venutosi a costituire dopo la caduta di Napoleone e la successiva Restaurazione. Seguendo al contrario il tracciato dei due mondiali qui disputati, entrambi conquistati dallo spagnolo Óscar Freire, si andrà a superare per la prima volta il corso dell’Adige sul ponte intitolato al poeta romantico Aleardo Aleardi, costruito nel 1879 per collegare il centro di Verona al suo cimitero monumentale, uno dei primi eretti in Italia in ottemperanza all’editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), che stabiliva di trasferire i campisanti al di fuori delle mura cittadine onde evitare il rischio di contagi. La nuova normativa prevedeva anche tombe uguali per tutti, senza distinzione di classe sociale, e solo le salme illustri, previo benestare di una commissione di magistrati, potevano essere ricordate da epitaffi scolpiti: nel cimitero veronese oggi riposano, tra le altre, le spoglie del “papà” di Sandokan Emilio Salgari, del poeta Ippolito Pindemonte e di Umberto Boccioni, il maggior esponente dell’arte futurista italiana.
All’altezza del cimitero si ritroverà la cinta muraria, costeggiata all’altezza dei bastioni di Campo Marzo e delle Maddalene, il secondo dei quali pure realizzato dal Sammicheli anche se prenderà l’attuale forma dopo il 1839 su incarico del celebre feldmaresciallo Radetzky. Si sfreccerà quindi dinanzi ad un altro tra i più importanti accessi cittadini, Porta Vescovo, aperta in direzione di Venezia e attraverso la quale l’esercito italiano entrò in Verona il 16 ottobre 1866, giorno dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia dopo la cacciata degli austriaci in seguito alla vittoria nella Terza Guerra d’Indipendenza.
Imboccata Via Caroto, quando si saranno percorsi circa 5 Km dal via s’inizierà la salita delle Torricelle, 4.1 Km al 5.4% per giungere sino a quasi 300 metri di quota dopo aver sfiorato il Forte Biondella, una delle strutture del campo trincerato collinare voluto dal Radetzky e che comprendeva anche le due Torri Massimiliane, le “Torricelle” che s’incontreranno al vertice dell’ascesa e che ne hanno attribuito il tradizionale nome. Seguendo in discesa il versante dei mondiali (4.5 Km al 4.5%) si planerà sul quartiere di Valdonega, dove nel 1957 furono rinvenuti, durante i lavori di costruzione di un condominio, i resti di una villa romana risalente al primo secolo dopo Cristo. Terminata la discesa quando mancheranno poco più di 4 Km al traguardo si ritroveranno prima le mura (rondelle delle Boccare e di San Giorgio, oggi occupata delle serre comunali) e poi il corso dell’Adige, che sarà costeggiato per poche centinaia di metri tra Ponte Garibaldi e Ponte della Vittoria, sul quale s’incontrerà il pavè. Entrati nel centro storico i “sampietrini” accompagneranno la corsa anche dopo la svolta verso Corso Cavour, che si percorrerà in direzione di uno dei più visitati monumenti di Verona, il Castelvecchio, che fu la principale residenza della dinastia Scaligera e che si affianca al romano Arco dei Gavi, innalzato attorno alla metà del primo secolo in un punto che, all’epoca, si trovava al di fuori della cinta muraria, lungo l’antica Via Postumia. Tornati sull’asfalto e transitati di fronte alla barocca chiesa di Santa Teresa degli Scalzi, il cui convento fu trasformato in carcere durante l’epoca napolenica e tale rimase fino alla distruzione durante i bombardamenti dell’ultima guerra mondiale, si ritroverà il porfido quando s’imboccherà il tratto finale di Corso di Porta Nuova, nel punto dov’erano fissati i traguardi mondiali, subito prima di varcare i Portoni della Brà, “doppio” accesso all’omonima piazza dove saranno presi come da tradizione i tempi di gara e conosceremo ufficialmente il nome del vincitore del Giro prima dell’ingresso sulla passerella che nel cuore dell’Arena, ancora per una volta prestata dalla lirica al mondo dello sport, anche in ricordo di una lunga tradizione d’eventi da sempre ospitati nell’anfiteatro costruito dai romani e che già nel ‘800 ospitava le prime gare velocipedistiche che fecero conoscere ai veronesi quel cavallo d’acciaio che oggi chiamiamo bicicletta.

Mauro Facoltosi

FOTOGALLERY

Il piazzale della Fiera di Verona dal quale scatterà la cronometro

Porta Nuova

Ponte Aleardi e il Cimitero Monumentale

Tratto delle mura di Verona in direzione del Bastione delle Maddalene

Porta Vescovo

Il Forte Biondella lungo la salita delle Torricelle

Una delle “Torricelle”

Villa Romana di Valdonega (tripadvisor.com)

Villa Romana di Valdonega (tripadvisor.com)

Rondella di San Giorgio

Il tratto di Lungadige percorso dalla crono (sullo sfondo Ponte della Vittoria)

Ponte della Vittoria in direzione del centro di Verona

Corso Cavour in direzione del Castelvecchio

Castelvecchio e Arco dei Gavi

Chiesa di Santa Teresa degli Scalzi

Corso di Porta Nuova e i Portoni della Brà

L’ingresso dal quale I “girini” entreranno in Arena visto dall’esterno…

… e dall’interno

L’Arena di Verona vista dal cielo e, in trasparenza, l’altimetria della 21a ed ultima tappa del Giro 2019 (Google Maps)

L’Arena di Verona vista dal cielo e, in trasparenza, l’altimetria della 22a ed ultima tappa del Giro 2022 (Google Maps)

« Pagina precedentePagina successiva »