LA GAND-WEVELGEM DI FRANCESCO MOSER: BORN TO BE ALIVE

marzo 30, 2020 by Redazione  
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Concludiamo la rassegna sulle Gand-Wevelgem del passato con il racconto dell’edizione del 1979, vinta da Francesco Moser, primo italiano ad imporsi nella corsa belga

C’era un tempo, intorno agli anni ’70, in cui la Gand-Wevelgem si correva il mercoledì. Una sorta di corsa cuscinetto tra il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix, collocate in calendario la domenica precedente e quella successiva.
Una gara non solo più giovane rispetto alle blasonate classiche monumento (ideata nel 1934, solo nel dopoguerra fu disputata dai professionisti) ma anche più facile, senza i numerosi muri del Fiandre ed i terribili tratti in pavè della Roubaix.
Lunga sì, ma quasi tutta in pianura, ad eccezione del muro del Kemmelberg, rampa di lancio per i più ardimentosi.
Territorio di caccia dei corridori belgi sino a tutti gli anni ‘60 (uniche eccezioni la vittoria del’elvetico Graf nel 1954 e di Anquetil nel 1964), nel decennio successivo solo il britannico Hoban (nel 1974) e Hinault (nel 1977) avevano infranto il predominio dei corridori di casa.
Il bilancio delle spedizioni italiane non era confortante: per quattro volte sul podio (due secondi posti con Gimondi nel 1972 e Vittorio Algeri nel 1977 e due terzi posti, ancora con Gimondi nel 1972 e con Francesco Moser nel 1978), i nostri corridori non avevano mai iscritto il loro nome in un un albo d’oro che annoverava – tra le altre – tre vittorie di Van Looy, le altrettante ottenute da Merckx, la doppietta di Maertens e, in tempi meno recenti, quelle di Impanis e Schotte.
Francesco Moser sembrava essere il predestinato: le sue ormai numerose e brillanti partecipazioni alle classiche franco-belghe di primavera, culminate nel 1978 con il successo alla Parigi –Roubaix, costituivano un significativo biglietto da visita per il campione di Palù di Giovo, ormai di casa da quelle parti tanto da essere soprannominato “Moser il fiammingo”. Al raduno di partenza di Gand, quel mercoledì 4 aprile del 1979, Moser si presentò con addosso i segni della caduta al Fiandre di tre giorni prima: i punti all’arcata sopraccigliare sinistra e le escoriazioni alle gambe erano l’ancor fresco ricordo della caduta di cui era stato vittima sull’ultima salita di giornata, quel Bosberg che avrebbe potuto costituire per il trentino – in gran spolvero quel giorno – il trampolino di lancio verso il successo finale.
Ben poteva maledire la sfortuna, Francesco, perché la caduta – avvenuta mentre si stava riportando su Thurau, che a sua volta inseguiva il fuggitivo Raas – era stata causata dalla manovra piratesca dell’ammiraglia del tedesco e dal comportamento sconsiderato del suo meccanico, che aveva attraversato la sede stradale non avvedendosi del sopraggiungere di Moser.
Dopo l’impatto e la caduta Francesco era risalito in sella e pedalandodi fatto con un occhio solo si era piazzato all’undicesimo posto, ad un minuto e mezzo da Jan Raas.
Ma il Giro delle Fiandre aveva anche esasperato la tensione tra il campione italiano e Roger De Vlaeminck che, da compagno di squadra alla Sanson la stagione precedente, era diventato un acerrimo nemico. Il belga, passato in quella stagione alla Gis Gelati, non risparmiava giudizi al vetriolo su Moser, accusandolo di correre senza cervello e promettendo di fargli perdere non solo la Gand e la Roubaix, ma financo il prossimo Giro d’Italia.
Né Francesco si sottraeva alla guerra verbale a distanza e, alla notizia che Roger aveva un occhio chiuso a causa di un sassolino, non esitava a dichiarare che l’altro occhio glielo avrebbe chiuso lui. E ad osservare il suo volto, che sembrava quello di un pugile reduce da un recente match, quell’affermazione sembrava più una minaccia che una battuta e tutto lasciava presagire che alla Gand- Wevelgem si sarebbe assistito ad una guerra senza esclusione di colpi tra i due rivali.
E cosi fu, infatti.
La corsa, tormentata da un forte vento, vive il suo momento decisivo sul Kemmelmerg, un muro di pavè che produce la selezione. Se ne vanno in sette quando mancano sessantotto chilometri al traguardo: oltre a Moser ed al suo compagno di squadra De Witte ci sono Raas, Demeyer, Peters, Lubberding e, manco a dirlo, De Vlaeminck.
Il gruppo non sta a guardare e cerca di riportarsi sotto, sul filo dei cinquanta all’ora. Il vantaggio, che aveva sfiorato i due minuti, si riduce ad appena trentacinque secondi ad una quarantina di chilometri dal traguardo. De Witte cede, ma Moser non si scoraggia: lui e De Vlaeminck sono i più attivi ed il vantaggio risale ad un minuto, mentre anche Peters deve alzare bandiera bianca.
Il finale è particolarmente emozionante, con scatti e controscatti che si susseguono a ripetizione. Raas, Demeyer e Lubberding cercano la soluzione solitaria, ma Francesco li rincorre uno ad uno.
I cinque si presentano sul rettilineo d’arrivo a giocarsi la vittoria. C’è chi sostiene che il trentino abbia chiesto aiuto a Demeyer, invitandolo a impostare lo sprint da lontano
Ed in effetti è proprio il belga a lanciare lo sprint. Francesco prende la ruota di De Vlaeminck, che affianca e supera dapprima Raas e poi Demeyer. Vola il gitano di Eeklo ma lascia spazio alla sua destra. È un corridoio ben sfruttato da Moser che, con una rimonta strepitosa, lo affianca.
De Vlaeminck devìa vistosamente dalla traiettoria per chiudere l’italiano. I gomiti dei due contendenti si toccano ma Moser, con un guizzo superbo, supera il rivale e taglia il traguardo, rischiando di finire addosso ai numerosi fotografi.
È un trionfo per Moser, una vittoria fortemente voluta e impreziosita da un ordine d’arrivo regale: secondo De Vlaeminck, terzo Raas. E tra i primi dieci non mancano neppure Hinault, al settimo posto, e Kuiper, al decimo. Sembra che il “gotha” del ciclismo mondiale si sia dato appuntamento nelle Fiandre Occidentali, quel mercoledì di inizio aprile!
La domenica successiva il nostro campione concederà il bis a Roubaix e De Vlaeminck, secondo all’arrivo, dovrà ancora una volta inchinarsi. Un due a zero che non ammette repliche e senza quella caduta al Fiandre ci poteva scappare anche una clamorosa tripletta.
Sarebbe stata, quella vittoria, l’unica ottenuta da Moser sulle strade della Gand-Wevelgem. Ma ormai la strada per i nostri colori era tracciata: sarebbero seguite, negli anni a venire, la doppietta di Bontempi (1984 e 1986), le tre vittorie di Cipollini (1992, 1993 e 2002) ed il successo di Luca Paolini nel 2015.
Certe vittorie, tuttavia, hanno una valenza speciale. Moser stesso, nel rievocare quel giorno, ha ricordato di avere temuto per la propria vita quando – non appena tagliato il traguardo – si era trovato davanti una “nuvola” di fotografi pronti ad immortalarlo. “Potrebbe essere l’ultimo scatto che si ha di me se non riesco ad evitarli…” racconta testualmente Francesco nella sua autobiografia. Con una serie di acrobazie riuscì in qualche modo a restare in sella e ad evitare il peggio. Ed in quella volata c’è tutto il Moser che abbiamo conosciuto: il coraggio, la grinta, la voglia di non arrendersi senza risparmiarsi. In una parola: la sua vitalità.
E per una curiosa e casuale coincidenza, una delle canzoni più ascoltate in quel periodo era “Born to be alive”: nato per essere vivo, un fortunato e ritmato motivo di Patrick Hernandez. L’ideale colonna sonora per accompagnare in sottofondo non solo le immagini di quella volata di Wevelgem, ma anche quelle delle fughe sul pavè, delle discese spericolate, delle sofferenze su tante salite e degli innumerevoli trionfi a braccia alzate dello straordinario campione trentino.

