BATTI UN CINQUE – 1970, IL SECONDO TOUR DI MERCKX
Il 1970 è l’anno della prima delle tre doppiette Giro-Tour per Eddy Merckx. In quell’edizione della Grande Boucle praticamente si lottò solo per il secondo posto e, se non ci fossero stati i sei giorni in giallo di Italo Zilioli, il “cannibale” avrebbe vestito le insegne del primato dalla prima all’ultima tappa di un Tour che mise in evidenza anche una serie d’interessanti giovani.
Inevitabile.
Se, dopo Fausto Coppi e Jacques Anquetil, all’inizio degli anni ’70 c’era un corridore che poteva conseguire la storica doppietta Giro-Tour, quel corridore non poteva che essere Eddy Merckx. L’aveva già messa in cantiere nel 1969 ma l’espulsione dalla Corsa Rosa aveva rinviato il progetto di dodici mesi, alla sesta stagione da professionista del corridore belga, che prima di Giro e Tour aveva vinto la Gand-Wevelgem, la Parigi-Roubaix, la Freccia Vallone, due tappe al Giro di Sardegna, tre tappe e la classifica finale alla Parigi-Nizza, due tappe e la classifica del suo Giro del Belgio. Poi si era schierato ai nastri di partenza del Giro e lo aveva vinto conquistando tre tappe (Saint-Vincent, Brentonico e la cronometro di Treviso) e imponendosi con un vantaggio di 3’14” su Felice Gimondi. L’inarrestabile marcia del belga passa poi per il campionato nazionale, che vince una settimana prima della partenza del Tour da Limoges, al via del quale è già palese che si lotterà quasi certamente solo per il secondo posto. È un Tour che, oltre al “cannibale”, vede al via una serie d’interessanti giovani come l’olandese “Joop” Zoetemelk (vincitore del Tour de l’Avenir l’anno precedente), lo svedese Gösta Pettersson, il belga Lucien Van Impe, lo spagnolo Luis Ocaña e il francese Bernard Thévenet. Non sembrano, invece, offrire grosse garanzie i “grandi vecchi” del ciclismo transalpino, il trentenne Roger Pingeon e il trentatreenne Raymond Poulidor, che non si è ancora del tutto ripreso da un recente attacco di “fuoco di Sant’Antonio”. Difficilmente, infine, i corridori italiani potranno lottare anche solo per un piazzamento sul podio perché i più valorosi sono rimasti a casa (Gimondi, Vittorio Adorni, Gianni Motta) e l’unico nome interessante è quello di Italo Zilioli, che però è un compagno di squadra di Merckx e deve quindi sottostare a obblighi di scuderia. Il torinese riuscirà comunque a vestire per quasi una settimana la maglia gialla, togliendola al proprio capitano nella tappa di Angers per poi riconsegnargliela al termine della frazione di Valenciennes, periodo nel quale Merckx scenderà dal primo al secondo posto della classifica: se non ci fosse stato Zilioli il Tour del 1970 sarebbe stato un assolo di Merckx, maglia gialla dal primo all’ultimo giorno.
Infatti, è Merckx a imporsi nel cronoprologo di poco più di 7 Km che apre la corsa transalpina precedendo di 4” il francese Charly Grosskost, con il vincitore del Tour 1968 Jan Janssen terzo a 8”. Sono così già costretti a inseguire Ocaña (6° a 15”), Zoetemelk (9° a 20”), Pettersson (10° a 23”), Poulidor (10° a 23”), Pingeon (26° a 34”), Thévenet (40° a 38”) e Van Impe (50° a 43”). Il primo italiano è Giancarlo Polidori, 21° a 31”, mentre Zilioli è 29° a 35”.
La prima tappa in linea, 224 Km da Limoges a La Rochelle, è prima caratterizzata da un breve tentativo di fuga nel quale s’inseriscono anche il capoclassifica e Van Impe, poi dall’errore in cui incappano tre corridori – l’italiano Marino Basso e i belgi Walter Godefroot ed Eric Leman – che scambiano il primo passaggio dal traguardo per l’arrivo vero e proprio e s’impegnano in un’inutile volata. Quella vera, pochi chilometri più avanti, è appannaggio del francese Cyrille Guimard, futuro direttore sportivo di Bernard Hinault e Laurent Fignon, che allo sprint regola Janssen e Merckx, che così s’intasca anche i cinque secondi d’abbuoni spettanti al terzo piazzato.
Arriva quindi il giorno della maglia gialla di Zilioli, che la veste ad Angers dopo esser andato in fuga con altri sei corridori per quasi 160 Km e aver raggiunto lungo la strada un vantaggio massimo di quasi sei minuti, poi ridotto a soli 24 secondi dalla veemente reazione del gruppo.
Tra il torinese e il belga in classifica ci sono 4 secondi, un gap destinato a rimanere intatto il mattino successivo quando la formazione dei due corridori, la Faema-Faemino, s’impone nella breve cronosquadre di 11 Km disegnata sulle stesse strade di Angers. Per Merckx è un’altra nutrita infornata di secondi (come al solito in quei tempi valevano soltanto gli abbuoni e non i tempi reali) prima di rimettersi in sella per la pomeridiana semitappa verso Rennes, dove la festa italiana viene prolungata dal successo allo sprint di Basso, che si riscatta della figuraccia di due giorni prima prevalendo allo sprint proprio su un altro protagonista di quell’episodio, Godefroot.
Anche quest’ultimo trova la maniera di “riabilitarsi” conquistando la tappa che si conclude a Lisiuex, movimentata sia da un attacco di Merckx (tra i nomi più attesi Zoetemelk e Ocaña perdono 11 secondi, mentre Pingeon, Van Impe e Thévenet lasciano per strada più di un minuto), sia da diversi incidenti, in uno dei quali sono coinvolti gli italiani Luciano Armani, Arturo Pecchielan e Pietro Tamiazzo, tutti e tre costretti al ritiro (in particolare Tamiazzo, che rimedia una frattuta alla colonna vertebrale).
Alla vigilia del pavè si disputa un’altra frazione suddivisa in due semitappe, la prima delle quali viene condotta ad altissima velocità dal gruppo (media finale di oltre 45.348 Km/h) in seguito ad una girandola di attacchi e contrattacchi che vedono impegnata in prima persona la squadra di Merckx nel tentativo di riprenderli, soprattutto quando a muoversi è Herman Van Springel, il corridore belga che potrebbe costituire un avversario pericoloso per il “cannibale” avendo perduto per soli 38 secondi il Tour nel 1968. Registrato il bis di Godefroot in quel di Rouen, non meno “lenta” (44.440 Km/h) si rivela anche la semitappa diretta ad Amiens, dove a cogliere la vittoria è il belga Jozef Spruyt.
Capitan Merckx avrà gradito lo “scippo” della maglia gialla da parte del suo luogotenente? Il dubbio che serpeggia in carovana sin dalla tappa di Amiens trova una risposta sulle strade della Roubaix e quella risposta è un secco no perché quando Zilioli fora a 32 Km dall’arrivo nessuno dei suoi lo aiuta a rientrare. D’ora in avanti in casa Faema si corre solo per il belga, anch’esso colpito dalla sorte avversa con la rottura di una ruota nel finale, incidente dopo il quale riesce a rientrare sulla testa della corsa quando manca un chilometro al traguardo di Valenciennes, dove a imporsi è Roger de Vlaeminck. Senza alcun aiuto Zilioli riesce comunque a contenere il distacco in un minuto e ventuno secondi, ma è costretto a riconsegnare il “maltolto” al suo capitano, che torna in giallo con 5” su Godefroot al termine di una tappa nella quale il belga ha guadagnato anche sugli altri rivali: paritempo con Eddy hanno concluso solo Poulidor e Zoetemelk, mentre Ocaña ha perduto cinquanta secondi, Petterson un minuto, Van Impe due minuti, Pingeon quasi tre minuti e Thévenet quattro minuti.
E così, come accaduto l’anno prima, Merckx si presenta sulle strade di casa con la maglia gialla, destinata a diventare ancora più “raggiante” sul traguardo di Forest, al quale il belga si presenta in solitaria con venti secondi di vantaggio sul connazionale Van Impe e quaranta secondi prima della volata del gruppo nel quale ci sono tutti gli altri big. Il colpo riuscitogli al mattino gli sfugge, invece, al pomeriggio in quella che doveva essere la tappa più congeniale ai suoi mezzi, una breve crono di 7 Km nella quale viene relegato in seconda posizione per soli tre secondi dal sorprendente spagnolo José Antonio González, mentre tutti gli altri accusano distacchi abbastanza contenuti proprio per la limitatezza del chilometraggio.
Si sconfina anche in Germania (la tappa di Felsberg è vinta dal francese Alain Vasseur, padre di quel Cédric che vestirà per 5 giorni la maglia gialla al Tour del 1997) prima di rientrare in Francia con la prima frazione di montagna, che è anche la più lunga di questa edizione. Superando le cime dei colli della Schlucht, del Grand Ballon e di Silberloch si devono percorre quasi 270 Km per andare a Mulhouse, traguardo dove si assiste a una volata tra due corridori della Frimatic, con il portoghese Agostinho che taglia per primo la linea d’arrivo ma viene poi retrocesso dalla giuria al secondo posto per essersi aggrappato alla maglia del danese Mogens Frey, il suo compagno di squadra che sarà poi decretato vincitore. Tre secondi dopo questo contestato epilogo giunge sul traguardo un gruppo foltissimo, forte di ben 80 corridori nonostante la lunghezza della frazione e la sua altimetria perché quasi nessuno oggi ha provato un attacco ai danni di Merckx, che si è limitato a inseguire un tentativo di Zoetemelk provocando un temporaneo cedimento di Poulidor e Ocaña.
Approfittando del disinteresse generale Merckx s’inventa il giorno dopo un’altra impresa alla “Mourenx”, come quella messa in scena l’anno prima nel tappone pirenaico. È un attacco a sorpresa quello del belga, anche perché la tappa che termina a Divonne-les-Bains è una poco appetitosa frazione di media montagna, sul cui terreno lo stesso a guadagnare parecchio sugli svogliati avversari. Stavolta non è da solo perché al traguardo si presenta in compagnia dell’italiano Guerrino Tosello e del connazionale Georges Pintens, mentre 25 secondi più tardi taglia la linea d’arrivo Zoetemelk, che aveva preso parte al tentativo messo in opera dal “cannibale”. I distacchi degli altri favoriti non sono clamorosi come quelli dell’anno prima ma fanno comunque sensazione, perché Petterson paga quasi 3 minuti mentre bisogna attendere 5 minuti e mezzo per vedere al traguardo la sagoma di Poulidor e oltre 12 minuti per l’arrivo di Ocaña.
Poche ore più tardi ha nuovamente l’occasione di allungare in classifica perché a Divonne si disputa un’altra breve cronometro, che era stata inserita anche nel percorso del Tour del 1969. Sono poco meno di 9 Km nei quali il belga bissa il successo ottenuto l’anno precedente respingendo indietro l’incubo del corridore che l’aveva battuto pochi giorni prima, lo spagnolo González, che si deve accontentare del secondo posto con 9” secondi di ritardo. Il giorno stesso si corre una frazione di circa 140 Km che si conclude su un traguardo in quel periodo benevolo per i corridori italiani, quello di Thonon-les-Bains dove l’anno prima si era imposto Michele Dancelli, al quale succede Basso, vincitore allo sprint su Janssen e Godefroot. Intanto, dopo Tamiazzo un altro corridore italiano è costretto a lasciare il Tour per un grave infortunio: è il pesarese Enrico Paolini, che viene ricoverato in rianimazione dopo aver riportato la frattura del cranio.
E così quando ancora devono cominciare le grandi tappe di montagna il primato in classifica di Merckx sembra già inaffondabile perché alle porte delle Alpi il belga si presenta con un vantaggio di tre minuti spaccati su Zoetemelk, di 4’24” su Pintens, di quasi otto minuti su Petterson e di quasi nove su Poulidor. La musica non cambierà nemmeno al traguardo di Grenoble, dove è ancora il belga a transitare in prima posizione e in quest’occasione senza corridori al suo fianco perché ha fatto tutto da solo. È partito sul penultimo dei cinque colli in programma, il Cucheron, ha raggiunto e superato in discesa il corridore che si trovava in testa alla corsa, lo spagnolo Andrés Gandarias, e senza alcuna compagnia ha coperto l’ultima trentina di chilometri, presentandosi sulla pista del velodromo di Grenoble con 1’35” di vantaggio su un altro iberico, Luis Zubero, e con 2’07” sull’italiano Silvano Schiavon, lo stesso distacco dello svedese Petterson. Janssen, Van Impe, Zoetemelk e Poulidor terminano nel gruppetto di una dozzina di corridori che completa la tappa con tre minuti di ritardo dal “cannibale”, mentre Ocaña cede ancora e perde altri 18 minuti.
La seconda frazione alpina pare più una tappa di trasferimento verso il Mont Ventoux in programma il giorno successivo perché si devono affrontare salite dalle pendenze gradevoli come l’inedito Col du Noyer e il Col de la Sentinelle, posto a ridosso del traguardo di Gap. È un’ottima occasione per i cacciatori di tappe e ne approffitta l’italiano Primo Mori (padre dei fratelli, pure corridori, Manuele e Massimiliano), che consegue la sua prima vittoria da professionista precedendo di 1’17” l’olandese Marinus Wagtmans e di 2’30” un gruppetto di quattro corridori nel quale, manco a dirlo, c’è ancora Merckx, che anche oggi è riuscito a distanziare i rivali (escluso Van Impe), giunti al traguardo con una quarantina di secondi di ritardo, eccettuato Ocaña che pure oggi ha incassato un pesante passivo di quasi 25 minuti. La gioia per il tempo guadagnato lascia, però, subito lo spazio al dolore perché immediatamente dopo aver tagliato il traguardo gli viene comunicata la notizia della scomparsa di Vincenzo Giacotto, il manager della sua squadra al quale Merckx era legatissimo: i fotografi presenti sulla linea d’arrivo lo immortalano piegato in due mentre piange accanto alla sua bicicletta, meditando di dedicargli l’indomani la vittoria sul Ventoux.
