BATTI UN CINQUE – 1974, IL QUINTO TOUR DI MERCKX
Nel 1974 Eddy Merckx comincia lentamente a imboccare la parabola discendente della sua carriera, anche se già negli anni precedenti aveva incominciato a mostrare piccoli segnali di cedimento. Vince il Giro ma con grande fatica e per appena 12 secondi. Molto meglio gli va al Tour perché il secondo classificato termina a poco più di 8 minuti da lui: quello è il vantaggio più basso fatto registrare dal belga nei suoi cinque vittoriosi Tour, anche se Merckx anche in quest’occasione è riuscito a fare valere una marcia decisamente superiore a quella degli avversari.
Il Giro più bello e appassionante del dopoguerra.
Così i giornalisti dipinsero l’edizione della Corsa Rosa terminata il 9 giugno a Milano, vinta per la quinta volta in carriera da Eddy Merckx. Ma stavolta il belga aveva faticato come non mai e il ricordo dei patimenti del Tour del 1971 al confronto sembrav impallidire. Nella cronometro di Forte dei Marmi si era visto il solito Merckx ma sulle numerose e difficili salite disseminate lungo il percorso da Torriani le aveva sempre prese, prima dallo spagnolo Josè Manuel Fuente sui monti Faito, Carpegna e Generoso, poi dal giovane neoprofessionista Gianbattista Baronchelli nella tappa di Sanremo, pure sul Generoso e soprattutto sulle Tre Cime di Lavaredo. All’ultimo chilometro dell’impennata dolomitica aveva virtualmente perduto la maglia rosa e sarà soltanto facendo ricorso all’orgoglio che riuscirà a raschiare il fondo del suo serbatoio d’energie e trovare la forza di salvare il suo Giro, anche se per soli 12 secondi, il secondo minor distacco fra primo e secondo della storia del Corsa Rosa.
Ci sono appena 18 giorni tra la fine del Giro e l’inizio del Tour e molti cominciano a pregustare un altro grande spettacolo, alla luce di quanto successo in Italia, anche perché Merckx potrebbe non avere recuperato, pur essendo ancora considerato come il principale favorito per la vittoria finale. Si fregano le mani e cominciano ad affinare le armi i rivali del belga, a cominciare dai corridori di casa Cyrille Guimard, Bernard Thévenet e Raymond Poulidor; anche il belga Lucien Van Impe punta a mettere in difficoltà il connazionale mentre la “bestia nera” di Merckx al Tour, lo spagnolo Luis Ocaña, non potrà difendere il titolo di vincitore della corsa conseguito nel 1973 (l’anno prima il cannibale aveva puntato sulla doppietta Vuelta-Giro, riuscendo a far sue entrambe le corse) perchè una frattura al gomito rimediata al Tour de l’Aude gli impedisce di essere al via. Nonostante ciò i corridori spagnoli saranno ugualmente grandi protagonisti, in particolare con il galiziano Vicente López Carril e il sorprendente cantabrico Gonzalo Aja, rivelazione della corsa. Assente per infortunio è anche l’olandese Joop Zoetemelk (frattura cranica al Midi-Libre), mentre l’Italia schiera dieci corridori, i più illustri dei quali sono Wladimiro Panizza e il futuro vincitore del Giro Fausto Bertoglio.
L’inizio è subito nel segno del cannibale perché Merckx vince il cronoprologo di Brest percorrendo i primi 7 Km del Tour 1974 in poco meno di 9 minuti, alla media di 47.828 Km/h. Sei sono i secondi che lo separano dallo spagnolo Jesús Manzaneque (fratello di quel Fernando che al Tour di dieci anni prima era stato protagonista di una memorabile scazzottata con Vito Taccone), mentre a otto secondi si piazza il suo compagno di squadra Joseph Bruyère. Scendendo lungo il primo ordine d’arrivo s’incontrano Thévenet a 23”, Bertoglio a 28”, Aja e Poulidor a 33”, Panizza a 34”, López Carril a 38”, Van Impe a 40” e Guimard a 48”.
Il giorno successivo il belga si lancia anche alla caccia degli abbuoni, riuscendo anche a mettersi in tasca una dozzina di secondi in bonificazioni che però non gli consentiranno di tenersi sulle spalle la maglia gialla. A sera a vestire le insegne del primato è, infatti, il suo luogotenente Bruyère, accodatosi alla fuga intrapresa dal connazionale Herman Van Springel e da Ercole Gualazzini, che s’impone sul traguardo di Saint-Pol-de-Léon conquistando quella che sarà l’unica vittoria italiana in questa edizione del Tour. Il gruppo con Merckx conclude con 22” secondi di ritardo e di 16” è il vantaggio con il quale Bruyère si ritrova in testa alla classifica, precedendo il proprio capitano.
L’indomani è previsto uno storico sconfinamento perché mai il Tour aveva fatto scalo nel Regno Unito, raggiunto con un breve volo aereo sopra la Manica. Disputata la facile tappa di Plymouth – terminata con il successo allo sprint del 22enne olandese Henk Poppe (è il più giovane tra i corridori in gara) e caratterizzata da una brutta caduta di Guimard, giunto al traguardo con più di sei minuti di ritardo – la carovana della Grande Boucle fa velocemente ritorno in patria per un’altra frazione destinata alle ruote veloci, diretta a Saint-Malo, dove s’impone il belga Patrick Sercu. Qui si assiste a una volata da brividi per colpa di un operatore della televisione francese, che sporgendosi troppo colpisce il francese Régis Delépine, il quale cade trascinando a terra altri cinque corridori, tra i quali il belga Cees Priem – che riporta la frattura del bacino – e lo sfortunato Guimard.
Intanto, grazie agli abbuoni in palio ai traguardi volanti, Merckx sta riducendo sempre più le distanze da Bruyère. Dopo la tappa di Plymouth aveva 10” secondi da recuperare, diventati solo due a Saint-Malo prima del “sorpasso” avvenuto nella tappa di Caen, nuovamente conquistata dal connazionale Sercu davanti agli olandesi Gerben Karstens e Albertus Hulzebosch, entrambi successivamente retrocessi, il primo per non essersi presentato al controllo antipoding (con consuente penalizzazione di 10 minuti) e il secondo per una scorrettezza allo sprint. E così Merckx, che come cannibale non conosce mai crisi (ma forse gli bruciano ancora i dodici secondi del Giro e vuole premunirsi), s’è ripreso il simbolo del comando con 4” su Bruyère e 18” su Sercu.
Il mattino successivo, però, la giuria si rimangia la decisione presa su Karstens, che non era riuscito a raggiungere il luogo del controllo antidoping per una colpa non sua, reinserendo al suo posto dell’ordine d’arrivo e annullando la penalizzazione di 10 minuti, decisione che lo riporta al secondo posto della classifica con due secondi ritardo da Merckx. Il gap a sera sarà colmato sul traguardo di Dieppe, dove il belga Ronny De Witte anticipa di nove secondi la volata del gruppo (ancora regolato da Sercu) e Karstens riesce grazie agli abbuoni a portarsi al vertice della classifica con lo stesso distacco che aveva al mattino da Merckx, ma a ruoli invertiti.
Si arriva in Belgio, dove il “cannibale” ha in programma di riprendersi la maglia gialla, ma non sarà lui il belga a vestirla perché sul traguardo di Harelbeke, dove s’impone il francese Jean-Luc Molinéris, Karstens viene raggiunto in vetta alla classifica da Sercu, con i due corridori classificati con il medesimo tempo e la maglia assegnata al secondo in virtù dei migliori piazzamenti conseguiti nei giorni precedenti. La stessa situazione si verifica nel pomeriggio perché, dopo la semitappa a cronometro a squadre, Merckx e Karstens si ritrovano paritempo al comando e stavolta la miglior classifica a punti premia l’olandese. A consolazione Merckx può guardare soddisfatto al tempo guadagnato sui principali avversari nella cronosquadre, vinta dalla Molteni, perché ora si ritrova ad avere 1’13” su Thévenet, 1’20” su Aja, 1’22” su Poulidor, 1’23” su Panizza, 1’26” su López Carril e 1’29” su Van Impe, mentre tra i favoriti della vigilia Guimard, 99° a 7’29”, è l’unico a vedere compromesse le possibilità di competere per la vittoria finale.
Una foratura, il giorno dopo, permette a Merckx di mettere nuovamente le mani sulla maglia gialla, indumento che nessun altro gli porterà via da qui a Parigi. Succede tutto a poche centinaia di metri dal traguardo di Châlons-sur-Marne (l’odierna Châlons-en-Champagne) quando il tubolare di Karstens improvvisamente si affloscia mentre il belga è già lanciato verso la volata, che conquista dopo aver racimolato sei secondi di abbuono a uno sprint intermedio. Ora, grazie anche alla bonificazione di venti secondi spettante al vincitore, si ritrova nuovamente in prima posizione, con Sercu secondo a 7” e lo sfortunato olandese terzo a 18”.
Guimard, che già nelle volate di Caen e Dieppe aveva fatto capire d’essersi immediatamente ripreso dal doppio capitombolo dei giorni precedenti piazzandosi rispettivamente quarto e terzo, va a segno nella semitappa di Chaumont, seguita da una seconda frazione diretta a Besançon dove coglie la vittoria Sercu, protagonista sfortunato al mattino per una caduta avvenuta subito prima dell’arrivo.
Si arriva così alle Alpi, introdotte da una tappa di media montagna che si conclude a Gaillard presso gli stabilimenti di Aspro, l’azienda farmaceutica che sponsorizza il servizio sanitario del Tour e il cui nome compare sulle ambulanze al seguito e sull’auto del medico di corsa. Proprio a ridosso del finale di gara è prevista la breve ma ripida ascesa al Mont Salève sulla quale Eddy mette una bella ipoteca sulla vittoria finale, seppur non definitiva: al suo scatto resistono cinque corridori – dai quali si stacca per una foratura López Carril, che perde 18” – che il “cannibale” batte in volata precedendo nell’ordine Panizza, Poulidor, il portoghese Joaquim Agostinho e Aja. Tra gli altri big Van Impe termina nel primo gruppo inseguitore, giunto a Gaillard con quasi due minuti e mezzo di ritardo, mentre Bertoglio accusa un passivo di circa sei minuti. La delusione principale arriva da Thévenet, che alla partenza di questa frazione era l’avversario di Merckx meglio posizionato in classifica e che su un percorso non particolarmente difficile ha perduto 8’34”, concludendo la tappa nello stesso gruppo di Guimard.
La seconda frazione alpina presenta un percorso paragonabile a quello della tappa di Gaillard. Al posto del Salève c’è l’impegnativo Mont du Chat, sul quale Merckx viene staccato da Poulidor e si ritrova a pagare un ritardo di più di un minuto dal corridore più amato dai francesi. In discesa – la stessa della disastrosa caduta dell’australiano Richie Porte al Tour del 2017 – il belga si scatena e, con l’aiuto dello spagnolo naturalizzato francese Mariano Martínez riesce non solo a rientrare su “Poupou” ma anche a raggiungere il sempre più sorprendente Aja, che in cima alla salita aveva due minuti su Eddy. Come il giorno prima si porta gli avversari sin sul traguardo di Aix-les-Bains e li precede anche stavolta regolando Martínez, mente Poulidor e Aja concludono rispettivamente in terza e quarta posizione. Dietro a questo quartetto è un altro stillicidio di minuti: nel primo gruppo inseguitore, giunti al traguardo con un minuto più tardi, ci sono gli italiani Bertoglio e Panizza oltre a López Carril; Van Impe perde quasi quattro minuti mentre ne accusa quasi otto un Thévenet ancora sofferente e che forse si sta ancora portando dietro i postumi del “fuoco di Sant’Antonio” che l’aveva colpito durante la Vuelta ad aprile.
Dopo il primo giorno di riposo si disputa l’unico vero e proprio tappone previsto sulle Alpi, lungo quasi 200 Km e che ha il traguardo fissato a Serre-Chevalier dopo esser saliti ai quasi 2600 metri del Galibier. Pure questo traguardo vede il belga allungare ulteriormente sui rivali, dimostrando di trovarsi in una condizione migliore di quella del Giro d’Italia, anche se non ha più la forza per provocare i “distacconi” visti nei primi due Tour vinti. Non è lui, però, a conquistare il tappone perché López Carril lo ha anticipato di 54” in una frazione nella quale gli spagnoli sono stati ancora protagonisti, con Francisco Galdos e Aja che hanno terminato subito dietro il belga. Panizza si conferma intanto il migliore della pattuglia azzurra conquistando il sesto posto a 2’23” da López Carril, mentre la vera vittima di questa giornata è Poulidor, che per sua ammissione ha patito il giorno di riposo e oggi ha accusato 6’17” di ritardo. Per quanto gli altri corridori più interessanti Van Impe ha lasciato sulle strade alpine più di nove minuti, l’italiano Bertoglio, due giorni prima tra i protagonisti, ha perduto più d’un quarto d’ora mentre non è più in corsa Thévenet, che ha preferito prendere la strada di casa.
Non è finita qua perché è prevista una quarta frazione alpina che prevede l’arrivo a Orange dopo aver affrontato un “babau” che risponde al nome di Mont Ventoux, del quale si torna ad affrontare in salita il temuto versante di Bédoin. Ma stavolta il “Gigante della Provenza”, che aveva fatto passare un brutto quarto d’ora a Merckx quattro anni prima, scivola letteralmente via senza problemi, forse complici anche gli oltre 74 Km che bisogna percorrere per andare al traguardo dopo lo scollinamento. La velocità si alza solo negli ultimi 6 Km d’ascesa, ma per opera di corridori poco pericolosi, poi mille metri più avanti scatta Aja, che va a conquistare uno dei colli più prestigiosi del Tour prima di essere raggiunto in discesa. A quel punto riesce ad andare via una fuga di corridori fuori classifica, che si presenta al traguardo – dove s’impone il belga Joseph Spruyt – con 41” secondi di vantaggio sul gruppo principale, composto di una sessantina di corridori e regolato da un velocista, il francese Jacques Esclassan, a testimonianza dei pochi danni provocati stavolta dal Ventoux e, forse, da una certa rassegnazione degli avversari di Merckx. Probabilmente si sperava che, dopo quanto successo al Giro, a questo punto la classifica avesse una fisionomia ancora da delineare e invece ci si deve arrendere all’evidenza di un Merckx saldamente alle redini della corsa francese, con 2’01” su Aja, 3’13” su López Carril, 5’20” su Panizza, 5’55” su Agostinho, 6’44” su Galdos e 7’30” su Poulidor, mentre Van Impe, che sperava alla partenza di mettere alla frusta Merckx come aveva fatto nel 1971, si ritrova sul gruppone un ritardo di 17’41”.
Dopo le quattro frazioni alpine altrettante ne sono previste sui Pirenei, dalle prime separate da un paio di tappe di trasferimento poco impegnative, la prima delle quali termina a Montpellier con una volata di gruppo vinta da Barry Hoban, il corridore britannico che era stato compagno di squadra di Tom Simpson e che due anni dopo la sua tragica scomparsa sul Ventoux ne aveva sposato la vedova.
La fuga va, invece, in porto nella tappa di Colomiers, che vede il francese Jean-Pierre Genet tagliare il traguardo quasi un minuto prima dell’approdo del gruppo, nel quale manca l’italiano Attilio Rota, costretto al ritiro da una clamorosa “papera” di uno degli autisti della sua formazione, che guidava l’ammiraglia sulla quale il corridore bergamasco stava raggiungendo il raduno di partenza di Lodève. Lo stesso giorno, infatti, partiva anche il Tour de l’Avenir e il traffico di ammiraglie verso l’altro raduno di partenza, previsto a Mazamet, traeva in inganno l’autista che si dirigeva erroneamente verso l’altra cittadina e, accortosi dell’errore, velocemente faceva retromarcia in direzione di Lodève, troppo tardi perché i due arrivavano a destinazione a partenza oramai avvenuta.
I Pirenei debuttano dopo il secondo riposo con doppio sconfinamento, dovendosi attraversare il principato d’Andorra prima di giungere al traguardo spagnolo di Seo de Urgel, preceduto di una cinquantina di chilometri dall’unica salita prevista, quella che conduce ai quasi 2400 metri del Col de l’Envalira. È un percorso non troppo difficile che riduce il gruppo alla quindicina di corridori che piombano sul rettilineo d’arrivo dove Merckx mette il puntino sulla “i” della sua supremazia: sua è anche questa volata, ottenuta davanti a Martínez, al belga Michel Pollentier e agli altri componenti di questo gruppetto, nel quale ci sono Panizza, López Carril, Aja e Poulidor, incappato in una caduta senza conseguenze a pochi passi dall’arrivo.
Il cannibale in salita non è comunque più quello di prima, soprattutto se viene accattato a fondo. Lo dimostreranno il giorno successivo Poulidor e López Carril all’arrivo in salita al Pla d’Adet raggiunto al termine di un tappone di 209 Km che ha in programma complessivamente cinque impegnative ascese: il Port del Cantó sterrato in partenza, poi gli oltre 2000 metri della Bonaiuga e quindi i tradizionali colli del Portillon e del Peyresourde prima dell’ascesa finale, inedita per il Tour. Frenato da una foratura proprio nel finale, il belga si vede scappar via lo spagnolo per 1’08” mentre 1’49” è il vantaggio con il quale si presenta al traguardo il francese, che ancora rimpiange i minuti persi sul Galibier, senza i quali forse oggi avrebbe potuto rimettere in discussione il primato di Merckx. Quest’ultimo, dal canto suo, ha terminato in quinta posizione ed ha aumentato il suo vantaggio sugli altri rivali, il più vicino dei quali al belga è stato Panizza, che nell’ordine d’arrivo lo segue per 16 secondi; peggio è andata ad Aja, che non è riuscito a tenere il suo passo, a differenza di quanto dimostrato nelle tappe precedenti, e ha perduto un paio di minuti.
Non sono finite le sofferenze per Merckx, che le “busca” anche sul Tourmalet e stavolta non solo da “Poupou”. È sempre il francese quello che ottiene il vantaggio maggiore, in una giornata doppiamente trionfale per i francesi per il successo di Jean-Pierre Danguillaume, ma anche Panizza e Van Impe riescono a rosicchiare qualcosa al belga, seppur trattandosi sempre di distacchi contenuti che poco graffiano lo scudo di molti minuti che il cannibale continua ad avere in classifica: 42 secondi guadagna Poulidor, una ventina ne incamera Panizza e poco meno Van Impe. Perdono entrambi gli spagnoli di classifica, ma mentre per López Carril lo svantaggio è quasi nullo (un solo secondo) Aja bissa la prestazione in negativo del giorno prima e perde ancora 1’41”.
Anche il giorno successivo si deve affrontare il Tourmalet, che nuovamente vede Poulidor all’attacco e Merckx staccato. Stavolta, però, il percorso gioca a favore del belga, che riesce a rientrare in discesa e non viene più messo in difficoltà dal transalpino sul successivo Soulor, ultima grande salita del Tour 1974. Definitivamente chiusi lassù i giochi di classifica, riesce nel finale a sganciarsi una fuga, che vede sul traguardo di Pau Danguillaume ottenere un prestigioso bis consecutivo.
Archiviati i Pirenei, ora il gruppo intraprende ora l’ultima parte del suo cammino verso Parigi, dalla quale ancora lo separano sei frazioni, due delle quali sono a cronometro e permetteranno al belga di tornare a far lievitare il suo vantaggio che, a questo punto, risulta di 2’25” su López Carril, di 5’18” su Poulidor, di 5’33” su Panizza e di 6’01” su Aja. La prima delle prove contro il tempo è in programma l’indomani a Bordeaux, dopo che nello stesso giorno nella metropoli sulla Gironda si è conclusa una semitappa vinta dal francese Francis Campaner, giunto solitario al traguardo con un vantaggio di quasi un quarto d’ora sul gruppo, fermato un paio di volte da manipoli di contadini in rivolta contro la politica agricola attuata dal governo. Il pomeriggio va in scena il solito cronoshow di Merckx, che in quest’occasione fa anche da “cavia” scendendo in campo con un apparecchio che ne capta e registra le reazioni del cuore, antesignano degli odierni cardiofrequenzimetri: il suo è ancora il cuore di un campione nelle sfide contro l’orologio (due anni prima aveva conquistato il record dell’ora), che sui 12 Km e rotti del circuito di Bordeaux gli consente di prevalere per due secondi su Pollentier e per 13” sul neoprofessionista olandese Gerrie Knetemann. Tra i corridori che lo “inseguono” in classifica Poulidor vede il cannibale allontanarsi di altri 20 secondi, Aja di 52”, Panizza e López Carril di 57”, tutti entro il minuto di ritardo.
A Merckx, però, manca qualcosa. Vuole una vittoria in solitaria che gli ricordi il sapore delle imprese di una volta e decide di mettere in pratica questo desiderio alla penultima tappa, preceduta da una frazione di trasferimento che termina a Nantes con il successo in solitaria dell’olandese Gerard Vianen. Sarà forse stata quest’affermazione a ispirare il “cannibale”, o forse i quasi 15 minuti di vantaggio con i quali era giunto al traguardo Campaner in quel di Bordeaux un paio di giorni prima. Fatto sta che il belga s’inventa una delle sue imprese presentandosi tutto solo al traguardo di Orléans, che taglia un minuto e mezzo primo dell’arrivo di tutti gli altri, regolati allo sprint da Sercu. Si pensa “è tornato il cannibale e adesso si papperà anche la crono” perché quella vinta dal belga è soltanto la prima semitappa di una giornata che nel pomeriggio prevede una prova contro il tempo di 37 Km. Così non sarà, però, perché Merckx ha chiesto troppo al suo fisico e ha finito per strozzarsi con le sue stesse mani e ciò gli costa perdere la cronometro per soli 10 secondi. Di tanto l’ha sopravanzato il connazionale Pollentier e, a guardar la faccia contrariata di Eddy al traguardo, non era certamente quanto auspicata dal campionissimo belga, che ambiva a far sue entrambe le semitappe. Alle sue spalle, intanto, divampa la lotta per le posizioni di rincalzo con Pollentier che ha da recuperare ben due minuti e sedici secondi da López Carril e riesce a distaccarlo della stessa quantità di tempo con l’aggiunta di un secondo che gli consente di ribaltare la sua posizione in classifica per un amen.
Ora rimane solo la tappa conclusiva di Parigi, che per l’ultima volta terminerà sulla pista della Cipale perché dall’anno successivo si stabilirà di arrivare sugli Champs-Élysées. Ci si aspetta un arrivo in volata e, con tutta probabilità, un’affermazione del più forte velocista del gruppo, quel Sercu che lascia il segno anche nella capitale francese. Ma stavolta la sua non è una volata perfetta perchè ha ostacolato il connazionale Gustaaf Van Roosbroeck e così la giuria si vede costretta a retrocederlo e a decretare vincitore chi era transitato in seconda posizione sul traguardo disegnato all’interno del velodromo di Vincennes: sua maestà Eddy Merckx, che mette un’altra ciliegina sul suo ultimo Tour, vincendolo con 8′04″ su Poulidor e 8′09″ su López Carril.
L’anno successivo Merckx sarà protagonista di un inizio di stagione travolgente che lo vede vincitore prima al Giro di Sardegna, poi alla Sanremo, all’Amstel, alla Settimana Catalana, al Fiandre e alla Liegi. Al Tour s’interromperà la sua egemonia nei prologhi, preceduto per due secondi da Moser a Charleroi, poi vincerà le prime due crono individuali, grazie alle quali tornerà a vestire la maglia gialla, che riuscirà a tenere sui Pirenei nonostante il tempo guadagnato da Thévenet. La situazione per il belga si complicherà sul Puy de Dôme, dove viene colpito da un pugno di un “tifoso” all’atezza del fegato, un colpo per le cui conseguenze soffrirà terribilmente due giorni più tardi nello storico tappone di Pra-Loup, che lo vede cedere definitivamente le insegne del primato a Thévenet.
Da questo momento la parabola discendente del grande campione si farà sempre più scoscesa: terminerà quel Tour in seconda posizione al 2’47” dal francese, poi – dopo l’ultima delle sette affermazioni alla Sanremo – si piazzerà ottavo al Giro del 1976 (a 7′40″ da Gimondi), sesto al Tour del 1977 (a 12’38” da Thévenet) e addirittura ultimo al mondialiale disputato lo stesso anno a San Cristóbal, in Venezuela. È la classica goccia che fa traboccare il vaso perché questa è una figuraccia che fa passar la fame anche un cannibale: è così il 18 maggio del 1978 convoca la conferenza stampa nella quale annuncia il suo immediato ritiro dalle gare, nonostante avesse in programma di disputare il Tour.
Il cannibale ha finito di mangiare
Mauro Facoltosi

La vittoria di Merckx a Gaillard (Miroir Sprint)
BATTI UN CINQUE – 1972, IL QUARTO TOUR DI MERCKX
Nel 1972 Merckx vince il suo quarto Tour di fila e porta a casa la sua seconda doppieta con la Corsa Rosa. Non palesa più le difficoltà che avevano rischiato di fargli perdere il Tour dell’anno prima e, anzi, s’impone al Giro alla vecchia maniera. Il Tour, invece, dimostra che comunque qualcosa s’è inceppato nel meccanismo del belga, perché faticherà a staccare i rivali in salita e non lo vedremo più esibirsi nelle sue leggendarie imprese da lontano.
Al debutto della stagione 1972 c’è molto attesa tra gli appassionati.
Dopo il Tour del 1971, nel quale Eddy Merckx aveva faticato come mai si era visto in salita, il belga si era imposto al mondiale di Mendrisio e al Giro di Lombardia, ma c’erano comunque ancora incertezze sulla sua tenuta nelle grandi corse a tappe. Sarà ritornato il corridore indistruttibile visto tra il 1969 e il 1970? Anche il belga, probabilmente, si sta ponendo la stessa domanda e intanto annuncia la sua intenzione di tornare a correre sia il Giro, sia il Tour, preceduti da una primavera che lo vede fare incetta di classiche (Sanremo, Brabante, Liegi e Freccia). Al Giro dimostra che i momentacci vissuti all’ultimo Tour sono passati perché le prende dallo spagnolo Josè Manuel Fuente solo nella tappa del Blockhaus ma poi riesce a dare due colpi dei suoi nelle tappe di Catanzaro, dello Jafferau e di Livigno e, pur senza le imprese leggendarie che lo avevano fatto diventare un mito, s’impone in classifica precedendo di 5’30” Fuente e di 10’39” un altro spagnolo, Francisco Galdós.
Intercorrono solo venti giorni tra la fine del Giro e l’inizio del Tour, al cui via Merckx si trova di fronte avversari decisamente agguerriti, che sperano ancorsa che il belga incappi in qualche giornata storta. Il più motivato di tutti è Luis Ocaña, che ha un conto aperto con la sfortuna. Non meno battagliero è il suo connazionale Lucien Van Impe, che l’anno prima aveva sfruttato tutte le occasioni utili nel tentativo di portargli via quella maglia gialla che aveva vestito solo grazie al ritiro dello sfortunato scalatore spagnolo. Anche Zoetemelk è della partita mentre i francesi tornano a tifare per il 34enne Poulidor, assente nel 1971, che dovrà spartirsi gli applausi con il giovane Bernard Thévenet e con Cyrille Guimard, che indosserà per una settimana la maglia gialla. L’Italia torna, invece, a proporre come antagonista del belga Felice Gimondi – reduce da un Giro fallimentare, chiuso in ottava posizione con 14 minuti di ritardo – il quale alla fine si rivelerà essere il rivale che arriverà più vicino al “cannibale”.
La partenza viene data da Angers dove Merckx inizia il Tour in bellezza imponendosi nel cronoprologo – che vince ininterrottamente dal 1970 – con 11” sul suo compagno di squadra Roger Swerts, 12” su Poulidor, 13” su Zoetemelk, 15” su Ocaña, 19” su Guimard, 24” su Gimondi, 26” su Thévenet e 41” su Van Impe.
Dovrà lasciare subito la maglia gialla il belga, al termine di una scomposta volata che sulla pista del velodromo di Saint-Brieuc vede imporsi Guimard sul britannico Michael Wright, accusato da Merckx di averlo danneggiato durante lo sprint, nel quale il capo della classifica si era lanciato per impedire che il francese vincesse e acquisisse l’abbuono con il quale gli avrebbe portato via la maglia gialla. Il britannico aveva effettivamente alzato un braccio, costringendolo ad allargare, ma la giura respinge il reclamo al mittente, che si vede spodestato per sette secondi delle insegne del primato. Diventeranno nove il giorno successivo, quando Guimard s’imporrà nel “point-chaud” (letteralmente “punto caldo”, come venivano un tempo chiamati i traguardi volanti ad abbuoni) previsto lungo il tracciato della tappa di La Baule, terminata con il successo allo sprint del belga Rik Van Linden.