Mario Silvano

REMEMBER WEVELGEM: QUANDO PAOLINI BEFFÒ I GIGANTI DEL NORD

marzo 29, 2020 by Redazione  
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Ricordiamo oggi l’ultima edizione della Gand-Wevelgem vinta da un corridore italiano, conquistata nel 2015 da Luca Paolini 13 anni dopo l’ultima affermazione azzurra

A 38 anni suonati, Luca Paolini si regala la giornata più bella della carriera nella Gand-Wevelgem più spettacolare della storia recente: una gara infiammatasi già a 150 km dal traguardo, che ha visto l’azione decisiva nascere ai -60. Numeri da corsa d’altri tempi, nella quale l’esperienza dell’azzurro è valsa più della gamba leggermente migliore di Terpstra e Thomas, tanto impressionanti nelle loro trenate controvento quanto sciocchi nel concedere una dote di 20’’ a Paolini nelle battute finali, procrastinando ben più del lecito la reazione.
Senza nulla togliere ai corridori, che hanno interpretato la corsa con uno spirito battagliero raramente ammirato nel ciclismo del XXI secolo, molto del merito dello spettacolo va attribuito al meteo, che ha sin dall’inizio condizionato la gara tramite pioggia a tratti battente, temperature quasi invernali e – soprattutto – folate di vento fino a 50 km/h che hanno a più riprese spezzato il gruppo, senza nemmeno che qualche formazione coraggiosa dovesse prendersi il disturbo di organizzare un ventaglio.
La prima frattura si è verificata dopo nemmeno 100 dei 239 km previsti, quando in testa alla corsa resisteva – sia pur con margine insufficiente ad alimentare qualsiasi sogno di gloria – il sestetto composto da Albert Timmer, Alexis Gougeard, Alex Dowsett, Jesse Sergent, Mirko Tedeschi e Pavel Brutt, avvantaggiatosi in avvio. Lo sparpagliamento ha avuto vita breve, ma è bastato a capire che ben difficilmente si sarebbe ripetuto il fiacco canovaccio favorevole ai velocisti che negli ultimi anni era stato spesso rispettato.
Poco dopo, infatti, una seconda raffica ha nuovamente sgretolato il plotone dei favoriti, favorendo la formazione di un drappello di testa – divenuto tale dopo essere andato a raggiungere i fuggitivi della prima ora – comprendente, tra gli altri, Sagan, Kristoff, Degenkolb, Van Avermaet e Thomas. Già qui è parso ad un tratto che la corsa potesse decidersi, ma la riluttanza della BMC a dar seguito da sola all’azione e qualche esitazione di troppo da parte delle altre squadre hanno fatto sì che da dietro potessero rifarsi sotto quasi tutti i grossi calibri.
Dopo una fase tanto battagliata, con ancora 100 km da percorrere in condizioni che non accennavano ad addolcirsi, soltanto due scenari opposti restavano ipotizzabili per il prosieguo della gara: un generale attendismo dovuto a timore e stanchezza, con annesso epilogo in volata, oppure una completa e definitiva rottura della corsa ben prima di giungere a Wevelgem. Con somma gioia del pubblico a casa, a prevalere è stata l’ipotesi B: appena intrapresa per la prima volta la sequenza Baneberg-Kemmelberg-Monteberg, la Etixx – Quick-Step – preso atto dell’impossibilità per Cavendish di lottare per il successo – ha assunto il comando delle operazioni, andando nel frattempo a neutralizzare un breve assolo suicida di Tjallingii, raggiunto nella discesa del Kemmelberg.
Con gli Etixx ormai chiaramente in procinto di sferrare l’attacco, è stato invece Jurgen Roelandts il primo a muoversi, con un’offensiva solitaria che il seguito avrebbe provato meno folle di quanto la logica suggerisse.
Una foratura occorsa a Terpstra, di cui la BMC ha inutilmente provato ad approfittare, ha rimandato di qualche chilometro l’affondo della squadra da battere, materializzatosi in ogni caso di lì a poco con lo scatto di Stijn Vandenbergh. Daniel Oss è stato il primo ad accodarsi, ben presto imitato prima da un pimpantissimo Thomas e da Vanmarcke, quindi da Debusschere, andato a creare una situazione ideale per la Lotto Soudal: una locomotiva come Roelandts al comando in solitaria, seguito da un drappello in cui proprio il campione belga si proponeva come l’uomo più veloce. Poco dopo si è rifatto sotto anche Luca Paolini, rientrato quasi in contemporanea ad una spettacolare capriola di Thomas, fortunatamente esauritasi sull’erba (in caso contrario, la dinamica era quella che sfocia classicamente in una clavicola da ricomporre).
Resasi conto che l’attacco di Vandenbergh aveva portato alla formazione di un gruppetto dal quale ben difficilmente il belga sarebbe emerso vincitore, la Etixx è stata costretta a mandare allo scoperto in prima persona Terpstra, quando all’arrivo mancavano 56 km e il vantaggio di Paolini e soci su quel che rimaneva del gruppo era già di una quarantina di secondi. Nessuno ha avuto la forza e la prontezza necessarie a seguire l’olandese, il cui contrattacco si sarebbe rivelato l’ultimo treno utile per rientrare in gioco. Da lì in poi, infatti, il plotone avrebbe proseguito ad andatura quasi turistica, nell’impossibilità di organizzare un inseguimento, riducendo di fatto la corsa ad una questione fra i primi otto.
Terpstra, rientrato con impressionante facilità nello spazio di 5 km, ha dimostrato una volta di più la propria brillantezza in occasione della seconda scalata al Kemmelberg, allungando con Thomas a ruota, ma il solo Daniel Oss non è riuscito a tornar sotto in discesa.
L’affondo dell’olandese, ancorché infruttuoso, è tuttavia servito a scuotere un drappello la cui andatura era stata sì sufficiente a distanziare Sagan, Kristoff e compagnia, ma non ad avvicinare un superlativo Roelandts, capace addirittura di portare il proprio vantaggio oltre i 2’ all’imbocco dell’ultima infilata di muri. I lunghi rettilinei di avvicinamento a Wevelgem sono risultati fatali al fiammingo, ripreso intorno ai -18, pochi istanti dopo una seconda e quanto mai intempestiva foratura di Terpstra.
Proprio il trionfatore dell’ultima Roubaix, appena riguadagnata la scia dei compagni d’avventura, ha dato il là alla bagarre finale, lanciando un attacco al quale il solo Paolini ha saputo rispondere immediatamente. Thomas ha atteso qualche istante prima di replicare, impressionando tuttavia per la facilità del recupero, operato levandosi di forza dalla ruota un passista del calibro di Vandenbergh, comunque rientrato a sua volta poco dopo. Vanmarcke e Debusschere, approfittando del marcamento tra i quattro di testa, sono andati a ricomporre il sestetto ai -8, denotando comunque un affanno che non lasciava intravedere grandi prospettive per il finale.
Quando tutti aspettavano un nuovo attacco di Terpstra o un’offensiva di Thomas, che può forse rimproverarsi per aver dato il meglio di sé nel ricucire sugli avversari, ma senza mai prendere l’iniziativa, è stato invece Luca Paolini a rompere gli indugi, trovando in risposta una stupefacente inerzia da parte della concorrenza. Malgrado la presenza di due uomini Etixx – Quick-Step, ci sono voluti infatti 3 km perché incominciasse un inseguimento degno di tale nome, inscenato dal solito Terpstra, seguito dal solito Thomas.
Malgrado il maggiore spolvero dimostrato anche nei chilometri finali dalla coppia britannico-olandese, Paolini non ha avuto problemi a difendere circa metà della ventina abbondante di secondi guadagnati in quei 3 km di marcamento tra gli inseguitori, cogliendo finalmente un successo pieno in una classica di alto livello, dopo una lunga serie di piazzamenti, comprendente anche due podi alla Sanremo e uno al Fiandre (oltre ad un bronzo iridato). Terpstra ha regolato agilmente Thomas, a 11’’ dal vincitore, mentre Vandenbergh, trovando la forza di chiudere 4°, a 18’’, ha reso ancora più sconcertante la lunga fase d’attesa che ha dato via libera all’azione di Paolini. Debusschere, Vanmarcke, Roelandts e Oss hanno occupato le piazze dalla quarta all’ottava, mentre Kristoff si è imposto su Sagan nella pleonastica volata per la nona posizione.
Se – come scritto in apertura – la Gand 2015 è parsa una corsa d’altri tempi, è quasi paradossale che ad imporsi sia stato un corridore che dell’eliminazione di ogni residuo di ciclismo eroico in quello contemporaneo ha fatto una ragione di vita, perlomeno da quando non-si-sa-chi gli ha conferito i galloni di sindacalista del gruppo. Speriamo che il risultato odierno possa convincerlo ad abbandonare la frangia dei Pozzato, dei Cancellara e di tutti coloro che vorrebbero di fatto gareggiare sempre alle Canarie. Non nutriamo grandi speranze, a dire il vero, se è vero che anche oggi, in condizioni chiaramente difficili ma altrettanto chiaramente regolari, non sono mancati in gruppo i conciliaboli circa l’opportunità di proseguire o meno la corsa, con Paolini ovviamente protagonista. È un peccato che certi indifendibili piagnistei vengano da un corridore che – quando smette i panni del paladino del gruppo e veste quelli dell’atleta – sa essere il combattente ammirato oggi.