Sul “Gigante della Provenza” il belga (e non solo lui) corre un bel rischio, forse strafacendo con la doppia intenzione di onorare la memoria di Giacotto e di ampliare ancora di più il suo predominio. Arriva sfinito al traguardo con poco più di un minuto di vantaggio sul connazionale Martin Van Den Bossche, che subito dopo crolla svenuto. Lo stesso capita a Merckx quando, durante un’intervista del dopotappa, avverte il giornalista di sentirsi mancare l’aria, si accascia ed è necessario l’intervento di un medico con la bombola dell’ossigeno per farlo riprendere. Sono due episodi che scatenano il malumore in un gruppo nel quale è ancora vivo il ricordo della tragica morte di Tom Simpson sul Ventoux al Tour di 5 anni prima e si chiede che la salita non venga mai più inserita nel tracciato della corsa, perché lassù “si rischia la vita” (parole di Merckx) e perché, come lamenta Poulidor, anche se i corridori sono pagati per correre determinati rischi, a tutto c’è un limite. Sarà anche per questo motivo che nel 1972 gli organizzatori proporranno la scalata al monte dal versante opposto, molto meno impegnativo e quasi tutto al “verde”. La cronica mancanza d’ossigeno in vetta al “Monte Calvo” non ha impedito, però, al campionissimo belga di “banchettare” dei rivali, giunti staccatissimi ai piedi dell’osservatorio: Thévenet paga 1’25”, “Poupou” 1’31”, Petterson 1’39”, Zoetemelk 2’44”, Ocaña a 8’19” e, al di là di tutte le Alpi, Merckx si ritrova ad avere un vantaggio di 9’26” su Zoetemelk e di 11’21” su Petterson.
Per arrivare ai piedi dei Pirenei bisogna affrontare tre facili tappe di trasferimento, la prima delle quali termina a Montpellier con uno sprint falsato dalle pessime condizioni della pista d’atletica in terra battuta sulla quale gli organizzatori hanno collocato il traguardo. Pochi minuti prima dell’arrivo si pensa di bagnarla con un getto d’acqua per renderla più compatta, operazione che si rivela una toppa peggiore del buco perché i corridori si ritrovano a sprintare su una specie di poltiglia che prima causa la caduta di Janssen, poi quella di Godefroot e infine la frenata di Basso, che in questo modo evita di ruzzolare anch’esso ma si gioca la possibilità di vincere la tappa, venendo preceduto in volata da Wagtmans.
La tappa di Tolosa termina con la vittoria del belga Albert Van Vlierberghe, andato in fuga con l’italiano Attilio Benfatto. La frazione è tranquilla per tutti gli altri uomini di classifica che viaggiano con la mente già proiettata alle prossime giornate di montagna, ma non per Merckx al quale capita un piccolo infortunio quando mancano 5 Km dall’arrivo. Improvvisamente un piccolo grido rompe la calma del gruppo e si vede il belga fermarsi e coprirsi un occhio con le mani, dopo esser stato colpito proprio in quel punto da un sasso, proiettato dalla strada al suo volto dopo che sopra ci era passata la ruota di un corridore. Eddy è costretto a fermarsi un attimo ma poi, valutata la situazione e notato che non c’erano state conseguenze, rimonta in sella e, con l’aiuto dei compagni di squadra e favorito dalla velocità non troppo elevata, nel giro di un chilometro riesce a rientrare in un gruppo che neanche si è accorto dell’incidente occorso alla maglia gialla.
Annunciato alla partenza come uno dei giovani più promettenti e uno dei pochi che avrebbe potuto mettere in difficoltà Merckx (e il Tour dell’anno confermerà queste previsioni), lo spagnolo Ocaña trova l’opportunità di riscattare una corsa per lui fallimentare azzeccando la fuga a 40 Km dal traguardo di Saint-Gaudens, dove giunge in perfetta solitudine con il beneplacito della squadra della maglia gialla – anche perché a questo punto ha un ritardo che supera abbondantemente l’ora – e con poco meno di tre minuti di vantaggio su di un gruppo che anche oggi ha viaggiato al piccolo trotto per risparmiare energie in vista delle ultime tappe di montagna.
Per l’indomani il Tour strombazza sull’altimetria il nome del Tourmalet, anche se in realtà si affrontano solo i primi 12 Km della mitica ascesa, fino alla località di La Mongie dove si conclude una tappa di 135 Km che propone anche le salite ai colli di Menté, del Peyresourde e dell’Aspin. La frazione si rivela molto deludente perché quasi nessuno approfitta – per mancanza di forze, di volontà o di coraggio – di un altro problema fisico di Merckx che, dopo il malore sul Ventoux e il sassolino nell’occhio a Tolosa – oggi soffre di mal di stomaco e, nonostante questo handicap, riesce comunque a far meglio dei rivali, tra i quali gli unici a riuscire a far leva sulle piccole crepe del belga sono il francese Thévenet, che s’impone per la gioia dei francesi nel giorno dell’anniversario della presa della Bastiglia, il belga futuro compagno di squadra Van Den Bossche e l’altro connazionale Van Impe. Gli altri, invece, perdono anche contro un Merckx a mezzo servizio, con Zoetemelk che gli “concede” altri 31 secondi, Petterson che finisce a un minuto dal belga, Ocaña che risorge dopo la vittoria del giorno prima e termina a 1’13” e Poulidor che conclude la tappa quasi 4 minuti dopo l’arrivo di Eddy.
L’ultima tappa di montagna è stata pensata dagli organizzatori come un omaggio a Merckx perché s’è stabilito di riproporre la frazione di Mourenx dove l’anno prima fu autore di una fantastica impresa, rendendola però più “complicata” per il belga accorciandola di 30 Km e depennando le prime due salite, che già erano state affrontate il giorno prima (Peyresourde e Aspin). La partenza viene così spostata da Luchon a Bagnères-de-Bigorre – scalando in partenza il Tourmalet dallo stesso versante della tappa di La Mongie e poi l’Aubisque – e viene allungato il tratto privo di difficoltà successivo all’ultimo colle portandolo a 90 Km. La tappa così modificata si rivela, però, tutt’altro che selettiva, anche se a un certo punto Merckx era riuscito a ridurre il gruppo dei migliori a soli nove corridori accelerando nella discesa dal Tourmalet, affrontata sotto la pioggia. I quasi cento chilometri di “nulla” dopo l’ultimo colle permettono al gruppo di tornare a ricompattarsi sino a risultare composto di 45 corridori al traguardo di Mourenx, dove viene preceduto di due minuti e mezzo dal francese Christian Raymond. E per Merckx è un’altra tappa portata a termine dopo aver dovuto ancora fare i conti con un incidente di percorso sfuggito agli avversari, una capocciata presa sulla fiancata della sua ammiraglia in seguito ad una sbandata, avvenuta mentre un meccanico gli stava oliando la catena.
Passati senza squilli i Pirenei, ora il “cannibale” può rompere la sua dieta e tornare a guadagnare perché il giorno successivo – dopo una semitappa vinta allo sprint dal tedesco Rolf Wolfshohl, che precede al fotofinish l’italiano Franco Mori, inizialmente proclamato vincitore e fatto salire sul podio delle premiazioni, dove ha fatto a tempo anche a ricevere il rituale bacio della miss – è prevista la quinta “minicrono” di questo Tour dopo quelle disputate a Limoges, Angers, Forest e Divonne. Le ha quasi tutte vinte il belga – quella di Angers in compagnia, essendo la cronosquadre conquistata dalla Faema, mentre a Forest era stato sorpreso dallo spagnolo González – e anche quella disegnata sul circuito del lago artificiale di Bordeaux va ad arricchire il carniere del cannibale, che in 8 Km e 200 metri respinge di 12” lo svedese Tomas Petterson (fratello minore di Gösta) e di 13” Ocaña, galvanizzato dal fatto di correre su strade amiche perché, pur essendo spagnolo di nascita, dall’infanzia si è trasferito con i genitori in Francia, stabilendosi a Mont-de-Marsan.
C’è un’altra cronometro da disputare, collocata all’ultimo giorno di gara e decisamente più “extralarge” nel chilometraggio, ma per arrivarci ci si deve prima sciroppare altre due lunghe tappe di trasferimento che si rivelano essere di ordinaria amministrazione per Merckx, anche se il belga nella prima delle due frazioni – che termina a Tours con il terzo successo di Basso – si è fatto vedere in testa al gruppo per un breve tratto, mettendosi a tirare ad altissima velocità, e poi si è imposto nella volata di un inutile Gran Premio della Montagna di quarta categoria.
Da Versailles, dove il giorno prima la penultima tappa era terminata con l’affermazione allo sprint del francese Jean-Pierre Danguillaume, il 19 luglio scatta l’atto conclusivo del Tour 1970, una prova contro il tempo di 54 Km che non può che terminare con un’ennesima affermazione di Merckx, l’ottava per la precisione. Sulla pista della Cipale il responso dei cronometri è ancora tutto a favore del belga e stavolta i distacchi non sono quelli ridotti delle microtappe inserite a profusione in questo Tour: il primo dei “terrestri” è Ocaña, che ha messo alle spalle i problemi di salute che ne hanno condizionato il rendimento nei tapponi alpini e ha terminato la tappa con 1’47” di ritardo dal marziano in maglia Faema. Terzo a 2’15” è Petterson, quarto a 2’37” Zoetemelk, settimo a 3’08” Poulidor: sono le ultime briciole di un Tour dove Merckx s’è fatto un’altra bella scorpacciata e ha portato a casa la classifica degli scalatori, quella della combattività e quella combinata, oltre ad essere salito sul podio parigino con 12’41” su Zoetemelk e 15’54” su Petterson. E avrebbe fatto sua anche quella a punti se Godefroot non l’avesse sopravanzato di 5 miseri punticini.
E la doppietta è servita.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: presenti solo le tre tappe alpine (12a – 13a – 14a tappa), le due pirenaiche (18a – 19a tappa), la prima semitappa della 20a tappa, la 21a e la 22a tappa










Merckx stravolto al traguardo del Ventoux, subito prima del collasso che renderà necessario l'intervento di un medico con una bombola d'ossigeno per rianimarlo
BATTI UN CINQUE – 1969, IL PRIMO TOUR DI MERCKX
Arriva Merckx al Tour e non ce n’è per nessuno. Si porta addosso la rabbia per la “cacciata” dal Giro d’Italia e la mette tutta nei pedali, riuscendo a imporsi in classifica, al suo primo Tour, con oltre un quarto d’ora di vantaggio sul corridore giunto secondo, l’italo-francese Roger Pingeon. E nasce così la leggenda del “cannibale”.
Merckx contro tutti.
Contro i più quotati avversari, contro sé stesso, contro le recenti vicende che l’hanno visto esplulso dal Giro d’Italia dopo esser stato scoperto positivo a un controllo antidoping, un verdetto che lui ha sempre rigettato e che ha suscitato parecchie perplessità anche tra i suoi colleghi e tra molti giornalisti. La stessa Unione Ciclistica Internazionale gli è venuta incontro, riducendo di qualche giorno la sospensione di un mese dalle corse per permettergli di essere al via del Tour che scatta il 28 luglio da Roubaix tra mille dubbi.
Quasi un mese senza gare avrà intaccato la tenuta del belga in una corsa di tre settimane? Sapranno i suoi più accreditati rivali approfittarne di questa particolare situazione? Oltre a Merckx ci sono almeno tre corridori che si presentano ai nastri di partenza con velleità di vittoria finale, a cominciare da Jan Janssen, che l’anno prima si era imposto nella classifica finale ed era stato il primo olandese a riuscirci. L’Italia è rappresentata da Felice Gimondi, che il Tour l’ha vinto quattro anni prima, e un pochino anche dal francese Roger Pingeon, che ha vinto nel 1967 e che ha profonde radici piemontesi essendo la nonna materna originaria di Bernezzo, piccolo centro alle porte di Cuneo. Altri nomi interessanti sono quelli del francese Lucien Aimar (primo al Tour del 1966 ma che corre in squadra con il vincitore uscente Janssen), del suo connazionale Raymond Poulidor e del “vecchio” connazionale di Merckx Rik Van Looy (35enne, si ritirerà l’anno successivo), mentre tra gli altri azzurri risalta la presenza di Marino Basso, Michele Dancelli, del campione olimpionico in carica Pierfranco Vianelli, di Dino Zandegù, del due volte vincitore del Giro Franco Balmamion e di Wladimiro Panizza. Ci sono anche tre giovani corridori che saranno in futuro protagonisti della corsa francese come lo spagnolo Luis Ocaña, il belga Lucien Van Impe e il portoghese Joaquim Agostinho.
Su tutti, però, si abbatterà come una mannaia il furore di Merckx, che deve ancora smaltire la rabbia dell’esclusione dalla Corsa Rosa e la metterà tutta nei pedali, unitamente alla classe che lo contraddistingue: a Parigi il secondo classificato accuserà 17’54” di ritardo!!! E pensare che era totalmente digiuno di Tour, corsa alla quale prendeva parte per la prima volta in carriera.
Vorrebbe subito la maglia gialla Merckx, anche perché dopo il cronoprologo di Roubaix è in programma uno sconfinamento in Belgio e ci tiene da matti a indossarla orgoglioso davanti ai suoi tifosi. Riuscirà a farlo, ma solo il giorno dopo perché nella breve crono con arrivo nel celebre velodromo il tempo migliore è quello del tedesco Rudi Altig, che precede l’agguerrito belga di sette secondi. Tra i corridori più attesi Gimondi è 5° a 21”, Poulidor 6° a 22”, Janssen 9° a 27” e Pingeon 12° a 32”.
