SALITE FACILI, TANTA CRONO MA….

marzo 3, 2011 by Redazione  
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Non c’è più neanche l’arcigno arrivo sul Causse de Mende e, in sua vece, vedremo una lungo cronometro individuale, da affrontarsi su una distanza inusuale per la stagione. Vittoria in tasca per i passisti che si schiereranno al via della 69° Parigi-Nizza? Probabile ma non impossibile. Le salite previste saranno quasi tutte facili ma proposte in maniera massiccia, tanti saliscendi ogni giorno e su percorsi così serrati sarà difficilissimo controllare la corsa e, contemporaneamente, facilissimo cadere vittima d’imboscate o d’improvvise crisi. E poi, la stessa prova contro il tempo presenterà un tracciato “double-face”, con una prima parte scorrevole e un’altra più delicata…. Una Parigi-Nizza che si annuncia indecifrabile, da seguire giorno per giorno.

Foto copertina: uno scorcio del Col de la Mûre, la salita più difficile che sarà affrontata nella Parigi-Nizza. Lassù le pendenze arrivano fino al 12% (doriancyclisme.canalblog.com)

Per maggior informazioni sui percorsi delle tappe e sulla lista partenti vi rimandiano al sito ufficiale della corsa, http://www.letour.fr/indexPNC_fr.html

Iniziata l’anno scorso con la riduzione delle tappe di montagna, è proseguita nel 2011 l’operazione di “restyling” della Parigi-Nizza, attuata quest’anno dagli uomini ASO sbarazzandosi anche delle ascese più impegnative e sostituendole con una lunga cronometro indivuduale e con frazioni più collinose che montagnose ma che, se affrontate col piglio giusto, potrebbero dare alla corsa una condotta più effervescente del previsto. I grandi passisti, dunque, potrebbero non trovare troppo giovamento dai 27 Km della tappa di Aix-en-Provence, tra l’altro non totalmente scorrevoli, anche se saranno loro i naturali favoriti per il successo finale. I corridori più scalatori dovranno invece, coadiuvati dalle eventuali alleanze di corsa, rendere la gara dura nelle frazioni più frastagliate e magari tentare un colpo nel finale della tappa di Vernoux-en-Vivarais, la più impegnativa tra quelle in linea, se vorranno tentare di lasciare il segno e mettere in croce gli avversari meglio attrezzati per le gare contro il tempo. Tra questi ultimi, si segnala la presenza del britannico Bradley Wiggins, dell’australiano Rogers e del tedesco Martin, fresco vincitore della Volta ao Algarve grazie alle prestazioni a cronometro, tutti pronti ad approfittare della mancanza dell’elvetico Cancellara, il re delle cronometro d’inizio XXI secolo, che negli stessi giorni sarà impegnato nella parallela Tirreno-Adriatico.

1a TAPPA: HOUDAN – HOUDAN (154,5 Km)

La prima operazione del maquillage al quale è stata sottoposta la “Course au soleil” ha comportato l’asportazione del classico cronoprologo d’avvio, che sarà sostituito da una tappa in circuito di media distanza. Si correrà attorno alla cittadina di Houdan, comune dell’Île-de-France situato 65 Km a ovest della capitale francese, che oramai da parecchie edizioni non è più luogo di partenza per evitare d’intasarne il traffico. L’atto d’apertura sarà una frazione facile, adatta ai velocisti ai quali sono state riservate le sole prime due giornate di gara. Il tracciato si articolerà su due circuiti, uno di un’ottantina di chilometri da ripetere una sola volta e poi tre tornate più brevi, di circa 25 Km cadauna. Non ci sarà, però, la possibilità di prendere le misure del rettilineo d’arrivo, poiché l’ultimo chilometro sarà totalmente estraneo al tracciato dei circuiti. Grosse difficoltà altimetriche non se ne incontreranno, anche se saranno inevitabili i continui beccheggii della “pianura” francese. L’ostacolo più impegnativo sarà la Côte de Septeuil, modesto GPM di terza categoria che il gruppo dovrà scavalcare a 24 Km dalla partenza, mentre a ravvivare la tappa ci penseranno anche due traguardi volanti. L’ultima partenza in linea della Parigi-Nizza risale al 1996, quando la corsa a tappe francese scattò con una frazione di 178 Km disputata tra Chateauroux e Saint-Amand-Montrond, vinta dal transalpino Frédéric Moncassin.

2a TAPPA: MONTFORT L’AMAURY – AMILLY (199 Km)

La seconda ed ultima frazione adatta gli sprinter – anche se i più resistenti tra loro forse riusciranno a sparare qualche freccia anche nel finale della terza – si disputerà tra i centri che per ultimi hanno tenuto a balia la Parigi-Nizza, accogliendo i prologhi delle ultime tre edizioni (nel 2008 e nel 2009 il primo, l’anno scorso il secondo). In mezzo si svolgerà una tappa ancora più piatta di quella che l’ha preceduta, nel corso della quale l’unica concessione alla pianura sarà costituita da un tratto in discesa di circa 2 Km che sarà superato a una ventina di chilometri dalla conclusione. Stavolta l’arrivo sarà “secco”, senza nessun circuito, mentre il percorso della frazione procederà quasi costantemente in direzione sud, aggirando ad occidente la movimentata vallata della Chevreuse, il cui attraversamento era fino a qualche anno fa uno dei momenti irrinunciabili della tappa conclusiva del Tour de France, durante il quale si affrontavano gli ultimi GPM prima di planare nella “Ville Lumière” e affrontare il circuito degli Champs-Élysées.

3a TAPPA: COSNE-COURS-SUR-LOIRE – NUITS-SAINT-GEORGES (202 Km)

Questa sarà la prima delle cinque frazioni in linea che, da chi punta alla classifica e non è troppo attrezzato per le cronometro, dovranno essere utilizzate per tentare di sovvertire un pronostico che parrebbe scontato. Le occasioni in queste giornate non mancheranno, anche se questa di Nuits-Saint-Georges pare la meno adatta ad imbastire simili tentativi, nonostante un colle di seconda categoria piazzato a 23 Km dal traguardo. A questo proposito va fatto notare che, rispetto al Tour de France, alla Parigi-Nizza manca la 4a categoria e tutte le altre ascese sono sovente “surclassate” di almeno un grado. È proprio il caso del momento chiave di questa frazione, poiché appare chiaro che, con i suoi 5,1 Km al 5,3%, la Côte de Bécoup è stata “beaucoup” – molto, in francese, perdonateci il gioco di parole – sopravvalutata dagli organizzatori. Certamente si scatenerà la bagarre, perché i punti del GPM faranno gola a molti, e in quel particolare frangente, a non moltissimi chilometri dalla meta, potrebbe saltare per aria il lavoro delle squadre dei velocisti, già messo a dura prova dai chilometri precedenti, privi di traguardi della montagna ma non certo pianeggianti. Ci sarà inevitabilmente un po’ di selezione da dietro – la salita è si facile, ma presenta comunque uno strappo al 14% – ma, a meno di sorprese, a rimaner staccati saranno quei velocisti che patiscono le ascese affrontate a tutta, in particolar modo se inserite nei finali. Più difficile che qualcuno riesca ad involarsi da solo, ma non avrà vita facile anche chi dovrà recuperare un eventuale distacco, poiché dopo lo striscione non s’inizierà subito a scendere, rimanendo a saltabeccare in quota per quasi 4 Km.
Per chi ce l’avrà fatta a rimanere davanti, poi, ci sarà un’ultima insidia, che avrà la forma di una stretta curva a gomito piazzata a 300 metri dalla fettuccia del traguardo.

4a TAPPA: CRÊCHES-SUR-SAÔNE – BELLEVILLE (191 Km)

Ricordate l’imboscata del Giro 2010 sulla strada per l’Aquila? Ecco, questa frazione pare l’ideale per far rivivere anche in questa stagione una giornata similare e per dare una sterzata ad una Parigi – Nizza che, senza azioni a sorpresa, finirebbe dritta dritta e senza troppi sforzi nel carniere di un bel passista. Le due tappe sono dissimili, poiché quella della corsa rosa proponeva al suo interno ampi tratti nei quali respirare, mentre saranno ridottissimi tra un colle e l’altro – alla fine se ne affronteranno una decina – di questa frazione che collegherà tra loro due località distanti appena 17 Km. La fantasia degli organizzatori ha decuplicato questa distanza con un percorso ad arco che attraverserà i celebri vigneti del Beaujolais e potrà per davvero inebriare la “corsa verso il sole” e farle perdere la testa. Sulla carta nessuno dei sette gran premi previsti – non tutte le salite saranno “gratificate” – appare insormontabile, ma sarà proprio la continuità delle difficoltà a rappresentare un asso nella manica da giocare per chi vorrà osare. A 17 Km dal via già ci sarà un colle classificato di 2a categoria, il Grand-Vent, ma arriverà troppo presto e tentare in quel punto vorrà dire rischiare una disfatta. Meglio attendere il Col du Joncin che, oltre ad essere il più impegnativo, è meglio collocato nel percorso, esattamente a metà tappa. È il luogo ideale per orchestrare un attacco a più voci (il tentativo di un uomo solo potrà anche decollare, ma avrà ben poche possibilità di atterrare sugli allori), anche perché il colle successivo, terzo ed ultimo GPM di 2a categoria, è il Fût d’Avenas, ascesa più facile e soprattutto già nota ad una parte del gruppo e dunque oramai quasi priva di “misteri”. In tempi recenti, infatti, la si è vista nei tracciati di questa gara nel 2006 e del 2008 e al Tour de France nel 2002, affrontata a cronometro nella frazione Regnié-Durette – Mâcon, vinta Lance Armstrong. Nelle due precedenti tappe della Parigi-Nizza si arriva come stavolta a Belleville e in entrambi i casi si finì allo sprint. I percorsi erano, però, nettamente meno impegnativi e non proponevano più difficoltà dopo il Fût d’Avenas, piazzato a una ventina di chilometri dal traguardo. Quest’anno i chilometri da affrontare saranno 45, spezzati dall’ultimo GPM di giornata, il Col de Fontmartin, e da altri saliscendi. Completeranno l’opera, ad aggiungere bagarre a baggare, i due traguardi volanti, strategicamente piazzati il primo ai piedi dello Joncin e il secondo a ridosso del finale, tra il Fontmartin e il traguardo. Sprint appetitosi perché ciascuno recherà in dote 3, 2 ed un secondo (a seconda dell’ordine di passaggio), in aggiunta a quelli più succulenti previsti all’arrivo e che premieranno il primo con un abbuono di 10”, mentre ai piazzati toccherano 6″ e 4”.

5a TAPPA: SAINT-SYMPHORIEN-SUR-COISE – VERNOUX-EN-VIVARAIS (191 Km)

A parte la cronometro individuale di domani, sarà questa la tappa “regina” della 69a edizione della Parigi-Nizza, quella nella quale i corridori più “grimpeur” del gruppo dovranno dare la stoccata principale anche se, per forza di cose, non decisiva. Si pedalerà sulla stessa distanza percorsa il giorno prima, affrontando altri sette GPM tra i centri di Saint-Symphorien-sur-Coise e Vernoux-en-Vivarais, debuttanti assoluti nel campo delle corse professionistiche. Attraversando la catena dei Monts du Lyonnais s’incontreranno due colli di 1a categoria, commistione tra vecchio e nuovo. È una vecchia conoscenza del gruppo il primo di questi passi, la Croix de Chaubouret, che vanta ben 10 passaggi della Grande Boucle tra il 1977 e il 1999. Piazzato com’è a 54 Km dalla partenza, sarà poco usufruibile da chi punterà al risultato massimo e passerà il testimone al nuovo che avanza, l’inedito Col de la Mûre. Visto sulla carta pare più impegnativo dell’ascesa al Causse de Mende, sulla quale due volte svettò vittorioso Alberto Contador, vincitore uscente della “Course au soleil”. Nella realtà la Mûre è assai meno ripida (10,1% contro 8,3%), ma distribuisce la sua pendenza su di una distanza di quasi 8 Km, più del doppio rispetto a Mende, da affrontarsi lungo una strada dipartimentale larga ma non larghissima. L’unica sostanziale differenza rispetto al finale della tappa montana della scorsa edizione riguarderà il traguardo, che non sarà in cima all’ascesa ma 9 Km più avanti. Fortunatamente per chi in quel momento si troverà all’attacco, questo finale non agevolerà più di tanto chi dovrà inseguire poiché, una volta terminata la discesa della Mûre si tornerà a puntare verso l’alto, con un ultimo tratto di circa quattro pedalabili chilometri che si concluderà all’interno del chilometro conclusivo. Un autentico “tourbillon” finale per un’altra tappa denotata dalla scarsità di tratti scorrevoli.

6a TAPPA: ROGNES – AIX-EN-PROVENCE (cronometro individuale – 27 Km)

Tel chi el babau, la tappa che condizionerà l’intera condotta di gara e che toglierà il sonno a tutti, anche ai diretti interessati, i passisti, chiamati ad esibirsi su di un palcoscenico insolito per la stagione. Di frazioni a cronometro ne sono già state affrontate dieci nei primi tre mesi del 2011, ma erano da anni che a marzo non si gareggiava contro il tempo su distanze così rilevanti. Scorrendo gli annali delle due corse di preparazione alla Milano-Sanremo, si incontrano i 20 Km della crono di Servigliano affrontati alla Tirreno-Adriatico del 2002 e poi i 28 Km della Magione – Castiglione del Lago del 1995, sempre alla “corsa dei due mari”, mentre per la Parigi-Nizza occorre scavare ancora più a fondo nel tempo e arrivare fino al 1968, quando si disputò la tappa Marcigny – Charlieu sulla distanza di 40 Km. 43 anni dopo questo precedente – una cronometro a squadre vinta dalla Faema, la formazione di Merckx – la corsa transalpina tornerà a dotarsi di una lunga frazione individuale significativa, che non sarà però un lungo tappeto rosso per i passisti. La prima metà gara lo sarà di sicuro, scorrevole e veloce anche perché in quel tratto la strada procederà inizialmente in discesa per poi lasciare il passo alla pianura. Giunti nel centro di Le Puy-Sainte-Réparade, sede della stazione di rilevamento dei tempi intermedi, la situazione cambierà diametralmente poiché si andrà ad affrontare la côte de la Cride. Sarebbe una salita d’ordinaria amministrazione se contemplata all’interno di una tappa in linea, ma in questa particolare situazione potrà anche ribaltare i risultati appena comunicati dai cronometristi, se non si sarà al 100% della condizione o si sarà speso troppo prima, tratti in inganno dall’abbrivio veloce di questa crono. La Cride, infatti, è una difficoltà variegata e, pur non essendo mai dura, si esibirà nei suoi 5,3 Km (il 18% del chilometraggio complessivo della crono) in frequenti variazioni delle pendenze, evoluzioni attestate tra una media del 4,1% e un picco del 12%, raggiunto a quasi mezzo chilometro da uno scollinamento che non sarà valido per l’assegnazione della classifica degli scalatori. Passato questo tratto impegnativo, la crono riprenderà più scorrevoli binari negli ultimi 7 Km, tracciati in lievissima discesa.
Sull’esito di questa frazione potrebbero pesare gli sforzi profusi nell’impegnativa tappa affrontata il giorno precedente. Ricordate la crisi che colse Contador nell’edizione del 2009?