Matteo Novarini

Paolini, Terpstra e Thomas sul podio (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

Paolini, Terpstra e Thomas sul podio (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

REMEMBER WEVELGEM: NEL 2019 LO SPRINT VINCENTE DI KRISTOFF

marzo 28, 2020 by Redazione  
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Domani si sarebbe dovuta correre l’82a edizione della Gand-Wevelgem, annullata come tutte le altre corse di questo periodo. A cavallo di questa data vi riproporremo le cronache di tre edizioni della classica belga seguite da ilciclismo.it, cominciando da quella più recente, vinta lo scorso anno dal norvegese Alexander Kristoff

Interminabile. Se dovessimo trovare un aggettivo per la Gand-Wevelgen di quest’anno, vissuta in apnea per tutti i chilometri di una gara resa dura dal vento del nord a soffiare, per lunghi tratti, contrario al senso di marcia del gruppo, impotente quando, dopo circa 60 Km di gara, il vento proveniente dalla costa attraverso le Fiandre Occidentali ha dato spunto agli uomini della Jumbo-Visma di accelerare, spezzare il plotone e così rendere entusiasmante l’intera corsa. L’azione degli olandesi, infatti, porta via un drappello di uomini, tra i quali spiccano loro nomi di spessore per vittoria finale. Gli ardimentosi sonio Wout van Aert, Maarten Wynants e Mike Teunissen della Jumbo-Visma, Matteo Trentin (Mitchelton-Scott), Fernando Gaviria (UAE Team Emirates), Peter Sagan, Pascal Ackermann e Rüdiger Selig della Bora-Hansgrohe), Tim Declercq (Deceuninck-QuickStep), Jan-Willem Van Schip (Roompot-Charles), Niki Terpstra (Direct Énergie), Cees Bol (Sunweb), Mads Pedersen, Jasper Stuyven, John Degenkolb ed Edward Theuns del Trek-Segafredo), Mathieu van der Poel (Corendon-Circus) e Luke Rowe (Sky). Il vantaggio, favorito inizialmente dal vento, arriva subito a toccare il minuto e mezzo. Dietro la corazzata Deceuninck-QuickStep inizia ad organizzare l’inseguimento per Elia Viviani, secondo lo scorso anno e capitano unico fin dalla vigilia, chiamato a prendersi la rivincita sull’ex campione del mondo Peter Sagan. Non è un’impresa semplice quella che deve compiere lo squadrone belga per via del vento, spesso contrario al senso di marcia. Al passaggio sul muro del Kemmelberg, ai meno 75 dal traguardo, il capitano della Jumbo-Visma, Van Aert, prova a forzare l’andatura e l’unico a tenere le ruote del belga è Trentin; appaiono in difficoltà tutti gli altri, anche Peter Sagan, a dimostrazione, qualora ancore ve ne fosse bisogno, di una condizione di forma ancora non al meglio. Allo scollinamento del muro, mentre i fuggitivi rimasti si ricompattano, sono 35 i secondi di vantaggio sul gruppo, ulteriormente spezzato da un’accelerazione di Zdeněk Štybar (Deceuninck-QuickStep). In testa alla corsa un’accelerazione di Theuns è seguita soltanto da Teunissen, Sagan e Trentin. E’ questa la nuova testa della corsa che ai meno 65 Km conserva 30” di vantaggio sul grosso del plotone, tirato da un inesauribile Tim Declerq (Deceuninck-QuickStep) a spendere le ultime energie rimaste per poi lasciare il compito dell’inseguimento ai suoi compagni di squadra. In questa fase di controllo il ritmo in testa al gruppo cala e così il vantaggio dei quattro al comando aumenta e supera il minuto. Ad approfittarne è Luke Rowe, che riusce tutto solo a riportarsi sulla testa della corsa, segno evidente di come il gruppo non voglia avvicinarsi troppo per favorire possibili contrattacchi. Questa situazione di stallo sino ai piedi del Baneberg, affrontato dai fuggitivi con 50” di vantaggio mentre dietro ci sono da registrare gli allunghi di Matej Mohorič (Bahrain-Merida) prima e di Alexander Kristoff (UAE Team Emirates) poi. Ai meno 35 Km, con il solo Kemmelberg da affrontare, i cinque di testa conservano un vantaggio di 42”, che salgono a 55” ai piedi dell’ultima asperità in pavè, presa in testa da Rowe. Cede terreno Van Aert, ripreso da uno scatenato Zdenek Štybar, che nella successiva discesa va a formare un terzetto con dentro Kristoff. La nuova situazione di corsa, ai meno 30 Km dall’arrivo, vede il quintetto di testa al comando con 26” sugli immediati inseguitori e 39” su ciò che è rimasto dal gruppo, spezzatosi in due tronconi. E’ ancora la Deceuninck ad organizzare le operazioni di inseguimento, questa volta con Yves Lampaert che aspetta Elia Viviani nel secondo gruppo pronto a ricongiungersi, dopo pochi chilometri, con il primo di cui fa parte il belga. Il gruppo inseguitore riassorbe in prima battuta Van Aert, Štybar e Kristoff tornando compatto; successivamente, ai meno 17 Km, viene riacciuffato anche il quintetto al comando grazie al lavoro dei compagni di squadra di Elia Viviani. È, però, troppo presto e, infatti, Terpstra prova un allungo, subito annullato dal gruppo. Nel lungo rettilineo da percorrere ai meno 5 Km va in scena un altro attacco, portato da Sebastian Langeveld (EF Education First), Jack Bauer (Mitchelton-Scott), Amund Grøndahl Jansen (Jumbo-Visma) e Jasper Stuyven (Trek-Segafredo). I quattro appaiono fin da subito imprendibili e dietro un attimo di incertezza fa sì che davanti guadagnano secondi su secondi. Per l’ennesima volta l’onere di ricucire tocca alla Deceuninck, con Philippe Gilbert e l’inesauribile Štybar a lavorare per un Elia Viviani costretto ancor di più a premiare gli sforzi dei compagni di squadra che lo hanno protetto per tutto il percorso. Il gruppo piomba sui quattro nei 300 metri finali per una volata caotica da cui emerge imperioso l’uomo con più energie rimaste, il norvegese Alexander Kristoff, uomo di fondo che va a disintegrare nell’uno contro uno tutti i presenti, andando ad inscrivere il suo nome nell’albo d’oro della corsa. Salgono sul podio in seconda posizione John Degenkolb (Trek-Segafredo) ed in terza Oliver Naesen (AG2R La Mondiale). Al quarto posto si piazza un fantastico Mathieu Van Der Poel (Coredon-Circus). Il migliore italiano è Matteo Trentin (Mitchelton-Scott) mentre soltanto diciassettesimo, e primo della Deceuninck-QuickStep, Elia Viviani, risultato che lascia ancora una volta l’amaro in bocca al campione italiano.

Antonio Scarfone

Alexander Kristoff si impone nettamente in una delle più spettacolari edizioni della corsa belga (foto Bettini)

Alexander Kristoff si impone nettamente in una delle più spettacolari edizioni della corsa belga (foto Bettini)

QUELLE SANREMO DI SARONNI

marzo 24, 2020 by Redazione  
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Nella settimana successiva alla data della Milano-Sanremo vi proproniano un altro ricordo della classicissima, quello delle edizioni che, a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, ebbero tra i protagonisti Giuseppe Saronni, che riuscirà ad imporsi nel 1983 con la maglia iridata sulle spalle