Ci sarà una sola vittoria italiana in questa edizione del Tour e a coglierla è il parmense Ercole Gualazzini, andato in fuga assieme ad altri sei corridori a 22 Km dal traguardo di Saint-Jean-de-Monts, dove ha la meglio sui belgi Noël Van Clooster e Herman Beysens. Il giorno stesso, il pomeriggio, la carovana della Grande Boucle si sposta nella vicina stazione balneare di Merlin-Plage, sulle cui strade va in scena una breve cronosquadre che consente a Merckx di riprendersi la maglia gialla dopo aver staccato di 3’14” la Gan-Mercier di Guimard, anche se per la classifica si conteggiano gli abbuoni e così il francese si ritrova ad avere solo 11 secondi di ritardo in graduatoria, scendendo in seconda posizione.
I due giorni in giallo hanno, però, ingolosito Guimard che vuole immediatamente riprovarne l’ebbrezza e così l’indomani si ributta nella caccia agli abbuoni. Si piazza secondo nel “point-chaud” previsto dopo 41 Km (conquistato da Gualazzini), vince quello situato 40 Km più avanti e poi completa l’opera imponendosi nella volata più sostanziosa, quella sul traguardo finale di Royan che lo vede precedere i belgi Ronny Van Marcke e Frans Verbeeck e riportarsi in vetta alla classifica con 19” su Merckx. Il belga, però, ha molte ragioni per essere felice perché oggi il vento ha spezzato il gruppo e ha fatto perdere tempo preziosi a tre dei suoi avversari pù quotati, Van Impe, Poulidor e Zoetemelk, giunti al traguardo con tre minuti di ritardo. E, Guimard a parte, fin d’ora il “cannibale” guarda già dall’alto al basso i suoi rivali e prima ancora che inizino le montagne ha 34” su Ocaña, 40” su Thévenet, 48” su Gimondi, 3’37” su Zoetemelk, 3’44” su Poulidor e 4’13” su Van Impe.
Intanto il tracciato propone al belga un’altra occasione per riportarsi al vertice della classifica perché a Bordeaux, dopo una prima semitappa vinta dal belga Walter Godefroot nella quale Guimard ha aumentato a 33” il suo vantaggio grazie agli abbuoni, è in programma una terza prova contro il tempo. Sul suo terreno di caccia prediletto il belga detta legge come suo solito e, come nel prologo, precede il suo compagno di squadra Swerts (staccato di soli due secondi), mentre Guimard è sesto a 24” e riesce a tenersi sulle spalle la maglia gialla per nove secondi. E gli altri favoriti ancora perdono terreno con Ocaña 3° a 15”, Poulidor 4° a 20”, Thévenet 8° a 32”, Gimondi 10° a 41”, Zoetemelk 12° a 49” e Van Impe unico tra i big a superare il minuto di ritardo (39° a 1’20”).
Dopo la tappa di Bayonne, vinta dall’olandese Leo Duyndam sul veronese Luigi Castelletti (mentre Guimard continua la caccia agli abbuoni “catturando” altri tre secondi), il Tour osserva la prima giornata di riposo alla vigilia delle frazioni pirenaiche. La prima presenta la sola ascesa all’Aubisque a una settantina di chilometri da Pau, dove si presenta a giocarsi il successo un gruppetto di sei corridori, selezionato anche dalla pioggia che ha accompagnato la corsa sin dalla partenza. In quel plotoncino ci sono il sorprendente Guimard, che l’anno prima aveva comunque terminato il Tour in settima posizione, Merckx, Poulidor, Gimondi, Zoetemelk e, unico sconosciuto in mezzo a cotante celebrità, il francese Yves Hézard, che si prende il lusso di prevalere allo sprint su questi campioni. Il primo dei battuti è Ocaña, che taglia il traguardo con quasi due minuti di ritardo dopo aver prima forato nella discesa dell’Aubisque e poi esser caduto nel corso della medesima: ha tanta rabbia in corpo lo spagnolo, non solo per l’ennesimo tributo che ha dovuto pagare alla sfortuna, e ancora sui Pirenei, ma anche perché è offeso con i primi arrivati al traguardo, che l’avevano attaccato proprio nel momento della foratura. Più staccati giungono Van Impe (5’03”) e Thévenet (6’32”), con quest’ultimo che taglia il traguardo dolorante dopo esser stato coinvolto nella medesima caduta di Ocaña: per il francese sarà necessario l’immediato ricovero in ospedale, dove gli viene riscontrata una leggera commozione cerebrale, lieve al punto che gli sarà consentito di continuare il Tour.
Si corre a questo punto il primo dei due tapponi previsti dall’edizione 1972, non lungo ma infarcito di difficoltà perchè nei 163 Km da percorrere in direzione di Luchon si devono affrontare il Tourmalet, l’Aspin e il Peyresourde. È la prima vera occasione che Merckx ha per dimostrare di essere in forma in salita e il “cannibale” risponde presente, anche se è evidente che non sembra più in grado di mordere come un tempo. Non riesce a staccare gli avversari come al solito e a Luchon vince in volata precedendo Van Impe, mentre Ocaña è terzo a 8”. Ci sono comunque corridori di punta che pagano distacchi importanti dal belga, come i 2′15″ perduti da Zoetemelk e Poulidor, o i 2’44” accusati al traguardo da Gimondi, Thévenet – che non sembra accusare più di tanto il trauma cranico del giorno prima – e Guimard, che dà l’addio alla maglia gialla. Terminati i Pirenei Merckx è, infatti, tornato al vertice della classifica con 2′33″ sull’ex leader della corsa, 2’48” su Ocaña, 4’15” su Gimondi, 6’21” su Poulidor, 6’43” su Zoetemelk, 10’30” su Thévenet e 10’39”.
Due tappe interlocutorie fanno da separazione tra Alpi e Pirenei e la prima di queste porta altro denaro in casa Molteni grazie alla vittoria del belga Jos Huysmans, in fuga con altri nove corridori in una giornata che riserva anche un risvolto negativo per il suo capitano. Tutta colpa di un “deficiente” che a una trentina di chilometri dall’arrivo si era sistemato a bordo strada armato di un sasso da scagliare al passaggio di Merckx, riuscendo a colpirlo a un braccio e fortunatamente senza provocare conseguenze alla maglia gialla.
Dopo la tappa della Grande-Motte – caratterizzata da un paio di cadute di Merckx e dal successo del belga Willy Teirlinck, partito secco a 2 Km dal traguardo e riuscito a resistere per tre secondi al recupero del gruppo – si disputa la temuta tappa del Mont Ventoux, anche se per la prima e unica volta nella storia non si salirà dal tremendo versante di Bédoin. Accogliendo le proteste dei corridori, che due anni prima si erano lamentati delle difficoltà estreme di questa salita in occasione del collasso di Merckx, hanno deciso che si salirà da Malaucène, un versante comunque non facile nelle pendenze ma che si snoda quasi completamente al verde, incontrando i celebri paesaggi lunari solamente nelle ultime centinaia di metri. E anche lassù si nota come il cannibale abbia i denti “spuntati” perché i distacchi che riesce a imprimere sono ancora contenuti: Ocaña perde solo cinque secondi, Poulidor ne accusa diciassette e c’è anche chi fa meglio di Merckx, al traguardo preceduto di 34” da un Thévenet in ripresa. Sempre calcolati dal belga, Van Impe lascia per strada 51 secondi, Gimondi perde 1’12”, Zoetemelk 1’22”, e l’ex capoclassifica Guimard 1’35”.
È in programma a questo punto un arrivo che mette un po’ i brividi a Merckx, pur non essendo durissima la tappa che l’indomani proporrà il traguardo in salita di Orcières-Merlette, proprio laddove l’anno prima era stato pesantemente staccato da Ocaña. Sono brividi causati prevalentemente da questo ricordo, perché è palese che in questa edizione del Tour Merckx stia molto meglio, mentre lo spagnolo non ha la stessa condizione dimostrata nel 1971. Infatti, stavolta le cose vanno diversamente e, invece, si rispecchiano le stesse condizioni viste nelle precedenti tappe, con il belga che non riesce a schiodarsi realmente di dosso gli avversari: termina la tappa assieme ad Ocaña, il quale si lamenta che non c’è nessun che voglia aiutarlo nei tentativi di staccare il belga, e anche tutti gli altri big hanno concluso a pochi secondi da lui. Come il giorno prima, però, c’è qualcuno che gli è sfuggito perché Van Impe, che aveva allungato con il portoghese Joaquim Agostinho (poi penalizzato di dieci minuti per positività all’antidoping), è riuscito a precederlo di 1’17”, ma stavolta gli fa meno paura perché il connazionale ha più di undici minuti di ritardo in classifica.
Bisogna attendere il tappone di Briançon per rivedere un Merckx in grande spolvero, capace di staccare con più decisione gli avversari e di chiudere definitivamente la partita per quanto riguarda la vittoria finale. Non guadagna un’enormità, i distacchi che era stato in grado di affliggere a Mourenx in un solo giorno non sembrano più alla sua portata, ma riesce a portare il suo vantaggio in classifica su Ocaña a quasi cinque minuti. La chiave di volta del suo Tour si trova a un chilometro dalla vetta del Col de Vars, punto nel quale Merckx esce dal gruppo. Al termine della discesa il belga viene raggiunto da Guimard e i due affrontano assieme il successivo Izoard, almeno fin quando Eddy riesce a liberarsi della compagnia del francese. Mancano 4 Km alla cima del mitico colle e circa 27 Km al traguardo, tratto che il ritrovato cannibale percorre tutto da solo, incrementando il suo vantaggio fino al minuto e mezzo che i cronometri registraranno ai piedi della cittadella fortificata dal Vauban dal gruppetto di quattro corridori che tagliano la linea d’arrivo tutti assieme, il nostro Gimondi, Guimard, Van Impe e Poulidor. Una decina di secondi più tardi giunge Ocaña mentre crollano Zoetemelk (7’27”) e Thévenet (9’42”).
Il cannibale è tornato e lo dimosterà anche l’indomani imponendosi nella breve tappa di Valloire, soli 51 Km attraverso il Galibier che per Ocaña si rivelano un tormento a causa della bronchite che l’ha colpito. Così lo spagnolo perde il secondo posto in classifica dopo aver tagliato il traguardo un paio di minuti dopo l’arrivo di Merckx, che ha vinto anche oggi dopo aver raggiunto a un chilometro e mezzo dalla vetta del Galibier l’olandese Zoetemelk e averlo trascinato fino a Valloire. 56 sono i secondi che è riuscito a guadagnare su Guimard e Gimondi, mentre Poulidor ha perso 1’34”, Van Impe ha concluso con lo stesso tempo di Ocaña e Thévenet pure.
Lo scalatore spagnolo riesce comunque a rimanere sul podio scendendo al terzo posto, ma la sua giornataccia non è finita qua perché nel pomeriggio si deve correre una seconda tappa di montagna che lo vede ancora più pesantemente staccato. Al traguardo di Aix-les-Bains, infatti, si ritrova ad aver perso altri cinque minuti mentre la tappa si risolve in una volata tra l’élite della classifica, vinta da Guimard davanti a Merckx, Gimondi (che sale al terzo posto sostituendosi allo spagnolo), Van Impe, Agostinho e Poulidor. Thévenet, invece, ha fatto peggio di Ocaña accusando un passivo di 8 minuti.
C’è ancora un’ultima tappa alpina da superare, una frazione in formato “mignon” che imita quella brevissima di soli 19 Km che l’anno prima era stata affrontata a Superbagnères, il giorno dopo il ritiro di Ocaña a causa della storica caduta giù dal Col de Menté. E per un curioso scherzo del destino lo spagnolo non c’è nemmeno stavolta perché le sue condizioni di salute l’hanno convinto a non prendere il via in questa tappa di 26 Km che presenta l’arrivo in vetta al Mont Revard, salita cara ai “gimondiani” perché lassù nel 1965 Felice si era imposto in una cronoscalata in occasione del Tour che aveva vinto. È una tappa che finisce esattamente come si era arrivati il giorno prima, con il bis di Guimard davanti agli stessi corridori che aveva battuto ad Aix-les-Bains, pure in quest’occasione precedendoli allo sprint. Una differenza, però, c’è perché Gimondi non è riuscito a tenere le ruote dei migliori e in un colpo ha perso quasi due minuti e con essi il terzo posto della generale, nel quale s’installa “Poupou”. Consegnate alla storia le frazioni alpine del Tour ora Merckx si ritrova a essere saldamente in cima alla graduatoria con 6’20” su Guimard, 9’54” su Poulidor, 10’01” su Gimondi, 14’03” su Van Impe, 15’45” su Zoetemelk e più di mezz’ora su Thévenet.
Prima di tornare per l’ultima volta sulle montagne si affronta una lunga tappa di trasferimento verso Pontarlier che termina con il bis del belga Teirlinck e con quattro secondi guadagnati a un ennesimo “point-chaud” da Guimard, la cui giornata non è però positiva perché si vede costretto a ricorrere alle cure del medico di corsa per una dolorosa tendinite al ginocchio. I problemi più grossi il corridore francese li patirà il giorno successivo, quando al Ballon d’Alsace è in programma l’ultimo dei quattro arrivi in salita. Lassù Merckx ottenne nel 1969 la sua prima vittoria in montagna al Tour, mentre stavolta si deve accontentare della quarta piazza, una trentina di secondi dopo gli arrivi di Thévenet, vincitore, e di Zoetemelk, secondo a 4” dal transalpino. I francesi, se da un lato gioiscono per la vittoria di Bernard, dall’altro si rammaricano per la crisi di Guimard che, sofferente, perde un minuto e mezzo da Merckx, riuscendo almeno a salvare il secondo posto in classifica.
La delusione per i tifosi di Guimard sarà più grande l’indomani, alla notizia dell’abbandono del loro beniamino, che sale in ammiraglia dolorante dopo aver percorso i primi 10 Km dell’interminabile frazione di Auxerre. A parziale consolazione arriva l’inevitabile risalita dal terzo al secondo posto dell’amato Poulidor, mentre a conquistare al tappa è l’olandese Marinus Wagtmans, andato in fuga per una cinquantina di chilometri e giunto al traguardo venti secondi prima dell’arrivo del gruppo, regolato dal belga Van Linden.
Van Linden vincerà la volata del gruppo anche l’indomani a Versailles, ma pure questa volta si tratterà di un “premio di consolazione” conseguito con undici secondi di ritardo, tanto è passato dall’arrivo a braccia elevate di un altro belga, Joseph Bruyère, che anticipa così la grande festa per il successo finale di Merckx.
Ci si fermerà all’ombra dell’imponente reggia anche l’indomani mattina per l’ultima cronometro individuale, cattedra di un’altra regale lezione della maglia gialla, che anche a crono morde meno del solito. Solo 34 sono i secondi di distacco che riesce a dare a Gimondi, felice di nome e di fatto soprattutto per essere riuscito a distanziare di 57 secondi Poulidor, al quale “scippa” il secondo posto in classifica proprio all’ultimo giorno di gara. Il pomeriggio, infatti, è in programma la conclusione sulla pista della Cipale che stavolta accoglierà l’arrivo di una tappa in linea e non una crono, com’era avvenuto nelle ultime edizioni. Sul velodromo di Vincennes c’è un corridore che emula Van Linden, perché è l’italiano Marino Basso a mordersi le mani dopo aver vinto uno sprint disputato in ritardo, dopo che sei secondi prima Teirlinck aveva conquistato la sua terza vittoria.
E così, se Merckx non si è più dimostrato il famelico corridore d’un tempo, è stata la sua nazione a vestirsi dei panni del cannibale, “mangiandosi” ben 15 tappe su 25. Anche se la tavola meglio imbandita è sempre quella di Eddy, che in questo Tour s’è ancora fatto un boccone dei rivali, commensali tenuti a debita distanza dalla più prelibata pietanza gialla: Gimondi è arrivato a 10′41″, Poulidor a 11′34.
L’era del cannibale, però, sta cominciando a tramontare.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: mancano la 2a semitappa della 3a tappa (cronometro a squadre di Merlin-Plage) e la 2a semitappa della 5a tappa (cronometro di Bordeaux)

Merckx e Guimard all'attacco sull'Izoard nel tappone di Briançon (Cyclisme Magazine - L'Équipe)
BATTI UN CINQUE – 1971, IL TERZO TOUR DI MERCKX (e un po’ di Ocaña)
Sembrava essere l’anno buono per Ocaña, lanciatissimo verso il successo al Tour de France dopo aver acquisito un vantaggio favoloso sulle Alpi. Invece, la sfortuna si scaglierà contro lo scalatore spagnolo estromettendolo dalla corsa alla prima frazione pirenaica e spianando così la strada al terzo successo di Merckx alla Grande Boucle, nel 1971 apparso decisamente inferiore al corridore extraterrestre che aveva dominato le due edizioni precedenti.
Non poteva vincerlo quel Tour.
Per come si erano messe le cose all’uscita dalle frazioni alpine, Eddy Merckx poteva considerare il suo Tour definitivamente perduto. Il belga si era ritrovato sul groppone un passivo di quasi nove minuti da Luis Ocaña che sarebbe stato quasi impossibile da colmare, sia perché quell’anno il Tour era stato disegnato con mano non troppo pesante, sia perché lo spagnolo era, seppur inferiore a lui, uno che se la cavava bene sia in montagna, sia a cronometro. Solo se l’avversario si fosse trovato a fare i conti con la sfortuna avrebbe potuto pensare di vincere quel Tour ed è proprio quel che accadde sui Pirenei, con lo spagnolo estromesso dalla corsa per via di una caduta che, tra l’altro, al momento fu giudicata peggiore di quello che in realtà era. Doppia scalogna per il corridore iberico, quindi, mentre Merckx riuscì a imporsi in un Tour che lo vide meno extraterrestre del solito, pur riuscendo a presentarsi in giallo a Parigi con distacchi importanti sui corridori che lo seguivano in classifica.
Quelli di Merckx e Ocaña non sono gli unici grandi nomi al via della 58a edizione del Tour, che schiera ai nastri di partenza innanzitutto lo svedese Gösta Pettersson, che quell’anno era riuscito ad approfittare dell’assenza del “cannibale” al Giro per imporsi nella Corsa Rosa, magistralmente diretto dal futuro commissario tecnico della nazionale italiana Alfredo Martini. C’è il giovane olandese Joop Zoetemelk, che l’anno precedente era stato il primo dei “terrestri” in classifica e concederà il bis anche in questo Tour. Ci sono anche il belga Lucien Van Impe e, assente per la prima volta dal 1962 Raymond Poulidor, il francese Bernard Thévenet, che al momento sembra essere l’unico corridore transalpino in grado, in futuro, di conquistare la classifica finale (ci riuscirà una prima volta nel 1975, proprio l’edizione dell’abdicazione di Merckx, e poi ancora nel 1977). La Spagna presenta al via un altro interessante scalatore, José Manuel Fuente, mentre il corridore di punta della presenza italiana è Gianni Motta, quell’anno vincitore del Giro di Romandia.
La sede di partenza è Mulhouse dove è previsto un cronoprologo atipico, da disputare a squadre ma non valido per la classifica generale per quanto riguarda i tempi, mentre varranno gli abbuoni assegnati ai corridori delle prime tre formazioni classificate, che saranno conteggiati il giorno successivo al momento di stilare la prima classifica. Nonostante la sua “inutilità” la Molteni – la squadra nella quale quell’anno è passato Merckx dopo aver lasciato al Faema – ci si mette d’impegno e riesce a confezionare una piccola impresa, staccando in 11 Km di quasi due minuti la Ferretti di Pettersson e la Flandria di Zoetemelk.
La prima frazione è un circuito di 224 Km con partenza e arrivo fissate ancora a Mulhouse e sconfinamenti in Svizzera e Germania, nelle quali sono previsti un traguardo a testa, suddividendola così in tre semitappe. La prima, iniziata con un protesta dei corridori che si lamentano per la riduzione del montepremi (lagnanza accolta dal direttore della corsa Goddet, che raddoppierà i premi di giornata nonostante il parere contrario del suo vice Félix Lévitan, che si occupa principalmente della gestione economica della corsa) termina nell’elvetica Basilea con un volatone che vede spuntarla il belga Eric Leman mentre, stilata la prima classifica effettiva tenendo conto dei piazzamenti e degli abbuoni della cronosquadre, la maglia gialla passa dalle spalle di Merckx a quelle del suo compagno di squadra olandese Marinus Wagtmans. La leadership torna poi in possesso di Eddy dopo la semitappa tedesca di Fribourg-en-Brisgau, vinta dal “tulipano” Gerben Karstens, e rimane in suo possesso anche dopo la frazione serale che riporta la corsa a Mulhouse, dove s’impone il belga Albert Van Vlierberghe.
La seconda tappa è all’apparenza innocua perché l’unica difficoltà altimetrica prevista lungo i 144 Km che conducono a Strasburgo è il Col de Firstplan, pedalabile salita di seconda categoria che si deve affrontare a 41 Km dalla partenza e a più di 100 Km da un traguardo che fa gola ai velocisti. Nessuno s’immagina che sul Firstplan possa scatenarsi la bagarre tra gli uomini di classifica, promossa da Zoetemelk, Van Impe e Fuente, con il primo che scollina 10” prima dello spagnolo e con 15” sul belga, mentre Merckx transita qualche secondo più tardi. La selezione vera avviene nella successiva discesa, nella quale il “cannibale” si scatena con il compagno di squadra Herman Van Springel e porta via un gruppetto di sedici corridori, con dentro tutti i favoriti, il cui vantaggio sale progressivamente fino a raggiungere il tetto massimo di 9’27” al traguardo di Strasburgo, dove a imporsi è proprio Merckx. Tra i corridori che hanno terminato nella prima parte del gruppo c’è Motta, che cede qualcosa nel finale e perde 44 secondi, mentre tra i “caduti” c’è da segnalare il nome di Fuente, che era stato protagonista sul Firstplan ma non era stato poi in grado di accodarsi al plotoncino all’attacco e ha addirittura concluso la tappa in ultima posizione, undici minuti e mezzo dopo l’arrivo dei primi.
Per com’è iniziato il Tour Eddy sembra già proiettato verso la vittoria finale nel suo terzo Tour de France e intanto fa anche il “regista” in corsa, lasciando il giorno successivo andare la fuga solo perché tra i dieci corridori all’attacco c’è un suo compagno di squadra. Ed è proprio quel corridore, quel Wagtmans che due giorni prima aveva temporaneamente “scippato” la maglia gialla al suo capitano, a cogliere il successo a Nancy precedendo in volata il britannico Barry Hoban e lo spagnolo Nemesio Jiménez. Da segnalare che anche in questa tappa era previsto un colle lontano dall’arrivo, il Donon, sul quale Zoetemelk aveva nuovamente dato fuoco alle polveri, ma stavolta Merckx non aveva replicato all’azione dell’olandese.
Dopo Svizzera e Germania il Tour visita il Belgio, dov’è a Marche-en-Femenne è previsto l’arrivo al termine di una frazione vallonata ma non eccessivamente movimentata, nella quale Merckx potrebbe anche dire la sua in volata, davanti ai suoi tifosi. Preferisce, invece, ritagliarsi ancora i panni del direttore di corsa, lasciando andar via il tentativo, nato a 45 Km dall’arrivo, del francese Jean-Pierre Genet e dallo spagnolo José Gómez Lucas, che guadagnano fino a 1′40″ per poi conservare appena 5 secondi al traguardo, dove la vittoria finisce nel palmarès del corridore transalpino, già vincitore al Tour nel 1968 sul traguardo di Saint-Étienne.
Il rientro in Francia avviene con una tappa insidiosa, che si snoda tra Dinant e Roubaix proponendo il muro di Grammont e qualche tratto di pavè, non dei più celebri perché si corre quasi interamente in territorio belga e la frontiera tra i due stati viene superata a soli 6 Km dal traguardo. L’arrivo come al solito è collocato sulla pista del mitico velodromo, che in quest’occasione accoglie l’arrivo a braccia levate di un corridore italiano, il veronese Pietro Guerra, che batte allo sprint un gregario del campionissimo belga, Julien Stevens. Poco più di un minuto più tardi ecco il sopraggiungere del gruppo, regolato in volata da De Vlaeminck, nel quale le strade belghe non hanno provocato selezione.
La sesta tappa prevedere di percorrere ben 260 Km ma in due soluzioni, entrambe destinate ai velocisti, che in questa edizione del Tour finora sono riusciti a imporsi solamente nelle tre semitappe transfrontaliere del secondo giorno. Il mattino ad Amiens Guerra tenta di agguantare uno strepitoso bis uscendo dal gruppo a 800 metri dal traguardo, ma viene ripreso proprio sul rettilineo d’arrivo, in fondo al quale è il belga Leman a incassare il bis dopo essersi in posto a Basilea. Il pomeriggio nella località balneare di Le Touquet-Paris-Plage va in porto la fuga e per la seconda volta in questo Tour è un italiano a tagliare vittorioso la linea d’arrivo, il livornese Mauro Simonetti, mentre Motta avanza leggermente in classifica grazie ai secondi d’abbuono conquistati a un traguardo volante e si porta al quinto posto a 43” da Merckx.
Dopo una giornata di riposo, alla vigilia della prima tappa di montagna si riparte da Rungis, cittadina situata una quindicina di chilometri a sud di Parigi, per raggiungere Nevers a capo della frazione più lunga di questa edizione. I 257 Km che si devono percorrere presentano solo un paio di modesti Gran Premi della Montagna di quarta categoria che poco pepe danno alla gara. Quest’ultimo viene, invece, viene offerto da uno spartitraffico collocato nel bel mezzo del rettilineo d’arrivo, al quale i corridori devono obbligatoriamente imboccare il viale di destra, essendo l’altro precluso da un nastro; ma c’è chi va nella direzione opposta facendo inutilmente sbracciare l’addetto dell’organizzazione preposto a tale delicato punto, il quale si sporge troppo e finisce per essere investito dalla moto della televisione francese. Intanto Leman vola a prendersi il tris e Motta si avvicina ancora di più al vertice della classifica dopo essersi intascato un altro piccolo abbuono “intermedio”.
Arriva finalmente la prima vera salita del Tour 1971 e per la prima volta sul Puy-de-Dôme si vede un Merckx traballante, anche se al momento sembra solo un passaggio a vuoto dell’imbattibile belga, che butta sul piatto un sacco di energie nel tentativo di staccare Petterson, Motta e Zoetemelk e poi si ritrova con l’affanno al momento dell’attacco di Ocaña. Alla fine è lo spagnolo a guadagnare, anche se i 15 secondi patiti dal belga – che al traguardo viene anticipato di 8 secondi dall’olandese che cercava di mettere in difficoltà – non suonano certo come un campanello d’allarme, anche perché al momento si guarda con positività al tempo che si è riusciti a far perdere agli altri due avversari (34 secondi per lo svedese e quasi in minuto e mezzo per l’italiano). E Merckx può ancora gongolarsi orgoglioso in maglia gialla con 36” su Zoetemelk, 37” su Ocaña, 1’16” su Pettersson, 1’58” su Thévenet, 2’02” su Motta e 2’51” su Van Impe.
Si viaggia ora alla volta delle Alpi, anticipate da una breve frazione di media montagna che si conclude a Saint-Étienne dove l’Italia sfiora la terza vittoria di tappa con il toscano Wilmo Francioni, che viene preceduto allo sprint dal belga Walter Godefroot, giunti al traguardo assieme a tre dei nove corridori con i quali erano andati in fuga.
La prima tappa alpina dimostra che il Merckx che sta affrontando il Tour non è lo stesso visto negli anni precedenti. L’arrivo è a Grenoble e il finale ricalca quello della frazione che dodici mesi prima aveva visto il cannibale guadagnare sui rivali andando in fuga solitaria sul Cucheron, lo stesso colle che stavolta è carnefice del belga, colpendolo con una foratura nella successiva discesa. Ocaña si accorge dell’incidente che ha temporaneamente fermato il capo della classifica e dà il via a un feroce attacco, trascinando nel tentativo gli altri avversari del belga, tra i quali non c’è Motta, che da parecchi chilometri sta correndo con il polso fratturato in una precedente caduta e che a fine tappa annuncerà il suo ritiro dalla corsa francese. Sul successivo Col de Porte Ocaña accelera ancora di più per far lievitare il distacco di Merckx che al traguardo, dove s’impone Thévenet, è poco superiore al minuto e mezzo, bastante per togliergli per un minuto esatto la maglia gialla, che finisce sulle spalle di Zoetemelk: la classifica rivoluzionata vede ora l’olandese in testa con appena un secondo di vantaggio su Ocaña, mentre Pettersson è 3° a 40”. Quarto è Merckx e l’unico dei quattro attaccanti di giornata a non esser riuscito a superarlo è Thévenet, 5° a 1’22”.