7a TAPPA: BRIGNOLES – BIOT / SOPHIA ANTIPOLIS (215 Km)

Se avete risposto in maniera negativa alla domanda sopra formulata, vi rinfreschiamo subito la memoria, ricordandovi quel che accadde il 14 marzo di due anni fa, viaggiando tra Manosque e Fayence nella settima frazione della Parigi – Nizza. Il giorno prima Contador si era stabilmente insediato in cima alla classifica dopo la netta vittoria conseguita sulla Montagne de Lure e sembrava che oramai nulla potesse contrastare il bis dello spagnolo, già vincitore nel 2007. Invece, sole ventiquattrore più tardi patì le continue accellerazioni degli avversari su di tracciato ispido come una grattuggia e negli ultimi 4 Km andò in cotta totale, lasciando per strada ben 2′53″ e consegnando la maglia, oramai definitivamente, allo spagnolo Luis León Sánchez.
Quanto successo nel 2009 è un avvertimento poiché anche il tracciato della frazione che si concluderà al parco tecnologico Sophia Antipolis potrebbe suggerire quel copione. Se qualcuno avrà esegerato nella crono e dovesse accusarne oggi le conseguenze, certamente sarà attaccato e potrebbe nuovamente venirme fuori una tappa con epilogo a sorpresa. Il tracciato è più impegnativo rispetto alla frazione di Fayence, che si manteneva sotto i mille metri di quota, mentre stavolta ci si dovrà arrampicare fino ai 1041 metri del Col du Ferrier, colle classificato di 1a categoria come la precedente Côte de Cabris. Le due ascese saranno scavalcate nella fase centrale della gara, preceduta e seguita da due settori nei quali saranno, invece, gli incessanti saliscendi a farla da padrone. Dunque, un’altra frazione che non riserverà momenti di tregua e che si concluderà con un frastagliato circuito di 18 Km. Da ripetere due volte, quest’anello presenta un’orografia che ricorda gli arrivi a Torricella Sicura, per nove anni consecutivi sede di tappa alla Tirreno-Adriatico. In alcuni casi la tappa teramana presentava un profilo molto simile a quello della frazione di Biot e, a dimostrazione dello spessore tecnico di questi tipi di tracciato, in quelle occasioni s’imporranno sempre corridori di valore (due volte Di Luca e Petito, una lo spagnolo Igor Gonzalez de Galdeano).

8a TAPPA: NIZZA – NIZZA (124 Km)

Dopo il colpo di bisturi in partenza, che si è portato via il prologo, eccone un altro dal tracciato della tappa conclusiva, un circuito di media montagna che è divenuto un classico delle ultime edizioni: via i 1068 metri del Col de Porte. Non si affronteranno più i 7,2 Km al 7,2% del passo delle Alpi Marittime, rivelatosi inutile a causa dell’infelice collocazione a quasi 70 Km dal traguardo. Si è preferito concentrarsi sulle ultime due ascese – più modeste ma che si erano rivelate le più interessanti ai fini della gara – accompagnandole ad altre tre asperità simili, che sostituiranno il Porte nelle fasi iniziali e che avranno il compito di rendere più frizzante la frazione conclusiva, una giornata che potrebbe anche cambiare le carte in tavola, come successo nel 2007 (a spese del nostro Davide Rebellin) e come rischiò di ripetersi l’anno scorso, quando la Parigi-Nizza si risolse in una lotta al filo dei secondi tra Contador e Valverde. Giudici della corsa, se la situazione di classifica lo permetterà, saranno dunque l’arrampicata verso La Turbie e poi il successivo Col d’Èze, l’ascesa simbolo di questa corsa, che ospitò l’arrivo della tappa conclusiva dal 1969 al 1995, sovente sotto la forma di una cronoscalata. Da quindici anni a questa parte si è scelto di far tornare la corsa nella città titolare, dove quest’anno si assisterà ad altra novità perché il rettilineo d’arrivo non sarà più quello solito sulla Promenade des Anglais, per la scelta di avvicinare la cima del Col d’Èze di circa mezzo chilometro, arrivando dunque sul Quai des États-Unis, il primo storico traguardo di questa corsa, proposto dall’edizione del debutto (1933) fino al 1968.

Mauro Facoltosi

L’EREDITA’ DI MARCO PANTANI

febbraio 15, 2011 by Redazione  
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Che eredità ci ha lasciato Marco Pantani?
A sette anni dalla tragica scomparsa del Pirata andiamo ad analizzare come è cambiato il mondo del ciclismo alla luce delle imprese e dei rovesci dello scalatore romagnolo.

Foto copertina: tra questi volti ci sarà il Pantani del futuro? (pernondimenticaremarco.spaces.live.com)

Da poche ore sono trascorsi sette anni da quando Marco Pantani si è spento nella stanza D5 del residence Le Rose di Rimini. Parlare e scrivere del Pirata risulta sempre più difficile, dopo che tutte le voci e le penne più o meno autorevoli del giornalismo italiano, sportivo e non solo, hanno versato fiumi di parole e di inchiostro sul suo dramma. Anziché cimentarci nell’ennesimo ricordo più o meno commosso e certamente molto retorico di Pantani e delle sue gesta, ci pare forse più interessante, a sette anni dalla sua scomparsa, provare ad analizzare l’eredità che il Pirata ha lasciato. Un’eredità che va al di là dei ricordi e delle emozioni che Pantani ha saputo regalare ai suoi tifosi (quelli veri, non quelli che hanno preso a proliferare dopo quel 14 febbraio 2004), un lascito che non può limitarsi alle diatribe Pantani santo/Pantani drogato che spesso si ascoltano e si leggono fra appassionati ed esperti o presunti tali, come se la vicenda dello scalatore di Cesenatico potesse essere del tutto scissa dal doping e della “sostanza”, come il Pirata era solito alludere alla cocaina, o potesse risolversi soltanto in quelli.

L’eredità che Pantani ha lasciato è, in primo luogo e molto banalmente, un’eredità fatta di atleti. Stanno iniziando ad affacciarsi al professionismo – o a breve lo faranno – le generazioni di ragazzini avviati al ciclismo dalle imprese del Pirata. Pantani ha saputo riportare intorno al ciclismo un entusiasmo che mancava da decenni, è riuscito a tenere incollati al teleschermo almeno una parte dei tantissimi bambini che subiscono il fascino della bicicletta e del plotone variopinto mostrato dalle riprese televisive, ma che ben difficilmente riescono a sostenere svariate ore di diretta, venendo così dirottati verso sport televisivamente più “dinamici”. Crediamo di non correre rischio di essere smentiti dicendo che molti dei giovani che di qui a poche stagioni varcheranno le soglie del professionismo hanno mulinato le prime pedalate tra ’97 e ’99, sognando, anziché di diventare il nuovo Totti o il Ronaldo del 2000, di poter un giorno emulare le imprese del Pirata.

Pantani e la vicenda che lo ha visto protagonista dopo il 5 giugno ’99 ci hanno poi reso probabilmente un po’ meno sensibili agli scandali doping che dopo allora hanno investito con frequenza via via crescente il mondo del ciclismo, fino a farlo identificare – probabilmente erroneamente – come il regno delle sostanze proibite. Nessun affare Basso o Di Luca, nessuna positività di un Rebellin o un Contador, perfino nessun caso Riccò – pur con la tragedia sfiorata di pochi giorni fa, e malgrado attorno al modenese stesse sorgendo, nell’estate 2008, un entusiasmo che per la prima volta ha ricordato quello dei giorni d’oro del Pirata – potranno eguagliare lo sconforto delle migliaia di appassionati che quel giorno si erano dati appuntamento sul Mortirolo per applaudire Pantani in rosa, e appresero per radio lo scoppio di una vicenda tuttora mai davvero chiarita. Una vicenda che ha permesso ai più attenti di rendersi conto dell’ipocrisia di quella parte della stampa che solo pochi giorni prima salutava il trionfo di Oropa come una delle massime imprese del ciclismo moderno, e che, non appena appreso del valore di ematocrito fuori norma del Pirata, ha preso ad abbattere ferocemente l’idolo che essa stessa aveva innalzato, salvo poi tornare a cantarne il mito post-mortem. Una vicenda che ci ha sostanzialmente preparato a tutto, perché se è caduto così anche Pantani, è lecito dubitare di tutti. Una vicenda che è stata forse la prima a rendere ricorrente quell’odioso ritornello che i più saggi, coloro che sono certi di avere capito tutto del mondo del ciclismo senza mai neanche essersi presi la briga di porre le regali chiappe su una sella o di provare ad acquisirne una conoscenza un po’ più approfondita, sono soliti sfoderare di fronte all’ennesima positività: “Ma sì, tanto fanno tutti così”, con tutte le varianti del caso (fra cui si segnala per sagacia “Ma tanto si drogano tutti, quindi vince comunque il più forte”). Una vicenda il cui solo merito è probabilmente quello di aver perlomeno reso impossibile continuare a tacere o quasi circa l’uso di sostanze proibite, ma che ha raggiunto l’obiettivo finendo per unire inscindibilmente il volto e il nome del Pirata alla piaga.

Pantani ha poi lasciato in eredità una spasmodica necessità di trovarne un degno erede. Un erede che qualcuno ha ritenuto di poter riconoscere nel Cunego del Giro 2004, altri nel Riccò del 2008, altri ancora, varcando i confini italiani, nell’Iban Mayo dell’Alpe d’Huez 2003. Eredi ovviamente mai all’altezza non per loro colpe, forse anche schiacciati – specie nel caso dei corridori italiani – dal peso delle aspettative derivanti dall’accostamento al più grande scalatore moderno. Tanto grande da far dire a Lance Armstrong, noto per varie ragioni ma non certo per essere l’incarnazione dell’umiltà e della modestia, prossimo a vincere il suo primo Tour de France, che stava vincendo quel Tour, ma “se ci fosse [stato] Pantani lo avrebbe vinto lui”.

L’eredità forse più importante che ci resta di Pantani è però rappresentata da un certo modo di guardare le corse che probabilmente, senza di lui, sarebbe andato perduto. Oggi ci parrebbero forse non meno noiose ma certamente più accettabili certe transumanze alpine e pirenaiche cui abbiamo assistito negli ultimi anni, se non ci fosse stato in tempi piuttosto recenti chi ha dimostrato che anche nell’era delle radioline e della preparazione esasperata di ogni dettaglio c’era spazio per stracciare e riscrivere da cima a fondo il canovaccio della corsa, per sovvertirla anche a dispetto di un terreno non sempre favorevolissimo. Senza Pantani molte meno persone passerebbero oggi vari pomeriggi all’anno ad aspettare per ore un’azione di coraggio che probabilmente non arriverà, sospirando o sentendo sospirare “Se ci fosse stato lui…”, alludendo a chi forse non ce l’avrebbe fatta comunque, ma almeno ci avrebbe provato. Un modo di avvicinarsi alle corse, specie alle tappe di montagna, che carica di speranze e finisce per generare soprattutto delusione, e costringe a consolarsi pensando che forse, se c’è stato un Pantani, prima o poi ne nascerà un altro. Pur sapendo che molto probabilmente non sarà così.

Matteo Novarini

CARO RICCARDO….

febbraio 13, 2011 by Redazione  
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Riceviamo e pubblichiamo dal professor Claudio Ceconi – apprezzato medico cardiologo e titolare della cattedra di cardiologia presso l’università di Ferrara ma, soprattutto, appassionato di ciclismo e grande pedalatore – una lettera scritta col cuore e diretta a Riccardo Riccò e a tutto il gruppo….
Che serva a far riflettere i corridori sul futuro della loro vita e di uno degli sport più belli e faticosi del mondo

Caro Riccardo

Leggo dai comunicati stampa che stai meglio; e questo è proprio un bel sollievo! La vita è un bene così prezioso che pensare alla possibilità che 27 anni di colpo possano andare in fumo è inaccettabile.
Però, visto che stai meglio, voglio proprio dirti che sono veramente arrabbiato; e dico arrabbiato anche se vorrei usare una parola diversa, che senz’altro immagini.
Si, si… so benissimo che non te ne importerà granché, ma io te lo dico lo stesso.

E non pensare che l’arrabbiatura nasca per le solite ragioni, quelle tante volte abusatem tipo la lealtà sportiva, il rispetto per uno sport nato dalla fatica e reso popolare da ben altri campioni, il fatto che ti avevamo creduto e così via.
Di queste cose a me, ciclista della domenica, non importa niente. O per meglio dire non me ne importa più: mi fanno arrabbiare ben altre cose.

Mi fa arrabbiare e trovo stupido buttare via un talento straordinario: si, perché non c’è dubbio che saresti stato un grande anche solo con quello che la natura aveva messo nelle tue gambe e nei tuoi polmoni. Per cosa poi? Perché non ti bastava fare un solo grande giro all’anno, ma volevi essere sempre davanti? Per fare le scene che abbiamo visto al Tour 2008 e tante altre volte?

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che si possa pensare di conservare certe cose nel frigorifero di casa, insieme all’insalata. Siamo nel 2011 e io voglio pensare che il mondo del ciclismo non sia rimasto così, come quando le “cure” le decideva il massaggiatore.

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che qualcuno possa pensare di andare forte come te copiando certi “sistemi”. E siccome chi potrebbe imitarti sono i più giovani mi arrabbio ancora di più. Io lavoro tra gente ammalata e sono abituato a vedere la luce che si spegne negli occhi di chi non ha più speranze. Quindi non riesco ad accettare le “morti improvvise”, così frequenti nello sport agonistico e che così spesso non hanno a che fare con la natura, ma hanno il nome ed il cognome di questa o quella sostanza.

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che non pensiate che la natura, presto e non tardi, il conto lo presenta: tu adesso ne sai qualcosa. E’ crudele dirlo, ma non sarai più come prima. Ne vale la pena?

Mi fa arrabbiare e trovo stupido che senz’altro i tuoi guai non li hai fatti da solo. Magari ti ha dato una mano – sporca – qualche medico che avrebbe potuto utilizzare meglio quello che ha studiato. Senz’altro ti hanno dato una mano – sporca – un mucchio di cattivi consiglieri che però sui tuoi guai ci hanno guadagnato.

Mi fanno arrabbiare e trovo stupide anche tante altre cose, ma voglio dirti una cosa: mi piacerebbe che tu ci stupissi tutti. Non farai più il ciclista professionista, ma credo che tutti quelli che avevano creduto in te sarebbero felici se, qualsiasi scelta farai per il tuo futuro, riuscirai a fare qualcosa di buono.

Mi piace davvero pensarlo che tu ci riesca. Ogni volta che sulla mia specialissima cerco di portare in salita tutti i miei chili di troppo ho il tempo di pensare a molte cose. Di certo non mi ricorderò di quello che facevi con il numero sulla schiena. Invece ti assicuro che qualche volta, dentro di me, mi augurerò che tu sia stato capace di fare finalmente le scelte giuste.

Prof. Claudio Ceconi.

RITO IMMEDIATO PER RICCO’, IL DOPATO (IM)PERFETTO

febbraio 12, 2011 by Redazione  
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Riccardo Riccò viene ricoverato d’urgenza in stato di choc, riferendo egli stesso, secondo quanto riportato dal medico, di temere le conseguenze di un’autoemotrasfusione che si sarebbe praticato da solo. La salute di Riccardo non è più in pericolo, la sua carriera sembra alla conclusione. Ma è tutto qui?

Foto copertina: Tour 2008, Riccò fermato dalla gendarmerie dopo la positività

1. IL RITO IMMEDIATO
Nei comuni tribunali il “rito immediato” viene richiesto a fronte dell’evidenza delle prove, quando il materiale raccolto è così abbondante ed esplicativo da far stimare superfluo ogni ulteriore approfondimento. Per Riccardo Riccò un “rito immediato” metaforico (quello vero, giudiziario, naturalmente risulta fin qui inapplicabile) si è già innescato dentro al mondo del ciclismo: paradossalmente il “materiale” è tutt’altro che abbondante, anzi lo si direbbe miserello: l’ammissione di un’autoemotrasfusione – che nel doveroso transito tra il pronto soccorso e la procura giudiziaria è stata assai meno doverosamente filtrata alla stampa da mani ignote – è pur sempre una voce riecheggiata per ben quattro rimbalzi, da Riccò al medico, alla procura, alla stampa, ed è con ogni probabilità in buona parte mendace all’origine.
Non per niente è significativo che la procura del CONI, dunque non quella giudiziaria ma quella sportiva, apra di gran carriera le proprie indagini sulla base dei “fatti riportati dalla stampa”!
Certo che la notizia – in quanto confessione di una colpa – è in concreto, nel suo nocciolo duro, molto attendibile (sempreché non ci siano state alterazioni nella catena sopra descritta: ma per amore di riflessione diamo per scontato che non ne siano avvenute di sostanziali: se invece fossimo un’istituzione dovremmo andare con i piedi di piombo).
Tuttavia in una notizia del genere il nocciolo duro cioè “Riccò si è dopato” è forse l’elemento meno importante: chi crede che il doping sia onnipervasivo o quasi nello sport professionistico non poteva avere dubbi che Riccò, per continuare ad esercitare la propria professione, avrebbe continuato a doparsi; coloro che invece credono che il dopatus pervicax sia un esemplare moralmente corrotto, comunque particolare e distinto dalla pletora di sportivi relativamente immacolati, ebbene costoro perlopiù non hanno mai creduto a una redenzione di Riccò.
Quello che è assai più interessante, anzi addirittura decisivo, è riflettere su una serie di corollari rispetto a quella verità sfolgorante, così sfolgorante da abbagliare la vista: per riflettere però ci vuole un po’ di tempo, i giorni – peraltro ancora insufficienti – che Ilciclismo.it ha deciso di prendersi a differenza delle tante voci che si sono levate in un ululato quasi unanime di orrore.

