NIBALI STORY – CAPITOLO 11: UN SICILIANO DOMINATORE IN PADANIA
Concluso al terzo posto il Tour de France, Vincenzo Nibali affronta la seconda ed ultima edizione del Giro di Padania prendendo la maglia di leader nella tappa collinare di Merate e consolidando il successo sul difficile arrivo in salita al Passo della Bocchetta, la storica ascesa di quel Giro dell’Appennino che lui conosceva bene per averlo vinto nel 2009. Riviviamo quelle due giornate di trionfo sulle strade del Nord Italia.
3a tappa: Castelfranco Veneto – Merate
UN GATTO IN FORMATO MONDIALE
E’ il trevigiano di Altivole ad aggiudicarsi la terza tappa, nello strappo a 3,5km dall’arrivo rimangono lui e Nibali e in volata non c’è storia. Terzo, staccato, giunge Chiarini, poi Taborre e Modolo.
Clima autunnale e tappa da 250km: le strade tra Castelfranco e Merate si corrono col sapore di Mondiale. Come sempre è una lunga fuga a caratterizzare la maggior parte della corsa con Cesaro, Buckmann, Rocchetti, Garofalo e Mertens in avanscoperta. I cinque raggiungono un vantaggio massimo di 10′ col gruppo che, tranquillo, lascia fare.
Nella seconda parte della corsa iniziano però i preparativi in vista dello strappo finale e così il vantaggio dei fuggitivi cala fino a dieci chilometri dal traguardo quando il plotone torna compatto in attesa del muro della Madonna del Bosco: 900m al 12% a tre chilometri dall’arrivo. Il primo a provarci è Pellizzotti, seguito da Gatto e Nibali. Il campione italiano però non riesce poi a tenere il ritmo tenuto dal portacolori della Farnese e così al traguardo si presentano Gatto e Nibali, mentre il tricolore viene riassorbito dal gruppo.
In volata nessuna storia, molto più a suo agio Oscar Gatto che vince staccando di ruota Nibali, il siciliano si consola comunque con la maglia azzurra. Terzo giunge Chiarini, poi Taborre e Modolo, vincitore della seconda tappa.
In generale, come detto, si issa al primo posto Vincenzo Nibali. Chiarini secondo e Gatto terzo. Dietro la schiera di Colnago che ancora vivono di rendita dopo la cronosquadre del primo giorno. Nei prossimi giorni, con le montagne, si attendono però diversi movimenti, anche se il primo posto sembra quello più sicuro.
Andrea Mastrangelo
4a tappa: Lazzate – Passo della Bocchetta
NIBALI IL SICILIANO, RE DI PADANIA
Dopo il secondo posto di ieri arriva anche la vittoria per Vincenzo Nibali. Nella tappa più attesa e più bella di tutto Il Padania il siciliano va a rafforzare la sua posizione di leader vincendo per distacco su Rebellin, Durasek, Pozzovivo e Pellizzotti, in attesa della tappa finale con un altro arrivo in salita.
Era la tappa più attesa, quella che prevedeva la scalata al Passo della Bocchetta, una collina che si sente vetta alpina: 8km al 7,7% di media, punte quasi al 20%, roba da scalatori puri.
Il sipario sulla quarta e penultima tappa si apre con sette fuggitivi: Laganà, Busato, Mertens, Biondo, Kern, Schnait e Matysiak. Per loro nessuna speranza di arrivare da soli lassù, il gruppo lascia fare e il loro vantaggio prima sale oltre i sei primi, poi piano piano scende. All’inizio della Bocchetta davanti rimandono solo Busato, Laganà e Kern, tutti col destino segnato.
Il tedesco gioca le sue ultime carte fin dalle prime rampe, ma alle sue spalle si forma un drappello con Pozzovivo, Nibali, Rebellin, Pellizzotti e Brambilla, su questi rientrano poi Sella, Chiarini, Scarponi fino a formare un gruppo di dieci uomini in testa alla corsa nel momento in cui Kern viene riassorbito.
Da qui all’attacco decisivo passano poche centinaia di metri: Nibali toglie un dente e soprattutto si toglie di ruota otto avversari, il solo a resistergli è Pozzovivo che tiene fino ai duecento metri quando con un secondo allungo viene lasciato al palo, le energie per lui sono finite e da dietro lo passano anche Rebellin e Durasek relegandolo al quarto posto.
Il trionfo di Nibali è solo un nuovo capitolo che si aggiunge alla meravigliosa storia di questa collina, condita dalla seconda piazza di Rebellin, eterno come questa salita che ci regala emozioni dagli anni di Coppi.
Chiude il podio Durasek, quindi Pozzovivo e Pellizzotti. La generale vede Nibali sempre più leader in attesa della tappa finale ancora con arrivo in salita. I due più vicini sono Pozzovivo e Chiarini, 40”, ma anche se nel ciclismo nulla è mai scritto sembrano davvero troppi contro questo Nibali.
Andrea Mastrangelo

Nibali espugna la mitica Bocchetta (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 10: OBIETTIVO GIRO CON LA TIRRENO-ADRIATICO NEL MIRINO
La Tirreno-Adriatico è la seconda corsa a tappe italiana per importanza dopo il Giro e tra tappe di collina, montagna, pianura e cronometro concentrare in sette giorni è una versione miniaturizzata della Corsa Rosa. Nel 2012 Nibali la mette nel mirino in vista di un futuro successo al Giro e coglie l’obiettivo, prima imponendosi nell’arrivo in salita ai Prati di Tivo e poi conquistando le insegne del primato nella conclusiva cronometro di San Benedetto del Tronto. Riviviamo le due giornate chiave di quell’edizione della “Corsa dei Due Mari”.
LO SQUALO MORDE, MA HORNER RESISTE
Vincenzo Nibali si impone in solitaria ai Prati di Tivo, staccando tutti a 4 km dal traguardo e resistendo al ritorno di Roman Kreuziger e Chris Horner, giunti al traguardo con 16’’ di riardo. Lo statunitense conserva però la vetta della classifica generale, con 5’’ sul ceco e 12’’ sul siciliano. Domani altra frazione chiave, con l’impegnativo circuito di Offida.
Sono bastate ventiquattro ore a Vincenzo Nibali per dimenticare l’amarezza del finale della tappa di Chieti, con il discusso sorpasso ai suoi danni da parte di Peter Sagan. Sulla salita dei Prati di Tivo, la più attesa e selettiva della Tirreno – Adriatico, il siciliano si è messo al riparo da sorprese anticipando l’attacco a 4 km dalla vetta, riuscendo in breve a costruire un margine superiore ai 20’’, per poi reggere sulle ultime rampe l’urto della rimonta di Chris Horner e Roman Kreuziger, che continuano a precedere lo Squalo in classifica generale.
A tentare di scombinare i piani della Liquigas, necessariamente formazione faro della gara dopo l’exploit di ieri, hanno provato Jens Debusschere, Kristoff Goddaert ed Egoi Martinez, protagonisti di una fuga della prima ora che, raggiunti i 9’ e mezzo di vantaggio, ha per un attimo dato l’impressione di poter trovare buon esito. Gli uomini di Nibali hanno però saputo reagire tempestivamente, fino a riassorbire Martinez – ultimo degli attaccanti ad alzare bandiera bianca – ad una decina di chilometri dal termine, poco prima che i grossi calibri iniziassero a muoversi.
A rompere gli indugi è stato un poco convinto scatto operato da Joaquim Rodriguez, imitato poco dopo, con lo stesso esito insoddisfacente, da Paolo Tiralongo e dal duo Gusev – Nocentini. Per il primo vero sussulto si è dovuto aspettare di superare lo striscione dei 4 km alla conclusione, allorché Vincenzo Nibali è partito in caccia di quel successo sfumato sul più bello nella giornata di ieri. Lo scatto del siciliano ha trovato meno opposizione del previsto, con Horner e Kreuziger, primo e secondo della generale, più impegnati in un marcamento a uomo a vicenda che non a contenere il margine di Nibali.
Con un paio di chilometri ancora da percorrere, il messinese si è così trovato con un vantaggio di 26’’, che quasi compensava interamente i 34 che stamane lo superavano dalla maglia azzurra. Solo allora Horner si è reso conto di rischiare seriamente – calcolando anche i secondi di abbuono che il leader Liquigas si apprestava a raccogliere – di perdere la vetta della generale, e si è deciso a prendere in mano personalmente le redini dell’inseguimento. La caccia dell’americano ha dato discreti frutti, riuscendo a ridurre a 16’’ il distacco da Nibali in corrispondenza del traguardo, conservando così 12’’ sul siciliano in classifica. Nel mezzo ancora Roman Kreuziger, capace di restare incollato alla ruota del 40enne nativo di Okinawa e di bruciarlo sull’arrivo, scippandogli 2’’ di abbuono e portandosi a soli 5’’ dalla maglia azzurra. Ai piedi del podio provvisorio un bravissimo Rinaldo Nocentini, di ritorno a livelli ai quali mancava almeno dalla settimana in giallo del Tour 2009, e Michele Scarponi, oggi in affanno ma capace di contenere a 18’’ il ritardo al traguardo, chiudendo alle spalle di Johnny Hoogerland, ora 6° in classifica.
Con i primi tre della graduatoria capaci di monopolizzare il podio della tappa regina, la questione vittoria finale sembra ormai ristretta a Horner, Kreuziger e Nibali, con la breve cronometro finale di San Benedetto del Tronto quale probabile teatro del testa a testa decisivo. Il chilometraggio irrisorio della frazione conclusiva – appena 9 km e 300 metri – potrebbe però indurre qualcuno dei tre a muoversi anche nella giornata di domani, che proporrà 181 km di saliscendi quasi ininterrotti con partenza ed arrivo a Offida. A convincere di più negli ultimi due giorni è stato Nibali; fondamentale, per portarsi a casa la maglia azzurra finale, sarà però convincere Peter Sagan, oggi uscito dai giochi per la generale, a sacrificarsi per lo Squalo. Con un tracciato come quello di domani, che pare cucito da un sarto sullo slovacco, potrebbe essere più difficile che dominare i Prati di Tivo.
Matteo Novarini
UNO-DUE RADIOSHACK MA LA ”TIRRENO” E’ DI NIBALI
Fabian Cancellara vince secondo pronostico la crono di San Benedetto del Tronto bissando il successo del 2011 e alle sue spalle giunge un bravissimo Bennati ma la formazione di Bruyneel non riesce a mantenere il primato nella generale con lo Squalo che corona un lungo inseguimento superando Horner per 14”
Per il secondo anno consecutivo la Tirreno-Adriatico si è conclusa con una cronometro di 9,3 km sul lungomare di San Benedetto del Tronto, percorso in entrambe le direzioni con partenza e arrivo in Viale Marinai d’Italia e giro di boa in Piazza Salvo d’Acquisto dove era posto anche il rilevamento intermedio al km 4,9: la corsa è entrata subito nel vivo con le partenze di Rasmussen (Garmin) e Tuft (GreenEdge) e se il danese ex campione mondiale su pista non ha brillato il canadese ha fatto segnare un ottimo tempo resistendo per pochi centesimi all’assalto del vicecampione italiano di specialità Boaro (Saxo Bank) ma uno strepitoso Bennati (RadioShack), non nuovo comunque a ottime prestazioni nelle prove contro il tempo, ha fatto meglio per 4” superando nettamente specialisti come Grabsch (Omega-QuickStep), Millar (Garmin) e Malori (Lampre) finchè il suo compagno Cancellara, grande favorito di giornata e vittorioso un anno fa sullo stesso percorso, non ha tradito le attese facendo la differenza soprattutto nella seconda parte caratterizzata da un forte vento contrario e fermando il cronometro a 10′36”, vale a dire 3” in più rispetto al 2011 ma 12” meglio di Bennati. L’ottima giornata della RadioShack è stata confermata da Roulston che si è installato a 17” dal campione svizzero appena davanti a Stannard (Sky) ma per lungo tempo nessun altro è riuscito a portarsi nelle prime posizioni: va comunque sottolineata la buona prova di Sagan (Liquigas), che malgrado gli sforzi dei giorni precedenti ha concluso con un distacco di 23”, e di Garzelli (Acqua&Sapone), molto atteso in questa Tirreno-Adriatico ma condizionato da una bronchite, che ne ha persi 24 mentre il più volte tricolore della specialità Pinotti (Bmc) in cerca del miglior colpo di pedale dopo il lungo stop in seguito alla caduta di Macugnaga all’ultimo giro d’Italia ha disputato una prova onorevole perdendo 21” e superando di gran lunga il suo capitano Evans ancora lontano dalla condizione che gli permise nella passata stagione di indossare la maglia azzurra a San Benedetto del Tronto.