La frazione successiva è la più impegnativa della fase alpina, anche se non presenta un percorso particolarmente difficile perché, come abbiamo già detto, quest’anno gli organizzatori hanno confezionato un percorso abbastanza morbido, forse nel tentativo di contenere lo strapotere merckxiano. Si devono percorrere 134 Km affrontando in partenza la salita più difficile, la Côte de Laffrey, quindi il pedalabile Col du Noyer e la salita finale verso Orcières-Merlette, che debutta come arrivo di tappa. Si tratterà di un battesimo di fuoco per la piccola stazione di sport invernali per il clamoroso successo di Ocaña, ottenuto in una giornata che ha visto Merckx in difficoltà fin da subito. In cima alla Côte de Laffrey il belga ha già quasi due minuti di ritardo su Zoetemelk, Ocaña e Van Impe, usciti dal gruppo per rispondere ad un attacco del portoghese Joaquim Agostinho. Il loro vantaggio aumenta rapidamente e quando questo comincia leggermente a scemare Ocaña capisce che è il momento di tentare l’affondo: sul Col de Noyer si sbarazza dei compagni d’avventura, con Van Impe che riesce a rimanere a bagnomaria tra lo spagnolo e il gruppo di Merckx, nel quale viene riassorbito Zoetemelk. I minuti tornano rapidamente a salire e al traguardo Ocaña si presenta con 5’52” su Van Impe e 8’42” sul “cannibale”, che si consola anticipando sul rettilineo d’arrivo Zoetemelk, Pettersson e Thévenet. Lo spagnolo ci ha “dato dentro” così tanto che ha fatto finire fuori tempo massimo ben settanta corridori (su 109), anche se alla fine la giuria grazierà quasi tutti, “obbligando” al ritiro solo Godefroot e gli italiani Attilio Benfatto e Virginio Levati, giunti al traguardo quasi 40 minuti dopo la vittoria di Ocaña.
I più pensano che, stando così le cose, il Tour di Merckx siano irrimediabilmente compromesso perché non sarà semplice recuperare i quasi 10 minuti di ritardo che il belga ha ora in classifica dallo spagnolo, preceduto in graduatoria da Zoetemelk (2° a 8’43”), Van Impe (3° a 9’20”) e Pettersson (4° a 9’26”). Ma Merckx non è un corridore che si rassegna facilmente e, anche se ai giornalisti ha detto che oramai il Tour è perduto, in cuor suo sta già meditando altre leggendarie imprese per accorciare le distanze da Ocaña. Siccome sa che anche lui che il rivale ha ottime doti in salita e a cronometro (l’anno prima a Parigi, sulla distanza di 54 Km, era riuscito a distanziarlo “solo” di 1’47”), decide per un attacco a sorpresa nella tappa in programma dopo il giorno di riposo, che sulla carta è la meno adatta per un’azione del genere. I 251 Km che si devono percorrere per andare a Marsiglia hanno l’aspetto di una noiosa frazione di trasferimento, completamente pianeggiante se si escludono un microscopico GPM di 4a categoria piazzato poco dopo metà tappa e il tratto iniziale in discesa, perché in partenza si deve ricalcare al contrario il finale della tappa di Orcières-Merlette. È proprio quella discesa in apertura di tappa a ispirare Merckx che prima della partenza concorda la strategia dell’attacco assieme ai suoi compagni di squadra. Così appena viene abbassata la bandierina del via Wagtmans si lancia all’attacco e dietro gli vanno immediatamente altri nove corridori tra i quali ci sono il “cannibale” e gli italiani Enrico Paolini e Luciano Armani. Questo drappello viaggia a quasi 50 Km/h nelle prime due ore di corsa, mentre il vantaggio oscilla per molti chilometri attorno al minuto e mezzo, salvo toccare una punta di poco più di due minuti in occasione di una foratura di Ocaña e scendere di poco al traguardo di Marsiglia, dove Armani si prende il lusso di anticipare allo sprint il belga, felice d’aver recuperato 1’56” allo spagnolo e di essere risalito al secondo posto della classifica, dove ora ha un passivo di 7′34″. E anche in questa tappa in diversi corridori hanno superato la soglia del tempo massimo – in tredici per la precisione, tra i quali lo spagnolo Fuente – ma anche in questo caso la giuria interviene e riammette tutti in corsa.
Il mattino successivo si sale tutti sull’aereo per volare ad Albi, dove nel pomeriggio si disputa un’altra frazione utile alla causa di Merckx, una cronometro individuale che comunque è troppo corta per consentire al belga di guadagnare un vantaggio rassicurante. Il belga vince come da copione ma in 16 km riesce a far meglio di Ocaña solo per undici secondi mentre, tra gli altri rivali di classifica, Thévenet ne accusa 42, Zoetemelk e Van Impe superano di poco il minuto di ritardo e poco più perde Petterson.
Ed è già ora di affrontare i Pirenei, introdotti da una frazione di 214 Km che propone il classico arrivo in discesa a Luchon dopo esser saliti sul Portet d’Aspet, sul Menté e sul Portillon, al quale si giunge dopo un breve sconfinamento in Spagna. Ma sulle strade del suo paese natale Ocaña non ci giunge, né in maglia gialla, né fisicamente. Mentre in testa alla corsa c’è il suo connazionale Fuente, in fuga da più di 100 Km con quasi 5 minuti di vantaggio, sotto un incessante diluvio il capoclassifica cade nell’affrontare un tornante della discesa dal Menté. L’incidente non ha conseguenze e lo spagnolo tenta di rialzarsi senza riuscirci, perché ha i piedi ancora legati ai pedali dai cinturini che si usavano all’epoca; così è ancora a terra quando viene centrato in pieno da Zoetemelk e stavolta l’impatto è di quelli che fanno male. Le immagini lo mostrano mentre si contorce a terra, con urla e il volto deformato dal dolore che impressionano i presenti e anche i primi soccorritori, che ci mettono un secondo a capire che è successo qualcosa di grave e lo caricano sull’ambulanza per un inutile viaggio verso il più vicino ospedale. Inutile perché le lastre riveleranno che non c’erano né fratture, né altre lesioni e, attendendo un attimo, forse il corridore spagnolo sarebbe riuscito a risalire in sella e a completare la tappa. Ma probabilmente la botta era stata così forte e il dolore così alle stelle che nemmeno lo stesso Ocaña ci avrebbe creduto. Intanto la tappa continua e vede il connazionale portare a termine vittoriosamente la fuga intrapresa molti chilometri prima, mentre tutti gli altri avversari di Ocaña terminano la tappa assieme oltre sei minuti dopo l’arrivo di Fuente, con Merckx che taglia il traguardo in seconda posizione ritrovandosi con la maglia gialla sulle spalle.
Il belga, che è sì cannibale ma è anche gentiluomo, l’indomani mattina rifiuta di vestire le insegne del primato per rispetto verso il collega e affronta con la divisa arancione della Molteni la più breve tappa in linea della storia del Tour. Può essere scambiata per una cronoscalata, ma non lo sono i 19 Km e 600 metri della frazione che da Luchon sale alla soprastante Superbagnères dove Fuente bissa il successo ottenuto poche ore prima e Merckx offre una conferma delle sue condizioni non ottimali. Se fosse stato ancora in corsa Ocaña avrebbe certamente guadagnato su Eddy anche in questa tappa, dove il belga si vede sopravanzare di una trentina di secondi da Van Impe e Thévenet, mentre Zoetemelk conclude con il suo medesimo tempo.
Il vantaggio del belga in classifica è comunque rassicurante, perché circa 2’20” lo separano da Van Impe e Zoetemelk, rispetto ai quali sarebbe in giallo anche senza il tempo recuperato con la fuga verso Marsiglia. Ma il suo connazionale che lo segue immediatamente in graduatoria vuole ancora sfruttare il difficile periodo che sta attraversando il “cannibale” e lo attacca anche nell’ultima frazione pirenaica, una cavalcata di 145 Km che ripropone il tratto iniziale della leggendaria tappa di Mourenx, con il traguardo fissato a Gourette, poco meno di 5 Km dopo la cima dell’Aubisque. Van Impe, però, sbaglia, clamorosamente i tempi e, anziché attendere l’ultimo colle, parte sul Tourmalet quando all’arrivo mancano una settantina di chilometri. Riesce a guadagnare fino a 1’45”, ma poi si spegne lentamente alla distanza e viene riassorbito da Merckx e Zoetemelk, con i quali arriva “spicciolata” al traguardo di Gourette. Un minuto e mezzo dopo la vittoria del francese Bernard Labourdette – per la gioia dei suoi connazionali nel giorno della festa nazionale – Merckx taglia il traguardo con due secondi di vantaggio su Van Impe, uno in più su Zoetemelk e a questo punto può dire di avere il Tour in tasca: se ha perso il suo smalto in salita, la tappa di Albi ha mostrato come ancora riesce a esprimersi a cronometro e tra qualche giorno se ne dovrà affrontare una di 54 Km.
In attesa di questa tappa si susseguono una serie di frazioni di trasferimento, la prima delle quali si disputa il giorno stesso del tappone pirenaico. Nel tardo pomeriggio sono in programma 72 Km alla volta di Pau, che vengono ridotti di 15 Km tagliando la discesa iniziale da Gourette a Laruns per evitare eccessivi pericoli ai corridori, essendosi scatenato proprio al momento della partenza un violento temporale, simile a quello avvenuto al momento della caduta di Ocaña due giorni prima. C’è un corridore che, però, crede ancora di poter mettere in difficoltà Merckx ed è sempre Van Impe, che decide di sfruttare una piccola ma ripida “côte” collocata a 16 Km dal traguardo, riuscendo soltanto a sfoltire il gruppo, dal quale a 10 Km dall’arrivo escono i belgi Van Springel e Willy Van Neste, che insistono e riescono a giungere al traguardo – dove a imporsi è il primo – con 24” di vantaggio su di un gruppetto di undici corridori tra i quali ci sono la maglia gialla, Van Impe e Zoetemelk.
Merckx potrebbe accontentarsi, anche perché non ci sono più altre occasioni nelle quali il connazionale potrebbe insidiarlo, ma forse non ci sta a passare per uno che ha vinto il Tour soltanto sfruttando le “disgrazie” altrui. Così, dopo aver fatto visita a casa di Ocaña (la tappa parte proprio da Mont-de-Marsan, dove risiede lo sfortunato corridore), rispondendo a un tentativo di un gregario di Van Impe si lancia all’attacco verso Bordeaux, in una tappa che più piatta non si può. S’inventa così un’altra impresa, come quella di Mourenx di due anni prima e quella di Divonne del precedente Tour, portandosi dietro altri quattro corridori, che poi precede allo sprint, mentre dietro i più diretti avversari di classifica si affannano ma non riescono a colmare un gap che supera di poco i tre minuti al traguardo.
E così il belga ha dato un bello schiaffone a tutti, ha fatto ancora capire che il più forte è lui. Nessun altro ci proverà a rompergli le scatole nelle due rimanenti frazioni in linea, che entrambe vedono andare via la fuga (a Poitiers s’impone il francese Jean-Pierre Danguillaume, a Versailles è il turno dell’olandese Jan Krekels), poi si fionda con il solito piglio sulle strade parigine per un epilogo a cronometro che è una nuova apoteosi per il belga. Il distacco che patirà il portoghese Agostinho al traguardo, due minuti e trentasei secondi, è un suo record personale perché è il più elevato che Merckx riuscirà a dare al secondo classificato di una cronometro di un grande giro in tutta la sua carriera. Poi c’è un abisso verso gli altri corridori che speravano di farlo tribolare: Zoetemelk ha perduto più di quattro minuti, Zoetemelk ha fatto poco peggio dell’olandese, mentre Van Impe ha lasciato sulle strade della capitale francese più di cinque minuti e mezzo.
La classifica vede il belga prevalere con 9’51” su Zoetemelk, 11’06” su Van Impe e 14’50” su Thévenet.
Tremate, tremate, il cannibale è tornato!
O forse non se n’era mai andato.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: manca il prologo

Merckx e Ocaña al Tour del 1971
BATTI UN CINQUE – 1970, IL SECONDO TOUR DI MERCKX
Il 1970 è l’anno della prima delle tre doppiette Giro-Tour per Eddy Merckx. In quell’edizione della Grande Boucle praticamente si lottò solo per il secondo posto e, se non ci fossero stati i sei giorni in giallo di Italo Zilioli, il “cannibale” avrebbe vestito le insegne del primato dalla prima all’ultima tappa di un Tour che mise in evidenza anche una serie d’interessanti giovani.
Inevitabile.
Se, dopo Fausto Coppi e Jacques Anquetil, all’inizio degli anni ’70 c’era un corridore che poteva conseguire la storica doppietta Giro-Tour, quel corridore non poteva che essere Eddy Merckx. L’aveva già messa in cantiere nel 1969 ma l’espulsione dalla Corsa Rosa aveva rinviato il progetto di dodici mesi, alla sesta stagione da professionista del corridore belga, che prima di Giro e Tour aveva vinto la Gand-Wevelgem, la Parigi-Roubaix, la Freccia Vallone, due tappe al Giro di Sardegna, tre tappe e la classifica finale alla Parigi-Nizza, due tappe e la classifica del suo Giro del Belgio. Poi si era schierato ai nastri di partenza del Giro e lo aveva vinto conquistando tre tappe (Saint-Vincent, Brentonico e la cronometro di Treviso) e imponendosi con un vantaggio di 3’14” su Felice Gimondi. L’inarrestabile marcia del belga passa poi per il campionato nazionale, che vince una settimana prima della partenza del Tour da Limoges, al via del quale è già palese che si lotterà quasi certamente solo per il secondo posto. È un Tour che, oltre al “cannibale”, vede al via una serie d’interessanti giovani come l’olandese “Joop” Zoetemelk (vincitore del Tour de l’Avenir l’anno precedente), lo svedese Gösta Pettersson, il belga Lucien Van Impe, lo spagnolo Luis Ocaña e il francese Bernard Thévenet. Non sembrano, invece, offrire grosse garanzie i “grandi vecchi” del ciclismo transalpino, il trentenne Roger Pingeon e il trentatreenne Raymond Poulidor, che non si è ancora del tutto ripreso da un recente attacco di “fuoco di Sant’Antonio”. Difficilmente, infine, i corridori italiani potranno lottare anche solo per un piazzamento sul podio perché i più valorosi sono rimasti a casa (Gimondi, Vittorio Adorni, Gianni Motta) e l’unico nome interessante è quello di Italo Zilioli, che però è un compagno di squadra di Merckx e deve quindi sottostare a obblighi di scuderia. Il torinese riuscirà comunque a vestire per quasi una settimana la maglia gialla, togliendola al proprio capitano nella tappa di Angers per poi riconsegnargliela al termine della frazione di Valenciennes, periodo nel quale Merckx scenderà dal primo al secondo posto della classifica: se non ci fosse stato Zilioli il Tour del 1970 sarebbe stato un assolo di Merckx, maglia gialla dal primo all’ultimo giorno.
Infatti, è Merckx a imporsi nel cronoprologo di poco più di 7 Km che apre la corsa transalpina precedendo di 4” il francese Charly Grosskost, con il vincitore del Tour 1968 Jan Janssen terzo a 8”. Sono così già costretti a inseguire Ocaña (6° a 15”), Zoetemelk (9° a 20”), Pettersson (10° a 23”), Poulidor (10° a 23”), Pingeon (26° a 34”), Thévenet (40° a 38”) e Van Impe (50° a 43”). Il primo italiano è Giancarlo Polidori, 21° a 31”, mentre Zilioli è 29° a 35”.
La prima tappa in linea, 224 Km da Limoges a La Rochelle, è prima caratterizzata da un breve tentativo di fuga nel quale s’inseriscono anche il capoclassifica e Van Impe, poi dall’errore in cui incappano tre corridori – l’italiano Marino Basso e i belgi Walter Godefroot ed Eric Leman – che scambiano il primo passaggio dal traguardo per l’arrivo vero e proprio e s’impegnano in un’inutile volata. Quella vera, pochi chilometri più avanti, è appannaggio del francese Cyrille Guimard, futuro direttore sportivo di Bernard Hinault e Laurent Fignon, che allo sprint regola Janssen e Merckx, che così s’intasca anche i cinque secondi d’abbuoni spettanti al terzo piazzato.
Arriva quindi il giorno della maglia gialla di Zilioli, che la veste ad Angers dopo esser andato in fuga con altri sei corridori per quasi 160 Km e aver raggiunto lungo la strada un vantaggio massimo di quasi sei minuti, poi ridotto a soli 24 secondi dalla veemente reazione del gruppo.
Tra il torinese e il belga in classifica ci sono 4 secondi, un gap destinato a rimanere intatto il mattino successivo quando la formazione dei due corridori, la Faema-Faemino, s’impone nella breve cronosquadre di 11 Km disegnata sulle stesse strade di Angers. Per Merckx è un’altra nutrita infornata di secondi (come al solito in quei tempi valevano soltanto gli abbuoni e non i tempi reali) prima di rimettersi in sella per la pomeridiana semitappa verso Rennes, dove la festa italiana viene prolungata dal successo allo sprint di Basso, che si riscatta della figuraccia di due giorni prima prevalendo allo sprint proprio su un altro protagonista di quell’episodio, Godefroot.
Anche quest’ultimo trova la maniera di “riabilitarsi” conquistando la tappa che si conclude a Lisiuex, movimentata sia da un attacco di Merckx (tra i nomi più attesi Zoetemelk e Ocaña perdono 11 secondi, mentre Pingeon, Van Impe e Thévenet lasciano per strada più di un minuto), sia da diversi incidenti, in uno dei quali sono coinvolti gli italiani Luciano Armani, Arturo Pecchielan e Pietro Tamiazzo, tutti e tre costretti al ritiro (in particolare Tamiazzo, che rimedia una frattuta alla colonna vertebrale).
Alla vigilia del pavè si disputa un’altra frazione suddivisa in due semitappe, la prima delle quali viene condotta ad altissima velocità dal gruppo (media finale di oltre 45.348 Km/h) in seguito ad una girandola di attacchi e contrattacchi che vedono impegnata in prima persona la squadra di Merckx nel tentativo di riprenderli, soprattutto quando a muoversi è Herman Van Springel, il corridore belga che potrebbe costituire un avversario pericoloso per il “cannibale” avendo perduto per soli 38 secondi il Tour nel 1968. Registrato il bis di Godefroot in quel di Rouen, non meno “lenta” (44.440 Km/h) si rivela anche la semitappa diretta ad Amiens, dove a cogliere la vittoria è il belga Jozef Spruyt.
Capitan Merckx avrà gradito lo “scippo” della maglia gialla da parte del suo luogotenente? Il dubbio che serpeggia in carovana sin dalla tappa di Amiens trova una risposta sulle strade della Roubaix e quella risposta è un secco no perché quando Zilioli fora a 32 Km dall’arrivo nessuno dei suoi lo aiuta a rientrare. D’ora in avanti in casa Faema si corre solo per il belga, anch’esso colpito dalla sorte avversa con la rottura di una ruota nel finale, incidente dopo il quale riesce a rientrare sulla testa della corsa quando manca un chilometro al traguardo di Valenciennes, dove a imporsi è Roger de Vlaeminck. Senza alcun aiuto Zilioli riesce comunque a contenere il distacco in un minuto e ventuno secondi, ma è costretto a riconsegnare il “maltolto” al suo capitano, che torna in giallo con 5” su Godefroot al termine di una tappa nella quale il belga ha guadagnato anche sugli altri rivali: paritempo con Eddy hanno concluso solo Poulidor e Zoetemelk, mentre Ocaña ha perduto cinquanta secondi, Petterson un minuto, Van Impe due minuti, Pingeon quasi tre minuti e Thévenet quattro minuti.
E così, come accaduto l’anno prima, Merckx si presenta sulle strade di casa con la maglia gialla, destinata a diventare ancora più “raggiante” sul traguardo di Forest, al quale il belga si presenta in solitaria con venti secondi di vantaggio sul connazionale Van Impe e quaranta secondi prima della volata del gruppo nel quale ci sono tutti gli altri big. Il colpo riuscitogli al mattino gli sfugge, invece, al pomeriggio in quella che doveva essere la tappa più congeniale ai suoi mezzi, una breve crono di 7 Km nella quale viene relegato in seconda posizione per soli tre secondi dal sorprendente spagnolo José Antonio González, mentre tutti gli altri accusano distacchi abbastanza contenuti proprio per la limitatezza del chilometraggio.
Si sconfina anche in Germania (la tappa di Felsberg è vinta dal francese Alain Vasseur, padre di quel Cédric che vestirà per 5 giorni la maglia gialla al Tour del 1997) prima di rientrare in Francia con la prima frazione di montagna, che è anche la più lunga di questa edizione. Superando le cime dei colli della Schlucht, del Grand Ballon e di Silberloch si devono percorre quasi 270 Km per andare a Mulhouse, traguardo dove si assiste a una volata tra due corridori della Frimatic, con il portoghese Agostinho che taglia per primo la linea d’arrivo ma viene poi retrocesso dalla giuria al secondo posto per essersi aggrappato alla maglia del danese Mogens Frey, il suo compagno di squadra che sarà poi decretato vincitore. Tre secondi dopo questo contestato epilogo giunge sul traguardo un gruppo foltissimo, forte di ben 80 corridori nonostante la lunghezza della frazione e la sua altimetria perché quasi nessuno oggi ha provato un attacco ai danni di Merckx, che si è limitato a inseguire un tentativo di Zoetemelk provocando un temporaneo cedimento di Poulidor e Ocaña.
Approfittando del disinteresse generale Merckx s’inventa il giorno dopo un’altra impresa alla “Mourenx”, come quella messa in scena l’anno prima nel tappone pirenaico. È un attacco a sorpresa quello del belga, anche perché la tappa che termina a Divonne-les-Bains è una poco appetitosa frazione di media montagna, sul cui terreno lo stesso a guadagnare parecchio sugli svogliati avversari. Stavolta non è da solo perché al traguardo si presenta in compagnia dell’italiano Guerrino Tosello e del connazionale Georges Pintens, mentre 25 secondi più tardi taglia la linea d’arrivo Zoetemelk, che aveva preso parte al tentativo messo in opera dal “cannibale”. I distacchi degli altri favoriti non sono clamorosi come quelli dell’anno prima ma fanno comunque sensazione, perché Petterson paga quasi 3 minuti mentre bisogna attendere 5 minuti e mezzo per vedere al traguardo la sagoma di Poulidor e oltre 12 minuti per l’arrivo di Ocaña.
Poche ore più tardi ha nuovamente l’occasione di allungare in classifica perché a Divonne si disputa un’altra breve cronometro, che era stata inserita anche nel percorso del Tour del 1969. Sono poco meno di 9 Km nei quali il belga bissa il successo ottenuto l’anno precedente respingendo indietro l’incubo del corridore che l’aveva battuto pochi giorni prima, lo spagnolo González, che si deve accontentare del secondo posto con 9” secondi di ritardo. Il giorno stesso si corre una frazione di circa 140 Km che si conclude su un traguardo in quel periodo benevolo per i corridori italiani, quello di Thonon-les-Bains dove l’anno prima si era imposto Michele Dancelli, al quale succede Basso, vincitore allo sprint su Janssen e Godefroot. Intanto, dopo Tamiazzo un altro corridore italiano è costretto a lasciare il Tour per un grave infortunio: è il pesarese Enrico Paolini, che viene ricoverato in rianimazione dopo aver riportato la frattura del cranio.
E così quando ancora devono cominciare le grandi tappe di montagna il primato in classifica di Merckx sembra già inaffondabile perché alle porte delle Alpi il belga si presenta con un vantaggio di tre minuti spaccati su Zoetemelk, di 4’24” su Pintens, di quasi otto minuti su Petterson e di quasi nove su Poulidor. La musica non cambierà nemmeno al traguardo di Grenoble, dove è ancora il belga a transitare in prima posizione e in quest’occasione senza corridori al suo fianco perché ha fatto tutto da solo. È partito sul penultimo dei cinque colli in programma, il Cucheron, ha raggiunto e superato in discesa il corridore che si trovava in testa alla corsa, lo spagnolo Andrés Gandarias, e senza alcuna compagnia ha coperto l’ultima trentina di chilometri, presentandosi sulla pista del velodromo di Grenoble con 1’35” di vantaggio su un altro iberico, Luis Zubero, e con 2’07” sull’italiano Silvano Schiavon, lo stesso distacco dello svedese Petterson. Janssen, Van Impe, Zoetemelk e Poulidor terminano nel gruppetto di una dozzina di corridori che completa la tappa con tre minuti di ritardo dal “cannibale”, mentre Ocaña cede ancora e perde altri 18 minuti.
La seconda frazione alpina pare più una tappa di trasferimento verso il Mont Ventoux in programma il giorno successivo perché si devono affrontare salite dalle pendenze gradevoli come l’inedito Col du Noyer e il Col de la Sentinelle, posto a ridosso del traguardo di Gap. È un’ottima occasione per i cacciatori di tappe e ne approffitta l’italiano Primo Mori (padre dei fratelli, pure corridori, Manuele e Massimiliano), che consegue la sua prima vittoria da professionista precedendo di 1’17” l’olandese Marinus Wagtmans e di 2’30” un gruppetto di quattro corridori nel quale, manco a dirlo, c’è ancora Merckx, che anche oggi è riuscito a distanziare i rivali (escluso Van Impe), giunti al traguardo con una quarantina di secondi di ritardo, eccettuato Ocaña che pure oggi ha incassato un pesante passivo di quasi 25 minuti. La gioia per il tempo guadagnato lascia, però, subito lo spazio al dolore perché immediatamente dopo aver tagliato il traguardo gli viene comunicata la notizia della scomparsa di Vincenzo Giacotto, il manager della sua squadra al quale Merckx era legatissimo: i fotografi presenti sulla linea d’arrivo lo immortalano piegato in due mentre piange accanto alla sua bicicletta, meditando di dedicargli l’indomani la vittoria sul Ventoux.
Sul “Gigante della Provenza” il belga (e non solo lui) corre un bel rischio, forse strafacendo con la doppia intenzione di onorare la memoria di Giacotto e di ampliare ancora di più il suo predominio. Arriva sfinito al traguardo con poco più di un minuto di vantaggio sul connazionale Martin Van Den Bossche, che subito dopo crolla svenuto. Lo stesso capita a Merckx quando, durante un’intervista del dopotappa, avverte il giornalista di sentirsi mancare l’aria, si accascia ed è necessario l’intervento di un medico con la bombola dell’ossigeno per farlo riprendere. Sono due episodi che scatenano il malumore in un gruppo nel quale è ancora vivo il ricordo della tragica morte di Tom Simpson sul Ventoux al Tour di 5 anni prima e si chiede che la salita non venga mai più inserita nel tracciato della corsa, perché lassù “si rischia la vita” (parole di Merckx) e perché, come lamenta Poulidor, anche se i corridori sono pagati per correre determinati rischi, a tutto c’è un limite. Sarà anche per questo motivo che nel 1972 gli organizzatori proporranno la scalata al monte dal versante opposto, molto meno impegnativo e quasi tutto al “verde”. La cronica mancanza d’ossigeno in vetta al “Monte Calvo” non ha impedito, però, al campionissimo belga di “banchettare” dei rivali, giunti staccatissimi ai piedi dell’osservatorio: Thévenet paga 1’25”, “Poupou” 1’31”, Petterson 1’39”, Zoetemelk 2’44”, Ocaña a 8’19” e, al di là di tutte le Alpi, Merckx si ritrova ad avere un vantaggio di 9’26” su Zoetemelk e di 11’21” su Petterson.
Per arrivare ai piedi dei Pirenei bisogna affrontare tre facili tappe di trasferimento, la prima delle quali termina a Montpellier con uno sprint falsato dalle pessime condizioni della pista d’atletica in terra battuta sulla quale gli organizzatori hanno collocato il traguardo. Pochi minuti prima dell’arrivo si pensa di bagnarla con un getto d’acqua per renderla più compatta, operazione che si rivela una toppa peggiore del buco perché i corridori si ritrovano a sprintare su una specie di poltiglia che prima causa la caduta di Janssen, poi quella di Godefroot e infine la frenata di Basso, che in questo modo evita di ruzzolare anch’esso ma si gioca la possibilità di vincere la tappa, venendo preceduto in volata da Wagtmans.
La tappa di Tolosa termina con la vittoria del belga Albert Van Vlierberghe, andato in fuga con l’italiano Attilio Benfatto. La frazione è tranquilla per tutti gli altri uomini di classifica che viaggiano con la mente già proiettata alle prossime giornate di montagna, ma non per Merckx al quale capita un piccolo infortunio quando mancano 5 Km dall’arrivo. Improvvisamente un piccolo grido rompe la calma del gruppo e si vede il belga fermarsi e coprirsi un occhio con le mani, dopo esser stato colpito proprio in quel punto da un sasso, proiettato dalla strada al suo volto dopo che sopra ci era passata la ruota di un corridore. Eddy è costretto a fermarsi un attimo ma poi, valutata la situazione e notato che non c’erano state conseguenze, rimonta in sella e, con l’aiuto dei compagni di squadra e favorito dalla velocità non troppo elevata, nel giro di un chilometro riesce a rientrare in un gruppo che neanche si è accorto dell’incidente occorso alla maglia gialla.