2. IL RISPETTO PER LA VITA UMANA
La prima doverosa considerazione è che il motivo principe per cui si dovrebbe lottare contro il doping, ovvero per tutelare gli atleti, un motivo che questa vicenda illumina in maniera chiarissima, non deve essere poi così rilevante agli occhi di chi del ciclismo fa parte. Il ritornello degli atleti è “la vita è la sua”, “mi dispiace per la sua salute ma il problema se l’è creato con le sue mani”, “è un idiota”, “dovremmo spedirlo sulla Luna”, “è una carognata alla famiglia di Aldo Sassi”; semmai ci si preoccupa naturalmente dell’immagine del ciclismo, dell’ingiustizia per cui ci siano in circolazione dei bari siffatti e così via. Insomma “se l’è cercata”, “ci fa fare brutta figura” e tutto il resto in secondo piano.
Parole forti, prescindendo completamente dal fatto che si parli di una persona in carne e ossa, che in quel momento si trovava ancora ricoverata in ospedale con una prognosi riservata: non è ipocrisia rispettare per almeno un piccolo lasso di tempo la nuda, fisica, umanità di chi sta soffrendo, trattenendo nel silenzio i propri aspri giudizi, riservandoli al momento in cui almeno la salute sia stata garantita; non volere infierire ulteriormente su chi, sia pure per propria colpa, prende coscienza proprio in questi momenti di avere distrutto la propria vita, per fortuna solo parzialmente sul piano fisiologico, ma più profondamente su quello esistenziale. No, il ritegno non sarebbe mai stato ipocrisia, è invece senso delle priorità: prima la vita e l’umanità da rispettare anche in chi sbaglia gravemente, poi le gare, gli ordini di arrivo, l’immagine. Invece purtroppo ciò che emerge da questa raffica di dichiarazioni è che per istinto si pensa prima al ciclismo poi alla vita: e questa, non è caso, è la mentalità in cui alligna il doping, per paradosso espressa in modo brutale e inconfondibile all’atto di condannare un dopato.

3. IL CICLISMO “DI IERI” E QUELLO “DI OGGI”
Semmai la vera e opprimente ipocrisia è quella di chi si sente in dovere di calcare la mano contro il dopato sperando così di, appunto, “salvare l’immagine del ciclismo”, e nel frattempo magari anche la propria: perché naturalmente è implicito in chi aborre la mostruosità di Riccò che i suoi orrori siano casi estremi, ormai non più diffusi “come un tempo” visto che oggi il ciclismo “si sta ripulendo”.
Ma quante volte abbiamo sentito questo ritornello? Sempre con un decennio di ritardo (o gli otto anni della prescrizione?) si arriva ad aprire gli occhi che “sì allora erano tutti dopati, non come ora che siamo sulla strada buona”. Prima l’era delle emotrafusioni di stato italiane, dei record dei campioni conconiani in ogni sport, più tardi la Gewiss dei miracoli… Ormai verità pressoché assodate, condivise. Finiscono gli anni Ottanta, cominciano i Novanta. La super PDM si ritira in massa dal Tour del 1991 con problemi di salute presumibilmente legati a coprenti per l’emodoping. Ma quando vince il Tour Riis a che punto siamo? Poi c’è lo scandalo Festina, ma a seguire finalmente con Armstrong al Tour non si vedono più positività. Salvo scoprire che cosa si combinava in Telekom, e non tarderà ancora a lungo la verità sulla stessa squadra del texano, corroborata da testimonianze sempre più numerose oltreché dall’impressionante sequela di positività per atleti che ne provenivano. Vogliamo dimenticare lo scandalo Kelme, e quello Phonak, e quello Gerolsteiner?
Avrete notato che sono stati citati tutti casi di doping massivo, da parte delle principali squadre, al punto che i protagonisti di quegli anni finiscono sempre per dichiarare che “all’epoca” quelle brutture erano sistematiche, coinvolgevano proprio tutti con pochissime eccezioni. “Dopo” sì che lo dichiarano, eccome. “Oggi” invece vogliamo sapere chi parla del caso Riccò? Ne parla Rolf Aldag, meno di quattro anni fa reo confesso di doping, e naturalmente trincerato dietro al “lo facevano tutti”, “ce lo faceva fare la squadra”: oggi direttore sportivo alla HTC. Ne parla Sean Kelly, indimenticato campione e ora anch’egli manager e sponsor di un team, ma che nel 1991 era proprio in quella PDM costretta all’inglorioso ritiro. Perché tutti loro dicono che “da Riccò se lo aspettavano”, che “non l’avrebbero mai preso nella propria squadra”, che bisogna “bandirlo per sempre dallo sport”, ma nessuno di loro fa un paragone tra l’esperienza del modenese e la propria, di dopati in prima persona? Non sono forse loro i più titolati a spiegare che cosa può spingere un corridore a rischiare la salute?
E perché mai poi “non avrebbero preso” il dopato Riccò nella propria squadra, ma loro che pure furono dopati ne possono gestire una? Perché loro erano “obbligati dal sistema”, certo, un sistema che oggi “non esiste più” anche se gran parte delle squadre odierne sono gestite non solo da corridori di quei periodi, ma perfino da corridori coinvolti in prima persona in gravi scandali connessi al doping: in mezzo agli spropositi lunari del team di Armstrong sono cresciuti pedalando o amministrando Vaughters della Garmin, Stapleton ancora della HTC e naturalmente Bruyneel; Breukink della Rabobank era in quella PDM, Riis e Gianetti sono ormai casi emblematici…
Lasciamo dei pietosi puntini di sospensione, e lasciamoci condurre all’elemento che sorge spontaneamente da questa prospettiva, il contrasto tra il singolo e il sistema.

4. LA TEORIA DELL’ASSASSINO SOLITARIO
La prima ovvietà che salta agli occhi è che gran parte dei commenti prende per buona, anzi per ottima, la versione fornita da Riccò in merito alla pratica autonoma e individuale di un’autotrasfusione più “auto” che mai. Addirittura la massima autorità della Federciclo, il presidente Di Rocco ci tiene a precisare che “qui non si tratta di consiglieri sbagliati, di apprendisti stregoni, della piovra occulta che stiamo tentando di combattere e sradicare”. Riccò è proprio il dopato perfetto perché “ha fatto tutto da solo”, è “malato dentro”, praticamente un pazzo isolato. Insomma, la vecchia storia di Oswald che tutto solo e di propria iniziativa spara a Kennedy perché “intossicato da falsi messaggi” che “gli hanno fatto perdere il senso della realtà”… si possono perfino applicare le stesse parole che usa Di Rocco per Riccò!
In tutto questo tutti si scandalizzano (e pare Riccò per primo, nel segnalare il dato come fonte di preoccupazione) per i 25 giorni di sangue in frigorifero, quando a un qualunque donatore AVIS viene detto che il sangue non è latte fresco o una bistecca e quindi, essendo tendenzialmente sterile, in “frigo” si può mantenere quasi tre mesi. Si vorrebbe sperare che Riccò, anche facendo tutto da solo, un giro su internet se lo fosse fatto, almeno abbastanza da sapere che il problema non è di giorni, in quel lasso, ma semmai di temperature. Allo stesso modo qualunque donatore AVIS sa che al fine di prelevare più sangue che non quello nelle provette da esami serve un apposito macchinario, e apposite apparecchiature, non attrezzi di tutti giorni o che si possano nascondere con grande facilità da un momento all’altro. Viceversa la rinfusione non richiede macchine, ma un ago di foggia peculiare e notevolissimo diametro, al cui paragone l’endovena autopraticata da un tossicodipendente è uno scherzetto.
Nessuno si è preoccupato di raccogliere simili informazioni per “pesare” la credibilità della “confessione” di Riccò: era troppo comoda così. Riccò che fa da solo risulta automaticamente convincente perché piace credere che sia quasi un caso unico, la sua è un’anomalia, non è legata in nessun modo a un sistema.

5. UNA STORIA GIA’ SCRITTA
Riccò però è anche il dopato perfetto per un altro motivo, cioè perché – per così dire – tutti sanno che è dopato, è sempre stato dopato, non smetterà mai di doparsi. O almeno questo è quello che pensano tutti. Inoltre Riccò è così, e bisogna sottolineare quel verbo essere, perché lo è di carattere, di natura. Lo dice molto bene Cancellara: Riccò è quel “kind of person”, quel genere di persona. “Once an idiot, always an idiot”, “idiota una volta, idiota per sempre”.
Il problema è che forse non è così facile “conoscere” davvero una persona. Molto più spesso ricaviamo dal contesto un’idea su come una persona sia, e se questa idea è funzionale alle circostanze molto facilmente riusciamo a inserire perfettamente nella cornice di quel quadro tutte le immagini che recepiamo di una persona. Raramente possiamo dire di conoscere bene i nostri vicini di casa, i colleghi, perfino i familiari, talora compiono azioni che ci sorprendono e ci fanno capire come il nostro parere su di loro fosse pigramente sedimentato più che reale. A volte il giudizio altrui su di noi ci lascia altrettanto interdetti. Nonostante questa esperienza quotidiana sull’incomunicabilità dei modi di essere, tutti noi dalla televisione o da tre interviste crediamo di “conoscere Riccò”, così come lo credono i suoi colleghi che l’hanno magari incrociato per dieci minuti in gara ma che verosimilmente lo giudicano solo dall’immagine mediatica, o peggio sulla base di istruzioni che ricevono dall’alto; se non proprio istruzioni, diciamo input del direttore sportivo, dell’aria che tira, dell’UCI e così via.
I cosiddetti fatti insegnano ben poco, perché si inquadrano sempre nel quadretto preparato ad hoc.
Cancellara “ha carattere”, Riccò “è arrogante”. Pozzato è “guascone”, Riccò è “strafottente”. Di Luca ha “carisma da capitano”, Riccò è “egoista”. Cavendish è “immaturo”, Riccò è “odioso”. Non che un aggettivo sia giusto e l’altro sbagliato, semplicemente sono tutte persone che non conosciamo e che però ben volentieri equipariamo ai loro “personaggi”, magari facendo pendere la bilancia un po’ di qua o di là.
E così si sente dire che Riccò era dopato “fin da piccolo” perché “già adolescente aveva l’ematocrito alto”. Invece, ad esempio, Cunego con lo stesso identico “problema”: “ha l’ematocrito naturalmente alto, basta guardare i certificati di quando – da ragazzo – sicuramente non si dopava”. Non finisce qui. Cunego (53% circa) ha avuto subito il certificato, Riccò (51%) invece ha subito varie sospensioni per il medesimo motivo prima di ottenerlo “con gli intrighi di Gianetti”. A nessuno viene il dubbio che un 53% sia più “stabilmente sopra il 50%” che un 51%, e che quindi l’ottenimento del certificato sia nel secondo caso più complicato per un normalissimo altalenarsi dei valori sopra o sotto la soglia arbitraria; e che le varie sospensioni dipendano di conseguenza da quest’unica causa. Come è avvenuto pari pari a Cioni o a Gustov, vale a dire due corridori sui quali, sinceramente, non si capisce perché qualcuno dovesse fare “intrighi”.
Invece fatti uguali producono interpretazioni diverse, perfino opposte: da un lato la faccia pulita del ciclismo (anche se nel Giro vinto da Cunego il suo angelo custode aveva la grinta poco raccomandabile di Eddy Mazzoleni), dall’altra il mostro che si dopa fin da ragazzino.
Senza voler dire che Cunego, Cioni o Riccò siano per forza puliti (Riccò, lo sappiamo, non lo è di sicuro), quello che colpisce è che situazioni identiche diano adito a letture opposte, anche molto ricche di immaginazione. Se ci fidiamo di questi benedetti certificati bene, se no potremmo sospettare che il 53% sia stato regalato generosamente a Cunego per qualche intrigo, mentre potremmo viceversa sostenere che le molte sospensioni per il medesimo motivo a Riccò, senza la concessione del certificato, siano il frutto di una cattiva disposizione verso il modenese. Illazioni, tutte illazioni, nient’altro che sciocche illazioni. Ma con le illazioni si formano storie, questo è il problema, e ad alcune ci piace credere, ad altre meno: per una faccia, una mezza parola, un articolo della Gazzetta. Mai per un fatto che sia un fatto.

6. NOI NON FACEMMO MINACCE, NOI DIVINAMMO PROFEZIE
Dalle storie a cui tutti credono nascono le profezie. Cavendish si mette a dire un annetto fa che Riccò è un parassita e che l’avrebbe preso a pugni. Anche solo questo gennaio, prima degli ultimi fatti, Richie Porte riteneva di sentirsi obbligato – in maniera del tutto inconsulta – ad esprimere un parere poco lusinghiero sul modenese. Bettini aveva già dichiarato, sempre prima degli ultimi fatti, che non lo considerava per la Nazionale perché anche se le gambe c’erano, non c’era l’uomo. Andy Schleck si era già premurato di mitragliare dichiarazioni al curaro prima durante e dopo la scorsa squalifica. L’imparzialissimo presidente dell’UCI Pat McQuaid aveva informato il mondo che “la squadra che avrebbe preso Riccò si sarebbe pentita molto amaramente”.
Il ciclismo è spesso sport assai imprevedibile, il mondo del ciclismo lo sta diventando sempre meno (in molti bar l’anno scorso si diceva già fin dall’inizio della stagione che nessun corridore sarebbe stato in grado di battere Contador al Tour, ma che ad ogni modo il Tour 2010 sarebbe stato in qualche maniera scippato al madrileno. Dopodiché…).
E così anche su Riccò tutti sapevano in che direzione tirava il vento, sentivano l’odore elettrico della tempesta che si addensava, solo non si sapeva il modo in cui sarebbe caduto il fulmine: Riccò, dal canto suo, è andato in giro con un’antenna in testa.
Perché mai un presidente dell’UCI dovrebbe fare dichiarazioni su un singolo atleta che ha finito di scontare la sua pena? E un Richie Porte qualsiasi, che forse Riccò nemmeno l’ha mai visto, che cosa mai lo spinge a esprimersi con parole pesanti prima ancora di questi sviluppi, l’amore per l’ordine, la disciplina e la pulizia nel ciclismo o magari il fatto che il suo procuratore sia proprio il figlio dello stesso McQuaid?
Troppe dichiarazioni mirate, telecomandate, missili a ricerca termica che oltre a colpire avvisavano tutti gli altri: quando qui cascherà l’asino, tutti gli avvoltoi si lancino al banchetto.
Di dopati rientrati dopo le squalifiche ce ne sono stati parecchi, qualcuno – come Basso – direttamente in una grande squadra e ammesso senza tante storie a Giro e Vuelta, anzi incensato senza remore. Vinokourov ha ricevuto un bel po’ di improperi, ma nessuno ha minacciato “amari pentimenti” a nessuno. Di Luca, facendo muso duro in faccia alle polemiche, rientra in una squadra Pro Tour. La vicenda doping del simpatico Scarponi è rimossa del tutto, non ne restano nemmeno vaghi echi o allusioni. Riccò non è certo il solo a ricevere un trattamento a muso duro, anche Rasmussen ad esempio non ha vita facile.
Il punto però è che al di là delle squalifiche, spesso già di per sé poco chiare, sussistono dei comportamenti del tutto estranei alla legittimità delle regole che rendono alcuni atleti perennemente sospetti, perennemente banditi. Se per caso salta fuori qualche altro “problema”, è solo una facile profezia che si realizza.