Via via hanno iniziato a partire gli uomini ben piazzati nella generale e tra questi si sono distinti Peter Velits (Omega-QuickStep), autore comunque di una Tirreno al di sotto delle aspettative, che ha chiuso a 20” da Cancellara e soprattutto Cameron Meyer (GreenEdge), apparso molto cresciuto anche in salita nei giorni scorsi, che con un grande recupero nella seconda parte si è portato al 3° posto a 16” dallo svizzero; discreta anche la prestazione di Nocentini (Ag2r) che ha difeso la sua 4a piazza dagli assalti di Hoogerland (Vacansoleil), Rodriguez (Katusha) e Scarponi (Lampre) ma la vera lotta era quella tra il leader Horner (RadioShack), Kreuziger (Astana) e Nibali (Liquigas), separati alla vigilia da soli 6”. Fin dal rilevamento intermedio è comunque apparso chiaro che il siciliano, penalizzato da una cronosquadre di apertura in cui la Liquigas aveva concesso 38” alla RadioShack e 25” all’Astana, avrebbe completato l’inseguimento alla maglia azzurra iniziato a Chieti e proseguito con il trionfo di Prati di Tivo e il secondo posto di Offida: al km 4,9 infatti lo Squalo poteva già vantare un vantaggio di 11” su Horner e 13” su Kreuziger che al traguardo, dove ha concluso in 9a posizione a 20” da Cancellara, sono diventati 20 sullo statunitense e 27 sul ceco, autore di una crono molto deludente per le sue possibilità, più che sufficienti per assicurargli il primato e un successo nella classifica finale di una corsa a tappe che mancava dalla Vuelta del 2010.
La prova contro il tempo è stata dunque vinta da Cancellara con 12” su Bennati, 16” su Meyer, Tuft e Boaro, 17” su Roulston e 18” su Stannard mentre nella generale Nibali si è imposto con 14” su Horner, 26” su Kreuziger, 53” su Nocentini e 1′00” su Hoogerland e ha avuto la meglio anche nella classifica a punti; il miglior scalatore è stato Pirazzi (Csf) mentre la maglia di miglior giovane è andata a Poels (Vacansoleil). L’attenzione si sposta ora su una Milano-Sanremo che quest’anno come non mai vedrà tantissimi atleti battersi per tagliare a braccia alzate il traguardo di Via Roma da Cavendish a Boasson Hagen, da Cancellara a Freire passando per Sagan, Greipel, il campione uscente Goss e perchè no lo stesso Nibali, non nuovo ad azioni sul Poggio e nella successiva discesa che vista la condizione che ha mostrato in questa settimana potrebbero portarlo fino al successo.
Marco Salonna

Vincenzo Nibali sale in solitaria verso il traguardo di Prati di Tivo (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 9: LA PINNA DELLO SQUALO SORGE DIETRO LA GREEN MOUNTAIN
Inizia con il piede giusto la stagione 2012 per Vincenzo Nibali, che decide di non correre il Giro per disputare il Tour, dove si piazzerà terzo. Nel frattempo arriva vicinissimo a vincere la terza edizione del Tour of Oman, che perde per un solo secondo dallo slovacco Peter Velits dopo essersi imposto nella tappa regina della corsa araba, quella con arrivo in salita sulla “Green Mountain”
LO SQUALO TORNA A MORDERE A GREEN MOUNTAIN
Vincenzo Nibali reduce da un 2011 costellato di piazzamenti ma senza vittorie attacca sulla salita finale, giunge solitario al traguardo e per appena 1” non riesce a conquistare la maglia gialla che va a Peter Velits ultimo a cedere la ruota del siciliano.
Come accaduto nel 2011 in cui ad imporsi fu Gesink che perfezionò l’opera nel giorno successivo aggiudicandosi la prova a cronometro il Giro dell’Oman aveva il suo momento clou sulla Green Mountain, salita di 6 km al 10% di pendenza media che giungeva al termine di una frazione di 157 km senza particolari asperità prima di quella conclusiva partita da Sultan Qaboos University. La corsa è vissuta sulla fuga di due velocisti come Henderson (Lotto-Belisol) e Eisel (Sky), due atleti già visti spessissimo all’attacco in quest’avvio di stagione come Clarke (Astana) e Kohler (Bmc), l’olandese Timmer (Project 1T4I) e il nostro Gatto (Farnese), ancora lontano dalla condizione che gli ha permesso di vincere 4 corse tra cui una tappa del Giro nel 2011; il gruppo non si è comunque preoccupato eccessivamente un po’ per il vento contrario che ha frenato l’azione dei fuggitivi e un po’ perchè tra di essi non c’erano uomini pericolosi in classifica ed è stato sufficiente l’aumento dell’andatura nel momento in cui le squadre si preoccupavano di portare i capitani davanti all’imbocco dell’ultima salita per annullare un gap che non aveva comunque mai superato ai 3′30”.
Tutto si è dunque deciso come prevedibile negli ultimi 6 km e visto il forcing iniziale della Katusha ci si aspettava che fosse Rodriguez a lanciare l’attacco ma il catalano non si è mosso ed è rimasto sui pedali quando è stato Nibali (Liquigas) il primo a muoversi a 5 km dal traguardo. L’unico a resistere al messinese è stato il 3° della Vuelta 2010 Peter Velits (Omega-QuickStep) che però a seguito di un’ulteriore accelerata del siciliano ha dovuto alzare bandiera bianca mentre alle loro spalle si è formato un gruppetto guidato dal duo Fdj Casar-Jeannesson, già protagonisti nell’ultimo Tour de France quando furono fondamentali scendendo dal Galibier nel riportare il gruppetto di Evans su quello di Contador e Andy Schleck. Nibali ha proseguito nella sua azione guadagnando fino a 30” su Velits, che alla vigilia lo precedeva di 15” nella generale, ma nel finale lo slovacco ha reagito chiudendo a soli 10” dallo Squalo e questo sforzo ha fatto sì che al termine fosse lui a indossare la maglia gialla seppur con appena 1” di vantaggio, mentre dietro ai due duellanti Casar ha chiuso 3° a 25”, Jeannesson 4° a 30”, uno strepitoso Gallopin (RadioShack) 5° a 37” e molto più brillante del presunto capitano di giornata Fuglsang che ha accusato un ritardo di 1′46”, Slagter (Rabobank) 6° a 47” e Rodriguez solo 7° a 55” appena davanti a un Cancellara (RadioShack) che già nella passata stagione si dimostrò molto a suo agio sulla Green Mountain anche perchè più avanti nella preparazione rispetto ad altri in vista delle classiche del Nord; l’arrivo era invece proibitivo per la maglia gialla Greipel (Lotto-Belisol) che è salito con il suo passo e ha accusato un ritardo di 8′08”. Oltre a far ben sperare per le corse future Nibali è tornato a conquistare un successo che, a parte quello ottenuto nella cronoscalata del Nevegal in seguito alla squalifica di Contador, mancava dal settembre 2010 con la classifica finale della Vuelta mentre l’ultima occasione in cui il siciliano tagliò per primo il traguardo risale al Trofeo Melinda che precedeva la corsa a tappe iberica.
Come detto solo 1” separa Velits da Nibali e vedremo se ci sarà battaglia per gli abbuoni nell’ultima tappa, 130,5 km pianeggianti da Al Khawd a Matrah Corniche; le altre posizioni sono invece abbastanza consolidate con Gallopin 3° a 17”, Casar 4° a 21” e Jeannesson e Slagter 5° e 6° a 30”.
Marco Salonna

Nibali esulta al traguardo della Green Mountain (foto Bettini)
TOUR DE FRANCE 2023: POCA CRONO, MOLTE PERPLESSITA’
Svelato il percorso della Grande Boucle 2023, ciò che colpisce sono i 22 chilometri a cronometro individuale. Molte le salite, ma non sempre il disegno delle tappe è felice, troppe frazioni molto brevi. Ritorna il Puy-de-Dôme.
Forse la notizia più bella del percorso del Tour de France 2023 è il ritorno nel percorso dello storico Puy-de-Dôme, la salita più dura del Massiccio Centrale, dopo 35 anni di assenza.
Si tratta di una notizia straordinaria, anche perché comporterà uno sforzo logistico per gli organizzatori tra mancanza di spazi e carreggiata ridotta. Si vocifera, infatti, che gli ultimi 4 durissimi chilometri di salita saranno completamente interdetti al pubblico per garantire la sicurezza. E’ forse proprio questa, insieme alle tre tappe iniziali in terra basca, la vera notizia positiva perché, per il resto, tante sono le perplessità che suscita il percorso del prossimo Giro di Francia.
La prima e più grave è rappresentata dal ridotto chilometraggio a cronometro. Per vedere meno di 22 chilometri contro il tempo si deve ritornare con la mente al 2017, quando ne erano previsti solo quattordici. 22 chilometri sono davvero troppo pochi per incidere in modo significativo sull’equilibrio del percorso e in questo i francesi sono passati dall’eccesso degli anni 80 e 90, in cui venivano inseriti oltre 100 Km contro il tempo, a quelli attuali in cui spesso le prove a cronometro vengono relegate a delle scampagnate. La collocazione è pure infelice perché, dopo la crono, mancheranno solo due tappe di montagna prima della conclusione, mentre la funzione della tappa contro il tempo dovrebbe essere quella di distanziare gli scalatori leggeri, inadatti alle tappe a cronometro, per spingerli ad attaccare in montagna.
La seconda perplessità sta nelle altitudini. Il Tour de France, disputandosi in luglio, ha la fortuna di poter proporre diversi passaggi a grandi altitudini. La strade non mancano (Iseran, Galibier, Bonette ecc) e invece l’anno prossimo sarannoprevisti solo due passaggi oltre i 2000 metri (Tourmalet e Col de la Loze) , davvero pochi rispetto ad un Giro d’Italia che, pur disputandosi in maggio con maggiori pericoli meteo, andrà per ben 6 volte oltre quota 2000.
Terza perplessità la lunghezza delle tappe poichè appena due saranno le frazioni che supereranno (e di poco) i 200 Km: anche qui il confronto con il Giro è impietoso perchè la corsa rosa prevede 6 tappe oltre i 200 Km e solo una sotto i 150 Km (la passerella finale di Roma).
Dal punto di vista delle salite si incontrano nell’ordine due tappe pirenaiche abbastanza soft perché arriveranno molto presto, la tappa del Puy-de-Dôme, quattro alpine ed una sui Vosgi. Otto è un numero molto elevato di tappe di montagna, ma non tutte sono ben disegnate. Progettate bene, invece, sono le apparentemente secondarie tappe di collina e media montagna.
Ultima notazione doverosa è la pochissima parte del territorio francese toccato. Rispetto a percorsi di altri decenni, in cui si cercava di fare un vero Giro di Francia con una sorta di anello intorno al paese (da cui il nome Grande Boucle, letteralmente “grande ricciolo”), da alcuni anni la moda è quella di lasciar fuori amplissime parti del territorio.
Si partirà, come già da tempo noto, dai Paesi Baschi e precisamente da Bilbao con una tappa in circuito che prevede diversi mangia e bevi e il muro della Côte de Pike (2 Km al 10%) a 10 Km dall’arrivo: non è da escludere che qualche uomo di classifica provi a sorprendere gli altri come fece Nibali nel 2014 a Sheffield (e tutti sappiamo come andò a finire).
La seconda tappa terminerà a San Sebastián sulle strade della “Clásica” che tradizionalmente si corre una settimana dopo la fine del Tour. L’ascesa allo Jaizkibel, spesso affrontato in quella manifestazione, sarà posto a 16 chilometri dalla conclusione e ne farà una tappa adatta per una battaglia tra le seconde linee.
La tappa che porterà il gruppo in Francia, Amorebieta – Bayonne, presenterà un tracciato adatto ai velocisti, così come la successiva Dax-Nogaro che anticiperà la due giorni pirenaica. La prima frazione di montagna, disegnata tra Pau a Laruns, prevede 162 Km con il Col de Soudet e soprattutto il Marie Blanque, breve ma arcigno (ultimi 5 Km al 10%) a soli 18 Km dalla conclusione. I big potrebbero muoversi (nel 2020 Pogacar si impose a Laruns al termine di un tracciato quasi identico), anche se è ancora molto presto per sperare di fare la differenza e allora ecco che anche questa potrebbe essere un’occasione d’oro per outsiders di lusso.
La seconda tappa pirenaica, invece, vedrà certamente, se non attacchi, almeno schermaglie tra i big. Il Col du Tourmalet (souvenir Jacques Goddet), preceduto dall’Aspin, servirà a selezionare il gruppo, mentre i veri movimenti ci saranno sulla salita finale verso i 1353 metri di Cauterets. Non è una salita durissima, gli ultimi 5 Km sono i più duri con una media del 7%, però al termine di una tappa pirenaica con il Tourmalet al sesto giorno di gara questa salita potrebbe presentare il conto a qualcuno.
