MONCOUTIE, TAPPA E MAGLIA SUL FARON

febbraio 13, 2011 by Redazione  
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Il francese della Cofidis centra il colpo doppio nell’ultima e più attesa frazione del Giro del Mediterraneo, con traguardo in vetta al Mont Faron, regalando alla Francia il quinto successo in cinque tappe. Il 35enne di Provins si è imposto per distacco davanti al connazionale Jean-Christophe Péraud e all’olandese Wout Poels, che hanno conquistato la seconda e la terza piazza anche in classifica generale. Buon 5° posto per Morris Possoni.

Foto copertina: David Moncoutié alza le braccia sul traguardo del Mont Faron, conquistato per la terza volta in carriera (foto Roberto Bettini).

Se fossimo al Tour de France sarebbe festa nazionale; dal momento che si è ancora in febbraio, e che il Giro è quello del Mediterraneo, i cinque successi francesi in altrettante tappe con annessa vittoria finale sulle strade di casa sono soltanto un grande risultato, pur mitigato da una concorrenza straniera non propriamente stellare. A completare l’en plein, dopo l’affermazione di Thomas Voeckler nella giornata inaugurale e la tripletta di Romain Feillu nelle tre frazioni centrali della corsa, è stato David Moncoutié, che a due mesi dal suo trentaseiesimo compleanno è stato capace di distanziare la concorrenza lungo le brevi ma aspre rampe del Mont Faron, ancora una volta ultimo (e quest’anno pressoché unico) giudice della gara. Una concorrenza rappresentata oggi in primis da un altro transalpino, Jean-Christophe Péraud, altro atleta non più in verdissima età (classe 1977), che ha scoperto oltre i 30 anni una vocazione per il ciclismo su strada, unico a mettere seriamente in discussione la supremazia dell’alfiere Cofidis.
In una giornata che ha vissuto quasi esclusivamente sull’attesa dei 5 km finali, con il solo Col de Gratteloup, posto a circa due terzi di tappa, ad offrire qualche stimolo a possibili attaccanti, il gruppo non ha avuto particolari difficoltà a mantenere cucita una corsa animata inizialmente da una fuga a diciassette uomini, riassorbita prima di metà gara, e quindi da Arguelys e Jules, raggiunti ad una quindicina di chilometri dal termine. La candidatura più autorevole al successo di tappa e finale, quella di Thomas Voeckler, è tramontata non appena è davvero scoppiata la battaglia, con il campione di Francia scivolato alla fine addirittura al 13° posto, staccato di 38’’ dal vincitore. Ad infiammare una lotta alla quale non hanno neppure provato a prendere parte il trionfatore della passata edizione, Rinaldo Nocentini, e il terzo della tappa di ieri, Daniel Martin, è stato Péraud, che, a 4 km dalla vetta, si è involato in compagnia di Cummings e Antomarchi, lasciati poi indietro un chilometro più tardi. Un’azione che per alcuni chilometri è parsa dover essere coronata dal successo, vista l’incapacità di chiudere mostrata dal gruppetto inseguitore, contenente fra gli altri, oltre ai due ex compagni d’avventura del francese, un ottimo Morris Possoni.
A negare all’atleta Ag2r la prima vittoria da professionista in una gara in linea, dopo il successo nella prova nazionale a cronometro due anni fa, ha pensato però appunto David Moncoutié, già due volte padrone del Mont Faron in passato. L’atleta di Provins è risalito in solitaria fino a trovare la scia del connazionale a 400 metri dalla conclusione, per poi approfittare della spinta dell’entusiasmo e dei distruttivi effetti delle rampe costantemente attorno al 10% della salita sulle gambe dell’avversario per passarlo di slancio e andare a cogliere la terza affermazione in carriera sulla salita simbolo del Mediterraneo. Péraud ha dovuto accontentarsi della piazza d’onore, a 7’’ da Moncoutié, mentre a completare il podio, con 18’’ di ritardo, è stato Wout Poels, 23enne olandese della Vacansoleil, formazione che ha saggiamente deciso di non provare neppure a correre in difesa della maglia gialla di Feillu (oltre 2’ al traguardo il distacco dell’ex capoclassifica). Appena alle sue spalle un altro giovane, il 22enne di Miami Andrew Talansky, mentre 5’’ più tardi ha tagliato il traguardo Possoni, 5° e primo degli italiani.
Lopez Garcia, Cummings, Rolland, Jeandesboz ed El Fares hanno completato una top 10 di giornata che assomiglia molto anche a quella della classifica generale finale (Moncoutié, Péraud, Poels, Talansky, Possoni, Voeckler, Lopez Garcia, Jeandesboz, Cummings e Rolland nell’ordine). Un dato, quest’ultimo, che dovrebbe forse far riflettere gli organizzatori circa l’eccessivo peso che questa frazione ha alla fine avuto nell’economia della corsa, rendendo le quattro tappe precedenti poco più di un riscaldamento in vista dell’unica vera asperità del tracciato. In ottica 2012, potrebbe forse giovare al valore tecnico della gara aggiungere almeno qualche finale sulla falsa riga di quello di ieri a Biot, magari anche con qualche centinaio di metri di ascesa in più, o con rampe un po’ più selettive. In caso contrario, Moncoutié, che il Faron pare padroneggiarlo meglio di chiunque altro, potrebbe già iniziare a pensare al bis.

Matteo Novarini

12-02-2011

febbraio 13, 2011 by Redazione  
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TOUR MÉDITERRANÉEN CYCLISTE PROFESSIONNEL
Il francese Romain Feillu (Vacansoleil-DCM Pro Cycling Team) si è imposto anche nella quarta tappa, La Londe Les Maures – Biot, percorrendo 155 Km in 3h53′33″, alla media di 39,820 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’italiano Davide Appollonio (Sky Procycling) e l’irlandese Martin. Feillu conserva la testa della classifica, con 18″ su Appollonio e 21″ sul francese Voeckler.

CARO RICCARDO….

febbraio 13, 2011 by Redazione  
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Riceviamo e pubblichiamo dal professor Claudio Ceconi – apprezzato medico cardiologo e titolare della cattedra di cardiologia presso l’università di Ferrara ma, soprattutto, appassionato di ciclismo e grande pedalatore – una lettera scritta col cuore e diretta a Riccardo Riccò e a tutto il gruppo….
Che serva a far riflettere i corridori sul futuro della loro vita e di uno degli sport più belli e faticosi del mondo

Caro Riccardo

Leggo dai comunicati stampa che stai meglio; e questo è proprio un bel sollievo! La vita è un bene così prezioso che pensare alla possibilità che 27 anni di colpo possano andare in fumo è inaccettabile.
Però, visto che stai meglio, voglio proprio dirti che sono veramente arrabbiato; e dico arrabbiato anche se vorrei usare una parola diversa, che senz’altro immagini.
Si, si… so benissimo che non te ne importerà granché, ma io te lo dico lo stesso.

E non pensare che l’arrabbiatura nasca per le solite ragioni, quelle tante volte abusatem tipo la lealtà sportiva, il rispetto per uno sport nato dalla fatica e reso popolare da ben altri campioni, il fatto che ti avevamo creduto e così via.
Di queste cose a me, ciclista della domenica, non importa niente. O per meglio dire non me ne importa più: mi fanno arrabbiare ben altre cose.

Mi fa arrabbiare e trovo stupido buttare via un talento straordinario: si, perché non c’è dubbio che saresti stato un grande anche solo con quello che la natura aveva messo nelle tue gambe e nei tuoi polmoni. Per cosa poi? Perché non ti bastava fare un solo grande giro all’anno, ma volevi essere sempre davanti? Per fare le scene che abbiamo visto al Tour 2008 e tante altre volte?