7. IL MURO
Sarebbe facile – per non dire ingenuo, per non dire del tutto insipiente – sostenere che l’ostilità dell’ambiente si addensi così corposa su certuni proprio perché la gente del giro “dal di dentro” sa che questo o quell’atleta sono “più dopati degli altri”. Infatti ci vuole poco a smentire che il detestabile fenomeno qui sopra descritto sia innescato da un’innata voglia di correttezza: Bettini (al di là delle proprie vicende personali vicine al limite dei “guai col doping” ma mai dimostrabilmente oltre) non ha mai detto una parola su Museeuw, forse il più grande campione di ciclismo tra anni ’90 e 2000, con il quale ha corso per anni, e che sventuratamente ricorreva a doping perfino con farmaci veterinari. Porte idolatra come maestro personale un uomo quale Bjarne Riis, che oltre alle proprie personali quisquilie dichiarava di seguir Basso fin dentro alla doccia, ma poi fu “sorpreso” di scoprirlo da Fuentes. Il fratello di Andy, non un collega o un lontano cugino, è quel Frank Schleck che implicato soli due anni fa con lo stesso Fuentes per propria confessione, e ormai destinato alla squalifica, venne salvato d’imperio dalla federazione lussemburghese: allora l’UCI tacque compiacente, invece che minacciare ricorsi infiniti contro il vergognoso insabbiamento.
Non si dica quindi che Riccò era al centro del mirino perché chi lo bersagliava aveva una personale insofferenza contro il doping, un impellente desiderio di giustizia…
Riccò però era antipatico in gruppo. Questo è indiscutibile. Anche il “buon” Cavendish, tuttavia, non è un mostro di simpatia, ma lui non riceve certi strali, semmai li tira. Anzi, l’esplosivo britannico nell’anno 2010 causò con il proprio comportamento ai limiti del criminale, tali danni fisici (a proposito di tutela della salute) a Boonen e ad Haussler da compromettere le rispettive stagioni dei due fortissimi rivali, ed in particolare un Mondiale a entrambi favorevolissimo. Nondimeno, nessuno si sogna di tartassare Cavendish, benché si sia trasferito in Toscana nel “triangolo delle Bermuda” del doping e benché corra in un team che ha, come si diceva, tra le proprie inappuntabili credenziali la guida da parte di personaggi come Stapleton e Aldag.
Per esclusione, dunque, non è il fatto di essere dopati a causare l’ostracismo collettivo, e nemmeno il fatto di per sé di essere odiati per i propri atteggiamenti egoisti, strafottenti ed aggressivi.
Il vero dramma è che le dichiarazioni contro i colleghi “sgraditi” fanno probabilmente parte delle imposizioni ambientali e sistemiche (oltreché sistematiche) più o meno dirette, più o meno ben volentieri assunte come proprie, che un ciclista deve accettare, alla pari del doping, per poter fare parte di questo mondo. Non a caso l’antipatico Cavendish è in realtà un vero e proprio “alfiere organico” della dirigenza UCI, sempre pronto a schierarsi al foglio firma delle corse da promuovere, ma soprattutto sempre il primo a sottoscrivere i più indigeribili documenti che erodono la dignità dei corridori.

8. RICCO’ TESTA DI PONTE DELLA RADIAZIONE
Riccò dunque è agli occhi del mondo il dopato perfetto. Dopato per inclinazione naturale, dopato irriducibile e individuale, non vittima di medici o squadre o dello sport in senso lato. Dopato da sempre, per tautologia. Tutt’altro che per coincidenza, già bombardato da un’ostilità priva di inibizioni quanto gratuita prima, durante e dopo la precedente squalifica. Insomma, il caso ideale su cui sperimentare e pubblicizzare un nuovo cavallo di battaglia per mettere il ciclismo all’avanguardia nel vilipendio dei diritti degli atleti: la radiazione. Nessuno, noi per primi, forse anzi nemmeno Riccò, potrebbe avere niente da ridire in merito: seconda squalifica, grave, ravvicinata, in più forse la carriera potrebbe già essere compromessa dai problemi di salute. Si creerebbe però così una sorta di precedente che faciliti l’adozione più estesa e “liberale” di questo odioso strumento. Già autorevoli testate come Cyclingnews accostano Di Luca a Riccò, sostenendo che potrebbe rendersi utile una radiazione preventiva di atleti molte volte recidivi (anche le assoluzioni contano come condanne per questi implacabili giustizieri che difendono a spada tratta Armstrong). La deriva verso un apparato di potere (ancor più) smisurato, (ancor più) asimmetrico, (ancor più) autocratico nelle mani di chi “controlla i controlli” è però un rischio terribile, per quanto ci riguarda da scongiurare a ogni costo.

9. DUE SUPPOSIZIONI SCOMODE
Partendo da questo panorama inquietante, in cui si inserisce la singola tristissima vicenda, dobbiamo avanzare due ipotesi molto scomode.
La prima è che il passaporto biologico funziona dannatamente male, e/o che il Centro Mapei non garantisce un bel nulla: si ha un bel dire che il passaporto non trova perché i corridori si tengono “sempre su” di sangue, quindi con valori stabilmente alti; ma in tal caso avrebbe dovuto allertarsi il Centro Mapei che controllò Riccò (con il metodo della massa di emoglobina) prima della trasfusione, e che invece si giustifica dicendo che Riccò non aveva “ancora” elevato i valori. Senza dire del fatto che Riccò è “passaportato” da un bel pezzo, e che lo strumento si vorrebbe ben più sofisticato che un “su o giù” generale. Così come nel caso di Contador possiamo dire che o Contador è moralmente innocente, e crediamo alla bistecca (ipotesi non meramente peregrina); oppure ci affidiamo all’altra più plausibile via, di una rinfusione ematica con clenbuterolo residuale, implicante però la totale inefficacia del passaporto. Se a ciò si assomma la vicenda di Pellizotti, lo scenario presenta più ombre che luci.
La seconda ipotesi, non alternativa ma anzi aggiuntiva alla prima, è che Riccò oltretutto non sia il dopato perfetto, ma viceversa un dopato imperfetto. Un dopato di basso livello. Anche ammesso che non abbia fatto tutto da solo – il che sarebbe letteralmente il colmo dell’artigianato, un bricolage dagli esiti inevitabilmente infimi – evidentemente i suoi referenti non devono essere poi così fenomenali. Riccò non è povero, ma a quanto pare i suoi soldi non bastano per assicurarsi un’assistenza al doping di alto livello, o chissà non vuole investirci tanto denaro quanto fanno altri, supportati magari dai team, o ancora Riccò è troppo fuori dai giri giusti, è un personaggio sospetto, già noto ai poteri giudiziari ma soprattutto inviso alle alte sfere del ciclismo federale e internazionale. Di fatto, in queste medesime condizioni di rischio, sospetto e ostracismo Riccò lo è da una vita: quindi questo brutto finale di partita dovrebbe paradossalmente suggerirci che confrontandolo con il livello del doping “che conta” il dopato Riccò è… meno dopato degli altri. Non certo per scarso impegno da parte sua in quella direzione, evidentemente, ma proprio perché la sua posizione non doveva essere poi tanto vantaggiosa nemmeno da questo punto di vista.
Se ci pensiamo solo per un attimo ci rendiamo conto che – tornando ai grandi casi eclatanti che hanno segnato gli ultimi due decenni – gran parte delle verità emerse sui metodi di dopaggio più strutturati, avanzati e capillari (e dunque in ultima analisi quelli più determinanti) non sono state frutto dell’antidoping, bensì di altri filoni di indagine esterni al ciclismo, o al più da eventi infausti che però, a differenza di quanto accaduto a Riccò, sono stati tacitati pur nella loro maggiore evidenza. Solo dopo, molto dopo, e per altre strade, ci arrivano le abnormi verità su Moser e su Conconi (per fare nomi simbolici, non per segnare a dito le persone), sulla PDM, sulla Telekom, sulle squadre di Armstrong. Incredibile veder cadere come pere cotte i gregari del texano appena avevano l’ardire di uscire dal magico scudo per farsi capitani. Festina e OP smascherate non certo dai controlli, ma dalle polizie.
Il dottor Del Moral che secondo i testimoni dell’epoca scriveva prescrizioni retrodatate per Armstrong possiede un’intera clinica, se qualcosa va storto i suoi pazienti non finiscono in un pronto soccorso a Pavullo. Saiz collaborava con fior di ematologi che si servivano delle strutture ospedaliere pubbliche, per cui se qualcosa fosse accaduto anche al pronto soccorso stesso, c’era una buona chance che non finisse a referto. Grandi campioni non solo del ciclismo afflitti d’un tratto da malanni inspiegabili sono stati aviotrasportati da una parte all’altra d’Europa per essere curati in ospedali compiacenti.
Perché mai oggi dovrebbe essere diverso? Se come si dice il doping al top level fosse calato, i grandi medici di altissimo livello avrebbero meno clienti, meno fila alla porta, tariffe più accessibili. Non ci sarebbe bisogno di servirsi presso i faccendieri, i farmacisti, i dottorucoli della mutua rintanati nella provincia più provinciale, negli anfratti collinari d’Abruzzo, a Gorgo, tra i capannoni padovani, sull’Appennino.

A quanto pare la favola non dev’essere proprio come ce la raccontano, e – come è sempre stato – nel controllo antidoping o nell’evento infausto finisce per incappare chi vola basso, chi razzola come un pollo nell’aia di campagna, non certo chi si può permettere le ali a reazione, quelle che fan decollare gli asini e scavalcare tanto i colli come i controlli.

Non a caso il succitato Del Moral lavorava fino all’altroieri per la severissima e pulitissima Garmin-Cervélo. Adesso, solo adesso, Vaughters sostiene di aver infine liquidato il corridore Lowe e il dirigente White compromessi con costui non appena scoperto il fatto, ma le pieghe della vicenda suggeriscono semmai che quel corridore – in odore di esser scaricato per motivi di età – abbia provato il ricatto, rivelando la continuità tra l’ormai notorio sudiciume USPostal e il candore a rombi del “nuovo corso”: a quel punto Vaughters avrebbe deciso di salvarsi in corner atteggiandosi a sdegno (incredibile come questi dirigenti altrimenti così attenti siano sempre inconsapevoli di…), e scaricando anche Matt White, colpevole del legame proibito ma soprattutto in trattative con un’altra formazione. Proprio White si è subito consolato, in meno di dieci giorni, con la nomina a responsabile del settore “Professionisti su Strada” dell’Australia, nazione vergine, fiorente di meravigliosi intonsi talenti: non male per uno licenziato sulla base di un motivo siffatto.

10. UN AUGURIO TRISTE SOLITARIO E FINALE
Non solo quella di Riccò, ma anche quella di White (e Del Moral, e Vaughters, e Lowe) sono storie altamente simboliche, oltreché tremendamente reali, che ci dicono tanto sul ciclismo di oggi, e non solo di oggi. Vanno necessariamente accostate per capire che cosa accada nell’una, e nell’altra. La storia di Riccò, da sola, non dice nulla: “Riccò è dopato”. L’abbiamo sempre saputo, grazie.
Ma i dopati sono tanti, ovunque, non solo nelle pagine che generosamente la Gazzetta regala al ciclismo su questo tema, non solo nelle liste di proscrizione dei padroni del vapore presso Aigle.
Eppure il talento non si inventa col doping. Bisogna continuare ad amare questo sport per gli sprazzi di talento a cui talora concede di brillare, che siano australiani o emiliano-romagnoli, senza illudersi che in questo o in quell’altro emisfero ci sia spazio per una purezza assoluta, che più viene reclamata più puzza di fasullo, di detersivo convocato a lavare ben altri panni sporchi.
A Riccò l’augurio di ritrovare la salute del corpo, e un nuovo, diverso equilibrio per la sua vita. La reazione di rigetto del corpo al proprio sangue è in un certo senso la medesima che l’organismo del ciclismo ha avuto verso il corpuscolo Riccò, che in se stesso potrebbe ben rappresentare il sangue, la linfa vitale, del ciclismo stesso: il coraggio, la sfida, lo scatto in salita, ma anche l’ambizione, la supponenza, l’intrigo, che ormai sono parte del DNA di questo sport non meno che la strada.
Riccò è il ciclismo, nel bene e nel male.
Riccò ormai dovrà de facto cambiare.
Il ciclismo deve, assolutamente, cambiare.
Per avere un giorno più Cervélo e meno Del Moral, più UCI e meno McQuaid (anche nel senso di McQuaid meno numerosi, ora ce ne sono tre o quattro!). Più Riccò in bici e meno Riccò attaccati a una flebo.

Gabriele Bugada

2011: E IL RESTO DEL MONDO NON STA A GUARDARE

gennaio 21, 2011 by Redazione  
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Contador vs Andy Schleck al Tour de France, Cancellara vs Boonen sul pavé, Cavendish vs Farrar per le volate, con un occhio al Campionato del Mondo. Guardando fuori dai confini italiani, il 2011 si presenta come un anno di duelli annunciati. Molti però gli outsider pronti ad inserirsi, in attesa che la situazione del vincitore degli ultimi due Tour de France venga chiarita. Ormai in prossimità delle prime corse di spicco del nuovo anno, gettiamo uno sguardo su ciò che potrebbe attenderci nei prossimi 12 mesi.

Foto copertina: Boonen e Cancellara, due degli attesi protagonisti stranieri della stagione 2011 (www.ispaphoto.com)

Un grosso punto interrogativo aleggia sulla stagione che si appresta ad entrare nel vivo, ed è ovviamente quello relativo alla complessa situazione di Alberto Contador. Non si può che partire da qui, dall’uomo faro del ciclismo mondiale, per guardare all’anno che verrà. Difficile dire quale destino attenda lo spagnolo, e, qualora non fossero presi provvedimenti nei suoi confronti per la questione clenbuterolo, quali potranno essere i programmi del madrileno; il tutto senza contare la possibilità che ASO lo bolli con la tanto temuta formula di “presenza non gradita” che suole emanare con criteri ignoti all’indirizzo di corridori macchiatisi di colpe (non necessariamente provate) concernenti il doping, solitamente non francesi.

Supponendo che il neo-pupillo di Bjarne Riis possa disporre normalmente della sua stagione, evento centrale del 2011 ciclistico verrà senza dubbio ad essere l’atteso duello con Andy Schleck alla Grande Boucle, questa volta con il lussemburghese dotato di fratello al seguito e con un minor numero di chilometri a cronometro da ammortizzare in salita. Non che la presenza di Frank, che sulla carta dovrebbe scattare dal Passage du Gois quale co-capitano, alla pari di Andy, rappresenti di per sé un significativo punto a favore dello sfidante (anzi, i precedenti indurrebbero semmai ad immaginare il contrario), ma un Contador costretto a marcare due Schleck invece di uno potrebbe costituire una variante tattica importante rispetto al 2010, vantaggiosa soprattutto per i molti spettatori vittime di colpi di sonno durante tappe come quelle di Avoriaz e Ax-3-Domaines.

