VALVERDE STORY – CAPITOLO 19: E CON QUESTA FANNO CINQUE!!!!!
Non gli è bastato battere il record di vittorie alla Freccia, vuole di più, punta alla quinta vittoria. E questa regolarmente arriva già l’anno dopo, anche stavolta con un risicato margine sugli avversari. Non è presente Alaphilippe, secondo nel due edizioni precedenti e nel 2017 “appiedato” da un infortunio al ginocchio rimediato al Giro dei Paesi Baschi. Dopo questa Valverde di “frecce” non ne vincerà più, ma c’è un corridore che tranquillamente potrà raggiungere il suo personale record e si tratta proprio di Alaphilippe, che al momento ha all’attivo tra affermazioni alla corsa vallone e, soprattutto, ha un’età più “verde” rispetto a quella nella quale l’Embatido ha ottenuto la sua ultima Freccia.
VALVERDE, POKERISSIMO CON VISTA LIEGI
Quarto successo consecutivo e quinto in carriera alla Freccia Vallone per il fuoriclasse murciano che, dopo il gran lavoro della sua Movistar per tenere sotto controllo gli attaccanti di giornata, scherza con gli avversari sul muro di Huy per poi fare il vuoto negli ultimi 150 metri e imporsi davanti a Daniel Martin e al sorprendente Dylan Teuns, candidandosi nel ruolo di grande favorito anche per la “Doyenne”. In casa Italia arriva il 10° posto di Diego Ulissi e con lui si mettono in evidenza anche Alessandro De Marchi, rimasto al comando prima da solo e poi in compagnia di Bob Jungels, e Gianni Moscon, determinante nell’andare a riprendere il lussemburghese prima della rampa finale.
Dopo un’avvincente Amstel Gold Race che ha visto il successo di un Philippe Gilbert tornato ai fasti di qualche anno fa il Trittico delle Ardenne è proseguito con la Freccia Vallone che – anche alla luce dei forfait del campione belga, per via di un risentimento muscolare che lo costringerà a saltare anche Liegi-Bastogne-Liegi e Giro d’Italia, e di Julien Alaphilippe, secondo nelle ultime due edizioni e fermo ai box per problemi a un ginocchio – aveva un favorito d’obbligo in Alejandro Valverde (Movistar), autore di uno strabordante avvio di stagione e già capace di imporsi in cima al muro di Huy nelle ultime tre edizioni, oltre che in quella del 2006.
Non a caso è stata la formazione guidata da Eusebio Unzué a mantenere cucita la corsa per gran parte dei 204,5 km del percorso, incaricandosi di tenere sotto controllo e poi andare a riprendere la fuga iniziale, che ha visto protagonisti Fabien Doubey (Wanty-Gobert), Yoann Bagot (Cofidis), Nils Politt (Katusha-Alpecin), Romain Guillemois (Direct Énergie), Daniel Pearson (Aqua Blue) e Olivier Pardini (WB Veranclassic), che dopo il primo dei tre passaggi previsti sul muro di Huy è rimasto per un breve tratto solo al comando, e a non dare spazio ai successivi contrattacchi. Un brillante Alessandro De Marchi (BMC) ci ha provato una prima volta sulla Côte d’Ereffe, venendo strettamente marcato da Carlos Betancur, e poi ha fatto il vuoto sulla Côte de Cherave a 35 km dal traguardo, acquisendo una ventina di secondi margine sul resto del gruppo.
A sparigliare le carte ci ha provato la Quick-Step Floors che, rimasta orfana di due dei tre capitani e potendo contare sul solo Daniel Martin, si è portata in testa lungo il secondo passaggio sul muro per lanciare Bob Jungels, che si è rapidamente riportato su De Marchi e, dopo aver percorso un tratto in compagnia del 30enne friulano, lo ha addirittura staccato in un tratto in discesa e ha acquisito fino a 50” di margine. Sembrava che l’azione dell’emergente lussemburghese potesse avere buon gioco, alla luce del fatto che la Movistar era rimasta a corto di uomini e al pari dell’Orica-Scott, che aveva affiancato la compagine iberica nel condurre l’inseguimento, non sembra avere le forze per andarlo a riprendere. Invece, determinante è stato il gran lavoro di Gianni Moscon (Sky) che, dopo aver replicato sulla Côte de Cherave, penultima ascesa di giornata, a un allungo di Rafal Majka (Bora-Hansgrohe), si è portato in testa al gruppo dove pedalavano i suoi capitani di giornata Sergio Henao e Michal Kwiatkowski e ha fatto sì che il vantaggio di Jungels venisse dimezzato ai piedi della rampa finale.
Non c’è stato, dunque, nulla da fare per il battistrada e l’ascesa verso il traguardo si è trasformata in una lunga fase di studio con Valverde che, similmente a quanto fatto negli ultimi anni, ha preso la testa del plotoncino che andava via via sfilacciandosi attendendo le mosse dei suoi avversari, tra i quali si è visto un Diego Ulissi (UAE-Abu Dhabi) finalmente competitivo dopo le ultime non esaltanti uscite. A rompere gli indugi è stato Romain Gaudu (FDJ): a quel punto il fuoriclasse murciano ha preso la ruota del giovane francese e ai -150 metri dal traguardo con irrisoria facilità ha salutato la compagnia, andando a conquistare la sua quinta Freccia Vallone e il decimo successo in una stagione che lo sta vedendo dominante come mai, forse, lo era stato in passato. La piazza d’onore è andata, con una buona rimonta nel finale, a Daniel Martin che in prossimità della linea del traguardo ha avuto la meglio su di un sorprendente Dylan Teuns (BMC), mentre 4° si è piazzato Henao davanti a Michael Albasini (Orica-Scott), che si è confermato dopo il terzo posto dell’Amstel Gold Race, a un buon Warren Barguil (Team Sunweb), a un Kwiatkowski per il quale le pendenze estrema del muro di Huy si sono rivelate un po’ troppo ostiche, al duo della FDJ composto da Rudy Molard e da Gaudu e a un Ulissi che è un po’ calato nell’ultimo tratto ma ha salvato un piazzamento nella top ten mentre l’altro azzurro atteso alla vigilia, Enrico Gasparotto, non ha portato a termine la prova, probabilmente a causa dei postumi della caduta avvenuta all”Amstel. L’attenzione si sposta ora sulla Liegi-Bastogne-Liegi con Valverde che sarà ancora una volta l’uomo da battere dopo i successi conquistati nel 2006, nel 2008 e nel 2015.
Marco Salonna

Per la quinta volta Valverde sconfigge le ostiche pendenze del Muro di Huy, prima ancora che gli avversari, e fa sua la Freccia Vallone (foto Tim de Waele/TDWSport.com)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 18: ED È SUBITO RECORD
La quarta Freccia è un traguardo che nessuno aveva mai raggiunto, ma è un obiettivo che è nelle corde di Valverde. E lo spagnolo non se lo lascia sfuggire nemmeno nel 2016, ancora una volta precedendo in vetta al muro di Huy il francesino Alaphilippe. Per un record che viene abbattuto ce n’è un altro che viene eguagliato: vincendo la Freccia per tre anni consecuitivi emula quanto compiuto negli anni della seconda guerra mondiale dal belga Marcel Kint. Ci sarà una quinta vittoria in futuro? Intanto Valverde comincia a pensare seriamente alla terza doppietta con la Liegi, altro clamoroso obiettivo che però gli sfugge perché alla Doyenne del 2016 si dovrà accontentare del 16° posto, a 12 secondi dall’olandese Wout Poels.
VALVERDE CALA IL POKER SUL MURO DI HUY
Sesto successo stagionale e soprattutto quarto in carriera alla Freccia Vallone per il murciano della Movistar, che controlla i rivali nel primo tratto del durissimo strappo finale per poi fare la differenza negli ultimi 150 metri e imporsi davanti al duo dell’Etixx-QuickStep composto da Julian Alaphilippe, che conferma la piazza d’onore del 2015, e Daniel Martin, che aveva tentato di fare il vuoto a metà del muro. Ottime prove per Enrico Gasparotto, che si conferma dopo l’exploit dell’Amstel Gold Race piazzandosi 5°, e per Diego Ulissi, che chiude 8° mentre delude Joaquim Rodríguez. che attacca in due riprese ma si spegne nel finale non andando oltre il 28° posto.
Dopo il trionfo di Enrico Gasparotto all’Amstel Gold Race il Trittico delle Ardenne è proseguito con l’80a edizione della Freccia Vallone, in cui il friulano della Wanty-Groupe si presentava come corridore di punta per quel che riguarda i colori azzurri al pari di Diego Ulissi (Lampre-Merida) ma i cui i favori del pronostico andavano sulla carta ai due atleti che hanno conquistato il muro de Huy nel 2015, vale a dire Joaquim Rodríguez (Katusha), che si è imposto in occasione del Tour de France davanti a Chris Froome (qui assente) e che ha dato buoni segnali al Giro dei Paesi Baschi, e Alejandro Valverde che ha trionfato nella passata edizione della Freccia oltre che in quelle del 2006 e del 2014 e che, dopo un avvio di stagione a fari spenti (dovuto al fatto che per la prima volta in carriera disputerà il Giro d’Italia con ambizioni d’alta classifica), ha dimostrato grande condizione dominando la Vuelta Castilla y Léon. Accanto a loro al via si sono presentati Julian Alaphilippe e Daniel Martin (Etixx-QuickStep), Michael Albasini e Michael Matthews (Orica-GreenEdge), Luis Léon Sánchez (Astana), Wilco Kelderman (Lotto-Jumbo), la rivelazione dell’Amstel Michael Valgren (Tinkoff), Philippe Gilbert e Samuel Sánchez (Bmc), Rui Costa (Lampre-Merida), Tony Gallopin e Tim Wellens (Lotto Soudal), Daniel Moreno (Movistar) e Wout Poels (Team Sky), divenuto capitano unico dello squadrone britannico che ha sospeso Sergio Henao, brillantissimo al Giro dei Paesi Baschi e pertanto atteso a una prestazione importante, per via di valori anomali nel passaporto biologico.
Come avvenuto ormai ininterrottamente nelle edizioni successive a quella del 2003, quando Igor Astarloa si impose grazie a un’azione da lontano, la corsa si è decisa negli ultimi 1300 metri, in salita con pendenza media del 9,6% e punte oltre il 20%. In ogni caso, anche in precedenza vi sono stati degli spunti interessanti, al di là della consueta lunga fuga da lontano, tenuta sotto controllo pressochè esclusivamente da Movistar e Katusha, che ha visto protagonisti Matteo Bono (Lampre-Merida), ormai un habituè di questo tipo di azioni, Koen Bouwman (Lotto-Jumbo), Silvan Dillier (Bmc), Vegard Stake Laengen (Iam Cycling), Kiel Reijnen (Trek-Segafredo), Tosh Van Der Sande (Lotto Soudal), Sander Helven (Topsport Vlaanderen), Mads Pedersen (Stolting Service), Quentin Pacher (Delko Marseille) e Steve Cummings (Dimension Data), ultimo ad arrendersi dopo essere rimasto dapprima con i soli Bono, Van Der Sande e Dillier e quindi da solo avendo staccato i compagni d’avventura subito dopo il secondo passaggio in vetta al Mur de Huy, posto ai -29 dal traguardo, per poi essere ripreso poco dopo. Tra i big le acque hanno iniziato a muoversi già in quel frangente. Si sono mossi dapprima Bjorn Thurau (Wanty-Groupe) e Rubén Fernández (Movistar), la cui azione è stata di breve durata, quindi addirittura Rodríguez che, spalleggiato dal compagno Jurgen Van den Broeck, ha approfittato di un tratto di falsopiano per tentare di avvantaggiarsi in un plotoncino comprendente anche Poels, Albasini, Giovanni Visconti (Movistar), Laurens De Plus (Etixx-QuickStep) e Mikael Chérel (Ag2r) e infine, sulle rampe della Côte de Cherave, il campione lussemburghese Bob Jungels (Trek-Segafredo) e Ion Izagirre (Movistar). A dire il vero, alla luce della presenza di Valverde nel gruppo inseguitore, la continua presenza di uomini della formazione di Unzue in avanscoperta ha destato qualche perplessità, anche perchè non si sono limitati a rimanere a ruota ma hanno collaborato nelle varie azioni. Tutto questo non ha, comunque, influito sull’andamento della corsa dal momento che gli uomini della Etixx-QuickStep hanno chiuso il gap e ai piedi dell’ascesa conclusiva al muro de Huy si è presentato un gruppo compatto di una sessantina di atleti, comprendente tutti i favoriti della vigilia ad eccezione di un Gilbert che, per l’ennesima volta in questo periodo, si è dimostrato in palese ritardo di condizione, anche a sua scusante va portata la recente frattura ad un dito subita dopo un’aggressione.