Enzo Tortora fu un grande protagonista della televisione.
Ex baistrocchino (la Baistrocchi, per chi non lo sapesse, è la compagnia goliardica genovese che da quasi un secolo allieta le festività di fine anno), animò la scena televisiva dagli albori e per oltre un decennio fintantoché, esiliato dalla Rai, cercò fortuna dapprima nella Tv Svizzera e, poi, nelle prime reti private.
Nel 1977 ritornò alla grande, proponendo un programma – Portobello – che riscosse un successo incredibile.
La trasmissione andava in onda al venerdì in prima serata. E fu proprio venerdì 17 marzo 1978 che Enzo Tortora presentò alla platea televisiva italiana un ragazzino che l’indomani avrebbe potuto vincere la Classicissima di primavera. Quando Tortora annunciò che si sarebbe passati al ciclismo, chiusi la dispensa sulla “riserva di legge” e mi piazzai davanti alla televisione.
Giuseppe Saronni era un po’ emozionato davanti alle telecamere: un ragazzo di vent’anni che l’indomani avrebbe difeso i colori azzurri alla Milano- Sanremo.
Era pur vero che Michele Dancelli aveva interrotto, nel 1970, il digiuno che durava dal ‘53 e che Felice Gimondi, in maglia iridata, aveva trionfato in Via Roma quattro anni dopo.
Però erano seguite altre vittorie straniere e la Sanremo sembrava destinata ad essere comunque una corsa difficile per i nostri colori. Due successi azzurri in un quarto di secolo non costituivano di certo un gran risultato.
Saronni (forse Tortora l’aveva intuito, da uomo di spettacolo e sport qual era) poteva essere l’uomo nuovo del ciclismo italiano, quello a cui affidare il rilancio del ciclismo dopo la stagione gloriosa degli anni 60/70.
C’era Moser in maglia arcobaleno, è vero, fortissimo nella corse di un giorno, e c’erano Baronchelli e Battaglin, ma a ciascuno sembrava mancare qualcosa per essere protagonista su tutti i terreni.
Quel ragazzino, sul cui valore aveva giurato Colnago, poteva rappresentare la sintesi delle doti necessarie per essere un grande?
Era difficile rispondere. Certamente era prematuro azzardare previsioni, ma il primo anno di professionismo aveva lasciato intravedere ottime cose. Un ragazzo diciannovenne che si aggiudica diverse classiche nazionali e arriva secondo alla Freccia Vallone: un bel biglietto da visita! E se non si fosse procurato una frattura alla clavicola avrebbe potuto essere protagonista anche al Giro d’Italia.
Il ‘78, poi, era iniziato alla grande, con un bel successo alla Tirreno-Adriatico.
Era teso, teso ed emozionato davanti alle telecamere.
Me lo sono sempre chiesto: ma la trasmissione era in diretta o la partecipazione del giovane campione era stata registrata?. Più probabile la seconda ipotesi perché era difficile pensare che un candidato alla vittoria nella classica di San Giuseppe potesse andare a dormire troppo tardi, la sera della vigilia.
Bartali l’aveva fatto, accettando la sfida di Serse Coppi, ma erano altri tempi.
Non era la prima Sanremo, per Saronni. L’anno prima, quando vinse Raas, si classificò al 19° posto.
Ma adesso era diverso, aveva capito che quella corsa si adattava alle sue caratteristiche.
C’era il Poggio, che sembrava fatto apposta per esaltare le sue qualità di scattista. E quand’anche si fosse arrivati in volata (di gruppo o ristretta), avrebbe potuto far valere le sue qualità di velocista.
Non era stato pluricampione della velocità su pista? Dunque, almeno sulla carta, non poteva lasciarsi impressionare dal rettilineo di Via Roma, semprechè lo spunto finale non fosse stato appannato dalla distanza della gara.
Si corse sabato 18 marzo. La televisione (al singolare, allora) e i giornali erano occupati dagli interrogativi sul rapimento di Aldo Moro e sulla strage della sua scorta. Erano passati appena due giorni da Via Fani e anche la carovana osservò un minuto di raccoglimento, prima della partenza.
Un mese prima era scomparso Girardengo: a Novi, quella volta, il Campionissimo non ci sarebbe stato ad assistere al passaggio della sua corsa.
Beppe fu protagonista, quel giorno, quasi volesse dimostrare che Tortora, la sera prima, aveva visto giusto.
Fu una Sanremo caratterizzata da una lunga fuga. Poi, ad una ventina di chilometri dal traguardo, accadde che un comprimario, Alessio Antonini, scattasse dal gruppo.
Fu Saronni, insieme al francese Hézard, a raggiungerlo. Ai tre si aggiunse ben presto un cliente scomodo, Roger De Vlaeminck, quell’anno compagno di squadra di Moser, che già nel 73 si era imposto nella città del Festival.
In quattro affrontarono il Poggio, sul quale Saronni tentò, invano, di liberarsi del belga.
Arrivarono in tre a giocarsi la corsa del sole, perchè nel frattempo Hézard aveva forato.
Ai duecentocinquanta metri finali Beppe, in testa al terzetto e vicino alle transenne, venne affiancato dal fiammingo che lo superò. Antonini, a sua volta, cercò invano di recuperare all’esterno.
Beppe cercò di prendere la ruota dello zingaro, ma smise di pedalare ai 25 metri, quando si accorse che la rimonta non sarebbe stata premiata.
Troppo forte il belga o in quella occasione Saronni peccò di inesperienza?
Fu grande il disappunto del motociclista della telecamera mobile che, forse tifoso del “bimbo”, non riuscì a trattenere un gesto di stizza. Un secondo posto dietro ad un grandissimo, per un ventenne, ci poteva anche stare. Ma quel secondo posto dimostrava, soprattutto, che la Sanremo era adattissima ai mezzi di Saronni. Il giudizio del fiammingo (“Non sempre vince il più forte”) costituiva – se non un passaggio di consegne – quantomeno un buon viatico per il futuro.

L’anno successivo le aspettative erano cresciute. Beppe ne aveva nel frattempo vinte di corse e ormai non era più una promessa. E alla Sanremo (caratterizzata, come al solito, da una lunga fuga), dimostrò di tenerci: appiedato da una foratura, recuperò il distacco riagganciando il gruppo dei migliori.
In fondo alla discesa del Poggio, arrivò un gruppo neppure troppo numeroso. C’era Saronni, ma c’era ancora De Vlaeminck. Forse Beppe preferiva evitare il confronto con il belga – la sconfitta dell’anno precedente bruciava ancora – o forse preferiva la soluzione isolata.
Cercò di allungare, ma Moser si preoccupò di andarlo a riprendere: la rivalità tra i due era già un dato di fatto.
Poi, inaspettatamente, ci provò Beccia. Lo scalatore pugliese – che spesso si lamentava con gli organizzatori del Giro d’Italia per i percorsi troppo morbidi – giocò la carta della sorpresa. Si presentò in Via Roma solo al comando ma, in breve, fu risucchiato dagli inseguitori. Saronni stavolta prese la ruota di De Vlaeminck, uscì alla sua sinistra ma non riusci a rimontarlo. Il belga vinse così, senza discussioni, la sua terza Sanremo. Per Beppe si trattò della replica di un finale già visto, in una corsa nella quale era stato anche sfortunato. Si sarebbe consolato nella tarda primavera, aggiudicandosi il suo primo Giro d’Italia. In fondo era molto giovane e chissà quante Sanremo avrebbe corso da protagonista!

Nel 1980 è Francesco Moser ad essere indicato da più parti come il favorito: è in forma, ha vinto la Tirreno-Adriatico ed una vittoria nella Milano Sanremo avrebbe impreziosito un ricco palmarès che, negli ultimi due anni, si era arricchito con le vittorie nella Parigi-Roubaix (ne aveva già conquistate due consecutivamente e in quella stagione arriverà la terza affermazione)
La corsa fu caratterizzata da una lunga fuga di tre coraggiosi (Tosoni, Bertacco e De Beule, gli ultimi due raggiunti in vista del Poggio, dopo 251 chilometri di fuga).
Sull’ultima salita tentarono di involarsi Vandenbroucke e Bortolotto, ma senza risultati.
In discesa cercò la soluzione a sorpresa Pollentier, ma lo sgraziato vincitore del Giro del 1977 venne ripreso all’ultimo chilometro. Beppe, che non tentò di involarsi sul Poggio, accettò nuovamente la sfida con De Vlaeminck e non solo con lui.
C’erano anche Raas, che cercava il bis, c’era Kelly e anche Moser era della partita.
E c’era anche “Pierino” Gavazzi, il velocista bresciano che pareva destinato, con i suoi 98 secondi piazzamenti, a raccogliere tutt’al più un’altra piazza d’onore. In quel consesso non sarebbe stato un risultato disprezzabile.
Fu un arrivo al cardiopalmo che ricordava quello di un’altra Sanremo, quello dell’edizione del 1966, la prima di Merckx, quando si avventarono sul traguardo in quattro (oltre al giovane fiammingo c’erano Durante, Van Springel e Dancelli).
Raas scelse una volata solitaria sul lato destro della sede stradale. Al centro c’era Gavazzi, sulla sua sinistra Saronni e verso le transenne Kelly. Moser e De Vlaeminck erano appena dietro.
Stavolta per Beppe sembrava fatta. Pur in rimonta, non riuscì tuttavia a piegare la resistenza di Gavazzi che, con un ultimo disperato colpo di reni, mise – seppur di pochissimo- la sua ruota davanti a quella del “bimbo”.
Solo allora Saronni si ricordò che Pierino l’anno prima, al Giro della Campania, gli aveva soffiato la vittoria per un niente.
Un’altra beffa, per Beppe, la terza in tre anni. Questa volta per De Vlaeminck, preceduto anche da Raas, non ci fu posto nemmeno sul podio, ma non fu sufficiente battere gli stranieri.
La Sanremo, la corsa che aveva sempre sognato di vincere, non riusciva ad essere sua, quasi che gli si volesse negare un regalo per il giorno del suo onomastico. Fu rimproverato, quella volta, d’essere stato troppo coperto, di non avere provato ad andarsene sul Poggio. Tre secondi posti in tre anni consecutivi. Neppure le sette vittorie al Giro, neppure la maglia tricolore che indosserà ad Arezzo riusciranno ad attenuare la delusione.