Esaurite le prime montagne, ci saranno due tappe di trasferimento (arrivi a Bordeaux e Limoges, favorevoli ai velocisti), prima di tornare finalmente il mitico Puy-de-Dôme. La tappa, fino alla salita finale, non è nel complesso durissima (a parte il tratto conclusivo) ma la cima ove è posto l’arrivo è storica, grandi campioni hanno conquistato tappe che si concludevano qui. Sono 14 Km di salita al 7,7%, ma gli ultimi 5 km hanno una pendenza media dell’11%. Qui si può fare davvero la differenza e alla vigilia del riposo certamente ci sarà voglia di darsi battaglia e la classifica potrebbe cominciare a prendere una certa fisionomia.
La decima tappa, sempre sul Massiccio centrale, sarà un’interessante frazione di media montagna tutta su è giù, anche se l’ultima salita è piuttosto lontana dal traguardo di Issoire, quasi 30 km che però saranno tutti in discesa. Di pianura in pratica non ce n’è e alla ripartenza dopo il riposo potrebbe esserci qualche sorpresa a livello classifica.
Dopo la facile tappa di Moulins per tirare il fiato, ecco un’altra interessante frazione di media montagna che da Roanne condurrà a Belleville-en-Beaujolais in 169 Km con tre colli molto simili in rapida sequenza nella seconda metà del tracciato. L’ultimo, il Col de la Croix Rosier, 5 Km al 7,7%, è posto a 27 km dall’arrivo e per affrontare le tre salite in successione ci vorrà certamente una ottima condizione. La tappa è decisamente da fughe, ma ci vorrà davvero talento per vincere una frazione tecnicamente complessa come questa.
La tappa numero 13 anticiperà le Alpi con un arrivo sul massiccio del Giura, anche se sino alla salita finale verso il Grand Colombier ci sarà ben poco da vedere visto che il Col de la Lèbe non è nulla di che.
L’ascesa finale è invece ben conosciuta dagli appassionati, 18 km al 7% sui quali si si può fare la differenza, ma non bisogna dimenticare che nel 2020 Roglic mise la squadra davanti e arrivarono al traguardo una cinquanta di corridori tutti assieme, senza alcun tentativo di attacco.
Molto più interessante la quattordicesima tappa, una delle più dure del Tour, anche se molto breve perchè si dovranno percorrere solo 152 Km tra Annemasse e Morzine. I GPM saranno sei e decisivi si annunciano gli ultimi due, con il Col de la Ramaz (14 Km di ascesa al 7%) a precedere un grande classico, il Col de Joux Plane, 11,7 Km con una inclinazione media del’8,5% prima dell’altrettanto classica picchiata verso Morzine. Un finale riproposto tante volte al Tour de France e qui gli italiano ricordano ancora il successo di Marco Pantani nel 1997 che, al termine di questa tappa, conquistò il terzo gradino del podio ai danni di Bjarne Rijs. In concreto lo Joux Plane è una salita da scalatori puri e, se si farà corsa dura già dalla Ramaz, ci potranno essere distacchi di una certa entità perché il dislivello da affrontare è molto elevato.
La quindicesima tappa si concluderà a Saint-Gervais Mont-Blanc con l’arrivo in salita in località Le Bettex dopo 180 km. Anche in questo caso il dislivello è importante, ma la tappa è complessivamente meno dura di quella del giorno precedente. Il Col de la Forclaz de Montmin e il Col de la Croix Fry sono troppo lontani dal traguardo per incidere, ma potranno rendere difficile tenere la corsa controllata. Duro il finale perché la Côte des Amerands, che costituisce la prima parte della salita finale, presenta una pendenza media del 10% su 3 Km e subito dopo ci saranno solo 2,5 Km di discesa prima di ricominciare a salire negli ultimi 7,3 Km al 7,8%. Anche in questo caso, il finale si presta ad attacchi degli uomini di classifica e sono prevedibili dei distacchi anche di una certa consistenza, specie se qualcuno partirà secco sulle maggiori inclinazioni dell’Amerands.
La seconda settimana si concluderò con l’unica prova contro il tempo di questo Tour de France, appena 22 Km per andare da Passy a Combloux . C’è di buono che si tratta di una frazione mista, con tratti pianeggianti in rettilinei, discese e salite dalle pendenze importanti (si affronterà anche la mitica Côte di Domancy dei mondiali del 1980, 2500 metri al 9.4%), non è una prova semplice e interpretarla male potrebbe causare danni notevoli, ma resta il fatto che l’incidenza di questa tappa sarà giocoforza limitata per i passisti che contano sulle prove a cronometro per competere in classifica.
Dopo l’ultimo giorno di riposo andrà in scena il secondo tappone alpino con arrivo a Courchevel, 166 Km con il Col de Saisies, il Cormet de Roselend, la Côte de Longefoy (attenzione alla discesa tecnica) e il Col de la Loze, che con i suoi 2264 metri sarà il punto più alto toccato dal Tour de France 2023, Souvenir Henri Desgrange. La salita è lunga e dura, presenta una pendenza massima molto elevata, ed è stata tenuta a battesimo nel 2020, quando in cima al colle si impose il colombiano Lopez, anche se tutti ricordano la battaglia tra Roglic e Pogacar, non fu però risolutiva. I 28 Km di ascesa, l’altitudine, il dislivello complessivo della tappa, le pendenze, i giorni di gara sulle spalle saranno tutti fattori che contribuiranno a rendere la frazione durissima. Dopo la cima del Col de la Loze, mancheranno ancora 7 chilometri per arrivare al traguardo di Courchevel dove i distacchi tra i big potrebbero essere anche considerevoli, considerando pure che all’ultimo chilometro la strada riprenderà a salire.
Dopo una tappa di pianura e una di collina abbastanza tranquilla (arrivi a Bourg-en-Bresse e Poligny), l’ultima sfida in montagna andrà in scena sui Vosgi con una solita minitappa di 133 Km piena di salite. Dopo lo storico Ballon d’Alsace nella parte iniziale, ci saranno diverse salite brevi nella parte centrale prima di affrontare il Petit Ballon, ascesa caratterizzata da dure pendenze (i primi 5 Km hanno una inclinazione media del 9%). Dopo la discesa inizierà subito l’ultima vera salita del Tour 2023, il Col de Platzerwasel, 7 Km all’8,3%. Dal colle mancheranno solo 8 Km all’arrivo ma, dopo il GPM, la strada continuerà a salire per qualche chilometro prima dell’arrivo a Le Markstein. Chi vorrà far saltare il banco deve partire sul Petit Ballon, la possibilità di fare il grande distacco alla vigilia di Parigi c’è, chi ha ancora energie potrà provare a ribaltare la classifica anche se il chilometraggio non aiuta. Le tappe brevi sono certamente corse a ritmo elevato, ma è più difficile provocare crisi rispetto ai tapponi over 200 Km nei quali il dosaggio sapiente dello sforzo riveste un ruolo fondamentale per riuscire a rendere al meglio.
L’atto finale come da copione sui Campi Elisi a Parigi , che saranno raggiunti partendo dal velodromo nazionale di Saint-Quentin-en-Yvelines, che l’anno successivo ospiterà le gare di pista in occasione delle Olimpiadi assegnate alla “Ville Lumière”.
Le sfide in salita certamente non mancheranno e ci sono almeno tre tappe in cui si possono escogitare attacchi in grande stile, tuttavia il confronto con il giro d’italia rimane impietoso. Vi è a favore della Corsa Rosa un divario di varietà, di complessità tecnica, di finezza nelle scelte, di equilibrio che è semplicemente imbarazzante.
Tante volte è stato sottolineato che la conformazione del territorio del Bel Paese aiuta certamente gli organizzatori a lavorare di fantasia, tuttavia non si può non sottolineare come certe scelte (come il chilometraggio contro il tempo e quello delle singole frazioni) non abbiano nulla a che fare con la varietà dei paesaggi e come quest’anno i francesi non abbiano sfruttato la fortuna di avere la corsa a luglio per mettere passaggi ad alta quota che costituiscono oggettivamente una difficoltà.
Ovviamente il Tour ha dalla sua il maggior prestigio internazionale e la partecipazione dei più grandi campioni che sono in grado di dare grande spettacolo, anche quando i percorsi lasciano a desiderare.
Benedetto Ciccarone

La cima del Puy-de-Dôme (www.clermontauvergnetourisme.com)
NIBALI STORY – CAPITOLO 8: SORRISI E LACRIME AL NEVEGAL
Dopo aver vinto la Vuelta Vincenzo Nibali si schiera speranzoso al via del Giro del 2011, ai cui nastri di partenza si presenta anche Alberto Contador. Stavolta lo scalatore messinese fallisce l’obbiettivo anche a causa di uno straripante “Pistolero”, che balza in testa alla classifica sull’Etna e ci rimane fino a Milano dove si impone con sei minuti su Michele Scarponi (successivamente nominato vincitore in seguito alla squalifica per doping dello spagnolo) e quasi sette sullo Squalo. Nibali si deve così accontentare del podio e della vittoria nella cronoscalata al Nevegal, ottenuta in una giornata triste per il ciclismo perchè avvenuta a poche ore dalla tragica scomparsa del corridore Xavier Tondó, deceduto in una drammatico incidente domestico
I VERDETTI DEL NEVEGAL, CRONOSCALATA SENZA SORPRESE
Ci voleva la vittoria in rosa, anche se senza braccia alzate, senza revolverate: Contador dedica il trionfo a Xavier Tondo Volpini, il ciclista della Movistar scomparso lunedì in un assurdo incidente domestico. Per il resto pochi distacchi tra i grandi: ottima la prova di Nibali e Scarponi ma lo spagnolo resta irraggiungibile.
Nelle cronoscalate può sempre capitare qualcosa di strano, così come dopo il giorno di riposo. L’abitudine agli sforzi protratti ribaltata in un esercizio costretto entro i limiti della mezzora, le reazioni del corpo fustigato da sequele di montagne e poi rilassato in una giornata di ricreazione: se aggiungiamo la possibilità che qualche uomo fuori classifica si sia risparmiato per conquistare il suo lampo di gloria, tutto lascia pensare a un esito – del tutto o in parte – all’insegna dell’imprevedibilità, come peraltro è accaduto in precedenti edizioni.
Invece evidentemente nell’ascesa al colle bellunese i fattori si annullano vicendevolmente, e i risultati sono quanto mai conservativi rispetto a quanto visto fin qui. L’unica peculiarità, anch’essa peraltro ampiamente prevedibile, è una certa sofferenza negli atleti più avvezzi allo scatto che alla regolarità.
La tappa la domina Alberto Contador, lui solo regala distacchi davvero pesanti agli immediati – in termini di posizione, non certo di tempo – inseguitori in classifica: un avvio prudente, a tutelarsi dalle insidie delle curve, si traduce in un sensibile distacco al primo intertempo, dove Alberto “si confonde con la massa” fuori dai dieci, a 13” da un Nibali scattante e spregiudicato, che invece si esalta conquistando un netto primato al termine della fase pianeggiante. In salita però non c’è competizione: Contador sale agilissimo, alternando rilanci di potenza sui pedali, senza mai apparire appannato fino a un ultimo km in lievissimo affanno.
D’altro canto questo è il suo esercizio prediletto: sforzo concentrato al massimo, senza tormentose premesse, solo contro l’orologio con tanto di salita dura e regolare a schiantare gli avversari inermi.
Molto emozionante il podio con la dedica a Xavier Tondo Volpini, prematuramente scomparso lunedì mattina. Il pubblico foltissimo che ha scortato la scalata con entusiasmo e sportività, applaudendo come è giusto ogni atleta e regalando il proprio speciale appoggio alla maglia rosa, si è azzittito rispettosamente mentre Alberto, visibilmente commosso, indicava il cielo.
Tornando alla gara, solo Rujano contiene il distacco nella seconda parte della cronometro, quella ascendente, entro i 5” al km, patendo meno di quaranta secondi dal fenomeno in rosa.
Il piccolo venezuelano si conferma così baciato da un’affinità elettiva con le cronoscalate che già gli conoscevamo (per tacere il fatto che, pensando al suo peso piuma, anche sul piano si sa difendere): un avvio poco esplosivo, e – a suo dire – un finale col fiato corto, lo collocano comunque al quarto posto di giornata, rilanciandolo in vista di un finale di Giro che gli sorride, con i bei ricordi del Sestriere a precedere la cronometro conclusiva, più adatta a lui che al francese Gadret, oggi surclassato non solo in salita ma anche nel segmento iniziale. Ci sono quasi due minuti da rosicchiare, sarà comunque una bella lotta. Scalzato senza difficoltà Nieve, oggi esausto, appagato, e con l’occhio al lavoro di gregariato che ancora l’aspetta per il capitano Antón.