Accanto ai due grandi favoriti, che dovrebbero rinunciare al Giro d’Italia per puntare tutto sulla Grande Boucle, per poi cimentarsi nella Vuelta appena svelata qualora decidessero di disputare un secondo GT (e meno male che era Riis a vietare a Schleck di correre il Giro), si colloca una folta schiera di outsider che, dovessero ripresentarsi le fasi di marcamento esasperato tra Alberto ed Andy, potrebbero forse provare ad approfittarne, facendo tesoro della lezione della tappa di Pau di quest’anno (cioè evitando di rincorrersi tra loro per salvare un 8° posto in classifica, la leadership della classifica a squadre o un 143° posto nella classifica GPM). Fra gli aspiranti guastatori spiccano ovviamente i nomi di Sanchez e Menchov, unici ad opporre saltuariamente qualche resistenza al dominio dei soliti due in montagna nella passata edizione, con il russo che potrà contare su una spalla d’eccezione come Carlos Sastre, potenzialmente utilissimo se deponesse propositi di classifica. Non meno degna di considerazione la candidatura di Cadel Evans, giunto all’ennesima ultima chiamata della carriera, che a 34 anni rischia seriamente di diventare un ultimo appello, mentre, parlando di guastatori, la mente non può non correre immediatamente ad Alexander Vinokourov, che su azioni a sorpresa giocate su tempistiche imprevedibili ha costruito una (magnifica) carriera.

Accanto ad altre possibili mine vaganti (vengono alla mente, in virtù dei risultati di questa stagione, i nomi di Joaquin Rodriguez, Ryder Hesjedal e David Arroyo), più numerosa che mai sembra la pattuglia di coloro che potrebbero trovare nel 2011 l’anno dell’affermazione ad alti livelli o della definitiva consacrazione. Restando nel vecchio continente, il 5° posto di Van den Broeck all’ultimo Tour de France potrebbe anche essere passibile di miglioramento se il belga desse seguito ai significativi passi avanti mostrati lo scorso anno, mentre Igor Anton vorrà senz’altro riprendere nel 2011 da dove aveva lasciato nel 2010, cioè con una maglia rossa – quella di leader della Vuelta – che avrebbe verosimilmente portato fino a Madrid. Liberatosi dell’ingombrante presenza di Menchov, anche Robert Gesink potrebbe essere un altro candidato al ruolo di pretendente a sorpresa al podio del Tour, così come Roman Kreuziger, approdato in Astana per occupare il ruolo di leader che fu di Alberto Contador, o Janez Brajkovic, che potrebbe provare a spalmare su tre settimane la splendida prova del Delfinato 2010. Sempre per quanto riguarda le minacce provenienti dall’Est, attenzione anche a Peter Velits, fresco di 3° posto alla Vuelta, alle spalle di Nibali e Mosquera (di cui non abbiamo detto in virtù della positività all’idrossietilamido). Più difficile pensare che possano già risultare competitivi su tre settimane atleti quali Roche e Martin, da tenere semmai d’occhio in chiave brevi corse a tappe, così come ancora acerbi appaiono atleti extra-europei quali Phinney, Van Garderen, Uran e Porte.

Detto dei grandi giri, a livello di corse di un giorno il corrispettivo del duello Contador – Schleck dovrebbe essere quello tra Fabian Cancellara, dominatore nel 2010 a tal punto da far ipotizzare l’utilizzo di una bici motorizzata, e Tom Boonen, che proverà per la seconda volta ad affiancare Roger De Vlaeminck a quota quattro successi, in vetta alla classifica dei plurivincitori della Parigi-Roubaix. A meno di non ritrovare l’elvetico nella condizione spaventosa dello scorso anno, appare però in questo caso più probabile l’intromissione di possibili outsider quali, escludendo Ballan e Pozzato, sui quali rimandiamo all’articolo dedicato ai corridori italiani, gli eterni piazzati Hoste e Flecha o Thor Hushovd, motivato anche dalla maglia iridata conquistata a Melbourne. In corse dove sono solitamente i vecchi leoni a farla da padroni, appare improbabile che atleti quali Matti Breschel o Edvald Boasson Hagen possano intromettersi, in attesa peraltro di capire se effettivamente i due nordici intendano diventare uomini da pietre.

Se per Fiandre e Roubaix si può immaginare che siano più o meno sempre i soliti noti a giocarsi i successi (ai corridori già citati dobbiamo aggiungere almeno Heinrich Haussler, splendido protagonista della prima parte del 2009), ben diverso è il discorso per quel che concerne le altre classiche del calendario, per le quali il gruppo di pretendenti è troppo folto per poterne menzionare ogni elemento. A capeggiare la fila sarà verosimilmente Philippe Gilbert, probabile uomo faro sulle Ardenne, affiancato in larga parte da atleti già citati trattando di GT (si pensi agli Schleck, ad Evans, a Joaquin Rodriguez). Meritano almeno una menzione, fra gli altri, Aleksandr Kolobnev, recordman mondiale di piazzamenti di prestigio senza neppure un’affermazione di spicco (fiore all’occhiello del non-palmares i due argenti in tre anni al Campionato del Mondo), e Sylvain Chavanel, non fosse altro che per le due bellissime vittorie di tappa all’ultimo Tour, oltre a giovani rampanti fra cui segnaliamo Daniel Martin, re dell’agosto ciclistico 2010, e Peter Sagan, magnifico protagonista della prima parte della passata stagione a poco più di 20 anni.

Come già detto trattando dei corridori italiani, l’appuntamento di fine stagione con il Mondiale, che avremmo solitamente legato al discorso sulle classiche, va invece accorpato in questo 2011 a quello relativo ai velocisti, che dovrebbero garantirsi con relativo agio la chance di giocarsi il titolo iridato, prima di almeno due edizioni decisamente fuori dalla loro portata (Valkenburg 2012 e Firenze 2013). Candidato numero uno al successo, nonché in generale probabile punto di riferimento in fatto di sprint, sarà naturalmente Mark Cavendish, ancor più assetato di gloria dopo un 2010 da “soli” 11 successi (di cui 5 tappe al Tour), contro i 23 del 2009. A provare a scombinare i piani del britannico, che a Copenaghen dovrà far fronte ad un problema non secondario come quello della debolezza della sua nazionale, saranno, oltre al suo rivale di sempre, Tyler Farrar, soprattutto corridori navigati quali Hushovd, Freire (in caccia del quarto successo) e Boonen, che può in realtà essere classificato come “navigato” solo per i molti anni di ciclismo di alto livello alle spalle.

La possibile nuova minaccia per il folletto dell’Isola di Man potrebbe però venire dalla Germania, nel caso in cui André Greipel, 21 successi nel 2010 ma soltanto uno in un GT (la tappa di Brescia del Giro d’Italia) e nessuna grande classica, riuscisse finalmente a dar prova anche su palcoscenici di primo piano delle qualità mostrate in corse minori. Forse solo lui, alla luce del passivo ormai smisurato che Farrar ha accumulato negli scontri diretti con Cavendish, può pensare di imporre una variazione sul tema delle ultime stagioni: quello di un Cavendish che, se sostenuto da una condizione almeno discreta, rasenta ormai l’imbattibilità.

Matteo Novarini

2011: L’ITALIA CHE SARA’

gennaio 20, 2011 by Redazione  
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Basso e Nibali quali carte principali da giocare nei Grandi Giri, Pozzato, Cunego e Ballan a guidare la truppa azzurra nelle classiche, Bennati e Petacchi nei panni di velocisti principi a porre la loro candidatura anche per i gradi di capitano al Mondiale di Copenaghen: questi dovrebbero essere i fari del ciclismo italiani nella stagione 2011 ormai prossima al via. Andiamo ad anticipare le ambizioni e le speranze del pedale tricolore per l’anno che verrà.

Foto copertina: Basso e Nibali (sport.sky.it)

Dalla voglia di conferma di Vincenzo Nibali, unico corridore capace di salire sul podio in due Grandi Giri nel 2010, al nuovo, particolarmente convinto e forse ultimo assalto di Ivan Basso al Tour de France; dal desiderio di rivalsa di Danilo Di Luca e Davide Rebellin ad uno Scarponi finalmente pronto a dare l’assalto al Giro; dalla volontà di Ballan e Cunego di riscattare un 2010 più che deludente ad un Petacchi alla caccia degli ultimi ruggiti. Questi e molti altri i motivi di interesse che il ciclismo italiano offre in vista della stagione 2011 che entrerà realmente nel vivo il 18 gennaio, con l’avvio del Tour Down Under.

Iniziando dal settore che nella passata stagione ci ha sicuramente regalato più soddisfazione, saranno gli stessi artefici dei successi azzurri del 2010 a rappresentare i nostri assi sulle tre settimane. Ivan Basso e Vincenzo Nibali, ancora compagni di squadra in Liquigas, dovrebbero quest’anno decidere di separarsi, rinunciando ad una gara a testa fra Giro e Tour per concentrarsi sull’altra. La leadership in terra italiana dovrebbe andare al siciliano, che, dopo il successo alla Vuelta e il podio del Giro nei mesi scorsi, potrebbe presentarsi a Torino in veste di favorito numero uno per la maglia rosa finale, almeno in caso di assenza dei grandi nomi stranieri (la situazione Contador attende di essere chiarita, mentre la neonata Leopard dei fratelli Schleck ha già fatto sapere di essere intenzionata a schierare come capitani al Giro dei grossi calibri quali Feillu e Monfort, alla faccia della nomina a squadra numero 1 al mondo conferitale dall’UCI malgrado le 0 corse all’attivo). Il varesino dovrebbe invece ricoprire il ruolo di capitano in Francia, con l’intenzione di provare – forse per l’ultima volta, data l’anagrafe – l’assalto al gradino più alto del podio parigino. Per rendersi conto delle reali possibilità di successo di Basso, bisognerà aspettare di conoscere il destino di Alberto Contador, e di capire se effettivamente i fratelli Schleck partiranno completamente alla pari (condizione che deporrebbe certamente a favore delle ambizioni del trionfatore dell’ultimo Giro).

Questa suddivisione del calendario in casa Liquigas potrebbe giovare all’uomo che meglio di tutti ha saputo contenere lo strapotere degli uomini in biancoverde sulle strade dell’ultimo Giro, un Michele Scarponi fresco di approdo in Lampre. Sulla carta, il corridore di Filottrano potrebbe trovarsi a dover condividere i gradi di capitano con Damiano Cunego, ma pare probabile che il veronese metta finalmente da parte ambizioni di classifica su tre settimane per concentrarsi sulle corse immediatamente precedenti il Giro, sulle Ardenne. Il tutto fermo restando che lo Scarponi visto nel maggio scorso non dovrebbe avere difficoltà a guadagnarsi sul campo i gradi di leader se necessario, a danno di un Cunego che, qualora nutrisse ancora il sogno di mostrarsi nuovamente competitivo sulle tre settimane, farebbe probabilmente bene a puntare sulla Vuelta, in cui già ben figurò in preparazione del Mondiale di Mendrisio.

Almeno sulle strade del Giro d’Italia dovremmo poi ritrovare Riccardo Riccò, la cui scelta di firmare per la Vacansoleil pareva aver compromesso ogni chance di ritornare a disputare GT nel 2011, finché l’UCI non ha sorprendentemente deciso di includere la formazione olandese nella cerchia degli UCI Pro Teams. Una notizia resa ancor più significativa dal tracciato della prossima Corsa Rosa, che con la sua penuria di chilometri a cronometro e l’abbondare di salite tra il duro e l’estremo sembra essere stato cucita da un sarto sul minuto scalatore di Formigine.

Da seguire con attenzione anche Marzio Bruseghin, sfortunatissimo in una Vuelta 2010 in cui aveva posto solide basi per poter puntare ad un piazzamento di prestigio, e soprattutto Danilo Di Luca, che, scontata la squalifica che lo ha tenuto lontano dalle gare l’anno passato, tornerà in sella in maglia Katusha, con un particolare contratto a rendimento, legato alle prestazioni che l’abruzzese saprà offrire. Facile pensare che possa essere il Giro d’Italia l’oggetto delle mire di Di Luca, che proprio sulle strade della corsa da lui più amata era stato pizzicato nel 2009, mentre tentava vanamente di scardinare le resistenze di Denis Menchov.

Nelle classiche in cui per anni Danilo è stato protagonista, dal 27 aprile in poi, sulla sua strade potrebbe presentarsi un altro grande nome che ha rifiutato di voler chiudere la sua carriera con una squalifica per doping. Stiamo ovviamente parlando di Davide Rebellin, che da quel giorno sarà libero di ritornare a correre, anche se ancora non è chiaro con quale casacca e con quali obiettivi.

I due veterani si troveranno a dover fronteggiare una concorrenza di connazionali non troppo dissimile da quella lasciata nel 2009. Damiano Cunego sarà probabilmente la principale carta italiana sulle Ardenne e nelle classiche della seconda parte di stagione, corridori da GT – Nibali e Riccò in testa – permettendo. Più orientata verso le gare di primavera dovrebbe essere la stagione di Alessandro Ballan e Filippo Pozzato, attesi a ruoli da protagonisti al Fiandre e alla Roubaix fresca di ristrutturazione del tracciato. Per entrambi è lecito parlare di ricerca di riscatto, dal momento che nel post-Varese il corridore della BMC non ha sostanzialmente più corso ai livelli del biennio 2007-2008, e che anche Pozzato, pur protagonista in alcune fasi della scorsa stagione, nel 2010 ha steccato a causa di un virus la campagna del Nord.

Probabile che debbano invece accontentarsi di ruoli da comprimari atleti quali Giovanni Visconti, Francesco Ginanni, Enrico Gasparotto e Francesco Gavazzi, pur buoni protagonisti della scorsa stagione. A penalizzare i primi due, ed in particolare un Visconti per il quale i tempi per il grande salto di qualità iniziano a stringere, sarà anche la squadra non di primo piano (Farnese Vini per il primo, Androni per il secondo), che impedirà verosimilmente loro di partecipare a gran parte delle classiche di primo piano. Discorso radicalmente diverso – quasi diametralmente opposto – per Gasparotto e Gavazzi, che rischiano seriamente di essere chiusi dai big di Astana (Vinokourov, Davis, Kreuziger) e Lampre (Cunego e Scarponi su tutti, senza perdere di vista i giovani Bole e Spilak).

In un’altra stagione, a questo punto avremmo dovuto proiettarci già verso fine stagione, immaginando quali corridori da classiche avrebbero potuto aspirare ai gradi di capitano della spedizione azzurra al Campionato del Mondo. Il piatto tracciato di Copenaghen lascia però supporre che saranno semmai i velocisti a vedersi costruire attorno le rappresentative più blasonate, ed è pertanto all’interno della non particolarmente folta cerchia delle ruote veloci del nostro movimento che andrà verosimilmente cercato l’erede del ruolo che a Melbourne fu di Filippo Pozzato. Due, ovviamente, i nomi più caldi, quando non gli unici candidati: Alessandro Petacchi, che con gli 8 successi del 2010, di cui due al Tour de France, sembra partire dalla pole position, malgrado il legittimo sospetto che i trentasette anni e mezzo con cui si presenterebbe eventualmente al Mondiale danese possano rappresentare un fardello troppo pesante, e Daniele Bennati, che a 30 anni, dopo due stagioni altamente negative, si gioca forse l’ultima possibilità di tornare ad essere un velocista di punta a livello planetario, nella nuova maglia Leopard-Trek. La ricetta per guadagnarsi la chance della carriera non può che essere una sola: mostrarsi all’altezza degli avversari ben più giovani e ugualmente affamati che hanno fatto razzia di successi nella passata stagione, Mark Cavendish e Tyler Farrar in primis. Difficile, sfortunatamente, pensare che qualche altro sprinter azzurro possa creare imbarazzo al C.T., dato che anche il più promettente prospetto del nostro ciclismo in ottica sprint, Jacopo Guarnieri, dovrà probabilmente accontentarsi in questo 2011 di accumulare altra esperienza.

Manca ormai poco prima che le anticipazioni lascino spazio ai verdetti della strada, con il via del Tour Down Under. Una gara in cui ben poco sembrano dover dire i pochi italiani al via, destinati verosimilmente a ruoli di comprimari in mezzo alle sfide tra Cavendish, Farrar e Greipel, protagonisti attesi di una sfida a tre che potremmo rivedere anche in fasi ben più calde del calendario.