Nei due anni successivi Saronni sembra rinunciare alla Sanremo.
Nell’81 pare più preoccupato a controllare Moser sul Poggio (e Moser controlla sua volta Saronni): i due si rendono protagonisti (in negativo) di una manfrina che irrita gli appassionati, mentre la Classicissima stavolta va ad arricchire il curriculum del tedesco Alfons De Wolf, che l’anno prima si era imposto anche al Giro di Lombardia.

Nell’82, in una giornata autunnale, Beppe si ritira sul Turchino nella prima Sanremo che prevede la salita della Cipressa e che andrà a terminare con l’approdo della fuga da lontano e la vittoria dell’occhialuto francese Marc Gomez. Discorso chiuso con la Classicissima? No, soltanto rimandato all’anno succesivo.

Quel sabato 19 marzo del 1983 era una giornata calda. C’erano anche allora, mica solo oggi!
Era bello pedalare sulle strade che, di lì a poco, sarebbero state percorse dai corridori.
Al ritorno decisi di andare a vedere il passaggio della Sanremo in fondo alla discesa del Turchino, nei pressi di Mele, là dove la strada disegna una serpentina di tornanti prima di affiancare il torrente Cerusa, dirigersi verso Voltri e imboccare l’Aurelia, tra il profumo del mare e quello della focaccia.
Lo vidi bene Beppe, con la maglia iridata. La speranza di vederlo primo in via Roma c’era, eccome. Ma era in qualche modo affievolita dai risultati degli anni precedenti.
Poi, come un rito che si rinnovava da anni, a casa per la telecronaca.
C’era già il colore, ma quello scatto vissuto in bianco e nero aveva un sapore antico. Scattò alla maniera dei grandi, come Merckx, si disse. Non deve apparire troppo azzardato il paragone con il campione belga il quale disse che Saronni, diventato veramente un campione, era partito sullo stesso tornante dove lui, il Cannibale, nel 72 aveva piantato Motta e Pettersson.
Sul Poggio Beppe parve proseguire la volata di Goodwood, e quella del Lombardia e, ancora, quelle di tante corse che lo avevano visto primeggiare
Si presentò a Sanremo da solo e in Via Roma, per la prima volta, alzò le braccia al cielo, scrollandosi di dosso i fantasmi di De Vlaeminck, di Gavazzi e di tutti gli altri avversari.
Una vittoria maiuscola, che non mancò di suscitare commenti lusinghieri, alcuni addirittura trionfalistici.
Doveva essere la sua quarta vittoria. Fu invece la prima che arrivò, come scrisse il vicedirettore della Gazzetta Bruno Raschi, “in una maniera che chiude la bocca, che toglie il respiro, direi, a coloro che lo avevano battuto.
Francesco Moser, che era passato per primo sul Turchino e che aveva infiammato la corsa sulla Cipressa transitando in vetta al comando, riconobbe l’efficacia dello scatto perentorio dell’avversario, pur non nascondendo la convinzione di essere stato, in quella giornata, più forte del rivale. Sarebbe stato bello vederli duellare in volata ma Saronni, con uno scatto irresistibile, da purosangue, ci negò quella soddisfazione.
Fu un trionfo, in una giornata caratterizzata da una cornice di pubblico che non si era mai vista sulle strade della Sanremo: da Milano a Pavia, da Novi a Ovada, sul Turchino e sulle strade della Riviera un milione e mezzo di persone – si disse – applaudirono i corridori.
Ed io ero euforico quella sera. Se ne accorsero anche i miei amici quando, dopo una serata al cinema (Sapore di Mare, era il film, quello con il riferimento al successo di Gimondi al Tour de France) andammo in birreria.
Ma che ti è successo, Mario?” mi chiedevano. “Ma non l’avete visto Saronni?” rispondevo eccitato.
L’indomani mattina, con Corrado e Paolo, feci un‘uscita in bici. La salita di Sant’Apollinare, sopra Sori, pur impegnativa ,l’affrontai con grinta, con un entusiasmo che non era stato fiaccato dalle poche ore di sonno. Scendemmo poi a piedi a Pegli passando attraverso una “creuza” (una di quelle che De Andrè, l’anno successivo, avrebbe reso celebri) in mezzo agli ulivi.
Ma non l’avete visto Saronni?” continuavo a domandare ai miei compagni di pedalata.
Sembrava l’inizio di una lunga teoria di vittorie, per Beppe. Fu ,invece, l’ultimo acuto in una classica monumento prima della vittoria al Giro d’Italia che chiuse un ciclo irripetibile.

Per ironia della sorte, in quella tarda primavera dell’83 si chiuse anche la parabola di Enzo Tortora, coinvolto in una vicenda giudiziaria dalla quale, dopo mille traversie, uscì innocente ma distrutto.
Quando, alcuni anni dopo, si ripresentò sul palcoscenico televisivo, formulò una domanda al suo pubblico. ”Dove eravamo rimasti?” fu il suo esordio.
La stessa domanda avrebbe potuto rivolgere ai suoi tifosi anche Saronni allorchè, nell’86, si riaffacciò alla ribalta del grande ciclismo dopo due anni bui.
Non la fece, ma io sapevo comunque la risposta: eravamo rimasti a quelle “Classicissime”, caro Beppe, quelle perse per un soffio e quella del trionfo.
Eravamo rimasti in quegli anni e ancora oggi, in verità, un pezzo del nostro cuore lo abbiamo lasciato sulle strade di “quelle” Sanremo.
Ne avremmo viste anche di più entusiasmanti, ,ma non sarebbero state quelle dei vent’anni.
Anche per questo, almeno per noi, hanno un sapore speciale.

Mario Silvano

Giuseppe Saronni vince la Milano-Sanremo del 1983

Giuseppe Saronni vince la Milano-Sanremo del 1983

QUANDO DANCELLI SPEZZÒ IL DIGIUNO DELLA SANREMO

marzo 21, 2020 by Redazione  
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Oggi si sarebbe dovuto correre la Milano-Sanremo, ma il dilagare della pandemia di COVID-19 l’ha spazzata via assieme a tutte le altre corse di primavera. Ma non vogliamo lasciarvi a digiuno e vi racconteremo di una speciale edizione della Sanremo, quella del 1970 che vide un corridore italiano tornare ad imporsi sul traguardo di Via Roma dopo 17 anni di vittorie straniere consecutive. Anzi, ve la faremo raccontare dal diretto interessato, quel Michele Dancelli che 50 anni fa tornò a far sventolare il tricolore sull’albo d’oro della classicissima. Buona lettura

Il 19 marzo del 1970 era un giovedì, proprio come quest’anno.

Una giornata bellissima, in Liguria, come sanno esserlo solo certe giornate di inizio primavera

Una giornata ideale per la Milano-Sanremo: approfittando della festività di San Giuseppe  mio padre ed io (all’epoca neppure avevo dodici anni) andammo ad  aspettare il passaggio della Corsa  nella discesa del Passo del Turchino.

“Qui li vediamo meglio”, mi disse papà “perché frenano!” Come contraddirlo? Avrei preferito andare in cima alla salita, poco prima della galleria, dove due anni prima avevo visto Merckx in maglia iridata, ma non osavo chiederlo.

Nell’attesa le solite discussioni di ciclismo, tra i numerosi appassionati presenti, alle quali mio padre non si sottraeva.“Coppi era quasi mio compaesano, ma io preferivo Bartali: arrivava sempre” .”Ma non si ricorda di quando Coppi staccò tutti nella Sanremo del 1946?” E ancora “Speriamo che vinca un italiano, sono diciassette anni che aspettiamo”.”Io dico che  vince Dancelli”, sentenziò mio padre. Perché Michele era il suo ed il mio beniamino e noi eravamo lì per incoraggiarlo.

Tra un batti e ribatti arrivò il momento più emozionante, il silenzio che precede il passaggio dei corridori. Quegli attimi erano magici e, per me, lo sono rimasti a distanza di tanti anni.

Ne sono passati cinquanta, ma  quest’anno la Sanremo non si correrà. Pur nell’estrema  gravità del momento (l’Italia intera lotta contro una terribile  pandemia  e la Provincia di Brescia è uno dei territori  maggiormente colpiti dall’emergenza sanitaria) Michele Dancelli con la consueta, straordinaria  umanità  e disponibilità, non si sottrae ad una chiacchierata telefonica e sentirlo rievocare quella giornata indimenticabile rinnova le emozioni di un tempo.

“Avevo vinto il Trofeo Laigueglia”, ricorda  il quasi settantottenne campione di Castenedolo, ma alla Parigi- Nizza mi ero ritirato al penultimo giorno. Mi sentivo svuotato, completamente privo  di energie  Arrivammo a Milano e da lì raggiunsi  Brescia in bicicletta in compagnia di Mario Anni. Quello fu il mio allenamento prima della Classicissima. Pensa che  la vigilia della gara  ho dormito quasi tutto il giorno!”, mi confessa Michele.