Al secondo e terzo posto di giornata troviamo la coppia italiana che si disputa i gradini del podio anche in generale: oggi è Nibali a prevalere, per una manciata di secondi (a 34” da Contador il siciliano, a 38” il marchigiano). Effettivamente tutto il Giro sembra dire di una lieve maggiore rotondità di prestazione da parte del più giovane Vincenzo, che ha sacrificato il bel bottino di cui ancora godeva nei confronti dell’avversario per provare a rimettere in discussione il primato assoluto durante il tappone dolomitico. Nondimeno oggi la salita vera e propria è stata meglio condotta da Michele, capace di assestare a Nibali un paio di secondi al km, compensando così integralmente il distacco subito nella prima frazione: di nuovo però, quando la strada si faceva meno impervia ma non per ciò meno esigente – i fatali e rivelatori falsopiani conclusivi! – è stato lo squalo ad assestare il morso decisivo. Sicuramente Nibali ha pagato verso metà salita la propria aggressività della prima parte, lo si è notato a tratti in certa qual difficoltà, però il traguardo lo ha visto più fresco e sereno in viso, a ulteriore testimonianza di una conclusione in crescendo capace di recuperare qualcosa perfino al devastante Contador odierno.
Tra i dieci e i venti secondi da Nibali troviamo altri tre uomini importanti, anche se non tutti di classifica: il quinto posto del “sempreverde” (mai meglio detto!) Garzelli conferma che oggi non erano più in conto gli sforzi pregressi, o meglio che essi sono stati tanto stravolgenti per tutti da veder premiato comunque lo stato di forma, senza particolari vantaggi per chi ha creduto di “risparmiarsi” nei tapponi alpini. Poi comunque positivi, ancora una volta assai prevedibilmente, visto che la prova era molto adatta a loro, ecco Kreuziger e Menchov: la maglia bianca rafforza il proprio primato in quella classifica, e conduce una prova praticamente identica a quella di Nibali a poco più di un secondo al km di differenza. Si osserva la formazione comune e la confrontabilità delle caratteristiche, ferma restando la maggior maturità di Nibali e il salto qualitativo da lui ormai compiuto, di là da venire per l’ex compagno. La prova di Menchov è invece caratterizzata da un pessimo primo settore, compensato solo parzialmente da una salita perfettamente all’altezza di Nibali e Scarponi: forse un eccesso di prudenza o più probabilmente una difficoltà a carburare, certamente il russo certifica di essere in crescita e di pagare, in questo Giro, gli impedimenti dovuti a un avvio poco brillante. Comunque l’uomo Geox sta continuano molto professionalmente ad onorare appieno la gara, ratificando indirettamente che i trionfi di Contador non possano essere ridotti a una penuria di avversari di livello.
Tra gli altri uomini di classifica, abbiamo già accennato alla giornata difficile di Gadret: tale sarà, ma in misura minore, anche per Joaquim Rodriguez e Antón; il primo si distingue per un avvio fulminante nella parte di pianura, a soli 3” da Nibali, quarto assoluto assediato da passisti, grazie alla scelta di optare per una bici da crono, cambiata in pochi istanti dopo il riferimento. In salita poi non crolla, ma certamente non esprime il proprio potenziale su un tracciato che sarebbe stato a lui confacente. Resta però a un mezzo minuto da Nibali, mentre un po’ più pesante è il distacco dell’uomo Euskaltel (1’21” da Contador, dunque 47” da Nibali), anch’egli poco convincente in salita ma anche meno brillante in pianura (epperò, tanto per dire, a soli 3” da Contador e perfino davanti a Menchov!). Di fatto entrambi, coerentemente con la giornata priva di sobbalzi sulla sedia, assestano la propria classifica generale nei dieci, complice il crollo di Arroyo, e anzi “vedono” la “top 5”, in un Giro che – a parte il pistolero di Pinto – presenta comunque un livello medio omogeneo, oseremmo dire perché livellato verso l’alto.
Per concludere, al netto della giovane età, segnaliamo le belle prove di Kruijswijk, Ulissi e Pirazzi. Ci ha colpito, nel nostro diarista, la “mancata volata” per conquistare un secondo posto provvisorio scavalcando quello Stef Clement che a lungo aveva dominato la classifica “prima dei big”. Certamente c’era già Samoilau davanti, e altrettanto certamente quella posizione era destinata a tramutarsi in una “zona top 20”: ma se Ulissi è salito con la tranquillità dimostrata in questo finale, altri margini ci sono eccome.
Gabriele Bugada

Attorniato dai suoi tifosi Nibali affrontata la cronoscalata al Nevegal (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 7: CONSACRAZIONE ALLA VUELTA 2010
Se c’era qualcuno che non era convito che Nibali potesse divenire un corridore da corse a tappe dovrà ricredersi. Nel 2010 lo scalatore siciliano si impone alla Vuelta e lo con importanti distacchi sugli avversari: non vince tappe (se non a tavolino per la squalifica postuma di Ezequiel Mosquera, il secondo della classifica), indossa per la prima volta la maglia rossa sull’arrivo in quota della Peña Cabarga, la perde nel tappone asturiano del Cotobello per riprendersela nella cronometro di Peñafiel e consolidarla al penultimo giorno di gara sulle dure rampe in cemento della Bola del Mundo. Riviviamo in un sol boccone le quattro giornate della corsa iberica qui sopra rammentate
11 settembre: Burgos – Pena Cabarga
UNA CADUTA ELIMINA ANTON, NIBALI IN ROSSO
Il colpo di scena della 14a tappa della Vuelta arriva prima ancora dell’approccio della breve ma durissima ascesa verso il traguardo di Peña Cabarga: il capoclassifica Igor Anton cade in pianura a 8 km dal traguardo ed è costretto al ritiro. Joaquin Rodriguez stacca tutti nel finale, precedendo di 20’’ Vincenzo Nibali, che conquista per 4’’ la testa della classifica. 3° Mosquera, primo big a scattare, ora sul gradino più basso del podio anche in graduatoria.
Fra le tre tappe consecutive con arrivo in salita in programma tra oggi e lunedì, quella di Peña Cabarga, ascesa molto ripida ma di nemmeno 6 km di lunghezza, per di più non preceduta da asperità particolarmente significative, doveva essere la meno significativa, poco più di un antipasto sostanzioso prima del tradizionale traguardo in quota dei Laghi di Covadonga e del tappone di Cotobello. Malgrado i distacchi generati dalle aspre rampe dell’erta finale siano stati effettivamente piuttosto contenuti, ed abbiano eliminato dalla lista dei papabili vincitori o pretendenti al podio il solo Carlos Sastre, per il terzo GT in questa stagione non all’altezza della sua nomea, la giornata odierna ha impresso alla corsa una svolta decisiva, arrivata prima ancora dell’attacco dell’ascesa conclusiva.
A 8 km dal traguardo, mentre il gruppo limava quasi del tutto il ritardo dal duo Garmin Zabriskie – Millar e da Niki Terpstra, fuggitivi del mattino, e i tentativi della Caisse d’Epargne con Arroyo e Luis Leon Sanchez di animare la tappa più del previsto erano già stato neutralizzati, una caduta nella parte avanzata del gruppo ha coinvolto – fra gli altri – Marzio Bruseghin e, soprattutto, Igor Anton. Sono bastati pochi secondi dopo l’identificazione della maglia rossa fra gli sfortunati finiti a terra per rendersi conto della gravità della situazione: malgrado si reggesse tranquillamente in piedi, il basco non ha neppure provato a risalire in bici, segno di come si fosse reso conto di un problema serio, probabilmente alla spalla. L’avventura in rosso del leader Euskaltel si è così conclusa, pochi minuti dopo, sull’ammiraglia della squadra; fine di Vuelta decisamente triste per l’atleta finora più forte in montagna, benché decisamente preferibile rispetto a quella del compagno Egoi Martinez, portato via in barella.
Mentre Anton mostrava sorrisi amari alla telecamera, gli altri big approcciavano la salita finale, orfani anche, come detto, di un Marzio Bruseghin giunto alla fine a 17’ dal vincitore. È stata la Liquigas di Vincenzo Nibali, a quel punto virtualmente al comando della generale, a prendere in mano la situazione, con un pimpante Roman Kreuziger capace di scandire il ritmo fino a 2 km circa dalla conclusione nel sempre più ristretto gruppetto dei migliori. Un drappello che, lasciati indietro Sastre e un sempre più deludente Menchov (addirittura 11’55’’ il suo ritardo all’arrivo quest’oggi), ha registrato il primo vero scatto a 1800 metri dall’arrivo, con la sparata di Ezequiel Mosquera, poco dopo il riassorbimento del compagno Garcia, lanciato in avanscoperta ai -4.
A differenza di quanto avvenuto ad Andorra, nessuno ha provato a seguire il 34enne galiziano; Vincenzo Nibali, in compenso, è scattato a sua volta 400 metri più avanti, andando rapidamente a raggiungere e staccare il battistrada. Analoga operazione ha compiuto però poco più tardi Joaquin Rodriguez, capace di riacciuffare il siciliano in vista dell’ultimo chilometro e di lasciarlo sul posto a 800 metri dalla linea bianca. Ancora una volta, il messinese ha peccato forse di eccessiva fiducia nei propri mezzi, perdendo 20’’ sulle ultime rampe, e subendo il parziale rientro di Mosquera, ben ripresosi dopo aver pagato lo scatto. Un risultato per il quale pensiamo che Nibali avrebbe comunque firmato alla vigilia, in una frazione sulla carta più adatta alle caratteristiche di scattista del Purito che non alle sue.
Contenuti anche i distacchi degli ottimi Moncoutié, 4° a 33’’, e Nicholas Roche, 5° a 34’’, in scia ai quali è giunto un Frank Schleck sempre in crescita (con un Mondiale più impegnativo di quello di Geelong, sarebbe sicuramente da annoverare tra i favoriti). Meno bene rispetto ad Andorra Xavier Tondo, attardato alla fine di 39’’ e raggiunto in classifica da Mosquera a 50’’ da Nibali, nuovo capoclassifica. Tra i due iberici e l’italiano sta Joaquin Rodriguez, staccato di 4’’ dal siciliano, e ora da considerare necessariamente come il suo più diretto rivale in classifica. A oltre 2’ Roche e Schleck, dietro ai quali si colloca, al 7° posto, un più che sorprendente Peter Velits, anche oggi a ridosso dei migliori (9° a 45’’).
Se è lecito nutrire dubbi circa le possibilità del Purito di imporsi in un grande giro, è certamente in virtù della sua non eccelsa tenuta su salite lunghe, emersa anche sulla non letale ascesa di Andorra. Molto di più, a questo proposito, sapremo pertanto domani, quando la Vuelta si arrampicherà ai 1120 metri dei Lagos de Covadonga. Un test ancor più significativo per stabilire delle gerarchie in questa Vuelta ancora incertissima, con quattro corridori raccolti in 50’’. Una Vuelta che probabilmente, non fosse stato per quel capitombolo a 8 km dall’arrivo, avrebbe invece ora un favorito ben definito.
Matteo Novarini
13 settembre: Gijón – Cotobello
NIBALI ABDICA A COTOBELLO, MA RODRIGUEZ RESTA A TIRO
Il messinese va in grossa difficoltà nell’ultimo chilometro della salita di Cotobello, ultima ascesa della tappa più dura della Vuelta, e cede 37’’ a Joaquin Rodriguez. Purito lo precede ora di 33’’ in graduatoria, distacco che Nibali dovrebbe comunque poter colmare agevolmente nella cronometro di Peñafiel. La tappa va al giovane Mikel Nieve, in fuga dal terzultimo colle, davanti ad un ritrovato Frank Schleck, capace di staccare tutti i big sulla salita finale.
La permanenza di Vincenzo Nibali in vetta alla classifica è finita; il sogno di vincere la Vuelta 2010 è ancora pienamente a portata di mano del messinese. Così potremmo riassumere, in estrema sintesi, la giornata della principale (sin dall’inizio) e ormai unica (dalla caduta di Bruseghin nella tappa di Peña Cabarga) speranza italiana in terra spagnola. Una giornata, quella dell’unico vero tappone delle tre settimane iberiche, che per Nibali è trascorsa – al pari della precedente – all’insegna della difesa, per la verità meno sofferta – fino agli ultimi 1000 metri – rispetto a quanto preventivabile. I primi tre GPM in programma, l’Alto de la Cabruñana, il Puerto de San Lorenzo e l’Alto de la Cobertoria, non hanno infatti visto movimenti tra i big della classifica generale, ad eccezione di uno scatto molto poco convinto di Frank Schleck a metà della terza ascesa, facilmente rintuzzata dalla Liquigas.