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che si possa pensare di conservare certe cose nel frigorifero di casa, insieme all’insalata. Siamo nel 2011 e io voglio pensare che il mondo del ciclismo non sia rimasto così, come quando le “cure” le decideva il massaggiatore.

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che qualcuno possa pensare di andare forte come te copiando certi “sistemi”. E siccome chi potrebbe imitarti sono i più giovani mi arrabbio ancora di più. Io lavoro tra gente ammalata e sono abituato a vedere la luce che si spegne negli occhi di chi non ha più speranze. Quindi non riesco ad accettare le “morti improvvise”, così frequenti nello sport agonistico e che così spesso non hanno a che fare con la natura, ma hanno il nome ed il cognome di questa o quella sostanza.

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che non pensiate che la natura, presto e non tardi, il conto lo presenta: tu adesso ne sai qualcosa. E’ crudele dirlo, ma non sarai più come prima. Ne vale la pena?

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che senz’altro i tuoi guai non li hai fatti da solo. Magari ti ha dato una mano – sporca – qualche medico che avrebbe potuto utilizzare meglio quello che ha studiato. Senz’altro ti hanno dato una mano – sporca – un mucchio di cattivi consiglieri che però sui tuoi guai ci hanno guadagnato.

Mi fanno arrabbiare e trovo stupide anche tante altre cose, ma voglio dirti una cosa: mi piacerebbe che tu ci stupissi tutti. Non farai più il ciclista professionista, ma credo che tutti quelli che avevano creduto in te sarebbero felici se, qualsiasi scelta farai per il tuo futuro, riuscirai a fare qualcosa di buono.

Mi piace davvero pensarlo che tu ci riesca. Ogni volta che sulla mia specialissima cerco di portare in salita tutti i miei chili di troppo ho il tempo di pensare a molte cose. Di certo non mi ricorderò di quello che facevi con il numero sulla schiena. Invece ti assicuro che qualche volta, dentro di me, mi augurerò che tu sia stato capace di fare finalmente le scelte giuste.

Prof. Claudio Ceconi.

FEILLU COGLIE IL TRIS

febbraio 13, 2011 by Redazione  
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Il francese della Vacansoleil coglie il terzo successo in quattro tappe sulle strade del Giro del Mediterraneo, anticipando nettamente allo sprint l’azzurro Davide Appollonio e l’irlandese Daniel Martin sul traguardo di Biot. Il francese rafforza la leadership in classifica generale, che difficilmente potrà però difendere domani, nella quinta ed ultima frazione, con traguardo in cima al Mont Faron.

Foto copertina: Romain Feillu celebra sul traguardo di Biot il terzo successo consecutivo al Giro del Mediterraneo (foto Roberto Bettini)

Sarà quello di Romain Feillu, a prescindere da quanto accadrà domani sul Mont Faron, come da tradizione arbitro della corsa, il nome che più di ogni altro resterà legato al Giro del Mediterraneo 2011. Dopo essersi imposto a Rousset e La Farlède, mietendo vittime eccellenti quali Danilo Napolitano e Yauheni Hutarovich, il 26enne francese della Vacansoleil ha fagocitato la concorrenza con impressionante agio anche sul traguardo di Biot, al termine di 155 km dal profilo non propriamente terrorizzante, con partenza da La Londe Les Maur. Neppure lo strappo che ha portato al traguardo (1500 metri al 7% circa di pendenza media), che pure ha reso piuttosto atipico lo sprint, è riuscito a mettere in discussione la superiorità del ragazzo di Châteaudun, che ha regolato senza particolari patemi un Davide Appollonio sempre più convincente, alla seconda piazza d’onore negli ultimi tre giorni, e Daniel Martin, irlandese incontenibile nello scorso agosto, in caccia della gamba in vista delle gare di primavera. In top 5 anche un altro italiano, Alessandro Proni, anticipato da Jérémie Galland.
Che Feillu avesse tutta l’intenzione di dar seguito alla striscia di successi avviata due giorni fa era risultato evidente dall’atteggiamento tenuto in corsa dalla sua Vacansoleil, che ha mantenuto saldamente il controllo della corsa, a dispetto di quanto l’asperità conclusiva potesse lasciar supporre alla vigilia. L’accesa battaglia che ha caratterizzato la frazione sin dalle battute iniziali, agevolata anche dal chilometraggio ancora una volta piuttosto limitato, è stata così imbrigliata dalla formazione del capoclassifica, che ha fatto sì che il plotone si presentasse ancora compatto ai piedi del dente finale. E laddove molti si attendevano un anticipo di quanto i favoriti dovranno offrire domani sul Faron, è stata invece ancora una volta la maglia gialla a bruciare tutti, tanto gli altri sprinter che hanno tentato di resistere al finale in pendenza, quanto i Daniel Martin della situazione, che hanno provato ad acquisire una piccola dote in vista della frazione conclusiva.
Con il tris di Feillu si è sostanzialmente chiuso il Mediterraneo 2011 per quanto riguarda i velocisti, che torneranno protagonisti su queste strade soltanto fra 12 mesi. Domani la corsa francese vivrà infatti la sua giornata chiave, con l’annuale scalata al Mont Faron, ascesa abbastanza breve (5 km abbondanti), secca, e che forse gli organizzatori potrebbero dall’anno prossimo almeno pensare di affiancare ad una o due asperità da inserire nel resto del percorso, onde evitare che la gara si tramuti in una sorta di corsa di un giorno con quattro giorni di semplice antipasto. Favorito d’obbligo, soprattutto alla luce della condizione dimostrata con l’affermazione del primo giorno, Thomas Voeckler, anche se l’impossibilità di conoscere le condizioni di buona parte dei nomi presenti al via rende pressoché inutile azzardare qualsiasi pronostico. Per quanto riguarda i colori azzurri, è presumibile che la carta più interessante da giocare possa essere quella rappresentata da Rinaldo Nocentini, campione uscente, sulla carta ancora in corsa per tentare il bis.

Matteo Novarini

RITO IMMEDIATO PER RICCO’, IL DOPATO (IM)PERFETTO

febbraio 12, 2011 by Redazione  
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Riccardo Riccò viene ricoverato d’urgenza in stato di choc, riferendo egli stesso, secondo quanto riportato dal medico, di temere le conseguenze di un’autoemotrasfusione che si sarebbe praticato da solo. La salute di Riccardo non è più in pericolo, la sua carriera sembra alla conclusione. Ma è tutto qui?