Negli ultimi 1300 metri Valverde ha corso da padrone, adottando la stessa strategia di un anno fa: quella di mantenersi sempre nelle primissime posizioni, portandosi in scia a chi tentava di fare la differenza e attendendo il tratto finale per muoversi in prima persona. Dopo una fase iniziale di studio il primo ad attaccare è stato Rodríguez, che però ha ben presto esaurito la benzina tanto che al traguardo terminerà solo 28°, mentre molto più decisa è stata l’azione di Daniel Martin, ma anche l’irlandese nulla ha potuto di fronte all’irresistibile progressione negli ultimi 150 metri di Valverde, che si è involato verso il quarto successo in carriera alla Freccia, impresa che non è riuscita in passato neppure a un certo Eddy Merckx e a due grandi nostri specialisti delle classiche delle Ardenne come Moreno Argentin e Davide Rebellin, tutti fermi a quota tre. Proprio come nel 2015, il solo Alaphilippe, che pure non aveva dimostrato questo stato di forma nelle ultime corse (al di là dell’8° posto alla Freccia del Brabante), ha tentato di contrastare il murciano bissando la piazza d’onore di un anno fa mentre Martin, comunque pericolosissimo in vista della Liegi-Bastogne-Liegi di domenica, ha completato il podio resistendo al ritorno di un Poels che non ha comunque fatto rimpiangere Henao, di un Gasparotto (che ha confermato l’eccellente stato di forma dal momento che le pendenze del muro de Huy sono senz’altro a lui più ostiche rispetto a quelle più dolci del Cauberg sulle quali ha fatto il vuoto all’Amstel Gold Race), del sempreverde Samuel Sánchez, di un Albasini che si conferma presenza fissa nelle zone alte della classifica in questa corsa, di un Ulissi che ha migliorato il 9° posto del 2012, mentre Warren Barguil (Giant-Alpecin) e Rui Costa hanno chiuso la top ten. Tutti questi uomini, a partire da Valverde che difenderà il titolo conquistato un anno fa e che anche nella “Doyenne” si è già imposto per tre volte in carriera, saranno sicuramente davanti anche nella Liegi-Bastogne-Liegi in cui dovranno, però, vedersela anche con i reduci del Giro del Trentino, su tutti i nostri Vincenzo Nibali e Domenico Pozzovivo.
Marco Salonna

Lo spagnolo Valverde si applaude il suo personale record: quarta vittoria alla Freccia Vallone, un primato che finora non aveva stabilito ancora nessun altro corridore (foto Tim de Waele/TDWSport.com)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 17: … E LA TERZA LIEGI VIEN DA SÈ
Quattro giorni dopo la terza Liegi arriva la doppietta con la Liegi-Bastogne-Liegi, un binomio che aveva già portato la firma di Alejandro Valverde nel 2006. Anche in questo caso si tratta della terza vittoria del murciano alla decana delle classiche, che l’Embatido fa sua precedendo in una volata a 10 voci l’astro nascente del ciclismo francese Julian Alaphilippe, mentre l’unico italiano nella top ten è il lucano Domenico Pozzovivo.
VALVERDE, SONO TRE!
Lo spagnolo, già vincitore nel 2006 e nel 2008, coglie il terzo successo alla Liegi-Bastogne-Liegi, bruciando Alaphilippe e Rodriguez in una folta volata. Inutili gli attacchi profusi da Astana e Katusha, quest’ultima capace di portare Dani Moreno a 300 metri dalla vittoria. Al di sotto delle attese la prestazione di Nibali, rimbalzato dopo un breve affondo all’imbocco del Saint-Nicolas. Migliore degli italiani Pozzovivo, ottavo.
Se vincere la Liegi-Bastogne-Liegi è in assoluto un’impresa notevole, vincerla da favorito unico, pedalando per 253 km con un bersaglio sulla schiena, è qualcosa di eccezionale; e proprio di questo è stato capace Alejandro Valverde, al termine di una gara in cui ogni avversario era partito con il preciso intento di non portare il murciano allo sprint. Troppo forte l’ex Embatido, e forse troppo poco creativi i rivali, disabituati ormai a correre all’attacco, perlomeno quando il termine “attacco” indica qualcosa di diverso da una girandola di allunghi senza pretese negli ultimi 20 km. Unica eccezione la Astana di scuola Vinokourov, la cui enorme intraprendenza non è stata tuttavia supportata da altrettanta brillantezza degli interpreti.
Sono stati proprio i kazaki, freschi di conferma della licenza, ad infiammare la corsa, peraltro con largo anticipo sulle più ottimistiche tabelle di marcia: già sullo Stockeu, a quasi 80 km dal traguardo, dopo aver contribuito a ridurre ad un pugno di secondi il vantaggio della fuga della prima ora di Ulissi, Montaguti, Vergaerde, Chevrier, Minnaard, Turgis, Benedetti e Quaade, gli uomini di Nibali hanno mandato in avanscoperta Tanel Kangert, scatenando un florilegio di reazioni forse neppure immaginato. Guidati da Izagirre, infatti, non meno di una ventina di corridori si sono riportati sull’estone, con un’altra decina di elementi a poca distanza, dando per un attimo l’impressione che la corsa potesse impazzire.
Il solito, fatale istante di incertezza – sulla falsa riga di quello che a Ponferrada frenò la possibile maxi-fuga promossa dall’Italia a due terzi di corsa – ha però consentito ad un plotone ad un tratto spaesato di riparare il danno, concedendo via libera soltanto al ben più gestibile quintetto lanciato di lì a poco ancora da Kangert, al quale si sono accodati Chaves, Arredondo, Boaro e Scarponi.
I due Astana, chiamati dalla superiorità numerica a svolgere la maggior parte del lavoro, hanno seminato Boaro e Arredondo già sul Rosier, fino a dilatare il margine sul gruppo ad un massimo di 1’05’’. Con l’avvicinarsi della Redoute, Movistar e Katusha hanno provveduto a riportare il distacco intorno ai 20’’, senza rallentare nemmeno quando una maxi-caduta ai 40 dall’arrivo ha spezzato il plotone ed escluso dalla contesa nomi del calibro di Rolland, Roche, Gerrans (già acciaccato) e – soprattutto – Daniel Martin. Nibali ha evitato miracolosamente di restare coinvolto, frenando all’ultimo centimetro utile; un contrattempo costato qualche secondo – recuperato comunque in pochi chilometri – e forse anche un rinvio del successivo assalto Astana.
Com’è ormai consuetudine, il passaggio sulla Redoute è stato svilito da un gruppo transitato a ritmo di transumanza, che soltanto in cima è stato scosso dal tentativo di Siutsou, durato giusto il tempo necessario ad un primo piano in diretta tv. Scarponi e Chaves, sbarazzatisi di un esausto Kangert ai piedi dell’ascesa simbolo della Doyenne, non hanno potuto comunque resistere più di qualche chilometro ancora, permettendo al gruppo di presentarsi compatto ai piedi della Roche-aux-Faucons.
La salita cara ad Andy Schleck, solito infiammare qui la corsa nei suoi giorni di gloria, si è questa volta dovuta accontentare di assistere all’attacco di due outsider – sia pur di lusso – quali Kreuziger e Caruso, osservati da un gruppo ancora pressoché inerte. Soltanto nel successivo tratto di falsopiano la Astana, dopo aver inutilmente tentato di riportare tutti sotto con uno stracotto Taaramae, ha ridato fiato al suo piano tattico, spedendo Fuglsang in caccia del duo di testa. Con una notevole progressione, il danese è riuscito a trasformare la coppia in un trio, e chissà quale fisionomia avrebbe potuto assumere la corsa se un quintetto di contrattaccanti composto da Rui Costa, Bardet, Visconti, Moreno e Alaphilippe, non avesse mancato l’aggancio per un pugno di metri, prima che il marcamento reciproco portasse al naufragio l’azione.
Grazie ad un superlativo Stybar, i favoriti hanno potuto approcciare il Saint-Nicolas con un distacco di appena una decina di secondi dal terzetto di testa, prontamente azzerati da una progressione dimostrativa di Valverde e da un’ugualmente inefficace azione di Nibali, che in quel frangente produceva tuttavia il massimo sforzo. Henao e Caruso hanno a loro volta provato a scremare i resti del gruppo, riuscendo a far fuori un paio di grossi calibri (Gilbert e Kwiatkowski, oltre a Nibali, successivamente rientrato in vista dell’ultimo chilometro), ma non a promuovere un attacco degno di tale nome.
Caruso (nessuna omonimia: sempre Giampaolo, oggi inossidabile) si è incaricato di portare tutti assieme sotto lo strappo finale di Ans, dove Dani Moreno ha provato a giocare d’anticipo, con Joaquim Rodriguez ad incollarsi alla ruota di Valverde per chiudere il murciano in una tenaglia. Qui, però, Valverde – tante volte deriso con pieno merito per la sua insipienza tattica – ha messo in piedi un capolavoro strategico: anziché chiudere subito su Moreno, esponendosi a probabilissimi scatti in contropiede, ha atteso qualche centinaio di metri, inducendo addirittura a credere che le gambe lo avessero abbandonato sul più bello; soltanto in un secondo momento è arrivata la reazione, e quando Moreno è stato finalmente riassorbito, in vista della curva a sinistra che l’anno scorso costò la gara ad un altro Daniel (Martin), lo spazio per anticipare la volata era ormai esaurito.
Nello scenario per lui ideale, Valverde non ha tradito, mangiandosi facilmente i rivali di Firenze, Rodriguez e Rui Costa – 3° e 4° rispettivamente -, e trovando ancora in Alaphilippe, già secondo mercoledì alla Freccia e settimo all’Amstel, l’avversario più credibile, capace di una piazza d’onore alla Liegi prima dei 23 anni. Kreuziger ha trovato ancora la forza di guadagnarsi un ottimo 5° posto, mentre Pozzovivo provvedeva a piazzare il tricolore italiano in top 10, sia pur con un’ottava piazza che non può soddisfare fino in fondo.
Con il senno di poi, è fin troppo facile immaginare quali accorgimenti tattici da parte degli avversari avrebbero potuto complicare la vita a Valverde, messo davvero sotto pressione soltanto negli ultimi 20 km, e secondo piani strategici di facile lettura. La sensazione di generale mancanza di forze che ha destato la scalata al Saint-Nicolas e la disarmante progressione finale dello spagnolo, tuttavia, autorizzano a credere che i rivali, quest’oggi, potessero soltanto scegliere come farsi battere.