Il plotone, trainato per gran parte della giornata dagli uomini in bianco e verde, si è così presentato, dopo una momentanea scrematura ad una dozzina di elementi dopo l’azione del lussemburghese, ancora forte di una quarantina di unità alle pendici dell’ultimo colle, staccato di 2’ e mezzo da Luis Leon Sanchez, Peterson, De Weert e dal duo Euskaltel Txurruka – Nieve (questi ultimi rientrati in un secondo momento), unici superstiti di una fuga iniziale che comprendeva anche Marzano, Sprick, Langeveld, Dyachenko, Oroz, Turpin, Willems e Kolobnev. Laddove era lecito prevedere battaglia sin dai primi metri di scalata, i pronosticati attacchi di Rodriguez e Mosquera, obbligati quest’oggi a staccare nettamente Nibali in vista della cronometro di mercoledì, si lasciavano attendere. Frank Schleck ne ha così approfittato per provare di nuovo ad andarsene, seguito da Tom Danielson, e anche il successivo scatto di Carlos Sastre non ha suscitato alcuna belligeranza nei primi della generale, sempre apparentemente soddisfatti di riuscire a mantenere il buon ritmo di un preziosissimo Roman Kreuziger.
Mentre Nieve se ne era definitivamente andato in solitaria già a 8 km dalla conclusione, salutando per ultimo un Luis Leon Sanchez non paragonabile a quello visto al Tour de France, successivamente scavalcato e staccato anche da De Weert, il duo Liquigas controllava così piuttosto agevolmente la situazione, lasciando sperare che anche quest’oggi a Nibali bastasse tenere a bada un eventuale attacco nel finale di Rodriguez. In effetti, non molto di più è stato richiesto al messinese, dal momento che tanto Mosquera quanto il Purito hanno atteso il triangolo rosso per sferrare la tanto attesa offensiva. A sorpresa, però, Vincenzo non soltanto non è riuscito a rispondere alle accelerazioni secche dei padroni di casa, ma ha addirittura perso anche la scia di David Garcia e Nicolas Roche, atleti fino ad oggi mai in reale competizione con il siciliano. La difficoltà di Nibali sarebbe probabilmente sfociata in una vera crisi, se il traguardo fosse stato solo poche centinaia di metri più avanti, alla luce dei 37’’ concessi a Rodriguez in meno di 1 km.
Un distacco che proietta così il leader Katusha nuovamente in testa alla generale, con 33’’ di vantaggio nei confronti del messinese e 53’’ nei confronti di un Mosquera che a questo punto dovrà probabilmente curarsi soprattutto del rientro di Frank Schleck, 2° al traguardo a 1’06’’ da Nieve, e ora 4° in classifica a 1’23’’ dal podio. Roche, Velits e Danielson scavalcano Tondo, attardato di 3’39’’ all’arrivo e scivolato dal 5° all’8° posto in generale, appena davanti a Sastre. Garcia chiude la top 10 davanti all’eroe di giornata, giunto oggi al primo successo nelle sue tre stagioni tra i professionisti.
La Vuelta si fermerà domani per il secondo e ultimo giorno di riposo, alla vigilia dei 46 km contro il tempo di Peñafiel. Una sosta probabilmente molto gradita a Vincenzo Nibali, che dovrà ricaricare le batterie prima del decisivo assalto alla vittoria di questa Vuelta. I 33’’ che lo separano ora dalla vetta della classifica sono per lui facilmente recuperabili, anche se la tappa di oggi costringe ad ipotizzare che la condizione del messinese non sia più quella dei primi giorni. Con l’interminabile ascesa della Bola del Mundo in programma sabato, alla vigilia della passerella madrilena, il siciliano dovrà incamerare un discreto margine nei confronti di Rodriguez e Mosquera, apparsi mediamente superiori, benché non particolarmente costanti, sulle grandi montagne. Difficile quantificare un margine che possa definirsi “di sicurezza” in vista dell’ultimo arrivo in salita. Molto più facile immaginare che in questo momento il nuovo leader si stia mangiando le mani per il poco coraggio: si fosse mosso un paio di chilometri prima, stasera avrebbe probabilmente già in mano una grossa fetta di Vuelta.
Matteo Novarini
15 settembre: circuito di Peñafiel (cronometro individuale)
NIBALI TORNA IN ROSSO, L’AVVERSARIO ORA E’ MOSQUERA
Il siciliano riconquista la maglia rossa di leader nella cronometro di Peñafiel, malgrado una foratura nei primi chilometri, approfittando di una giornataccia di Joaquin Rodriguez, che scivola addirittura al 5° posto in classifica generale. A contendergli la Vuelta resta però un sorprendente Ezequiel Mosquera, che disputa la miglior crono della sua carriera e cede 19’’ soltanto a Nibali. 39’’ ora il distacco tra i due, che si giocheranno il successo finale sabato a La Bola del Mundo, ultimo arrivo in quota. Il successo di tappa va a Peter Velits, davanti a Denis Menchov e Fabian Cancellara.
La maglia rossa è stata riconquistata, l’avversario più quotato – Joaquin Rodriguez – è crollato oltre ogni attesa, ma la Vuelta ancora non è nelle mani di Vincenzo Nibali. All’orizzonte torna a profilarsi infatti il pericolo rappresentato da Ezequiel Mosquera, autore della miglior prova a cronometro della sua lunga carriera, e ora secondo ad appena 39’’ dal siciliano in classifica generale, con ancora la tappa della Bola del Mundo a disposizione per colmare il divario. Un pericolo reso ancora più concreto dal fatto che la riconquista della leadership non ha fugato il dubbio che la condizione di Nibali, straordinaria ad inizio Vuelta, stia andando un po’ scemando, perplessità al contrario rafforzata dal confronto con i risultati degli altri uomini di classifica sui 46 km del tracciato di Peñafiel.
Certo, per valutare la cronometro del messinese sarebbe stato utile poterla comparare con quella degli specialisti, oggi però pesantemente penalizzati da un vento che ha cambiato direzione nel corso della giornata, avvantaggiando nettamente i corridori partiti dalle 16 in avanti. Proprio questi capricci del meteo hanno privato Fabian Cancellara della prima vittoria di tappa in questa Vuelta, vanificando una prestazione che aveva consentito all’elvetico di aspettare i big al traguardo con una trentina di secondi di margine su David Zabriskie. Che le condizioni fossero cambiate lo si era già intuito quando Leif Hoste, grande passista ma non altrettanto forte cronoman, si era collocato in 2a piazza, appena dietro all’elvetico, ed è diventato certezza quando Denis Menchov, 5° a 58’’ da Cancellara all’ultimo intermedio, a 15 km dal traguardo, ha fatto registrare il miglior tempo all’arrivo, abbassando di 25’’ quello fatto registrare dal trionfatore dell’ultima Roubaix.
Con il russo comunque fuori classifica sin dalla seconda settimana, l’attenzione di tutti si è focalizzata sugli ultimi quattro atleti a prendere il via: Frank Schleck, all’attacco del podio dopo l’ottima prova di Cotobello, Ezequiel Mosquera, il meno specialista, destinato sulla carta ad una corsa volta a salvaguardare la terza piazza dall’assalto del lussemburghese, Vincenzo Nibali, il più forte a cronometro tra i quattro, e Joaquin Rodriguez, capoclassifica con il solo obiettivo di tenersi in corsa in vista dell’ultimo arrivo in salita. Previsioni, quelle riassunte, andate sconvolte in almeno tre casi su quattro.
Schleck, apparso in netta crescita negli ultimi giorni, ha offerto una pessima prova da 51° posto, che ha segnato un nettissimo peggioramento rispetto alla buona prova contro il tempo del Tour de Suisse di giugno. Mosquera, messo al riparo dal pericolo lussemburghese dalla cattiva giornata dello stesso Schleck, non si è accontentato di avere virtualmente guadagnato il podio inseguito da una carriera, ma si è prodotto nella cronometro migliore delle sue dodici stagioni da professionista, chiudendo 19°, a soltanto 2’13’’ dal vincitore. Nibali, dopo avere ben reagito ad una foratura nei primi chilometri di gara, aggravata dal panico che ha colto il meccanico, colpevole di aver fatto cadere la bici del leader Liquigas e di avere dimenticato di spingerlo per agevolarne la ripartenza, non ha rispettato le attese negli ultimi due terzi di gara, terminando a 1’54’’, in una modesta 15a posizione. Rodriguez, benché abbia effettivamente pagato una specialità non sua, è andato oltre ogni più nera previsione, lasciando per strada lo sproposito di 6’12’’.
La pessima prova del Purito, pur levando un grosso ostacolo a Vincenzo Nibali lungo la via della conquista del primo GT in carriera, fa però aumentare i rimpianti per un tempo che si pensava potesse essere inferiore, oltre che per una foratura senza la quale, a quest’ora, il siciliano avrebbe una mano e mezza sul successo finale. A questo punto, invece, Nibali dovrà guardarsi dall’attacco di Ezequiel Mosquera lungo la salita più dura di questa Vuelta, quella che porterà agli oltre 2200 metri della Bola del Mundo, al termine di 3 km conclusivi tremendi, con picchi di pendenza che lambiscono il 20%. E se da un lato è vero che i 39’’ di differenza in classifica sono un divario superiore a quanto il galiziano abbia mai inflitto al messinese in queste due settimane e mezzo di gara, è altrettanto vero che nessun arrivo in quota sin qui affrontato è comparabile a quello che gli atleti troveranno sabato prossimo, e che i 20’’ di abbuono al vincitore (uno sproposito nel ciclismo moderno, in cui gran parte delle corse a tappe si vincono con margini non superiori a cinque volte il bonus per il successo parziale) potrebbero essere preziosissimi alleati dello spagnolo.
Mentre i maligni si interrogheranno sul fatto che un quasi 35enne scalatore puro possa mostrare simili miglioramenti nella disciplina a lui meno congeniale con la sola forza dell’applicazione, noi – che maligni non siamo – ci consoliamo pensando che, a meno di cataclismi, nemmeno una giornataccia in stile Cotobello potrà far scendere Nibali al di sotto del 2° posto, dal momento che il 3° in classifica è ormai a 2’. Un terzo che risponde al nome di Peter Velits, senz’altro la vera sorpresa di giornata, capace, grazie ad uno strepitoso finale, di soffiare per appena 12’’ a Menchov una vittoria di tappa che avrebbe reso meno amara la sfortunata partecipazione del russo a questa Vuelta, già compromessa, in ottica classifica generale, dalla caduta con annessa botta al ginocchio delle prime tappe. Più indietro, fra i 3’44’’ di ritardo di Schleck e i 4’13’’ di Sastre, una schiera di 6 corridori (Rodriguez, Tondo, Danielson e Roche quelli nel mezzo) in lotta per la 4a piazza, pronti poi ad approfittare di un eventuale (e non impossibile) débacle dello slovacco per salire sul gradino più basso del podio. Luis Leon Sanchez, 10° a 5’43’’, si è sostanzialmente assicurato l’ultimo posto utile per figurare nella top 10, anche grazie all’incredibile (per il tempismo) guasto meccanico occorso a David Garcia pochi metri dopo la partenza.
In attesa delle ultime montagne, la Vuelta vivrà, a partire da domani, una due giorni di relativo riposo, con due traguardi, a Salamanca e a Toledo, che solamente una fuga da lontano sembra poter strappare ai velocisti. Frazioni che dovrebbero vivere soprattutto sulla lotta Cavendish – Farrar – Bennati per i successi parziali; sempre ammesso che, dopo le dimostrazioni di forza di Cannonball a Lleida e Burgos, sia ancora lecito prevedere una lotta degna di tale nome.
Matteo Novarini
18 settembre: San Martín de Valdeiglesias – Bola del Mundo
NIBALI IN CIMA AL MUNDO
Il corridore della Liquigas resiste alla grande agli attacchi di Ezequiel Mosquera sull’ultimo, temutissimo arrivo in salita della Vuelta 2010, ai 2247 metri di Bola del Mundo, riacciuffandolo sul traguardo, dopo avergli concesso un margine massimo di una quindicina di secondi. 3° al traguardo Joaquin Rodriguez, staccato di 23’’. Peter Velits conserva la 3a posizione in classifica generale, chiudendo 8° a 52’’ dal vincitore.