Foto copertina: Tour 2008, Riccò fermato dalla gendarmerie dopo la positività

1. IL RITO IMMEDIATO
Nei comuni tribunali il “rito immediato” viene richiesto a fronte dell’evidenza delle prove, quando il materiale raccolto è così abbondante ed esplicativo da far stimare superfluo ogni ulteriore approfondimento. Per Riccardo Riccò un “rito immediato” metaforico (quello vero, giudiziario, naturalmente risulta fin qui inapplicabile) si è già innescato dentro al mondo del ciclismo: paradossalmente il “materiale” è tutt’altro che abbondante, anzi lo si direbbe miserello: l’ammissione di un’autoemotrasfusione – che nel doveroso transito tra il pronto soccorso e la procura giudiziaria è stata assai meno doverosamente filtrata alla stampa da mani ignote – è pur sempre una voce riecheggiata per ben quattro rimbalzi, da Riccò al medico, alla procura, alla stampa, ed è con ogni probabilità in buona parte mendace all’origine.
Non per niente è significativo che la procura del CONI, dunque non quella giudiziaria ma quella sportiva, apra di gran carriera le proprie indagini sulla base dei “fatti riportati dalla stampa”!
Certo che la notizia – in quanto confessione di una colpa – è in concreto, nel suo nocciolo duro, molto attendibile (sempreché non ci siano state alterazioni nella catena sopra descritta: ma per amore di riflessione diamo per scontato che non ne siano avvenute di sostanziali: se invece fossimo un’istituzione dovremmo andare con i piedi di piombo).
Tuttavia in una notizia del genere il nocciolo duro cioè “Riccò si è dopato” è forse l’elemento meno importante: chi crede che il doping sia onnipervasivo o quasi nello sport professionistico non poteva avere dubbi che Riccò, per continuare ad esercitare la propria professione, avrebbe continuato a doparsi; coloro che invece credono che il dopatus pervicax sia un esemplare moralmente corrotto, comunque particolare e distinto dalla pletora di sportivi relativamente immacolati, ebbene costoro perlopiù non hanno mai creduto a una redenzione di Riccò.
Quello che è assai più interessante, anzi addirittura decisivo, è riflettere su una serie di corollari rispetto a quella verità sfolgorante, così sfolgorante da abbagliare la vista: per riflettere però ci vuole un po’ di tempo, i giorni – peraltro ancora insufficienti – che Ilciclismo.it ha deciso di prendersi a differenza delle tante voci che si sono levate in un ululato quasi unanime di orrore.

2. IL RISPETTO PER LA VITA UMANA
La prima doverosa considerazione è che il motivo principe per cui si dovrebbe lottare contro il doping, ovvero per tutelare gli atleti, un motivo che questa vicenda illumina in maniera chiarissima, non deve essere poi così rilevante agli occhi di chi del ciclismo fa parte. Il ritornello degli atleti è “la vita è la sua”, “mi dispiace per la sua salute ma il problema se l’è creato con le sue mani”, “è un idiota”, “dovremmo spedirlo sulla Luna”, “è una carognata alla famiglia di Aldo Sassi”; semmai ci si preoccupa naturalmente dell’immagine del ciclismo, dell’ingiustizia per cui ci siano in circolazione dei bari siffatti e così via. Insomma “se l’è cercata”, “ci fa fare brutta figura” e tutto il resto in secondo piano.
Parole forti, prescindendo completamente dal fatto che si parli di una persona in carne e ossa, che in quel momento si trovava ancora ricoverata in ospedale con una prognosi riservata: non è ipocrisia rispettare per almeno un piccolo lasso di tempo la nuda, fisica, umanità di chi sta soffrendo, trattenendo nel silenzio i propri aspri giudizi, riservandoli al momento in cui almeno la salute sia stata garantita; non volere infierire ulteriormente su chi, sia pure per propria colpa, prende coscienza proprio in questi momenti di avere distrutto la propria vita, per fortuna solo parzialmente sul piano fisiologico, ma più profondamente su quello esistenziale. No, il ritegno non sarebbe mai stato ipocrisia, è invece senso delle priorità: prima la vita e l’umanità da rispettare anche in chi sbaglia gravemente, poi le gare, gli ordini di arrivo, l’immagine. Invece purtroppo ciò che emerge da questa raffica di dichiarazioni è che per istinto si pensa prima al ciclismo poi alla vita: e questa, non è caso, è la mentalità in cui alligna il doping, per paradosso espressa in modo brutale e inconfondibile all’atto di condannare un dopato.

3. IL CICLISMO “DI IERI” E QUELLO “DI OGGI”
Semmai la vera e opprimente ipocrisia è quella di chi si sente in dovere di calcare la mano contro il dopato sperando così di, appunto, “salvare l’immagine del ciclismo”, e nel frattempo magari anche la propria: perché naturalmente è implicito in chi aborre la mostruosità di Riccò che i suoi orrori siano casi estremi, ormai non più diffusi “come un tempo” visto che oggi il ciclismo “si sta ripulendo”.
Ma quante volte abbiamo sentito questo ritornello? Sempre con un decennio di ritardo (o gli otto anni della prescrizione?) si arriva ad aprire gli occhi che “sì allora erano tutti dopati, non come ora che siamo sulla strada buona”. Prima l’era delle emotrafusioni di stato italiane, dei record dei campioni conconiani in ogni sport, più tardi la Gewiss dei miracoli… Ormai verità pressoché assodate, condivise. Finiscono gli anni Ottanta, cominciano i Novanta. La super PDM si ritira in massa dal Tour del 1991 con problemi di salute presumibilmente legati a coprenti per l’emodoping. Ma quando vince il Tour Riis a che punto siamo? Poi c’è lo scandalo Festina, ma a seguire finalmente con Armstrong al Tour non si vedono più positività. Salvo scoprire che cosa si combinava in Telekom, e non tarderà ancora a lungo la verità sulla stessa squadra del texano, corroborata da testimonianze sempre più numerose oltreché dall’impressionante sequela di positività per atleti che ne provenivano. Vogliamo dimenticare lo scandalo Kelme, e quello Phonak, e quello Gerolsteiner?
Avrete notato che sono stati citati tutti casi di doping massivo, da parte delle principali squadre, al punto che i protagonisti di quegli anni finiscono sempre per dichiarare che “all’epoca” quelle brutture erano sistematiche, coinvolgevano proprio tutti con pochissime eccezioni. “Dopo” sì che lo dichiarano, eccome. “Oggi” invece vogliamo sapere chi parla del caso Riccò? Ne parla Rolf Aldag, meno di quattro anni fa reo confesso di doping, e naturalmente trincerato dietro al “lo facevano tutti”, “ce lo faceva fare la squadra”: oggi direttore sportivo alla HTC. Ne parla Sean Kelly, indimenticato campione e ora anch’egli manager e sponsor di un team, ma che nel 1991 era proprio in quella PDM costretta all’inglorioso ritiro. Perché tutti loro dicono che “da Riccò se lo aspettavano”, che “non l’avrebbero mai preso nella propria squadra”, che bisogna “bandirlo per sempre dallo sport”, ma nessuno di loro fa un paragone tra l’esperienza del modenese e la propria, di dopati in prima persona? Non sono forse loro i più titolati a spiegare che cosa può spingere un corridore a rischiare la salute?
E perché mai poi “non avrebbero preso” il dopato Riccò nella propria squadra, ma loro che pure furono dopati ne possono gestire una? Perché loro erano “obbligati dal sistema”, certo, un sistema che oggi “non esiste più” anche se gran parte delle squadre odierne sono gestite non solo da corridori di quei periodi, ma perfino da corridori coinvolti in prima persona in gravi scandali connessi al doping: in mezzo agli spropositi lunari del team di Armstrong sono cresciuti pedalando o amministrando Vaughters della Garmin, Stapleton ancora della HTC e naturalmente Bruyneel; Breukink della Rabobank era in quella PDM, Riis e Gianetti sono ormai casi emblematici…
Lasciamo dei pietosi puntini di sospensione, e lasciamoci condurre all’elemento che sorge spontaneamente da questa prospettiva, il contrasto tra il singolo e il sistema.