Il giorno successivo sono previstedue semitappe, entrambe con arrivo a Woluwe-Saint-Pierre, cittadina situata pochi chilometri a sud-est di Bruxelles. La frazione mattutina non è particolarmente impegnativa – c’è il Muro di Grammont, ma a un’ottantina di chilometri dall’arrivo – e termina con una volata di gruppo vinta dal vicentino Marino Basso davanti a Janssen, che riesce così a racimolare l’abbuono di 10 secondi riservato al secondo. Non è stata comunque una passeggiata, perché per due volte aveva tentato la fuga – prima da solo e poi in un gruppetto nel quale c’erano Gimondi, Dancelli e Janssen – un voglioso Merckx, che dovrà attendere la cronosquadre pomeridiana per far sua la maglia gialla. Si corre su di un circuito di 8 Km che deve essere ripetuto due volte e che prevede l’assegnazione di abbuoni al posto dei reali distacchi, che vengono comunque registrati dai cronometristi: nove sono i secondi con i quali la Faema di Merckx precede la BIC di Janssen e la Salvarani di Gimondi e Altig, mentre la Peugeot di Pingeon è 5a a 26” e la Molteni di Basso (la formazione nella quale il “cannibale” passerà nel 1971) 7a a 48”. E ora le prime piazze della classifica s’invertono con lo scambio di posizioni tra Merckx e Altig, separati da 8”, mentre si conferma al terzo posto Janssen, staccato di 20”.
Prima di far rientro in Francia è prevista una movimenta tappa sulle strade della Vallonia diretta alla cittadina olandese di Maastricht. I saliscendi ispirano un tentativo di otto corridori, tra i quali ci sono il secondo e il terzo della classifica, che rimangono in avanscoperta per una sessantina di chilometri. La squadra di Merckx controlla agevolmente e alla fine concede spazio a un gregario del belga, il connazionale Julien Stevens, uscito dal gruppo sulla “côte” piazzata a nove chilometri dal traguardo assieme ad altri tre corridori, tra i quali c’è Balmamion. Ed è proprio Stevens a far sua la frazione, riuscendo anche a conquistare la maglia gialla con 12 secondi di vantaggio sul suo capitano.
La tappa che riconduce il Tour in patria ripercorre nuovamente le colline della Vallonia per poi approdare a Charleville-Mézières dove – dopo la lunga fuga da lontano del belga Jozef Timmermann, arrivato ad accumulare fino a 18 minuti di vantaggio – si assiste al secondo arrivo allo sprint di questa edizione del Tour, nel quale Basso si deve stavolta accontentare del secondo posto, preceduto dal belga Eric Leman.
Anche la successiva frazione di Nancy, molto più semplice e lineare della precedente, dovrebbe secondo le previsioni terminare in volata. A un certo punto, invece, ci prova a sorpresa Pingeon e l’immediata reazione di Merckx è così forte provocare una temporanea selezione del gruppo dei migliori, nel quale rimangono anche Gimondi, Dancelli, Janssen e Poulidor. Tornate calme le acque in gruppo, quando mancano quasi 120 Km al traguardo se ne esce tutto solo il “vecchio” Van Looy, che indisturbato arriva a guadagnare fino a 12’25” di vantaggio, vestendo virtualmente per un lungo tratto la maglia gialla, per poi presentarsi al traguardo di Nancy con una quarantina di secondi su un gruppetto di sette corridori nel quale ci sono due italiani (Zandegù, terzo, e Panizza, che si porta al quinto posto della classifica) e Stevens, uscito per difendere la sua maglia gialla e riuscito a distanziare di poco più di un minuto il grosso del gruppo. Ora il belga ha portato il suo vantaggio in classifica su capitan Merckx a 1’37”, mentre al secondo posto è risalito un altro corridore riuscito ad avvantaggiarsi nel finale, il francese Désiré Letort, 2° a 1’28”.
La tappa di Mulhouse propone le prime salite di una certa consistenza, anche se non sembrano ostacoli insormontabili i colli della Schlucht e di Firstplan, leggeri antipasti all’arrivo in salita al Ballon d’Alsace previsto per il giorno successivo. Bastano, però, per cambiare il volto della maglia gialla perché Stevens si presenta al traguardo tre minuti e mezzo dopo l’arrivo del vincitore, il portoghese Agostinho, andato in fuga sulle salite e giunto a Mulhouse con 18” di vantaggio sul gruppo dei migliori, selezionatosi a una ventina di elementi dopo che Merckx era riuscito leggermente ad avvantaggiarsi sul Firstplan. Il nuovo capoclassifica è il corridore che alla partenza da Nancy era secondo, il francese Letort, che ha 9” su Merckx, 17” su Altig e 23” su Panizza.
La prima tappa di vera montagna è lunga soli 133 Km e prevede entrambi i celebri “ballons”, il “Grande” a quarantina di chilometri dalla partenza e poi l’arrivo in quota su quello d’Alsazia, sul quale i riflettori sono tutti puntati su Merckx. Dopo un tentativo del belga in partenza, subito abortito, Eddy cambia tattica e preferisce attendere la salita finale, mentre Gimondi si trova a inseguire a causa di una foratura. Ai piedi del Ballon d’Alsace con il belga sono rimasti in quattro, l’olandese Marinus Wagtmans, il suo connazionale Roger De Vlaeminck (passato professionista proprio quell’anno), il tedesco Altig e lo spagnolo Joaquim Galera, ultimo a cedere: negli ultimi chilometri dell’ascesa dei Vosgi Merckx riesce a scavare un grosso fossato tra sé e gli avversari e si presenta al traguardo con 55” sull’iberico e 1’55” sul tedesco Altig. Bisogna poi attendere più di quattro minuti per assistere al passaggio dal traguardo del gruppetto nel quale ci sono Janssen, Gimondi, Pingeon e Poulidor e questo punto molti già suonano il “De Prufundis” per il successo finale di questi campioni: Merckx, infatti, è tornato in giallo con 2’03” su Altig, 4’41” su Janssen, 4’50” su Gimondi, 4’56” su Poulidor, 5’06” su Pingeon e, con Alpi e Pirenei ancora da affrontare e altre tre tappe contro il tempo in calendario, pare impossibile detronizzare il belga, lanciatissimo verso il suo primo Tour.
Anche perché Merckx intende allungare ancora e lo farà alla prima occasione utile, il giorno dopo la tappa di trasferimento che da Belfort conduce a Divonne-les-Bains, dove va in porto per la seconda volta una fuga da lontano con successo dello spagnolo Mariano Díaz. Nella stessa cittadina ci si ferma l’indomani mattina per una mini cronometro di circa 9 Km, rivincita del prologo disputato una settimana prima a Roubaix e che ha gli stessi protagonisti, ma a ruoli invertiti: a vincere stavolta è proprio Merckx, che ha la meglio per appena due secondi su Altig. Il pomeriggio dello stesso giorno si disputa una seconda semitappa alla volta di Thonon-les-Bains, dove s’impone l’italiano Dancelli, “costretto” ad andare in fuga ben due volte perché il primo tentativo era stato ripreso per colpa di Pingeon, anche lui lanciatosi all’attacco causando la pronta reazione di Merckx, che era andato a riprendere prima il francese e successivamente il bresciano.
Le Alpi si affrontano in tre round e il primo è il meno impegnativo, essendo anche quella di Chamonix una tappa di montagna breve, 111 Km con le difficoltà concentrate nel finale quando, attraversando la Svizzera, si devono affrontare le salite ai colli della Forclaz e di Montets. Dopo il tentativo stoppato il giorno prima qualcuno si attende ancora Pingeon in azione e l’italo-francese ci prova nuovamente, stavolta quando mancano poco meno di 2 Km alla vetta della Forclaz, punto nel quale il gruppo dei migliori è già selezionato e sono leggermente staccati Janssen e Gimondi. All’accelerazione di Roger resiste solo Eddy, in compagnia del quale viaggia fino al traguardo posto ai piedi del Monte Bianco, dove il belga viene a sorpresa battuto allo sprint da Pingeon, un minuto e mezzo prima dell’arrivo del primo gruppetto inseguitore, nel quale ci sono Van Impe, Poulidor e gli spagnoli Andrés Gandarias, Francisco Galdos e Santiago Lazcano. A 2’13” Janssen e Gimondi tagliano appaiati la linea d’arrivo: se ci fossero stati ancora dubbi, questa è la conferma di un Tour che sta viaggiando verso un autentico trionfo per Merckx.
E non si è ancora arrivati al primo dei due tapponi, disegnato per 220 Km tra Chamonix e Briançon, dove si giunge dopo esser saliti prima ai quasi 2000 metri del Col de la Madeleine, inserito quest’anno per la prima volta nel percorso del Tour e sul quale i corridori troveranno anche la neve, e poi ai 2556 metri del Galibier, dove lo scollinamento è ancora previsto nella galleria sottostante il valico vero e proprio, all’epoca non ancora raggiunto da una strada (sarà realizzata dopo il 1976, quando il passaggio dal piccolo tunnel fu precluso a tutti a causa della sua “vetustà” e tale rimarrà fino al 2002). Stavolta, però, la selezione avviene prevalentemente da dietro, dopo diversi tentativi di Gimondi, la prima volta nella discesa dalla Madeleine per approfittare di una foratura di Merckx, poi con attacchi ripetuti sul Galibier, ai quali la maglia gialla replica sempre con prontezza per poi precedere il rivale allo sprint in cima al colle. Ripresi Eddy e Felice nel tratto iniziale della discesa, dal gruppo esce quindi Herman Van Springel, il corridore che l’anno precedente era rimasto al vertice della classifica fino alla penultima tappa per poi venire beffato per soli 38” nella conclusiva cronometro di Parigi. Il belga aumenta progressivamente il vantaggio fino a piombare sul traguardo con due minuti su Merckx, che oggi guadagna poco o nulla sugli altri rivali di classifica eccettuato Janssen, vittima di una pesante crisi che lo porta a incamerare un ritardo di oltre venti minuti.
C’è ancora un’ultima frazione alpina, che pare però disegnata al “contrario” perché le salite principali, i colli del Vars e d’Allos, devono essere affrontate nella prima metà di un tracciato che nel finale propone il piccolo Col du Corobin. Risulta, alla fine, molto più selettiva di quella del giorno prima anche perché, se il primato di Merckx sembra inattaccabile, ancora accesa è la lotta per il podio. Il primo a provarci è ancora Pingeon, che si muove sul Col d’Allos cogliendo inizialmente di sorpresa la maglia gialla. Dietro ai due spagnoli che in quel momento si trovano in testa alla corsa, Luis Pedro Santamarina e Gabriel Mascaro, si forma un gruppetto con Pingeon, l’altro iberico Gandarias, Gimondi e Merckx, che riesce a precederli di 45 secondi in vetta al passo prima di essere ripreso in discesa. Mascaro resiste da solo in testa anche sul Corobin, dopo il quale viene raggiunto da un duo scatenato, Eddy e Felice, che lo supera e si lancia verso un traguardo che vede il belga imporsi allo sprint sul bergamasco e altro tempo guadagnato in classifica dal corridore della Faema, che oggi ricaccia indietro Pingeon di 22”, mentre Poulidor incassa quasi tre minuti e un Janssen sempre più alla frutta paga un altro salato conto lasciando per strada quasi undici minuti. All’uscita dalla fase alpina Merckx è sempre più “padre padrone” del Tour, forte di 5’43” di vantaggio su Pingeon, 7’29” su Gimondi e 9’41” su Poulidor.
Protagonisti nella tappa di Dignes, il belga e il bergamasco si fanno notare anche in quella successiva di Aubagne, che sulla carta non pare stuzzicare più di tanto i corridori che puntano al successivo finale per il via di un tracciato non troppo accidentanto, che nel finale prevede la pedalabile ascesa verso il Col de l’Espigoulier. L’episodio decisivo avviene poco dopo il centesimo chilometro, quando Merckx scatta e tra i big solo Gimondi gli risponde. Nonostante l’affannoso inseguimento di Pingeon e Poulidor, i due attaccanti non vengono più ripresi e a guadagnare maggiormente è Gimondi, che vince la tappa precedendo allo sprint lo spagnolo Gandarias e, grazie al tempo recuperato al francese (1’23”), riesce ad arrivare ad un passo dal secondo posto di Pingeon, dal quale ora lo separano solo tre secondi.
Si viaggia ora in direzione dei Pirenei – eccezionalmente, così come nella successiva edizione, non sono previsti giorni di riposo – con un paio di tappe di trasferimento la prima delle quali si rivela decisamente problematica a causa del vento forte. Quando il “mistral” si trasforma in un’autentica tempesta l’organizzazione decide di neutralizzare la corsa per ben 30 Km, tratto che i corridori percorrono fuori gara con due file di ammiraglie a far loro da “paravento”. Ripresa la gara, si arriva senza altri intoppi allo sprint sul traguardo della Grande-Motte, dove s’impone il belga Guido Reybrouck su Janssen, che dopo esser uscito di classifica ha deciso di puntare ai successi parziali.
Un piccolo problemino per Merckx si palesa nella successiva tappa di Revel, che lo vede ricorrere alle cure del medico dopo esser stato punto da un’ape al polso. Pingeon, invece, è protagonista di un episodio senza conseguenze “penali”, ma che con i regolamenti odierni gli costerebbe l’immediata espulsione dalla corsa, quando prende a schiaffi il suo compagno di squadra Raymond Delisle, punendolo così per esser andato senza permesso in fuga, tentativo al quale si era aggiunto Poulidor provocando la reazione del gruppo. La giuria, invece, interviene per penalizzare di 15 minuti a cranio i cinque corridori che erano stati “pizzicati” positivi al controllo antidoping e tra questi c’è anche la prima maglia gialla, Rudi Altig. Intanto a imporsi per la seconda volta quest’anno è il portoghese Agostinho, che si era infilato nel fuga “lanciata” da Delisle e, dopo la fine di questa, aveva tentato la soluzione solitaria giungendo al traguardo con un paio di minuti di vantaggio sul gruppo.
Prima di avventurarsi sulle cime pirenaiche bisogna superare un altro esame a cronometro e a uscirne laureato a pieni voti è ancora Merckx, che sui 18 Km del circuito di Revel, caratterizzato dalla salita di Saint-Ferréol subito dopo la partenza, distacca di 52” Pingeon, di 55” Poulidor e di 59” Altig, unici a contenere il ritardo entro il minuto, mentre Gimondi perde 1’33” e vede allontanarsi il secondo posto in classifica.