Matteo Novarini

La gioia di Valverde e il disappunto di Alaphilippe all'arrivo di Ans (foto Tim De Waele/TDWSport.com)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 16: NON C’È DUE SENZA TRE, COME KINT, MERCKX, ARGENTIN E REBELLIN
Anche nel 2015 la Freccia Vallone finisce nelle tasche di Alejandro Valverde, in un’edizione affrontata con particolare attesa anche dai corridori che puntano a far bene al Tour de France. Nella stagione in corso è, infatti, prevista una tappa con arrivo sul muro di Huy e al via della classica belga si sono così presentati anche corridori che mai l’avevano affrontata per studiare un finale di gara nel quale anche i big della classifica potrebbero perdere qualcosa dagli avversari. Intanto, zitto zitto l’Embatido scala – oltre alle ripide rampe del muro – anche l’albo d’oro della Freccia iscrivendo il suo nome nel ristretto club dei plurivittoriosi della corsa vallone: tre volte come lui è un’impresa finora siglata solo da corridori come i belgi Eddy Merckx e Marcel Kint e gli italiani Moreno Argentin e Davide Rebellin
VALVERDE DI NUOVO IMPRENDIBILE SUL MURO DI HUY
Tris alla Freccia per il murciano Alejandro Valverde che non delude su uno degli arrivi a lui più congeniali della stagione, quello della Freccia Vallone che, anche quest’anno, si concludeva sul muro di Huy. Sulle sue severe pendenze il capitano della Movistar risulta imprendibile da tutti gli avversari che non possono far altro che vedergli la schiena negli ultimi 200 metri e accontentarsi dei piazzamenti. Il campione del mondo Kwiatkowski che, visti gli ultimi risultati, era legittimamente considerato uno dei superfavoriti è invece stato al di sotto delle aspettative cogliendo un anonimo 33esimo posto.
L’edizione 2015 della Freccia Vallone, una delle classiche più affascinanti e più amate dagli appassionati, ha offerto vari tentativi di attacchi a sorpresa, ma nessuno di questi aveva la struttura necessaria per costituire un pericolo di anticipazione della battaglia sul muro in cima al quale era posto il traguardo.
Numerose le modifiche di percorso rispetto al passato, a partire dalla partenza da Waremme e dagli undici “côtes” da scavalcare, con tre passaggi sul classico muro di Huy che, quest’anno, era preceduto dall’inedita Côte de Cherave. Questa salita rappresenta una novità, inserita con ogni probabilità per due motivi; essa, infatti, verrà affrontata anche nel prossimo Tour de France, proprio nella tappa che si concluderà sul muro di Huy, ma verosimilmente il motivo principale di questa modifica è da ricercare nella volontà di aumentare le emozioni di una corsa che riservava la vera battaglia solo sul muro finale, ove pendenze fino al 20% rendevano la sentenza irrevocabile.
Questa mattina mancava all’appello Lieuwe Westra (Astana), la cui assenza riduceva il campo partenti alle 199 unità che prendevano il via intorno alla 11:30.
La fuga si forma nelle fasi iniziali della corsa, con il perenne attaccante Thomas De Gendt (Lotto Soudal) in compagnia di Pieter Van Speybrouck (Topsport Vlaanderen-Baloise), Jerome Baugnies (Wanty-Groupe Gobert), Reinier Honig (Roompot), Daniele Ratto (UnitedHealthcare), che vengono raggiunti quasi subito da Mike Teunissen (LottoNL-Jumbo) e Brice Feillu (Bretagne Séché). Si forma così un drappello di 7 uomini, con discreti elementi. Il vantaggio massimo degli attaccanti arriva sino agli 8 minuti ma, a quel punto, le squadre dei pretendenti alla vittoria finale iniziano a muoversi per ridurre lo svantaggio. Particolarmente attive in testa sono la Movistar di Valverde e la Katusha di Purito Rodriguez. Sulla Côte de Ballaire si portano in testa gli Sky, imponendo un ritmo molto elevato con diversi corridori, come Cummings, che si trovano a mal partito e con i fuggitivi che vedono il loro vantaggio ridursi drasticamente e cominciano a capire che le speranze di vittoria sono ormai ridotte al lumicino. Del resto, è ben noto che la Sky che tira in testa al gruppo è la più temibile nemica degli attaccanti. Poco dopo lo striscione dei meno 50 si verifica una brutta caduta che costringe al ritiro Philippe Gilbert, che aveva portato casa l’edizione 2011 di questa corsa. In realtà, l’ottimo corridore della BMC ha provato a risalire in bicicletta, ma si è ben presto reso conto di non essere in condizione di portare a termine la prova.
Nei chilometri successivi si verificano altre cadute che tolgono dai giochi altri uomini. Al secondo passaggio sul muro di Huy Baugnies tenta di lasciare la compagnia di Ratto e De Gendt, avvantaggiandosi su di essi di pochi secondi, non sufficienti a permettergli di impostare una azione solitaria ma che hanno come effetto quello di sfilacciare alquanto il terzetto. Anche nel gruppo si registrano segnali di irrequietezza, tanto che Visconti e Luis Leon Sanchez salutato il plotone e si riportano sulla testa della corsa, andando a formare un quintetto composto da elementi estremamente interessanti che ha, però, un vantaggio di soli 25 secondi a venti chilometri dalla conclusione. Sulla Côte d’Ereffe i fuggitivi della prima ora devono cedere, ma dal gruppo escono Tejay van Garderen (BMC) e Louis Vervaeke (Lotto Soudal) che scollinano con pochi secondi dalla testa della corsa. Pochi chilometri dopo, però, l’azione di Van Garderen e Vervaeke viene neutralizzata dal gruppo. Neanche il tempo di riordinare le idee e si verifica l’ennesima caduta in gruppo, che vede anche vittime illustri come Froome. il quale perde contatto definitivamente. Sulla Côte de Chareve, inserita proprio per ravvivare il finale, Vincenzo Nibali, che nelle ultime occasioni aveva cominciato a mostrare segnali di una condizione in crescita, si fa promotore di una azione di avanscoperta alla quale aderisce Roman Kreuziger. I due, però, non riescono ad essere incisivi e il loro tentativo viene neutralizzato prontamente dagli uomini della Etixx, che già da parecchi chilometri avevano preso in mano la situazione. Ai meno 6 anche Visconti e Sanchez sono costretti ad alzare bandiera bianca, ma proprio quando il gruppo si riporta sui due fuggitivi parte in contropiede Tim Wellens (Lotto Soudal). Giampaolo Caruso (Katusha) è l’unico che prova a riportarsi sulla ruota del belga, ma il suo tentativo è infruttuoso e l’italiano si rialza in vista dell’erta finale che Wellens accosta con un vantaggio di 14 secondi, che sembrano non pochi da recuperare in poco più di un chilometro. Le pendenze del muro, però, non perdonano e sulle sue arcigne rampe ci si può piantare da un momento all’altro, tanto che la lepre viene ripresa ai – 600 metri. I grandi, a questo punto, si guardano e si studiano finchè Valverde rompe gli indugi a 200 metri dalla conclusione. Provano a resistere Joaquim Rodriguez (Katusha), Daniel Moreno (Katusha), Julian Alaphilippe (Etixx – QuickStep) e Michael Albasini (Orica GreenEDGE) che in effetti giungono al traguardo con lo stesso tempo del vincitore, ma alle sue spalle.
Valverde bissa il successo dello scorso anno ma, riportando la mente al 2006, conquista per la terza volta questa bellissima classica delle Ardenne che fa da preludio alla Liegi.
Tecnicamente la modifica di percorso e l’inserimento della Côte de Chareve ha invogliato tentativi da parte di uomini di primo piano come Nibali e Kreuziger, ma l’azione non è stata supportata con la dovuta decisione anche perchè promossa da uomini ancora indietro con la preparazione, funzionale ad obbiettivi posto ben più in là nel calendario.
Valverde ha complessivamente meritato la vittoria che, anche se conquistata negli ultimi 200 metri, è stata legittimata da una superiorità sui brevi e ripidi tratti che il murciano non deve certo dimostrare ancora.
Benedetto Ciccarone

Valverde spunta per primo oltre le ripide rampe del muro di Huy (foto Bettini)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 15: VALVERDE SIGNORE IN ROSSO SULLE VERDI CIME
Nell’ultimo decennio della sua carriera, vissuto ad un età alla quale molti corridori appendono la bici al chiodo, Valverde punta tutto sulle classiche ma lascia comunque uno spiraglio aperto anche alla corse a tappe. Non riuscirà più a ripetere l’exploit del 2009, quando si impose alla Vuelta, ma si toglierà comunque ancora belle soddisfazioni salendo in questo periodo per quattro volte sul podio finale alla Vuelta, per una al Tour e per una al Giro, al quale parteciperà per la prima volta in carriera nel 2016. Riuscirà anche a vestire per qualche giorno la maglia rossa di leader della classifica alla corsa spagnola, come fece nel 2014 dopo aver ottenuto sul traguardo delle “Cumbres Verdes” l’unica vittoria di tappa in quell’edizione della Vuelta.
28 agosto 2014 – 6a tappa: Benalmádena – La Zubia (Alto des Cumbres Verdes)
CIME VERDI INEVITABILMENTE A VALVERDE: MA CON CHE ESIBIZIONE!
Sull’alto de Cumbres Verdes bastano tre km per sparpagliare il gruppo e mettere in fila, in tutti i sensi, i migliori. La sorpresa è che tanto la selezione quanto il colpo di fioretto finale portano la firma di uno stesso atleta: il “gregario” Valverde. I reduci del Tour Froome e Contador gli stanno addosso, più opachi “Purito” e Quintana. Bene Aru.
Tappa riduzionista: una sola salita di rilievo nel finale, e pure corta. Una fuga minimalista, a due, che prende il largo: protagonisti ne sono una coppia di cocciuti dell’evasione come Mas Bonet della Caja Rural, pure a caccia di punti per la maglia a pois blu di miglior scalatore, e Pim Ligthart della Lotto. Applausi a entrambi per aver avuto l’ardire di scappare soli nell’ardente campagna andalusa, e specialmente all’olandese, capace di resistere, seppur illusoriamente, all’arrembaggio del gruppo nel primo km dell’ultima salita.
Bravi nell’accumulare il più ampio vantaggio mai raggranellato fin qui da una fuga durante questa Vuelta, però la montagna di minuti verrà sminuzzata in un pulviscolo di secondi da un gruppo che nel finale appare travolgente, sotto la spinta di Garmin prima – per Daniel Martin – e Katusha poi, ovviamente per “Purito”, con la collaborazione dell’Orica che fa pure un pensierino a Chaves. Risultato: un vero tornado, come la tromba di sabbia che saluta il passaggio del gruppo (“in un vortice di polvere gli altri vedevan siccità”…, da “Il Suonatore Jones” di Fabrizio De Andrè). Tendenti all’insignificante anche i primi allunghi dalla testa del gruppo una volta imboccata la salita finale, di Le Mevel prima e Bennett poi.
Veniamo al dunque, allora, e “il dunque” ha nome e cognome: Alejandro Valverde. Il murciano si mette in testa al gruppo e comincia a scandire un ritmo satanico. Diavolo verde! L’azione, intensa e regolare, ricorda quella del Giro dei Paesi Baschi, conclusasi allora con il contropiede beffardo subìto da parte di Contador.
Il gruppo, fino a quel punto piuttosto corposo, inizia a sfaldarsi, a sgretolarsi, a ridursi ai minimi termini. L’opera di gregariato per Quintana appare chiara, ma le centinaia di metri trascorrono, duramente, e non ci sono attacchi. Certo, i crolli non mancano: il lavoro della Garmin (Talansky – pure lui ormai fuori classifica – incluso), svanisce nel nulla di un Daniel Martin in difficoltà su un arrivo in teoria a lui adatto, fino a chiudere con un minuto di distacco… accumulato in un paio di km! Dietro Martin arriva Urán, lontano come tutto il suo team dai fasti del Giro. Evans fa un altro passo verso il ritiro, la grinta nulla può contro l’anagrafe. Van den Broeck allo sbando.