Le premesse, quindi non erano delle migliori. Ricordo che l’anno prima eri stato tra i protagonisti, con una fuga da lontano in compagnia di altri otto.

“Si, nel 1969 avevo dato battaglia. Ricordo che mentre ero in fuga Guido Neri  mi invitava  a non staccare Van Looy. Dopo che eravamo stati ripresi ho provato  a scattare sul Poggio. Sono stato ripreso dal gruppo, guidato dalla Salvarani  di Gimondi , a cinquecento metri dalla vetta. Ho avuto ancora la forza di scattare  e di passare per primo in cima. Poi, in discesa è partito Merckx ed è andata a vincere la sua terza Sanremo”

Alla Milano- Sanremo  le fughe da lontano, di solito, sono promosse da comprimari. Nel 1970, invece, eravate quasi  tutti “pezzi da novanta”. Come nacque quella fuga?

“Eravamo a Novi Ligure. Aldo Moser, che vestiva la casacca della GBC, allungò per aggiudicarsi un traguardo volante. Subito dopo – ricordo che c’erano alcune curve – Van Looy fece una tirata  impressionante.  Fu lui l’artefice della fuga. Io mi accodai con non pochi sforzi e con me c’erano, tra gli altri, i fratelli De Vlaeminck, Godefroot, Zilioli, Bitossi , Leman, Karstens, Wolfshohl, il campione del mondo Ottenbros: almeno una decina tra i possibili aspiranti al successo. Il vantaggio sul gruppo si mantenne sui  100 – 200 metri poi la fuga – eravamo in diciotto prese  il largo. Nella fuga doveva inserirsi anche il mio compagno di squadra Mario Anni : al mio fianco, invece, ci fu Carletto Chiappano, il  cui contributo sarebbe poi risultato determinante  C’era anche Adorni, che fu vittima di una foratura: non aveva alle spalle l’ammiraglia e  dovette desistere”.

Io ti aspettavo nella discesa del Turchino. Quando mi passasti accanto, nel tagliare la curva, gridai “Michele!!!!” con quanto fiato avevo in corpo. E tu cosa pensavi in quella fase della corsa?

“Io  pensavo che avevamo un buon vantaggio e che  se  c’era la collaborazione di tutti  e  se restavamo  raggruppati, beh…. potevamo andare lontano”

E infatti il vostro vantaggio cresceva. Sul Turchino avevate quasi cinque minuti. Così proseguiste lungo l’Aurelia di comune accordo, finchè tu non decidesti di provarci da solo. Cosa accadde?

“Eravamo a Loano. Chiappano mi disse che un suo amico aveva una tabaccheria in quella località e che aveva messo in palio una medaglia d’oro per chi fosse passato per primo davanti al suo negozio.  Il vantaggio sul gruppo, nel frattempo, era diminuito e cosi, incoraggiato da Chiappano, scattai per aggiudicarmi quel premio. Sullo slancio guadagnai qualche decina di metri e decisi di proseguire. La mia fuga verso Sanremo nacque così. E quella medaglia d’oro la conservo ancora oggi”

Ricordo che la diretta televisiva  cominciò quando tu eri a Diano Marina  ed eri al comando con un bel vantaggio.

“Si,  a quel punto ero arrivato  ad avere un vantaggio di quasi quattro minuti.   Prima di Albenga, però, Roger De Vlaeminck si era fatto sotto e mi aveva quasi raggiunto, ma io non lo ho aspettato.  Subito dopo, poi, mi si era avvicinata l’ammiraglia  della Molteni, a bordo della quale c’erano Albani, Colnago e Pietro Molteni. ”Michele, cosa fai?”, mi urlarono dal finestrino. Ma è nella  pur breve discesa di Capo Mele  che ho corso dei rischi. È un particolare poco conosciuto. Ho dovuto destreggiarmi tra le numerose autovetture dell’organizzazione presenti sulla sede stradale (saranno state almeno una decina) temendo  di cadere o, comunque, di incappare in qualche incidente che potesse vanificare il mio sforzo. Lì per  lì  ho pensato che  la Sanremo poteva essere  era veramente stregata…”

Superato questo momento, però non hai più avuto problemi…

“No, il  Capo Berta l’ho fatto a tutta. Albani dall’Ammiraglia mi passò un cappellino all’interno del quale c’erano alcune zollette di zucchero. Il rifornimento non era ammesso e in quel modo potevo alimentarmi ed evitare possibili crisi. Quando ho imboccato la salita del Poggio  ho scalato il rapporto e la discesa l’ho fatta con cautela per evitare cadute. A quel punto non potevo rischiare, anche perché il vantaggio su Leman, che  mi inseguiva da solo, era calato ma era  pur sempre rassicurante, un minuto e mezzo o poco piu’”.

E poi il trionfo in Via Roma, le lacrime e quelle parole durante l’intervista di Nando Martellini: “Sono contento perché non mi hanno mai calcolato un campione”. Perché quello sfogo?

“Perché rispetto ad altri campioni quali Gimondi e Motta, per esempio, mi sentivo messo un po’ in disparte. Eppure il mio palmarès era di tutto rispetto: due volte campione italiano, la Freccia Vallone, la Parigi- Lussemburgo, due medaglie di bronzo ai Mondiali, le vittorie di tappa al Giro d’Italia,  le più importanti classiche italiane….Non mi occorreva vincere la Sanremo per essere considerato un campione!

E infatti lo eri – e da tempo- un campione, caro Michele e noi lo sapevamo bene! E quella Sanremo la vincesti in modo superbo. Nelle edizioni del dopoguerra solo Coppi, nel 1946, ha fatto una fuga individuale più lunga. E la media, poi, una delle Sanremo più veloci di sempre!

“La media è stata di poco inferiore  ai  44 Km orari.  Se pensi che le biciclette pesavano almeno due chili in  più di quelle odierne  e se consideri  altri fattori quali l’abbigliamento dell’epoca ….”

Sì,  la tua fu proprio un’impresa, indimenticabile  per chi ebbe la ventura di viverla! E tra le Sanremo degli anni successivi, quale edizioni ricordi, in particolare?

“Senz‘altro la vittoria di Bugno nel 1990 e quella di Chiappucci nel 1991”.

Tu vincesti quando non era stata ancora inserita la Cipressa. Ogni anno, puntualmente, si discute sulle eventuali modifiche da apportare al percorso della Classicissima. Qual è il tuo punto di vista?

“Io penso che l’attuale percorso non debba essere modificato, va bene così com’è. E ‘ stata giusta l’introduzione della Cipressa, nel 1982, ma  eviterei di inserire Le Manie o la Pompeiana”.

Michele, spiegami qual è il segreto del fascino senza tempo della Milano- Sanremo.

“La Sanremo ha  un  percorso  che è adatto a tutti. E poi tutti arrivano in forma all’appuntamento  e tutti vogliono vincere. Neanche ad un campionato del mondo si verificano queste  condizioni!”

Quest’anno, purtroppo, la Sanremo non si correrà. E sono saltate anche  le manifestazioni organizzate  per celebrare  il cinquantenario della tua vittoria.

“Si, quella prevista  a Castenedolo ed anche quella  a Verona, promossa – tra gli altri -  da Renato Giusti. Ma sono solo rimandate e al termine dell’emergenza  ci sarà modo di festeggiare. È stata pure rinviata  la cerimonia di presentazione – alla quale ero stato invitato- della bicicletta  che Ernesto Colnago ha prodotto, in numero limitato di esemplari,  per celebrare  l’anniversario della mia vittoria alla Sanremo. Perché” – continua Michele con orgoglio - “fu a seguito del mio successo che Colnago, su suggerimento di Bruno Raschi, ideò l’asso di fiori, il marchio che contraddistingue le sue biciclette”.

Grande, straordinario  Michele!  Sentirti rievocare quella giornata con l’entusiasmo e la grinta di quando correvi è, allo stesso tempo, emozionante e commovente.

Proprio una gran bella storia, come quelle fiabe  di cui si conosce il finale , ma che non ci si stanca di riascoltare. Come le storie delle tante imprese vittoriose  di Dancelli, favole a lieto fine.

Grazie ancora Michele, e ti prego: raccontacene altre!

Mario Silvano

Michele Dancelli taglia vittorioso il traguardo di Via Roma alla Milano-Sanremo del 1970

Michele Dancelli taglia vittorioso il traguardo di Via Roma alla Milano-Sanremo del 1970

15-03-2020

marzo 16, 2020 by Redazione  
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PARIS – NICE

L’ottava ed ultima tappa (circuito di Nizza, 113.5 Km) è stata annullata a causa dell’emergenza coronavirus. Il tedesco Maximilian Schachmann (Bora – Hansgrohe) si impone in classifica con 18″ sul belga Tiesj Benoot (Team Sunweb) e 59″ sul colombiano Sergio Andrés Higuita García (EF Pro Cycling). Miglior italiano Vincenzo Nibali (Trek – Segafredo), 4° a 1′16″.