I Pirenei vengono affrontati in due “rate” e la prima viene riscossa tra Castelnaudary e lo storico traguardo di Luchon transitando per le cime dei colli del Portet d’Aspet, del Menté – scoperto dal Tour solo tre anni prima – e del Portillon. A passare all’incasso è ancora una volta il belga che da undici giorni si trova stabilmente al vertice della classifica e che stacca i rivali sull’ultima ascesa, in vetta alla quale si presenta tre minuti e mezzo dopo il passaggio di Delisle – che oggi vincerà la tappa senza subire reprimende dal suo capitano, forse anche perché è il giorno della festa nazionale francese – e con 25” sul misero plotonicino nel quale si trovano Pingeon e Poulidor e qualche secondo in più su Gimondi. In discesa guadagna ancora portando a 42 secondi il vantaggio sui rivali e dilatando ulteriormente la sua supremazia.
La seconda rata pirenaica prevede il secondo e ultimo tappone della 56a edizione del Tour, una frazione che ricorda quella di Digne nel disegno perché le salite (Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque) sono concentrate nella prima parte del tracciato, mentre nei rimanenti 75 Km verso il traguardo di Mourenx non s’incontra neppure un cavalcavia. È un percorso che scoreggerebbe qualsiasi scalatore ma non un corridore come Merckx, che oggi vuole mettere la “ciliegiona” sulla torta, una ciliega decisamente ricca di calorie, i 140 Km della fuga solitaria che il belga intraprende partendo sul Tourmalet, quando Gimondi è in crisi da qualche chilometro. È un’impresa che ricorda le cavalcate di Coppi, eccezionale al punto che la televisione belga – in sciopero da due giorni – decide di interrompere la protesta per permettere agli abbonati di assistere al tentativo del loro corridore, che dai 25” sui primi inseguitori registrati in fondo alla discesa del Tourmalet porta il suo vantaggio agli otto minuti con i quali si presenta al traguardo su Dancelli, secondo, e sul gruppetto nel quale ci sono Pingeon e Poulidor, mentre per l’arrivo di Gimondi bisogna attendere quasi quindici minuti. Fanno ancora più impressione i distacchi in classifica perché, alla luce del tappone, Merckx ha 16’18” di vantaggio su Pingeon e 20’43” su “Poupou”, che in seguito alla crisi del bergamasco – ora quarto a 12’46” – l’ha superato in classifica salendo sul gradino più basso del momentaneo podio.
Per due giorni il posto di Merckx al vertice degli ordini d’arrivo viene occupato dal britannico Barry Hoban, che riesce a infilarsi nella fuga giusta sia nella tappa di Bordeaux, sia in quella successiva di Brive-la-Gaillarde, in entrambe le occasioni imponendosi sui compagni d’avventura. Il sempre più affamato belga torna poi a sgranocchiare secondi sulla ripida ascesa al Puy-de-Dôme, secondo e ultimo degli arrivi in quota previsti quest’anno: scatta quando al traguardo mancano appena 300 metri e in quel breve lasso di strada riesce a rosicchiare altri 22” a Pingeon e 37” a Poulidor, mentre Gimondi soffre ancora e perde quasi due minuti. A sorpresa, in fuga da una settantina di chilometri e giunto al traguardo un minuto e mezzo prima di Merckx, a vincere questa tappa è Pierre Matignon, il corridore che di questo Tour era la “lanterne rouge”, l’ultimo corridore della classifica, primato che ha perduto proprio oggi con il tempo guadagnato in fuga perché la nuova “maglia nera” è diventata il suo connazionale André Wilhelm.
Alla vigilia della giornata conclusiva si disputa un’autentica maratona di 330 Km che punta dritta verso la capitale francese, da Clermont-Ferrand a Montargis su di un percorso prevalentemente pianeggiante. Forse per sdrammatizzare la mole di chilometri da percorrere l’olandese Wagtmans decide di organizzare un divertente scherzo, andando prima in fuga e poi, raggiunto un minuto di vantaggio e venuto a sapere che il gruppo lo stava inseguendo affannosamente, nascondendosi in un vicolo ai margini nel percorso in attesa del passaggio degli inseguitori, ai quali successivamente si accoda. Alla fine è un’altra fuga a riuscire ad andare in porto, coronata dal successo del belga Van Springel, che precede allo sprint “Harm” Ottenbros, il corridore olandese che una ventina di giorni più tardi conquisterà il campionato del mondo a Zolder succedendo nell’albo d’oro del mondiale a Vittorio Adorni.
L’ultima frazione è suddivisa in due semitappe e la prima serve solamente per ridurre le distanze dalla capitale francese e dare l’ultima opportunità ai cacciatori di tappe, occasione che viene colta dal belga Joseph Spruyt, che al traguardo di Créteil si presenta con 8” di vantaggio sui corridori che erano andati in fuga con lui.
L’ultimo atto è ancora a cronometro, sulla distanza di 38 Km e con l’arrivo sulla pista della “Cipale”, il velodromo situato a Vincennes, alle porte di Parigi, che dall’anno precedente aveva preso il posto del glorioso Parco dei Principi quale sede dell’ultimo traguardo del Tour. Anche questa vittoria finisce nel già ricco palmarès di Merckx, che dopo la “ciliegia” di Mourenx oggi mette la candelina sulla torta del suo successo e l’accende distanziando di 53” Poulidor e di 1’14” Pingeon. Tutte le fette se le papperà lui perché subito dopo salirà per ben sei volte sul podio: sue non sono solo la vittoria di tappa e la classifica generale, ma anche quelle dei Gran Premi della Montagna, a punti, della combattività e a squadre.
Si è mangiato tutto Merckx, il soprannome di “cannibale” è nato qui
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE




























Merckx in fuga verso Mourenx (foto ASO)
BATTI UN CINQUE – 1985, IL QUINTO TOUR DI HINAULT
Spira il vento del cambiamento al Tour de France del 1985, segnato dall’inizio del passaggio di consegne tra il vecchio Hinault e il nuovo che avanza, il promettente americano Greg Lemond. Disputano il Tour nella medesima formazione, il primo con il ruolo del capitano alla caccia del suo quinto Tour e di un’altra doppietta con il Giro, il secondo a fargli da gregario prima che ci si scambi i compiti nell’edizione successiva.
Arriva il momento del passaggio delle consegne.
Il 1985 è un anno chiave per la Vie Claire, la formazione creata dal nulla dodici mesi prima dall’imprenditore Bernard Tapie. L’uomo d’affari aveva messo subito sotto contratto il suo omonimo Hinault, reduce da un 1983 fallimentare che l’aveva visto prima vincere Freccia Vallone e Vuelta e poi costretto a rinunciare al Tour per il riacutizzarsi dei soliti problemi al ginocchio. Ma anche il suo primo Tour con la nuova casacca non aveva avuto gli esiti spirati dal “Tasso”, che a Parigi si era dovuto accontentare del secondo posto a più di dieci minuti dal giovane Laurent Fignon, che era rimasto a correre nella formazione nella quale militava Hinault fino all’anno precedente. Per il 1985 i due Bernard hanno grandi progetti, prima il Giro, poi il Tour e nel contempo assicurarsi in squadra un giovane promettente che faccia da gregario a Hinault in questa stagione per poi scambiarsi i ruoli nel 1986. Quel giovane è l’americano Greg Lemond, che viene strappato proprio alla formazione di Fignon con un contratto milionario, il primo della storia del ciclismo: ha 24 anni e s’è già fatto notare vincendo il Delfinato e il campionato del mondo nel 1983, mentre in Italia era conosciuto per aver vinto la tappa di Monte San Pietrangeli alla Tirreno-Adriatico del 1982, successo grazie al quale avevo vestito per un giorno la maglia di leader della “Corsa dei due mari”, che poi terminerà in terza posizione con 27” di ritardo da Giuseppe Saronni.
Conquistato il Giro con poco più di un minuto di vantaggio su Moser, il trentenne Hinault si schiera il 28 giugno al via di un’edizione del Tour che vede ancora ai nastri di partenza una vecchia conoscenza del bretone, l’inossidabile olandese Joop Zoetemelk, ancora sulla cresta dell’onda nonostante viaggi spedito verso i 40 anni, che compirà l’anno successivo (a settembre s’imporrà nel campionato del mondo in Italia, sul Montello, conquistando il record di maglia iridata più anziana della storia, tuttora imbattuto). Tra vecchie glorie e nuovo che avanza ci sono anche il 27enne australiano Phil Anderson e il 38enne belga Lucien Van Impe (passato quell’anno alla Santini-Selle Italia, la formazione che poi diventerà l’odierna Bardiani), il neoprofessionista colombiano “Lucho” Herrera e il trentaseienne olandese Hennie Kuiper, gli irlandesi Stephen Roche e Sean Kelly, il belga campione del mondo in carica Claude Criquielion, lo spagnolo Pedro Delgado, lo scozzese Robert Millar e Roberto Visentini, unica speranza per i corridori italiani di far bene in classifica.
Il Tour inizia subito in giallo per Hinault, motivato anche dal fatto di disputare il cronoprologo d’apertura sulle strade della sua Bretagna: al termine dell’impegnativo circuito di Plumelec è suo il tempo migliore con 4” sul belga Eric Vanderaerden, 14” su Roche, 19” su Anderson, 21” su Lemond (frenato da un salto di catena), 31” su Zoetemelk e Millar, 32” su Herrera, 37” su Criquielion, 41” su Delgado e 44” su Visentini.
Il secondo giorno è prevista una tappa “imponente” per chilometraggio poiché si devono percorrere ben 256 Km tra il raduno di partenza di Vannes e il traguardo di Lanester, dove Vanderaerden festeggia la conquista della maglia gialla grazie agli abbuoni – ora Hinault è secondo a 32” – mitigando l’amarezza per il secondo posto, battuto allo sprint dal connazionale Rudy Matthijs. Quest’ultimo fa il bis il giorno successivo a Vitré, anche stavolta battendo Vanderaerden, in quest’occasione terzo poiché preceduto anche da Kelly.
Arriva il momento della cronosquadre nella quale, trascinata dalla coppia Hinault-Lemond, la Vie Claire non ha rivali anche perché da un paio di stagioni ha lasciato il ciclismo la TI-Raleigh, la fortissima compagine olandese che aveva costantemente dominato queste prove negli anni precedenti. Percorsi 73 Km a una media di 48. 585 Km/h, sul traguardo di Fougères la formazione costruita da Tapie si impone con un minuto netto sulla Kwantum di Zoetemelk, 1’03” sulla Panasonic di Anderson e Vanderaerden (erede della “defunta” TI-Raleigh), 1’20” sulla Peugeot di Millar, 1’22” sulla Carrera di Visentini, 1’24” sulla Redoute di Roche, 2’10” sulla Splendor di Criquielion, 2’52” sulla Skill di Kelly e sulla Verandalux di Kuiper, 3’40” sulla Reynolds (nella quale corre colui che succederà a Hinault nello speciale albo d’oro dei plurivincitori del Tour, Miguel indurain), 5’52” sulla Santini-Selle Italia di Van Impe, 6′32” sulla Varta di Herrera e 7’19” sull’Orbea di Delgado. Per la classifica, però, ancora una volta non contano i tempi reali ma solo i distacchi attribuiti dagli abbuoni e così Vanderaerden riesce a tenersi addosso la maglia gialla per altre ventiquattrore con immutato il distacco di 32” che aveva alla partenza da Hinault, mentre Lemond è 4° a 53”, Anderson 10° a 1’21”, Zoetemelk 11° a 1’23”, Millar 18° a 1’43”, Roche 28° a 1’56”, Visentini 34° a 2’06” e Kelly 38° a 2’12”.
Il giorno dopo sui saliscendi che caratterizzano la lunga tappa di Pont-Audemer va via un tentativo di fuga promosso da uno dei fautori del successo della squadra di Hinault nella cronosquadre, il danese Kim Andersen. L’attuale direttore sportivo della Trek-Segrafredo si porta dietro sei corridori che riescono ad andare fino al traguardo e tra questi c’è l’italiano Bruno Leali che, per la terza volta in carriera, si piazza secondo in una volata del Tour: nel 1982 a Châteaulin era stato il belga Frank Hoste a precederlo, nel 1984 l’aveva battuto l’olandese Jan Raas a Bordeaux e stavolta a superarlo in dirittura d’arrivo è un altro “tulipano”, Gerrit Solleveld.
Con una nuova maglia gialla, finita sulle spalle di Andersen grazie alla fuga del giorno prima, si disputa la temuta tappa del pavè, quest’anno più “leggera” rispetto a quelle viste negli anni precedenti perché nel finale della Neufchâtel-en-Bray – Roubaix sono previsti solo 11 Km di acciottolato, suddivisi in nove settori. Più che temere grandi danni in classifica, si teme che i pochi tratti da percorrere sulle pietre provochino poca selezione e così accade perché, 11 secondi dopo il vittorioso arrivo dell’olandese Henri Manders, i migliori si presentano tutti assieme sulla linea del traguardo – escluso Kuiper, che perde quasi 10 minuti – con Kelly che va a prendersi il secondo posto davanti al capoclassifica Andersen.
L’indomani l’Italia sportiva fa festa a Reims perché, nell’attesa che termini la tappa degli uomini, si disputa la quarta frazione del parallelo Tour de France femminile, una cronometro di 18 Km nella quale Maria Canins a sorpresa batte la favoritissima francese Jeannie Longo per appena 20 centesimi di secondo. Sul medesimo traguardo, poche ore più tardi, Vanderaerden riesce finalmente ad andare a segno e anche a riprendersi quella maglia gialla che Andersen gli aveva portato via, ma poi interviene la giuria a riportare ordine e a retrocedere il belga per reiterate scorrettezze con Kelly, assegnando così la vittoria al francese Francis Castaing. Intanto, grazie al passaggio dal terzo al secondo posto dell’ordine d’arrivo, Lemond riesce a conquistare l’abbuono che gli consente di portarsi sul gradino più basso del momentaneo podio del Tour, 3° a 1’05” da Andersen.