Limiteranno i danni Gesink, Barguil, Pardilla… Ma di fatto alla flamme rouge ci arrivano in testa solo nove atleti: oltre a Balaverde ci sono i quattro massimi pretendenti alla Vuelta, ovvero i due fenomeni convalescenti Contador e Froome, Quintana voglioso di conferme e Joaquim Rodriguez affamato di rivincita. Poi un Dani Navarro anch’egli respinto con violenza dal Tour (sarà una formula vincente per la Vuelta, questa di lasciare il Tour a metà?), e i promettentissimi gioiellini Aru e Chaves.
Una selezione devastante.
Froome che si aggirava a fondo gruppetto mette il naso avanti, ma senza convinzione, Contador sembra titubante, Quintana fermo come una sfinge, ai -700 metri non poteva che partire “Purito”. L’accelerazione è secca, ma non abbastanza: Valverde, proprio lui, chiude. La ruggine tra i due è troppa perché il catalano possa decidere di portarsi al traino il suo passato capitano per poi regalargli tappa e maglia e l’azione sfuma, mentre da dietro si riporta sotto Froome.
Rimangono solo “i magnifici cinque” (Chaves e Aru, nell’ordine, hanno comprensibilmente ceduto alla serie di fiammate) ma Quintana appare, a sorpresa, in difficoltà.
La meta si avvicina, e con essa la sensazione, in tutti, che Valverde sprizzi forza da tutti i pori. Dalla testa del gruppetto, da un posto “da gregario”, lancia ai -200 metri una lunghissima progressione che smonta ogni resistenza. Froome prova a riportarsi sotto da dietro, Contador gli morde la ruota a denti stretti, in un’immagine che ricorda il Delfinato, ma Valverde ha tempo perfino di esultare, concedendo alla coppia di avversari di tagliare il traguardo con il suo stesso tempo.
“Purito” a nemmeno dieci secondi (ma su una cima che sarebbe stata perfetta per lui), Quintana a dodici, Valverde in rosso. Strepitoso.
Vero è che su pendenze siffatte l’effetto della scia è ridotto se non perfino nullo (si saliva a tratti intorno ai 15km/h), il che riduce l’essenza del lavoro di “gregariato” svolto, ma vedere il medesimo corridore fare una selezione secca, chiudere su uno scatto a tutta, riportarsi in testa e prendersi d’autorità la tappa è stato uno spettacolo.
Tappa minima, ma quanta azione in soli tremila metri. E siamo solo all’inizio.
Gabriele Bugada

Valvede trionfa nel primo traguardo di montagna della Vuelta 2014 (foto Bettini)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 14: DALLE CLASSICHE ALLA CLÁSICA
Non ci sono solo Freccia e Liegi nel palmares di Valverde. L’Embatido ha all’attivo anche due edizionI della classica di casa, anzi la “Clásica” per antonomasia, quella che tutti gli anni va in scena subito dopo la conclusione del Tour de France sulle tortuose strade dei Paesi Baschi. È l’unica corsa in linea spagnola inserita nel calendario UCI World Tour, che raggruppa le più importanti competizione ciclistiche professionistiche della stagione: come ricordato il murciano l’ha vinta due volte, espugnando il traguardo di San Sebastián prima nel 2008 e poi nel 2014. Riviviamo quelle due edizioni della corsa iberica prendendo inoltre l’occasione per ricordare ancora un volta Davide Rebellin, che nel 2008 fu tra i protagonisti della gara.
Clásica di San Sebastián 2008
ITALIA-SPAGNA: ATTO PRIMO
A San Sebastian Valverde imprime il suo sigillo a sette giorni dall’appuntamento olimpico, confermando i pronostici. Corsa dura fin dai primi chilometri e ottime impressioni da parte degli azzurri Bettini e Rebellin. Bene anche gli altri nazionali eccetto Cunego che soffre ancora per la caduta al Tour. Domani la partenza per Pechino da Fiumicino.
La storia degli ultimi anni si ripete: quando si tratta di grandi appuntamenti i protagonisti sono immancabilmente gli italiani e gli spagnoli. Così oggi nello scenario della classica di San Sebastian si è assistito al guanto di sfida tra l’asse italo-ispanico con la promessa di regolare i conti tra 7 giorni a Pechino per una posta in gioco, con rispetto parlando nei confronti di questa Classica, molto più prestigiosa.
Alla partenza questa mattina c’erano tutti, la crema del ciclismo internazionale senza distinzione tra corridori specializzati in corse in linea e corridori da corse a tappe. Tutti lì per studiarsi, scrutare ogni sguardo di fatica, ogni smorfia, ogni sorriso. E come se non bastasse, la corsa non ha fatto altro che mirare i riflettori sui big dimenticandosi di gregari e seconde linee. Due scatti nei primi trenta chilometri hanno decretato la trama della gara, una sentenza che escludeva dalle proprie attenzioni chi non era al top della condizione. Quaranta corridori al comando, tutti i favoriti, tutti i convocati nelle rispettive nazionali.
Dietro il gruppo che, orfano delle sue perle più pure, opta per il ritiro; forse per demoralizzazione, forse per l’andatura insostenibile. Il primo nome illustre a rimetterci è Carlos Sastre, troppo stanco per i criterium celebrativi post tour o semplicemente soddisfatto di svettare sui Campi Elisi.
L’alto de Jaizkibel, la solita più dura del percorso, differentemente dagli anni scorsi non è campo di battaglia ma ugualmente emette un duro giudizio: sulle prime rampe l’azzurro Damiano Cunego, reduce, ricordiamo, di una brutta caduta nell’ultima settimana del Tour de France perde definitivamente contatto dal gruppo lasciando il c.t. Ballerini e i sostenitori della squadra azzurra con un grosso punto interrogativo sulla sua presenza come titolare in Cina.
Come si diceva, lo Jaizkibel partorisce soltanto un timido tentativo del russo Kolobnev, subito rintuzzato da una Quick Step compatta (infatti è una delle formazioni insieme a Liquigas e Caisse d’Epargne meglio rappresentate).
La battaglia è semplicemente posticipata all’inedita breve salita dell’alto de Arkale. A dare inizio al banchetto il bielorusso Siutsou, un aperitivo che anticipa la portata più deliziosa. Al convivio infatti non si fanno attendere gli ospiti più nobili, ovvero i tre moschettieri Bettini, Rebellin e Valverde.
Il primo atto del duello Italia-Spagna datato 2008 può avere inizio. Quante volte nel recente passato ciclistico queste due nazioni si sono presentate sulla carta come le dirette avversarie nei pronostici. Una rivalità che ha inizio ad Atene 2004, ghiotto ricordo per noi italiani, che prosegue col Campionato del mondo a Verona sempre nel 2004, questa volta delizia degli spagnoli; senza poi scordare gli appuntamenti di Madrid, dove in casa loro non siamo riusciti a restituire lo sgarbo subìto l’anno precedente, di Salisburgo (ritornano i bei ricordi) e infine Stoccarda (un altro epilogo da sogno per noi). Insomma una guerra, ciclisticamente parlando all’ultimo mondiale e all’ultima Olimpiade. E’ buffo pensare che il grande protagonista, nonché giustiziere italiano sia sempre stato Bettini mentre dall’altra parte le carte nel mazzo erano diverse: Freire, Sanchez, Valverde.
E anche oggi, al di là del contesto due ruote sembrava più una faccenda tra nazionali che tra campioni di team diversi (ammettiamolo che abbiamo ancora sullo stomaco la partita di calcio ai recenti Europei). Stoccate da parte della Spagna e risposte da parte dell’Italia.
Bettini allunga, Valverde risponde insieme a Rebellin. Bettini ci riprova e dietro Contador va fuori combattimento. Valverde affonda Italia risponde.
Samuel Sanchez scollina per primo e promuove un’interessante azione a cinque che fa ben sperare fino al traguardo. Ancora una volta Spagna ( Sanchez e Valverde) contro Italia (Bettini e Rebellin). A fare l’intruso è il francese Moncoutie che, stanco della parte da co-protagonista decide di sua iniziativa di provare ad allungare, certamente non disprezzando la compagnia di un Rebellin in forma straordinaria.
La corrida Caisse d’Epargne non lascia molto spazio e c’è il ricongiungimento ai 4.6km all’arrivo.
Una serie di scatti ancora prima del gran finale: Menchov prima, Popovich e ancora Rebellin poi.
Ultimo chilometro e ultimo tentativo per il francese solitario Moncoutie, questa volta senza compagnia. È volata, è ancora Italia-Spagna, è ancora Bettini-Valverde. La sfida questa volta si risolve per lo spagnolo, troppo lontano per un recupero di Bettini. A separare i “litiganti” Kolobnev. L’Italia fa buon riso a cattivo gioco (tre azzurri nei primi cinque). Valverde vince, la Spagna vince, l’Italia perde la battaglia, è solo l’atto primo, i Giochi devono ancora iniziare.
Chiara Sironi
Clásica di San Sebastián 2014
A SAN SEBASTIAN RISORGE VALVERDE
Il murciano riscatta la delusione del 4° posto al Tour nella corsa basca, andandosene da solo nell’ultima discesa e bissando il successo del 2008. Decisiva la nuova salita di Bordako Tontorra. Piazza d’onore a Mollema, che regola Rodriguez e Nieve in uno sprint a tre. Buone prove di Visconti e De Marchi, attivi sul Jaizkibel e sull’ascesa conclusiva.
Non basterà a cancellare l’amarezza per il mancato podio al Tour de France, ma l’assolo con cui Alejandro Valverde ha messo la firma sulla seconda Clásica San Sebastian in carriera può quantomeno restituire il sorriso al grande sconfitto dell’ultima Grande Boucle, ritirati a parte. Una vittoria figlia della grande condizione lasciata in eredità dal Tour, ma anche di uno di quegli slanci di intraprendenza che di tanto in tanto l’ex Embatido si concede, raccogliendo quasi sempre più di quanto non gli regalino le ormai celeberrime condotte ultra-attendiste.
Certo, l’attacco di Valverde non passerà alla storia come un atto di follia sportiva: rimasto al coperto fino all’ultima scalata, il murciano si è mosso soltanto su sollecitazione di Joaquim Rodriguez, perdendo dopo qualche centinaio di metri la scia del connazionale, ma riacciuffandola giusto in cima, quando un replay degli ultimi Lombardia sembrava ormai imminente. La personalità con la quale il vincitore dell’edizione 2008 ha rinunciato ad aspettare la volata, magari facendosi poi uccellare da un tentativo all’ultimo chilometro, ignorato a favore della solita ricerca di una ruota da succhiare, ha lasciato però spiazzati.
Per la Movistar, formazione tante volte criticata per carenza di audacia, al pari del suo capitano, si è trattato di un successo ampiamente meritato, giacché è stata proprio la squadra di Unzue ad imporsi al comando del gruppo nelle battute iniziali, e ad accendere la corsa già in occasione del secondo ed ultimo passaggio sull’Alto de Jaizkibel. Ormai relegata al ruolo di terzultima salita, ad oltre 50 km dal termine, l’ascesa simbolo della Clásica ha visto entrare in azione Giovanni Visconti, evaso dal gruppo quando in testa, con pochi metri di vantaggio, pedalava David Lopez Garcia, a sua volta scattato poco dopo la neutralizzazione della lunga fuga solitaria di Txurruka, in avanscoperta dall’inizio.
Al siciliano si sono accodati altri due azzurri, Montaguti e De Marchi, e il terzetto non ha avuto difficoltà a riportarsi sul battistrada, scollinando con 14’’ su un neonato trio di contrattaccanti (Bakelants, Losada e Ten Dam) e 26’’ sul plotone.