GRAN PREMIO DE LA PATAGONIA (Cile)

Il colombiano José Tito Hernández Jaramillo (Team Medellín) si è imposto nella corsa cilena, circuito di Puerto Montt, percorrendo 138.6 Km in 3h18′03″ alla media di 41.99 Km/h. Ha preceduto di 28″ lo spagnolo Óscar Miguel Sevilla Ribera (Team Medellín) e di 1′03″ il cileno Pablo Andrés Alarcón Cares (Canel’s Pro Cycling). Nessun italiano in gara

SCHACHMANN SI DIFENDE IN SALITA, SUA LA PARIGI-NIZZA DEL VIRUS

marzo 14, 2020 by Redazione  
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Maximilian Schachmann (Bora-Hansgrohe) si difende dagli attacchi di Tiesj Benoot (Sunweb) nella 7a ed ultima tappa della Parigi-Nizza e conquista la 78a edizione della “Corse au Soleil”. La tappa regina, da Nizza a Valdeblore La Colmiane, vede trionfare Nairo Quintana (Arkéa-Samsic), autore lungo l’ascesa finale di uno scatto che non ha dato possibilità di replica agli avversari. Sul podio finale salgono anche Benoot e il colombiano Sergio Higuita (EF Pro Cycling).

La 7a frazione, originariamente la penultima, ieri si era ritrovata ad essere l’atto finale della corsa dopo l’annullamento dell’8a tappa, la Nizza-Nizza di 113 km in programma domani, a causa dei rischi legati al contagio da coronavirus.
La 7a tappa è quindi diventata il giudice finale di questa edizione vista la presenza di ben 4 GPM, l’ultimo dei quali costituito dalla lunga e costante ascesa (16,3 km al 6,3%) che portava ai m 1500 metri del traguardo di Valdeblore la Colmiane.
Il primo GPM di giornata, il Col de Vence (1a categoria, lungo 9,7 km al 6,6%) era posto dopo appena 35 km, seguito da due GPM di 2a categoria a metà corsa, il Col del la Sigale (7,1 km al 4,6%) al km 80 e la Côte de Saint-Antonin (7,5 km al 4,7%) al km 93.
Come già comunicato ieri dalla stessa squadra, non partono i corridori della Israel Start-Up Nation e a loro si aggiungono Mads Pedersen (Trek-Segafredo), Roger Kluge (Lotto-Soudal) e Ben O’Connor (NTT Pro Cycling).
I primi a provare ad avvantaggiarsi sono Benoît Cosnefroy (Ag2r La Mondiale) e Anthony Perez (Cofidis), che dopo 12 km riescono a guadagnare una cinquantina di secondi sul gruppo. Dietro di loro sono in tanti a provarci e tra questi si segnalano Alex Kirsch (Trek-Segafredo) e Dries Van Gestel (Total Direct Énergie).
Di lì a poco si muovono anche i big della classifica e dopo una ventina di chilometri si forma così un gruppo con Nairo Quintana (Arkéa-Samsic), Sergio Higuita e Alberto Bettiol (EF Pro Cycling), Vincenzo Nibali (Trek-Segafredo), Thibaut Pinot e Rudy Molard (Groupama-FDJ), Patrick Konrad e il leader della classifica Maximilian Schachmann (Bora-Hansgrohe), Julian Alaphilippe (Deceuninck-Quick Step), Cosnefroy e Aurélien Paret-Peintre (Ag2r La Mondiale), Thomas De Gendt (Lotto-Soudal), Nicolas Edet e Anthony Perez (Cofidis), Tiesj Benoot e Michael Matthews (Sunweb) e Fabien Doubey (Circus-Wanty Gobert).
Poco prima dell’inizio del Col de Vence un nuovo contrattacco nel drappello dei battistrada fa sì che ad avvantaggiarsi siano in sei, mentre gli altri undici di lì a poco vengono ripresi dal gruppo. Restano davanti quindi Perez, Edet, Alaphilippe, Bettiol, De Gendt e Paret-Peintre. Allo scollinameneto del Col de Vence il distacco del gruppo, guidato da Michael Schwarzmann (Bora-Hansgrohe), è di circa 3 minuti. Tale gap resterà praticamente inalterato per diversi chilometri, anche dopo il secondo e il terzo GPM di giornata, tutti vinti da Nicolas Edet che così si porta in testa alla classifica della maglia a pois.
Il primo a staccarsi dal gruppo di testa è Perez (ai-45), già in fuga ieri al pari del compagno di squadra Edet. Nel frattempo lo svantaggio inizia a calare grazie al ritmo imposto nel gruppo dalla Bora-Hansgrohe per merito di Konrad e di Felix Grossschartner. Al traguardo volante di Tournefort (-30) il gap si aggira attorno ai 2′15”, mentre ai piedi della salita finale è sceso ad 1′25”.
Sulle prime rampe verso La Colmiane il gruppo di testa si sfalda e restano al comando Alaphilippe e De Gendt, ma il forcing di quest’ultimo costringe alla resa il francese. Inizia così un testa a testa tra il fiammingo e il gruppo, forte di non più di 15 unità.
Il vantaggio di De Gendt aumenta fino a raggiungere 1′30” . Ai -10 la Trek-Segafredo organizza l’inseguimento con Kenny Elissonde prima e Richie Porte poi. Il vantaggio di De Gendt inizia così a diminuire, arrivando a circa 45” quando mancano 5 km al traguardo. Ai -4 arriva, però, lo scatto secco di Quintana e nessuno riesce a resistere alla sua improvvisa accelerazione. Il colombiano fa il vuoto, riprende in poche centinaia di metri De Gendt e rimane quindi solo in testa alla corsa.
Al suo inseguimento si forma un quintetto, costituito da Schachmann, Benoot, Higuita, Nibali e Pinot, nel quale manca però l’accordo. Quintana così riesce a guadangare un ottimo margine arrivando subito a circa 30” di vantaggio sugli immediati inseguitori.
Ad un chilometro e mezzo dall’arrivo attacca Benoot, 2° in classifica a 36” da Schachmann. Il belga prende un buon margine, ma il traguardo è ormai troppo vicino per poter scalzare dalla testa della classifica un Schachmann apparso leggermente in difficoltà.
Quintana taglia il traguardo in perfetta solitudine dopo l’ennesimo numero in salita di questa prima parte di stagione, che ho lo ha già visto trionfare sul Mont Ventoux al Tour de la Provence e sul Col d’Èze al Tour des Alpes-Maritimes et du Var, corse nelle quali si è imposto anche nella classifica generale. Benoot giunge a 46” poco prima di Pinot (3°), mentre Higuita (4°) e Nibali (5°) arrivano a 56”. Due secondi dopo taglia il traguardo Schachmann, che quindi conserva la maglia gialla.
In classifica generale trionfa dunque il corridore tedesco con un vantaggio di appena 18” su Benoot. Sul gradino pià basso del podio resta Higuita a 59”. Nibali risale fino al 4° posto (ad 1′16”) seguito da Pinot ad 1′24” e da Quintana ad 1′30”. Per il colombiano, ovviamente, resta il rammarico per il tempo perduto nella seconda tappa, quando tagliò il traguardo di Chalette-sur-Loing con quasi un minuto e mezzo di ritardo dai migliori.
Chiudono la top ten Molard a 2′03, Tanel Kangert (EF Pro Cycling) a 2′16, Grossschartner a 3′39” e Søren Kragh Andersen (Sunweb) a 4′36”.
Schachmann conquista la sua prima corsa a tappe da professionista al termine di una settimana in cui ha messo in mostra una grande continuità e la capacità di fare bene in qualsiasi terreno. Il tedesco dovrà però testarsi in contesti più complicati per capire se un giorno potrà puntare alla vittoria di un grande Giro.
Chi, invece, sembra totalmente recuperato e assolutamente in grado di tornare a dire la sua al Tour de France è Quintana. Il cambio di squadra ha evidentemente fatto bene al colombiano, autore in questo primo scorcio di stagione di diverse spettacolari azioni in salita e già a quota 5 successi nel 2020.
Purtroppo ora il gruppo si fermerà per un lungo e imprecisato periodo a causa dell’epidemia di coronavirus che ha costretto gli organizzatori di molte corse ad annullare o rimandare le loro manifestazioni. Sabato prossimo salterà così la Milano-Sanremo, ma anche il Giro delle Fiandre non andrà in scena e a forte rischio sono anche le altre classiche del nord, mentre per il Giro d’Italia è stato annunciato il rinvio, dopo che l’Ungheria aveva chiuso le porte alla “Corsa Rosa” a causa dello stato d’emergenza collettivo.