La permanenza del danese al vertice della classifica ha le ore contate perché dopo la tappa di Nancy (vinta dal belga Ludwig Wijnants) è in programma una lunga crono individuale nella quale è prevedibile che debba lasciare nuovamente la maglia gialla al suo capitano. E così sarà perché Hinault dimostra di aver ancora la forma dei vecchi tempi dominando i 75 Km della Sarrebourg – Strasburgo, che vince a 47.410 Km/h distaccando di 2’20” il corridore giunto al secondo posto, l’irlandese Roche. Il “delfino” di Hinault, Lemond, consegue la quarta piazza a 2’34” poi i ritardi si fanno più pesanti: 2’52” per Kelly, 4’15” per Criquielion, 4’17” per Visentini, 4′24” per Van Impe, e 4’32” per Zoetemelk. Alla vigilia delle prime montagne la classifica strizza fortemente l’occhio al transalpino, che si riprende le insegne del comando con 2’32” su Lemond, 2’54” su Kelly e poi, scendendo lungo la classifica a cercare gli altri grandi nomi, 3’45” su Roche, 5’23” su Zoetemelk e 5’51” su Visentini.
La prima salita di una certa consistenza, anche se priva di grandi pendenze, è quella del Champ de Feu, la cui cima viene conquista da Herrera, il forte scalatore colombiano che si era fatto conoscere al Tour dell’anno prima imponendosi nella tappa dell’Alpe d’Huez. Ma poi ci sono ancora 120 km da percorrere per arrivare a Épinal, con difficoltà decrescenti man mano che ci si avvicina al traguardo, al quale il gruppo dei migliori si presenta senza distacchi un paio di minuti dopo l’arrivo vittorioso dell’olandese Maarten Ducrot.
Il primo arrivo in salita è in programma sul massiccio del Giura, in vetta alla poco impegnativa Côte de Larmont, sopra la cittadina di Pontarlier, dove la Carrera festeggia il successo del danese Jǿrgen Vagn Pedersen a parziale consolazione per la débâcle di Visentini, che accusa un malore dopo aver bevuto una bevanda ghiacciata che gli provoca anche capogiri e lo porta a tagliare il traguardo con 12 minuti di ritardo. Intanto tra gli avversari di Hinault l’unico a riuscire a sfuggire al controllo della Vie Claire è lo spagnolo Delgado, che parte a 3 Km dall’arrivo ma riesce a guadagnare appena 15 secondi sul francese, che poi allungherà ancor di più il giorno successivo.
Il traguardo della prima frazione alpina è fissato ai 1820 metri di Avoriaz, luogo caro a Hinault perché lassù aveva ottenuto una decisiva vittoria al Tour del 1979. In quell’occasione l’arrivo era al termine di una lunga e difficile cronoscalata, stavolta l’approdo è quello di una frazione in linea di quasi 200 Km che ha in programma le ascese al Pas de Morgins e al Col du Corbier prima dell’arrampicata finale. Nonostante a quel punto manchino ancora più di 60 Km all’arrivo un Hinault in grande spolvero va all’attacco fin dal Morgins e a resistergli è il solo Herrera, al quale poi concede la vittoria, mentre dietro si registra un altro effluvio di minuti: 1’23” per Delgado, 1’41” per Lemond, 2’05” per Roche, 2’39” per Millar, 3’02” per Anderson e Zoetemelk, 3’26” per Kelly e Van Impe, quasi 6 minuti per un Visentini in lieve ripresa rispetto al momentaccio vissuto poche ore prima. È comunque una giornata lieta per il ciclismo italiano perché nel primo pomeriggio sugli ultimi 54 Km della tappa degli uomini si era disputata la prima frazione di montagna del Tour femminile e anche stavolta era la Canins a superare la Longo, ma con un vantaggio decisamente più sensibile rispetto a quello risicatissimo della cronometro, che permetteva alla ciclista altoatesina di issarsi al vertice della classifica con 1’52” sulla francese.
Il giorno dopo è in programma un vero e proprio tappone, definibile come tale più per il chilometraggio (269 Km) che per la difficoltà del tracciato, che prevede il non troppo duro arrivo in salita a Lans-en-Vercors preceduto da sei ascese, la più interessante delle quali è quella di Saint-Nizier-du-Moucherotte, piazzata proprio a ridosso di quella finale. I big, però, preferiscono risparmiarsi in vista della tappa a cronometro prevista l’indomani e così c’è ancora spazio per i colombiani, per la goia dei “caciaroni” telecronisti loro connazionali, le cui cronache sono così esagitate e rumorose che l’organizzazione sarà costretta ad allestire una postazione tutta per loro, lontano dalla tribuna stampa destinati ai giornalisti delle altre televisioni al seguito. Stavolta sono due gli “escarabajos” protagonisti del finale di gara, con Fabio Parra (fratello maggiore di quell’Iván Parra che vincerà due tappe al Giro d’Italia del 2005) che scatta ai meno 5 e con Herrera che lo raggiunge un paio di chilometri più avanti, riuscendo poi a giungere assieme al traguardo, dove “Lucho” rallenta per lasciare la vittoria al connazionale. Nel frattempo si dilata il vantaggio della Canins nella contemporanea corsa femminile perché l’italiana vince anche a Lans-en-Vercors mentre la Longo conserva il secondo posto in classifica, nonostante una grave crisi che la porta a tagliare il traguardo con 12 minuti di ritardo.
La terza sfida contro il tempo si disputa nella vicina Villard-de-Lans, sede di partenza e arrivo di un circuito che si snoda sull’altopiano del Vercors, tra i 1000 metri sul livello del mare di Villard e i circa 1200 metri del Col de la Croix-Perrin. Quando devono scendere in gara i primi della classifica si scatena un impetuoso vento e a pagar maggior dazio è proprio Hinault, che se lo trova spesso contrario e non riesce a lanciare le sue cilindrate come il solito. A vincere è, infatti, un corridore che aveva preso il via quando Eolo non si era ancora scatenato, il belga Vanderaerden, che riesce a far meglio di 1’07” del francese, il quale per un solo secondo conquista il secondo posto precedendo il connazionale Thierry Marie. Anche i distacchi tra Bernard e gli altri avversari non sono lontanamenti paragonabili a quelli della cronometro disputata qualche giorno prima a Strasburgo, con Roche che in 32 Km perde solo 16 secondi, mentre Anderson ne accusa 24. Il vantaggio della maglia gialla in classifica rimane, però, rassicurante perché dopo le Alpi e le prime quattro sfide contro l’orologio Hinault ha 5’23” di vantaggio su un corridore che non può impensirlo perché è il suo fidato gregario Lemond, mentre Roche è 3° a 6’08”, Kelly 4° a 6’35”, Anderson 6° a 8’33” e il “vecchio” Zoetemelk 9° a 11’14”. Sul fronte femminile è sempre più maglia gialla la Canins perché il giorno dopo la crono dei “maschietti”, mentre questi osservano l’unico turno di riposo previsto in questa edizione, si corre anche quella riservata alle donne, pure conquistata dall’ex fondista della Val Badia – aveva gareggiato nello sci di fondo dal 1969 al 1983 – con 34” sulla Longo.
Hinault non può sapere che la sfortuna sta per tirargli due brutti tranelli e il primo di questo si concretizza a 250 metri dal traguardo della tappa di Saint-Étienne, quando erano trascorsi oltre due minuti e mezzo dall’arrivo solitario del colombiano Herrera, che era andato via a 40 Km dall’arrivo sulla salita del Col de l’Œillon. Tutto succede mentre il gruppo con tutti i migliori (tra i quali non c’è Lemond, che si era infilato nel primo gruppetto inseguitore di Herrera e ha guadagnato 1’51” sul suo capitano) si presta a transitare compatto sotto lo striscione del traguardo e uno spettatore si sporge pericolosamente oltre la transenna. Per evitarlo il canadese Steve Bauer si esibisce in un improvviso scarto, innescando un contatto tra Anderson e Hinault, che ruzzola a terra battendo il naso e fratturandosi il setto. Non essendoci stata deviazione della cartilagine in ospedale gli comunica che non si dovrà operare e si limitano ad applicarli quattro punti di sutura, per ricucirgli le ferite che avevano fatto del suo volto una maschera di sangue.
Il francese può così continuare ma tutto è in forse perché con il naso in quelle condizioni respirare è un bel problema. Nella successiva frazione di Aurillac, che prevede un percorso di media montagna non troppo complicata, Hinault dimostra che può correre anche con quell’handicap disputando l’intera tappa nelle prime posizioni del gruppo e andando pure in fuga per qualche chilometro, quando un corridore con il quale aveva avuto nei giorni precedenti un piccolo attrito gli era scattato sotto il naso e lui si era immediatamente gettato al suo inseguimento. Mentre si svolgono questi accadimenti in testa alla corsa viaggia Eduardo Chozas, corridore spagnolo che era uscito dal gruppo tutto a 34 Km dalla partenza e al traguardo riesce a presentarsi con un “monumentale” vantaggio di quasi dieci minuti.
Ma, come abbiamo detto, il destino ha ancora in serbo uno “scherzetto” per Hinault, un tiro mancino che si manifesta sotto la forma di una bronchite che lo tormenterà nelle due frazioni pirenaiche, precedute da una tappa di trasferimento verso Tolosa (vinta in fuga dal francese Frédéric Vichot) che si disputa con un clima più fresco rispetto alla “chaleur” dei giorni precedenti, tipica delle tappe del Massiccio Centrale, e forse è proprio questo brusco calare delle temperature a “fregare” Hinault. Il transalpino non manifesta problemi sino a 6 Km dalla cima del Tourmalet, quando accelerano Roche, Parra, Chozas e Lemond. Quest’ultimo vorrebbe continuare, insiste accampando la scusa che Hinault non è più in condizione e quel Tour lo perderà, ma il direttore sportivo Paul Köchli riesce a frenarlo, consentendo così a Bernard di contenere il ritardo al traguardo di Luz-Ardiden, dove lo spagnolo Delgado s’impone con 25” su Herrera, 1’29” su Parra e 2’52” su Kelly e Lemond, mentre la maglia gialla taglia la linea d’arrivo in diciottesima posizione con 4’05” di ritardo, passivo che gli consente di rimanere in vetta alla classifica con 2’25” su un gregario che comincia a dimostrarsi non proprio così fidato. Una maglia gialla che, invece, non viene messa in discussione è quella della Canins, che letteralmente tiranneggia tra Tourmalet e ascesa finale a Luz-Ardiden, in cima alla quale si presenta ben nove minuti prima dell’arrivo della Longo, anche in quest’occasione giunta seconda. E non essendoci più nè tappe di montagna, né frazioni a cronometro, si può a questo punto definire chiusi i giochi per la classifica nella seconda edizione del Tour femminile, che vedrà la ciclista badiota in giallo a Parigi con un distacco da urlo sulla Longo, ben 22 minuti e 11 secondi.
L’Aubisque è l’ascesa protagonista dell’ultima giornata pirenaica, da affrontare ben due volte in entrambe le semitappe nella quale è suddivisa. Alla luce della crisi patita il giorno prima da Hinault è la prima semitappa quella seguita con più attenzione, poiché il traguardo è posto proprio in vetta al passo, al termine di una gara di soli 52 Km che, se fosse presa a tutta dagli avversari del francese fin dalla partenza, potrebbe mettere nuovamente in croce la maglia gialla. Per sua fortuna la giornata più calda è un toccasana per la sua bronchite e si trova a soffrire meno rispetto il giorno prima, arrivando a contenere il ritardo in 15” nei confronti di Lemond, mentre maggiormente guadagna Roche, che al traguardo lo precede di un minuto e mezzo, arrivando più a insidiare il secondo posto dell’americano che il primato del francese. L’Aubisque pomeridiano viene “bruciato” in partenza nella semitappa diretta a Pau, che vede approdare una fuga a due inizialmente promossa da Álvaro Pino, al quale si accoda in discesa il francese Régis Simon, che poi regola allo sprint lo spagnolo.
Uscito con quale scricchiolio dalla fase pirenaica, che l’ha lasciato in giallo con 2’13” su Lemond e 3’30” su Roche, Hinault si appresta ad affrontare senza troppe preoccupazioni due snelle tappe di trasferimento verso l’ultima cronometro. Sono occasioni ideali per i cacciatori di tappe – Vanderaerden vince allo sprint su Kelly a Bordeaux, l’olandese Johan Lammerts s’impone in solitaria a Limoges – ma anche per distanziare un Roche che, come abbiamo detto, potrebbe nella tappa contro il tempo mettere in pericolo il secondo posto di Lemond. Nel viaggio verso Limoges, infatti, l’organizzazione ha disseminato secondi d’abbuono e l’americano è stato lesto ad accaparrarsene sedici, una mossa che gli da sicurezza in vista della cronometro. E la crono gli è amica perché è proprio Greg ha far registrare il miglior tempo nel tormentato circuito del Lago di Vassivière, con il più fresco e giovane americano che riesce a dare 5” al suo più navigato e stanco capitano, che paga non solo l’età che avanza ma anche le tribolazioni che gli ha offerto questo Tour tra Alpi e Pirenei.
L’indomani, dopo la vittoria del belga Matthijs sugli Champs-Élysées, Hinault può così salire sul podio del suo ultimo Tour, vinto con il vantaggio più basso di sempre, 1’42” su Lemond, un delfino che voleva mostrare i denti.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: mancano il prologo e le prime tre tappe





















Con il naso ancora segnato dalla frattura al setto rimendiata qualche giorno prima, Hinault arranca sulla salita di Luz-Ardiden ma riesce a difendere la sua maglia gialla
BATTI UN CINQUE – 1982, IL QUARTO TOUR DI HINAULT
Il 1982 è la stagione della sesta doppietta Giro-Tour dopo le due di Coppi, quella di Anquetil e le tre di Merckx. Stavolta i guai al ginocchio che gli avevano impedito l’impresa nel 1980 sono solo un ricordo è così anche Hinault può iscrivere il suo nome nel ristrettissimo albo d’oro dei corridori riusciti a vincere prima la Corsa Rosa e poi la Grande Boucle nella medesima stagione.
Arriva la doppietta, finalmente.
L’aveva già messa in programma nel 1980, Bernard Hinault, ma il progetto si era arenato contro lo scoglio di un ginocchio che si era messo a far dolorose bizze mentre si trovava in testa alla classifica del Tour dopo aver conquistato il Giro. Così nel 1981 si era stabilita una marcia d’avvicinamento diversa al Tour e ora, dopo aver letteralmente dominato la corsa francese l’anno prima, si poteva tornare a prendere in considerazione la doppietta con la Corsa Rosa, un’impresa della quale finora erano stati capaci solo tre corridori, Fausto Coppi, Jacques Anquetil ed Eddy Merckx. Stavolta a favore del francese gioca anche la possibilità di un maggior recupero tra le due corse perché la partenza del Tour è stata posticipata di una settimana rispetto alle più recenti edizioni e così intercorre quasi un mese d’intervallo tra le due gare, periodo nel quale il francese non se ne sta con le mani in mano perché, pochi giorni dopo aver concluso vittorisamente il Giro d’Italia, s’impone nella classifica finale del Tour de Luxembourg.