4. LA TEORIA DELL’ASSASSINO SOLITARIO
La prima ovvietà che salta agli occhi è che gran parte dei commenti prende per buona, anzi per ottima, la versione fornita da Riccò in merito alla pratica autonoma e individuale di un’autotrasfusione più “auto” che mai. Addirittura la massima autorità della Federciclo, il presidente Di Rocco ci tiene a precisare che “qui non si tratta di consiglieri sbagliati, di apprendisti stregoni, della piovra occulta che stiamo tentando di combattere e sradicare”. Riccò è proprio il dopato perfetto perché “ha fatto tutto da solo”, è “malato dentro”, praticamente un pazzo isolato. Insomma, la vecchia storia di Oswald che tutto solo e di propria iniziativa spara a Kennedy perché “intossicato da falsi messaggi” che “gli hanno fatto perdere il senso della realtà”… si possono perfino applicare le stesse parole che usa Di Rocco per Riccò!
In tutto questo tutti si scandalizzano (e pare Riccò per primo, nel segnalare il dato come fonte di preoccupazione) per i 25 giorni di sangue in frigorifero, quando a un qualunque donatore AVIS viene detto che il sangue non è latte fresco o una bistecca e quindi, essendo tendenzialmente sterile, in “frigo” si può mantenere quasi tre mesi. Si vorrebbe sperare che Riccò, anche facendo tutto da solo, un giro su internet se lo fosse fatto, almeno abbastanza da sapere che il problema non è di giorni, in quel lasso, ma semmai di temperature. Allo stesso modo qualunque donatore AVIS sa che al fine di prelevare più sangue che non quello nelle provette da esami serve un apposito macchinario, e apposite apparecchiature, non attrezzi di tutti giorni o che si possano nascondere con grande facilità da un momento all’altro. Viceversa la rinfusione non richiede macchine, ma un ago di foggia peculiare e notevolissimo diametro, al cui paragone l’endovena autopraticata da un tossicodipendente è uno scherzetto.
Nessuno si è preoccupato di raccogliere simili informazioni per “pesare” la credibilità della “confessione” di Riccò: era troppo comoda così. Riccò che fa da solo risulta automaticamente convincente perché piace credere che sia quasi un caso unico, la sua è un’anomalia, non è legata in nessun modo a un sistema.

5. UNA STORIA GIA’ SCRITTA
Riccò però è anche il dopato perfetto per un altro motivo, cioè perché – per così dire – tutti sanno che è dopato, è sempre stato dopato, non smetterà mai di doparsi. O almeno questo è quello che pensano tutti. Inoltre Riccò è così, e bisogna sottolineare quel verbo essere, perché lo è di carattere, di natura. Lo dice molto bene Cancellara: Riccò è quel “kind of person”, quel genere di persona. “Once an idiot, always an idiot”, “idiota una volta, idiota per sempre”.
Il problema è che forse non è così facile “conoscere” davvero una persona. Molto più spesso ricaviamo dal contesto un’idea su come una persona sia, e se questa idea è funzionale alle circostanze molto facilmente riusciamo a inserire perfettamente nella cornice di quel quadro tutte le immagini che recepiamo di una persona. Raramente possiamo dire di conoscere bene i nostri vicini di casa, i colleghi, perfino i familiari, talora compiono azioni che ci sorprendono e ci fanno capire come il nostro parere su di loro fosse pigramente sedimentato più che reale. A volte il giudizio altrui su di noi ci lascia altrettanto interdetti. Nonostante questa esperienza quotidiana sull’incomunicabilità dei modi di essere, tutti noi dalla televisione o da tre interviste crediamo di “conoscere Riccò”, così come lo credono i suoi colleghi che l’hanno magari incrociato per dieci minuti in gara ma che verosimilmente lo giudicano solo dall’immagine mediatica, o peggio sulla base di istruzioni che ricevono dall’alto; se non proprio istruzioni, diciamo input del direttore sportivo, dell’aria che tira, dell’UCI e così via.
I cosiddetti fatti insegnano ben poco, perché si inquadrano sempre nel quadretto preparato ad hoc.
Cancellara “ha carattere”, Riccò “è arrogante”. Pozzato è “guascone”, Riccò è “strafottente”. Di Luca ha “carisma da capitano”, Riccò è “egoista”. Cavendish è “immaturo”, Riccò è “odioso”. Non che un aggettivo sia giusto e l’altro sbagliato, semplicemente sono tutte persone che non conosciamo e che però ben volentieri equipariamo ai loro “personaggi”, magari facendo pendere la bilancia un po’ di qua o di là.
E così si sente dire che Riccò era dopato “fin da piccolo” perché “già adolescente aveva l’ematocrito alto”. Invece, ad esempio, Cunego con lo stesso identico “problema”: “ha l’ematocrito naturalmente alto, basta guardare i certificati di quando – da ragazzo – sicuramente non si dopava”. Non finisce qui. Cunego (53% circa) ha avuto subito il certificato, Riccò (51%) invece ha subito varie sospensioni per il medesimo motivo prima di ottenerlo “con gli intrighi di Gianetti”. A nessuno viene il dubbio che un 53% sia più “stabilmente sopra il 50%” che un 51%, e che quindi l’ottenimento del certificato sia nel secondo caso più complicato per un normalissimo altalenarsi dei valori sopra o sotto la soglia arbitraria; e che le varie sospensioni dipendano di conseguenza da quest’unica causa. Come è avvenuto pari pari a Cioni o a Gustov, vale a dire due corridori sui quali, sinceramente, non si capisce perché qualcuno dovesse fare “intrighi”.
Invece fatti uguali producono interpretazioni diverse, perfino opposte: da un lato la faccia pulita del ciclismo (anche se nel Giro vinto da Cunego il suo angelo custode aveva la grinta poco raccomandabile di Eddy Mazzoleni), dall’altra il mostro che si dopa fin da ragazzino.
Senza voler dire che Cunego, Cioni o Riccò siano per forza puliti (Riccò, lo sappiamo, non lo è di sicuro), quello che colpisce è che situazioni identiche diano adito a letture opposte, anche molto ricche di immaginazione. Se ci fidiamo di questi benedetti certificati bene, se no potremmo sospettare che il 53% sia stato regalato generosamente a Cunego per qualche intrigo, mentre potremmo viceversa sostenere che le molte sospensioni per il medesimo motivo a Riccò, senza la concessione del certificato, siano il frutto di una cattiva disposizione verso il modenese. Illazioni, tutte illazioni, nient’altro che sciocche illazioni. Ma con le illazioni si formano storie, questo è il problema, e ad alcune ci piace credere, ad altre meno: per una faccia, una mezza parola, un articolo della Gazzetta. Mai per un fatto che sia un fatto.

6. NOI NON FACEMMO MINACCE, NOI DIVINAMMO PROFEZIE
Dalle storie a cui tutti credono nascono le profezie. Cavendish si mette a dire un annetto fa che Riccò è un parassita e che l’avrebbe preso a pugni. Anche solo questo gennaio, prima degli ultimi fatti, Richie Porte riteneva di sentirsi obbligato – in maniera del tutto inconsulta – ad esprimere un parere poco lusinghiero sul modenese. Bettini aveva già dichiarato, sempre prima degli ultimi fatti, che non lo considerava per la Nazionale perché anche se le gambe c’erano, non c’era l’uomo. Andy Schleck si era già premurato di mitragliare dichiarazioni al curaro prima durante e dopo la scorsa squalifica. L’imparzialissimo presidente dell’UCI Pat McQuaid aveva informato il mondo che “la squadra che avrebbe preso Riccò si sarebbe pentita molto amaramente”.
Il ciclismo è spesso sport assai imprevedibile, il mondo del ciclismo lo sta diventando sempre meno (in molti bar l’anno scorso si diceva già fin dall’inizio della stagione che nessun corridore sarebbe stato in grado di battere Contador al Tour, ma che ad ogni modo il Tour 2010 sarebbe stato in qualche maniera scippato al madrileno. Dopodiché…).
E così anche su Riccò tutti sapevano in che direzione tirava il vento, sentivano l’odore elettrico della tempesta che si addensava, solo non si sapeva il modo in cui sarebbe caduto il fulmine: Riccò, dal canto suo, è andato in giro con un’antenna in testa.
Perché mai un presidente dell’UCI dovrebbe fare dichiarazioni su un singolo atleta che ha finito di scontare la sua pena? E un Richie Porte qualsiasi, che forse Riccò nemmeno l’ha mai visto, che cosa mai lo spinge a esprimersi con parole pesanti prima ancora di questi sviluppi, l’amore per l’ordine, la disciplina e la pulizia nel ciclismo o magari il fatto che il suo procuratore sia proprio il figlio dello stesso McQuaid?
Troppe dichiarazioni mirate, telecomandate, missili a ricerca termica che oltre a colpire avvisavano tutti gli altri: quando qui cascherà l’asino, tutti gli avvoltoi si lancino al banchetto.
Di dopati rientrati dopo le squalifiche ce ne sono stati parecchi, qualcuno – come Basso – direttamente in una grande squadra e ammesso senza tante storie a Giro e Vuelta, anzi incensato senza remore. Vinokourov ha ricevuto un bel po’ di improperi, ma nessuno ha minacciato “amari pentimenti” a nessuno. Di Luca, facendo muso duro in faccia alle polemiche, rientra in una squadra Pro Tour. La vicenda doping del simpatico Scarponi è rimossa del tutto, non ne restano nemmeno vaghi echi o allusioni. Riccò non è certo il solo a ricevere un trattamento a muso duro, anche Rasmussen ad esempio non ha vita facile.
Il punto però è che al di là delle squalifiche, spesso già di per sé poco chiare, sussistono dei comportamenti del tutto estranei alla legittimità delle regole che rendono alcuni atleti perennemente sospetti, perennemente banditi. Se per caso salta fuori qualche altro “problema”, è solo una facile profezia che si realizza.