Annunciato alla partenza come uno dei giovani più promettenti e uno dei pochi che avrebbe potuto mettere in difficoltà Merckx (e il Tour dell’anno confermerà queste previsioni), lo spagnolo Ocaña trova l’opportunità di riscattare una corsa per lui fallimentare azzeccando la fuga a 40 Km dal traguardo di Saint-Gaudens, dove giunge in perfetta solitudine con il beneplacito della squadra della maglia gialla – anche perché a questo punto ha un ritardo che supera abbondantemente l’ora – e con poco meno di tre minuti di vantaggio su di un gruppo che anche oggi ha viaggiato al piccolo trotto per risparmiare energie in vista delle ultime tappe di montagna.
Per l’indomani il Tour strombazza sull’altimetria il nome del Tourmalet, anche se in realtà si affrontano solo i primi 12 Km della mitica ascesa, fino alla località di La Mongie dove si conclude una tappa di 135 Km che propone anche le salite ai colli di Menté, del Peyresourde e dell’Aspin. La frazione si rivela molto deludente perché quasi nessuno approfitta – per mancanza di forze, di volontà o di coraggio – di un altro problema fisico di Merckx che, dopo il malore sul Ventoux e il sassolino nell’occhio a Tolosa – oggi soffre di mal di stomaco e, nonostante questo handicap, riesce comunque a far meglio dei rivali, tra i quali gli unici a riuscire a far leva sulle piccole crepe del belga sono il francese Thévenet, che s’impone per la gioia dei francesi nel giorno dell’anniversario della presa della Bastiglia, il belga futuro compagno di squadra Van Den Bossche e l’altro connazionale Van Impe. Gli altri, invece, perdono anche contro un Merckx a mezzo servizio, con Zoetemelk che gli “concede” altri 31 secondi, Petterson che finisce a un minuto dal belga, Ocaña che risorge dopo la vittoria del giorno prima e termina a 1’13” e Poulidor che conclude la tappa quasi 4 minuti dopo l’arrivo di Eddy.
L’ultima tappa di montagna è stata pensata dagli organizzatori come un omaggio a Merckx perché s’è stabilito di riproporre la frazione di Mourenx dove l’anno prima fu autore di una fantastica impresa, rendendola però più “complicata” per il belga accorciandola di 30 Km e depennando le prime due salite, che già erano state affrontate il giorno prima (Peyresourde e Aspin). La partenza viene così spostata da Luchon a Bagnères-de-Bigorre – scalando in partenza il Tourmalet dallo stesso versante della tappa di La Mongie e poi l’Aubisque – e viene allungato il tratto privo di difficoltà successivo all’ultimo colle portandolo a 90 Km. La tappa così modificata si rivela, però, tutt’altro che selettiva, anche se a un certo punto Merckx era riuscito a ridurre il gruppo dei migliori a soli nove corridori accelerando nella discesa dal Tourmalet, affrontata sotto la pioggia. I quasi cento chilometri di “nulla” dopo l’ultimo colle permettono al gruppo di tornare a ricompattarsi sino a risultare composto di 45 corridori al traguardo di Mourenx, dove viene preceduto di due minuti e mezzo dal francese Christian Raymond. E per Merckx è un’altra tappa portata a termine dopo aver dovuto ancora fare i conti con un incidente di percorso sfuggito agli avversari, una capocciata presa sulla fiancata della sua ammiraglia in seguito ad una sbandata, avvenuta mentre un meccanico gli stava oliando la catena.
Passati senza squilli i Pirenei, ora il “cannibale” può rompere la sua dieta e tornare a guadagnare perché il giorno successivo – dopo una semitappa vinta allo sprint dal tedesco Rolf Wolfshohl, che precede al fotofinish l’italiano Franco Mori, inizialmente proclamato vincitore e fatto salire sul podio delle premiazioni, dove ha fatto a tempo anche a ricevere il rituale bacio della miss – è prevista la quinta “minicrono” di questo Tour dopo quelle disputate a Limoges, Angers, Forest e Divonne. Le ha quasi tutte vinte il belga – quella di Angers in compagnia, essendo la cronosquadre conquistata dalla Faema, mentre a Forest era stato sorpreso dallo spagnolo González – e anche quella disegnata sul circuito del lago artificiale di Bordeaux va ad arricchire il carniere del cannibale, che in 8 Km e 200 metri respinge di 12” lo svedese Tomas Petterson (fratello minore di Gösta) e di 13” Ocaña, galvanizzato dal fatto di correre su strade amiche perché, pur essendo spagnolo di nascita, dall’infanzia si è trasferito con i genitori in Francia, stabilendosi a Mont-de-Marsan.
C’è un’altra cronometro da disputare, collocata all’ultimo giorno di gara e decisamente più “extralarge” nel chilometraggio, ma per arrivarci ci si deve prima sciroppare altre due lunghe tappe di trasferimento che si rivelano essere di ordinaria amministrazione per Merckx, anche se il belga nella prima delle due frazioni – che termina a Tours con il terzo successo di Basso – si è fatto vedere in testa al gruppo per un breve tratto, mettendosi a tirare ad altissima velocità, e poi si è imposto nella volata di un inutile Gran Premio della Montagna di quarta categoria.
Da Versailles, dove il giorno prima la penultima tappa era terminata con l’affermazione allo sprint del francese Jean-Pierre Danguillaume, il 19 luglio scatta l’atto conclusivo del Tour 1970, una prova contro il tempo di 54 Km che non può che terminare con un’ennesima affermazione di Merckx, l’ottava per la precisione. Sulla pista della Cipale il responso dei cronometri è ancora tutto a favore del belga e stavolta i distacchi non sono quelli ridotti delle microtappe inserite a profusione in questo Tour: il primo dei “terrestri” è Ocaña, che ha messo alle spalle i problemi di salute che ne hanno condizionato il rendimento nei tapponi alpini e ha terminato la tappa con 1’47” di ritardo dal marziano in maglia Faema. Terzo a 2’15” è Petterson, quarto a 2’37” Zoetemelk, settimo a 3’08” Poulidor: sono le ultime briciole di un Tour dove Merckx s’è fatto un’altra bella scorpacciata e ha portato a casa la classifica degli scalatori, quella della combattività e quella combinata, oltre ad essere salito sul podio parigino con 12’41” su Zoetemelk e 15’54” su Petterson. E avrebbe fatto sua anche quella a punti se Godefroot non l’avesse sopravanzato di 5 miseri punticini.
E la doppietta è servita.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: presenti solo le tre tappe alpine (12a – 13a – 14a tappa), le due pirenaiche (18a – 19a tappa), la prima semitappa della 20a tappa, la 21a e la 22a tappa

Merckx stravolto al traguardo del Ventoux, subito prima del collasso che renderà necessario l'intervento di un medico con una bombola d'ossigeno per rianimarlo
BATTI UN CINQUE – 1969, IL PRIMO TOUR DI MERCKX
Arriva Merckx al Tour e non ce n’è per nessuno. Si porta addosso la rabbia per la “cacciata” dal Giro d’Italia e la mette tutta nei pedali, riuscendo a imporsi in classifica, al suo primo Tour, con oltre un quarto d’ora di vantaggio sul corridore giunto secondo, l’italo-francese Roger Pingeon. E nasce così la leggenda del “cannibale”.
Merckx contro tutti.
Contro i più quotati avversari, contro sé stesso, contro le recenti vicende che l’hanno visto esplulso dal Giro d’Italia dopo esser stato scoperto positivo a un controllo antidoping, un verdetto che lui ha sempre rigettato e che ha suscitato parecchie perplessità anche tra i suoi colleghi e tra molti giornalisti. La stessa Unione Ciclistica Internazionale gli è venuta incontro, riducendo di qualche giorno la sospensione di un mese dalle corse per permettergli di essere al via del Tour che scatta il 28 luglio da Roubaix tra mille dubbi.
Quasi un mese senza gare avrà intaccato la tenuta del belga in una corsa di tre settimane? Sapranno i suoi più accreditati rivali approfittarne di questa particolare situazione? Oltre a Merckx ci sono almeno tre corridori che si presentano ai nastri di partenza con velleità di vittoria finale, a cominciare da Jan Janssen, che l’anno prima si era imposto nella classifica finale ed era stato il primo olandese a riuscirci. L’Italia è rappresentata da Felice Gimondi, che il Tour l’ha vinto quattro anni prima, e un pochino anche dal francese Roger Pingeon, che ha vinto nel 1967 e che ha profonde radici piemontesi essendo la nonna materna originaria di Bernezzo, piccolo centro alle porte di Cuneo. Altri nomi interessanti sono quelli del francese Lucien Aimar (primo al Tour del 1966 ma che corre in squadra con il vincitore uscente Janssen), del suo connazionale Raymond Poulidor e del “vecchio” connazionale di Merckx Rik Van Looy (35enne, si ritirerà l’anno successivo), mentre tra gli altri azzurri risalta la presenza di Marino Basso, Michele Dancelli, del campione olimpionico in carica Pierfranco Vianelli, di Dino Zandegù, del due volte vincitore del Giro Franco Balmamion e di Wladimiro Panizza. Ci sono anche tre giovani corridori che saranno in futuro protagonisti della corsa francese come lo spagnolo Luis Ocaña, il belga Lucien Van Impe e il portoghese Joaquim Agostinho.
Su tutti, però, si abbatterà come una mannaia il furore di Merckx, che deve ancora smaltire la rabbia dell’esclusione dalla Corsa Rosa e la metterà tutta nei pedali, unitamente alla classe che lo contraddistingue: a Parigi il secondo classificato accuserà 17’54” di ritardo!!! E pensare che era totalmente digiuno di Tour, corsa alla quale prendeva parte per la prima volta in carriera.
Vorrebbe subito la maglia gialla Merckx, anche perché dopo il cronoprologo di Roubaix è in programma uno sconfinamento in Belgio e ci tiene da matti a indossarla orgoglioso davanti ai suoi tifosi. Riuscirà a farlo, ma solo il giorno dopo perché nella breve crono con arrivo nel celebre velodromo il tempo migliore è quello del tedesco Rudi Altig, che precede l’agguerrito belga di sette secondi. Tra i corridori più attesi Gimondi è 5° a 21”, Poulidor 6° a 22”, Janssen 9° a 27” e Pingeon 12° a 32”.
Il giorno successivo sono previstedue semitappe, entrambe con arrivo a Woluwe-Saint-Pierre, cittadina situata pochi chilometri a sud-est di Bruxelles. La frazione mattutina non è particolarmente impegnativa – c’è il Muro di Grammont, ma a un’ottantina di chilometri dall’arrivo – e termina con una volata di gruppo vinta dal vicentino Marino Basso davanti a Janssen, che riesce così a racimolare l’abbuono di 10 secondi riservato al secondo. Non è stata comunque una passeggiata, perché per due volte aveva tentato la fuga – prima da solo e poi in un gruppetto nel quale c’erano Gimondi, Dancelli e Janssen – un voglioso Merckx, che dovrà attendere la cronosquadre pomeridiana per far sua la maglia gialla. Si corre su di un circuito di 8 Km che deve essere ripetuto due volte e che prevede l’assegnazione di abbuoni al posto dei reali distacchi, che vengono comunque registrati dai cronometristi: nove sono i secondi con i quali la Faema di Merckx precede la BIC di Janssen e la Salvarani di Gimondi e Altig, mentre la Peugeot di Pingeon è 5a a 26” e la Molteni di Basso (la formazione nella quale il “cannibale” passerà nel 1971) 7a a 48”. E ora le prime piazze della classifica s’invertono con lo scambio di posizioni tra Merckx e Altig, separati da 8”, mentre si conferma al terzo posto Janssen, staccato di 20”.
Prima di far rientro in Francia è prevista una movimenta tappa sulle strade della Vallonia diretta alla cittadina olandese di Maastricht. I saliscendi ispirano un tentativo di otto corridori, tra i quali ci sono il secondo e il terzo della classifica, che rimangono in avanscoperta per una sessantina di chilometri. La squadra di Merckx controlla agevolmente e alla fine concede spazio a un gregario del belga, il connazionale Julien Stevens, uscito dal gruppo sulla “côte” piazzata a nove chilometri dal traguardo assieme ad altri tre corridori, tra i quali c’è Balmamion. Ed è proprio Stevens a far sua la frazione, riuscendo anche a conquistare la maglia gialla con 12 secondi di vantaggio sul suo capitano.
La tappa che riconduce il Tour in patria ripercorre nuovamente le colline della Vallonia per poi approdare a Charleville-Mézières dove – dopo la lunga fuga da lontano del belga Jozef Timmermann, arrivato ad accumulare fino a 18 minuti di vantaggio – si assiste al secondo arrivo allo sprint di questa edizione del Tour, nel quale Basso si deve stavolta accontentare del secondo posto, preceduto dal belga Eric Leman.
Anche la successiva frazione di Nancy, molto più semplice e lineare della precedente, dovrebbe secondo le previsioni terminare in volata. A un certo punto, invece, ci prova a sorpresa Pingeon e l’immediata reazione di Merckx è così forte provocare una temporanea selezione del gruppo dei migliori, nel quale rimangono anche Gimondi, Dancelli, Janssen e Poulidor. Tornate calme le acque in gruppo, quando mancano quasi 120 Km al traguardo se ne esce tutto solo il “vecchio” Van Looy, che indisturbato arriva a guadagnare fino a 12’25” di vantaggio, vestendo virtualmente per un lungo tratto la maglia gialla, per poi presentarsi al traguardo di Nancy con una quarantina di secondi su un gruppetto di sette corridori nel quale ci sono due italiani (Zandegù, terzo, e Panizza, che si porta al quinto posto della classifica) e Stevens, uscito per difendere la sua maglia gialla e riuscito a distanziare di poco più di un minuto il grosso del gruppo. Ora il belga ha portato il suo vantaggio in classifica su capitan Merckx a 1’37”, mentre al secondo posto è risalito un altro corridore riuscito ad avvantaggiarsi nel finale, il francese Désiré Letort, 2° a 1’28”.
La tappa di Mulhouse propone le prime salite di una certa consistenza, anche se non sembrano ostacoli insormontabili i colli della Schlucht e di Firstplan, leggeri antipasti all’arrivo in salita al Ballon d’Alsace previsto per il giorno successivo. Bastano, però, per cambiare il volto della maglia gialla perché Stevens si presenta al traguardo tre minuti e mezzo dopo l’arrivo del vincitore, il portoghese Agostinho, andato in fuga sulle salite e giunto a Mulhouse con 18” di vantaggio sul gruppo dei migliori, selezionatosi a una ventina di elementi dopo che Merckx era riuscito leggermente ad avvantaggiarsi sul Firstplan. Il nuovo capoclassifica è il corridore che alla partenza da Nancy era secondo, il francese Letort, che ha 9” su Merckx, 17” su Altig e 23” su Panizza.
La prima tappa di vera montagna è lunga soli 133 Km e prevede entrambi i celebri “ballons”, il “Grande” a quarantina di chilometri dalla partenza e poi l’arrivo in quota su quello d’Alsazia, sul quale i riflettori sono tutti puntati su Merckx. Dopo un tentativo del belga in partenza, subito abortito, Eddy cambia tattica e preferisce attendere la salita finale, mentre Gimondi si trova a inseguire a causa di una foratura. Ai piedi del Ballon d’Alsace con il belga sono rimasti in quattro, l’olandese Marinus Wagtmans, il suo connazionale Roger De Vlaeminck (passato professionista proprio quell’anno), il tedesco Altig e lo spagnolo Joaquim Galera, ultimo a cedere: negli ultimi chilometri dell’ascesa dei Vosgi Merckx riesce a scavare un grosso fossato tra sé e gli avversari e si presenta al traguardo con 55” sull’iberico e 1’55” sul tedesco Altig. Bisogna poi attendere più di quattro minuti per assistere al passaggio dal traguardo del gruppetto nel quale ci sono Janssen, Gimondi, Pingeon e Poulidor e questo punto molti già suonano il “De Prufundis” per il successo finale di questi campioni: Merckx, infatti, è tornato in giallo con 2’03” su Altig, 4’41” su Janssen, 4’50” su Gimondi, 4’56” su Poulidor, 5’06” su Pingeon e, con Alpi e Pirenei ancora da affrontare e altre tre tappe contro il tempo in calendario, pare impossibile detronizzare il belga, lanciatissimo verso il suo primo Tour.
Anche perché Merckx intende allungare ancora e lo farà alla prima occasione utile, il giorno dopo la tappa di trasferimento che da Belfort conduce a Divonne-les-Bains, dove va in porto per la seconda volta una fuga da lontano con successo dello spagnolo Mariano Díaz. Nella stessa cittadina ci si ferma l’indomani mattina per una mini cronometro di circa 9 Km, rivincita del prologo disputato una settimana prima a Roubaix e che ha gli stessi protagonisti, ma a ruoli invertiti: a vincere stavolta è proprio Merckx, che ha la meglio per appena due secondi su Altig. Il pomeriggio dello stesso giorno si disputa una seconda semitappa alla volta di Thonon-les-Bains, dove s’impone l’italiano Dancelli, “costretto” ad andare in fuga ben due volte perché il primo tentativo era stato ripreso per colpa di Pingeon, anche lui lanciatosi all’attacco causando la pronta reazione di Merckx, che era andato a riprendere prima il francese e successivamente il bresciano.
Le Alpi si affrontano in tre round e il primo è il meno impegnativo, essendo anche quella di Chamonix una tappa di montagna breve, 111 Km con le difficoltà concentrate nel finale quando, attraversando la Svizzera, si devono affrontare le salite ai colli della Forclaz e di Montets. Dopo il tentativo stoppato il giorno prima qualcuno si attende ancora Pingeon in azione e l’italo-francese ci prova nuovamente, stavolta quando mancano poco meno di 2 Km alla vetta della Forclaz, punto nel quale il gruppo dei migliori è già selezionato e sono leggermente staccati Janssen e Gimondi. All’accelerazione di Roger resiste solo Eddy, in compagnia del quale viaggia fino al traguardo posto ai piedi del Monte Bianco, dove il belga viene a sorpresa battuto allo sprint da Pingeon, un minuto e mezzo prima dell’arrivo del primo gruppetto inseguitore, nel quale ci sono Van Impe, Poulidor e gli spagnoli Andrés Gandarias, Francisco Galdos e Santiago Lazcano. A 2’13” Janssen e Gimondi tagliano appaiati la linea d’arrivo: se ci fossero stati ancora dubbi, questa è la conferma di un Tour che sta viaggiando verso un autentico trionfo per Merckx.
E non si è ancora arrivati al primo dei due tapponi, disegnato per 220 Km tra Chamonix e Briançon, dove si giunge dopo esser saliti prima ai quasi 2000 metri del Col de la Madeleine, inserito quest’anno per la prima volta nel percorso del Tour e sul quale i corridori troveranno anche la neve, e poi ai 2556 metri del Galibier, dove lo scollinamento è ancora previsto nella galleria sottostante il valico vero e proprio, all’epoca non ancora raggiunto da una strada (sarà realizzata dopo il 1976, quando il passaggio dal piccolo tunnel fu precluso a tutti a causa della sua “vetustà” e tale rimarrà fino al 2002). Stavolta, però, la selezione avviene prevalentemente da dietro, dopo diversi tentativi di Gimondi, la prima volta nella discesa dalla Madeleine per approfittare di una foratura di Merckx, poi con attacchi ripetuti sul Galibier, ai quali la maglia gialla replica sempre con prontezza per poi precedere il rivale allo sprint in cima al colle. Ripresi Eddy e Felice nel tratto iniziale della discesa, dal gruppo esce quindi Herman Van Springel, il corridore che l’anno precedente era rimasto al vertice della classifica fino alla penultima tappa per poi venire beffato per soli 38” nella conclusiva cronometro di Parigi. Il belga aumenta progressivamente il vantaggio fino a piombare sul traguardo con due minuti su Merckx, che oggi guadagna poco o nulla sugli altri rivali di classifica eccettuato Janssen, vittima di una pesante crisi che lo porta a incamerare un ritardo di oltre venti minuti.
C’è ancora un’ultima frazione alpina, che pare però disegnata al “contrario” perché le salite principali, i colli del Vars e d’Allos, devono essere affrontate nella prima metà di un tracciato che nel finale propone il piccolo Col du Corobin. Risulta, alla fine, molto più selettiva di quella del giorno prima anche perché, se il primato di Merckx sembra inattaccabile, ancora accesa è la lotta per il podio. Il primo a provarci è ancora Pingeon, che si muove sul Col d’Allos cogliendo inizialmente di sorpresa la maglia gialla. Dietro ai due spagnoli che in quel momento si trovano in testa alla corsa, Luis Pedro Santamarina e Gabriel Mascaro, si forma un gruppetto con Pingeon, l’altro iberico Gandarias, Gimondi e Merckx, che riesce a precederli di 45 secondi in vetta al passo prima di essere ripreso in discesa. Mascaro resiste da solo in testa anche sul Corobin, dopo il quale viene raggiunto da un duo scatenato, Eddy e Felice, che lo supera e si lancia verso un traguardo che vede il belga imporsi allo sprint sul bergamasco e altro tempo guadagnato in classifica dal corridore della Faema, che oggi ricaccia indietro Pingeon di 22”, mentre Poulidor incassa quasi tre minuti e un Janssen sempre più alla frutta paga un altro salato conto lasciando per strada quasi undici minuti. All’uscita dalla fase alpina Merckx è sempre più “padre padrone” del Tour, forte di 5’43” di vantaggio su Pingeon, 7’29” su Gimondi e 9’41” su Poulidor.
Protagonisti nella tappa di Dignes, il belga e il bergamasco si fanno notare anche in quella successiva di Aubagne, che sulla carta non pare stuzzicare più di tanto i corridori che puntano al successivo finale per il via di un tracciato non troppo accidentanto, che nel finale prevede la pedalabile ascesa verso il Col de l’Espigoulier. L’episodio decisivo avviene poco dopo il centesimo chilometro, quando Merckx scatta e tra i big solo Gimondi gli risponde. Nonostante l’affannoso inseguimento di Pingeon e Poulidor, i due attaccanti non vengono più ripresi e a guadagnare maggiormente è Gimondi, che vince la tappa precedendo allo sprint lo spagnolo Gandarias e, grazie al tempo recuperato al francese (1’23”), riesce ad arrivare ad un passo dal secondo posto di Pingeon, dal quale ora lo separano solo tre secondi.
Si viaggia ora in direzione dei Pirenei – eccezionalmente, così come nella successiva edizione, non sono previsti giorni di riposo – con un paio di tappe di trasferimento la prima delle quali si rivela decisamente problematica a causa del vento forte. Quando il “mistral” si trasforma in un’autentica tempesta l’organizzazione decide di neutralizzare la corsa per ben 30 Km, tratto che i corridori percorrono fuori gara con due file di ammiraglie a far loro da “paravento”. Ripresa la gara, si arriva senza altri intoppi allo sprint sul traguardo della Grande-Motte, dove s’impone il belga Guido Reybrouck su Janssen, che dopo esser uscito di classifica ha deciso di puntare ai successi parziali.
Un piccolo problemino per Merckx si palesa nella successiva tappa di Revel, che lo vede ricorrere alle cure del medico dopo esser stato punto da un’ape al polso. Pingeon, invece, è protagonista di un episodio senza conseguenze “penali”, ma che con i regolamenti odierni gli costerebbe l’immediata espulsione dalla corsa, quando prende a schiaffi il suo compagno di squadra Raymond Delisle, punendolo così per esser andato senza permesso in fuga, tentativo al quale si era aggiunto Poulidor provocando la reazione del gruppo. La giuria, invece, interviene per penalizzare di 15 minuti a cranio i cinque corridori che erano stati “pizzicati” positivi al controllo antidoping e tra questi c’è anche la prima maglia gialla, Rudi Altig. Intanto a imporsi per la seconda volta quest’anno è il portoghese Agostinho, che si era infilato nel fuga “lanciata” da Delisle e, dopo la fine di questa, aveva tentato la soluzione solitaria giungendo al traguardo con un paio di minuti di vantaggio sul gruppo.
Prima di avventurarsi sulle cime pirenaiche bisogna superare un altro esame a cronometro e a uscirne laureato a pieni voti è ancora Merckx, che sui 18 Km del circuito di Revel, caratterizzato dalla salita di Saint-Ferréol subito dopo la partenza, distacca di 52” Pingeon, di 55” Poulidor e di 59” Altig, unici a contenere il ritardo entro il minuto, mentre Gimondi perde 1’33” e vede allontanarsi il secondo posto in classifica.
I Pirenei vengono affrontati in due “rate” e la prima viene riscossa tra Castelnaudary e lo storico traguardo di Luchon transitando per le cime dei colli del Portet d’Aspet, del Menté – scoperto dal Tour solo tre anni prima – e del Portillon. A passare all’incasso è ancora una volta il belga che da undici giorni si trova stabilmente al vertice della classifica e che stacca i rivali sull’ultima ascesa, in vetta alla quale si presenta tre minuti e mezzo dopo il passaggio di Delisle – che oggi vincerà la tappa senza subire reprimende dal suo capitano, forse anche perché è il giorno della festa nazionale francese – e con 25” sul misero plotonicino nel quale si trovano Pingeon e Poulidor e qualche secondo in più su Gimondi. In discesa guadagna ancora portando a 42 secondi il vantaggio sui rivali e dilatando ulteriormente la sua supremazia.
La seconda rata pirenaica prevede il secondo e ultimo tappone della 56a edizione del Tour, una frazione che ricorda quella di Digne nel disegno perché le salite (Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque) sono concentrate nella prima parte del tracciato, mentre nei rimanenti 75 Km verso il traguardo di Mourenx non s’incontra neppure un cavalcavia. È un percorso che scoreggerebbe qualsiasi scalatore ma non un corridore come Merckx, che oggi vuole mettere la “ciliegiona” sulla torta, una ciliega decisamente ricca di calorie, i 140 Km della fuga solitaria che il belga intraprende partendo sul Tourmalet, quando Gimondi è in crisi da qualche chilometro. È un’impresa che ricorda le cavalcate di Coppi, eccezionale al punto che la televisione belga – in sciopero da due giorni – decide di interrompere la protesta per permettere agli abbonati di assistere al tentativo del loro corridore, che dai 25” sui primi inseguitori registrati in fondo alla discesa del Tourmalet porta il suo vantaggio agli otto minuti con i quali si presenta al traguardo su Dancelli, secondo, e sul gruppetto nel quale ci sono Pingeon e Poulidor, mentre per l’arrivo di Gimondi bisogna attendere quasi quindici minuti. Fanno ancora più impressione i distacchi in classifica perché, alla luce del tappone, Merckx ha 16’18” di vantaggio su Pingeon e 20’43” su “Poupou”, che in seguito alla crisi del bergamasco – ora quarto a 12’46” – l’ha superato in classifica salendo sul gradino più basso del momentaneo podio.
Per due giorni il posto di Merckx al vertice degli ordini d’arrivo viene occupato dal britannico Barry Hoban, che riesce a infilarsi nella fuga giusta sia nella tappa di Bordeaux, sia in quella successiva di Brive-la-Gaillarde, in entrambe le occasioni imponendosi sui compagni d’avventura. Il sempre più affamato belga torna poi a sgranocchiare secondi sulla ripida ascesa al Puy-de-Dôme, secondo e ultimo degli arrivi in quota previsti quest’anno: scatta quando al traguardo mancano appena 300 metri e in quel breve lasso di strada riesce a rosicchiare altri 22” a Pingeon e 37” a Poulidor, mentre Gimondi soffre ancora e perde quasi due minuti. A sorpresa, in fuga da una settantina di chilometri e giunto al traguardo un minuto e mezzo prima di Merckx, a vincere questa tappa è Pierre Matignon, il corridore che di questo Tour era la “lanterne rouge”, l’ultimo corridore della classifica, primato che ha perduto proprio oggi con il tempo guadagnato in fuga perché la nuova “maglia nera” è diventata il suo connazionale André Wilhelm.
Alla vigilia della giornata conclusiva si disputa un’autentica maratona di 330 Km che punta dritta verso la capitale francese, da Clermont-Ferrand a Montargis su di un percorso prevalentemente pianeggiante. Forse per sdrammatizzare la mole di chilometri da percorrere l’olandese Wagtmans decide di organizzare un divertente scherzo, andando prima in fuga e poi, raggiunto un minuto di vantaggio e venuto a sapere che il gruppo lo stava inseguendo affannosamente, nascondendosi in un vicolo ai margini nel percorso in attesa del passaggio degli inseguitori, ai quali successivamente si accoda. Alla fine è un’altra fuga a riuscire ad andare in porto, coronata dal successo del belga Van Springel, che precede allo sprint “Harm” Ottenbros, il corridore olandese che una ventina di giorni più tardi conquisterà il campionato del mondo a Zolder succedendo nell’albo d’oro del mondiale a Vittorio Adorni.