Al via non si vede un corridore che potrebbe contrastare il francese, anche se ancora una volta potrebbero rivelarsi spine nel fianco i corridori olandesi: nonostante gli anni che avanzano sono ancora della partita Joop Zoetemelk ed Hennie Kuiper, affiancati a giovani promettenti come Johan van der Velde e Peter Winnen. Dopo quanto mostrato l’anno prima, c’è ancora da seguire con attenzione l’australiano Phil Anderson e il francese Robert Alban, mentre tornano a farsi vedere gli italiani, che hanno i loro nomi più prestigiosi nel velocista bresciano Guido Bontempi e negli scalatori Giovanni Battaglin e Mario Beccia.
Non ci sono dubbi sul fatto che l’uomo da battere sia unicamente Hinault, che dimostra di essere in forma sin dall’impegnativo cronoprologo di Basilea – strade strette e tortuose e un tratto da percorrere in salita – che vince vestendo la prima maglia gialla con 7” sull’olandese Gerrie Knetemann e 11” sul pistard tedesco Gregor Braun mentre, tra gli altri, Anderson è staccato di 13”, Zoetemelk di 20”, Beccia di 26”. Inizia male, invece, il Tour per Battaglin che dopo soli 7.4 Km ha già quasi un minuto da recuperare sull’asso francese.
Si rimane nel territorio della Confederazione Elvetica anche il secondo giorno di gara, quando è in programma una frazione vallonata disegnata tra Schupfart e Möhlin che si conclude con l’assolo del belga Ludo Peeters, partito all’ultimo giro del circuito finale e giunto al traguardo con 38” sul gruppo, regolato allo sprint dall’irlandese Sean Kelly, e le insegne del primato sulle spalle, levate a Hinault per 14 secondi.
Il Ballon d’Alsace, prima montagna del Tour 1982, viene affrontato molto presto, a ben 160 Km dal traguardo dell’interminabile frazione che introduce la corsa in Francia. L’arrivo è fissato a Nancy, dove va in porto un tentativo nato su una collinetta piazzata a una ventina di chilometri dal traguardo e che vede all’attacco sei corridori, tra i quali due degli elementi interessanti citati poche righe sopra, Winnen e Anderson, con il secondo che vince la tappa e, grazie ai 71 secondi guadagnati (42 dei quali in abbuoni), si porta al comando di una classifica che lo vede in testa con 38” sul francese Bernard Vallet e 44” su Peeters, mentre Hinault scende in settima posizione con 58” di ritardo e Battaglin, vittima di un salto di catena che gli fa perdere una cinquantina di secondi dal gruppo dei migliori, precipita al 93° posto con un passivo da Anderson di 2’43”.
Winnen ci riprova ancora il giorno dopo nella tappa diretta a Longwy e con lui c’è Alban, il corridore che l’anno prima era giunto terzo sul podio di Parigi. La reazione delle squadre di Hinault e della maglia gialla Anderson non si fa attendere e immediatamente vanno a riprendere le due lepri, subito prima che parta l’azione decisiva, firmata dall’elvetico Serge Demierre e dal belga Daniel Willems. I due, grazie ai continui saliscendi che rendono difficoltoso l’inseguimento, riescono a rimanere in testa fino al traguardo, dove s’impone il belga, mentre il primo gruppo inseguitore taglia la linea d’arrivo cinque secondi più tardi, anticipando di una quindicina di secondo il gruppo con Anderson e Hinault, che dopo questa frazione risale al secondo posto della classifica con 50” di ritardo dall’australiano.
Dopo la scoppiettante tappa belga di Mouscron, caratterizzata da una girandola di attacchi (ci prova anche la maglia gialla in persona) e vinta allo sprint da Knetemann, si rientra in Francia per la prima tappa chiave del Tour, una cronometro a squadre di 73 Km disegnata tra Orchies e Fontaine-au-Pire. La prima formazione ad affrontarla è la belga Splendor, i cui uomini dopo 39 Km si ritrovano di fronte un’autentica muraglia umana che sbarra loro il passo: sono gli operai in protesta dell’Usinor, un’azienda siderurgica della zona la cui dirigenza il giorno prima aveva annunciato quattromila licenziamenti. Nella speranza che i manifestanti si facciano da parte l’organizzazione fa prendere regolarmente il via a tutte le altre squadre, ma è inutile: poco dopo la partenza della TI-Raleigh, ultima a scendere dalla rampa di lancio e favoritissima per il successo, l’organizzazione ferma tutte le compagini che in quel momento sono ancora in gara e annuncia loro che la tappa è definitivamente annullata ma non perduta, perché sarà recuperata qualche giorno più tardi.
Il Tour si sposta quindi nella vicina Lilla per un’insidiosa tappa disegnata sulle rotte della Parigi-Roubaix, la classica delle pietre che tre mesi prima era stata conquistata da Jan Raas, l’olandese che concede il bis sulle medesime strade anche al Tour, uscendo dal gruppo in un tratto d’asfalto a 9 Km dal traguardo e giungendo a Lilla con 10” sui corridori che con lui avevano tentato la sortita e 24” sul gruppo di Hinault. Quest’ultimo può accendere un cero alla Madonna per lo scampato pericolo – ha forato due volte e s’è trovato a inseguire tutto da solo essendo rimasto senza compagni di squadra al fianco – e può fare lo stesso anche Battaglin, che ha affrontato senza nessun problema il pavè per la prima volta in carriera e con la spalla ancora non del tutto a posto dopo la doppia frattura, clavicola e scapola, rimediata in aprile al Giro dell’Etna e che l’ha tenuto lontano dalle corse per due mesi. Chi, invece, non ha ragione d’accendere il cielo è il pugliese Beccia, che ha sfasciato la bici in un tratto acciottolato e ha lasciato per strada non solo il suo mezzo ma anche ben sei minuti, praticamente impossibili da recuperare.
Spostandosi da un capo all’altro dell’Esagono, il Tour osserva una giornata di riposo prima di affrontare la tappa che si snoda nelle terre di Bernard Hinault, tra Cancale e Concarneau, occasione che il bretone sfrutta per andare a caccia di abbuoni assieme ad Anderson, con l’australiano che riesce a conservare la testa della classifica con 36” su Kelly e 1’06” sul favoritissimo per la vittoria finale. Intanto c’è da registrare la vittoria del belga Pol Verschuere, al quale il giorno dopo replica il successo del connazionale Frank Hoste sul traguardo di Châteaulin, dove precede allo sprint l’italiano Bruno Leali.
Arriva il momento di recuperare la cronosquadre, per la quale viene spezzata in due semitappe una frazione che in origine doveva disputarsi in un’unica soluzione di 207 Km, da Châteaulin e Nantes. La prova collettiva si disputa per prima, sul tratto iniziale di 69 Km verso Plumelec sul quale la TI-Raleigh spadroneggia come il solito e distacca di 1’10” la Renault di Hinault, il quale guadagna parecchio su tutti gli altri avversari, anche se per la classifica non si conteggiano i distacchi reali ma solo quelli attribuiti dagli abbuoni per 15 delle 17 formazioni in gara (si spazia dai 3’15” destinati ai corridori della squadra vincente ai 10 secondi della formazione giunta quindicesima, l’Inoxpran di Battaglin che in questa tappa incassa oltre sette minuti distacco reale). La giornata si rivela doppiamente positiva per Hinault che, pur non riuscendo a togliere la maglia gialla ad Anderson, guadagna tempo prezioso anche nella semitappa pomeridiana, vinta dopo una fuga solitaria di una quarantina di chilometri dall’elvetico Stefan Mutter: il francese deve ringraziare ad una caduta di massa che spezza il gruppo a tre chilometri e mezzo dal traguardo e della quale ne fa le spese anche Beccia, che riesce a rientrare sul gruppo di testa, ma poi è costretto a precipitarsi in ospedale per farsi ricucire un paio di ferite alla mano. E, come detto, all’uscita di questo doppio impegno l’australiano si ritrova ancora in testa alla classifica con 28” di residuo vantaggio sul “Tasso”, 48” su Knetemann, 1’53” su Van der Velde, 2’31” su Zoetemelk e 6’34” su Battaglin.
Sono giornate febbrili per il Tour perché due giorni dopo il recupero della cronosquadre un’altra sfida contro il tempo attende i corridori, anticipata da una velocissima tappa di totale pianura che si conclude a Bordeaux con il successo del francese Pierre-Raymond Villemiane, che tre anni prima sull’arrivo in salita del Ballon d’Alsace aveva preceduto allo sprint Battaglin.
La terza cronometro, la seconda individuale dopo il prologo, va in scena per quasi 60 Km attorno a Valence-d’Agen, cittadina rimasta celebre nell’ambiente per lo sciopero dei corridori al Tour del 1978, quando il gruppo aveva tagliato a piedi il traguardo, dopo esser giunto fin lì a velocità da crociera, per protestare contro le partenze all’alba alle quali erano sottoposti in occasione delle semitappe. Quel giorno il primo a transitare sulla linea d’arrivo era stato Hinault, nominato dai corridori loro ambasciatore, e si presume che sarà ancora lui ad aprire l’ordine d’arrivo di questa crono, ma non accadrà tutto questo. Come nel prologo, come nelle prime due prove contro il tempo individuali del Tour dell’anno prima, la tappa si risolve in una sfida tra il francese e Knetemann, ma stavolta è l’olandese a far registrare il tempo migliore precedendo di 18” il francese, nonostante abbia patito la rottura di un raggio nel finale di gara, incidente meccanico che è probabilmente costato all’olandese la conquista della maglia gialla. Complici anche i quasi tre minuti perduti da Anderson, alla vigilia dei Pirenei Hinault si ritrova così in giallo con 14” su Knetemann, assolutamente non temibile nei tapponi, con 2’03” sull’australiano mentre gli altri avversari giurati del francese sono molto più lontani: in particolare Peeters, che l’anno prima aveva vinto la tappa dell’Alpe d’Huez – è 5° a 3’38”, l’intramontabile Zoetemelk è 7° a 4’26”, Van de Velde 10° a 6’34” e Kuiper, per concludere con gli onnipresenti olandesi, è 18° a 7’26”.
Dopo l’unica minitappa dell’anno precedente, nel 1982 i Pirenei si affrontano in due “round”, il primo dei quali è il più consistente sotto l’aspetto della distanza per via dei quasi 250 Km che si devono percorrere tra Fleurance e Pau. Il traguardo è preceduto da un solo storico colle, l’Aubisque, affrontato dal versante meno impegnativo e piazzato a ben 62 Km dalla conclusione della frazione, una collocazione che ne sminuisce la portata anche se nessuno si aspetta il successo di un velocista. A imporsi, infatti, è Kelly, corridore che negli anni dimostrerà di non temere le salite – riuscirà a concludere in quarta posizione il Tour del 1984 e addirittura a vincere la Vuelta nel 1988 – e che a Pau regola allo sprint il gruppetto di 17 corridori scremato dall’Aubisque e nel quale, come si pensava alla vigilia, non c’è il secondo della classifica Knetemann, che conclude con un passivo di quasi dodici minuti, lo stesso accusato da Battaglin.
Il giorno successivo si arriva sulla salita del Pla d’Adet al termine di un tappone in formato mignon, 122 Km che vedono i corridori arrampicarsi prima sul Tourmalet e poi sull’Aspen prima dell’ascesa finale, sulla quale dodici mesi prima era emerso il talento di Anderson. In quell’occasione l’australiano era giunto al traguardo assieme a Hinault, ma stavolta le cose vanno molto diversamente, dopo che Phil a inizio ascesa era riuscito a staccare Hinault, assieme agli olandesi Winnen e Van der Velde, nel tentativo di raggiungere l’elvetico Beat Breu, partito pochi minuti prima. Il francese li lascia sfogare poi innesta una marcia superiore e uno per volta li va riprendere, anche se non riesce a recuperare su tutti quelli che nel frattempo si erano portati in testa alla corsa e alla fine deve accontentarsi del sesto posto, 54 secondi dopo l’arrivo vittorioso di Breu, ma con pesanti distacchi affibbiati ai rivali. La vittoria finale di Bernard sembra saldamente nella classica botte di ferro perché, al momento di lasciare i Pirenei per intraprendere il lungo trasferimento aereo verso le Alpi, il “Tasso” può vantare 3’12” su Anderson, 4’31” su Zoetemelk, 5’40” sul connazionale Vallet e 7’26” su Van der Velde, mentre i due italiani che avevano preso il via da Basilea con l’intenzione di far bene s’inabissano sempre più in classifica e ora accusano rispettivamente ritardi di 17’22” (Beccia) e di 31’15” (Battaglin).
C’è un particolare, quest’anno, che accomuna la fase pirenaica a quella alpina, ed è il fatto d’esser precedute entrambe da una frazione a cronometro. Così se ne deve affrontare un’altra soli quattro giorni dopo la tappa contro il tempo di Valence-d’Agen e già la si può annunciare come l’atto iniziale di un’interminabile passerella trionfale per Hinault, che, infatti, detta la sua legge anche sui 32 Km e rotti del ventoso circuito di Martigues senza incontrari avversari in grado di impensierirlo: Knetemann stavolta arriva molto lontano dal francese, sesto a poco più di un minuto, che distacca di 48” il corridore che oggi gli è più arrivato vicino, l’olandese Adri van Houwelingen. Paga molto Anderson, che perde quasi due minuti da Hinault e per soli nove secondi riesce a non farsi soffiare il secondo posto da Zoetemelk, oggi staccato nell’ordine d’arrivo di 54 secondi.