7. IL MURO
Sarebbe facile – per non dire ingenuo, per non dire del tutto insipiente – sostenere che l’ostilità dell’ambiente si addensi così corposa su certuni proprio perché la gente del giro “dal di dentro” sa che questo o quell’atleta sono “più dopati degli altri”. Infatti ci vuole poco a smentire che il detestabile fenomeno qui sopra descritto sia innescato da un’innata voglia di correttezza: Bettini (al di là delle proprie vicende personali vicine al limite dei “guai col doping” ma mai dimostrabilmente oltre) non ha mai detto una parola su Museeuw, forse il più grande campione di ciclismo tra anni ’90 e 2000, con il quale ha corso per anni, e che sventuratamente ricorreva a doping perfino con farmaci veterinari. Porte idolatra come maestro personale un uomo quale Bjarne Riis, che oltre alle proprie personali quisquilie dichiarava di seguir Basso fin dentro alla doccia, ma poi fu “sorpreso” di scoprirlo da Fuentes. Il fratello di Andy, non un collega o un lontano cugino, è quel Frank Schleck che implicato soli due anni fa con lo stesso Fuentes per propria confessione, e ormai destinato alla squalifica, venne salvato d’imperio dalla federazione lussemburghese: allora l’UCI tacque compiacente, invece che minacciare ricorsi infiniti contro il vergognoso insabbiamento.
Non si dica quindi che Riccò era al centro del mirino perché chi lo bersagliava aveva una personale insofferenza contro il doping, un impellente desiderio di giustizia…
Riccò però era antipatico in gruppo. Questo è indiscutibile. Anche il “buon” Cavendish, tuttavia, non è un mostro di simpatia, ma lui non riceve certi strali, semmai li tira. Anzi, l’esplosivo britannico nell’anno 2010 causò con il proprio comportamento ai limiti del criminale, tali danni fisici (a proposito di tutela della salute) a Boonen e ad Haussler da compromettere le rispettive stagioni dei due fortissimi rivali, ed in particolare un Mondiale a entrambi favorevolissimo. Nondimeno, nessuno si sogna di tartassare Cavendish, benché si sia trasferito in Toscana nel “triangolo delle Bermuda” del doping e benché corra in un team che ha, come si diceva, tra le proprie inappuntabili credenziali la guida da parte di personaggi come Stapleton e Aldag.
Per esclusione, dunque, non è il fatto di essere dopati a causare l’ostracismo collettivo, e nemmeno il fatto di per sé di essere odiati per i propri atteggiamenti egoisti, strafottenti ed aggressivi.
Il vero dramma è che le dichiarazioni contro i colleghi “sgraditi” fanno probabilmente parte delle imposizioni ambientali e sistemiche (oltreché sistematiche) più o meno dirette, più o meno ben volentieri assunte come proprie, che un ciclista deve accettare, alla pari del doping, per poter fare parte di questo mondo. Non a caso l’antipatico Cavendish è in realtà un vero e proprio “alfiere organico” della dirigenza UCI, sempre pronto a schierarsi al foglio firma delle corse da promuovere, ma soprattutto sempre il primo a sottoscrivere i più indigeribili documenti che erodono la dignità dei corridori.

8. RICCO’ TESTA DI PONTE DELLA RADIAZIONE
Riccò dunque è agli occhi del mondo il dopato perfetto. Dopato per inclinazione naturale, dopato irriducibile e individuale, non vittima di medici o squadre o dello sport in senso lato. Dopato da sempre, per tautologia. Tutt’altro che per coincidenza, già bombardato da un’ostilità priva di inibizioni quanto gratuita prima, durante e dopo la precedente squalifica. Insomma, il caso ideale su cui sperimentare e pubblicizzare un nuovo cavallo di battaglia per mettere il ciclismo all’avanguardia nel vilipendio dei diritti degli atleti: la radiazione. Nessuno, noi per primi, forse anzi nemmeno Riccò, potrebbe avere niente da ridire in merito: seconda squalifica, grave, ravvicinata, in più forse la carriera potrebbe già essere compromessa dai problemi di salute. Si creerebbe però così una sorta di precedente che faciliti l’adozione più estesa e “liberale” di questo odioso strumento. Già autorevoli testate come Cyclingnews accostano Di Luca a Riccò, sostenendo che potrebbe rendersi utile una radiazione preventiva di atleti molte volte recidivi (anche le assoluzioni contano come condanne per questi implacabili giustizieri che difendono a spada tratta Armstrong). La deriva verso un apparato di potere (ancor più) smisurato, (ancor più) asimmetrico, (ancor più) autocratico nelle mani di chi “controlla i controlli” è però un rischio terribile, per quanto ci riguarda da scongiurare a ogni costo.