I 12’’ sorprendentemente guadagnati a Toledo, alla fine, non sono neppure serviti. Per salvare la maglia rossa dagli assalti di Ezequiel Mosquera, a Vincenzo Nibali sono bastate le gambe, evidentemente arrivate a questo finale di Vuelta in condizioni migliori rispetto a quanto avessero fatto intendere il tappone di Cotobello e la cronometro di Peñafiel, e una testa che è indubbiamente quella di un campione, che gli ha consentito di prodursi nella migliore scalata delle tre settimane nell’occasione più importante, su una salita non propriamente fra le più adatte alle sue caratteristiche, a dispetto della pressione derivante dalle non esaltanti prove degli ultimi giorni. Soltanto per un istante Vincenzo ha dato l’impressione di poter cedere a tal punto da mettere a rischio la sua leadership, all’imbocco del tanto temuto tratto in cemento di 3 km e spiccioli che presentava le pendenze più impegnative della scalata, allorché Mosquera, dopo essersi visto raggiungere una prima volta dal siciliano, è riuscito nuovamente a distanziarlo sul primo vero muro, guadagnando rapidamente una decina di secondi di margine. Un divario però sostanzialmente fossilizzatosi fino all’ultimo chilometro di salita, quando il messinese si è addirittura concesso il lusso di prodursi in un’ultima accelerazione, fino ad agganciare il rivale a pochi metri dalla linea bianca. Uno sforzo forse non necessario, ma che ha suggellato nel migliore dei modi un successo lievemente sporcato – peraltro senza nessuna responsabilità da parte del siciliano – solamente dal ritiro del rivale più forte, Igor Anton.
Ad impreziosire ulteriormente la grande prestazione di Nibali ha provveduto poi l’andatura estremamente elevata della giornata, caratterizzata da una numerosissima fuga che ha visto protagonisti Bakelandts, Gilbert, Péraud e Hoste (Omega Pharma), Gallopin (Cofidis), Jerome e Tschopp (Bbox), Cuesta (Cervélo), Cesar (Xacobeo), Hondo (Lampre), Plaza (Caisse d’Epargne), Gusev e Caruso (Katusha) e Toribio (Andalucia). Un drappello al quale il gruppo, trascinato soprattutto dalla Xacobeo di Mosquera, al fine di evitare che eventuali fuggitivi della prima ora potessero fare razzia di abbuoni al traguardo, non ha mai concesso più di 4’ circa, riportandosi a meno di 2’ già ai piedi del Puerto de Navacerrada, lungo le cui rampe i battistrada hanno iniziato a sgretolarsi. Moncoutié, Txurruka, Cherel, Neive e Kolobnev hanno tentato dei poco fortunati contrattacchi lungo la salita, prima che tutti i fuggitivi venissero raggiunti, lungo l’ascesa finale, da un gruppo ormai lanciato verso il testa a testa decisivo della Vuelta 2010.
Sono stati ancora una volta gli uomini Xacobeo a fare l’andatura sull’ultimo colle di questa Vuelta, anche se ad un passo tutt’altro che insostenibile. Ci è voluta un’accelerazione di Frank Schleck a 6 km circa dal traguardo, seguita ad un’effimera azione in coppia di Pujol e Nieve, perché il numero di elementi del plotone scendesse al di sotto della ventina, e soltanto la successiva progressione di Mosquera, con pronta replica di Vincenzo Nibali, ha ridotto la corsa ad un confronto tra i migliori. Al secondo e più deciso affondo del galiziano, il siciliano ha poi deciso di non rispondere immediatamente, proseguendo invece del suo passo per alcune centinaia di metri, prima di rifarsi sotto con una progressione che ha portato al ricongiungimento all’inizio del tratto più selettivo, lasciando indietro tutti gli altri.
Detto in apertura del momento di difficoltà del messinese sul successivo allungo di Mosquera, ci preme rimarcare l’ottima gestione dello sforzo da parte del capitano Liquigas, probabilmente memore degli errori commessi ad Andorra e, in misura minore, a Peña Cabarga. Nibali, superata la fase di appannamento, ha infatti resistito alla tentazione di provare subito a raggiungere un rivale rimasto sempre a vista, conscio del vantaggio in classifica, e del fatto che il 2° posto virtuale avrebbe limitato ad appena 8’’ la differenza di abbuoni. Soltanto all’ultimo chilometro, quando già una lieve rimonta era stata avviata e lo stesso Mosquera era palesemente affaticato, Vincenzo ha accelerato con decisione, arrivando ad affiancare il galiziano a poche decine di metri dallo striscione d’arrivo.
Difficile dire se, a quel punto, sia stata una nuova accelerazione di Mosquera, l’effetto dell’acido lattico su un Nibali provato dalla rimonta o un’indurainiana volontà del siciliano di concedere la tappa al degnissimo rivale di questo finale di Vuelta a fare sì che, alla fine, il galiziano riuscisse comunque a mettere la propria ruota davanti al capoclassifica, guadagnando anche un lievissimo margine, generosamente quantificato dai cronometristi in 1’’. Di certo, Nibali ha così legittimato un successo guadagnato con una costanza di rendimento sicuramente superiore rispetto agli avversari; altrettanto certamente, la strenua resistenza della maglia rossa eviterà perlomeno a Mosquera di dover rimpiangere la colossale dormita di Toledo.
Più indietro, Joaquin Rodriguez è andato a conquistare il 3° posto di tappa e il 4° in classifica generale, distanziando un Frank Schleck, 4° all’arrivo e 5° in graduatoria, che si propone comunque per un grande finale di stagione, avendo chiuso in netto crescendo questa Vuelta. A precedere entrambi, in classifica, l’altro grande trionfatore di giornata, Peter Velits, 8° al traguardo a 52’’ dal vincitore, capace in questo modo di difendere ampiamente la 3a piazza in classifica generale, a 3’02’’ da Nibali. Tondo, Roche, Sastre, Danielson e Luis Leon Sanchez chiudono una top 10 che soltanto dei cataclismi nella passerella da San Sebastian de los Reyes a Madrid, in programma domani, potranno modificare. Una passerella tanto corta (85 km) quanto altimetricamente facile, che non consentirebbe a Mosquera di sopravanzare Nibali neppure vincendo la tappa e conquistando entrambi i traguardi volanti. Un epilogo che, soprattutto, rappresenta l’ultimo ostacolo – ammesso che così sia lecito chiamarla – lungo la via che riporterà la Vuelta in Italia, a vent’anni dal trionfo di Marco Giovannetti.
Matteo Novarini

Lo "Squalo" azzanna le coriacee rampe della Bola del Mundo (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 6: AL MELINDA UNA VITTORIA CON VISTA SU VUELTA E IRIDE
Dopo aver mostrato tutto il suo valore al Giro ora Nibali punta alla convocazione al mondiale australiano e per farsi notare dal neo ct della nazionale italiana Paolo Bettini sceglie di correre la Vuelta dopo il Giro. Una settimana prima del via della corsa spagnola – che come vedremo domani, vincerà con quasi 3 minuti di vantaggio sul secondo classificato – il corridore siciliano si “allena” al Trofeo Melinda e sulle strade trentine porta a casa un altro successo, regolando in volata i compagni d’avventura
LO SQUALO PRENOTA IL MONDIALE
Quando tutto sembrava sorridere a Giovanni Visconti pronto a festeggiare la doppietta al “Melinda”, lo “Squalo dello Stretto” è uscito dall’acqua, ha messo nel mirino il capitano dell’ISD-Neri e ha aperto il gas a manetta. Vincenzo Nibali vince il Trofeo “Melinda” che lo proietta nel migliore dei modi verso una Vuelta che lo dovrà vedere protagonista ma, soprattutto, gli garantisce certamente una maglia azzurra per Melbourne. Dove non dovrà fare la semplice comparsa.
Nella vita ci sono treni che non passano proprio tutti i giorni e quando sai di essere un vincente devi salirci sopra per forza e sperare che quel treno non faccia delle fermate inaspettate. Quando, però, hai la gamba ed il terreno adatto per provare a portare a termine il tuo obiettivo, è difficile che qualcosa vada storto, anche se di fronte hai un avversario (o per meglio dire un amico di allenamenti) determinato e assatanato di successi.
Dopo il terzo posto al Giro ed una buona prestazione al Gran Premio di Camaiore, Vincenzo Nibali piazza la zampata al “Trofeo Melinda-Val di Non” figurando il 19° vincitore di questa classica trentina di mezz’estate che fornisce sempre importanti indicazioni al ct della Nazionale.
E pensare che tutto sembrava pronto per il trionfo di Giovanni Visconti che spianava la salita finale dopo l’affondo del suo compagno di squadra Patrick Sinkewitz in caccia di gloria personale.
Ma, a decidere le sorti di questa gara, è stato proprio il momento del ricongiungimento dei due uomini del ds Scinto: Visconti attraversa un passaggio a vuoto, nel frattempo dietro Nibali prova a rinvenire e quando capisce che il suo corregionale è in crisi apre gas a manetta, lo raggiunge, mette la freccia e lo ritroverà soltanto dopo la linea del traguardo.
Alla fine la benzina per Visconti era proprio finita, tanto che negli ultimi metri ha perso anche il secondo posto a discapito del russo Vladimir Borisov, già campione nazionale russo nel 2007.
“Per me andare alla Vuelta con una vittoria del genere, in una gara così impegnativa, è tutta un’altra cosa – le parole di Nibali – E’ l’ennesimo episodio positivo di una stagione davvero molto importante per me”. E noi saremo ben felici di rivederlo alla Vuelta, magari davanti insieme a tutti gli spagnoli pronti a prendersi la maglia amarillo confidando che un italiano possa tornare a far sognare anche sulle strade iberiche.
Sorride il ct Bettini, che molto si aspettava dal corridore dalla Liquigas. “Ma sono i fatti che parlano per lui – commenta – Basta vederlo in corsa, basta leggere i suoi risultati per capire quale sia l’affidabilità di questo corridore”.
Saverio Melegari

La vittoria di Nibali a Fondo (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 5: IL PRIMO SHOW IN ROSA
Non era al suo primo Giro d’Italia Nibali quando prese il via all’edizione del 2010. Negli anni precedenti era venuto alla corsa rosa per fare apprendistato e aveva terminato 19° nel 2007 e 11° nel 2008, saltando l’appuntamento nel 2009, quando era andato al Tour, dove si era piazzato sesto in classifica. Ora è arrivato il momento di cominciare a pensare ad una futura vittoria, anche se per il 2010 la punta della sua squadra è Ivan Basso: il varesino vincerà quell’edizione del Giro con 1′151″ sullo spagnolo David Arroyo mentre lo “Squalo” salirà sul podio a 2′37″ dal capitano in rosa dopo aver dato sfoggio della sua classe nella discesa dal Monte Grappa. Era la tappa di Asolo, che riviviamo in questo articolo.
STREPITOSO NIBALI, ARROYO IN ROSA
Il siciliano vince per distacco la 14a tappa del Giro, Ferrara – Asolo di 205 km, attaccando nei primi chilometri della discesa del Monte Grappa, su cui era scollinato in compagnia di Basso, Evans e Scarponi, e difendendosi negli ultimi 15 km di pianura. Il terzetto alle sue spalle perde 23’’. 1’34’’ il ritardo di Vinokourov, mentre a 2’25’’ giunge un drappello comprendente Cunego, Sastre, Wiggins e David Arroyo, nuova maglia rosa, con 39’’ di margine sull’ex leader, Richie Porte. In classifica, Sastre primo dei favoriti, a oltre 5’.
Se finora era mancato qualcosa ad un Giro che già aveva vissuto 6 cambi di maglia rosa, una tappa da tregenda (Montalcino), una bagarre tra i favoriti superiore alle attese per le prime 13 tappe, e una fuga in grado di rivoluzionare la classifica, che ancora potrebbe regalare a questa edizione uno dei vincitori più inattesi della storia recente del Giro (L’Aquila), era una grande azione solitaria. Ci ha pensato Vincenzo Nibali ad inscenarla, andandosene tutto solo a 40 km dal traguardo, all’imbocco della discesa del Monte Grappa, dopo che già aveva acceso la miccia nel tratto più impegnativo della salita, per poi difendere i 46’’ accumulati nella picchiata negli ultimi 15 km pianeggianti, riuscendo a difenderne la metà.
Non si può però ridurre alla sola azione di Nibali la prima tappa di alta montagna del Giro 2010, nonché primo vero scontro frontale tra i big sulle grandi salite. Dopo una prima metà di gara sonnacchiosa, animata soltanto dalla lunga fuga di Bonnet, Monier, Bisolti, Cummings, Eibegger e Pozzato, che mai ha dato l’impressione di poter essere coronata dal successo, è stato chiaro sin dai chilometri precedenti l’attacco del Monte Grappa come la Liquigas covasse intenzioni bellicose, allorché gli uomini in verde hanno preso con decisione la testa del gruppo, imboccando le prime rampe ad andature molto decisa. Vanotti, Agnoli e Szmyd hanno rafforzato la convinzione, tenendo alto il ritmo nella prima metà abbondante di ascesa, mentre Bisolti distanziava i compagni di avventura, e per alcuni chilometri riusciva a perdere relativamente poco rispetto al plotone, salvo poi arrendersi nel tratto più impegnativo.