Le Alpi debuttano con un arrivo in salita non difficilissimo ma che qualche brivido in gruppo lo suscita perché ancora vivo è il ricordo dell’impresa siglata undici anni prima dallo spagnolo Luis Ocaña nella frazione con arrivo a Orcières-Merlette, tra l’altro molto meno impegnativa rispetto a quella che è stata disegnata quest’anno da Jacques Goddet. Quel giorno lo scalatore spagnolo riuscì a compiere ciò che nessuno era riuscito a fare fino a quel momento, staccando pesantemente un corridore del calibro di Merckx fino a fargli accusare al traguardo un passivo di quasi nove minuti e vestendo la maglia gialla con un vantaggio ancora più elevato, una leadership che avrebbe portato senza troppi problemi fino a Parigi se una maledetta caduta nel primo tappone pirenaico lo avesse costretto al ritiro, spalancando al belga un autentico portone verso la vittoria finale. Difficilmente si rivivrà al Tour del 1982 una giornata simile a quella del 1971, sia perchè il Merckx di quel Tour aveva uno stato di forma inferiore rispetto ai suoi “standard” e a quelli dell’attuale Hinault, sia perché in gruppo non si vede un corridore in grado di emulare Ocaña e mettere in discussione la supremazia del francese. Invece, a un certo punto, le cose sembrano mettersi male per Bernard che – mentre in testa alla corsa c’è il terzetto di fuggitivi che andrà a giocarsi la tappa (vittoria di giornata al francese Pascal Simon) – viene attaccato nel finale e al traguardo si ritrova staccato da corridori come Beccia, Alban e Winnen, che l’anno prima si era imposto nella tappa con arrivo sull’Alpe d’Huez. I rivali più vicini in classifica al bretone, però, non riescono ad approfittare di questa situazione poiché Zoetemelk all’arrivo giunge assieme a Bernard mentre perde ancora terreno Anderson, che si scambia di posizione in classifica con l’olandese.
Pocanzi abbiamo accennato all’Alpe d’Huez, che l’indomani ospita l’arrivo di una tappa simile a quella del Pla d’Adet, breve e intensa come quella affrontata sui Pirenei. Uguale è anche il suo verdetto perché a imporsi è ancora l’elvetico Breu, che interrompe così una lunga serie di affermazioni olandesi in cima all’Alpe, dove i “tulipani” torneranno a vincere in sole altre tre occasioni (nel 1983 con Winnen, nel 1988 con Steven Rooks e nel 1989 con Gert-Jan Theunisse). Intanto, alle spalle di Breu – che, grazie al successo e a un’altra giornata ampiamente negativa per Anderson, si porta al terzo posto della classifica – continua il progressivo avvicinamento di Hinault all’apoteosi di Parigi perché oggi il francese ha reagito meglio agli attacchi riuscendo nel volgere di 3 Km ad annullare i venti secondi che Zoetemelk ha guadagnato attaccando lungo l’ascesa finale.
Ora è rimasta un’ultima giornata disegnata in montagna, l’unico vero tappone del Tour 1982 che negli ultimi 100 Km dei 244 da percorrere verso Morzine propone i colli dell’Aravis e della Colombière come antipasto alla difficile ascesa del Joux-Plane, posta proprio a ridosso dal traguardo. È una tappa che Hinault controlla senza problema alcuno e che concludequasi due minuti e mezzo dopo l’arrivo dell’olandese Winnen, che prende il posto in classifica di Breu, provato dagli sforzi delle due tappe precedenti. Pratica montagna definitivamente archiviata, ora Hinault ha un vantaggio di 5’27” su Zoetemelk, 7’13” su Winnen, 8’18” su Van der Velde e 9’17” su Breu, mentre non è più in classifica Battaglin, ritiratosi dopo la tappa di Orcières-Merlette a causa di uno stato febbrile che lo aveva portato a tagliare quel traguardo con una temperatura corporea di quasi 38°C.
La corsa francese si sposta ora verso Saint-Priest, che come l’anno prima accoglie l’arrivo di due frazioni consecutive. Le cronache di quel Tour parlano di un Hinault incontenibile e incontentabile che, prima di imporsi nella crono del secondo giorno, aveva sfiorato il successo anche nella prima delle due tappe con epilogo a Saint-Priest, arrivando ad un passo dalla vittoria. Stavolta, invece, il francese se ne rimane buono buono nella pancia del gruppo, che si lascia scappare l’olandese Van Houwelingen (solitario al traguardo con oltre dieci minuti di vantaggio), mentre il bollettino medico registra il brutto infortunio occorso al ligure Alfonso Dal Pian, che in una caduta a 80 Km dal traguardo batte violentemente il volto sull’asfalto riportando la frattura della mandibola. È un’altra tegola che cade sull’Inoxpran, la formazione che ha perduto Battaglin sulle Alpi e che ha visto diversi suoi corridori vittime di un’epidemia di dissenteria che in quei giorni ha colpito parecchi membri della carovana, per la quale viene addirittura attribuita la colpa alla plastica delle borracce, al punto che la stessa organizzazione del Tour nel dubbio invita i corridori a non farne uso.
Nel frattempo risorge Knetemann, che il giorno successivo torna a gareggiare sui livelli di Hinault nella quarta e ultima cronometro individuale, perdendo il confronto per soli nove secondi, mentre Pascal Poisson, connazionale e compagno di squadra della maglia gialla, è terzo a 19” e il belga Daniel Willems quarto a 34”, migliorando leggermente la prestazione dell’anno precedente, che l’aveva visto su questo stesso tracciato finire secondo con 37” di ritardo.
Sarà proprio Willems il primo corridore a tagliare, il giorno successivo, il traguardo della penultima tappa con arrivo ad Aulnay-sous-Bois, dove riesce a precedere allo sprint il più forte sprinter di questa edizione del Tour, l’irlandese Kelly. Quest’ultimo poco si rammarica perché sta già pensando al succulento traguardo dell’indomani sugli Champs-Élysées, prelibata torta sulla quale, però, non sa che il “signore del Tour” ha ancora l’intenzione di mettere la tradizionale ciliegina. Già era riuscito a imporcisi andando in fuga con il rivale Zoetemelk nel 1979, ma stavolta vuole estrarre il suo asso nella manica solo all’ultimo momento e farla sotto il naso ai velocisti: e ce la fa anche stavolta, consacrando ancora di più la sua onnipotenza in un’edizione del Tour che lo vede imporsi con 6’21” su Zoetemelk e 8’59” su Van der Velde.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE

Nota: sono presenti le tappe dalla 12a alla 19a









BATTI UN CINQUE – 1981, IL TERZO TOUR DI HINAULT
Nel 1981 Hinault si schiera al via del Tour con un avversario in più da affrontare, il fantasma dell’amaro ritiro all’edizione dell’anno precedente. È una corsa di rabbia quella del francese, così come quella volta nella quale Merckx dominò la Grande Boucle dopo l’esclusione dal Giro per doping, e i distacchi che affibbierà lo testimonia.
Un progetto accantonato, momentaneamente.
Per la stagione 1980 Bernard Hinault ha un programma ambizioso, molto ambizioso, un programma che lo avrebbe consacrato tra i grandissimi del ciclismo. Vuole il Tour, il suo terzo consecutivo, ma vuole anche la doppietta con il Giro d’Italia, una corsa alla quale non aveva mai partecipato. La prima parte di questo progetto si concretizza e, grazie all’impresa nella tappa dello Stelvio in compagnia del fido gregario Jean-René Bernaudeau, s’impone alla Corsa Rosa con quasi sei minuti di vantaggio sul varesino Wladimiro Panizza. Anche il Tour inizia con il piede giusto per il francese che vince il cronoprologo di Francoforte, la crono disputata sul circuito automobilisto di Spa-Francorchamps e la tappa di Lilla, prende la maglia gialla, poi la perde per successivamente ritrovarla dopo la crono di Laplume, vinta dal rivale “Joop” Zoetemelk alla vigilia della tappa pirenaiche. Ma i Pirenei non lo vedranno in gara perchè proprio a quel punto una fastidiosa tendinite al ginocchio lo costringerà a una dolorosa battuta d’arresto e a far ritorno nella sua Bretagna.
È con la rabbia in corpo per questo ritiro che l’anno successivo Hinault si presenta al via del Tour con la seria intenzione di riprendersi ciò che la sfortuna gli aveva portato via, la stessa rabbia che albergava nell’animo di Merckx quando vinse il suo primo Tour, correva l’anno 1969, due mesi dopo l’esclusione dal Giro d’Italia per una positività al controllo antidoping che il belga sempre considerò fallace. Tale fu la “cattiveria” che impresse ai pedali e alla bici che Eddy vinse quell’edizione con distacchi mostruosi (Roger Pingeon terminò il Tour in seconda posizione con quasi 18 minuti di ritardo) e un verdetto quasi simile lo fornirà il Tour del 1981: se la corsa si fosse disputata tutta di filato Hinault sarebbe giunto in beata solitudine sugli Champs-Élysées e per vedere spuntare la sagoma del corridore che si piazzerà secondo, il belga Lucien Van Impe, si sarebbe dovuto attendere quasi un quarto d’ora. Intanto il francese ha cambiato programma d’avvicinamento al Tour, rimandando il progetto doppietta ad una stagione futura e prediligendo una preparazione meno impegnativa, che passa dalle classiche (dove vince Roubaix e Gand-Wevelgem) e dal Delfinato, che domina imponendosi in quattro tappe su nove e distanziando di quasi dodici minuti Joaquim Agostinho.
Il belga e il portoghese citati poco sopra sono solo due dei rivali che Hinault dovrà fronteggiare nella 68a edizione del Tour de France e ancora una volta dovrà fare i conti con l’olandese Zoetemelk, che era riuscito a vincere l’anno prima solo grazie al prematuro ritiro del francese, alle cui spalle aveva sempre terminato la corsa nel 1978 e nel 1979. Sono avversari che presentano, però, un grosso handicap, quello dell’avere abbondantemente superato i trent’anni e il discorso vale anche per gli altri grandi nomi al via, come quelli dell’olandese Hennie Kuiper, del suo connazionale Bernard Thévenet e del belga Johan De Muynck. C’è anche un corridore che nessuno prende in considerazione alla vigilia della partenza e che sorprenderà tutti perché il francese Robert Alban riuscirà alla fine a conquistare un insperato terzo posto in classifica. E ancora mancano totalmente gli italiani, come già era successo nel 1978 e l’anno precedente.
E pensare che quel Tour era partito molto vicino all’Italia. Come accadrà nel 2020 la sede di partenza è fissata in Nizza, dove sono in programma tre tappe in due giorni e dove Hinault fa subito capire le sue intenzioni imponendosi nettamente nel cronoprologo d’apertura con 7” sull’olandese Gerrie Knetemann e con distacchi che già sono pesanti sui rivali più attesi, che vanno dai 23” patiti da Zoetemelk ai 35” di Thévenet.
Il secondo giorno di gara sono previste due semitappe, la prima delle quali termina in volata con il successo di Freddy Maertens, il corridore belga che quell’anno conquisterà a Praga il suo secondo campionato del mondo dopo quello vinto a Ostuni nel 1976. C’è più attesa sulla cronosquadre pomeridiana di 40 Km, per la quale la favorita è la TI-Raleigh, la formazione nella quale l’anno prima era passato Zoetemelk e che dal 1976 puntualmente s’impone nelle prove collettive del Tour: anche stavolta la tappa finisce nel palmarès del team olandese che, volando a quasi 52 Km/h, distanzia di 29” la belga Capri Sonne, di 40” la francese Miko-Mercier e di 43” la Renault di Hinault, che perde le insegne del primato e viene preceduto in classifica da sette corridori, quasi tutti appartenenti alla “corazzata” olandese. Il nuovo capoclassifica è, infatti, Knetemann, che veste la maglia gialla con 13” sul belga Ludo Peeters e 16” su Zoetemelk, mentre Hinault è 8° a 33”. Per quanto riguarda gli altri grandi nomi, al termine della due giorni nizzarda il corridore più vicino a Hinault è Kuiper (47” dal francese), poi scorrendo la classifica s’incontrano De Muynck (1’06”), Agostinho (1’22”), Van Impe (1’49”) e Thévenet, per il quale si può dire che il Tour sia finito ancora prima di cominciare a causa di un passivo dal francese che supera i sette minuti.
La TI-Raleigh e la Renault tornano a sfidarsi il giorno successivo nel finale della lunga tappa di Martigues, con l’attacco di un corridore della formazione di Zoetemelk, l’olandese Johan van der Velde, nel circuito finale e la pronta risposta di un membro del team di Hinault, il lussemburghese Lucien Didier: i due riescono ad andare fin sul traguardo dove sullo strappo finale Van der Velde riesce a distanziare di 6” l’avversario mentre i loro capitani terminano pari tempo nel gruppo, giunto sulla linea d’arrivo 25 secondi più tardi.
Dopo la tappa di Narbonne Plage, che vede per la seconda volta sfrecciare vittorioso Maertens e il belga Peeters portarsi a un solo secondo dalla maglia gialla grazie agli abbuoni conquistati ai traguardi volanti, si disputa una seconda cronometro a squadre, molto più probante della precedente perché si devono percorrere 77 Km. La notevole distanza non spaventa la TI-Raleigh, che si fa trovare ancora pronta all’appuntamento e stavolta riesce a guadagnare tantissimo sulla Renault in virtù dei consistenti abbuoni previsti al traguardo di Carcassonne: qui la formazione di Hinault paga “fisicamente” un passivo di 41” ma, complici le generose bonificazioni, il francese si ritrova ad avere un ritardo di 2’18” in classifica, sempre comandata da Knetemann con 1” su Peeters e 16” su un Zoetemelk che sembra ancora un avversario temibile, nonostante le quasi 35 primavere che gli gravano sulle spalle.
Ma quei 35 anni potrebbero chiedergli il conto prima o poi e lo faranno prima, anzi subito il giorno dopo nell’unica frazione pirenaica di un Tour che è stato disegnato con mano non troppo pesante. Al traguardo in salita del Pla d’Adet, sopra Saint-Lary-Soulan, al quale si giunge dopo una tappa dal tracciato non terribile (117 Km e mezzo e le scalate al Col des Ares e al Peyrosourde prima di quella finale), l’olandese che l’anno prima aveva vinto il Tour si presenta sei minuti e mezzo dopo l’arrivo di Hinault, a sua volta preceduto di 27” da Van Impe. Pari tempo con il francese transita dalla linea d’arrivo l’australiano Phil Anderson che, grazie al secondo miglior tempo conseguito dalla sua squadra nella crono del giorno precedente, si veste di giallo con 17” sul francese, che dal canto suo ha scavato un abisso su tutti gli altri campioni.