9. DUE SUPPOSIZIONI SCOMODE
Partendo da questo panorama inquietante, in cui si inserisce la singola tristissima vicenda, dobbiamo avanzare due ipotesi molto scomode.
La prima è che il passaporto biologico funziona dannatamente male, e/o che il Centro Mapei non garantisce un bel nulla: si ha un bel dire che il passaporto non trova perché i corridori si tengono “sempre su” di sangue, quindi con valori stabilmente alti; ma in tal caso avrebbe dovuto allertarsi il Centro Mapei che controllò Riccò (con il metodo della massa di emoglobina) prima della trasfusione, e che invece si giustifica dicendo che Riccò non aveva “ancora” elevato i valori. Senza dire del fatto che Riccò è “passaportato” da un bel pezzo, e che lo strumento si vorrebbe ben più sofisticato che un “su o giù” generale. Così come nel caso di Contador possiamo dire che o Contador è moralmente innocente, e crediamo alla bistecca (ipotesi non meramente peregrina); oppure ci affidiamo all’altra più plausibile via, di una rinfusione ematica con clenbuterolo residuale, implicante però la totale inefficacia del passaporto. Se a ciò si assomma la vicenda di Pellizotti, lo scenario presenta più ombre che luci.
La seconda ipotesi, non alternativa ma anzi aggiuntiva alla prima, è che Riccò oltretutto non sia il dopato perfetto, ma viceversa un dopato imperfetto. Un dopato di basso livello. Anche ammesso che non abbia fatto tutto da solo – il che sarebbe letteralmente il colmo dell’artigianato, un bricolage dagli esiti inevitabilmente infimi – evidentemente i suoi referenti non devono essere poi così fenomenali. Riccò non è povero, ma a quanto pare i suoi soldi non bastano per assicurarsi un’assistenza al doping di alto livello, o chissà non vuole investirci tanto denaro quanto fanno altri, supportati magari dai team, o ancora Riccò è troppo fuori dai giri giusti, è un personaggio sospetto, già noto ai poteri giudiziari ma soprattutto inviso alle alte sfere del ciclismo federale e internazionale. Di fatto, in queste medesime condizioni di rischio, sospetto e ostracismo Riccò lo è da una vita: quindi questo brutto finale di partita dovrebbe paradossalmente suggerirci che confrontandolo con il livello del doping “che conta” il dopato Riccò è… meno dopato degli altri. Non certo per scarso impegno da parte sua in quella direzione, evidentemente, ma proprio perché la sua posizione non doveva essere poi tanto vantaggiosa nemmeno da questo punto di vista.
Se ci pensiamo solo per un attimo ci rendiamo conto che – tornando ai grandi casi eclatanti che hanno segnato gli ultimi due decenni – gran parte delle verità emerse sui metodi di dopaggio più strutturati, avanzati e capillari (e dunque in ultima analisi quelli più determinanti) non sono state frutto dell’antidoping, bensì di altri filoni di indagine esterni al ciclismo, o al più da eventi infausti che però, a differenza di quanto accaduto a Riccò, sono stati tacitati pur nella loro maggiore evidenza. Solo dopo, molto dopo, e per altre strade, ci arrivano le abnormi verità su Moser e su Conconi (per fare nomi simbolici, non per segnare a dito le persone), sulla PDM, sulla Telekom, sulle squadre di Armstrong. Incredibile veder cadere come pere cotte i gregari del texano appena avevano l’ardire di uscire dal magico scudo per farsi capitani. Festina e OP smascherate non certo dai controlli, ma dalle polizie.
Il dottor Del Moral che secondo i testimoni dell’epoca scriveva prescrizioni retrodatate per Armstrong possiede un’intera clinica, se qualcosa va storto i suoi pazienti non finiscono in un pronto soccorso a Pavullo. Saiz collaborava con fior di ematologi che si servivano delle strutture ospedaliere pubbliche, per cui se qualcosa fosse accaduto anche al pronto soccorso stesso, c’era una buona chance che non finisse a referto. Grandi campioni non solo del ciclismo afflitti d’un tratto da malanni inspiegabili sono stati aviotrasportati da una parte all’altra d’Europa per essere curati in ospedali compiacenti.
Perché mai oggi dovrebbe essere diverso? Se come si dice il doping al top level fosse calato, i grandi medici di altissimo livello avrebbero meno clienti, meno fila alla porta, tariffe più accessibili. Non ci sarebbe bisogno di servirsi presso i faccendieri, i farmacisti, i dottorucoli della mutua rintanati nella provincia più provinciale, negli anfratti collinari d’Abruzzo, a Gorgo, tra i capannoni padovani, sull’Appennino.

A quanto pare la favola non dev’essere proprio come ce la raccontano, e – come è sempre stato – nel controllo antidoping o nell’evento infausto finisce per incappare chi vola basso, chi razzola come un pollo nell’aia di campagna, non certo chi si può permettere le ali a reazione, quelle che fan decollare gli asini e scavalcare tanto i colli come i controlli.

Non a caso il succitato Del Moral lavorava fino all’altroieri per la severissima e pulitissima Garmin-Cervélo. Adesso, solo adesso, Vaughters sostiene di aver infine liquidato il corridore Lowe e il dirigente White compromessi con costui non appena scoperto il fatto, ma le pieghe della vicenda suggeriscono semmai che quel corridore – in odore di esser scaricato per motivi di età – abbia provato il ricatto, rivelando la continuità tra l’ormai notorio sudiciume USPostal e il candore a rombi del “nuovo corso”: a quel punto Vaughters avrebbe deciso di salvarsi in corner atteggiandosi a sdegno (incredibile come questi dirigenti altrimenti così attenti siano sempre inconsapevoli di…), e scaricando anche Matt White, colpevole del legame proibito ma soprattutto in trattative con un’altra formazione. Proprio White si è subito consolato, in meno di dieci giorni, con la nomina a responsabile del settore “Professionisti su Strada” dell’Australia, nazione vergine, fiorente di meravigliosi intonsi talenti: non male per uno licenziato sulla base di un motivo siffatto.

10. UN AUGURIO TRISTE SOLITARIO E FINALE
Non solo quella di Riccò, ma anche quella di White (e Del Moral, e Vaughters, e Lowe) sono storie altamente simboliche, oltreché tremendamente reali, che ci dicono tanto sul ciclismo di oggi, e non solo di oggi. Vanno necessariamente accostate per capire che cosa accada nell’una, e nell’altra. La storia di Riccò, da sola, non dice nulla: “Riccò è dopato”. L’abbiamo sempre saputo, grazie.
Ma i dopati sono tanti, ovunque, non solo nelle pagine che generosamente la Gazzetta regala al ciclismo su questo tema, non solo nelle liste di proscrizione dei padroni del vapore presso Aigle.
Eppure il talento non si inventa col doping. Bisogna continuare ad amare questo sport per gli sprazzi di talento a cui talora concede di brillare, che siano australiani o emiliano-romagnoli, senza illudersi che in questo o in quell’altro emisfero ci sia spazio per una purezza assoluta, che più viene reclamata più puzza di fasullo, di detersivo convocato a lavare ben altri panni sporchi.
A Riccò l’augurio di ritrovare la salute del corpo, e un nuovo, diverso equilibrio per la sua vita. La reazione di rigetto del corpo al proprio sangue è in un certo senso la medesima che l’organismo del ciclismo ha avuto verso il corpuscolo Riccò, che in se stesso potrebbe ben rappresentare il sangue, la linfa vitale, del ciclismo stesso: il coraggio, la sfida, lo scatto in salita, ma anche l’ambizione, la supponenza, l’intrigo, che ormai sono parte del DNA di questo sport non meno che la strada.
Riccò è il ciclismo, nel bene e nel male.
Riccò ormai dovrà de facto cambiare.
Il ciclismo deve, assolutamente, cambiare.
Per avere un giorno più Cervélo e meno Del Moral, più UCI e meno McQuaid (anche nel senso di McQuaid meno numerosi, ora ce ne sono tre o quattro!). Più Riccò in bici e meno Riccò attaccati a una flebo.

Gabriele Bugada

ORA IL GIALLO E’ TUTTO SUO

febbraio 12, 2011 by Redazione  
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Dopo le prove generali di ieri, Romain Feillu concede il bis al Giro del Mediterraneo e può finalmente indossare la maglia gialla di leader della classifica generale, togliendola dalle spalle di Thomas Voeckler. Niente italiani protagonisti nello sprint quest’oggi, ma c’è ancora tempo.