I due drappelli all’attacco si sono fusi nella susseguente discesa, riuscendo ad accumulare anche un vantaggio massimo superiore ai 40’’, ma l’assenza di uomini Orica e Trek è risultata fatale alle sorti del tentativo. Una coalizione delle due compagini ha infatti vanificato l’azione alle pendici dell’Alto de Arkale, quando Gerrans ha lanciato una decisa ma infruttuosa offensiva di Albasini, raggiunto prima della cima.
Con Gilbert e Sagan saliti in ammiraglia attorno a metà gara, e la nuova ascesa di Bordako Tontorra a pochi chilometri dal traguardo (la classica rampa al 20% che sembra ormai essere obbligatoria in ogni corsa su suolo iberico, benché il risultato sia quasi sempre quello di neutralizzare la gara fino al muro), Purito Rodriguez ha sniffato l’occasione, ordinando ai suoi di mettere in fila il gruppo e riportare nei ranghi Grivko, firmatario di un tentativo senza speranza nella discesa dell’Arkale.
All’imbocco dell’erta finale, è stato in realtà Kolobnev, la seconda punta Katusha, il primo a muoversi, trovando la risposta prima di Albasini, poi di Nieve, infine di un quintetto composto da Slagter, Van Avermaet, Mollema e i soliti Visconti e de Marchi. Il basco della Sky è parso subito il più brillante, riuscendo a prendere il comando solitario della gara a 700 metri circa dall’ultimo scollinamento. Nel tratto più duro, però, è arrivato l’atteso attacco di Purito, seguito all’istante da Valverde. Il murciano – come detto in apertura – ha perso per un istante il treno di Rodriguez, ma l’ultimo sforzo, in vista della vetta, gli è valso il rientro sul catalano e la conquista dei galloni di naturale favorito della gara.
Come i trascorsi non idilliaci tra i due spagnoli lasciavano immaginare, la collaborazione nella coppia di testa non è stata ottimale, tanto da consentire a Simon Yates, Nieve e Mollema di rifarsi sotto, minacciando di scompaginare i piani di Valverde. È stato allora, a 4 km dal termine, che il murciano ha raccolto il coraggio a due mani e ha fatto la sua mossa, cogliendo impreparato Rodriguez, e approfittando di un rallentamento tra gli inseguitori, provocato dalla rovinosa scivolata di Yates.
La superiorità numerica non è bastata agli altri tre a ricucire, e anzi è stato proprio Valverde a guadagnare nel brevissimo tratto pianeggiante finale, potendosi così concedere quell’arrivo in parata al quale aveva dovuto rinunciare nel 2008 (vittoria in volata su Kolobnev e Rebellin).
14’’ dopo l’arrivo del vincitore, Mollema ha regolato Rodriguez e Nieve nello sprint dei più immediati inseguitori, mentre Tony Gallopin è andato a completare la top 5, dopo ulteriori 12’’, anticipando Vanendert e Zubeldia, incredibilmente riuscito anche in una gara di un giorno nel suo marchio di fabbrica: un piazzamento nei 10 senza mai offrire alle telecamere un pretesto per inquadrarlo.
Benché da San Sebastian in avanti, abitualmente, ogni considerazione tenga conto dell’avvicinarsi dell’appuntamento mondiale, la gara odierna sembra aver fornito indicazioni utili soprattutto in chiave Vuelta. In tal senso, è la prova di Joaquim Rodriguez a risultare particolarmente interessante, forse ancor più di quella di un Valverde che sfrutta i benefici del Tour. La condizione di Purito, che alla Grande Boucle ha pagato le ovvie conseguenze della caduta al Giro, appare in costante miglioramento, e il tracciato dell’ultimo GT stagionale si presenta, sulla carta, ideale per esaltare le qualità del catalano. Pur in presenza di Froome e Quintana, la chance di interrompere la catena di piazzamenti sulle tre settimane e cogliere un risultato pieno sembra ghiotta. A 35 anni, forse, sarà anche l’ultima.
Matteo Novarini

La volata vincente di Valverde sul traguardo di San Sebastián nel 2008, quando precedette il russo Kolobnev e Rebellin, che vediamo all’estremità destra della foto (foto Bettini)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 13: FRECCIA VALLONE, ARRIVA LO TSUNAMI VALVERDE
Valverde ritrova il feeling con la Freccia otto anni dopo la sua prima vittoria alla classica vallone e si impone con un leggero margine di vantaggio sugli avversari in vetta all’arcigno muro di Huy. Ancora non potevamo saperlo, ma sarebbe stato l’atto d’apertura di un vero e proprio tsunami murciano che si abbatterà sulla Freccia Vallone per quattro anni filati, spazzando via tutti i record di vittorie in carica.
HUY, C’EST MOI… ALEJANDRO!
Alejandro Valverde fa sua per la seconda volta la Freccia Vallone dopo 8 anni, con una sparata negli ultimi 300 metri alla quale devono arrendersi un redivivo Daniel Martin ed un ancora troppo inesperto Kwiatkowski. Una fuga a tre caratterizza la corsa che si scalda negli ultimi 30 km. “Dani” Moreno e Philippe Gilbert grandi delusi di giornata, mentre per l’Italia si segnala un dignitoso 14° posto di Vincenzo Nibali ed una sfortunata caduta di Damiano Cunego, che lo esclude dalla bagarre finale. Domenica degna conclusione della Settimana delle Ardenne con la 100° edizione della Liegi-Bastogne-Liegi che, in considerazione delle ultime uscite, schiererà sicuramente una nutrita schiera di favoriti.
Dopo l’affermazione nel 2006, Alejandro Valverde vince la 78° edizione della Freccia Vallone grazie ad un scatto giusto al momento giusto sull’ultima delle tre ascese al Muro d’Huy. Dopo aver vinto già in questa stagione la Vuelta a Andalucía, la Vuelta a Murcia e la Roma Maxima, il murciano della Movistar si aggiudica la corsa intermedia della settimana delle Ardenne, iniziata domenica 20 Aprile con l’Amstel Gold Race e che si concluderà domenica 27 con la Liegi Bastogne Liegi, sfruttando nel migliore dei modi il grande lavoro della sua squadra. Nella cronaca della corsa si sviluppava dopo pochi chilometri dal via da Bastogne la fuga di giornata, comprendente Jonathan Clarke (UnitedHealth), Preben Van Hecke (Topsport Vlaanderen) e Ramunas Navardauskas (Garmin), il cui vantaggio non superava mai i 7 minuti, poichè il gruppo controllava il tentativo alternando in testa le squadre degli uomini più attesi. Così, il primo dei tre passaggi sul Muro di Huy, ai meno 86 km dall’arrivo, vedeva un vantaggio già inferiore ai sei minuti. In testa al gruppo faceva l’andatura la Trek in appoggio del capitano Frank Schleck. Le “côtes” da scalare – in totale 11 – rendevano la corsa interessante anche perché erano posizionate nella seconda parte del percorso. Ai meno 50 era la Lampre di Cunego a dare un’ulteriore sferzata in testa al gruppo, che guadagnava in poco tempo oltre un minuto sui tre di testa. Durante l’ascesa verso la Côte de Bousalle, ai meno 47, Clarke alzava bandiera bianca e la fuga si riduceva a sole due unità. Negli ultimi 30 km si concentravano le fasi calde della corsa: era la Movistar ad aumentare il ritmo sulla Côte d’Ahin e a far scendere ulteriormente il vantaggio della coppia di testa, ora a meno di tre minuti dal gruppo. Prima del penultimo passaggio sul Muro di Huy, di nuovo Trek e Lampre si facevano vedere nelle prime posizioni, dando man forte alla Movistar e alla Katusha. Piuttosto passiva, invece, era la BMC di Philippe Gilbert, quasi mai nel vivo della corsa. Attiva anche l’Europcar, che animava proprio il penultimo passaggio sul Muro d’Huy, ai meno 25: prima Rolland e poi Gautier scattavano e quest’ultimo in particolare riusciva a scollinare per primo all’inseguimento di Navardauskas e Van Hecke, distanti ormai non più di una trentina di secondi. Era, però, pronta la reazione, in particolare, di Katusha e Movistar, che mettevano alcuni uomini alle spalle del coraggioso francese, tra i quali Kolobnev, Caruso e Herrada López. Gautier veniva, infine, raggiunto ai meno 20. La Côte d’Ereffe, ai meno 11, dopo che Navardauskas prima e Van Hecke dopo venivano raggiunti, vedeva gli ultimi attacchi in testa al gruppo. Era prima Chris Anker Sørensen (Tinkoff Saxo) e poi Jérémy Roy (FDJ) a tentare rispettivamente l’attacco, ma in entrambi i casi era prima la Katusha e poi l’Orica GreenEDGE a rinvenire sugli attaccanti. A circa tre chilometri dall’arrivo, annullati tutti i tentativi, il gruppo si presentava ormai compatto, composto di una quarantina di atleti, ai piedi del Muro Di Huy. Una caduta metteva, però, fuori gioco Damiano Cunego, che ‘scodava’ più per disattenzioni proprie che per colpa di altri ciclisti, trascinando con sè “Purito Rodríguez (già piuttosto dolorante dopo la caduta nell’Amstel Gold Race), Fränk Schleck e Pieter Weening. La bagarre intanto era iniziata in testa al gruppo, che aveva iniziato la scalata finale al Muro di Huy. Gastauer (AG2R) provava ad anticipare tutti, ma veniva in breve tempo risucchiato dal gruppo. Era allora Bauke Mollema ad imprimere un bel ritmo, mentre il polacco Michal Kwiatkowski era alle sue spalle in rampa di lancio: il suo scatto avveniva, a tutta birra, a 500 metri dall’arrivo ma, come per l’Amstel, il troppo ardore, unito ancora all’inesperienza per questo tipo di finali, tradivano il giovane polacco che veniva raggiunto e superato da un redivivo Daniel Martin. Ma da dietro, con uno scatto ancora più incisivo, era Alejandro Valverde che ai meno 300 metri sverniciava l’irlandese ed andava a trionfare a braccia alzate sotto il traguardo. Chiudevano la top five Bauke Molelma in quarta posizione e Tom-Jelte Slagter in quinta. “Dani” Moreno e Philippe Gilbert, grandi attesi della vigilia, dovevano invece accontentarsi rispettivamente di un anonimo nono e decimo posto. 14mo e primo degli italiani si classificava Vincenzo Nibali, a dimostrazione che il lavoro svolto in altura potrà sicuramente giovargli nella Liegi-Bastogne.Liegi di domenica prossima, corsa che si adatta meglio alle sue caratteristiche e che resta aperta a molte soluzioni. Lo stesso Valverde può a ben vedere essere considerato un favorito, così come Daniel Martin che sembra essere tornato in buone condizioni ed è anche il detentore della ‘Decana’. Appuntamento quindi a domenica 27 Aprile per l’ultimo atto della settimana delle Ardenne, prima che Giro di Romandia e Giro d’Italia calamitino le attenzioni degli appassionati di ciclismo.
Giuseppe Scarfone

Valverde in cima al muro di Huy, a pochi passi dalla sua seconda Freccia Vallone (foto Tim de Waele/TDW Sport)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 12: GLADIATORE PER UN GIORNO DOPO UN 2013 DA DIMENTICARE
Se la Vuelta del 2012 aveva riportato il sorriso sul volto di Valverde, diversamente le cose sarebbero andate nel 2013, che lo vede ancora sconfitto alle classiche alle quali tanto punta. Dopo aver vinto per il secondo anno consecutivo la Vuelta a Andalucía (suo secondo e ultimo successo stagionale), si schiera al via delle tanto attese corse del nord dove colleziona un comunque prestigioso secondo posto all’Amstel, un settimo alla Freccia e un terzo alla Liegi. Fallisce l’obiettivo Tour dopo aver perso quasi nove minuti dai migliori nella tappa di Saint-Amand-Montrond a causa del vento, fatto avvenuto nel momento nel quale era secondo in classifica. Un pochino meglio va alla Vuelta che non lo vede mai vincitore di tappa, ma almeno riesce a salire sul gradino più basso del podio a 1’36” dallo statunitense Chris Horner e terzo concluderà due settimane più tardi anche il mondiale di Firenze, penalizzato dalla lotta fratricida con il connazionale Joaquim Rodríguez, che finirà per favorire la vittoria del portoghese Rui Costa. Bisognerà attendere il 2014 per vedere il murciano cominciare a risalire la china, anche se da quel momento in poi – complice un’età non più verdissima – la sua carriera lo vedrà cogliere più soddisfazioni nelle corse di un giorno. In attesa della Freccia, che da quell’anno monopolizzerà per ben quattro edizioni consecutive, l’Embatido decide di venire a correre in Italia dove, dopo il terzo posto alla Strade Bianche, porta a casa la vittoria all’ombra del Colosseo nella Roma Maxima.