Terminato il notevolissimo lavoro del polacco, capace di ridurre a 16 unità il gruppetto dei migliori, e di mandare ko Garzelli e la maglia rosa, Richie Porte, è stato proprio Nibali a dar fuoco alle polveri, a 7 km circa dal Gran Premio della Montagna. Scarponi è stato il più reattivo nell’accodarsi al messinese, mentre Basso ed Evans, rimasto inizialmente un po’ sorpreso, si sono accodati poche centinaia di metri più tardi. I tre italiani hanno immediatamente trovato un tacito accordo, alternandosi regolarmente al comando del quartetto sino in cima, riuscendo così ad incrementare il margine su Vinokourov, giunto ad un tratto a poche decine di metri dai quattro, ma poi respinto dal nuovo inasprirsi dell’ascesa, e raggiunto anche da Sastre (1’08’’ il loro distacco in cima). Più indietro Cunego (2’ circa), e Arroyo e Wiggins (2’ e mezzo), autore di un timido allungo prima dello scatto di Nibali, mentre Porte pagava già oltre 4’ e mezzo.
Proprio subito dopo la vetta, Nibali ha inscenato un’inattesa offensiva nei chilometri sulla carta più agevoli della discesa. Azione che, complici la strada bagnata e la manciata di metri persa da Evans in vista della cima del Grappa, gli ha consentito di accumulare lentamente un buon gruzzolo di secondi di margine (46) in fondo alla picchiata. Alle spalle dei primi quattro, Vinokourov staccava intanto Sastre, che attendeva prudentemente il drappello di Cunego, Arroyo e Wiggins, ricompattatisi, mentre Porte cercava di salvare la leadership con l’ausilio di Sorensen.
Con ancora 15 km da affrontare dopo la discesa, era tutt’altro che scontato che Nibali riuscisse a portare a termine il suo capolavoro. Il messinese è stato però in grado di mantenere quasi intatto il margine fino ai 5 km conclusivi (41’’ a quel punto il divario), sicché i 18’’ lasciati per strada nel finale hanno avuto peso soltanto ai fini della classifica generale. A testimonianza di come fosse effettivamente la giornata d’oro della Liquigas, Basso ha vinto quello che dovrebbe essere più o meno il primo sprint in carriera, anticipando Scarponi ed Evans, nell’ordine, nella volata per la seconda piazza, incamerando così 12’’ d’abbuono. A 1’34’’ dal vincitore ha tagliato il traguardo Alexander Vinokourov, bravissimo a limitare in solitaria i danni nel finale, mentre Arroyo, giunto a 2’26’’, ha potuto indossare la prima maglia rosa della carriera.
In graduatoria, l’iberico conduce ora con 39’’ su Porte e 2’12’’ su Tondo Volpini, mentre, per trovare il primo grande nome (Sastre), bisogna scendere fino alla 6a posizione, e ad un distacco di 5’27’’. Wiggins lo segue a 6’32’’, incalzato da Nibali (6’51’’), Vinokourov (7’15’’), Evans (7’26’’) e Basso (7’43’’). Un po’ più distante Michele Scarponi (9’03’’), che in salita è parso però, assieme Basso, autore della sgasata in vista del GPM che ha mandato fuori giri il campione del mondo, l’uomo più forte. Sotto tono, rispetto alle attese, Cunego, mai seriamente in condizione di competere con i migliori, e Garzelli, primo dei big a crollare.
Se molto ha detto la frazione odierna, di più dirà probabilmente quella di domani, che porterà la carovana ai 1730 metri dell’ascesa più dura del Giro, il Monte Zoncolan, per la prima volta scalato al termine di una frazione lunga e ricca di difficoltà anche nei chilometri precedenti. Dovessimo azzardare pronostici sulla base di quanto visto sul Grappa, indicheremmo in Scarponi e Basso, come detto, i principali favoriti per il successo parziale, mentre Nibali, pur restando un’opzione più che valida, potrebbe dover fare i conti con i postumi dell’impresa odierna, e in particolare dei 15 km conclusivi contro vento in solitaria (sotto questo aspetto, Basso potrebbe godere di un piccolo vantaggio, essendo giustamente rimasto a ruota nel finale, per proteggere l’azione del compagno). Di certo, i grandi non potranno tergiversare: coloro che avevano tratto vantaggio dalla fuga dell’Aquila hanno accusato la prima grande salita alpina, ma possono ancora amministrare un margine molto cospicuo. Per poter sfilare la Rosa dalle spalle di Arroyo entro Verona, anche domani si dovrà dare battaglia.
Matteo Novarini

Asolo trionfa ad Asolo nella 14a tappa del Giro d'Italia 2010 (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 4: LO SQUALO ALL’ASSALTO DELL’APPENNINO
Nibali comincia pian piano a farsi conoscere e notare. Se aveva concluso la stagione 2008 con una sola vittoria al suo attivo (il Giro del Trentino del quale abbiamo raccontato ieri), il 2009 lo vede imporsi in due prestigiose gare, il Gran Premio Città di Camaiore l’8 agosto e, soprattutto, il Giro dell’Appennino il 24 giugno. Giunta alla sua settantesima edizione, la gloriosa corsa ligure vedrà lo “Squalo” tagliare lo storico traguardo di Pontedecimo con 47″ di vantaggio sugli avversari che più gli erano arrivati vicino.
ONE-SHARK-SHOW: LO SQUALO SI MANGIA L’APPENNINO
Vincenzo Nibali coglie la prima affermazione stagionale andando a dominare in solitaria il Giro dell’Appennino, una delle classiche italiane più impegnative, indorata oltre tutto da una tradizione nobile che la raccorda col mito del ciclismo storico. Dietro si corre per il secondo posto, in un confronto tra corridori di qualità e squadre motivate, benché la lista partenti patisca un po’ il disinteresse straniero.
Or non è molto che sulla Bocchetta, ascesa simbolo del Giro dell’Appennino nonché totem cronometrico per le sfide tra scalatori nostrani, si sono inaugurati i marmi che, aggiungendosi al viso di Coppi (e del patron Ghiglione), vanno a ravvivare la memoria di una corsa con una tradizione che non si sgretola nemmeno di fronte alle assenze dei nomi più pesanti del panorama internazionale. Come ribadisce la bella partenza dal museo dei due Campionissimi presso Novi Ligure.
Già teatro di alternanze al sapore di rivalsa tra i grandi di ogni epoca (Gimondi e Motta, con le vittorie di Zilioli a dieci anni di distanza quale cornice, così come quelle di Moser faranno da transizione verso l’era di Bugno e Chiappucci), terreno di caccia di atleti contraddistinti sempre e comunque da una classe sopraffina (Baronchelli il plurivincitore con sei trionfi consecutivi, ma c’è anche Argentin a dire di una gara che non può essere disdegnata dai cacciatori di classiche…), il Giro dell’Appennino ha confermato anche in tempi recenti la propria attitudine di competizione che si concede ai talentuosi, anche se con palmares in tono minore (Figueras, Nocentini), di gara da rivalità (Simoni e Cunego si alternano tra 2003 e 2005), più in generale di gara in linea ma spietata, massacrante, amica dei fondisti con il passaporto per le tre settimane di corsa (Berzin, Casagrande, Belli, Tonkov i vincitori degli ultimi anni ’90).
Certo, specie in anni a noi vicini l’albo d’oro ha assecondato “battute a vuoto”, con tutto il rispetto per Borgheresi, Zanetti o Bertolini: pur sempre dei duri, dei “cagnacci” nel senso migliore, capaci di incarnare a dovere lo spirito di un’altimetria che anche se non più supportata dai 260km di una volta resta capacissima di fare male.
Questo è lo sfondo, e che sfondo!, sul quale posizionare correttamente la vera e propria impresa da applauso a scena aperta che ci ha regalato oggi Vincenzo Nibali: una gara in cui gli assenti hanno sempre e comunque torto, perché è e resta un tracciato in grado di offrire allori della più pregiata qualità.
In quale categoria metteremo Nibali riguardano il suo nome sul marmo tra dieci anni? Talentuoso che avrà vinto meno di quanto promettesse la sua classe? Specialista delle tre settimane? O “soltanto” testardo esperto di fughe impossibili? Difficile rispondere, meglio allora lustrarsi gli occhi con i fatti di giornata, dimenticando per una volta l’odioso sport da cronisti consistente nell’incaponirsi in pronostici e confronti.
La metà inaugurale della gara, caratterizzata dal primo transito sul passo della Castagnola accompagnato dal Crocefieschi, racconta di una fuga adatta a tali pendenze morbide, animata infatti da due cronomen di spessore, quel Celli che si è piazzato nei 10 nel campionato italiano e Borisov, russo misconosciuto perché corre nella Amore&vita ma capace di numerosi podi nel campionato nazionale contro le lancette. L’azione, promossa dalla Diquigiovanni, ha lo scopo precipuo di alzare il ritmo: nonostante le asperità la media delle prime ore rasenterà i 45km/h.
Nel tratto di interludio prima del secondo terzetto di salite (che vede la Bocchetta “antipasto indigesto” in quanto terz’ultima ascesa, a ben 50km dalla fine) i due davanti vengono ripresi e sostituiti da un’altra evasione, quella di Solari, sempre della Diquigiovanni, con Colli (CarmiOro), grande promessa giovanile dispersasi tra le difficoltà di stringere contratti e un altro solido passista reduce dagli italiani, Biondo (che promette qualcosa di buono anche sul versante Flaminia). Gli ultimi due sono destinati ad essere repentinamente respinti dalla Bocchetta, le cui primissime rampe sorpassano sempre per 2km l’8%, rasentando progressivamente una media del 10%, con frequenti punte in sonora doppia cifra. Solari resiste, e a questo punto ci si attende da un momento all’altro la preparatissima fiondata che proietti innanzi l’uno o l’altro dei titolati alfieri di Savio, Scarponi o Bertagnolli già diplomati dalle vittorie di tappa al Giro.
Anche la CSF si mostra operosa, avendo tra le proprie fila uno scalatore in grado di incendiare le pendenze estreme, ovvero Pozzovivo: ma all’avvicinarsi di Solari, quasi al termine dell’ultimo tratto impegnativo che conclude la prima metà di salita, sono i colori Liquigas ad accendersi in testa al gruppo e un attimo dopo già cento metri avanti, irraggiungibili. Solari viene saltato senza pietà, mentre nessuno appare in grado di reagire, fors’anche per la sproporzione tra i chilometri mancanti al traguardo e la violenza dell’accelerazione.
Lo show di Nibali ammalia anche l’occhio della telecamera RAI (nota di demerito per non aver messo la gara in palinsesto fino all’ultimo minuto, i maligni direbbero in attesa di vedere un vincitore di spessore), e così non ci è dato sapere che cosa accadesse là dietro. Certo è che Vincenzo valica con 50” di vantaggio e si appresta ad affrontare tutto solo un altro paio di ben più pedalabili Gpm, nonché quasi 50km di solitudine interiore, la solitudine del fuggitivo.
Le doti di discesista dello squalo lo sprofondano in un’immersione tutta curve e vortici che gli fa guadagnare quanto la salita, e così il bottino da difendere assomma a 1’40”. Dietro il gioco si fa durissimo perché la Bocchetta è salita che seleziona senza sconti anche se lontana dalla linea: restano solo in nove ad inseguire, dei quali Rizzi (Utensilnord) davvero appeso a un filo, tanto che pagherà la sforzo sparendo a breve dalla gara.
Gli altri sono un esagitato Bertagnolli – è lui quindi il capitano per cui si è dannata la Diquigiovanni –, un redivivo e pimpante Caruso nelle fila della Flaminia (un altro che meriterebbe e assai più di Scarponi di essere riabilitato, perché con OP proprio non c’entrava nulla: ma forse è esattamente per questo che i grandi team hanno preferito emarginarlo?!?), quindi la coppia Miche, Muto e Giunti, Marzano della Lampre – anche lui uscito alla grande dal Delfinato –, Capecchi che tenta di sprigionare il proprio talento ancora inespresso e infine i due CSF, Pozzovivo e Savini. Finita la salita dura sembra quest’ultimo il più brillante, attento nel difendere Pozzovivo per farsi spalleggiare in un arrivo di certo meno adatto al lucano, ma sta di fatto che quando la strada riprende a salire, con modi più da “classica” forse, gli ultimi tre atleti citati svaniscono, per poi rientrare negli ultimi km, quando l’interminabile e “autostradale” discesa dai Giovi riavvicinerà un po’ tutti, complice il vento contro. La classifica dei primi dieci comprenderà i nomi qui citati, con l’aggiunta di un vicinissimo Proni, seguito dallo sparpaglìo di un gruppo lacerato dalle ascese di giornata.