Matteo Novarini

GIRINGIRO SUPERVADEMECUM

ottobre 24, 2010 by Redazione  
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Dopo il Tour ecco aggiornato anche l’elenco delle località che la corsa rosa ha toccato in oltre cent’anni di onorata attività. Com’era logico aspettarsi, nonostante alcune “defezioni”, comanda Milano nel computo degli arrivi di tappa, seguita a debita distanza dalla capitale e da Napoli, a sua volta tallonata da Torino, che quest’anno accorcierà lo svantaggio sul capoluogo toscano. Una sola new entry va registrata, tra i traguardi parziali, nell’edizione 2010, con l’ingresso in lista di Macugnaga.

ARRIVI (numeri aggiornati al 2009, in grassetto le sedi di tappa 2010)

84 volte: Milano
46 volte: Roma
41 volte: Napoli
38 volte: Torino
30 volte: Firenze, Genova
21 volte: Bologna
20 volte: Trieste
18 volte: Bari, Verona
17 volte: Foggia, Pescara
16 volte: Brescia
15 volte: Trento
13 volte: Perugia, Potenza
12 volte: Bolzano, Campobasso, Forte dei Marmi, Montecatini Terme, Saint Vincent, San Marino (RSM)
11 volte: Arezzo, Cuneo, Rieti, Sanremo, Treviso
10 volte: Chieti, Cosenza, Mantova, Palermo
9 volte: Ancona, Ferrara, L’Aquila, Salerno, Terminillo, Udine, Venezia (due volte al Lido),
8 volte: Aprica, Bassano del Grappa, Forlì, Modena, Parma, Pisa, Rimini, Salsomaggiore Terme, San Pellegrino Terme, Teramo, Vicenza, Vittorio Veneto
7 volte: Benevento, Catania, Cesenatico, Fiuggi, Grosseto, Lanciano, Livorno, Lucca, Padova, Prato, Siena, Terni, Viareggio
6 volte: Alessandria, Bergamo, Campitello Matese, Como, La Spezia, Merano, Messina, Roccaraso, Selva di Valgardena, Taranto, Tre Cime di Lavaredo
5 volte: Ascoli Piceno, Bibione, Block Haus, Bormio, Catanzaro, Chianciano Terme, Cortina d’Ampezzo, Corvara in Badia, Matera, Monte Bondone, Orvieto, Pinerolo, Ravenna, Reggio Emilia, Riccione, Riva del Garda, Rovigo, Scanno, Sestriere, Sorrento, Sulmona, Vasto
4 volte: Agrigento, Alpe di Pampeago, Asiago, Asti, Auronzo di Cadore, Avellino, Caserta, Cremona, Frascati, Gorizia, Il Ciocco, Lecce, Lido di Camaiore, Lido di Jesolo, Macerata, Montevergine, Oropa, Passo Pordoi, Pesaro, Pistoia, Reggio Calabria, Santa Margherita Ligure, Savona, Sondrio, Terme Luigiane, Varazze, Varese
3 volte: Abano Terme, Abetone, Aosta, Arco, Arenzano, Assisi, Avezzano, Belluno, Bosco Chiesanuova, Briancon (FRA), Cagliari, Carrara, Casciana Terme, Cattolica, Cava de’ Tirreni, Cavalese, Cervia, Cesena, Faenza, Follonica, Francavilla al Mare, Frosinone, Gabicce Mare, Gardone Riviera, Gran Sasso d’Italia, Imperia, Lecco, Levico Terme, Locarno (CH), Loreto, Lumezzane, Maddaloni, Marina di Massa, Marina di Pietrasanta, Marostica, Meda, Mondovì, Monte Sirino, Monte Zoncolan, Novi Ligure, Passo dello Stelvio, Pavia, Peschici, Pieve di Cadore, Portoferraio, Rocca di Cambio, Rovereto, San Benedetto del Tronto, San Luca (Bologna), San Martino di Castrozza, Scarperia (Autodromo del Mugello), Senigallia, Sestri Levante, Taormina, Terracina, Urbino, Valle Varaita, Vesuvio, Viterbo
2 volte: Acqui Terme, Alba, Arabba, Arona, Arta Terme, Baselga di Pinè, Bellaria, Biandronno, Biella, Borgo Val di Taro, Busto Arsizio, Canazei, Carpegna, Carpi, Castelfranco Veneto, Castelgandolfo, Castrovillari, Cervinia, Città di Castello, Conegliano, Crotone, Diano Marina, Dobbiaco, Domodossola, Etna, Fabriano, Falzes, Fano, Fiorano Modenese, Folgaria, Formia, Gemona del Friuli, Imola, Iseo, Isernia, Laghi di Ganzirri (Messina), Lago Laceno, Langhirano, Latina, Lienz (A), Livigno, Lodi, Lubiana (SLO), Lugano (CH), Madesimo, Marmolada, Melfi, Milazzo, Mirandola, Moena, Montalcino, Monte Argentario (Porto Santo Stefano), Monte Generoso (Mendrisio – CH), Montecampione, Monviso, Nevegal (Belluno), Numana, Orta, Ortisei, Osimo, Ostuni, Passo del Tonale, Pejo Terme, Piacenza, Pila, Pinzolo, Plan de Corones, Pompei, Pontedera, Pordenone, Pratonevoso, Rodi Garganico, San Vincenzo, Sankt Moritz (CH), Sansepolcro, Sassari, Selvino, Silvi Marina, Siracusa, Spoleto, Strasburgo (FRA), Terme di Comano, Termoli, Tirano, Tivoli, Verbania, Vieste, Vigevano, Zingonia, Zoldo Alto
1 volta: Abbadia San Salvatore, Abbazia (CRO), Agropoli, Alassio, Alba Adriatica, Alleghe, Alpe di Siusi, Amsterdam (NL), Anagni, Andalo, Ans (Liegi – BEL), Arcore, Arosio, Arzignano, Asolo, Atene (GR), Aversa, Baia Domizia, Bardonecchia, Barletta, Barzio, Bezzecca, Bibbiena, Binago, Bitonto, Boario Terme, Bolsena, Bordighera, Borgo San Dalmazzo, Borgo Valsugana, Borgomanero, Bormio 2000, Borno, Bosa, Bra, Brentonico, Brindisi, Busseto, Caltanissetta, Camigliatello Silano, Campione d’Italia, Campo dei Fiori (Varese), Campotenese, Cannes (FRA), Cantù, Carovigno, Casale Monferrato, Cascia, Cascina, Casteggio, Castelfidardo, Castellammare di Stabia, Castiglione del Lago, Castrocaro Terme, Catanzaro Lido, Cecina, Cento, Chiavari, Chiavenna, Chiesa Valmalenco, Cittadella, Civitanova Marche, Civitella in Val di Chiana, Cles, Colli di San Fermo, Colonia (GER), Comacchio, Comerio, Contursi Terme, Corno alle Scale, Cortona, Courmayeur, Dalmine, Diamante, Dimaro, Dozza, Edolo, Erba, Esch sur Alzette (LUX), Falcade, Felino, Feltre, Fermo, Fiume (CRO), Folgarida, Foligno, Fondo Sarnonico, Fonte Cerreto (Gran Sasso), Foppolo, Formazza (Cascata del Toce), Fossano, Frabosa Soprana, Gallarate, Gatteo a Mare, Giffoni Valle Piana, Giulianova, Grado, Gressoney Saint Jean, Groningen (NL), Grossglockner (A), Gubbio, Hotton (BEL), Innsbruck (A), Inverigo, Ioanina (GR), Ischia, Jafferau (Bardonecchia), Jesi, Klangenfurt (A), Kranj (SLO), La Maddalena, La Thuile, Lago di Caldonazzo, Lago di Piediluco, Lainate, Lavagna, Lavarone, Legnago, Lenzerheide/Valbella (CH), Lerici, Les Deux Alpes (FRA), Leukerbad (CH), Lido degli Estensi, Lido delle Nazioni, Lido di Spina (Comacchio), Lignano Sabbiadoro, Limone Piemonte (Colle di Tenda), Limone Piemonte (Panice Soprana), Lissone, Loano, Longarone, Loreto Aprutino, Losanna (CH), Lucera, Lugo, Luino, Lussemburgo (LUX), Madonna del Ghisallo, Madonna di Campiglio, Malcesine, Maratea, Marcianise, Marcinelle (Charleroi – BEL), Marconia di Pisticci, Marina di Grosseto, Marina di Pisa, Marina di Ravenna, Marina Romea (Ravenna), Marotta, Mayrhofen (A), Mendrisio (CH), Merano 2000, Middelburg (NL), Mira, Modica, Mondragone, Monesi (Triora), Monte di Procida, Monte Grappa, Monte Maddalena (Brescia), Monte Petrano, Monte Pora, Monte Trebbio, Montebelluna, Montefiascone, Monteluco (Spoleto), Montenero (Livorno), Montepulciano, Montesano sulla Marcellana, Montevarchi, Monticello Brianza, Monza, Morbegno, Munster (GER), Nafpaktos (GR), Namur (BEL), Nettuno, Nicotera, Nizza (FR), Nola (C.I.S.), Novara, Olbia, Ozegna, Padula, Palazzolo sull’Oglio, Palinuro, Panicagliora, Paola, Parabiago, Passo del Bocco, Passo Furcia, Passo Lanciano, Passo Rolle, Passo San Pellegrino, Pedavena, Pescasseroli, Pescocostanzo, Pian dei Resinelli, Pian del Falco (Sestola), Piancavallo, Pieris (San Canzian d’Isonzo), Pietra Ligure, Pola (CRO), Policoro, Ponte di Legno, Pontoglio, Pontremoli, Porretta Terme, Porto Sant’Elpidio, Porto Recanati, Portorose (SLO), Portovenere, Prati di Tivo, Presolana, Rapallo, Ravello, Recanati, Recoaro Terme, Riese Pio X, Riolo Terme, Riomaggiore, Rivisondoli, Rocca di Papa, Rossano Veneto, Saas Fee (CH), Sacro Monte (Varese), Sala Consilina, Salice Terme, Salò, Saltara, San Donà di Piave, San Giacomo (Monti della Laga), San Giacomo di Roburent, San Giorgio del Sannio, San Romolo, San Severo, San Vendemiano, San Vigilio di Marebbe, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria del Cedro, Santuario di Vicoforte, Santuario Nostra Signora della Guardia, Sappada, Sapri, Sarezzo, Sarzana, Sassuolo, Sauze d’Oulx, Scalea, Schio, Sciacca, Sella Valsugana, Seraing (BEL), Serniga (Salò), Sion (CH), Sirmione, Sora, Sottomarina (Chioggia), Stradella, Superga, Susa, Tabiano Bagni (Salsomaggiore), Tarvisio, Teano, Todi, Torri del Vaiolet, Tortona, Tortoreto Lido, Trescore Balneario, Treviglio, Tropea, Turbigo, Uliveto Terme, Utrecht (NL), Valdobbiadene, Valenza, Valico del Vetriolo (Vetriolo Terme), Vallombrosa, Valmontone, Valnontey (Cogne), Val Senales, Varzi, Vercelli, Verviers (BEL), Vibo Valentia, Voghera.

DEBUTTANTI 2010

Macugnaga

PARTENZE (numeri aggiornati al 2009, in grassetto le sedi di tappa 2010)

3 volte: Brunico, Cefalù, Mestre, Pietrasanta, Savigliano
2 volte: Acquappesa Marina, Camaiore, Castiglione della Pescaia, Cesano Maderno, Ercolano, Misurina, Montesilvano Marina, Paestum, Predazzo, Racconigi, Rocca Pietore, Saluzzo, Soave, Villa San Giovanni, Villafranca Tirrena
1 volta: Agordo, Albese con Cassano, Amalfi, Amantea, Aulla, Bagnoli Irpino, Barberino del Mugello, Bardolino, Barumini, Belvedere Marittimo, Bled (SLO), Borgo a Mozzano, Bressanone, Broni, Cambiago, Campi Bisenzio, Canelli, Cannobio, Capannori, Capo d’Orlando, Caprera, Capua, Castellamonte, Castellana Grotte, Celano, Celle Ligure, Cellole, Cenate, Certosa di Pavia, Chieri, Città del Vaticano (CDV), Città Sant’Angelo, Civitavecchia, Clusone, Collecchio, Copertino, Corinaldo, Desenzano del Garda, Egna, Elefsina (GR), Empoli, Erbusco, Fidenza, Fiera di Primiero, Fornaci di Barga, Fossacesia, Gaeta, Garda, Ginevra (CH), Gradisca d’Isonzo, Grinzane Cavour, Idroscalo (Milano), Igea Marina, Lago Miseno, Lamporecchio, Larciano, Lauria, Legnano, Lenzerheide (CH), Madonna di Tirano*, Malè, Marina di San Vito Chietino, Marsala, Mentana, Mergozzo, Messolongi (GR), Metaponto, Mezzocorona, Mezzolombardo, Modigliana, Mondolfo, Mons (BEL), Montecarlo (MC), Montegrotto Terme (Terme Euganee), Montelibretti, Montella, Noto, Omegna, Orbetello, Palmi, Parenzo (CRO), Pergola, Perwez (BEL), Piamborno, Pienza, Pieve di Cento, Pizzo Calabro, Poggibonsi, Poggio di Sanremo, Polla, Pont Saint Martin, Pontida*, Porto Azzurro, Porto San Giorgio, Pozza di Fassa, Predappio, Reggello, Rio Marina, Rovato, Rovetta, Sala Baganza, Sampeyre, San Giorgio Piacentino, San Marcello Pistoiese, Santa Maria della Versa, Santarcangelo di Romagna, Sarnico, Saronno, Scalenghe, Scilla, Selva di Fasano, Seregno, Serravalle (RSM), Serravalle Scrivia, Sierre (CH), Sillian (A), Sinalunga, Solaria (Mazzin di Fassa), Solda, Spondigna (Sluderno)*, Telese Terme, Tempio Pausania, Terme La Calda (Latronico), Termeno, Trani, Urbania, Velden am Wörther See (A), Verres, Vestone, Vigo di Fassa, Villapiana Lido, Wanze (BEL).

*partenze d’emergenza, inserite all’ultimo minuto

DEBUTTANTI 2010

Piombino, Quarto dei Mille (Genova), Spilimbergo, Venaria Reale

LE “CITTA’ PERDUTE”

Roma 1912. Tappa interrotta per maltempo e sostituita, a fine giro, dal “Giro della Lombardia” (da non confondere con la classica di fine stagione).
Trieste 1946. Tappa interrotta a Pieris.
Salerno 1956. Tappa annullata per consentire ai corridori italiani di partecipare alle elezioni.
Moena 1962. Traguardo anticipato al Passo Rolle (maltempo).
Solda 1965. Traguardo anticipato al Passo dello Stelvio (maltempo).
Milano 1967. Prologo annullato per manifestazione di piazza.
Marmolada 1969. Tappa interrotta dopo pochi chilometri per maltempo.
Brescia 1983. Prologo annullato per manifestazione di piazza.
Colle Don Bosco 1988. Tappa interrotta e annullata a 1,5 Km dall’arrivo per manifestazione di piazza.
Santa Caterina Valfurva 1989. Tappa non disputata (maltempo)
Briancon 1995. Traguardo anticipato al Pontechianale (maltempo).
Sant’Anna di Vinadio 2001. Tappa non disputata (protesta corridori).
Plan de Corones 2006. Traguardo anticipato al Passo Furcia (maltempo).

PARTENZE ASSOLUTE (aggiornate al 2010)

41 volte: Milano
4 volte: Palermo, Roma
3 volte: Genova, Venezia (1 volta da Mestre, 2 dal Lido)
2 volte: Lecce, Torino
1 volta: Agrigento, Amsterdam (NL), Atene (GRE), Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Campione d’Italia, Caprera, Catania, Città del Vaticano (CDV), Firenze, Garda, Groningen (NL), Isola d’Elba (Porto Azzurro), Lucca, Messina, Monte di Procida, Montecarlo (MC), Napoli, Nizza (FRA), Olbia, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Saint Vincent, San Marino (RSM), San Pellegrino Terme, Sanremo, Seraing (BEL), Taormina, Trieste, Urbino, Verona, Verviers (BEL).