LA VENDETTA MAXIMA DI VALVERDE
Lo spagnolo si aggiudica la vittoria della Roma Maxima con un attacco a 40 chilometro dal traguardo, Quintana lancia il compagno di squadra, Pozzovivo da il colpi di frusta decisivo e poi aiuta lo spagnolo a mantenere il vantaggio pur non avendo speranze in volata. Dopo la mezza delusione di ieri Valverde centra la vittoria in una corsa incerta fino agli ultimi metri
La Roma Maxima ha visto l’attacco vincente di uno degli uomini più attesi, Alejandro Valverde, che non è affatto partito a sorpresa. I Campi di Annibale rappresentavano il punto dove lo stesso Valverde aveva dichiarato di voler provare a dare la svolta alla corsa.
Dopo il deludente terzo posto di ieri in una corsa in cui era il favorito numero uno, lo spagnolo riesce ad aggiudicarsi una corsa adatta alle sue caratteristiche, ma molto incerta per la distanza tra l’ultima salita e l’arrivo di Roma.
Favoriti erano, infatti, uomini con diverse caratteristiche; in caso di arrivo in volata Modolo e Colbrelli apparivano i più quotati, mentre, in caso di crisi dei velocisti in salita, le possibilità si spostavano su Ratto, Gilbert, Pozzato e appunto Valverde.
Il nostro Pozzovivo, invece, è apparso il più brillante in salita, ha contrattaccato nel durissimo tratto finale dei Campi di Annibale, riuscendo anche a staccare Valverde di qualche metro. E’ stata di fatto proprio l’accelerazione di Pozzovivo a creare il buco decisivo in prossimità del GPM, Valverde è riuscito a contenere il distacco in pochi metri e, dopo lo scollinamento, è riuscito agevolmente a riportarsi sullo scalatore Lucano.
Nel finale, abbiamo visto Valverde molto attivo nel tentativo di conservare il vantaggio sul gruppo ma bisogna dire che, contrariamente a quanto si poteva pensare, Pozzovivo ha fatto la sua parte, determinante per la buona riuscita dell’attacco.
La corsa è stata caratterizzata da una fuga partita nei primi chilometri di gara ed esauritasi definitivamente proprio sulle prime rampe della salita dei Campi di Annibale, grazie al lavoro in testa dei Movistar che hanno voluto portare il capitano Valverde in testa alla corsa nel punto prescelto per sferrare l’attacco.
Il primissimo tentativo è stato dell’uomo di casa Pirazzi che, però, non è riuscito a guadagnare più di 11 secondi. Quando il gruppo si riporta sul laziale, cominciano gli scatti in testa finchè non se ne vanno in sette: Thomas Damuseau (Giant Shimano), Matthias Brandle (IAM Cycling), Niccolò Bonifazio (Lampre Merida), Daniel Teklehaymanot e Dennis Van Niekerk (MTN Qhubeka), Ben Gastauer (Ag2r-La Mondiale) e Kiel Rejnen (Unitedhealtchcare). Il gruppo lascia fare e gli attaccanti riescono in breve a conseguire un vantaggio considerevole che arriva a sfiorare i 7 minuti.
Quando mancano ancora poco meno di 150 Km alla conclusione, la Movistar si pone in testa al gruppo ed il vantaggio dei fuggitivi cominicia pian piano a scendere: a 70 Km dall’arrivo è di 3 minuti e mezzo, mentre alcuni atleti perdono contatto dal gruppo.
Nella fase di avvicinamento alla salita di Rocca Priora, i Movistar rallentano leggermente ed il vantaggio dei fuggitivi torna a salire. Tuttavia, nel corso dell’ascesa passano i testa gli uomini della Bardiani che impongono un ritmo altissimo che provoca il crollo del vantaggio dei fuggitivi, fino a farlo scendere sotto il minuto ai 50 dall’arrivo.
Vedendo che il vantaggio è in costante calo, Gastauer tenta di allungare nell’ultimo chilometro della salita verso Rocca Priora; l’accelerazione consente al corridore dell’Ag2r-La Mondiale di guadagnare dapprima qualche metro poi, man mano, sempre di più sugli ormai ex compagni d’avventura. Il tentativo di Gastauer non appare, però, credibile sia in considerazione dell’esiguità del vantaggio sul gruppo, sia per via dei chilometri ancora da percorrere che non favoriscono certa la marcia di un corridore solitario.
Sulle prime rampe della salita dei Campi di Annibale, quando mancano ancora quasi 40 Km all’arrivo, allunga Alejandro Valverde, prima in modo timido poi più deciso ed il gruppo inizia a sfilacciarsi, mentre gli immediati inseguitori di Gastauer vengono ripresi.
Poco dopo il primo tentativo di allungo di Valverde, parte al contrattacco Nairo Quintana cui si accodano immediatamente Pirazzi e Pozzovivo, mentre nel gruppo è piena bagarre; il colombiano della Movistar continua a dettare un ritmo infernale e i velocisti rimangono attardati.
Nel momento in cui battistrada Gastauer viene ripreso riparte Valverde, stavolta con decisione maggiore; alla sua ruota si pone Bongiorno nel ruolo di stopper, dato che non passa mai in testa, mentre si riaccodano anche Anacona e Pozzovivo che, nel tratto diù duro della salita dopo Rocca di Papa, parte deciso e nessuno riesce a stargli a ruota. Alejandro Valverde, con una tattica molto intelligente, non risponde alla rasoiata del forte scalatore Lucano ma, mantenendo un ritmo molto alto, riesce a non farselo sfuggire alla vista e si riporta progressivamente su di lui dopo la fine del tratto duro. Alle spalle della coppia di testa si trovano Anacona, Quintana e Rabottini, a 18 secondi, che vengono presto raggiunti da un altro gruppetto cosicché dietro si forma un gruppetto di dodici uomini a circa 20 secondi: Hoogerland, Quintana, Dupont, Kangert, Nocentini, Anacona, Tschopp, Hermans, Pellizzotti Pardila Rabottini e Bongiorno.
A questo punto, il destino della coppia di testa sembrerebbe segnato poichè mancano oltre trenta chilometri alla conclusione e non sono più previste asperità, eccetto un breve strappo. Dietro inseguono in dodici mentre nella coppia di testa Pozzovivo non sembrerebbe in condizioni di collaborare dato che lo sprint non è decisamente la specialità del lucano. Dietro, tuttavia, non c’è accordo mentre Pozzovivo, seppur in misura minore, fa la sua parte nella fuga tanto che i due uomini di testa incrementano il vantaggio sugli inseguitori. Valverde, per non far calare il ritmo, accenna diverse accelerazioni specialmente su tratti con i sanpietrini. Dal gruppo inseguitore evade Rabottini, che si accorge (in verità troppo tardi) che manca l’accordo nell’inseguimento e guadagna una decina di secondi sui dieci, ma rimane nella sgradevole situazione di trovarsi da solo senza alcuna possibilità di rientrare sui due di testa. Sullo strappo dei Cappuccini Quintana appare in difficoltà e perde contatto, Bongiorno evade dal gruppetto degli inseguitori ma l’avanscoperta dura poco e al termine del tratto più ripido della discesa la coppia di testa ha ancora un buon vantaggio. I chilometri che mancano favoriscono certamente gli inseguitori, dato che si tratta di 18 chilometri in falsopiano a scendere sino al traguardo.
Ai 15 al traguardo, su una accelerazione degli insegutori Pellizzotti rimane letteralmente sulle gambe a causa di un attacco di crampi, cerca di sciogliere i muscoli ma per lui non c’è nulla da fare e perde irrimedibilmente contatto.
A 8 Km dall’arrivo, la situazione sembra decisa: davanti ci sono Valverde e Pozzovivo con oltre trenta secondi di vantaggio su Rabottini, che è restato a “bagnomaria”, e oltre 50 sul gruppo degli inseguitori. Quando mancano 6 chilometri al traguardo si verifica un colpo di scena poichè un gruppo molto nutrito con diversi velocisti si riporta sui dieci inseguitori di Rabottini e della coppia di testa e, grazie all’arrivo dei rinforzi, il gruppo inizia un recupero vertiginoso: si riporta immediatamente su Rabottini e nel giro di un paio di chilometri dimezza il passivo dalla coppia di testa. Ai 1500 metri prova a uscire dal gruppo Samuel Sánchez ma il suo tentativo viene neutralizzato quasi subito. Dopo il triangolo rosso dell’ultimo chilometro Valverde e Pozzovivo iniziano a studiarsi mentre il gruppo rinviene fortissimo. Negli ultimi metri Valverde lancia la volata appena in tempo per impedire il ritorno del gruppo che, proprio sulla linea del traguardo, assorbe Pozzovivo che conclude in quinta posizione. Il secondo posto se lo aggiudica Daide Apollonio davanti a Sonny Colbrelli che continua la splendida serie di piazzamenti ai quali ora manca solo la vittoria.
La tattica di Valverde è stata perfetta, ha prima provato un allungo per saggiare la resistenza degli avversari e quindi ha lanciato Quintana, che ha fatto un forcing davvero efficace per spianare la strada ad un ulteriore contrattacco di Valverde. Il murciano poi ha gestito alla perfezione la reazione all’attacco di Pozzovivo, non ha risposto colpo su colpo ma non si è lasciato sfuggire il contatto visivo, in modo da raggiungere Pozzovivo senza difficoltà alla fine del tratto duro e, contemporaneamente, conseguire un distacco rispetto agli altri avversari.
Pozzovivo, invece, ha adottato una tecnica discutibile aiutando, seppur timidamente, un corridore contro il quale non aveva alcuna possibilità allo sprint e senza che vi fossero ulteriori asperità sulle quali tentare di staccarlo. Il rammarico è ancora maggiore se si considera che secondo si è piazzato Apollonio, compagno di squadra di Pozzovivo.
La Roma Maxima 2014 è stata ricca di emozioni, incerta sino agli ultimi metri, con un ottimo attacco a lunga gittata il cui protagonista ha saputo costruire, chilometro dopo chilometro, le basi del successo anche in una situazione iniziale che non sembrava lasciare grandi speranze.
Valverde riscatta così la sconfitta di ieri e si propone quale protagonista di rilievo della stagione.
Quintana ha imposto un ritmo infernale per poi lanciare il contrattacco di Valverde ma ha probabilmente pagato lo sforzo e si è staccato successivamente.
In ogni caso, lo stato di forma del colombiano si vedrà nel corso della Tirreno-Adriatico, che inizierà nei prossimi giorni priva di un assoluto protagonista come Froome, vittima di un problema alla schiena. Al suo posto correrà Porte che avrebbe dovuto, invece, partecipare alla Parigi – Nizza.