Non c’è niente da fare, però, nei confronti di Vincenzo Nibali, che in tanti chilometri dissipa solo venti secondi del proprio vantaggio, anche a causa dello scarso accordo che regna là dietro. Bertagnolli e Caruso prendono sulle proprie spalle quasi ogni onere, ma evidentemente non possono bruciarsi ogni particella di energia perché sono capitani: è la gestione quindi della Miche e della CSF a lasciare a desiderare, oppure la capacità di quegli stessi capitani nel creare un accordo potenzialmente vantaggioso per tutti.
Con un Nibali così, ad ogni modo, le speranze sarebbero state comunque poche. La maggior parte del distacco svanito all’arrivo (47” il margine finale) se ne va in festeggiamenti, mentre dietro si fa al contrario la volata: volata che premia Bertagnolli, a quanto pare in gran forma, su Marzano, dopo il tentativo fallito di anticipo da parte di un troppo voglioso Caruso.
Nibali ringrazia la squadra, e guarda con fiducia al Tour… come previsto dagli organizzatori (nello scetticismo generale dei commentatori) l’Appennino si pone davvero come un ponte ideale tra un uomo da Giro, Bertagnolli, e uno da Tour, Nibali, con il condimento dei più talentuosi tra gli italiani esclusi e delusi. Con un po’ di cattiveria ci si potrebbe chiedere in che modo la squadra abbia “aiutato” Nibali oggi (a parte l’ovvia copertura nelle prime fasi, e ci mancherebbe altro!): ma forse il messaggio è proprio questo; l’aiuto migliore che a volte si possa ricevere dalla squadra è l’essere lasciato fare. Un po’ l’opposto di quell’ “aiuto” che Nibali è destinato a ricevere al Tour con l’affollamento di seconde e terze punte, una delle quali – anch’essa “marina” nel soprannome – non può non segnalarsi per l’arrembante invadenza. Ma queste sono le situazioni che deve dirimere il management… in bocca al lupo, anzi allo squalo!
Gabriele Bugada

La vittoria di Nibali al Giro dell'Appennino 2009 (foto Bettini)
NIBALI STORY – CAPITOLO 3: LA PRIMA CORSA A TAPPE
Dopo la vittoria nella seconda frazione della Coppi e Bartali 2006 bisogna attendere il 2008 per assistere alla prima affermazione di Nibali in una corsa a tappe, che arriva dopo un 2007 nel quale lo vedremo imporsi nel Gran Premio Industria e Artigianato, nel Giro di Toscana e in due frazioni del Giro di Slovenia (tra le quali quella con l’impegnativo arrivo in salita sul Passo Vršič). Il 24 aprile del 2008 sul traguardo in quota di Folgaria lo “Squalo” sbaraglia la concorrenza staccando di una dozzina di secondi Pellizotti e Simoni e portandosi al vertice della classifica, posizione che confermerà l’indomani nella conclusiva frazione di Peio Terme, vinta da Garzelli. Riviviamo quell’edizione del futuro Tour of the Alps
DA NIBALI UNO SQUILLO AL GIRO, DA GARZELLI DUE CHIAMATE AL TAS
La risposta a chi lo bacchettava per la mancata presenza nelle Ardenne, Vincenzo Nibali l’ha data imponendosi nel Giro del Trentino. Il portacolori della Liquigas si è aggiudicato la breve corsa a tappe dominando sull’arrivo in salita di Folgaria mentre Stefano Garzelli, escluso d’eccellenza del prossimo Giro d’Italia, si è riconsolato aggiudicandosi due successi parziali e concludendo al secondo posto nella generale. Ancora ‘coperto’ Gilberto Simoni. Il resoconto di Saverio Melegari.
Prima vittoria importante in questo 2008 per Vincenzo Nibali. Lo “Squalo dello Stretto” si porta a casa il Giro del Trentino che non vedeva al via il cannibale delle ultime edizioni, vale a dire Damiano Cunego che ha preferito concentrarsi, con discreto successo si può dire, nelle classiche delle Ardenne, lasciando da parte questa breve corsa a tappe che serviva, al Piccolo Principe, a preparare al meglio il Giro d’Italia. Ma, visto che quest’anno il capitano della Lampre ha optato per il Tour, ha preferito salire in Belgio per ottenere soddisfazioni più importanti.
E, allora, si è assistito ad un Giro del Trentino ricco di protagonisti, profondamente rinnovato nel percorso, con una breve crono iniziale, una tappa adatta ai velocisti, e altre due frazioni di montagna, con l’epilogo finale dell’arrivo in salita ai 1397 metri di altezza di Pejo Terme.
I favoriti iniziali erano tre: Vincenzo Nibali, Stefano Garzelli e Gilberto Simoni. Tutti e tre presenti a questa corsa, con motivazioni completamente diverse: il messinese per trovare la gamba buona in vista del 10 Maggio quando si inizierà a fare sul serio; il “Garzo” con una notevole rabbia agonistica in corpo per essersi visto escluso (lui e l’Acqua&Sapone-Caffè Mokambo) da tutte le corse Rcs del 2008, corsa rosa compresa, senza alcuna motivazione da parte di Zomegnan; il vecchio “Gibo” alla prima apparizione importante con la maglia della Serramenti Diquigiovanni e oramai lanciato ad ottenere, ancora una volta, ottimi risultati sulle strade tricolori, anche se la carta d’identità ne segna 36.
Brevemente la cronaca delle quattro tappe:
1°: Arco-Riva del Garda (crono) 9,6km
Frazione influenzata notevolmente dal vento, che condiziona i cronometri dei favoriti e li fa scivolare nelle retrovie della classifica. Ad approfittarne sono coloro che erano partiti di buon ora e si sono ritrovati con un meteo favorevole e così hanno potuto ambire al successo di tappa.
E, a spuntarla, è stato Volodymyr Zagorodny della NGC-Otc Doors che ha impiegato 11 minuti e 8 secondi a coprire il tracciato di questa prima frazione. Alla piazza d’onore, distanziato di due secondi, lo sloveno Jure Golcer del team Lpr, mentre chiude Miholjevic a 6’’, compagno di squadra di Vincenzo Nibali che finisce immediatamente alle sue spalle con nove secondi di ritardo da Zagorodny. Subito quindi una prova incoraggiante per il capitano della Liquigas che deve iniziare anche a gestire la convivenza con il delfino di Bibione, Franco Pellizotti, anche lui presente in Trentino e secondo capitano della neo-squadra di Ivan Basso al prossimo Giro d’Italia. Affermazione importante, comunque, anche per l’ucraino della NGC che trova modo di mettersi in mostra, insieme alla sua piccola squadra che è riuscita ad ottenere una wild card per essere presente al via da Palermo fra due settimane.
2°: Torbole – Torri del Benaco 179,7km
Doveva essere la tappa dedicata ai velocisti e l’ha spuntata uno che allo sprint non è certamente piantato, ma che si difende bene anche in salita. Parliamo di Stefano Garzelli che va ad apporre la propria firma a Torri del Benaco davanti al giovane Mauro Finetto della CSF-Navigare e di Riccardo Chiarini della Lpr.
Per il varesino una vittoria importante, la prima in questo 2008, dopo aver ottenuto, fino a questo punto della stagione, qualcosa come sette secondi posti. Questa seconda frazione è caratterizzata dalla lunga fuga a tre di Krys (Ceramica Flaminia), Agosta (Nippo Endeka) e Vila (Cofidis). Si aspettava selezione, poi, sul Gpm di Costermano, unica asperità di giornata ma, apparte un timido tentativo di Emanuele Sella, tutti sono rimasti in gruppo e allora non c’è stata altra soluzione che lo sprint generale. Garzelli esce ben lanciato dall’ultima curva e non si fa più riprendere, anche perché i veri velocisti (Daniele Bennati su tutti) rimangono un po’ coperti. Nonostante questa seconda frazione sia stata abbastanza tranquilla, c’è il cambio di maglia in vetta alla classifica, visto che il piazzato della crono, lo sloveno Jure Golcer strappa l’effige del primato a Zagorodny.
3°: Torri del Benaco – Folgaria 173km
Inizia a suonare la sinfonia giusta per Vincenzo Nibali che si presenta in solitaria sul traguardo di Folgaria, dopo essersi tolto di ruota la compagnia di Pellizotti e Simoni a sette chilometri dall’arrivo. La tappa finisce a Folgaria paese e non sul Passo Coe come successo nel 2002 al Giro d’Italia quando vinse Pavel Tonkov e indossò la sua prima maglia rosa Paolo Savoldelli.
Solita fuga iniziale, questa volta portata avanti dall’ex campione del mondo under23 a Madrid Grabovskyy (Quick Step) insieme a Rovny (Tinkoff), Ackermann e Roberto Richeze, fratello dei portacolori CSF Mauro e Maximiliano. L’ultimo ad arrendersi è il corridore di Orlando Maini che rimane in testa alla corsa per quasi 150 km. Dietro di lui aveva provato un tentativo, sulle strade di case, il nipote d’arte Leonardo Moser (Diquigiovanni) ma è sfortunato perché cade nella discesa del Gpm di Sommo ed è costretto a ritornare in gruppo. Nei successivi chilometri scatti e controscatti per cercare di avvantaggiarsi per il finale e, fra questi, figura anche Paolo Bettini che prova a farsi vedere.
Sul secondo passaggio sul Gpm di Sommo, però, si decide la gara: tentano l’allungo rispettivamente Garzelli, Di Luca, Pellizotti, ma quello vincente è di Vincenzo Nibali che, ai meno sette, saluta la compagnia e vince a Folgaria in solitario. Per il messinese è il primo successo del 2008.
Con questa sfuriata finale cambia anche la classifica generale, dove è proprio il capitano della Liquigas il nuovo leader con 27’’ su Golcer e 31’’ su Stefano Garzelli.
4°: Folgaria – Pejo Terme 178,5km
Stefano Garzelli ci prende gusto, pianta sull’asfalto tutta la voglia di ciclismo che ha ancora dentro di se e ottiene la seconda vittoria (in quattro tappe) in questo Giro del Trentino. Dopo aver sprintato in pianura a Torri del Benaco sfruttando una giornata un po’ opaca di altri velocisti, questa volta il varesino tiene botta sull’erta finale che porta ai 1397 di Pejo Fonti e trova il bis che fa aumentare ancora di più i rimpianti per lui e per la sua squadra di non poter prender parte al Giro d’Italia che scatterà fra due settimane. Anche quest’ultima frazione è stata movimentata da una lunghissima fuga, partita al chilometro 3 e composta da Leonardo Giordani (Ceramica Flaminia), Salvatore Commesso (Preti Mangimi) e Blain (Cofidis).
I tre vengono lasciati sfogare dal plotone e in breve tempo raggiungono anche i sei minuti di vantaggio massimo. La prima severa asperità di giornata è il Passo della Mendola e la fatica inizia a farsi sentire, anche perché Giordani rimane da solo in testa e, in cima al Passo, il divario è diminuito sensibilmente, salvo riprendere quota durante la discesa per entrare in Val di Sole che ritorna quasi sui tre minuti. Ai meno venti dal traguardo il suo margine ritorna però intorno ai 60 secondi e, proprio in quei momenti, dal gruppo di avvantaggia Gabriele Bosisio che, in due chilometri, riesce a riprendere l’ex campione del mondo under23. All’inizio del tratto duro finale, con il vantaggio scemato sui 25’’, Giordani molla e Bosisio prova a proseguire in solitaria che verrà raggiunto quando mancano 2000 metri al traguardo. Nel gruppo dei migliori la battaglia si fa sempre più serrata e ci provano sia Santo Anzà (Diquigiovanni) che Pozzovivo (CSF-Navigare). Ma Garzelli ha una marcia in più, riesce a lanciare la volata alla perfezione e può alzare di nuovo le braccia al cielo. Dietro di lui la coppia CSF Fortunato Baliani ed Emanuele Sella, con in quarta posizione Mauricio Soler (Barloworld) che, dopo la maglia a pois nel Tour 2007, proverà l’impresa anche nella corsa rosa. In classifica, invece, Vincenzo Nibali rimane davanti e vince senza difficoltà questo Giro del Trentino con 15’’ di vantaggio sullo stesso Garzelli e 31’’ su un bravissimo Domenico Pozzovivo.
Saverio Melegari

La vittoria di Nibali a Folgaria (foto Bettini)