ARRIVI ASSOLUTI (aggiornate al 2010)

74 volte: Milano
3 volte: Roma, Verona
2 volte: Firenze, Trieste
1 volta: Bolzano, Lucca, Merano, Monza, Napoli, Passo dello Stelvio, Saint Vincent, Torino, Udine, Vittorio Veneto

GIRINTOUR SUPERVADEMECUM

ottobre 22, 2010 by Redazione  
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Ecco l’elenco, aggiornato al 2009, di città e paesi che finora hanno avuto l’onore di ospitare, come arrivo o come partenza di tappa, il Tour de France. L’elenco è suddiviso per numero di “ritorni” della Grande Boucle, con indicate in grassetto le città sede di tappa nel 2010 e in corsivo le località estere.

ARRIVI (numeri aggiornati al 2009, in grassetto le sedi di tappa 2010)

100 volte: Parigi
80 volte: Bordeaux
58 volte: Pau
46 volte: Luchon
37 volte: Metz
35 volte: Nizza
34 volte: Caen, Grenoble, Perpignan
33 volte: Marsiglia
32 volte: Briançon
30 volte: Bayonne
28 volte: Nantes
27 volte: Montpellier
26 volte: Alpe d’Huez, Brest
24 volte: Gap, Saint Etienne, Tolosa
23 volte: Strasburgo
22 volte: Aix les Bains, Belfort, Roubaix
19 volte: La Rochelle
18 volte: Angers, Dunkerque, Le Havre
17 volte: Besançon, Digione
16 volte: Cherbourg, Les Sables d’Olonne, Lione
15 volte: Lilla, Nimes, Rouen, Versailles
14 volte: Morzine, Mulhouse, Nancy, Rennes
13 volte: Charleville-Mézières, Evian-les-Bains
12 volte: Cannes, Digne les Bains, Limoges, Puy de Dome
11 volte: Saint Brieuc, Tolone
10 volte: Bruxelles (BEL), Futuroscope, Ginevra (CH)
9 volte: Albi, Amiens, Dieppe, Liegi (BEL), Reims, Saint Lary Soulan (Pla d’Adet), Saint-Gaudens, Vannes
8 volte: Lorient, Mont Ventoux, Narbonne, Revel, Thonon-les-Bains
7 volte: Colmar, Divonne-les-Bains, Le Mans, Lussemburgo (LUX), Luz Ardiden, Monaco (MC), Morzine (Avoriaz), Royan, Saint-Malo, Tours
6 volte: Aix en Provence, Aurillac, Ax-les-Thermes, Chamonix, Charleroi (BEL), Fleurance, Forest (BEL), Luchon (Superbagnères), Montluçon, Troyes, Villard-de-Lans
5 volte: Bagneres-de-Bigorre, Beziers, Brive-la-Gaillarde, Carcassonne, Dinan, La Roche sur Yon, Longwy, Losanna (CH), Malo-les-Bains (Dunkerque), Pontarlier, Vire, Wasquehal
4 volte: Alençon, Auxerre, Ax-3 Domaines (Ax-les-Thermes), Ballon d’Alsace, Barcellona (E), Blagnac, Chalon-sur-Saône, Châteaulin, Dax, Dinard, Epinal, Freiburg im Breisgau (GER), Hautacam, La Plagne, Mâcon, Namur (BEL), Nevers, Orcières-Merlette, Orleans, Plateau de Beille, Plumelec, Rouen (Circuit de Rouen-les-Essarts), Saint-Nazaire, Saint-Priest, Sestriere (I), Spa (BEL), Tarbes, Vitrè
3 volte: Andorra – Arcalis (AD), Angoulême, Annecy, Auch, Berlino (GER), Blois, Boulogne-sur-Mer, Carpentras, Cauterets, Cholet, Clermont Ferrand, Courchevel, Evreux, Fontenay-sous-Bois, Gand (BEL), Guzet-Neige, Hendaye, Jambes (Namur – BEL), La Grande-Motte, La Mongie, Lac de Vassivière, Le Grand-Bornand, Le Puy-en-Velay, Lons-le-Saunier, Loudenvielle, Martigues, Mende, Merlin-Plage, Millau, Montargis, Poitiers, Puy du Fou, San Sebastian (E), Serre Chevalier, Super Besse, Torino (I), Valenciennes, Vittel
2 volte: Ales, Antibes, Anversa (BEL), Aubagne, Aubenas, Aulnay-sous-Bois, Autun, Avranches, Basilea (CH), Biarritz, Bourg-en-Bresse, Bourg Saint Maurice, Castres, Châlons-en-Champagne (ex Châlons-sur-Marne), Châteauroux, Cluses, Col du Tourmalet, Colomiers, Compiègne, Créteil, Dublino (IRL), Esch-sur-Alzette (LUX), Evry, Francoforte sul Meno (GER), Gaillard, Gex, Gourette (Col d’Aubisque), Harelbeke (BEL), La Baule, Lac de Madine, Le Revard, Le Touquet-Paris-Plage, Le Tréport, Les Deux Alpes, Libourne, Liévin, Lisieux, Melun, Mende, Mourenx, Pra Loup, Pyrénées 2000, Quimper, Rotterdam (NL), Saint Quentin, Saint-Amand-Montrond, Saintes, Saint-Flour, Saint-Gervais-les-Bains, Saint-Jean-de-Monts, Senlis, Seo de Urgel (E), Seraing (BEL), Sète, ’s-Hertogenbosch (NL), Sint-Niklaas (BEL), Tournai (BEL), Tulle, Val-d’Isère, Valkenburg (NL), Verdun, Villefranche-sur-Saône (Villefranche-en-Beaujolais), Villeneuve-sur-Lot, Woluwe-Saint-Pierre (BEL)
1 volta: Agen, Albertville, Ancenis, Andorra – Pal (AD), Andorra La Vella (AD), Aosta (I), Archachon, Arenberg-Porte du Hainaut, Argelès-sur-Mer, Argentan, Armentieres, Arras, Bagnoles-de-l’Orne, Bar-le-Duc, Beauvais, Bergerac, Béthune, Bonneval-sur-Arc, Bornem (BEL), Boulogne-Billancourt, Bourg d’Oisans, Bourg-lès-Valence, Bourg Madame, Brighton (GB), Brignoles, Cahors, Canet-Plage (Perpignan), Canterbury (GB), Cap’Découverte, Castelsarrasin, Cergy – Pontoise, Challans, Champagnole, Chamrousse, Chartres, Chassieu, Château-Thierry, Châtel, Chaumeil, Chaumont, Coblenza (GER), Concarneau, Cork (IRL), Corrèze, Crans-Montana (CH), Deauville, Disneyland Paris, Dole, Domaine du Rouret, Draguignan, Epernay, Épinay-sous-Sénart, Eurotunnel (Coquelles), Felsberg (GER), Figeac, Foix, Fontaine-au-Pire, Fontainebleau, Forges-les-Eaux, Fougères, Friburgo (CH), Gérardmer, Gourette (Les-Eaux-Bonnes), Granville, Guéret, Gueugnon, Hasselt (BEL), Herentals (BEL), Hyères, Île d’Oléron, Isola 2000, Issoire. Issoudun. Jaca (E), Jausiers, Joigny, Karlsruhe (GER), La Bourboule, La Châtre, La Ruchère en Chartreuse, La Toussuire, Lac de Saint-Point (Malbuisson), Lacanau, Lanester, Langon, Lannion, Lans-en-Vercors, Laon, Laplume, Laval, Lavaur, Le Cap d’Agde, Le Creusot, Le Mont-Saint-Michel, Le Pleynet, Leida (NL), Les Arcs, Les Essarts, Les Menuires, Les Orres, L’Isle-d’Abeau, Londra (GB), Loudun, Lourdes, Louvroil, Lovanio (BEL), Lucon, Maastricht (NL), Machecoul, Manosque, Marche-en-Famenne (BEL), Marennes, Maubeuge, Mazé-Montgeoffroy, Meaux, Menton, Méribel les Allues, Millau (Causse Noir), Millau (Le Cade), Möhlin (CH), Molenbeek-Saint-Jean (BEL), Monginevro, Montauban, Montbéliard, Montceau-les-Mines, Montélimar, Montlhéry, Montreuil-sous-Bois, Mouscron (BEL), Nanterre, Neuchâtel (CH), Niort, Nogent-sur-Marne, Nogent-sur-Oise, Noirmoutier-en-l’Île, Noisy-le-Sec, Orange, Pamiers, Pamplona (E), Pauillac, Périgueux, Pforzheim (GER), Piau-Engaly, Pla de Beret (E), Plouay, Plymouth (GB), Pont-Audemer, Pornichet, Portsmouth (GB), Prapoutel – Les 7 Laux, Pratonevoso (I), Rambouillet, Renazé, Rochefort, Rodez, Roquefort-sur-Soulzon, Saarbrücken (GER), Saint-Amand-les-Eaux, Saint-Denis, Saint-Dizier, Saint-Émilion, Saint-Fargeau, Saint-Germain-en-Laye, Saint-Girons, Saint-Herblain, Saint-Hilaire-du-Harcouët, Saint-Jean-de-Maurienne, Saint-Maixent-l’École, Saint-Pol-de-Léon, Saint-Quentin-en-Yvelines, Saint Raphael, Saint Vincent (I), Sainte-Foy-la-Grande, Sainte-Foy-la-Grande, Salies-de-Béarn, Sallanches (Cordon), Sanremo (I), Santenay, Sarran, Sceaux, Scheveningen (L’Aia – NL), Sedan, Seignosse Le Penon, Serre Chevalier (Col du Granon), Sint Willebrord (NL), Station des Rousses, Stoccarda (GER), Super Lioran, Thionville, Thuir, Tignes, Trélissac, Trouville, Val Louron, Val Thorens, Valence, Valence-d’Agen, Valloire, Vals-les-Bains, Verbier (CH), Verviers (BEL), Vichy, Villers-sur-Mer, Vitoria-Gasteiz (E), Wiesbaden (GER), Zolder (BEL), Zurigo (CH)

DEBUTTANTI 2010

Cap Fréhel, Carmaux, Col du Galibier, Les Herbiers, Mûr-de-Bretagne, Pinerolo (I), Redon

PARTENZE (numeri aggiornati al 2009, in grassetto le sedi di tappa 2010)

4 volte: Lannemezan
3 volte: Embrun, Huy (BEL), Soissons, Valreas
2 volte: Besse-et-Saint-Anastaise (ex Besse-en-Chandesse), Brétigny-sur-Orge, Bourgoin-Jallieu, Calais, Cambrai, Châteaubriant, Corbeil-Essonnes, Font Romeu, Lavelanet, Lodève, Mont de Marsan, Montereau-Fault-Yonne, Montpon-Ménestérol , Moutiers, Neufchâtel-en-Bray, Orthez, Saint-Gilles-Croix-de-Vie, Sarrebourg
1 volta: Agde, Aigurande, Aime, Alfortville, Altkirch (GER), Amsterdam (NL), Annemasse, Antony (Parc de Sceaux), Arbois, Arc-et-Senans, Argelès-Gazost, Arlon (LUX), Arpajon, Auray, Autrans, Avesnes-sur-Helpe, Barcelonnette, Bastogne (BEL), Bazas, Beauraing (BEL), Beringen (BEL), Blain, Bobigny, Bondy, Bonneval, Bourg-de-Péage, Bourges, Brioude, Bron, Cambo-les-Bains, Cancale, Captieux, Carnon-Plage, Castillon-la-Bataille, Cérilly, Chablis, Chambéry, Chambord, Chantonnay, Châtellerault, Ciney (BEL), Cognac, Col du Lautaret, Colonia (GER), Commercy, Cosne-Cours-sur-Loire, Cuneo (I), Damazan, Dinant (BEL), Douai, Dover (GB), Enniscorthy (IRL), Étampes, Fécamp, Flers, Fontaine, Fromentine (La Barre-de-Monts), Frontignan la Peyrade, Gaillac, Gerona (E), Isola, Ivrea (I), Jaunay-Clan, Joinville, Jonzac, La Châtaigneraie, La Chaux-de-Fonds (CH), La Défense (Parigi), La Ferté-sous-Jouarre, La Guerche, La Haye-Fouassière, La Tour-du-Pin, Labastide-d’Armagnac, Lamballe, Laruns, Le Blanc, Le Monêtier-les-Bains, Le Perreux-sur-Marne, Levallois-Perret, Lézat-sur-Lèze, Lézignan-Corbières, Longjumeau, Lugny, Lunéville, Luz-Saint-Sauveur, Marcoussis, Martigny (CH), Mayenne, Mazamet, Meudon, Meyrignac-l’Église, Miramas, Miribel-les-Échelles, Mons (BEL), Montaigu, Montgeron, Morcenx, Morlaix, Nay, Nemours, Neuville-de-Poitou, Obernai, Oloron Sainte Marie, Palaiseau, Pantin, Péronne, Perros-Guirec, Peyrehorade, Pontchâteau, Pont-l’Évêque, Pornic, Port Barcarès, Pouilly-en-Auxois, Privas, Régnié-Durette, Roanne, Roscoff, Ruelle-sur-Touvre, Ruffec, Rungis, Saarlouis (GER), Sablé-sur-Sarthe, Saint-Dier-d’Auvergne, Sainte-Geneviève-des-Bois, Saint-Galmier, Saint-Grégoire, Saint-Julien-en-Genevois, Saint-Léonard-de-Noblat, Saint-Martin-de-Landelles, Saint-Méen-le-Grand, Saint-Omer, Saint-Orens-de-Gameville, Saint-Trivier-sur-Moignans, Saint-Valery-en-Caux, Saumur, Sauternes, Savines-le-Lac, Schupfart (CH), Semur-en-Auxois, Seurre, Sisteron, Tallard, Tarascon-sur-Ariège, Tonnerre, Tournus, Trets, Vaison-la-Romaine, Valentigney, Vatan, Vesoul, Veurey, Ville-d’Avray, Villers-Cotterêts, Villeurbanne, Villié-Morgon, Viry-Châtillon, Vizille, Voiron, Voreppe, Vouvray, Wanze (BEL), Waregem (BEL), Waterloo (BEL).

DEBUTTANTI 2010
Blaye-les-Mines, Carhaix, Cugnaux, Limoux, Modane, Olonne-sur-Mer, Passage du Gois (La Barre-de-Monts), Saint-Paul-Trois-Châteaux

LE “CITTA’ PERDUTE”

Valence-d’Agen 1978: tappa annullata per protesta corridori
Fontaine-au-Pire 1982: tappa (cronosquadre) annullata per manifestazione di piazza e recuperata 5 giorni dopo in altra sede
Orchies 1982 (partenza di tappa): tappa (cronosquadre) annullata per manifestazione di piazza e recuperata 5 giorni dopo in altra sede

“LE GRAND DEPART” (aggiornati al 2010)
38 volte: Parigi
3 volte: Brest
2 volte: Angers, Fleurance, Futuroscope, La Barre-de-Monts  (1 volta a Fromentine, 1 volta dal Passage du Gois), Lilla, Lussemburgo (LUX), Mulhouse, Nancy, Puy du Fou, Rouen, Strasburgo
1 volta: Amsterdam (NL), Basilea (CH), Berlino (GER), Boulogne-Billancourt, Bruxelles (BEL), Charleroi (BEL), Colonia (GER), Dublino (IRL), Dunkerque, Evian-les-Bains, Fontenay-sous-Bois, Francoforte sul Meno (GER), Le Havre, Leida (NL), Liegi (BEL), Limoges, Lione, Londra (GB), Metz, Monaco (MC), Montreuil-sous-Bois, Nantes, Nizza, Plumelec, Pornichet, Reims, Rennes, Rotterdam (NL), Roubaix, Saint Brieuc, Saint-Jean-de-Monts, San Sebastian (SPA), Scheveningen (L’Aia – NL), ’s-Hertogenbosch (NL), Vittel

ARRIVI ASSOLUTI (aggiornati al 2010)

98 volte: Parigi

HUSHOVD PROMUOVE LA NORVEGIA

ottobre 4, 2010 by Redazione  
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I mondiali corsi in terra australiana hanno visto trionfare, nella corsa in linea professionisti, il possente campione norvegese Thor Hushovd che ha regolato in volata i suoi diretti avversari. Molto spavalda la condotta di gara degli azzurri che, però, raccolgono con Pozzato solo la quarta piazza.