Benedetto Ciccarone

Valverde affronta in testa uno dei tratti più ostici della Roma Maxima (foto Bettini)
VALVERDE STORY – CAPITOLO 11: QUATTRO SOSPIRI DI SOLLIEVO ALLA VUELTA
Alle classiche valloni non aveva brillato, al Tour aveva sofferto su tutti i fronti, la sospensione per due anni gli aveva provocato una serie depressione. Sono tutti problemi che angosciano Valverde, che si schiera al via della Vuelta del 2012 con tanti dubbi e una domanda: “Tornerò quello di prima?”. Solo la strada darà una risposta e sarà una risposta che riporterà il sorriso sul volto del murciano: non vincerà la corsa di casa, ma porterà a casa un secondo posto che fa ben sperare, un piazzamento che sa tanto di sospiro di sollievo, condito dalle tre vittorie conseguite, due sui Pirenei e una “collettiva” nella cronometro a squadra d’apertura. Alla fine solo 1’16” lo separeranno dal vincitore, il connazionale Alberto Contador.
18 agosto – 1a tappa: cronometro a squadre di Pamplona (16.5 Km)
LO SPIRITO DI MIGUELON FA VOLARE LA MOVISTAR
La formazione iberica, erede della Banesto con cui Indurain ha colto tutti i suoi maggiori successi, si impone a sorpresa nella cronosquadre di Pamplona, terra natale del campione navarro, infliggendo 10” a Omega-QuickStep, Rabobank e Bmc con Castroviejo che indossa la prima maglia rossa della Vuelta. Nelle prime posizioni anche la Sky di Froome e la Saxo Bank-Tinkoff di Contador, sfortunatissimo Gasparotto costretto al ritiro per una frattura alla clavicola.
Si è aperta con una cronometro a squadre di 16,5 km in quel di Pamplona, città nota per le corride ma soprattutto per essere la terra natale di Miguel Indurain, la 67a edizione di una Vuelta a España che strizza più che mai l’occhio agli scalatori con i suoi ben 10 arrivi all’insù, molti dei quali presentano pendenze ben oltre la doppia cifra, a fronte dei soli 39,4 km di cronometro individuale in quel di Pontevedra che vanno ad aggiungersi a quelli della frazione inaugurale. Favorito d’obbligo è l’attesissimo Alberto Contador (Saxo Bank-Tinkoff), apparso già in grande condizione all’Eneco Tour e più che mai motivato a lasciarsi alle spalle la squalifica per il caso clenbuterolo, che torna a disputare la Vuelta dopo essersi imposto nel 2008; il fuoriclasse di Pinto dovrà vedersela principalmente con i connazionali Juan Josè Cobo (Movistar), affiancato da Alejandro Valverde che all’ultimo istante ha sciolto le riserve sulla sua partecipazione, Joaquin Rodriguez (Katusha), battuto per un soffio da Hesjedal al Giro d’Italia e supportato da due gregari di lusso come Denis Menchov già due volte sul gradino più alto del podio di Madrid e Daniel Moreno, e Igor Anton (Euskaltel) che in questa stagione ha saltato sia la corsa rosa che il Tour proprio per arrivare al top nella gara a tappe iberica: tra gli stranieri il più accreditato è Chris Froome (Sky), al suo primo grande Giro da capitano dopo che alla Grande Boucle e alla Vuelta di un anno fa entrambe chiuse al secondo posto pur lavorando per Bradley Wiggins, seguito da Juergen Van den Broeck (Lotto-Belisol), ai piedi del podio all’ultimo Tour, e dal duo Rabobank composto da Robert Gesink e Bauke Mollema, a caccia di rivincite dopo le cadute che li hanno costretti ad abbandonare la corsa transalpina. Curiosità anche per la piccola ma agguerrita pattuglia colombiana composta da Nairo Quintana (Movistar), Rigoberto Uran e Sergio Henao (Sky), Walter Anacona (Lampre) e Cayetano Sarmiento (Liquigas) mentre l’Italia si presenta senza grandi frecce al proprio arco per quanto riguarda la lotta per la classifica generale, con Paolo Tiralongo (Astana), Eros Capecchi (Liquigas) e il campione nazionale a cronometro Dario Cataldo (Omega-QuickStep) che tenteranno un difficile ingresso nella top ten mentre Damiano Cunego (Lampre) dovrebbe puntare ai successi di tappa e ad affinare la preparazione per i Mondiali, similmente al 2009 quando si impose sugli arrivi in salita di Alto de Aitana e Sierra de la Pandera. Obiettivi analoghi a quelli del veronese avranno anche Philippe Gilbert e Alessandro Ballan (Bmc), Enrico Gasparotto (Astana), Lars Boom e Matti Breschel (Rabobank) e Tony Martin (Omega-QuickStep) mentre le poche frazioni che si concluderanno allo sprint vedranno protagonisti Assan Bazayev (Astana), Nacer Bouhanni (Fdj), Koldo Fernandez (Garmin), Allan Davis (Orica-GreenEdge), Ben Swift (Sky), John Degenkolb (Argos-Shimano) e i nostri Elia Viviani (Liquigas) e Daniele Bennati (RadioShack).
Un po’ per l’assenza di formazioni infarcite di superspecialisti del tic tac e un po’ per via di un percorso molto tecnico e con un impegnativo finale in leggera salita verso la suggestiva Plaza de Toros la cronosquadre si prestava a diverse possibili soluzioni, e a spuntarla piuttosto a sorpresa è stata la Movistar che ha fatto valere la sua compattezza pur avendo nel solo Castroviejo un atleta in grado di farsi valere nelle prove contro il tempo individuali; proprio il 25enne basco ha tagliato per primo il traguardo conquistando così la prima maglia rossa mentre un campanello d’allarme è suonato per Cobo che nel finale ha perso le ruote dei compagni di squadra chiudendo con un distacco di 4”. La formazione di Unzue ha fatto il vuoto dietro di sè mentre per le posizioni di rincalzo si è avuto un grandissimo equilibrio con soli 5” a separare il secondo dall’ottavo posto: la piazza d’onore con un ritardo di 10” dalla Movistar è andata all’Omega-QuickStep che trascinata da Tony Martin ha preceduto per questione di centesimi una Rabobank al di sopra delle aspettative e la Bmc di un brillante Gilbert, immediatamente seguite dal Team Sky di Froome e dall’ottima Lotto-Belisol di Van den Broeck a 12”, dalla Saxo Bank-Tinkoff di Contador a 14” e dalla Katusha di Rodriguez, che come sempre in questa stagione ha reso più di quanto non dica la somma dei valori individuali dei singoli corridori, a 15”; anche l’Euskaltel di Anton, tradizionalmente cenerentola in questo tipo di prove, si è difesa al meglio concludendo al 9° posto con un ritardo di 28”. Grande delusione di giornata la RadioShack, 17a a 55” e preceduta anche dalle nostre Liquigas e Lampre rispettivamente 14a e 16a a 41 e 54”, mentre una caduta di quattro corridori nelle prime fase di gara ha relegato la Garmin, una delle favorite della vigilia, al penultimo posto a 1′27” davanti alla sola Caja Rural: chi ha avuto purtroppo la peggio è stato Enrico Gasparotto, finito a sua volta in terra riportando la frattura alla clavicola che l’ha costretto ad abbandonare la corsa e con ogni probabilità anche a dare forfait in un Mondiale in cui avrebbe potuto dire la sua alla luce del successo dell’Amstel Gold Race in cima al Cauberg, la stessa salita che caratterizza il circuito di Valkenburg. La prima tappa in linea, 181,4 km da Pamplona a Viana, è dedicata ai velocisti ma nei giorni successivi sarà già tempo di montagne con i due consecutivi arrivi in salita di Eibar Arrate e Valdezcaray.
Marco Salonna
20 agosto – 3a tappa: Faustino V – Eibar (Arrate)
A EIBAR E’ SUBITO BATTAGLIA: TAPPA E MAGLIA A VALVERDE
Entrano subito in scena i grossi calibri nel primo arrivo in salita della Vuelta, con Valverde a dar fuoco alle polveri e Alberto Contador ad animare la scalata con una raffica di scatti. All’arrivo si presentano i due spagnoli in compagnia del connazionale Rodriguez e di Chris Froome, con l’Embatido che prevale al fotofinish su Purito. Ottima prova, fra gli italiani, di Eros Capecchi, 7° a 6’’ dal vincitore.
In piacevole controtendenza con il Giro d’Italia e il Tour de France di quest’anno, è bastato attendere il terzo giorno e la prima vera salita per assistere ad un testa a testa tra i favoriti della Vuelta 2012: sulla salita di Eibar, appuntamento fisso del Giro dei Paesi Baschi, è stato Alejandro Valverde ad accendere la miccia a 5 km dal traguardo, salvo poi cedere il proscenio ad un Alberto Contador assetato di rivincita ma forse ancora privo dello smalto dei giorni migliori.
Raramente, infatti, è capitato di vedere tre corridori resistere a ben cinque sparate del madrileno, sia pure prodotte su un’ascesa ripida ma non atroce, e soprattutto dal chilometraggio contenuto (talvolta aiutate però da una moto riprese compiacente). Con il progredire dell’ascesa, è stata netta la sensazione che il pistolero continuasse nelle sue progressioni più con la forza dei nervi e delle motivazioni che con quella delle gambe, sufficiente a levare ogni volta di ruota i comprimari, ma mai tali da mettere in difficoltà lo stesso Embatido e Rodriguez, sempre incollati alla sua ruota, o Chris Froome, che ha preferito non replicare ai cambi di ritmo più bruschi, rientrando sempre con più calma.
La condizione di Contador dovrebbe solo migliorare strada facendo, e non è dunque da escludere che di qui a qualche giorno possano tornare a bastare un paio di scatti per dissuadere dalla replica anche gli avversari più ostici; per il momento, tuttavia, proprio Valverde ha destato l’impressione migliore, dando a tratti – soprattutto nella sezione finale della scalata – l’impressione di aspettare e controllare gli allunghi del vincitore dell’edizione 2008 nonché uomo da battere, installandosi poi in testa al quartetto formatosi al comando – sei volte avvantaggiatosi e cinque volte raggiunto – nel tratto di pianura e discesa finale.
Con Froome tagliato fuori dalle scarse doti di velocista e Contador sfiancato dalla raffica infinita di allunghi (ne abbiamo contati cinque in salita, più uno per chiudere su Valverde e due successivi allo scollinamento), il murciano doveva guardarsi di fatto dal solo Joaquim Rodriguez, sempre sulla difensiva ma mai apparso in affanno nel corso dell’ascesa. Pur marcato a vista, Purito aveva però trovato il varco giusto per infilare l’uomo Movistar, infilandosi all’interno in una curva a destra a 400 metri circa dal traguardo, approfittando poi del toboga finale per frustrare i propositi di rimonta dell’avversario. A vittoria ormai quasi acquisita, JRo ha però compiuto un harakiri ciclistico, smettendo di pedalare ad una cinquantina di metri dal traguardo, forse confidando nella pendenza favorevole, ma senza premurarsi di controllare la posizione di Valverde, che ha invece avuto il merito di provarci fino in fondo. Soprassedendo anche sul colpo di reni, Purito, ancora in vantaggio fino ad un nonnulla dalla linea bianca, ha definitivamente gettato la vittoria alle ortiche, da cui Valverde ha saputo raccoglierla e allegarla alla maglia rossa ormai certa.
Forte dell’ottima performance della Movistar nella cronosquadre inaugurale, Alejandro sfoggerà infatti domani le insegne del primato, in una classifica che ha già assunto una fisionomia quasi da ultima settimana, quantomeno nei nomi di testa. I tre che hanno accompagnato il neo-leader al traguardo occupano infatti la terza, quarta e quinta posizione, con ritardi che vanno dai 18’’ di JRo ai 24’’ Contador, passando per i 20’’ di Froome. A fare da cuscinetto tra sé e i rivali più accreditati, il capoclassifica trova Intxausti, oggi giunto 8°, in mezzo al gruppetto che ha ceduto solo all’ultimo allungo dei più forti.