L’ultima frazione è suddivisa in due semitappe e la prima serve solamente per ridurre le distanze dalla capitale francese e dare l’ultima opportunità ai cacciatori di tappe, occasione che viene colta dal belga Joseph Spruyt, che al traguardo di Créteil si presenta con 8” di vantaggio sui corridori che erano andati in fuga con lui.
L’ultimo atto è ancora a cronometro, sulla distanza di 38 Km e con l’arrivo sulla pista della “Cipale”, il velodromo situato a Vincennes, alle porte di Parigi, che dall’anno precedente aveva preso il posto del glorioso Parco dei Principi quale sede dell’ultimo traguardo del Tour. Anche questa vittoria finisce nel già ricco palmarès di Merckx, che dopo la “ciliegia” di Mourenx oggi mette la candelina sulla torta del suo successo e l’accende distanziando di 53” Poulidor e di 1’14” Pingeon. Tutte le fette se le papperà lui perché subito dopo salirà per ben sei volte sul podio: sue non sono solo la vittoria di tappa e la classifica generale, ma anche quelle dei Gran Premi della Montagna, a punti, della combattività e a squadre.
Si è mangiato tutto Merckx, il soprannome di “cannibale” è nato qui
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE

Merckx in fuga verso Mourenx (foto ASO)
BATTI UN CINQUE – 1985, IL QUINTO TOUR DI HINAULT
Spira il vento del cambiamento al Tour de France del 1985, segnato dall’inizio del passaggio di consegne tra il vecchio Hinault e il nuovo che avanza, il promettente americano Greg Lemond. Disputano il Tour nella medesima formazione, il primo con il ruolo del capitano alla caccia del suo quinto Tour e di un’altra doppietta con il Giro, il secondo a fargli da gregario prima che ci si scambi i compiti nell’edizione successiva.
Arriva il momento del passaggio delle consegne.
Il 1985 è un anno chiave per la Vie Claire, la formazione creata dal nulla dodici mesi prima dall’imprenditore Bernard Tapie. L’uomo d’affari aveva messo subito sotto contratto il suo omonimo Hinault, reduce da un 1983 fallimentare che l’aveva visto prima vincere Freccia Vallone e Vuelta e poi costretto a rinunciare al Tour per il riacutizzarsi dei soliti problemi al ginocchio. Ma anche il suo primo Tour con la nuova casacca non aveva avuto gli esiti spirati dal “Tasso”, che a Parigi si era dovuto accontentare del secondo posto a più di dieci minuti dal giovane Laurent Fignon, che era rimasto a correre nella formazione nella quale militava Hinault fino all’anno precedente. Per il 1985 i due Bernard hanno grandi progetti, prima il Giro, poi il Tour e nel contempo assicurarsi in squadra un giovane promettente che faccia da gregario a Hinault in questa stagione per poi scambiarsi i ruoli nel 1986. Quel giovane è l’americano Greg Lemond, che viene strappato proprio alla formazione di Fignon con un contratto milionario, il primo della storia del ciclismo: ha 24 anni e s’è già fatto notare vincendo il Delfinato e il campionato del mondo nel 1983, mentre in Italia era conosciuto per aver vinto la tappa di Monte San Pietrangeli alla Tirreno-Adriatico del 1982, successo grazie al quale avevo vestito per un giorno la maglia di leader della “Corsa dei due mari”, che poi terminerà in terza posizione con 27” di ritardo da Giuseppe Saronni.
Conquistato il Giro con poco più di un minuto di vantaggio su Moser, il trentenne Hinault si schiera il 28 giugno al via di un’edizione del Tour che vede ancora ai nastri di partenza una vecchia conoscenza del bretone, l’inossidabile olandese Joop Zoetemelk, ancora sulla cresta dell’onda nonostante viaggi spedito verso i 40 anni, che compirà l’anno successivo (a settembre s’imporrà nel campionato del mondo in Italia, sul Montello, conquistando il record di maglia iridata più anziana della storia, tuttora imbattuto). Tra vecchie glorie e nuovo che avanza ci sono anche il 27enne australiano Phil Anderson e il 38enne belga Lucien Van Impe (passato quell’anno alla Santini-Selle Italia, la formazione che poi diventerà l’odierna Bardiani), il neoprofessionista colombiano “Lucho” Herrera e il trentaseienne olandese Hennie Kuiper, gli irlandesi Stephen Roche e Sean Kelly, il belga campione del mondo in carica Claude Criquielion, lo spagnolo Pedro Delgado, lo scozzese Robert Millar e Roberto Visentini, unica speranza per i corridori italiani di far bene in classifica.
Il Tour inizia subito in giallo per Hinault, motivato anche dal fatto di disputare il cronoprologo d’apertura sulle strade della sua Bretagna: al termine dell’impegnativo circuito di Plumelec è suo il tempo migliore con 4” sul belga Eric Vanderaerden, 14” su Roche, 19” su Anderson, 21” su Lemond (frenato da un salto di catena), 31” su Zoetemelk e Millar, 32” su Herrera, 37” su Criquielion, 41” su Delgado e 44” su Visentini.
Il secondo giorno è prevista una tappa “imponente” per chilometraggio poiché si devono percorrere ben 256 Km tra il raduno di partenza di Vannes e il traguardo di Lanester, dove Vanderaerden festeggia la conquista della maglia gialla grazie agli abbuoni – ora Hinault è secondo a 32” – mitigando l’amarezza per il secondo posto, battuto allo sprint dal connazionale Rudy Matthijs. Quest’ultimo fa il bis il giorno successivo a Vitré, anche stavolta battendo Vanderaerden, in quest’occasione terzo poiché preceduto anche da Kelly.
Arriva il momento della cronosquadre nella quale, trascinata dalla coppia Hinault-Lemond, la Vie Claire non ha rivali anche perché da un paio di stagioni ha lasciato il ciclismo la TI-Raleigh, la fortissima compagine olandese che aveva costantemente dominato queste prove negli anni precedenti. Percorsi 73 Km a una media di 48. 585 Km/h, sul traguardo di Fougères la formazione costruita da Tapie si impone con un minuto netto sulla Kwantum di Zoetemelk, 1’03” sulla Panasonic di Anderson e Vanderaerden (erede della “defunta” TI-Raleigh), 1’20” sulla Peugeot di Millar, 1’22” sulla Carrera di Visentini, 1’24” sulla Redoute di Roche, 2’10” sulla Splendor di Criquielion, 2’52” sulla Skill di Kelly e sulla Verandalux di Kuiper, 3’40” sulla Reynolds (nella quale corre colui che succederà a Hinault nello speciale albo d’oro dei plurivincitori del Tour, Miguel indurain), 5’52” sulla Santini-Selle Italia di Van Impe, 6′32” sulla Varta di Herrera e 7’19” sull’Orbea di Delgado. Per la classifica, però, ancora una volta non contano i tempi reali ma solo i distacchi attribuiti dagli abbuoni e così Vanderaerden riesce a tenersi addosso la maglia gialla per altre ventiquattrore con immutato il distacco di 32” che aveva alla partenza da Hinault, mentre Lemond è 4° a 53”, Anderson 10° a 1’21”, Zoetemelk 11° a 1’23”, Millar 18° a 1’43”, Roche 28° a 1’56”, Visentini 34° a 2’06” e Kelly 38° a 2’12”.
Il giorno dopo sui saliscendi che caratterizzano la lunga tappa di Pont-Audemer va via un tentativo di fuga promosso da uno dei fautori del successo della squadra di Hinault nella cronosquadre, il danese Kim Andersen. L’attuale direttore sportivo della Trek-Segrafredo si porta dietro sei corridori che riescono ad andare fino al traguardo e tra questi c’è l’italiano Bruno Leali che, per la terza volta in carriera, si piazza secondo in una volata del Tour: nel 1982 a Châteaulin era stato il belga Frank Hoste a precederlo, nel 1984 l’aveva battuto l’olandese Jan Raas a Bordeaux e stavolta a superarlo in dirittura d’arrivo è un altro “tulipano”, Gerrit Solleveld.
Con una nuova maglia gialla, finita sulle spalle di Andersen grazie alla fuga del giorno prima, si disputa la temuta tappa del pavè, quest’anno più “leggera” rispetto a quelle viste negli anni precedenti perché nel finale della Neufchâtel-en-Bray – Roubaix sono previsti solo 11 Km di acciottolato, suddivisi in nove settori. Più che temere grandi danni in classifica, si teme che i pochi tratti da percorrere sulle pietre provochino poca selezione e così accade perché, 11 secondi dopo il vittorioso arrivo dell’olandese Henri Manders, i migliori si presentano tutti assieme sulla linea del traguardo – escluso Kuiper, che perde quasi 10 minuti – con Kelly che va a prendersi il secondo posto davanti al capoclassifica Andersen.
L’indomani l’Italia sportiva fa festa a Reims perché, nell’attesa che termini la tappa degli uomini, si disputa la quarta frazione del parallelo Tour de France femminile, una cronometro di 18 Km nella quale Maria Canins a sorpresa batte la favoritissima francese Jeannie Longo per appena 20 centesimi di secondo. Sul medesimo traguardo, poche ore più tardi, Vanderaerden riesce finalmente ad andare a segno e anche a riprendersi quella maglia gialla che Andersen gli aveva portato via, ma poi interviene la giuria a riportare ordine e a retrocedere il belga per reiterate scorrettezze con Kelly, assegnando così la vittoria al francese Francis Castaing. Intanto, grazie al passaggio dal terzo al secondo posto dell’ordine d’arrivo, Lemond riesce a conquistare l’abbuono che gli consente di portarsi sul gradino più basso del momentaneo podio del Tour, 3° a 1’05” da Andersen.
La permanenza del danese al vertice della classifica ha le ore contate perché dopo la tappa di Nancy (vinta dal belga Ludwig Wijnants) è in programma una lunga crono individuale nella quale è prevedibile che debba lasciare nuovamente la maglia gialla al suo capitano. E così sarà perché Hinault dimostra di aver ancora la forma dei vecchi tempi dominando i 75 Km della Sarrebourg – Strasburgo, che vince a 47.410 Km/h distaccando di 2’20” il corridore giunto al secondo posto, l’irlandese Roche. Il “delfino” di Hinault, Lemond, consegue la quarta piazza a 2’34” poi i ritardi si fanno più pesanti: 2’52” per Kelly, 4’15” per Criquielion, 4’17” per Visentini, 4′24” per Van Impe, e 4’32” per Zoetemelk. Alla vigilia delle prime montagne la classifica strizza fortemente l’occhio al transalpino, che si riprende le insegne del comando con 2’32” su Lemond, 2’54” su Kelly e poi, scendendo lungo la classifica a cercare gli altri grandi nomi, 3’45” su Roche, 5’23” su Zoetemelk e 5’51” su Visentini.
La prima salita di una certa consistenza, anche se priva di grandi pendenze, è quella del Champ de Feu, la cui cima viene conquista da Herrera, il forte scalatore colombiano che si era fatto conoscere al Tour dell’anno prima imponendosi nella tappa dell’Alpe d’Huez. Ma poi ci sono ancora 120 km da percorrere per arrivare a Épinal, con difficoltà decrescenti man mano che ci si avvicina al traguardo, al quale il gruppo dei migliori si presenta senza distacchi un paio di minuti dopo l’arrivo vittorioso dell’olandese Maarten Ducrot.
Il primo arrivo in salita è in programma sul massiccio del Giura, in vetta alla poco impegnativa Côte de Larmont, sopra la cittadina di Pontarlier, dove la Carrera festeggia il successo del danese Jǿrgen Vagn Pedersen a parziale consolazione per la débâcle di Visentini, che accusa un malore dopo aver bevuto una bevanda ghiacciata che gli provoca anche capogiri e lo porta a tagliare il traguardo con 12 minuti di ritardo. Intanto tra gli avversari di Hinault l’unico a riuscire a sfuggire al controllo della Vie Claire è lo spagnolo Delgado, che parte a 3 Km dall’arrivo ma riesce a guadagnare appena 15 secondi sul francese, che poi allungherà ancor di più il giorno successivo.
Il traguardo della prima frazione alpina è fissato ai 1820 metri di Avoriaz, luogo caro a Hinault perché lassù aveva ottenuto una decisiva vittoria al Tour del 1979. In quell’occasione l’arrivo era al termine di una lunga e difficile cronoscalata, stavolta l’approdo è quello di una frazione in linea di quasi 200 Km che ha in programma le ascese al Pas de Morgins e al Col du Corbier prima dell’arrampicata finale. Nonostante a quel punto manchino ancora più di 60 Km all’arrivo un Hinault in grande spolvero va all’attacco fin dal Morgins e a resistergli è il solo Herrera, al quale poi concede la vittoria, mentre dietro si registra un altro effluvio di minuti: 1’23” per Delgado, 1’41” per Lemond, 2’05” per Roche, 2’39” per Millar, 3’02” per Anderson e Zoetemelk, 3’26” per Kelly e Van Impe, quasi 6 minuti per un Visentini in lieve ripresa rispetto al momentaccio vissuto poche ore prima. È comunque una giornata lieta per il ciclismo italiano perché nel primo pomeriggio sugli ultimi 54 Km della tappa degli uomini si era disputata la prima frazione di montagna del Tour femminile e anche stavolta era la Canins a superare la Longo, ma con un vantaggio decisamente più sensibile rispetto a quello risicatissimo della cronometro, che permetteva alla ciclista altoatesina di issarsi al vertice della classifica con 1’52” sulla francese.
Il giorno dopo è in programma un vero e proprio tappone, definibile come tale più per il chilometraggio (269 Km) che per la difficoltà del tracciato, che prevede il non troppo duro arrivo in salita a Lans-en-Vercors preceduto da sei ascese, la più interessante delle quali è quella di Saint-Nizier-du-Moucherotte, piazzata proprio a ridosso di quella finale. I big, però, preferiscono risparmiarsi in vista della tappa a cronometro prevista l’indomani e così c’è ancora spazio per i colombiani, per la goia dei “caciaroni” telecronisti loro connazionali, le cui cronache sono così esagitate e rumorose che l’organizzazione sarà costretta ad allestire una postazione tutta per loro, lontano dalla tribuna stampa destinati ai giornalisti delle altre televisioni al seguito. Stavolta sono due gli “escarabajos” protagonisti del finale di gara, con Fabio Parra (fratello maggiore di quell’Iván Parra che vincerà due tappe al Giro d’Italia del 2005) che scatta ai meno 5 e con Herrera che lo raggiunge un paio di chilometri più avanti, riuscendo poi a giungere assieme al traguardo, dove “Lucho” rallenta per lasciare la vittoria al connazionale. Nel frattempo si dilata il vantaggio della Canins nella contemporanea corsa femminile perché l’italiana vince anche a Lans-en-Vercors mentre la Longo conserva il secondo posto in classifica, nonostante una grave crisi che la porta a tagliare il traguardo con 12 minuti di ritardo.
La terza sfida contro il tempo si disputa nella vicina Villard-de-Lans, sede di partenza e arrivo di un circuito che si snoda sull’altopiano del Vercors, tra i 1000 metri sul livello del mare di Villard e i circa 1200 metri del Col de la Croix-Perrin. Quando devono scendere in gara i primi della classifica si scatena un impetuoso vento e a pagar maggior dazio è proprio Hinault, che se lo trova spesso contrario e non riesce a lanciare le sue cilindrate come il solito. A vincere è, infatti, un corridore che aveva preso il via quando Eolo non si era ancora scatenato, il belga Vanderaerden, che riesce a far meglio di 1’07” del francese, il quale per un solo secondo conquista il secondo posto precedendo il connazionale Thierry Marie. Anche i distacchi tra Bernard e gli altri avversari non sono lontanamenti paragonabili a quelli della cronometro disputata qualche giorno prima a Strasburgo, con Roche che in 32 Km perde solo 16 secondi, mentre Anderson ne accusa 24. Il vantaggio della maglia gialla in classifica rimane, però, rassicurante perché dopo le Alpi e le prime quattro sfide contro l’orologio Hinault ha 5’23” di vantaggio su un corridore che non può impensirlo perché è il suo fidato gregario Lemond, mentre Roche è 3° a 6’08”, Kelly 4° a 6’35”, Anderson 6° a 8’33” e il “vecchio” Zoetemelk 9° a 11’14”. Sul fronte femminile è sempre più maglia gialla la Canins perché il giorno dopo la crono dei “maschietti”, mentre questi osservano l’unico turno di riposo previsto in questa edizione, si corre anche quella riservata alle donne, pure conquistata dall’ex fondista della Val Badia – aveva gareggiato nello sci di fondo dal 1969 al 1983 – con 34” sulla Longo.
Hinault non può sapere che la sfortuna sta per tirargli due brutti tranelli e il primo di questo si concretizza a 250 metri dal traguardo della tappa di Saint-Étienne, quando erano trascorsi oltre due minuti e mezzo dall’arrivo solitario del colombiano Herrera, che era andato via a 40 Km dall’arrivo sulla salita del Col de l’Œillon. Tutto succede mentre il gruppo con tutti i migliori (tra i quali non c’è Lemond, che si era infilato nel primo gruppetto inseguitore di Herrera e ha guadagnato 1’51” sul suo capitano) si presta a transitare compatto sotto lo striscione del traguardo e uno spettatore si sporge pericolosamente oltre la transenna. Per evitarlo il canadese Steve Bauer si esibisce in un improvviso scarto, innescando un contatto tra Anderson e Hinault, che ruzzola a terra battendo il naso e fratturandosi il setto. Non essendoci stata deviazione della cartilagine in ospedale gli comunica che non si dovrà operare e si limitano ad applicarli quattro punti di sutura, per ricucirgli le ferite che avevano fatto del suo volto una maschera di sangue.
Il francese può così continuare ma tutto è in forse perché con il naso in quelle condizioni respirare è un bel problema. Nella successiva frazione di Aurillac, che prevede un percorso di media montagna non troppo complicata, Hinault dimostra che può correre anche con quell’handicap disputando l’intera tappa nelle prime posizioni del gruppo e andando pure in fuga per qualche chilometro, quando un corridore con il quale aveva avuto nei giorni precedenti un piccolo attrito gli era scattato sotto il naso e lui si era immediatamente gettato al suo inseguimento. Mentre si svolgono questi accadimenti in testa alla corsa viaggia Eduardo Chozas, corridore spagnolo che era uscito dal gruppo tutto a 34 Km dalla partenza e al traguardo riesce a presentarsi con un “monumentale” vantaggio di quasi dieci minuti.
Ma, come abbiamo detto, il destino ha ancora in serbo uno “scherzetto” per Hinault, un tiro mancino che si manifesta sotto la forma di una bronchite che lo tormenterà nelle due frazioni pirenaiche, precedute da una tappa di trasferimento verso Tolosa (vinta in fuga dal francese Frédéric Vichot) che si disputa con un clima più fresco rispetto alla “chaleur” dei giorni precedenti, tipica delle tappe del Massiccio Centrale, e forse è proprio questo brusco calare delle temperature a “fregare” Hinault. Il transalpino non manifesta problemi sino a 6 Km dalla cima del Tourmalet, quando accelerano Roche, Parra, Chozas e Lemond. Quest’ultimo vorrebbe continuare, insiste accampando la scusa che Hinault non è più in condizione e quel Tour lo perderà, ma il direttore sportivo Paul Köchli riesce a frenarlo, consentendo così a Bernard di contenere il ritardo al traguardo di Luz-Ardiden, dove lo spagnolo Delgado s’impone con 25” su Herrera, 1’29” su Parra e 2’52” su Kelly e Lemond, mentre la maglia gialla taglia la linea d’arrivo in diciottesima posizione con 4’05” di ritardo, passivo che gli consente di rimanere in vetta alla classifica con 2’25” su un gregario che comincia a dimostrarsi non proprio così fidato. Una maglia gialla che, invece, non viene messa in discussione è quella della Canins, che letteralmente tiranneggia tra Tourmalet e ascesa finale a Luz-Ardiden, in cima alla quale si presenta ben nove minuti prima dell’arrivo della Longo, anche in quest’occasione giunta seconda. E non essendoci più nè tappe di montagna, né frazioni a cronometro, si può a questo punto definire chiusi i giochi per la classifica nella seconda edizione del Tour femminile, che vedrà la ciclista badiota in giallo a Parigi con un distacco da urlo sulla Longo, ben 22 minuti e 11 secondi.
L’Aubisque è l’ascesa protagonista dell’ultima giornata pirenaica, da affrontare ben due volte in entrambe le semitappe nella quale è suddivisa. Alla luce della crisi patita il giorno prima da Hinault è la prima semitappa quella seguita con più attenzione, poiché il traguardo è posto proprio in vetta al passo, al termine di una gara di soli 52 Km che, se fosse presa a tutta dagli avversari del francese fin dalla partenza, potrebbe mettere nuovamente in croce la maglia gialla. Per sua fortuna la giornata più calda è un toccasana per la sua bronchite e si trova a soffrire meno rispetto il giorno prima, arrivando a contenere il ritardo in 15” nei confronti di Lemond, mentre maggiormente guadagna Roche, che al traguardo lo precede di un minuto e mezzo, arrivando più a insidiare il secondo posto dell’americano che il primato del francese. L’Aubisque pomeridiano viene “bruciato” in partenza nella semitappa diretta a Pau, che vede approdare una fuga a due inizialmente promossa da Álvaro Pino, al quale si accoda in discesa il francese Régis Simon, che poi regola allo sprint lo spagnolo.
Uscito con quale scricchiolio dalla fase pirenaica, che l’ha lasciato in giallo con 2’13” su Lemond e 3’30” su Roche, Hinault si appresta ad affrontare senza troppe preoccupazioni due snelle tappe di trasferimento verso l’ultima cronometro. Sono occasioni ideali per i cacciatori di tappe – Vanderaerden vince allo sprint su Kelly a Bordeaux, l’olandese Johan Lammerts s’impone in solitaria a Limoges – ma anche per distanziare un Roche che, come abbiamo detto, potrebbe nella tappa contro il tempo mettere in pericolo il secondo posto di Lemond. Nel viaggio verso Limoges, infatti, l’organizzazione ha disseminato secondi d’abbuono e l’americano è stato lesto ad accaparrarsene sedici, una mossa che gli da sicurezza in vista della cronometro. E la crono gli è amica perché è proprio Greg ha far registrare il miglior tempo nel tormentato circuito del Lago di Vassivière, con il più fresco e giovane americano che riesce a dare 5” al suo più navigato e stanco capitano, che paga non solo l’età che avanza ma anche le tribolazioni che gli ha offerto questo Tour tra Alpi e Pirenei.
L’indomani, dopo la vittoria del belga Matthijs sugli Champs-Élysées, Hinault può così salire sul podio del suo ultimo Tour, vinto con il vantaggio più basso di sempre, 1’42” su Lemond, un delfino che voleva mostrare i denti.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: mancano il prologo e le prime tre tappe

Con il naso ancora segnato dalla frattura al setto rimendiata qualche giorno prima, Hinault arranca sulla salita di Luz-Ardiden ma riesce a difendere la sua maglia gialla
BATTI UN CINQUE – 1982, IL QUARTO TOUR DI HINAULT
Il 1982 è la stagione della sesta doppietta Giro-Tour dopo le due di Coppi, quella di Anquetil e le tre di Merckx. Stavolta i guai al ginocchio che gli avevano impedito l’impresa nel 1980 sono solo un ricordo è così anche Hinault può iscrivere il suo nome nel ristrettissimo albo d’oro dei corridori riusciti a vincere prima la Corsa Rosa e poi la Grande Boucle nella medesima stagione.
Arriva la doppietta, finalmente.
L’aveva già messa in programma nel 1980, Bernard Hinault, ma il progetto si era arenato contro lo scoglio di un ginocchio che si era messo a far dolorose bizze mentre si trovava in testa alla classifica del Tour dopo aver conquistato il Giro. Così nel 1981 si era stabilita una marcia d’avvicinamento diversa al Tour e ora, dopo aver letteralmente dominato la corsa francese l’anno prima, si poteva tornare a prendere in considerazione la doppietta con la Corsa Rosa, un’impresa della quale finora erano stati capaci solo tre corridori, Fausto Coppi, Jacques Anquetil ed Eddy Merckx. Stavolta a favore del francese gioca anche la possibilità di un maggior recupero tra le due corse perché la partenza del Tour è stata posticipata di una settimana rispetto alle più recenti edizioni e così intercorre quasi un mese d’intervallo tra le due gare, periodo nel quale il francese non se ne sta con le mani in mano perché, pochi giorni dopo aver concluso vittorisamente il Giro d’Italia, s’impone nella classifica finale del Tour de Luxembourg.
Al via non si vede un corridore che potrebbe contrastare il francese, anche se ancora una volta potrebbero rivelarsi spine nel fianco i corridori olandesi: nonostante gli anni che avanzano sono ancora della partita Joop Zoetemelk ed Hennie Kuiper, affiancati a giovani promettenti come Johan van der Velde e Peter Winnen. Dopo quanto mostrato l’anno prima, c’è ancora da seguire con attenzione l’australiano Phil Anderson e il francese Robert Alban, mentre tornano a farsi vedere gli italiani, che hanno i loro nomi più prestigiosi nel velocista bresciano Guido Bontempi e negli scalatori Giovanni Battaglin e Mario Beccia.
Non ci sono dubbi sul fatto che l’uomo da battere sia unicamente Hinault, che dimostra di essere in forma sin dall’impegnativo cronoprologo di Basilea – strade strette e tortuose e un tratto da percorrere in salita – che vince vestendo la prima maglia gialla con 7” sull’olandese Gerrie Knetemann e 11” sul pistard tedesco Gregor Braun mentre, tra gli altri, Anderson è staccato di 13”, Zoetemelk di 20”, Beccia di 26”. Inizia male, invece, il Tour per Battaglin che dopo soli 7.4 Km ha già quasi un minuto da recuperare sull’asso francese.
Si rimane nel territorio della Confederazione Elvetica anche il secondo giorno di gara, quando è in programma una frazione vallonata disegnata tra Schupfart e Möhlin che si conclude con l’assolo del belga Ludo Peeters, partito all’ultimo giro del circuito finale e giunto al traguardo con 38” sul gruppo, regolato allo sprint dall’irlandese Sean Kelly, e le insegne del primato sulle spalle, levate a Hinault per 14 secondi.
Il Ballon d’Alsace, prima montagna del Tour 1982, viene affrontato molto presto, a ben 160 Km dal traguardo dell’interminabile frazione che introduce la corsa in Francia. L’arrivo è fissato a Nancy, dove va in porto un tentativo nato su una collinetta piazzata a una ventina di chilometri dal traguardo e che vede all’attacco sei corridori, tra i quali due degli elementi interessanti citati poche righe sopra, Winnen e Anderson, con il secondo che vince la tappa e, grazie ai 71 secondi guadagnati (42 dei quali in abbuoni), si porta al comando di una classifica che lo vede in testa con 38” sul francese Bernard Vallet e 44” su Peeters, mentre Hinault scende in settima posizione con 58” di ritardo e Battaglin, vittima di un salto di catena che gli fa perdere una cinquantina di secondi dal gruppo dei migliori, precipita al 93° posto con un passivo da Anderson di 2’43”.
Winnen ci riprova ancora il giorno dopo nella tappa diretta a Longwy e con lui c’è Alban, il corridore che l’anno prima era giunto terzo sul podio di Parigi. La reazione delle squadre di Hinault e della maglia gialla Anderson non si fa attendere e immediatamente vanno a riprendere le due lepri, subito prima che parta l’azione decisiva, firmata dall’elvetico Serge Demierre e dal belga Daniel Willems. I due, grazie ai continui saliscendi che rendono difficoltoso l’inseguimento, riescono a rimanere in testa fino al traguardo, dove s’impone il belga, mentre il primo gruppo inseguitore taglia la linea d’arrivo cinque secondi più tardi, anticipando di una quindicina di secondo il gruppo con Anderson e Hinault, che dopo questa frazione risale al secondo posto della classifica con 50” di ritardo dall’australiano.
Dopo la scoppiettante tappa belga di Mouscron, caratterizzata da una girandola di attacchi (ci prova anche la maglia gialla in persona) e vinta allo sprint da Knetemann, si rientra in Francia per la prima tappa chiave del Tour, una cronometro a squadre di 73 Km disegnata tra Orchies e Fontaine-au-Pire. La prima formazione ad affrontarla è la belga Splendor, i cui uomini dopo 39 Km si ritrovano di fronte un’autentica muraglia umana che sbarra loro il passo: sono gli operai in protesta dell’Usinor, un’azienda siderurgica della zona la cui dirigenza il giorno prima aveva annunciato quattromila licenziamenti. Nella speranza che i manifestanti si facciano da parte l’organizzazione fa prendere regolarmente il via a tutte le altre squadre, ma è inutile: poco dopo la partenza della TI-Raleigh, ultima a scendere dalla rampa di lancio e favoritissima per il successo, l’organizzazione ferma tutte le compagini che in quel momento sono ancora in gara e annuncia loro che la tappa è definitivamente annullata ma non perduta, perché sarà recuperata qualche giorno più tardi.