Foto copertina: Feillu esulta sul traguardo di La Farlede (foto Bettini)

Alla fine ce l’ha fatta. Dopo due giorni di inseguimento, e superando anche diverse vicissitudini, Romain Feillu porta il “giallo” in casa Vacansoleil vincendo la seconda tappa consecutiva in un Giro del Mediterraneo che, per ora, parla esclusivamente francese (se ci si aggiunge anche il successo nella prima tappa di Voeckler).
Rispetto alle braccia alzate a Rousseau, però, Feillu in questa terza tappa, 130 chilometri da Carnoux en Provence a La Farlede, ha dovuto sudare parecchio per trovare il successo, soprattutto perché rimasto vittima di un problema meccanico quando mancavano soltanto nove chilometri alla fine. La rabbia per questo incidente, però, ha avuto il sopravvento su tutto il resto perché il capitano della Vacansoleil sapeva benissimo che un’occasione del genere non gli sarebbe più ricapitata. E così, dopo aver messo la squadra in testa negli ultimi 50 chilometri, ha chiesto uno sforzo superiore ai vari Van Leijen, Mouris e Veuchelen per rientrare in gruppo e giocarsi lo sprint.
Eh si, perché alla partenza Feillu aveva soltanto tre secondi di ritardo nei confronti di Voeckler, scesi rapidamente con l’abbuono conquistato nel successo di ieri. Nell’arrivo di La Farlede, però, a marcare visita sono stati gli italiani (dopo il buon secondo posto di Appollonio ed il terzo di Napolitano ieri), in quanto alle spalle dell’uomo Vacansoleil è spuntato un Hutarovich (FDJ) che sta cercando di sgomitare per trovare un successo che gli consentirebbe di affrontare con uno spirito diverso questa prima parte di stagione. Terzo a sorpresa il giovane Porsev, di casa Katusha, davanti a Jules della Velo Club Marseille, una delle piacevoli rivelazioni di questo avvio di 2011. Chiude quinto il nostro Appollonio che ancora non riesce a trovare il varco giusto per provare la mossa vincente.
Oggi quarta tappa, 155 chilometri da La Londe les Maures a Biot, con due mini Gpm in apertura di frazione e poi una lunga attesa verso il traguardo, anche se non sarà uno sprint come tutti gli altri, visto il dentello piazzato negli ultimi metri che potrebbe cambiare le carte in tavola. Nonostante questo, fra i favoriti c’è senz’altro lo stesso Feillu che potrebbe allungare ancora in classifica, anche se il gran finale di domenica sul Mont Faron non sembra favorevole per lui.

Saverio Melegari

11-02-2011

febbraio 12, 2011 by Redazione  
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TOUR OF QATAR
L’italiano Andrea Guardini (Farnese Vini – Neri Sottoli) si è imposto nella quinta ed ultima tappa, Sealine Beach Resort – Doha Corniche, percorrendo 126,5 Km in 2h44′06″, alla media di 46,252 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’italiano Francesco Chicchi (Quickstep Cycling Team) e l’olandese Bos. In classifica si impone l’australiano Mark Renshaw (HTC-Highroad) con 8″ sul connazionale Haussler e 17″ su Bennati.

TOUR MÉDITERRANÉEN CYCLISTE PROFESSIONNEL
Il francese Romain Feillu (Vacansoleil-DCM Pro Cycling Team) si è imposto anche nella terza tappa, Carnoux-en-Provence – La Farlede, percorrendo 130 Km in 3h’00′06″, alla media di 43,309 Km/h. Ha preceduto allo sprint il bielorusso Hutarovich e il russo Porsev. Miglior italiano Davide Appollonio (Sky Procycling), 5°. Feillu si è portato in testa alla classifica, con 7″ e 11″ sui connazionali Voeckler e Mangel. Miglior italiano Appollonio, 6° a 14″.

TOUR DE MUMBAI I
L’italiano Elia Viviani (Liquigas-Cannondale) si è imposto nella corsa indiana, percorrendo 180 Km in 4h12′27″, alla media di 42,780 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’australiano Mcewen e il sudafricano Day.

QATAR: CHIUSURA ITALIANA NEL GIORNO DEL TRIONFO AUSTRALIANO

febbraio 11, 2011 by Redazione  
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Alla fine è un trionfo australiano con il primo posto di Renshaw e il secondo di Haussler, terzo l’italiano Daniele Bennati che colleziona piazzamenti per tutta la settimana. Tom Boonen inizia bene, ma la sfortuna lo colpisce ancora e si deve accontentare di un successo parziale e di due giorni trascorsi da leader. Chiusura positiva per l’Italia che oltre ai piazzamenti di Bennati coglie primo e secondo posto nella tappa conclusiva, rispettivamente con Guardini e Chicchi.

Foto copertina: Mark Renshaw (foto AFP)

Corsa strana e particolare, quella che si corre lungo le piatte strade del Qatar, che presenta il suo punto di forza nell’incertezza dovuta a vento e frazione tutt’altro che impegnative e senza alcuna asperità. Proprio l’assenza di salite non permette di creare grossi solchi in classifica tra gli uomini migliori e ogni giorno la tappa diventa decisiva per la maglia di leader. E’ così che in sei tappe abbiamo visto almeno quattro diversi leader.
Il primo a vestirsi di oro è stato il portacolori della Rabobank Lars Boom che si è aggiudicato il prologo iniziale battendo, sorprendentemente, il favorito Cancellara giunto a 4″. Un’altra sorpresa sul terzo gradino del podio, dove si è appostato Tom Veelers a pari merito col più accreditato Flecha.
Di questi quattro nessuno è riuscito a sfruttare il piccolo vantaggio nei giorni seguenti, quando in testa alla classifica si sono avvicendati nell’ordine Boonen, tornato alla vittoria dopo undici mesi, Haussler e Renshaw.
Fin dalla prima tappa in linea è stato chiaro che si trattasse di una gara ad eliminazione: chi si faceva sorprendere dal vento avrebbe detto addio ai sogni di gloria. Già dopo la tappa che ha portato i corridori ad Al Khor il gruppo dei possibili vincitori si era ristretto ad appena 18 unità. Causa il vento, che ha messo fuorigioco anche il leader Boom, dal diciannovesimo in poi tutti i corridori hanno pagato più di 5′, gap insormontabile con le altimetrie piatte della zona.
Ad aggiudicarsi il successo parziale il belga Boonen che con le strade del Qatar sembra avere davvero un buon feeling. Il belga ha però dovuto dire addio al sogno di aggiudicarsi la corsa per la quarta volta a causa di una foratura occorsagli durante la terza tappa.
Sicuramente più tranquilla la frazione che terminava al Doha Golf Club e che ha visto un brutto capitombolo di Visconti (il campione italiano ha ripreso la corsa, ma si è ritirato durante l’ultima tappa): dopo un tentativo di fuga ripreso a pochi chilometri dall’arrivo, il gruppo si è presentato compatto alla volata, decisa al fotofinish con Haussler vincitore sul nostro Bennati. Il portacolori della Cervelo ha così fatto il primo passo verso la maglia oro conquistata con la vittoria del giorno successivo a Mesaieed su Renshaw e Bennati. E’ questo il giorno nel quale Boonen ha lasciato per strada più di 3′ a causa di un guaio tecnico; ormai in classifica appena 13 corridori potevano vantare un distacco minore al 1′30″.
Il giorno successivo ancora un cambio di leader: Renshaw, secondo il giorno precedente, ha strappato la maglia dalle spalle del connazionale. Il corridore della HTC si è imposto ancora su Daniele Bennati, Tom Boonen e Haussler che, a causa degli abbuoni, ora è secondo a 6″. Un altra tappa caratterizzata dal vento è stata quella di Al Kharaitiyat, traguardo al quale appena una quarantina di corridori è giunta con un ritardo inferiore al minuto mentre in classifica appena 9 corridori pagavano meno di 1′30″.
L’ultima tappa si è conclusa all’insegna dell’Italia che conquista primo e secondo posto con Guardini, la sua è più di un’importante conferma dopo i successi a raffica ottenuti in Malesia, e Chicchi che disputa la volata al posto di Tom Boonen. Nessuno stravolgimento nella generale con Renshaw che resiste al connazionale Haussler e consegue il suo ottavo successo personale (cronometro a squadre escluse), il primo in una corsa a tappe.