Pierpaolo Gnisci

Il podio della Parigi-Nizza 2020 (Getty Images Sport)

Il podio della Parigi-Nizza 2020 (Getty Images Sport)

14-03-2020

marzo 14, 2020 by Redazione  
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PARIS – NICE

Il colombiano Nairo Quintana (Team Arkéa Samsic) si è imposto nella settima ed ultima tappa, Nizza – Valdeblore La Colmiane, percorrendo 166.5 Km in 4h27′01″ alla media di 37.41 Km/h. Ha preceduto di 46″ il belga Tiesj Benoot (Team Sunweb) e di 56″ il francese Thibaut Pinot (Groupama – FDJ). Miglior italiano Vincenzo Nibali (Trek – Segafredo), 5° a 56″. Il tedesco Maximilian Schachmann (Bora – Hansgrohe) si impone in classifica con 18″ su Benoot e 59″ sul colombiano Sergio Andrés Higuita García (EF Pro Cycling). Miglior italiano Nibali, 4° a 1′16″.
L’ottava ed ultima tappa (circuito di Nizza, 113.5 Km), prevista domani, è stata annullata a causa dell’emergenza coronavirus.

BENONE BENOOT, SCHACHMANN CADE MA SI SALVA

marzo 13, 2020 by Redazione  
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Alla Parigi-Nizza è il giorno di Tiesj Benoot. Il belga del Team Sunweb vince la 6a tappa della “Corsa verso il sole”, 161 km da Sorgues ad Apt, con un gran numero sulla salita finale trionfando in solitaria con una ventina di secondi su un gruppetto regolato dal compagno Michael Matthews e comprendente tutti i big della classifica generale. Maximilian Schachmann (Bora-Hansgrohe) difende la leadership nonostante una caduta nella discesa finale.

La frazione odierna era la prima delle due tappe deputate a decidere la 78sima edizione della corsa francese. In programma ben 6 GPM, di cui 4 di 2a categoria, e altri strappi. Sull’ultimo di questi, posto a solo 3 km dall’arrivo, era fissato il traguardo volante di Apt prima di una breve discesa che portava alla linea d’arrivo.
La tappa inizia subito con un un colpo di scena: la Bahrain-McLaren annuncia che la squadra non prenderà il via per evitare i rischi di un possibile contagio da coronavirus. Fuori dai giochi quindi Dylan Teuns, fino a stamattina 6° in classifica ad 1′10” dal leader Maximilian Schachmann (Bora-Hansgrohe). Oltre a loro non partono diversi corridori veloci, come il duo della Lotto-Soudal formato da Caleb Ewan e Jasper De Buyst, Elia Viviani (Cofidis), Rudy Barbier e il compagno di squadra Krists Neilands (Israel Start-Up Nation).
Il forte vento che spira da nord viene immediatamente sfruttato dalla Deceuninck-Quick Step che poco dopo il via mette subito in atto un forcing che miete sin da subito vittime, tra i quali Richie Porte (Trek-Segafredo) che perde contatto dal gruppo.
Il primo tentativo di fuga è ad opera di un sestetto che però viene subito ripreso. Si susseguono così diversi scatti e controscatti, poi riesce ad avvantaggiarsi Lilian Calmejane (Total Direct Énergie), successivamente seguito dal campione del mondo Mads Pedersen (Trek-Segafredo) e da Nikias Arndt (Sunweb), tentativo neutralizzato già ai piedi del primo GPM di giornata.
Ai piedi della seconda salita (Col de Murs, 2a categoria) si forma l’ennesima fuga, composta da Stefan Küng (Groupama-FDJ), Anthony Perez (Cofidis) e Bryan Coquard (B&B Hotel-Vital Concept), ai quali si accoda anche Niccolò Bonifazio (Total Direct Énergie), splendido vincitore della 5a tappa, con gli ultimi due che si staccheranno poco dopo.
I distacchi, però, sono minimi a causa del ritmo elevato nel gruppo che fa staccare diversi corridori. Tale situazione consente ad altri di rientrare sulla coppia rimasta al comando e così in vetta al secondo GPM si ritrovano in sette in testa alla corsa: oltre a Küng e Perez sono presenti Romain Bardet e Alexis Gougeard (Ag2r La Mondiale), Pedersen, Winner Anacona (Arkéa-Samsic) e Nicolas Edet (Cofidis).
Il vantaggio dei battistrada inizia lentamente a cresce mentre nel frattempo si segnalano numerosi ritiri, tra i quali quelli di alcuni corridori della Israel Start-Up Nation, che aveva già annunciato il ritiro della squadra al termine della tappa per le note questioni legate alla diffusione del coronavirus.
I fuggitivi arrivano con un minuto ai piedi della 3a salita di giornata (Côte de Gordes, 3a cat), vantaggio che aumenterà ad 1′30” in cima al GPM.
Il gruppo, tirato da Bora-Hansgrohe e Deceuninck-Quick Step, non è disposto a lasciare troppo margine ai fuggitivi e, infatti, da lì in poi manterrà il gap sempre non oltre i 2 minuti.
In corrispondenza del primo passaggio ad Apt (48 km dall’arrivo) nel gruppo di testa attaccano Edet e Bardet. I due riescono a staccare di qualche decina di secondi Küng, Gougeard e Anacona, mentre Pedersen e Perez vengono ulteriormente distanziati e sono ripresi dal gruppo.
Dietro si muovono gli uomini della Sunweb, prima con Arndt e poi con Søren Kragh Andersen, secondo in classifica generale. La coppia va a riprendere prima Küng e Gougeard, poi Anacona. Infine Soren Andersen stacca il colombiano e si riporta sui due battistrada andando a formare un nuovo terzetto che, quando mancano 30 km al traguardo, vanta circa un minuto di vantaggio su un gruppo già abbastanza selezionato.
Il distacco diminuisce nei chilometri successivi, quelli che portano la corsa ai piedi dell’ultimo GPM, la Côte d’Auribeau (4.7 km al 5,8%, 2a categoria). Kragh Andersen, evidentemente più fresco dei due compagni di fuga, li stacca quando mancano circa 15 km al traguardo.
A quel punto dal gruppo scatta Vincenzo Nibali (Trek-Segafredo) con a ruota Tiesj Benoot (Sunweb). Il fiammingo proprio in vista del GPM riesce a staccare il siciliano e a riprendere il compagno di squadra, restando infine da solo lungo la discesa e guadagnando circa mezzo minuto sul gruppo dei migliori, che nel frattempo ha riassorbito sia Kragh Anderse, sia Nibali.
Sullo strappo finale attaccano Bob Jungels (Deceuninck-Quick Step) e Felix Grossschartner (Bora-Hansgrohe), quest’ultimo terzo in classifica. I due guadagano qualcosa ma vengono successivamente ripresi dopo che dietro è scattato Sergio Higuita (EF Pro Cycling), ma questo forcing serve a poco.
Benoot riesce così a vincere la tappa con 22” sul gruppetto dei migliori, regolato dal compagno di squadra Michael Matthews davanti ad un Higuita in grande spolvero. Da segnalare una caduta che ha coinvolto Schachmann ai -2 senza conseguenze, visto che la giuria a fine tappa gli ha assegnato lo stesso tempo degli altri corridori giunti a 22” da Benoot.
La nuova classifica generale vede sempre Schachmann al comando con 36” secondi su Benoot, 1′01” su Higuita e Grossschartner. Il sorprendente Matthews è 5° a 1′10” seguito da Nibali a 1′18”. Nairo Quintana (Arkéa-Samsic) risale in 12a posizione ma con ben 2′38” di ritardo.
Domani in programma la 7a tappa, nel frattempo diventata l’ultima vista la cancellazione della frazione conclusiva con arrivo a Nizza. Si arriverà dopo 166 km alla stazione di sport invernali di Valdeblore La Colmiane (1500 m di altitudine), arrivo in salita posto al termine di salita di 16 Km al 6.3% che sarà quindi il giudice ultimo della corsa francese.
Schachmann vanta un buon margine ma dovrà guardarsi dagli attacchi degli avversari, in particolar modo da quelli di un Higuita apparso in grande forma.

Pierpaolo Gnisci

Un grintoso Benoot allattacco verso Apt (foto Bettini)

Un grintoso Benoot all'attacco verso Apt (foto Bettini)

13-03-2020

marzo 13, 2020 by Redazione  
Filed under Ordini d'arrivo

PARIS – NICE

Il belga Tiesj Benoot (Team Sunweb) si è imposto nella sesta tappa, Sorgues – Apt, percorrendo 161.5 Km in 3h57′02″ alla media di 40.88 Km/h. Ha preceduto di 22″ l’australiano Michael Matthews (Team Sunweb) e il colombiano Sergio Andrés Higuita García (EF Pro Cycling). Miglior italiano Vincenzo Nibali (Trek – Segafredo), 6° a 22″. Il tedesco Maximilian Schachmann (Bora – Hansgrohe) è ancora leader della classifica con 36″ su Benoot e 1′01″ su Higuita García. Miglior italiano Nibali, 6° a 1′18″

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