Il Tour si sposta quindi nella vicina Lilla per un’insidiosa tappa disegnata sulle rotte della Parigi-Roubaix, la classica delle pietre che tre mesi prima era stata conquistata da Jan Raas, l’olandese che concede il bis sulle medesime strade anche al Tour, uscendo dal gruppo in un tratto d’asfalto a 9 Km dal traguardo e giungendo a Lilla con 10” sui corridori che con lui avevano tentato la sortita e 24” sul gruppo di Hinault. Quest’ultimo può accendere un cero alla Madonna per lo scampato pericolo – ha forato due volte e s’è trovato a inseguire tutto da solo essendo rimasto senza compagni di squadra al fianco – e può fare lo stesso anche Battaglin, che ha affrontato senza nessun problema il pavè per la prima volta in carriera e con la spalla ancora non del tutto a posto dopo la doppia frattura, clavicola e scapola, rimediata in aprile al Giro dell’Etna e che l’ha tenuto lontano dalle corse per due mesi. Chi, invece, non ha ragione d’accendere il cielo è il pugliese Beccia, che ha sfasciato la bici in un tratto acciottolato e ha lasciato per strada non solo il suo mezzo ma anche ben sei minuti, praticamente impossibili da recuperare.
Spostandosi da un capo all’altro dell’Esagono, il Tour osserva una giornata di riposo prima di affrontare la tappa che si snoda nelle terre di Bernard Hinault, tra Cancale e Concarneau, occasione che il bretone sfrutta per andare a caccia di abbuoni assieme ad Anderson, con l’australiano che riesce a conservare la testa della classifica con 36” su Kelly e 1’06” sul favoritissimo per la vittoria finale. Intanto c’è da registrare la vittoria del belga Pol Verschuere, al quale il giorno dopo replica il successo del connazionale Frank Hoste sul traguardo di Châteaulin, dove precede allo sprint l’italiano Bruno Leali.
Arriva il momento di recuperare la cronosquadre, per la quale viene spezzata in due semitappe una frazione che in origine doveva disputarsi in un’unica soluzione di 207 Km, da Châteaulin e Nantes. La prova collettiva si disputa per prima, sul tratto iniziale di 69 Km verso Plumelec sul quale la TI-Raleigh spadroneggia come il solito e distacca di 1’10” la Renault di Hinault, il quale guadagna parecchio su tutti gli altri avversari, anche se per la classifica non si conteggiano i distacchi reali ma solo quelli attribuiti dagli abbuoni per 15 delle 17 formazioni in gara (si spazia dai 3’15” destinati ai corridori della squadra vincente ai 10 secondi della formazione giunta quindicesima, l’Inoxpran di Battaglin che in questa tappa incassa oltre sette minuti distacco reale). La giornata si rivela doppiamente positiva per Hinault che, pur non riuscendo a togliere la maglia gialla ad Anderson, guadagna tempo prezioso anche nella semitappa pomeridiana, vinta dopo una fuga solitaria di una quarantina di chilometri dall’elvetico Stefan Mutter: il francese deve ringraziare ad una caduta di massa che spezza il gruppo a tre chilometri e mezzo dal traguardo e della quale ne fa le spese anche Beccia, che riesce a rientrare sul gruppo di testa, ma poi è costretto a precipitarsi in ospedale per farsi ricucire un paio di ferite alla mano. E, come detto, all’uscita di questo doppio impegno l’australiano si ritrova ancora in testa alla classifica con 28” di residuo vantaggio sul “Tasso”, 48” su Knetemann, 1’53” su Van der Velde, 2’31” su Zoetemelk e 6’34” su Battaglin.
Sono giornate febbrili per il Tour perché due giorni dopo il recupero della cronosquadre un’altra sfida contro il tempo attende i corridori, anticipata da una velocissima tappa di totale pianura che si conclude a Bordeaux con il successo del francese Pierre-Raymond Villemiane, che tre anni prima sull’arrivo in salita del Ballon d’Alsace aveva preceduto allo sprint Battaglin.
La terza cronometro, la seconda individuale dopo il prologo, va in scena per quasi 60 Km attorno a Valence-d’Agen, cittadina rimasta celebre nell’ambiente per lo sciopero dei corridori al Tour del 1978, quando il gruppo aveva tagliato a piedi il traguardo, dopo esser giunto fin lì a velocità da crociera, per protestare contro le partenze all’alba alle quali erano sottoposti in occasione delle semitappe. Quel giorno il primo a transitare sulla linea d’arrivo era stato Hinault, nominato dai corridori loro ambasciatore, e si presume che sarà ancora lui ad aprire l’ordine d’arrivo di questa crono, ma non accadrà tutto questo. Come nel prologo, come nelle prime due prove contro il tempo individuali del Tour dell’anno prima, la tappa si risolve in una sfida tra il francese e Knetemann, ma stavolta è l’olandese a far registrare il tempo migliore precedendo di 18” il francese, nonostante abbia patito la rottura di un raggio nel finale di gara, incidente meccanico che è probabilmente costato all’olandese la conquista della maglia gialla. Complici anche i quasi tre minuti perduti da Anderson, alla vigilia dei Pirenei Hinault si ritrova così in giallo con 14” su Knetemann, assolutamente non temibile nei tapponi, con 2’03” sull’australiano mentre gli altri avversari giurati del francese sono molto più lontani: in particolare Peeters, che l’anno prima aveva vinto la tappa dell’Alpe d’Huez – è 5° a 3’38”, l’intramontabile Zoetemelk è 7° a 4’26”, Van de Velde 10° a 6’34” e Kuiper, per concludere con gli onnipresenti olandesi, è 18° a 7’26”.
Dopo l’unica minitappa dell’anno precedente, nel 1982 i Pirenei si affrontano in due “round”, il primo dei quali è il più consistente sotto l’aspetto della distanza per via dei quasi 250 Km che si devono percorrere tra Fleurance e Pau. Il traguardo è preceduto da un solo storico colle, l’Aubisque, affrontato dal versante meno impegnativo e piazzato a ben 62 Km dalla conclusione della frazione, una collocazione che ne sminuisce la portata anche se nessuno si aspetta il successo di un velocista. A imporsi, infatti, è Kelly, corridore che negli anni dimostrerà di non temere le salite – riuscirà a concludere in quarta posizione il Tour del 1984 e addirittura a vincere la Vuelta nel 1988 – e che a Pau regola allo sprint il gruppetto di 17 corridori scremato dall’Aubisque e nel quale, come si pensava alla vigilia, non c’è il secondo della classifica Knetemann, che conclude con un passivo di quasi dodici minuti, lo stesso accusato da Battaglin.
Il giorno successivo si arriva sulla salita del Pla d’Adet al termine di un tappone in formato mignon, 122 Km che vedono i corridori arrampicarsi prima sul Tourmalet e poi sull’Aspen prima dell’ascesa finale, sulla quale dodici mesi prima era emerso il talento di Anderson. In quell’occasione l’australiano era giunto al traguardo assieme a Hinault, ma stavolta le cose vanno molto diversamente, dopo che Phil a inizio ascesa era riuscito a staccare Hinault, assieme agli olandesi Winnen e Van der Velde, nel tentativo di raggiungere l’elvetico Beat Breu, partito pochi minuti prima. Il francese li lascia sfogare poi innesta una marcia superiore e uno per volta li va riprendere, anche se non riesce a recuperare su tutti quelli che nel frattempo si erano portati in testa alla corsa e alla fine deve accontentarsi del sesto posto, 54 secondi dopo l’arrivo vittorioso di Breu, ma con pesanti distacchi affibbiati ai rivali. La vittoria finale di Bernard sembra saldamente nella classica botte di ferro perché, al momento di lasciare i Pirenei per intraprendere il lungo trasferimento aereo verso le Alpi, il “Tasso” può vantare 3’12” su Anderson, 4’31” su Zoetemelk, 5’40” sul connazionale Vallet e 7’26” su Van der Velde, mentre i due italiani che avevano preso il via da Basilea con l’intenzione di far bene s’inabissano sempre più in classifica e ora accusano rispettivamente ritardi di 17’22” (Beccia) e di 31’15” (Battaglin).
C’è un particolare, quest’anno, che accomuna la fase pirenaica a quella alpina, ed è il fatto d’esser precedute entrambe da una frazione a cronometro. Così se ne deve affrontare un’altra soli quattro giorni dopo la tappa contro il tempo di Valence-d’Agen e già la si può annunciare come l’atto iniziale di un’interminabile passerella trionfale per Hinault, che, infatti, detta la sua legge anche sui 32 Km e rotti del ventoso circuito di Martigues senza incontrari avversari in grado di impensierirlo: Knetemann stavolta arriva molto lontano dal francese, sesto a poco più di un minuto, che distacca di 48” il corridore che oggi gli è più arrivato vicino, l’olandese Adri van Houwelingen. Paga molto Anderson, che perde quasi due minuti da Hinault e per soli nove secondi riesce a non farsi soffiare il secondo posto da Zoetemelk, oggi staccato nell’ordine d’arrivo di 54 secondi.
Le Alpi debuttano con un arrivo in salita non difficilissimo ma che qualche brivido in gruppo lo suscita perché ancora vivo è il ricordo dell’impresa siglata undici anni prima dallo spagnolo Luis Ocaña nella frazione con arrivo a Orcières-Merlette, tra l’altro molto meno impegnativa rispetto a quella che è stata disegnata quest’anno da Jacques Goddet. Quel giorno lo scalatore spagnolo riuscì a compiere ciò che nessuno era riuscito a fare fino a quel momento, staccando pesantemente un corridore del calibro di Merckx fino a fargli accusare al traguardo un passivo di quasi nove minuti e vestendo la maglia gialla con un vantaggio ancora più elevato, una leadership che avrebbe portato senza troppi problemi fino a Parigi se una maledetta caduta nel primo tappone pirenaico lo avesse costretto al ritiro, spalancando al belga un autentico portone verso la vittoria finale. Difficilmente si rivivrà al Tour del 1982 una giornata simile a quella del 1971, sia perchè il Merckx di quel Tour aveva uno stato di forma inferiore rispetto ai suoi “standard” e a quelli dell’attuale Hinault, sia perché in gruppo non si vede un corridore in grado di emulare Ocaña e mettere in discussione la supremazia del francese. Invece, a un certo punto, le cose sembrano mettersi male per Bernard che – mentre in testa alla corsa c’è il terzetto di fuggitivi che andrà a giocarsi la tappa (vittoria di giornata al francese Pascal Simon) – viene attaccato nel finale e al traguardo si ritrova staccato da corridori come Beccia, Alban e Winnen, che l’anno prima si era imposto nella tappa con arrivo sull’Alpe d’Huez. I rivali più vicini in classifica al bretone, però, non riescono ad approfittare di questa situazione poiché Zoetemelk all’arrivo giunge assieme a Bernard mentre perde ancora terreno Anderson, che si scambia di posizione in classifica con l’olandese.
Pocanzi abbiamo accennato all’Alpe d’Huez, che l’indomani ospita l’arrivo di una tappa simile a quella del Pla d’Adet, breve e intensa come quella affrontata sui Pirenei. Uguale è anche il suo verdetto perché a imporsi è ancora l’elvetico Breu, che interrompe così una lunga serie di affermazioni olandesi in cima all’Alpe, dove i “tulipani” torneranno a vincere in sole altre tre occasioni (nel 1983 con Winnen, nel 1988 con Steven Rooks e nel 1989 con Gert-Jan Theunisse). Intanto, alle spalle di Breu – che, grazie al successo e a un’altra giornata ampiamente negativa per Anderson, si porta al terzo posto della classifica – continua il progressivo avvicinamento di Hinault all’apoteosi di Parigi perché oggi il francese ha reagito meglio agli attacchi riuscendo nel volgere di 3 Km ad annullare i venti secondi che Zoetemelk ha guadagnato attaccando lungo l’ascesa finale.
Ora è rimasta un’ultima giornata disegnata in montagna, l’unico vero tappone del Tour 1982 che negli ultimi 100 Km dei 244 da percorrere verso Morzine propone i colli dell’Aravis e della Colombière come antipasto alla difficile ascesa del Joux-Plane, posta proprio a ridosso dal traguardo. È una tappa che Hinault controlla senza problema alcuno e che concludequasi due minuti e mezzo dopo l’arrivo dell’olandese Winnen, che prende il posto in classifica di Breu, provato dagli sforzi delle due tappe precedenti. Pratica montagna definitivamente archiviata, ora Hinault ha un vantaggio di 5’27” su Zoetemelk, 7’13” su Winnen, 8’18” su Van der Velde e 9’17” su Breu, mentre non è più in classifica Battaglin, ritiratosi dopo la tappa di Orcières-Merlette a causa di uno stato febbrile che lo aveva portato a tagliare quel traguardo con una temperatura corporea di quasi 38°C.
La corsa francese si sposta ora verso Saint-Priest, che come l’anno prima accoglie l’arrivo di due frazioni consecutive. Le cronache di quel Tour parlano di un Hinault incontenibile e incontentabile che, prima di imporsi nella crono del secondo giorno, aveva sfiorato il successo anche nella prima delle due tappe con epilogo a Saint-Priest, arrivando ad un passo dalla vittoria. Stavolta, invece, il francese se ne rimane buono buono nella pancia del gruppo, che si lascia scappare l’olandese Van Houwelingen (solitario al traguardo con oltre dieci minuti di vantaggio), mentre il bollettino medico registra il brutto infortunio occorso al ligure Alfonso Dal Pian, che in una caduta a 80 Km dal traguardo batte violentemente il volto sull’asfalto riportando la frattura della mandibola. È un’altra tegola che cade sull’Inoxpran, la formazione che ha perduto Battaglin sulle Alpi e che ha visto diversi suoi corridori vittime di un’epidemia di dissenteria che in quei giorni ha colpito parecchi membri della carovana, per la quale viene addirittura attribuita la colpa alla plastica delle borracce, al punto che la stessa organizzazione del Tour nel dubbio invita i corridori a non farne uso.
Nel frattempo risorge Knetemann, che il giorno successivo torna a gareggiare sui livelli di Hinault nella quarta e ultima cronometro individuale, perdendo il confronto per soli nove secondi, mentre Pascal Poisson, connazionale e compagno di squadra della maglia gialla, è terzo a 19” e il belga Daniel Willems quarto a 34”, migliorando leggermente la prestazione dell’anno precedente, che l’aveva visto su questo stesso tracciato finire secondo con 37” di ritardo.
Sarà proprio Willems il primo corridore a tagliare, il giorno successivo, il traguardo della penultima tappa con arrivo ad Aulnay-sous-Bois, dove riesce a precedere allo sprint il più forte sprinter di questa edizione del Tour, l’irlandese Kelly. Quest’ultimo poco si rammarica perché sta già pensando al succulento traguardo dell’indomani sugli Champs-Élysées, prelibata torta sulla quale, però, non sa che il “signore del Tour” ha ancora l’intenzione di mettere la tradizionale ciliegina. Già era riuscito a imporcisi andando in fuga con il rivale Zoetemelk nel 1979, ma stavolta vuole estrarre il suo asso nella manica solo all’ultimo momento e farla sotto il naso ai velocisti: e ce la fa anche stavolta, consacrando ancora di più la sua onnipotenza in un’edizione del Tour che lo vede imporsi con 6’21” su Zoetemelk e 8’59” su Van der Velde.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: sono presenti le tappe dalla 12a alla 19a
BATTI UN CINQUE – 1981, IL TERZO TOUR DI HINAULT
Nel 1981 Hinault si schiera al via del Tour con un avversario in più da affrontare, il fantasma dell’amaro ritiro all’edizione dell’anno precedente. È una corsa di rabbia quella del francese, così come quella volta nella quale Merckx dominò la Grande Boucle dopo l’esclusione dal Giro per doping, e i distacchi che affibbierà lo testimonia.
Un progetto accantonato, momentaneamente.
Per la stagione 1980 Bernard Hinault ha un programma ambizioso, molto ambizioso, un programma che lo avrebbe consacrato tra i grandissimi del ciclismo. Vuole il Tour, il suo terzo consecutivo, ma vuole anche la doppietta con il Giro d’Italia, una corsa alla quale non aveva mai partecipato. La prima parte di questo progetto si concretizza e, grazie all’impresa nella tappa dello Stelvio in compagnia del fido gregario Jean-René Bernaudeau, s’impone alla Corsa Rosa con quasi sei minuti di vantaggio sul varesino Wladimiro Panizza. Anche il Tour inizia con il piede giusto per il francese che vince il cronoprologo di Francoforte, la crono disputata sul circuito automobilisto di Spa-Francorchamps e la tappa di Lilla, prende la maglia gialla, poi la perde per successivamente ritrovarla dopo la crono di Laplume, vinta dal rivale “Joop” Zoetemelk alla vigilia della tappa pirenaiche. Ma i Pirenei non lo vedranno in gara perchè proprio a quel punto una fastidiosa tendinite al ginocchio lo costringerà a una dolorosa battuta d’arresto e a far ritorno nella sua Bretagna.
È con la rabbia in corpo per questo ritiro che l’anno successivo Hinault si presenta al via del Tour con la seria intenzione di riprendersi ciò che la sfortuna gli aveva portato via, la stessa rabbia che albergava nell’animo di Merckx quando vinse il suo primo Tour, correva l’anno 1969, due mesi dopo l’esclusione dal Giro d’Italia per una positività al controllo antidoping che il belga sempre considerò fallace. Tale fu la “cattiveria” che impresse ai pedali e alla bici che Eddy vinse quell’edizione con distacchi mostruosi (Roger Pingeon terminò il Tour in seconda posizione con quasi 18 minuti di ritardo) e un verdetto quasi simile lo fornirà il Tour del 1981: se la corsa si fosse disputata tutta di filato Hinault sarebbe giunto in beata solitudine sugli Champs-Élysées e per vedere spuntare la sagoma del corridore che si piazzerà secondo, il belga Lucien Van Impe, si sarebbe dovuto attendere quasi un quarto d’ora. Intanto il francese ha cambiato programma d’avvicinamento al Tour, rimandando il progetto doppietta ad una stagione futura e prediligendo una preparazione meno impegnativa, che passa dalle classiche (dove vince Roubaix e Gand-Wevelgem) e dal Delfinato, che domina imponendosi in quattro tappe su nove e distanziando di quasi dodici minuti Joaquim Agostinho.
Il belga e il portoghese citati poco sopra sono solo due dei rivali che Hinault dovrà fronteggiare nella 68a edizione del Tour de France e ancora una volta dovrà fare i conti con l’olandese Zoetemelk, che era riuscito a vincere l’anno prima solo grazie al prematuro ritiro del francese, alle cui spalle aveva sempre terminato la corsa nel 1978 e nel 1979. Sono avversari che presentano, però, un grosso handicap, quello dell’avere abbondantemente superato i trent’anni e il discorso vale anche per gli altri grandi nomi al via, come quelli dell’olandese Hennie Kuiper, del suo connazionale Bernard Thévenet e del belga Johan De Muynck. C’è anche un corridore che nessuno prende in considerazione alla vigilia della partenza e che sorprenderà tutti perché il francese Robert Alban riuscirà alla fine a conquistare un insperato terzo posto in classifica. E ancora mancano totalmente gli italiani, come già era successo nel 1978 e l’anno precedente.
E pensare che quel Tour era partito molto vicino all’Italia. Come accadrà nel 2020 la sede di partenza è fissata in Nizza, dove sono in programma tre tappe in due giorni e dove Hinault fa subito capire le sue intenzioni imponendosi nettamente nel cronoprologo d’apertura con 7” sull’olandese Gerrie Knetemann e con distacchi che già sono pesanti sui rivali più attesi, che vanno dai 23” patiti da Zoetemelk ai 35” di Thévenet.
Il secondo giorno di gara sono previste due semitappe, la prima delle quali termina in volata con il successo di Freddy Maertens, il corridore belga che quell’anno conquisterà a Praga il suo secondo campionato del mondo dopo quello vinto a Ostuni nel 1976. C’è più attesa sulla cronosquadre pomeridiana di 40 Km, per la quale la favorita è la TI-Raleigh, la formazione nella quale l’anno prima era passato Zoetemelk e che dal 1976 puntualmente s’impone nelle prove collettive del Tour: anche stavolta la tappa finisce nel palmarès del team olandese che, volando a quasi 52 Km/h, distanzia di 29” la belga Capri Sonne, di 40” la francese Miko-Mercier e di 43” la Renault di Hinault, che perde le insegne del primato e viene preceduto in classifica da sette corridori, quasi tutti appartenenti alla “corazzata” olandese. Il nuovo capoclassifica è, infatti, Knetemann, che veste la maglia gialla con 13” sul belga Ludo Peeters e 16” su Zoetemelk, mentre Hinault è 8° a 33”. Per quanto riguarda gli altri grandi nomi, al termine della due giorni nizzarda il corridore più vicino a Hinault è Kuiper (47” dal francese), poi scorrendo la classifica s’incontrano De Muynck (1’06”), Agostinho (1’22”), Van Impe (1’49”) e Thévenet, per il quale si può dire che il Tour sia finito ancora prima di cominciare a causa di un passivo dal francese che supera i sette minuti.
La TI-Raleigh e la Renault tornano a sfidarsi il giorno successivo nel finale della lunga tappa di Martigues, con l’attacco di un corridore della formazione di Zoetemelk, l’olandese Johan van der Velde, nel circuito finale e la pronta risposta di un membro del team di Hinault, il lussemburghese Lucien Didier: i due riescono ad andare fin sul traguardo dove sullo strappo finale Van der Velde riesce a distanziare di 6” l’avversario mentre i loro capitani terminano pari tempo nel gruppo, giunto sulla linea d’arrivo 25 secondi più tardi.
Dopo la tappa di Narbonne Plage, che vede per la seconda volta sfrecciare vittorioso Maertens e il belga Peeters portarsi a un solo secondo dalla maglia gialla grazie agli abbuoni conquistati ai traguardi volanti, si disputa una seconda cronometro a squadre, molto più probante della precedente perché si devono percorrere 77 Km. La notevole distanza non spaventa la TI-Raleigh, che si fa trovare ancora pronta all’appuntamento e stavolta riesce a guadagnare tantissimo sulla Renault in virtù dei consistenti abbuoni previsti al traguardo di Carcassonne: qui la formazione di Hinault paga “fisicamente” un passivo di 41” ma, complici le generose bonificazioni, il francese si ritrova ad avere un ritardo di 2’18” in classifica, sempre comandata da Knetemann con 1” su Peeters e 16” su un Zoetemelk che sembra ancora un avversario temibile, nonostante le quasi 35 primavere che gli gravano sulle spalle.
Ma quei 35 anni potrebbero chiedergli il conto prima o poi e lo faranno prima, anzi subito il giorno dopo nell’unica frazione pirenaica di un Tour che è stato disegnato con mano non troppo pesante. Al traguardo in salita del Pla d’Adet, sopra Saint-Lary-Soulan, al quale si giunge dopo una tappa dal tracciato non terribile (117 Km e mezzo e le scalate al Col des Ares e al Peyrosourde prima di quella finale), l’olandese che l’anno prima aveva vinto il Tour si presenta sei minuti e mezzo dopo l’arrivo di Hinault, a sua volta preceduto di 27” da Van Impe. Pari tempo con il francese transita dalla linea d’arrivo l’australiano Phil Anderson che, grazie al secondo miglior tempo conseguito dalla sua squadra nella crono del giorno precedente, si veste di giallo con 17” sul francese, che dal canto suo ha scavato un abisso su tutti gli altri campioni.
I distacchi dal transalpino saranno destinati a un inevitabile inasprimento l’indomani perché Jacques Goddet ha previsto che a questo punto tornino a correre le lancette dei cronometri, stavolta per una prova contro il tempo individuale. I poco meno di 27 Km che si devono percorrere tra Nay e Pau prevedono una breve ma ripida “côte” nella fase iniziale di questa crono che in parte mette freno all’ardore agonistico di Hinault, che riesce a imporsi con appena 3” di vantaggio su Knetemann, mentre continua a sorprendere Anderson, terzo a 30”. Dietro al quarto classificato (il belga Gery Verlinden) i distacchi superano il minuto e così, a soli sette giorni dal via del Tour, pare quasi impossibile mettere in dubbio la supremazia del francese al Tour: ora, infatti, il “Tasso” viaggia con 13” su Anderson, 4’30” sul francese Michel Laurent, 4’58” su Van impe, 6’39” su Kuiper, 6’50” su Zoetemelk e 8’39” su Agostinho.
Annichilito dalle prestazioni fin qui fornite da Hinault, il Tour intraprende ora una lunga serie di noiose tappe di trasferimento verso la terza delle quattro cronometro individuali, in programma 10 giorni più tardi. Si comincia con la frazione che termina sul classico traguardo di Bordeaux dove allo sprint il neoprofessionista elvetico Urs Freuler riesce a precedere il navigato Maertens, mentre Hinault – che non è cannibale come Merckx ma poco ci manca – raggranella lungo il percorso venti secondi in abbuoni ai traguardi intermedi. E altri quattro ne guadagna, sempre agli sprint intermedi, nel corso della successiva tappa che da Rochefort conduce a Nantes, vinta allo sprint dall’olandese Ad Wijnands.
Osservato il primo giorno di riposo la carovana si rimette in marcia con una frazione diretta al celebre autodromo di Le Mans, dove riesce ad andare in porto la fuga da lontano di sette corridori, che sul traguardo vengono anticipati di una manciata di secondi da René Martens. Tra gli ardimentosi all’attacco c’è Gilbert Duclos-Lassalle, il corridore francese che negli anni ’90 vincerà due edizioni della Parigi-Roubaix e che grazie ai 2’36” guadagnati in questa giornata riesce a installarsi al terzo posto della classifica generale, a 3’31” da Hinault. Quest’ultimo il giorno successivo guadagna altri quattro secondi d’abbuono portando così a 41” il suo vantaggio su Anderson dopo la tappa di Aulnay-sous-Bois, la più lunga di questa edizione (264 Km), terminata con il bis in volata di Wijnands.
La caccia agli abbuoni forse si spiega con la voglia del corridore francese di incamerare più vantaggio possibile in vista della tappa del pavè, che tanto lo aveva fatto tribolare due anni prima, quando era stato attaccato da Zoetemelk e aveva perduto quasi tre minuti e mezzo dall’olandese e con essi la maglia gialla che portava orgoglisamente sulle spalle. Stavolta, però, i numerosi settori di pietre che si devono affrontare tra Compiègne e Roubaix non si rivelano per nulla selettivi, con somma pace di Hinault che termina la tappa nel folto gruppo di quasi 120 corridori che transitano dalla linea d’arrivo pochi secondi dopo il vincitore di questa frazione, il belga Daniel Willems.
Archiviato con un sospiro di sollievo questa delicata frazione, il Tour si sposta nel vicino Belgio dove sono previste tre tappe, anche queste poco impegnative. Nemmeno il muro di Grammont riesce a movimentare più di tanto la semitappa mattutina verso Bruxelles, che si conclude con la terza affermazione di Maertens; qualche emozione in più arriva il pomeriggio da Hinault che si lancia nello sprint al traguardo di Zolder, ma si deve accontentare del sesto posto mentre la vittoria la coglie il belga Eddy Planckaert, che nega la doppietta a Martens.
Terminata allo sprint anche la tappa belga di Hasselt – vittoria ancora per Maertens e altri 16 secondi guadagnati da Hinault con le “volatine” – si arriva finalmente a una frazione che offrirà più consistenti spunti di cronaca perché è terminato il lungo trasferimento verso la cronometro di Mulhouse. Su un anello di 38 Km che prevede anche una piccola salitella di quarta categoria si rinnova la sfida tra Hinault e Knetemann, che era stato preceduto dal francese sia nel prologo di Nizza, sia nell’altra crono di Pau. In queste occasioni i passivi pagati dall’olandese erano stati rispettivamente di sette e tre secondi, mentre stavolta Bernard corre con una marcia leggermente superiore a Gerrie e lo distanza di 25 secondi. Nonostante il ritardo di 2’31” al traguardo, in questa crono si confermano le doti dell’australiano Anderson, che fa registrare il quinto miglior tempo e viene immortalato dai fotografi mentre allarga le braccia sconsolato nel momento nel quale gli sfreccia accanto a velocità doppia un missile targato Renault. Già apparso inattaccabile, a due giorni dall’inizio delle Alpi il francese ha un vantaggio in classifica di 2’58” sull’australiano, di 9’38” su Van Impe, di 10’43” su Zoetemelk, di 11’28” su De Muynck, di 12’11” su Agostinho, di 13’20” su Kuiper, di 14’40” sull’ancora poco conosciuto Alban e di 23’52” su Thévenet.