Andrea Mastrangelo

FOTOGALLERY

Prologo, Cultural Village: Lars Boom in azione (AFP)

Prologo, Cultural Village: Lars Boom in azione (AFP)

1a tappa, Dukhan - Al Khor Corniche: la vittoria di Tom Boonen (foto Barry Ryan)

1a tappa, Dukhan - Al Khor Corniche: la vittoria di Tom Boonen (foto Barry Ryan)

2a tappa, Camel Race Track - Doha Golf Club: Haussler si impone davanti a Bennati (AFP)

2a tappa, Camel Race Track - Doha Golf Club: Haussler si impone davanti a Bennati (AFP)

3a tappa, Al Wakra - Mesaieed: il bis di Haussler (AFP)

3a tappa, Al Wakra - Mesaieed: il bis di Haussler (AFP)

4a tappa, West Bay Lagoon - Al Kharaitiyat: Ren...show (AFP)

4a tappa, West Bay Lagoon - Al Kharaitiyat: Ren...show (AFP)

5a tappa, Sealine Beach Resort - Doha Corniche: uno-due italiano nellultima frazione (foto Tom Morgan)

5a tappa, Sealine Beach Resort - Doha Corniche: uno-due italiano nell'ultima frazione (foto Tom Morgan)

ITALIANI AD UN FEILLU DAL SUCCESSO

febbraio 11, 2011 by Redazione  
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Nella seconda tappa del “Mediterraneo” il francese della Vacansoleil rovina i sogni di gloria degli azzurri, visto che Appollonio e Danilo Napolitano chiudono secondi e terzi uno sprint combattuto ma nettamente vinto da Feillu. Nella generale sempre primo Voeckler, ma adesso è proprio Feillu a mettere pressione al suo connazionale.

Foto copertina: il successo di Feillu a Rousset (foto Bettini)

Per mettersi alle spalle i cattivi pensieri l’unica strada è la vittoria. Per provare a diventare capitano o comunque corridore ritenuto fondamentale in una squadra l’unica possibilità è mettersi a pancia bassa e, quando si può, alzare le braccia al cielo e vincere.
Più o meno sono questi i pensieri di Vacansoleil e Romain Feillu dopo aver conquistato la seconda tappa del Giro del Mediterraneo. Poco tempo in sella, altre due ore e cinquanta minuti, per coprire i 120 chilometri, la stessa distanza della prima frazione, da Saint Cannat a Rousset.
E, con la fuga già partita al primo giorno, la planimetria di questa seconda tappa lasciava presagire che niente si sarebbe mosso là in testa con la Europcar di Voeckler, per obblighi di classifica, pronta a far l’andatura nella prima parte di gara per poi lasciare spazio a chi voleva vincere la corsa.
E senz’altro lo stesso Voeckler non è proprio contento che a Rousset abbia vinto Romain Feillu, visto che il velocista della Vacansoleil, dopo aver vinto lo sprint per il sesto posto mercoledì chiudendo con 13” di ritardo da T-Blanc, con la vittoria di oggi va a prendersi l’abbuono e sale al secondo posto della generale con soli 3” di ritardo dall’uomo Europcar con possibilità altissime di conquistare la gialla del primato già quest’oggi.
Una vittoria, come dichiarato dallo stesso Feillu, molto bella che lo proietta come uno dei possibili personaggi di questa stagione già a partire dalla Parigi-Nizza dove sarà la ruota veloce della Vacansoleil.
Ma, in questo Giro del Mediterraneo che per ora sorride solo ed esclusivamente alla Francia in termini di vittorie, c’è qualche segnale positivo anche dai colori azzurri. Alle spalle di Feillu, infatti, è la volta dell’uomo Sky Davide Appollonio, pronto a confermare i buoni piazzamenti fatti registrare lo scorso anno e magari prendersi anche qualche successo in più, seguito a ruota da un Danilo Napolitano che si deve riadattare ancora una volta nella sua carriera a ruolo di velocista primario nell’Acqua & Sapone dopo aver fallito gli appuntamenti con le grandi squadre. Anche per lui sarà un 2011 dove provare a dare qualche squillo di tromba, per non dire che è stato soltanto una speranza del ciclismo italiano, specie nelle ruote veloci, e poco più. Quarto posto, infine, per un Yauheni Hutarovich (FDJ) che prova a farsi spazio ma per ora non ha ancora trovato lo spunto veloce del 2010. Ma, anche per lui, ci sarà tempo.
Oggi terza tappa, da Carnoux en Provence a La Farlede: si sale leggermente nel chilometraggio, 130 km, ma tutto lascia presagire che sarà ancora una volata a decidere tutto quanto.

Saverio Melegari

FIESTA BRASILEIRA A MAIORCA

febbraio 11, 2011 by Redazione  
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Si è conclusa con il Trofeo Magaluf–Palmanova la 20a edizone della Challenge Ciclistica a Mallorca, insolita corsa a tappe che dallo scorso anno non prevede una classifica generale finale. L’ultima prova ha visto la vittoria del campione nazionale brasiliano Murilo Fisher, che ha regolato allo sprint un gruppetto di 20 corridori, selezionato dalla difficoltà di giornata.

Foto copertina: Fisher sfreccia festante sul traguardo di Palmanova (foto Bettini)

Fasciato nei colori del suo paese, essendone il campione nazionale, il brasiliano Murilo Fisher ha vinto l’ultimo Trofeo della Challenge Mallorca.
Il brasiliano della Garmin ha regolato in volata un gruppo di una ventina di uomini, permettendosi il lusso di battere sulla fettuccia finale un certo “Oscarito” Freire, piazzatosi secondo, seguito da J. J. Rojas, Ventoso e il ”nostro” Giacomo Nizzolo della Leopard, passati in quest’ordine sotto lo striscione. A sgomitare nella volata anche un altro italiano, Dario Cataldo della Quick Step, classificatosi settimo.
Il percorso vallonato con 5 gpm, ha favorito le condotte di gara coraggiose, prova ne è stata il ridotto numero di componenti del cosiddetto gruppo dei migliori. Si sono visti molteplici tentativi di fuga, con quello più interessante tentato dal trio formato da Palomares (Andalucía-Caja Granada), Isasi (Euskaltel-Euskadi) e Belda (Burgos 2016), che ha avuto un vantaggio massimo di quasi cinque minuti.
In seguito i tre attaccanti sono stati prima raggiunti da Mikel Landa, Gorka Izigirre (entrambi della Euskaltel-Euskadi) e Arkaitz Duran (Geox-TMC) e, dopo una decina di chilometri, dal resto del selezionato gruppo, oramai ridottosi e interessato a arrivare compatto all’arrivo.
Nei chilometrifinali si sono visti altri tentativi, tutti naufragati in un battito di ciglia, compreso quello portato dal belga Gilbert ed apparsi fuori tempo.
Con la vittoria di Fisher si è conclusa la Challenge Mallorca che, nonostante la grana delle radioline del primo giorno, ha fatto vedere del bel ciclismo e ha cominciato a far uscire allo scoperto i soliti noti che mirano alla Sanremo. Gente come Farrar, Freire e Gilbert, che a partire dalle classiche di primavera daranno un senso alla loro stagione.
Questi cinque giorni di gare ha fatto vedere ben 3 vittorie della Garmin-Cervelo, il bis di Farrar e quella odierna di Fisher, una vittoria per la Radioshack con il Belga Hermans e una per il Team Movistar con Rojas.
In quanto agli italiani, da rimarcare i bei segnali inviati da Danilo Di Luca, anche se in quest’ultima frazione non si è visto, tagliando il traguardo di Palmanova con quasi 11 minuti di ritardo.

Mario Prato

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