DAVIDE REBELLIN, RICORDO DI UN TIFOSO
Abbiamo chiesto ad un nostro ex collaboratore tifoso di Rebellin, Francesco Gandoldi, di scrivere un ricordo del corridore veneto tragicamente scomparso alcuni giorni or sono. Ve lo proponiamo come ultimo omaggio a Davide.
Quando si piange ogni ricordo è una lacrima.
Sto completando una prova di chimica, è la primavera della mia quarta superiore. Sento un sibilo, la ruota della mia carrozzina si è forata. Interrompo il compito e torno a casa.
Durante il viaggio di rientro sono spento, atterrito. Ma penso solo al pomeriggio. Almeno c’è la Freccia Vallone, dico, anche se è impossibile che vinca.
Negli ultimi 300 metri del Muro di Huy il “vecchio” però c’è ancora e inizia con garbo quella progressione potente che, sugli strappi più arcigni, lo rendono tremendo.
Vince Rebellin e con lui vinco un po’ anch’io. È la sua terza Freccia Vallone, ha quasi 38 anni. È l’aprile 2009.
Ho conosciuto Davide nel dicembre 2010 grazie a ilciclismo.it. Mi telefonò poco prima di Natale, facendomi gli auguri. Avevo 18 anni: fu un brivido al cuore!
Per me lui era la tenacia irriducibile, il coraggio del riscatto, la resistenza alle fatiche, la severità nella preparazione, la sapienza nel dominare lo sforzo, la vocazione nella professione.
Vederlo gareggiare mi spronava a non cedere, a imitarlo nel non mollare mai la presa prima del traguardo.
Ricordo che era impaziente di riprendere l’attività, avvertivo la grinta e la fiducia per il nuovo anno, dopo due interminabili e strazianti stagioni di sosta forzata dalle corse.
Dopo qualche altra chiamata al telefono ho potuto conoscerlo meglio su Facebook, dove ci siamo scritti in varie occasioni. Sempre aperto al dialogo e generoso, anche con un semplice appassionato come me. Non l’ho mai sentito rancoroso verso il proprio mondo, non una parola animata da spirito vendicativo, nonostante il cieco ostracismo che lo aveva colpito dopo la sospensione del 2009 pesasse cupo sul suo animo. Ma Davide si era allenato a non abbattersi e a rilanciare. Sono arrivate così alcune tra le vittorie più preziose, perché maggiormente sofferte e volute: la Tre Valli Varesine a pochi mesi dal rientro alle competizioni nel 2011, premiato sul palco dal maestro Alfredo Martini, quindi tre anni più tardi il Giro dell’Emilia, dove ha saputo domare per l’ultima volta il suo San Luca, quindi l’anno successivo la Coppa Agostoni davanti ad un Nibali arrembante e al massimo della condizione.
Sempre tramite Facebook ho avuto l’occasione di incontrare sua moglie, una persona gentile e delicata, che lo supportava con passione e dedizione assoluta in ogni sua iniziativa e unita a lui anche nell’amore profondo verso gli animali.
Negli ultimi anni, da quando non sono più iscritto ai social, non avevamo più avuto contatti.
Posso dire che lui era l’atleta, colui che sa vincere il dolore. E riusciva a trasmettere questa forza eccezionale, fisica e mentale, a chi ne seguiva la carriera e la vita.
Mi diceva che in corsa la mente vale quanto le gambe. Sapendo del mio handicap questo era uno stimolo caloroso e discreto a potenziare al massimo i punti di forza e a non farsi troppo condizionare dai propri limiti.
Mi scriveva che per lui la vita da ciclista non era un sacrificio ma una gioia. Mi riferiva: meglio secondo che terzo, meglio arrivare ultimo che ritirarsi. Bisogna portare prima onore alla squadra e poi pensare a se stessi. Insegnamenti veri, che valgono sempre.
Ero in seconda media, nel 2005, quando iniziò a trapelare la notizia di un suo possibile ritiro dalle competizioni. Ha smesso di competere quest’anno, quando sto per laurearmi per la seconda volta.
Durante gli ultimi 15 anni di carriera è stato considerato vecchio. Sempre dagli altri, però.
Mi raccontava di avere lo stesso attaccamento per il ciclismo di quando aveva debuttato nel 1992, anzi forse ancora di più, perché “oggi so come bisogna correre” e perciò “ho imparato a divertirmi, senza pressioni”.
Nessuno comprendeva quanto Davide che l’agonismo non è un fatto sportivo, un dato anagrafico, ma uno stato d’animo.
L’agonismo è il debito che ognuno paga al destino.
Francesco Gandolfi