Anticipate dalla lunga frazione di Thonon-les-Bains, conquistata allo sprint dall’irlandese Sean Kelly, le Alpi debuttano con una tappa di quasi 200 Km che si conclude a Morzine dopo aver affrontato le impegnative salite ai colli del Joux-Plane e del Joux-Verte, che Hinault ben conosce perché la prima fu scalata per la prima volta nella storia nel 1978, l’anno nel quale aveva vinto il suo primo Tour, mentre la seconda è più conosciuta con il nome di Avoriaz, la località di sport invernali che si trova in prossimità della scollinamento e dove due anni prima si era conclusa la cronoscalata che gli aveva permesso di levare la maglia gialla a Zoetemelk. Tutti si attendono un’ennesima zampata del corridore francese, ma questa non avviene perché stavolta il leader del Tour opta per una corsa di controllo, che lo porta a concludere questa frazione all’interno del gruppetto di dodici corridori – tra i quali ci sono anche “Joop” e Van Impe – che taglia il traguardo quasi quattro minuti dopo l’arrivo del vincitore, il francese Alban. È quest’ultimo, corridore fino a questo momento poco valutato, la vera sorpresa di giornata perché, grazie al tempo guadagnato sugli ultimi due colli, risale dal ventiseiesimo al sesto posto della classifica generale (10’45” è l’attuale passivo da Hinault) e ancora non è possibile immaginare che a Parigi salirà sul gradino più basso del podio. Intanto riesce a mantenere il secondo posto Anderson, nonostante i quasi 5 minuti perduti.
Dopo il giorno di riposo si corre l’attesa frazione dell’Alpe d’Huez, che parlerà olandese per la quinta volta dopo la vittoria di Kuiper nel 1977 e la tripletta di Zoetemelk (1976-1978-1978). In questa occasione il “tulipano” a tagliare per primo una linea d’arrivo che, pian piano, si sta facendo sempre più mitica è Peter Winnen, il miglior giovane del Tour, che al traguardo precede di otto secondi un Hinault apparso meno pimpante del solito, ma che comunque riesce egualmente a dilatare il suo dominio. Attaccato per due volte sulla salita finale da Van Impe e Alban, la maglia gialla arriva a pagare fino a 14” di ritardo prima di recuperare sui due corridori, che riesce poi a distanziare di una manciata di secondi in dirittura d’arrivo. Alle spalle dei primi tre corridori dell’ordine d’arrivo i distacchi sono, però, pesanti e a pagar dazio in maniera particolare è il secondo della classifica, Anderson, perché l’australiano si “spegne” sul Glandon e arriva ad accusare ben diciassette minuti di ritardo al traguardo, scivolando giù dal podio fino al diciannovesimo posto.
Nonostante i quasi dieci minuti che ha di vantaggio su Van Impe e Alban, secondo e terzo della classifica, Hinault vuole lasciare ancora il segno, forse per esorcizzare lo spettro del mezzo passaggio a vuoto patito sull’Alpe d’Huez, sulla quale desiderava maggiormente staccare gli avversari e non certo farsi mettere alla frusta da loro. A disposizione ha ancora un paio di tappe e la prima di queste è l’ultima frazione di montagna, che prevede l’inedito arrivo in salita a Le Pleynet al termine di una tappa breve ma intensa, che concentra cinque colli in 134 Km. Hinault non vuole attendere l’ascesa finale e ne sceglie una lungo il percorso per salutare gli avversari, il poco impegnativo Col des Mouillés: lassù Bernard parte, va agevolmente a riprendere i due corridori che in quel momento si trovavano in testa alla corsa con un minuto di vantaggio e poi viaggia spedito verso un traguardo che il francese tiene a battesimo con una vittoria di classe, affliggendo altri due minuti e mezzo a Van Impe, Alban e Zoetemelk. E ora il suo primato in classica, già solidissimo, appare incrollabile perché dopo le serie dei tre tapponi alpini si ritrova ad avere 12’12” su Van Impe e 13’22” su Alban, mentre per gli altri corridori che avevano preso il via da Nizza con velleità di vittoria finale i distacchi prendono connotati mostruosi: 15’09” per Zoetemelk, 15’33” per De Muynck, 44’52” per Kuiper, più di un’ora per Thévenet mentre Agostinho non è più in classifica, ritiratosi proprio in questa frazione, vittima di una grossa crisi – più psicologica che fisica – che si trascina fin dalle tappe pirenaiche e farà temere per la fine della sua carriera. In effetti il portoghese, che ha quasi quarant’anni, si prenderà un anno sabbatico nella stagione successiva, per poi tornare alle corse nel 1983, quando si piazzerà 14° al Romandie e 11° al Tour de France. Sarà ancora in gara nel 1984, in quella che sarà l’ultima stagione della sua vita: la perderà, la vita, in seguito ad un drammatico incidente avvenuto alla Volta ao Algarve, dopo aver investito un cane sul traguardo di Quarteira, quando si trovava in testa alla classifica della corsa lusitana.
Dopo le Alpi il Tour si ferma per quarantottore a Saint-Priest, dove sono programmate prima una breve frazione di trasferimento destinata ai velocisti e poi una cronometro di 46 Km, nella quale ci si aspetta che Hinault guadagni ancora sugli avversari. Quel che non ci si attende è che lo faccia anche nella prima tappa, che perde per un’inezia perché allo sprint lo precede il belga Willems, già vittorioso a Roubaix nella frazione del pavè, ma che lo vede acquisire venti secondi in abbuoni ai traguardi volanti. La tappa contro il tempo lo vede grande protagonista come nelle attese e stavolta si ribalta l’ordine d’arrivo del giorno prima perché il corridore che più gli finisce vicino è proprio Willems, unico a contenere il distacco entro il minuto (perde 37 secondi, per la precisione), mentre i ritardi degli altri sono “sonanti”, con Van Impe che perde 2’02”, Zoetemelk tre minuti esatti dal francese e Alban 3’14”.
Contento di quanto costruito negli ultimi giorni, la fame di Hinault si placa – ecco la differenza con il cannibale Merckx – e lascia le briciole agli altri nelle ultime due tappe, briciole su cui si avventano l’olandese Van der Velde e il belga Maertens. Il primo vince in fuga sul traguardo Fontenay-sous-Bois, il futuro bicampione del mondo s’impone sugli Champs-Élysées nel giorno del terzo trionfo di Hinault, che nella classifica finale precede di 14′34″ e di 17′04″ l’inatteso Alban, senza il cui exploit nella tappa di Morzine a salire sul gradino più basso del podio sarebbe stato Zoetemelk, che si deve accontentare del quarto posto a 18’21” dalla maglia gialla.
E ora Hinault può tornare a prendere in considerazione il progetto doppietta.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: presenti solo le altimetrie delle tre tappe alpine

Una delle istantanee più emblematiche del Tour de France 1981: durante la cronometro di Mulhouse l'australiano Andersonm, secondo in classifica, si vede sfrecciare accanto a velocità doppia Hinault e allarga sconsolato le braccia
BATTI UN CINQUE – 1979, IL SECONDO TOUR DI HINAULT
Il secondo Tour vinto da Hinault si conclude esattamente come quello disputato l’anno precedente, con i medesimi corridori e nella medesima sequenza. Stavolta, però, i distacchi sono molto più elevati, sintomo di un campione che si sta rivelando in tutta la sua potenza. A dire il vero gran parte dello svantaggio accumulato da Zoetemelk sarà frutto di una pesante penalizzazione per doping, senza la quale però accresce ancor più il valore di Hinault, riuscito a resistere con le unghie e i denti a un avversario dimostratosi non meno tenace e caparbio del francese.
Nulla sembrerebbe cambiato, apparentemente.
Il mattino del 23 luglio del 1979 i quotidiani riportano la classifica generale del Tour de France che si è concluso meno di ventiquattrore prima e leggerla è come salire sulla macchina del tempo e tornare indietro di un anno, un viaggio che idealmente compie soprattutto chi è poco appassionato di ciclismo e il Tour non l’ha seguito per nulla oppure senza darci particolare attenzione. Perché il Tour del 1979 è terminato esattamente come quello del 1978, almeno per i nomi dei corridori che occupano il vertice della classifica, che sono gli stessi e nello stesso ordine: primo Bernard Hinault, secondo “Joop” Zoetemelk e terzo Joaquim Agostinho. Apparentemente la corsa è stata un clone dell’edizione precedente ma in realtà non è così e basta un semplice movimento del capo per rendersene conto, spostandolo gli occhi dalla colonna dei nomi a quello dei minuti di distacco che il francese ha affibbiato: solo l’olandese è riuscito a tenere il passo del campione transalpino e ha limitato i danni a 3’07”, ossia 50 secondi in meno rispetto al passivo registrato l’anno precedente (anche se è doveroso precisare che, per i motivi che poi sveleremo, un mese più tardi gli sarà attribuita una penalità di 10 minuti che porterà il distacco a 13’07”), mentre il portoghese ha concluso la corsa distanziato di quasi mezz’ora, un abisso al confronto dei 7 minuti che lo separarono da Hinault dodici mesi prima. Anche Hinault è cambiato, non è più il giovane francesino di belle speranze ma una concreta realtà che garantirà parecchia gloria alla sua nazione che si appresta a entrare negli anni ’80, quelli nei quali si chiuderà il periodo d’oro dei francesi nella corsa di casa. Dopo la quinta e ultima vittoria di Hinault al Tour nel 1985 e la doppietta di Laurent Fignon (1983-1984) per i corridori d’oltralpe inizierà, infatti, un “digiuno” pluridecennale per quanto riguarda il successo finale, un periodo che al 2019 non si è ancora concluso.
Non ci sono solo i tre corridori citati al via della 66a edizione della Grande Boucle, che vede schierati ai nastri di partenza molti altri corridori interessanti: c’è il belga Lucien Van Impe che, dopo una stagione avara di vittorie, è tornato a riassaporare la gioia del successo imponendosi ad aprile nella tappa di León della Vuelta; c’è l’olandese Hennie Kuiper, che nel 1979 non ha ancora ottenuto vittorie e al quale ancora brucia il ritiro forzato dal Tour dell’anno prima, avvenuto quando era terzo in classifica, a causa di una frattura alla clavicola; c’è il tedesco Dietrich Thurau, che si era piazzato quarto alla Vuelta nel 1976 e quinto al Tour l’anno dopo; c’è ancora il belga Michele Pollentier, che dopo la figuraccia al Tour dell’anno prima ha cambiato casacca passando dalla Flandria alla Splendor e s’è comunque fatto notare piazzandosi terzo alla Vuelta, vinta proprio da uno dei corridori più attesi, il già menzionato Zoetemelk; c’è il suo connazionale Johan De Muynck, che di Pollentier è stato successore nell’albo d’oro del Giro d’Italia e adesso ha nel mirino la Grande Boucle, corsa che in precedenza aveva disputato solamente nel 1972, esperienza brevissima perché terminata con il ritiro dopo soli quattro giorni; finalmente, dopo la totale assenza nell’edizione precedente, ci sono anche 23 italiani iscritti al Tour e tra questi spiccano i nomi di due corridori che potrebbero fare bene, il vicentino Giovanni Battaglin e il mantovano Gianbattista Baronchelli.
C’è particolare interesse, dunque, su questa edizione del Tour e non soltanto per il campo partenti. Gli organizzatori stavolta hanno, infatti, confezionato un disegno insolito per la loro “creatua”, soprattutto per quanto riguarda la distrubuzione delle tappe di montagna: le tre frazioni pirenaiche si disputeranno in partenza, subito dopo il cronoprologo d’apertura, mentre sulle Alpi raddoppierà l’appuntamento con l’Alpe d’Huez, sulla quale è prevista la conclusione di ben due frazioni. Anche gli undici giorni dell’interminabile trasferimento tra i due massicci montuosi sono stati “conditi” a dovere per la presenza di un’insidiosa tappa sulle strade della Parigi-Roubaix, che tanto farà penare Hinault, e tre prove a cronometro, due delle quali a squadre. E queste ultime, messe assieme, fanno un totale di 177 Km da percorrere nelle prove collettive, una distanza che supera i 153 km della frazione di Caen dell’anno prima, alla quale rimane comunque il primato di cronosquadre più lunga della storia del Tour.
La sede d’avvio è nel piccolo centro di Fleurance, poco meno di 6000 abitanti che applaudono la vittoria nel prologo dell’olandese Gerrie Knetemann, che percorre i 5 Km del circuito cittadino a più di 50 Km/h e sostituisce la maglia iridata conquistata l’anno prima sul circuito del Nürburgring con la maglia gialla. Tra i corridori c’è più ambiscono a vestire quest’ultima a Parigi fanno registrare il medesimo tempo Zoetemelk e Hinault, 4 secondi peggio di Knetemann, mentre Thurau ne perde sei, Kuiper undici, Agostinho venti, Pollentier ventuno, Baronchelli ventidue, Battaglin e Van Impe ventitré e De Muynck ventiquattro.
Come anticipato, si affrontano subito i Pirenei e per evitare sfracelli il gruppo decide di percorrere al piccolo trotto il tratto iniziale della frazione che da Fleurance conduce al mitico traguardo di Luchon, dove si approda dopo esser saliti prima sul difficile Col de Menté e poi, dopo un breve sconfinamento in Spagna, sul Portillon, superato il quale inizia una discesa di una decina di chilometri che termina sulla linea d’arrivo. La prima ascesa provoca principalmente la classica “selezione da dietro”, la cui prima vittima è la maglia gialla Knetemann, già staccata di 5 minuti in vetta al Menté, sul quale il primo a transitare è Hinault con gli altri favoriti subito dietro. Nel tratto in falsopiano che separa il Menté dal Portillon si sgancia un tentativo di quattro corridori ai quali successivamente si aggiunge Battaglin e che riesce ad andare fino al traguardo, dove s’impone il francese René Bittinger, che precede di 8” il connazionale Jean-René Bernaudeau e di 32” il corridore italiano. A questo punto si devono aspettare altri 15 secondi per assistere all’arrivo del gruppetto dei migliori, ridotto a soli nove corridori dopo la più marcata selezione provocata dal Portillon. Dei nomi più attesi ci sono Hinault, Kuiper, Zoetemelk e Pollentier, mentre Agostinho paga 26 secondi e tutti gli altri già incassano passivi che pesano: 1’28” per De Muynck, 3’40” per Thurau e ben 7’38” per Van Impe, che subito vede compromesse le sue possibilità di vittoria finale. Accusato quasi un quarto d’ora di ritardo, Knetemann è costretto a lasciare le insegne del primato, che grazie al tempo guadagnato in fuga vengono assegnate a Bernaudeau, nuovo leader della classifica con 4” Bittinger e 24” sul suo capitano Hinault.
Ancor più selettiva è la frazione che gli organizzatori hanno collocato al terzo giorno di gara, una prima cronoscalata (ne è prevista un’altra sulle Alpi) che ha come meta Superbagnères, dove Hinault cala subito l’asso vincente e solo il portoghese Agostinho riesce a viaggiare quasi al suo livello, perdendo da lui un solo secondo nel tratto in salita, mentre saranno undici quelli che pagherà a un traguardo dove il francese guadagna parecchio su tutti gli altri avversari e addirittura manda fuori tempo massimo cinque corridori, tra i quali ci sono due italiani, il romagnolo Giovanni Cavalcanti (14’03” di ritardo per lui) e il bergamasco Gianfranco Foresti (15’05”). E così a soli tre giorni dal via la classifica presenta già un volto ben definito, che vede Hinault in giallo con 53” su Agostinho e Zoetemelk, appaiati nel distacco, 1’49” su Kuiper, 2’19” su Battaglin, 3’06” su Baronchelli, 3’09” su Pollentier, 5’52” su De Muynck, 9’45” su Thurau e 11’06” su Van Impe.
Non sono ancora finiti i Pirenei perché è prevista una terza frazione, una classica cavalcata attraverso i colli che conduce in 180 Km da Luchon a Pau transitando da Peyresourde, Aspin e Soulor. E pure questa tappa si chiude nel segno di Hinault che ci prova in più occasioni, già sul Peyresourde, senza comunque riuscire a rimanere solo al comando. Ottiene comunque il risultato di scremare il gruppo ai tredici elementi che in quel di Pau giungono a giocarsi il successo allo sprint, conquistato proprio da Bernard, che regola in volata il belga Rudy Pevenage e Baronchelli, mentre perdono ancora terreno De Muynck (46”), Van Impe e Thurau (12’08” per entrambi).
La maglia gialla di Hinault non sembra in discussione e, invece, rischia di scivolargli via dalle spalle il giorno successivo, al termine della prima delle due cronometro a squadre, per le quali l’organizzazione ha deciso di non applicare più la regola dei distacchi “calmierati” che era stata proposta l’anno prima e che prevedeva di assegnare distacchi prestabiliti in base al piazzamento. Stavolta i ritardi effettivi peseranno fino all’ultimo centesimo e vedono la Renault-Gitane del capoclassifica perdere ben due minuti e mezzo dalla formazione vincitrice, la corazzata olandese TI-Raleigh, che s’impone percorrendo a 48.447 Km/h i quasi 87 Km della Captieux – Bordeaux. Quel che più conta è il tempo guadagnato dalla Miko-Mercier di Zoetemelk, che si piazza terza facendo guadagnare 48” secondi al proprio capitano su Hinault, mentre tutti gli altri favoriti si ritrovano a perdere ancora dal francese. Agostinho è ancora una volta il corridore che cede meno e vede Hinault allontanarsi di altri 31”, Van Impe termina la crono con un passivo di 1’37” dal “Tasso” e ancor peggio fanno gli altri avversari del campione transalpino, con Baronchelli che perde 1’46”, Battaglin che termina la crono con 4’54” di ritardo e Pollentier che incassa un’autentica sberla, sette dolorosi minuti perduti. Nonostante la sottoprestazione della sua squadra Hinault riesce a mantenere la maglia gialla, continuando a vestirla con 12” di vantaggio su Zoetemelk, mentre anche Kuiper si avvicina sensibilmente al francese e grazie al terzo posto della sua Peugeot ora ha 31” di ritardo. Dietro i due olandesi i distacchi dei corridori di punta sono tutti superiori al minuto: Agostinho è a 1’24”, Baronchelli a 4’52”, Battaglin a 7’13”, Pollentier e De Muynck a 10’23”, Thurau a 19’46” e Van Impe a 24′51″.
Dopo un avvio di corsa decisamente duro è prevista ora una delle tappe più semplici, 145 Km pianeggianti che da Neuville-de-Poitou conducono al traguardo di Angers, dove si attende un “tranquillo” (se può definirsi come tale) arrivo allo sprint. Invece Hinault ci mette ancora il becco e rende tosta anche questa frazione, andando improvvisamente all’attacco poco dopo la partenza per sfruttare a suo favore una foratura che colpisce Zoetemelk. Guadagna fino a 37”, poi viene ripreso e immediatamente dopo tenta nuovamente di andarsene, cercando senza fortuna di accodarsi a un tentativo del campione del mondo Knetemann. Quest’ultimo viene poi raggiunto da altri corridori e si va a formare un gruppetto al comando, raggiunto al 77° Km di gara. Ripresi altri tentativi nel finale, si arriva allo sprint e pure in quest’occasione un indomito Hinault si getta nella mischia, riuscendo a piazzarsi quinto nella volata vinta dall’olandese Jan Raas e guadagnando solo una lavata di capo da parte del suo direttore sportivo Cyrille Guimard, che gli rimprovera il fatto di non aver forse compreso che ci si trova al Tour e non a un criterium, di correre così l’inutile rischio di rimanere coinvolto nelle cadute che spesso caratterizzano gli arrivi di massa.
Sono parole al vento quelle di Guimard perché Hinault il giorno dopo prende parte anche alle volate intermedie che caratterizzano il percorso della tappa di Saint-Brieuc, nelle quali è prevista per la prima volta in questa edizione l’assegnazione di abbuoni, una novità che era stata introdotta nell’edizione del 1978. Al corridore francese con tutta evidenza non è andato giù il tempo perso nella cronosquadre e sfrutta anche queste occasioni, riuscendo a guadagnare dodici secondi prima di un finale che lo vede ancora tra i protagonisti. Corre sulle strade di casa e vuole fare bella figura davanti ai suoi concittadini, ma stavolta le cose non vanno secondo i suoi piani perché si piazza solo terzo al GPM di Yffiniac, il paesino bretone di circa 3000 anime dov’è nato il 14 novembre del 1954, mentre al traguardo di Saint-Brieuc è secondo, preceduto di una bicicletta buona dal belga Joseph Jacobs.
La tappa successiva presenta un finale interessante poiché a 7 km dal traguardo di Deauville si deve superare il ripido muro di Saint-Laurent, mezzo chilometro al 13% di pendenza media sul quale, però, rimane deluso chi si aspettava un attacco da parte di Hinault o di uno dei suoi avversari. Il giorno dopo è prevista la seconda cronosquadre, più lunga e altimetricamente più impegnativa rispetto a quella affrontata pochi giorni prima, e così si preferisce una condotta di gara tranquilla, facendo controllare la corsa ai gregari, con Hinault che si limita a tagliare per primo la linea d’arrivo nel gruppo dei migliori, giunto al traguardo oltre quattro minuti dopo la vittoria del giovane “tulipano” Leo van Vliet.
La seconda e ultima prova collettiva si disputa per ben 90 Km sulle ventose e ondulate strade che fanno da corona all’estuario della Senna, scenario che vede in azione una Renault-Gitane risorta rispetto all’altra crono. Al secondo dei tre intermedi è addirittura in vantaggio sulla superfavorita TI-Raleigh, che poi sul traguardo di Le Havre riesce a ribaltare a suo favore la situazione per soli 6”. Dietro la squadra di Hinault, invece, si assiste a un’altra cascata di distacchi: la Miko-Mercier di Zoetemelk è quarta a un minuto esatto dalla TI-Raleigh, la Flandria di Agostinho quinta a 1’49”, la Peugeot di Kuiper sesta a 3’53”, la Magniflex di Baronchelli settima a 4’13”, la Kas di Van Impe nona a 6′31″, la Splendor di Pollentier decima a 6’32” e la Inoxpran di Battaglin tredicesima a 8’14”. Ora il primato del francese in testa alla classifica si rinsalda poiché Zoetemelk è 2° a 1’18”, lo svedese Sven-Ake Nilsson (compagno di squadra dell’olandese) 3° a 2′40″, Agostinho 5° a 4’05”, Kuiper 7° a 4’30” e qui ci fermiamo perché i distacchi per tutti gli altri corridori che erano partiti con velleità di vittoria appaio oramai incolmabili.
È notoria l’avversione che Hinault aveva per il pavè (nonostante in carriera abbia volutamente affrontato sei volte la Roubaix, vincendola nel 1981) e soprattutto per il suo inserimento nelle tappe del Tour. Questa idiosincrasia ha una data d’origine, il 6 luglio 1979: è il giorno successivo alla cronosquadre di Le Havre, è il giorno nel quale sono previsti 38 Km di pavè a farcitura dei 203 Km di totale pianura che si devono percorrere tra Amiens e Roubaix, è il giorno nel quale il corridore francese viene attaccato sulle pietre e perde la maglia gialla. Il promotore dell’assalto al vertice è Zoetemelk, che rende pan per focaccia a Hinault per il tentativo, qualche giorno di prima, d’approfittare di una sua foratura per avantaggiarsi. Stavolta, infatti, è il transalpino a forare e per ben due volte, mentre davanti alla corsa si forma un gruppetto di cinque corridori composto dall’olandese, dal tedesco Thurau e dai belgi Pollentier, André Dierickx e Ludo Delcroix, che nel finale riesce a liberarsi della compagnia degli altri quattro e a presentarsi tutto solo sulla pista del velodromo di Roubaix. Grazie all’aiuto dei compagni di squadra Hinault riesce a non naufragare, ma arriva al traguardo quasi tre minuti e mezzo dopo Zoetemelk, che si veste di giallo con 2’08” sul francese. In classifica c’è da segnalare anche il guadagno di una posizione di Kuiper, ora 6° a 6’38”, e l’inabissamento di Agostinho, che sprofonda dal quinto al quattordicesimo posto (a 17′34″) dopo aver perduto quasi un quarto d’ora sulle infide strade dell’Inferno del Nord.
Sono previste a questo punto due tappe a Bruxelles, la prima delle quali si rivela di puro trasferimento (s’impone al termine di una fuga nata al “chilometro zero” il neoprofessionista olandese Jo Maas mentre si ritirano i quattro corridori rimasti in gara della Magniflex di Baronchelli, già tornato a casa per una caduta sul pavè). La seconda tappa, invece, costituisce la prima occasione utile a Hinault per iniziare ad azzerare il gap causato dall’attacco di Zoetemelk nella tappa di Roubaix. È una crono di 33 Km disegnata sulle veloci strade della capitale belga, che per Bernard diventano il palcoscenico di una vittoria ottenuta non soltanto con la forza delle gambe ma anche con l’orgoglio che l’ha sempre caratterizzato, una dote che tre anni dopo al Giro d’Italia gli consentirà di “vendicarsi” dell’attacco di Contini in salita e di riprendersi la maglia rosa nella storica tappa di Montecampione. Sono 36 i secondi che Hinault riesce a recuperare all’olandese in giallo, portandosi ora a 1’32” da quella maglia che vestiva senza interruzioni sin dai Pirenei.
Il francese non è, però, l’unico avversario dal quale Zoetemelk deve guardarsi le spalle di giallo fasciate. Anche Kuiper medita il colpaccio e lo mette in scena il giorno dopo, quando la corsa rientra in Francia con la tappa diretta a Metz, altra frazione che ha in programma succulenti traguardi volanti ad abbuoni. La partenza da Rochefort è in salita con i primi due chilometri da pedalare in direzione del GPM della Côte de Saint-Hubert, immediatamente dopo la quale parte una prima imboscata di Kuiper con altri sei corridori. Niente da fare, ma Kuiper ci vuole riprovare e al successivo tentativo gli va meglio: mentre la vittoria dì giornata viene conquistata dal francese Christian Seznec, Hennie riesce a recuperare 1’45” al connazionale, risalendo al terzo posto della classifica generale con un passivo di 6′09”.
Tra due giorni inizieranno le Alpi ma prima di giungere alle frazioni decisive è programmata una tappa di montagna sui Vosgi, dove si attende un’altra giornata ad altra gradazione alcolica. La frazione si rivela però poco incisiva per la lotta tra i primi due della classifica perché per piazzare l’unico suo scatto di giornata Hinault attende la curva che precede il traguardo, fissato in cima alla mitica salita del Ballon d’Alsace: è un’azione che arriva più dal cuore che dalle gambe e che gli consente di recuperare appena tre secondi su Zoetemelk. Peggio va a Kuiper, che perde quasi un minuto e mezzo a causa di una foratura a inizio salita, mentre a imporsi sul Ballon d’Alsace è il transalpino Pierre-Raymond Villemiane, che allo sprint precede l’italiano Battaglin.
Ai piedi delle Alpi ci si giunge con la frazione più lunga del Tour, 252 Km che conducono da Belfort alla località termale di Évian-les-Bains attraversando per un lungo tratto la Svizzera. Le difficoltà altimetriche da superare sono poche e scarsamente impegnative e un volatone è la più probabile soluzione per questa tappa. E di volatone si tratta perché sono ben 109 (su 110 in gara) i corridori che si presentano tutti assieme sul rettilineo d’arrivo, dove Marc Demeyer precede l’irlandese Sean Kelly e il francese Jacques Esclassan. Ma, nonostante questa conclusione, la classifica cambia e di parecchio alle immediate spalle di Zoetemelk perché oggi erano in programma ben cinque traguardi volanti ad abbuoni e di questi quattro se li è “pappati” Hinault, che ha così intascato 40 secondi in bonificazioni, riducendo ulteriormente le distanze dalla maglia gialla, dalla quale ora lo separano 49 secondi.
Il sorpasso è questione di 55,5 Km, quelli della seconda cronoscalata che Jacques Goddet ha inserito nel percorso e che inaugura la fase alpina della corsa. Si deve pedalare dalle rive del lago di Ginevra fino agli oltre 1800 metri della stazione di sport invernali di Morzine, su di un percorso che prende progressivamente quota fino a proporre salita vera negli ultimi 13 Km. Dopo ventisei chilometri, al primo rilevamento, Zoetemelk è ancora in possesso della maglia gialla ma con i secondi contati perché a quel punto Hinault ha già recuperato gran parte del passivo dall’olandese. Ai piedi dell’ascesa finale il francese è virtualmente in giallo per 48 secondi, poi aumenta ancora e si presenta ad Avoriaz un’ora, trentatrè minuti e trentacinque secondi dopo esser partito da Évian, con un vantaggio di 2’37” su Zoetemelk nell’ordine d’arrivo e di 1’48” in classifica generale, dove si conferma al terzo posto Kuiper con 11’47” di ritardo.