Fra questi atleti, staccati di 6’’, oltre a Moreno, Mollema, Talansky, Gesink, Roche, Anton, Anacona e Uran, anche un ottimo Eros Capecchi, nettamente il migliore degli italiani. Pessimo, invece, il responso del primo test per Damiano Cunego, appena 37° a 1’28’’ dal vincitore, si spera solo in virtù della scelta di uscire immediatamente di classifica per puntare a successi parziali.
Sempre in ottica Mondiale, vale la pena di segnalare l’inserimento in fuga di Philippe Gilbert, che insieme a Riblon, Carrasco, Zeits, Sijmens, Rollin, Irizar e Ligthart ha dato vita all’azione che ha caratterizzato la tappa dalla prima ora, neutralizzata dal lavoro di Movistar, Sky, Saxo Bank e Omega Pharma poco prima dell’imbocco dell’ascesa finale. Dopo la prova di oggi, tuttavia, vale forse la pena di aggiungere anche il nome di Alejandro Valverde al lotto dei più seri pretendenti alla maglia iridata di Valkenburg.
Matteo Novarini
26 agosto – 9a tappa: Lleida – Andorra (Collada de la Gallina)
VALVERDE, ALTRA VITTORIA ALL’ULTIMO RESPIRO
Dopo aver attaccato per primo, a 3 km dal traguardo, il murciano della Movistar conquista il secondo successo di tappa in questa Vuelta, compiendo insieme a Joaquim Rodriguez una clamorosa rimonta ai danni di Alberto Contador negli ultimi 300 metri. Purito rafforza la leadership, rifilando 15’’ più l’abbuono per il 2° posto ad un Chris Froome molto attivo, ma in netta difficoltà nell’ultimo chilometro.
La Vuelta più bella della storia recente non si smentisce neppure nel quarto arrivo in salita nei primi otto giorni, in vetta alla breve ma ostica Collada de la Gallina. Per la terza volta, il finale si è risolto in un testa a testa fra i quattro pretendenti alla maglia rossa finale, sufficientemente forti e vicini da far dimenticare il non esaltante livello del contorno. A sorridere, come ad Eibar, sono stati soprattutto Alejandro Valverde, vittorioso come in terra basca, e Joaquim Rodriguez, secondo, stavolta senza rimpianti, al termine di una tappa che gli consente finalmente di prendere un minimo di margine sul più diretto inseguitore. Delusi, invece, Chris Froome e Alberto Contador, con quest’ultimo a trarre comunque le indicazioni più confortanti dopo l’allarmante controprestazione di Jaca, dove l’inglese aveva al contrario fornito prova di una brillantezza oggi venuta meno.
Come già nelle due occasioni cui si è accennato, i fantastici quattro si sono contesi, oltre a secondi chiave in ottica maglia rossa, anche il successo parziale, andando a raggiungere negli ultimi e più selettivi duemila metri di scalata Cameron Meyer, ultimo superstite di una fuga della prima ora che comprendeva anche Ramirez, Moinard, Buffaz, Aramendia e Keizer.
Malgrado il dispiegamento di forze del Team Sky, principale quando non unico promotore dell’inseguimento già ben prima dell’imbocco della salita finale, approcciata con il coltello fra i denti dai soliti Uran e Henao, è stato Valverde ad accendere la battaglia, sotto lo striscione dei tre chilometri al traguardo. Il cambio di ritmo è stato abbastanza violento da dissuadere tutti da una replica immediata, ma sono bastate poche centinaia di metri a Froome per riportare sotto Rodriguez, Contador e Moreno, malgrado il murciano della Movistar avesse trovato per qualche istante un gregario improvvisato nell’ex battistrada Ramirez.
Proprio il britannico, dopo qualche istante di studio, ha allungato in prima persona ad un paio di chilometri dal termine, trovando una resistenza convincente da parte del solo Contador. Il madrileno, però, ha rifiutato qualsiasi richiesta di collaborazione, malgrado sia Valverde sia il capoclassifica apparissero decisamente in affanno, costretti a mettersi al traino di Moreno per provare a rifarsi sotto. Vanificato così il vantaggio acquisito, gli stessi Froome e Contador sono stati costretti a replicare ad un affondo di Purito, prima che il leader Sky provasse una seconda volta poco dopo il triangolo rosso, stavolta con esito ben più modesto.
Forse proprio la minor incisività dell’accelerazione del nativo di Nairobi ha indotto Alberto – sino a quel momento insolitamente passivo – a provarci in prima persona, a 700 metri dalla linea bianca. Rodriguez e Valverde hanno ancora una volta delegato la risposta ad un Froome però chiaramente in riserva; soltanto a 300 metri dal traguardo i due spagnoli hanno realizzato che stavolta avrebbero dovuto far tutto da soli, quando il pur secco cambio di passo di JRo pareva ormai fuori tempo massimo. Sul più bello, tuttavia, per il battistrada si è improvvisamente spenta la luce, proprio mentre Valverde rilanciava ulteriormente l’andatura, scavalcava Rodriguez e andava in caccia del leader. Contador era ancora al comando all’ultimo tornante, ad una cinquantina di metri scarsi dallo striscione; nulla, in condizioni normali, ma la rampa di garage in cima alla quale era piazzato l’arrivo li ha resi sufficienti per consentire il sorpasso ai suoi danni tanto dell’Embatido quanto di Purito.
Costretto ad accontentarsi del terzo gradino del podio e a rinviare il ritorno alla vittoria dopo lo stop, l’uomo Saxo Bank potrà consolarsi con la riconquista dell’ideale scettro di favorito della corsa, per qualche giorno passato (non a detta tutti, per la verità) nelle mani di Froome: l’inglese ha infatti accusato qualcosa come 15’’ negli ultimi 300 metri, scivolando a 33’’ da Rodriguez in classifica generale, e conservandone appena sette e diciassette, rispettivamente, su Contador e Valverde, i più in difficoltà a Jaca.
Se i primi quattro restano comunque raccolti in meno di un minuto, e i rapporti di forza continuano a mutare da un giorno all’altro, non accenna invece a diminuire il gap fra questi e il resto del gruppo, anche oggi ben più evidente di quanto non dicano i 23’’ accusati da un comunque ottimo Moreno e i sei corridori giunti fra i 33 e i 44 secondi di distacco. Gesink continua ad occupare la piazza alle spalle dei papabili vincitori in classifica generale, attardato di 1’51’’, ma la sensazione è che l’olandese, mai in crisi ma sempre lontano dal dare l’idea di potersela giocare con i primi, sia destinato ad un piazzamento in top 10 – forse in top 5 – all’insegna dell’anonimato. Meglio allora i più altalenanti Moreno e Roche, 6° e 7°, non abbastanza continui ma capaci saltuariamente di dire la loro.
Si avvicinano intanto alla soglia ideale della 10a posizione Eros Capecchi, che già vi sarebbe ampiamente dentro senza la caduta di martedì, e un sorprendente Rinaldo Nocentini, oggi migliore degli italiani con un 13° posto a 1’02’’, 4’’ meglio dell’umbro della Liquigas. Molto allarmante, invece, l’ennesima prestazione incolore (aggettivo oggi eufemistico) di Damiano Cunego, 141° ad oltre 16’, a meno di un mese dal Mondiale di Valkenburg.
Matteo Novarini

Valverde alza le braccia dopo la vittoriosa rimonta sulla Collada de la Gallina (foto AFP)
DAVIDE REBELLIN, RICORDO DI UN TIFOSO
Abbiamo chiesto ad un nostro ex collaboratore tifoso di Rebellin, Francesco Gandoldi, di scrivere un ricordo del corridore veneto tragicamente scomparso alcuni giorni or sono. Ve lo proponiamo come ultimo omaggio a Davide.
Quando si piange ogni ricordo è una lacrima.
Sto completando una prova di chimica, è la primavera della mia quarta superiore. Sento un sibilo, la ruota della mia carrozzina si è forata. Interrompo il compito e torno a casa.
Durante il viaggio di rientro sono spento, atterrito. Ma penso solo al pomeriggio. Almeno c’è la Freccia Vallone, dico, anche se è impossibile che vinca.
Negli ultimi 300 metri del Muro di Huy il “vecchio” però c’è ancora e inizia con garbo quella progressione potente che, sugli strappi più arcigni, lo rendono tremendo.
Vince Rebellin e con lui vinco un po’ anch’io. È la sua terza Freccia Vallone, ha quasi 38 anni. È l’aprile 2009.
Ho conosciuto Davide nel dicembre 2010 grazie a ilciclismo.it. Mi telefonò poco prima di Natale, facendomi gli auguri. Avevo 18 anni: fu un brivido al cuore!
Per me lui era la tenacia irriducibile, il coraggio del riscatto, la resistenza alle fatiche, la severità nella preparazione, la sapienza nel dominare lo sforzo, la vocazione nella professione.
Vederlo gareggiare mi spronava a non cedere, a imitarlo nel non mollare mai la presa prima del traguardo.
Ricordo che era impaziente di riprendere l’attività, avvertivo la grinta e la fiducia per il nuovo anno, dopo due interminabili e strazianti stagioni di sosta forzata dalle corse.
Dopo qualche altra chiamata al telefono ho potuto conoscerlo meglio su Facebook, dove ci siamo scritti in varie occasioni. Sempre aperto al dialogo e generoso, anche con un semplice appassionato come me. Non l’ho mai sentito rancoroso verso il proprio mondo, non una parola animata da spirito vendicativo, nonostante il cieco ostracismo che lo aveva colpito dopo la sospensione del 2009 pesasse cupo sul suo animo. Ma Davide si era allenato a non abbattersi e a rilanciare. Sono arrivate così alcune tra le vittorie più preziose, perché maggiormente sofferte e volute: la Tre Valli Varesine a pochi mesi dal rientro alle competizioni nel 2011, premiato sul palco dal maestro Alfredo Martini, quindi tre anni più tardi il Giro dell’Emilia, dove ha saputo domare per l’ultima volta il suo San Luca, quindi l’anno successivo la Coppa Agostoni davanti ad un Nibali arrembante e al massimo della condizione.
Sempre tramite Facebook ho avuto l’occasione di incontrare sua moglie, una persona gentile e delicata, che lo supportava con passione e dedizione assoluta in ogni sua iniziativa e unita a lui anche nell’amore profondo verso gli animali.
Negli ultimi anni, da quando non sono più iscritto ai social, non avevamo più avuto contatti.
Posso dire che lui era l’atleta, colui che sa vincere il dolore. E riusciva a trasmettere questa forza eccezionale, fisica e mentale, a chi ne seguiva la carriera e la vita.
Mi diceva che in corsa la mente vale quanto le gambe. Sapendo del mio handicap questo era uno stimolo caloroso e discreto a potenziare al massimo i punti di forza e a non farsi troppo condizionare dai propri limiti.
Mi scriveva che per lui la vita da ciclista non era un sacrificio ma una gioia. Mi riferiva: meglio secondo che terzo, meglio arrivare ultimo che ritirarsi. Bisogna portare prima onore alla squadra e poi pensare a se stessi. Insegnamenti veri, che valgono sempre.
Ero in seconda media, nel 2005, quando iniziò a trapelare la notizia di un suo possibile ritiro dalle competizioni. Ha smesso di competere quest’anno, quando sto per laurearmi per la seconda volta.
Durante gli ultimi 15 anni di carriera è stato considerato vecchio. Sempre dagli altri, però.
Mi raccontava di avere lo stesso attaccamento per il ciclismo di quando aveva debuttato nel 1992, anzi forse ancora di più, perché “oggi so come bisogna correre” e perciò “ho imparato a divertirmi, senza pressioni”.
Nessuno comprendeva quanto Davide che l’agonismo non è un fatto sportivo, un dato anagrafico, ma uno stato d’animo.
L’agonismo è il debito che ognuno paga al destino.
Francesco Gandolfi