Norvegia. L’inesistente squadra norvegese porta a casa il titolo grazie alle doti di un atleta, Hushovd, che ha saputo sfruttare il lavoro delle altre nazionali per poi infilzare tutti sulla rampa (al 5-6 %) che portava al traguardo. Lo sprint finale ha esaltato le doti del velocista vichingo che su arrivi di questo tipo è capace di esprimere al meglio la sua potenza. A differenza di altri velocisti come Cavendish e Farrar che non hanno tenuto sugli strappi brevi ma impegnativi del percorso iridato, il norvegese si è presentato agli ultimi asfissianti metri con una gamba ancora in grado di staccare da ruota avversari come Freire. Voto: 10.

Australia. La formazione di casa era stata costruita intorno a Cadel Evans, Campione del Mondo uscente, e Allan Davis, il velocista della squadra. Il primo si è fatto trovare pronto, quando la corsa si è animata grazie alla squadra italiana, entrando nella fuga insieme ai compagni O’Grady e Gerran; successivamente, non rispondendo immediatamente allo scatto di uno scatenato Gilbert, con una progressione orgogliosa ha saputo comunque ricucire lo strappo dal belga. Il secondo ha tenuto fede alle sue caratteristiche contrastando al meglio un irresistibile Hushovd e cogliendo per la sua nazionale una meritata medaglia di bronzo, ad un passo da quella d’argento conquistato da Matti Breschel (voto 8 per il danese). Voto: 9.

Italia. Corsa preparata con meticolosità dagli atleti e scelte che si sono rivelate azzeccate da parte del CT. Gli azzurri hanno interpretato al meglio le particolari caratteristiche tecniche del percorso iridato, offrendo una prova di squadra convincente ed emozionante. Due sole note da rilevare. La prima riguarda la decisione, forse non troppo razionale, di fare selezione quando mancavano ancora un’ottantina di chilometro all’arrivo. Ottenuto, tuttavia, lo scopo di portare via una fuga (comprendente, tra l’altro, gli elementi di punta delle nazionali australiana e belga), l’Italia non ha però dato al tentativo quell’impulso che avrebbe potuto imprimere avendo a disposizione ben 5 atleti, tra cui il capitano Pozzato. La seconda nota riguarda la prestazione, del tutto opaca, di Luca Paolini. L’atleta, nelle fasi finali della gara, avrebbe potuto e dovuto pilotare il nostro capitano nella volata o addirittura giocarsi le proprie chance allo sprint, mentre non è mai entrato nel vivo della corsa. Una giornata no può capitare a tutti. Voto: 8.

Belgio. Nazionale molto attesa, potendo annoverare tra le sue fila uno dei ciclisti più in forma del momento, Philippe Gilbert. Quest’ultimo, insieme ad un irriducibile Leif Hoste e a Van Avermaet, ha saputo inserirsi nel tentativo di fuga promosso dagli azzurri. Una volta esauritosi il tentativo, ha compiuto una progressione devastante sull’ultimo strappo di giornata, riuscendo a guadagnare una ventina di secondi. Purtroppo, come già è accaduto alla Liegi sul Saint Nicolas, allo scatto è seguita una fase durante la quale l’atleta si è ritrovato a corto di energie, perdendo così ogni possibilità di successo. Se avesse corso con più accortezza, con ogni probabilità avrebbe vestito la maglia iridata. Voto: 7,5

Spagna. Costretta ad impiegare i suoi atleti nel tentativo di ricucire lo strappo operato dagli italiani, trova nella nazionale russa (voto 7) un formidabile alleato per annullare ogni tentativo di fuga. Si è ritrovata nelle condizioni ideali per puntare alla maglia iridata con il suo atleta di punta, Freire. Quest’ultimo, tuttavia, ha tradito le aspettative perchè non ha avuto la forza per finalizzare la strategia della squadra. Evidentemente la sua innata abilità nel “limare” non sempre riesce a compensare le sue difficoltà nell’affrontare strappi percorsi a ritmi sostenuti. Il tre volte Campione del Mondo ha dovuto maledire la tattica della squadra italiana che l’ha obbligato a un lavoro troppo intenso per i suoi mezzi. Voto: 5

Cancellara, Farrar, Cavendish. Tutti e tre questi corridori non hanno saputo sostenere il ritmo di gara imposto, in primis, dalla nazionale italiana. Mentre il primo, nonostante le ambizioni della vigilia, può consolarsi con l’oro conquistato per la quarta volta in carriera nella prova contro le lancette, i due velocisti ritornano da Melbourne con le ossa rotte. Voto: 4.

Francesco Gandolfi

TANTE MINACCE, UN GRANDE FAVORITO

settembre 30, 2010 by Redazione  
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Mai come quest’anno la prova in linea dei professionisti si presenta aperta a moltissimi contendenti, in virtù di un tracciato di difficile decifrazione, che potrebbe lasciare aperte le porte alle più svariate soluzioni. Philippe Gilbert parte però con i gradi di uomo da battere ben cuciti addosso, forte anche di una squadra compatta attorno a lui, grazie all’assenza di Tom Boonen. Andiamo a scoprire i principali rivali degli azzurri nella lotta per il successo nella prova più attesa della rassegna iridata.

Foto copertina: Philippe Gilbert si impone all’Amstel Gold Race, cogliendo il successo più prestigioso – almeno per ora – del suo 2010 (foto Roberto Bettini)

Un Mondiale di così difficile lettura non capitava da anni. Un po’ perché per molte edizioni del Campionato del Mondo il canovaccio è stato pressappoco lo stesso – Italia impegnata ad indurire la corsa quanto più possibile, Spagna e Belgio a provare a sedarla, gli altri in caccia del colpo di mano al momento giusto -, un po’ perché mai come quest’anno regna un’enorme incertezza circa l’effettiva difficoltà del percorso. Cavendish, Farrar, Hushvod e Freire partono per vincere, evidentemente convinti che tutto si possa risolvere in uno sprint neppure troppo ristretto; Paolo Bettini fa sapere che per lui Cannonball non è neppure da annoverare tra i papabili vincitori, poiché una volata allargata è da escludere; Cadel Evans dice di puntare al bis, lasciando supporre che l’australiano, che meglio di ogni altro dovrebbe conoscere le caratteristiche del tracciato, ritenga piuttosto selettivo il circuito di casa. Difficile, dalla nostra posizione, pronunciarsi, anche perché sono innumerevoli gli esempi di percorsi che hanno dato luogo a Mondiali totalmente diversi da quelli immaginati davanti all’altimetria (si pensi a Lisbona 2001, presentato universalmente come selettivo, sul quale arrivarono invece a giocarsi il titolo, fra gli altri, Freire e Zabel).
Proprio questa incertezza contribuisce però, paradossalmente, ad individuare un vero grande favorito: Philippe Gilbert, l’uomo che più di ogni altro potrebbe adattarsi e vincere in qualsiasi situazione di corsa. Solo una volata molto folta appare infatti al di là delle possibilità del vallone; per il resto, il trionfatore dell’ultima Amstel Gold Race potrebbe imporsi di forza in caso di corsa dura, con un’azione nel finale in caso di lotta più allargata, o addirittura in un sprint privo di velocisti puri, complice la pendenza del rettilineo finale. Una pluralità di carte da giocare che potrebbe avere l’unico inconveniente di mettere in difficoltà la nazionale belga sotto l’aspetto tattico. Rendere dura la corsa potrebbe infatti da un lato agevolare l’emergere dei veri valori – e non c’è dubbio che su percorsi mossi e impegnativi Gilbert sia ora come ora il numero uno al mondo -, ma dall’altro potrebbe tagliare fuori soluzioni alternative preziose come Van Avermaet. D’altro canto, attendere il finale potrebbe allargare pericolosamente la rosa dei possibili vincitori, e le difficoltà del circuito potrebbero non essere sufficienti al 28enne di Verviers per poter fare la differenza nei chilometri conclusivi. Probabile che, alla fine, tutto dipenda dalla condizione di Gilbert: se sarà quello visto alla Vuelta, al Belgio converrà puntare forte su di lui, a costo di sacrificare ogni alternativa; se la gamba sarà meno sciolta rispetto a qualche settimana fa, è probabile che l’atleta Omega Pharma si giochi tutto con una sparata nel finale.
Nel caso in cui i belgi decidessero di inasprire la gara, potrebbero trovare un valido alleato nell’Australia di Cadel Evans, benché anche i padroni di casa abbiano valide ragioni per optare per una condotta più prudente. Ragioni che rispondono ai nomi di Allan Davis e Matthew Goss, potenziali vincitori in caso di sprint anomali. Difficile dire chi dei due sia da considerarsi come vice-capitano: Davis ha probabilmente più tenuta su tracciati mossi, Goss è parso più pimpante alla Vuelta, dove si è messo in luce per l’eccellente lavoro come apripista di Mark Cavendish.
Difficile, invece, che un grosso aiuto possa venire dal Lussemburgo di Frank Schleck; non perché in squadra vi siano valide alternative al corridore della Saxo Bank, ma perché tanto Andy Schleck quanto Kim Kirchen sono stati costretti al forfait, lasciando sostanzialmente isolato il maggiore dei fratelli. Una situazione che susciterà senz’altro la solidarietà di Alexandr Kolobnev: per quanto Karpets e Gusev offrano garanzie maggiori di Gastauer e Didier, non sembrano comunque un cast di supporto tale da poter traghettare finalmente il leader al primo successo di prestigio in carriera, dopo una sfilza di piazzamenti da far invidia all’Evans pre-Mendrisio. Il problema, per il corridore della Katusha, sarà il solito: per vincere dovrà andarsene da solo, dal momento che in volata partirebbe battuto contro chiunque o quasi, e il percorso non sembra tale da potergli consentire un assolo.
Uomini potenzialmente pericolosi in caso di corsa dura li avrebbe anche la Spagna, che schiererà al via Samuel e Luis Leon Sanchez. “Avrebbe” soltanto, però, giacché è quasi certo che gli iberici adottino la stessa tattica delle stagioni passate (tranne Mendrisio, quando davvero un epilogo allo sprint era pressoché impossibile), mirando cioè a tenere cucita la corsa fino in fondo, giocandosi poi la carta Freire in caso di sprint. Una scelta comprensibile, poiché avrebbe probabilmente più chance Freire contro Cavendish, Hushovd e Farrar – anche grazie al rettilineo finale in ascesa -, rispetto ai due Sanchez contro Gilbert, Pozzato e gli altri possibili attaccanti. Pesante, in ogni caso, l’assenza di Joaquin Rodriguez, che sarebbe senz’altro stato fra i grandi favoriti in caso di forte selezione.
A capeggiare la schiera di chi ambisce a tenere chiusa la corsa fino al possibile sprint finale, a logica, dovrebbe essere la Gran Bretagna di Mark Cavendish, che potrà però contare su appena due compagni di squadra. Al suo posto potrebbe però subentrare la nazionale statunitense di Tyler Farrar, che avrà invece al suo fianco ben 8 atleti, pressoché interamente a sua disposizione. Fra i due, Cavendish sarebbe senz’altro favorito in uno sprint canonico, ma non si può sottovalutare la pendenza degli ultimi 500 metri, che potrebbe far scendere le quotazioni di Cannonball più di quelle dello yankee.
In caso di finale in volata, la principale alternativa al duo anglofono potrebbe essere rappresentata da André Greipel, già vincitore di 21 corse in questa stagione e fresco di tris di traguardi parziali al Giro della Gran Bretagna, anche se la tenuta su lunghe distanze e percorsi mediamente impegnativi del tedesco non è propriamente al di sopra di ogni sospetto.
Se Cavendish dovrà far fronte al problema degli appena due compagni, Boasson Hagen e Hushovd dovranno invece accontentarsi di mezzo. La Norvegia, infatti, si schiererà al via con un gregario e due capitani, entrambi temibilissimi in virtù della loro tenuta su percorsi vallonati. Tutti e due potrebbero dire la loro in caso di volata (non necessariamente ristretta), ma è presumibile che sia il più esperto Thor a disputare lo sprint, e che Boasson possa tentare di inserirsi in qualche azione all’ultimo giro, per poi far valere il suo spunto veloce.
Una situazione non molto dissimile da quella della Slovacchia, che avrà in Peter Sagan una delle incognite più significative della gara e in Peter Velits un atleta che con il 3° posto finale alla Vuelta si è candidato ad un possibile ruolo da protagonista. Certo, per entrambi potrebbe pesare il fattore età (25 anni Velits, addirittura solo 20 Sagan, che praticamente mai si è confrontato con una gara di questo chilometraggio), e il più adatto al tracciato (Sagan) non coincide con il più in forma (Velits), avendo raccolto i cinque successi stagionali tutti nei primi mesi dell’anno, tra Parigi – Nizza, Romandia e California.
Fra le nazionali con meno tradizione, da tenere d’occhio anche il duo neozelandese Henderson – Dean, entrambi temibili in caso di arrivo allo sprint – anche se verosimilmente più per un piazzamento che per il successo -, e il bielorusso Yauheni Hutarovich, capace addirittura di battere in rimonta Mark Cavendish a Marbella nella 2a tappa dell’ultima Vuelta.
Per paesi di non grande storia ciclistica alle spalle che si ritrovano quest’anno con addirittura due carte da giocare per puntare al titolo, due superpotenze ciclistiche tradizionali arrivano invece all’appuntamento australiano senza neanche un vero candidato al successo. Si tratta di Olanda e Francia, che non vincono rispettivamente da 25 e 14 anni, e che partono con grossissime chance di prolungare questa astinenza almeno fino al prossimo anno. I tulipani saranno infatti privi dell’unica stella di prima grandezza del loro attuale movimento, Robert Gesink, mentre Sylvain Chavanel, pure tutt’altro che trascurabile minaccia, non sembra comunque in grado di poter rivaleggiare con Gilbert, Pozzato e gli altri favoriti.
Ultimo ma non ultimo, non si può non venire a parlare di Fabian Cancellara, che abbiamo volutamente lasciato in fondo perché, in parte assieme a Gilbert, con cui abbiamo aperto, e a Pozzato, di cui abbiamo detto in altra sede (a tal proposito, correzione dovuta: le riserve saranno Gasparotto e Nocentini, e non quest’ultimo e Tonti, come da noi precedentemente indicato), è probabilmente l’unico corridore sulla cui condotta tattica non si possono azzardare ipotesi, complice il pochissimo sostegno che verosimilmente potrà avere dai compagni di squadra. Cancellara ha dimostrato a Mendrisio di poter vincere un Mondiale anche selettivo, ed è naturalmente predisposto ad una corsa d’attacco (si pensi agli ultimi Fiandre e Roubaix). D’altro canto, l’elvetico potrebbe anche decidere di tenersi tutto per il finale, tentando poi un’azione negli ultimissimi chilometri ad anticipare lo sprint. Perché un eventuale allungo di Cancellara nel finale possa risultare decisivo, potrebbe bastare che il gruppo gli ceda 10 metri sullo scatto, e il fatto che un’azione del genere sia abbastanza prevedibile in caso di situazione di corsa propizia non garantisce che questa non possa riuscire ugualmente. In certi momenti, tenere la ruota di Cancellara in pianura può infatti risultare difficile quanto tenere quella di un grande scalatore in montagna. E dopo quanto visto nella prova a cronometro di oggi, stravinta con la consueta, disarmante superiorità, è legittimo sospettare che questo sia uno di quei momenti.

Matteo Novarini

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