Ovviamente il francese non si accontenta di questo risultato. Conosce il suo avversario, sa di cosa è capace e sa che deve distanziarlo ancora. E così lo attacca a 3 Km dall’arrivo del primo dei tre tapponi alpini, che prevede l’inedito traguardo in salita a Les Menuires, stazione di sport invernali che ospiterà un arrivo del Tour anche nel 2020. Coglie Zoetemelk affaticato e riesce a distanziarlo di circa un minuto, ma non a conquistare il bis sulle Alpi perché viene battuto dall’unico corridore che era riuscito a resistergli, il belga Van Impe, da tempo uscito di classifica.
Dopo il secondo giorno di riposo arriva il turno della doppia Alpe d’Huez, che viene per la prima volta affrontata al termine di un altro impegnativo tappone, che prevede anche le ascese alla Madeleine e al Galibier. Contento dei risultati ottenuti ed anche per evitarsi un crollo per eccesso di sforzi, Hinault decide stavolta di disputare la tappa limitandosi a controllare Zoetemelk, il quale dal canto suo corre quasi annichilito dalla superiorità dimostrata dall’avversario e non ci prova nemmeno a metterlo in difficoltà. Della situazione ne approfitta Agostinho, che taglia il traguardo 3’19” prima dell’arrivo del risicato gruppetto di Hinault e Zoetemelk, nel quale ci sono anche Nilsson e Battaglin. Su quest’ultimo, però, si sta per abbattere la tegola del doping perché subito dopo la conclusione della tappa viene ufficializzata la notizia della sua positività all’efedrina al termine della frazione del Ballon d’Alsace, nella quale era arrivato secondo, causata dall’assunzione di due pastiglie di Zerinol, farmaco somministratogli dal medico della squadra per alleviargli la tracheite che lo affliggeva da qualche giorno. I regolamenti dell’epoca non contemplano l’espulsione dalla corsa e così il corridore vicentino può rimanere in gara, pur con una penalizzazione di dieci minuti.
La seconda frazione con arrivo sull’Alpe è più breve e meno impegnativa della precedente e forse questo fattore stavolta motiva Zoetemelk, che attacca all’inizio della salita e al traguardo si presenta con 40” su Van Impe e 47” su Hinault, che si difende bene e all’uscita dalla fase alpina si ritrova in maglia gialla con 1’58” sull’olandese. La vittoria finale del francese, a questo punto, sembra blindata mentre è ancora apertissima la lotta per il gradino più basso del podio a Parigi, essendo separati da soli 35 secondi Kuiper – attualmente 3° a 21’23” – e Agostinho, che sull’Alpe è riuscito a distanziare l’olandese di 1’43”: a decidere questa tenzone sarà la cronometro prevista settantadue ore più tardi.
Il viaggio verso l’ultima frazione contro il tempo prevede prima di affrontare due tappe di trasferimento, la prima delle quali si conclude allo sprint sul traguardo di Saint-Priest, dove il tedesco Thurau riscatta un Tour per lui fallimentare precedendo i belgi Jacobs e Demeyer, entrambi corridori che in questa edizione della corsa francese hanno all’attivo un successo a testa.
Più accidentata è la collinare tappa di Digione, che vede l’approdo di una fuga a due nata a una sessantina di chilometri dal traguardo su iniziativa dell’italo-francese Serge Parsani, al quale si aggancia Knetemann. È quest’ultimo a tagliare per primo il traguardo con due secondi di vantaggio su Parsani, ma subito dopo la conclusione della tappa la giuria inverte le posizioni dei due corridori accogliendo il reclamo di alcuni elementi del gruppo, che avevano visto il corridore olandese riuscire ad accodarsi al tentativo di fuga di Parsani attaccandosi a un’ammiraglia.
La crono disegnata per 50 Km tra Plombières-les-Dijon e l’autodromo di Prenois, tra il 1974 e il 1984 sede di cinque edizioni del Gran Premio di Francia di Formula 1, vive dunque una doppia sfida e quella che più conta contrappone Kuiper ad Agostinho per il terzo posto in classifica, terminata con il netto sorpasso tra i due corridori grazie ai quasi due minuti che anche oggi il portoghese è riuscito a guadagnare. La vittoria, invece, se la giocano Hinault e Zoetemelk, che corrono su livelli quasi simili fino al gran premio della montagna posto esattamente a metà tappa, sul quale l’olandese fa registrare il miglior tempo di scalata, anche se in testa all’intertempo c’è il francese per undici secondi. Il più veloce a compiere il giro finale sul circuito dell’autodromo è, invece, Bernard che riesce a imporsi con 1’09” su “Joop”, frenato da una foratura proprio nel tratto conclusivo in pista.
Mancano tre tappe alla conclusione, tutte poco impegnative e poco foriere di sorprese e di emozioni, che invece non mancheranno. La terzultima ha come protagonisti principali Battaglin e Knetemann, che attaccano assieme ad altri tre corridori a una ventina di chilometri dal traguardo di Auxerre, al quale i due si presentano da soli con una cinquantina di secondi di vantaggio sul gruppo. La vittoria stavolta è correttamente conseguita dall’olandese, mentre il vicentino grazie al tempo guadagnato risale due posizioni in classifica, portandosi al sesto posto a 35′54″ da Hinault. E pensare che senza la penalizzazione per positività all’efedrina ora sarebbe quarto, con appena 4” di vantaggio su Kuiper.
La successiva frazione di Nogent-sur-Marne non prevede grosse difficoltà altimetriche, a parte un paio di strappi nel finale, l’ultimo dei quali in corrispondenza del traguardo. Si tratta di ascese che non fanno paura ai velocisti, che al massimo devono guardarsi le spalle dalle coltellate dei finisseur, ma nessuno avrebbe immaginato che a provarci con successo sarebbe stato nientemeno che il padrone assoluto della corsa. E così Hinault si mette alla ruota di Demeyer, quando questi parte a poche centinaia di metri dal traguardo, per poi emergere di prepotenza in dirittura d’arrivo, riuscendo a precedere il belga allo sprint.
Ora Hinault s’è ingolosito, s’è “merckxizzato” potremmo dire, e guarda con cupidigia anche al traguardo successivo, quello prestigioso degli Champs-Élysées, già divenuto una preda ambita nonostante sia proposto da soli cinque anni come punto d’arrivo finale del Tour. Il finale del giorno prima, con il suo dolce strappo, lo agevolava ma riuscire a prevalare sui pianeggianti Campi Elisi contro tutti i velocisti rimasti in gara è un qualcosa d’impossibile. Ci vuole una soluzione alternativa, quella di una fuga pazza e la mette in pratica quando mancano 57 Km al traguardo e si è ancora alle porte di Parigi. 4 Km più avanti lo raggiunge Zoetemelk e i due prendono a marciare di comune accordo, transitando per la prima volta dal traguardo con 1’32” sul gruppo, vantaggio che sale a 2′18″ al momento dell’arrivo, quando Zoetemelk prova a sorprendere il francese partendo da lontano, ma è ancora il “Blaireau” a transitare per primo dal traguardo, fatto storico – quello della vittoria della maglia gialla a Parigi – che non accadeva dal 1935, quando nella capitale francese si era imposto il belga Romain Maes. E così all’ultimo giorno gli applausi sono tutti per un uomo solo, quel Bernard Hinault che dopo la vittoria dell’anno precedente si conferma grande campione precedendo di 3’07” Zoetemelk e di 26’53” Agostinho. Un mese più tardi sarà rivelato che anche l’olandese era stato pizzicato positivo all’antidoping proprio la sera della tappa di Parigi e che gli sarebbe stata applicata una penalizzazione di 10 minuti, identica a quella di Battaglin. Ma quel surplus di tempo non arriverà a intaccare il secondo posto in classifica di Zoetemelk, l’unico avversario che quell’anno riuscì a mettere alla frusta Hinault.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: manca l’altimetria della 4a tappa (cronometro a squadre Captieux – Bordeaux)

Zoetemelk e Hinault in pazza fuga sulle strade di Parigi
BATTI UN CINQUE – 1978, IL PRIMO TOUR DI HINAULT
Nel luglio del 1978 inizia l’era di Bernard Hinault al Tour de France, che debutta proprio nell’anno del ritiro dalle competizioni di Eddy Merckx, il suo predecessore nello speciale e ristretto albo d’oro che raduna i corridori che in carriera sono stati in grado di vincere cinque edizioni della Grande Boucle. Nonostante gli appena 23 anni e la mancanza di precedenti esperienze al Tour il corridore francese riesce subito a imporsi con distacchi da campione navigato, quasi tutti impressi nel corso dell’ultima tappa a cronometro.
23 anni, già tre stagioni da professionista alle spalle e un inizio di carriera in sordina, che l’aveva visto sbocciare l’anno prima vincendo Gand-Wevelgem, Liegi, Delfinato e Gran Premio delle Nazioni a cronometro. È con questo già nutrito curriculum che il giovane Bernard Hinault il 29 giugno del 1978 si presenta ai nastri di partenza del Tour de France. Nonostante nei mesi precedenti si sia imposto nella Vuelta conquistando ben cinque successi di tappa, i “bookmakers” faticano a inserire il bretone nel listino dei favoriti, sia per la giovane età, sia perché non ha nessuna esperienza di Grande Boucle, che affronta per la prima volta. Non si vedono, però, grandi stelle al via di quel Tour, perchè non c’è più Eddy Merckx, che pure inizialmente aveva messo la corsa francese nei suoi programmi e che poco più di un mese prima aveva annunciato il suo definitivo addio alle corse, mentre il vincitore uscente del Tour Bernard Thévenet non sembra attraversare un grande momento di forma e, infatti, concluderà anzitempo la corsa in un’annata che non lo vedrà mai vincente e a quota zero vittorie rimarrà nel 1978 anche il belga Lucien Van Impe, che il Tour l’aveva vinto due anni prima. Si guarda con interesse agli olandesi Hennie Kuiper e “Joop” Zoetemelk, entrambi già saliti sul secondo gradino del podio del Tour a Parigi; non si pensa troppo al portoghese Joaquim Agostinho, che in questa edizione otterrà il terzo posto finale; non si pensa per niente agli italiani, ma semplicemente perché nessun azzurro è iscritto alla corsa francese. C’è, però, un corridore che sembra risaltare nella starting list e che gode dei maggiori favoriti del pronostico, il ventisettenne belga Michel Pollentier, che quest’anno punta alla maglia gialla dopo aver vinto il Giro d’Italia nel 1977 e che si presenta al Tour qualche giorno dopo aver vinto il Delfinato e il campionato nazionale.
La partenza del 65° Tour de France è fissata fuori dai confini nazionali con un cronoprologo di 5 Km disegnato sulle strade della cittadina olandese di Leida, che viene conquistato da un corridore di casa. Il più veloce di tutti è, infatti, Jan Raas, che sotto la pioggia fa meglio di 2” del connazionale Gerrie Knetemann, mentre i corridori più attesi pagano rispettivamente quattro (Zoetemelk), otto (Kuiper), diciannove (Hinault), ventotto (Thévenet), trentuno (Van Impe) e quarantaquattro secondi (Pollentier e il suo compagno di squadra Agostinho).
Il secondo giorno prevede due semitappe, entrambe in linea e totalmente pianeggianti, la prima delle quali termina a Sint Willebrord, dove Raas vince ancora partendo secco a 900 metri dal traguardo e resistendo per un secondo alla rincorsa del gruppo, regolato allo sprint dall’ex campione del mondo Freddy Maertens. Per Raas c’è anche la gioia della maglia gialla, che non gli era stata assegnata il giorno prima per la decisione degli organizzatori di annullare il prologo ai fini della classifica a causa del maltempo. Il pomeriggio si arriva a Bruxelles dove Maertens incassa un altro secondo posto, preceduto dal suo connazionale Walter Planckaert mentre terzo si piazza Jean-François Pescheux, il corridore francese che – appesa la bici al chiodo – nel 1981 entrerà a far parte dello staff organizzativo del Tour arrivando a ricoprire, tra il 2005 e il 2013, l’incarico di direttore di corsa aggiunto al fianco di Christian Prudhomme.
Leggermente più insidiosa è la frazione che introduce la corsa in Francia e che prevede qualche tratto di pavè, non dei più celebri, prima di giungere al traguardo di Saint-Amand-les-Eaux, dove si assiste a un’altra conclusione allo sprint e a un’ennesima sconfitta da parte di Maertens, che oggi si piazza terzo preceduto dai francesi Jacques Esclassan e Yvon Bertin.
Alla vigilia della temuta cronosquadre di Caen si disputa un’interminabile frazione di trasferimento che ha la sua meta nella cittadina di Saint-Germain-en-Laye, alle porte di Parigi, e che il gruppo affronta al piccolo tratto, al punto che la media finale sarà di poco inferiore ai 33 Km/h. A 76 Km dal traguardo è collocata una facile “côte” di quarta categoria sulla quale si stacca la maglia gialla Raas, che successivamente riesce a recuperare e a terminare la tappa nel gruppo dei migliori, senza comunque aver più l’insegna del primato sulle spalle. Negli stessi frangenti della sua momentanea crisi s’era, infatti, involata una fuga di dieci elementi che giunge fino all’arrivo, dove s’impone il tedesco Klaus-Peter Thaler mentre in testa alla classifica si porta il francese Jacques Bossis, compagno di squadra di Hinault.
Nel frattempo il sonno ai primattori del Tour è realmente turbato dall’incubo della prova collettiva prevista il giorno successivo perché tra Évreux e Caen si dovranno percorrere ben 153 Km. Si tratta della cronosquadre più lunga della storia del Tour e si annunciano distacchi ciclopici, anche se l’organizzazione ha stabilito che per la classifica non sempre saranno conteggiati i distacchi effettivi ma solo quelli attribuiti dagli abbuoni previsti in ordine decrescente per i primi cinque corridori delle prime cinque formazioni classificate (due minuti per la prima, 1’20” per la seconda, uno per la terza, 40” per la quarta e 20” per la quinta). La squadra più attesa al varco è l’olandese TI-Raleigh – nella quale militano l’ex capoclassifica Raas e Kuiper e che può essere considerata l’antesignana delle odierne “corazzate” stile Mapei e INEOS – che riesce a imporsi per appena sette secondi sulla belga C&A di Van Impe, dopo che questa era sempre transitata al comando ai precedenti intermedi. 4’19” è il passivo patito dalla Miko-Mercier di Zoetemelk, terza, mentre le formazioni degli altri corridori più attesi pagano distacchi più pesanti: 5’15” la Renault-Gitane di Hinault, 6’20” la Flandria di Pollentier, 13′20″ la Peugeot di Thévenet. Alla fine di questa difficile cronosquadre passa in testa alla classifica il vincitore della tappa del giorno precedente Thaler, che pure corre nella TI-Raleigh e che si veste di giallo con 6” su Knetemann e 46” sul belga Joseph Bruyère. Tra i corridori più attesi il migliore è Kuiper, 9° a 3’05” da Thaler e che ha 57” di vantaggio su Van Impe e Zoetemelk, 1’20” su Hinault, 1’40” su Pollentier e due minuti esatti su Thévenet.
Un’altra lunga prova contro il tempo, individuale questa, si palesa all’orizzonte ma prima si devono affrontare tre facili frazioni che, a meno di sorprese, dovrebbero terminare in volata e la prima di queste vede finalmente prevalere Maertens, che sul traguardo di Mazé-Montgeoffroy regola l’olandese Gerben Karstens ed Esclassan. Non ci sarà, invece, il volatone a gruppo compatto l’indomani a Poitiers perché a 7 Km dall’arrivo un gruppetto di cinque corridori riesce a evadere dal gruppo e giungere fino al traguardo, che taglia con 27 secondi di vantaggio. Tra questi corridori ci sono l’irlandese Sean Kelly, che conquista la sua prima vittoria al Tour, e Knetemann, che grazie al mezzo minuto guadagnato leva per 21 secondi la maglia gialla dalle spalle del suo compagno di squadra Thaler.
La tappa di Bordeaux termina nuovamente allo sprint e ancora con il successo di Maertens ma non si rivela una passeggiata per gli uomini di classifica, perché accadono alcune cadute “eccellenti” come quelle di Thévenet e Hinault, con quest’ultimo costretto a cambiare bici e a ricorrere alle cure del medico dopo aver battuto il gomito sinistro. L’infortunio non è serio e non ne condiziona l’indomani il rendimento nella cronometro che da Saint-Émilion conduce a Sainte-Foy-la-Grande, nella quale il corridore francese emerge alla distanza con un finale di gara travolgente. Gli intermedi del 22° e del 35° Km lo vedono viaggiare con una ventina di secondi da recuperare da Maertens, poi Hinault inserisce il turbo e all’altro capo dei 59 Km e rotti della crono si presenta come vincitore della tappa, con 34” su Bruyère – che pure si era infortunato il giorno prima – e 56” sul belga. Per quanto riguarda gli altri big della classifica i cronometri sanciscono 59” di ritardo per Zoetemelk, 1’22” per Pollentier e 2’59” per Kuiper, mentre devono dire addio ai sogni di vittoria finale Thévenet e Van Impe, rispettivamente staccati di 4′37″ e 6′17″. Cambia ovviamente il leader della classifica perché ora a vestire la maglia gialla è Bruyère con 2’07” su Bossis e 2’56” su Knetemann, mentre Hinault è 4° a 3′32″, primo degli uomini di punta con 39” su Zoetemelk, 1’39” su Kuiper e 1’42” su Pollentier.
Dopo la pianeggiante tappa di Biarritz, che vede imporsi lo spagnolo Miguel María Lasa partendo a 800 metri dal traguardo e resistendo al ritorno del gruppo, debuttano i Pirenei con una frazione non particolarmente difficile di 191 Km che si conclude a Pau dopo aver affrontato le salite ai colli d’Ichère e di Marie-Blanque, inedito per la corsa francese, e un paio di pedalabili “côtes” a ridosso del traguardo. La gara dei big si accende sul Marie-Blanque, con Pollentier che transita in testa sul colle con 10” su Hinault e Zoetemelk, 14” su Kuiper e 31” sulla maglia gialla Bruyère. Sulle colline che movimentano il finale i migliori si ricompattano e si forma in testa alla corsa un gruppo di trentasei corridori dal quale ai meno cinque esce l’olandese Henk Lubberding, che contina nell’azione fino al traguardo, dove giunge con 30” di vantaggio sul plotone, regolato allo sprint dal francese Alain Patritti.
Molto più stimolante è il percorso del tappone che l’indomani conduce al traguardo in salita del Pla d’Adet, sopra Saint-Lary-Soulan, passando prima dai 2113 metri del Tourmalet e poi dai 1489 metri dal Col d’Aspin. Come il giorno precedente sul Marie-Blanque, anche sul Tourmalet il primo a transitare è Pollentier, che scollina con 5” sul francese Mariano Martínez, 18” su Hinault e Zoetemelk e 31” su Kuiper, mentre il leader della corsa Bruyère soffre maggiormente e accusa quasi tre minuti di ritardo. La discesa annulla i distacchi tra i migliori, poi sull’Aspin il belga riesce ancora a guadagnare una dozzina di secondi, per poi venir nuovamente raggiunto dopo lo scollinamento. All’inizio della salita finale va all’attacco Zoetemelk con Pollentier, poi il belga ci riprova con Martínez e in entrambe le occasioni Hinault torna sui primi, per poi tentare lui stesso l’azione sotto la “flamme rouge”. Alla fine a concludere trionfalmente il primo tappone è Martínez, che precede di 5” Hinault e Pollentier e di 19” Zoetemelk, mentre dietro ai corridori più attesi fioccano i distacchi, a partire dal minuto e mezzo accusato da Agostinho e da Kuiper. Bruyère, invece, lascia per strada 2’31”, ma riesce a mantenersi al vertice della classifica per poco più di un minuto, mentre al secondo posto si porta Hinault.
Il giorno successivo è suddiviso in due semitappe, la prima delle quali viene affrontata con la luna di traverso dal gruppo, che si lamenta per le levatacce alle quali i corridori sono costretti in queste particolari situazioni. Una protesta simile si era avuta anche al Giro d’Italia dell’anno prima, ma poi la rimostranza era rientrata e si era corsa regolarmente la tappa in circuito di Gabicce Mare, vinta da Maertens. Stavolta, invece, i corridori portano avanti il loro “sciopero bianco” fino al traguardo di Valence-d’Agen, arrivandovi in forte ritardo e poi scendendo di bici a 100 metri dalla linea d’arrivo, che varcano a piedi con Hinault in testa, e questo è un segnale dell’autorevolezza che il corridore francese è già riuscito a costruirsi addosso in pochi anni di professionismo. Al contrario, nella semitappa pomeridiana verso Tolosa si ritorna a correre sul serio ed è lo stesso Hinault a tentare la fuga, nonostante il percorso pianeggiante. Arrivato a guadagnare una dozzina di secondi, si fa poi riprendere e quindi si arriva allo sprint con il bis del transalpino Esclassan.
Un’altra impegnativa cronometro è alle porte, anticipata da una frazione disegnata sulle tormentate strade del Massiccio Centrale, con partenza fissata a Figeac e l’arrivo in dolce salita nella stazione di sport invernali di Super-Basse: qui i migliori si presentano tutti assieme, preceduti dal belga Paul Wellens, vincitore della tappa, dal francese Michel Laurent e da Agostinho, che ha via libera dal suo capitano Pollentier e guadagna una trentina di secondi.
La terza prova contro il tempo si disputa su di un tracciato molto impegnativo, 52 Km e 500 metri con la rampa di lanco collocata nel centro di Besse-en-Chandesse e il traguardo posto al termine dei ripidi sei chilometri della mitica ascesa del Puy de Dôme, in cima alla quale due anni prima si era imposto Zoetemelk. Ed è ancora il corridore olandese ha mettere la sua firma lassù, grazie anche al crollo verticale negli ultimi chilometri di Pollentier, che era transitato in testa a tutti gli intermedi ma poi si era “schiantato” sulla salita finale concludendo la tappa al secondo posto a 46″ da Zoetemelk. La terza piazza è per la maglia gialla Bruyère a 55”, che si difende egregiamente, mentre delude Hinault, soprattutto per chi si aspettava un exploit simile a quello visto nella crono disputata una settimana prima, perché il francese incassa il quarto posto con 1’40” di ritardo e perde la seconda posizione in classifica. Dopo la seconda crono è, infatti, terzo a 1′50” da Bruyère, con Zoetemelk secondo a poco più di un minuto e l’altro favorito Pollentier quarto a 2’38”.
La frazione successiva viene accorciata dagli organizzatori tagliando i primi 40 Km, senza così intaccare le fasi salienti che s’incontreranno nel finale di Saint-Étienne quando si deve affrontare la lunga ma non troppo difficile salita della Croix-de-Chabouret a 25 Km dal traguardo. Il primo a muoversi è Kuiper, che guadagna una trentina di secondi prima di essere ripreso a un chilometro dallo scollinamento, quando va in scena un ennesimo tentativo di Pollentier. La discesa annulla, però, gli effetti della salita e sul traguardo di Saint-Étienne piomba un folto gruppo di quaranta corridori a giocarsi il successo di tappa, conquistato da Hinault su Kelly e Maertens.
Arriva così l’atteso giorno dell’Alpe d’Huez, salita che il Tour ha riscoperto solo da tre anni dopo il lungo oblio successivo alla prima storica scalata del 1952, quando lassù si era imposto Fausto Coppi. L’ancora scarso albo d’oro dell’ascesa – che per adesso è ancora considerata di prima categoria perché l’”Hors Catégorie” sarà introdotta solo dall’edizione successiva – vede il nome del Campionissimo affiancato a quelli di Zoetemelk e Kuiper, che avevano vinto le tappe terminate sull’Alpe nel 1976 e nel 1977. Stavolta il primo a tagliare la linea d’arrivo è Pollentier, che era andato all’attacco sul Col du Luitel ed era riuscito a guadagnare fino a 3’20” prima di spegnersi lentamente sull’ascesa finale, che lo vede conservare appena 4” su Kuiper al traguardo. Poco più dietro sopraggiunge Hinault, terzo a 12”, Zoetemelk è quarto a 45”, il compagno di squadra del belga Agostinho è quinto a 1’38” mentre affonda il capoclassifica Bruyère, che si piazza 28° a oltre undici minuti di ritardo e deve dare l’addio alla maglia gialla, che va a fasciare proprio le spalle di Pollentier. I giornalisti al seguito del Tour già si preparano a impostare gli articoli nei quali annunceranno il successo del belga quando, improvvisa, arriva una doccia fredda: Pollentier è stato scoperto nel tentativo di frodare il controllo antidoping ed espulso dal Tour. Era successo che il corridore belga, anziché deporre nella provetta urina di “produzione propria”, vi aveva convogliato quella di un’altra persona, probabilmente di un membro dello staff della sua formazione, mediante un tubo collegato a una pompetta che Pollentier aveva collocato sotto l’ascella e che aveva svuotato con una serie di movimenti di spalle e gomito notati con sospetto dal tecnico di laboratorio preposto al controllo. Intuito l’inganno, si costringe il corridore e levarsi una prima volta la maglia gialla per controllare che sotto la divisa non ci fossero trucchi e poi, appurata la verità, a togliersela di nuovo, stavolta definitivamente per assegnarla al legittimo proprietario, l’olandese Zoetemelk, mentre il suo connazionale Kuiper viene chiamato sul palco dalla giuria per la premiazione del vincitore di tappa. Viene così riscritto l’ordine d’arrivo e poi anche la classifica, che ora vede “Joop” in testa con 14” su Hinault, 5’31” su Kuiper e 6’10” su Agostinho, che dopo la cacciata del suo capitano diviene l’uomo di punta della Flandria.
Il giorno di riposo serve anche per riprendersi dallo choc della vicenda Pollentier, poi ci si rimette in marcia con l’ultima frazione di montagna, che ha in serbo una difficile novità, l’inedita e impegnativa salita del Col de Joux-Plane, da affrontare nel finale della Grenoble – Morzine. È la tappa regina del Tour 1978 e fa sortire i suoi effetti selezionando fortemente il gruppo, anche se i primi due della classifica, Zoetemelk e Hinault, rimangono sempre assieme fino al traguardo, dove giungono quasi nove minuti e mezzo dopo l’arrivo del vincitore, il francese Christian Seznec, in fuga per quasi 180 Km. Anche Agostinho, che alla partenza era quarto in classifica, riesce a tenere il passo degli altri due campioni e guadagna anche una posizione a causa del ritiro di Kuiper, malamente ruzzolato nella discesa dal Col du Granier e costretto a salire in ambulanza con una clavicola fratturata.
La Flandria non ha perso le speranze di vincere il Tour e decide di mandare all’attacco Agostinho nella tappa in programma il giorno successivo, che prevede lo sconfinamento in Svizzera e un percorso di media montagna per raggiungere Losanna. L’allungo del corridore portoghese – che perderà la vita prematuramente nel 1984 in seguito ad un incidente avvenuto alla Volta ao Algarve (oggi gli è intitolato il Grande Prémio Internacional de Torres Vedras) – avviene poco prima dell’ingresso nel breve ma movimentato circuito finale assieme ad altri cinque corridori fuori classifica, come Knetemann e l’ex maglia gialla Bruyère, che si piazzano nell’ordine al traguardo mentre Agostinho riesce a recuperare quasi due minuti su Zoetemelk e Hinault, portando il suo ritardo a 4’07”.
Occasioni per tentare di ridurre ulteriormente lo svantaggio per il portoghese non ce ne sono più perché dopo la poco impegnativa tappa di Belfort – che termina con il successo del belga Marc Demeyer – è in programma la terza e ultima frazione a cronometro, nella quale Agostinho sicuramente sarà preceduto dai due corridori che attualmente lo precedono in classifica e che nelle altre due prove contro il tempo avevano sempre fatto registrare tempi migliori dei suoi. Il “sale” dei 72 km che si deveno percorrere tra Metz e Nancy è, invece, rappresentato dalla sfida che contrappone Zoetemelk a Hinault, ancora separati dai 14” registrati al termine della tappa dell’Alpe d’Huez. I due sembrano avere pari opportunità, essendosi imposti a turno nelle precedenti prove contro il tempo, ma la crono si risolve in un assolo del francese, che guadagna già 33” sull’olandese all’intertempo del 22° Km di gara per poi portare la sua supremazia sul rivale a più di quattro minuti sul traguardo di Nancy, dove precede di 1’01” Bruyère e di 1’58” Knetemann.
A 48 ore dalla conclusione ora nulla può mettere in discussione la netta vittoria finale del francese, anche perché le rimanenti frazioni saranno terreno di conquista per sprinter o per chi saprà sfruttarne l’occasione, come riusciranno a fare prima l’olandese Raas a Senlis e poi il suo connazionale Knetemann sugli Champs Élysées. E così a 23 anni d’età Bernard Hinault vince il suo primo Tour de France con distacchi da campione navigato: Zoetemelk è secondo a 3’23” e Agostinho è terzo 6’54”.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE

Hinault e Kuiper all'attacco sulla salita dell'Alpe d'Huez, il giorno della "cacciata" di Pollentier dal Tour per la nota vicenda del tentativo di frodare il controllo antidoping