I distacchi dal transalpino saranno destinati a un inevitabile inasprimento l’indomani perché Jacques Goddet ha previsto che a questo punto tornino a correre le lancette dei cronometri, stavolta per una prova contro il tempo individuale. I poco meno di 27 Km che si devono percorrere tra Nay e Pau prevedono una breve ma ripida “côte” nella fase iniziale di questa crono che in parte mette freno all’ardore agonistico di Hinault, che riesce a imporsi con appena 3” di vantaggio su Knetemann, mentre continua a sorprendere Anderson, terzo a 30”. Dietro al quarto classificato (il belga Gery Verlinden) i distacchi superano il minuto e così, a soli sette giorni dal via del Tour, pare quasi impossibile mettere in dubbio la supremazia del francese al Tour: ora, infatti, il “Tasso” viaggia con 13” su Anderson, 4’30” sul francese Michel Laurent, 4’58” su Van impe, 6’39” su Kuiper, 6’50” su Zoetemelk e 8’39” su Agostinho.
Annichilito dalle prestazioni fin qui fornite da Hinault, il Tour intraprende ora una lunga serie di noiose tappe di trasferimento verso la terza delle quattro cronometro individuali, in programma 10 giorni più tardi. Si comincia con la frazione che termina sul classico traguardo di Bordeaux dove allo sprint il neoprofessionista elvetico Urs Freuler riesce a precedere il navigato Maertens, mentre Hinault – che non è cannibale come Merckx ma poco ci manca – raggranella lungo il percorso venti secondi in abbuoni ai traguardi intermedi. E altri quattro ne guadagna, sempre agli sprint intermedi, nel corso della successiva tappa che da Rochefort conduce a Nantes, vinta allo sprint dall’olandese Ad Wijnands.
Osservato il primo giorno di riposo la carovana si rimette in marcia con una frazione diretta al celebre autodromo di Le Mans, dove riesce ad andare in porto la fuga da lontano di sette corridori, che sul traguardo vengono anticipati di una manciata di secondi da René Martens. Tra gli ardimentosi all’attacco c’è Gilbert Duclos-Lassalle, il corridore francese che negli anni ’90 vincerà due edizioni della Parigi-Roubaix e che grazie ai 2’36” guadagnati in questa giornata riesce a installarsi al terzo posto della classifica generale, a 3’31” da Hinault. Quest’ultimo il giorno successivo guadagna altri quattro secondi d’abbuono portando così a 41” il suo vantaggio su Anderson dopo la tappa di Aulnay-sous-Bois, la più lunga di questa edizione (264 Km), terminata con il bis in volata di Wijnands.
La caccia agli abbuoni forse si spiega con la voglia del corridore francese di incamerare più vantaggio possibile in vista della tappa del pavè, che tanto lo aveva fatto tribolare due anni prima, quando era stato attaccato da Zoetemelk e aveva perduto quasi tre minuti e mezzo dall’olandese e con essi la maglia gialla che portava orgoglisamente sulle spalle. Stavolta, però, i numerosi settori di pietre che si devono affrontare tra Compiègne e Roubaix non si rivelano per nulla selettivi, con somma pace di Hinault che termina la tappa nel folto gruppo di quasi 120 corridori che transitano dalla linea d’arrivo pochi secondi dopo il vincitore di questa frazione, il belga Daniel Willems.
Archiviato con un sospiro di sollievo questa delicata frazione, il Tour si sposta nel vicino Belgio dove sono previste tre tappe, anche queste poco impegnative. Nemmeno il muro di Grammont riesce a movimentare più di tanto la semitappa mattutina verso Bruxelles, che si conclude con la terza affermazione di Maertens; qualche emozione in più arriva il pomeriggio da Hinault che si lancia nello sprint al traguardo di Zolder, ma si deve accontentare del sesto posto mentre la vittoria la coglie il belga Eddy Planckaert, che nega la doppietta a Martens.
Terminata allo sprint anche la tappa belga di Hasselt – vittoria ancora per Maertens e altri 16 secondi guadagnati da Hinault con le “volatine” – si arriva finalmente a una frazione che offrirà più consistenti spunti di cronaca perché è terminato il lungo trasferimento verso la cronometro di Mulhouse. Su un anello di 38 Km che prevede anche una piccola salitella di quarta categoria si rinnova la sfida tra Hinault e Knetemann, che era stato preceduto dal francese sia nel prologo di Nizza, sia nell’altra crono di Pau. In queste occasioni i passivi pagati dall’olandese erano stati rispettivamente di sette e tre secondi, mentre stavolta Bernard corre con una marcia leggermente superiore a Gerrie e lo distanza di 25 secondi. Nonostante il ritardo di 2’31” al traguardo, in questa crono si confermano le doti dell’australiano Anderson, che fa registrare il quinto miglior tempo e viene immortalato dai fotografi mentre allarga le braccia sconsolato nel momento nel quale gli sfreccia accanto a velocità doppia un missile targato Renault. Già apparso inattaccabile, a due giorni dall’inizio delle Alpi il francese ha un vantaggio in classifica di 2’58” sull’australiano, di 9’38” su Van Impe, di 10’43” su Zoetemelk, di 11’28” su De Muynck, di 12’11” su Agostinho, di 13’20” su Kuiper, di 14’40” sull’ancora poco conosciuto Alban e di 23’52” su Thévenet.
Anticipate dalla lunga frazione di Thonon-les-Bains, conquistata allo sprint dall’irlandese Sean Kelly, le Alpi debuttano con una tappa di quasi 200 Km che si conclude a Morzine dopo aver affrontato le impegnative salite ai colli del Joux-Plane e del Joux-Verte, che Hinault ben conosce perché la prima fu scalata per la prima volta nella storia nel 1978, l’anno nel quale aveva vinto il suo primo Tour, mentre la seconda è più conosciuta con il nome di Avoriaz, la località di sport invernali che si trova in prossimità della scollinamento e dove due anni prima si era conclusa la cronoscalata che gli aveva permesso di levare la maglia gialla a Zoetemelk. Tutti si attendono un’ennesima zampata del corridore francese, ma questa non avviene perché stavolta il leader del Tour opta per una corsa di controllo, che lo porta a concludere questa frazione all’interno del gruppetto di dodici corridori – tra i quali ci sono anche “Joop” e Van Impe – che taglia il traguardo quasi quattro minuti dopo l’arrivo del vincitore, il francese Alban. È quest’ultimo, corridore fino a questo momento poco valutato, la vera sorpresa di giornata perché, grazie al tempo guadagnato sugli ultimi due colli, risale dal ventiseiesimo al sesto posto della classifica generale (10’45” è l’attuale passivo da Hinault) e ancora non è possibile immaginare che a Parigi salirà sul gradino più basso del podio. Intanto riesce a mantenere il secondo posto Anderson, nonostante i quasi 5 minuti perduti.
Dopo il giorno di riposo si corre l’attesa frazione dell’Alpe d’Huez, che parlerà olandese per la quinta volta dopo la vittoria di Kuiper nel 1977 e la tripletta di Zoetemelk (1976-1978-1978). In questa occasione il “tulipano” a tagliare per primo una linea d’arrivo che, pian piano, si sta facendo sempre più mitica è Peter Winnen, il miglior giovane del Tour, che al traguardo precede di otto secondi un Hinault apparso meno pimpante del solito, ma che comunque riesce egualmente a dilatare il suo dominio. Attaccato per due volte sulla salita finale da Van Impe e Alban, la maglia gialla arriva a pagare fino a 14” di ritardo prima di recuperare sui due corridori, che riesce poi a distanziare di una manciata di secondi in dirittura d’arrivo. Alle spalle dei primi tre corridori dell’ordine d’arrivo i distacchi sono, però, pesanti e a pagar dazio in maniera particolare è il secondo della classifica, Anderson, perché l’australiano si “spegne” sul Glandon e arriva ad accusare ben diciassette minuti di ritardo al traguardo, scivolando giù dal podio fino al diciannovesimo posto.
Nonostante i quasi dieci minuti che ha di vantaggio su Van Impe e Alban, secondo e terzo della classifica, Hinault vuole lasciare ancora il segno, forse per esorcizzare lo spettro del mezzo passaggio a vuoto patito sull’Alpe d’Huez, sulla quale desiderava maggiormente staccare gli avversari e non certo farsi mettere alla frusta da loro. A disposizione ha ancora un paio di tappe e la prima di queste è l’ultima frazione di montagna, che prevede l’inedito arrivo in salita a Le Pleynet al termine di una tappa breve ma intensa, che concentra cinque colli in 134 Km. Hinault non vuole attendere l’ascesa finale e ne sceglie una lungo il percorso per salutare gli avversari, il poco impegnativo Col des Mouillés: lassù Bernard parte, va agevolmente a riprendere i due corridori che in quel momento si trovavano in testa alla corsa con un minuto di vantaggio e poi viaggia spedito verso un traguardo che il francese tiene a battesimo con una vittoria di classe, affliggendo altri due minuti e mezzo a Van Impe, Alban e Zoetemelk. E ora il suo primato in classica, già solidissimo, appare incrollabile perché dopo le serie dei tre tapponi alpini si ritrova ad avere 12’12” su Van Impe e 13’22” su Alban, mentre per gli altri corridori che avevano preso il via da Nizza con velleità di vittoria finale i distacchi prendono connotati mostruosi: 15’09” per Zoetemelk, 15’33” per De Muynck, 44’52” per Kuiper, più di un’ora per Thévenet mentre Agostinho non è più in classifica, ritiratosi proprio in questa frazione, vittima di una grossa crisi – più psicologica che fisica – che si trascina fin dalle tappe pirenaiche e farà temere per la fine della sua carriera. In effetti il portoghese, che ha quasi quarant’anni, si prenderà un anno sabbatico nella stagione successiva, per poi tornare alle corse nel 1983, quando si piazzerà 14° al Romandie e 11° al Tour de France. Sarà ancora in gara nel 1984, in quella che sarà l’ultima stagione della sua vita: la perderà, la vita, in seguito ad un drammatico incidente avvenuto alla Volta ao Algarve, dopo aver investito un cane sul traguardo di Quarteira, quando si trovava in testa alla classifica della corsa lusitana.
Dopo le Alpi il Tour si ferma per quarantottore a Saint-Priest, dove sono programmate prima una breve frazione di trasferimento destinata ai velocisti e poi una cronometro di 46 Km, nella quale ci si aspetta che Hinault guadagni ancora sugli avversari. Quel che non ci si attende è che lo faccia anche nella prima tappa, che perde per un’inezia perché allo sprint lo precede il belga Willems, già vittorioso a Roubaix nella frazione del pavè, ma che lo vede acquisire venti secondi in abbuoni ai traguardi volanti. La tappa contro il tempo lo vede grande protagonista come nelle attese e stavolta si ribalta l’ordine d’arrivo del giorno prima perché il corridore che più gli finisce vicino è proprio Willems, unico a contenere il distacco entro il minuto (perde 37 secondi, per la precisione), mentre i ritardi degli altri sono “sonanti”, con Van Impe che perde 2’02”, Zoetemelk tre minuti esatti dal francese e Alban 3’14”.
Contento di quanto costruito negli ultimi giorni, la fame di Hinault si placa – ecco la differenza con il cannibale Merckx – e lascia le briciole agli altri nelle ultime due tappe, briciole su cui si avventano l’olandese Van der Velde e il belga Maertens. Il primo vince in fuga sul traguardo Fontenay-sous-Bois, il futuro bicampione del mondo s’impone sugli Champs-Élysées nel giorno del terzo trionfo di Hinault, che nella classifica finale precede di 14′34″ e di 17′04″ l’inatteso Alban, senza il cui exploit nella tappa di Morzine a salire sul gradino più basso del podio sarebbe stato Zoetemelk, che si deve accontentare del quarto posto a 18’21” dalla maglia gialla.
E ora Hinault può tornare a prendere in considerazione il progetto doppietta.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: presenti solo le altimetrie delle tre tappe alpine





Una delle istantanee più emblematiche del Tour de France 1981: durante la cronometro di Mulhouse l'australiano Andersonm, secondo in classifica, si vede sfrecciare accanto a velocità doppia Hinault e allarga sconsolato le braccia
BATTI UN CINQUE – 1979, IL SECONDO TOUR DI HINAULT
Il secondo Tour vinto da Hinault si conclude esattamente come quello disputato l’anno precedente, con i medesimi corridori e nella medesima sequenza. Stavolta, però, i distacchi sono molto più elevati, sintomo di un campione che si sta rivelando in tutta la sua potenza. A dire il vero gran parte dello svantaggio accumulato da Zoetemelk sarà frutto di una pesante penalizzazione per doping, senza la quale però accresce ancor più il valore di Hinault, riuscito a resistere con le unghie e i denti a un avversario dimostratosi non meno tenace e caparbio del francese.
Nulla sembrerebbe cambiato, apparentemente.
Il mattino del 23 luglio del 1979 i quotidiani riportano la classifica generale del Tour de France che si è concluso meno di ventiquattrore prima e leggerla è come salire sulla macchina del tempo e tornare indietro di un anno, un viaggio che idealmente compie soprattutto chi è poco appassionato di ciclismo e il Tour non l’ha seguito per nulla oppure senza darci particolare attenzione. Perché il Tour del 1979 è terminato esattamente come quello del 1978, almeno per i nomi dei corridori che occupano il vertice della classifica, che sono gli stessi e nello stesso ordine: primo Bernard Hinault, secondo “Joop” Zoetemelk e terzo Joaquim Agostinho. Apparentemente la corsa è stata un clone dell’edizione precedente ma in realtà non è così e basta un semplice movimento del capo per rendersene conto, spostandolo gli occhi dalla colonna dei nomi a quello dei minuti di distacco che il francese ha affibbiato: solo l’olandese è riuscito a tenere il passo del campione transalpino e ha limitato i danni a 3’07”, ossia 50 secondi in meno rispetto al passivo registrato l’anno precedente (anche se è doveroso precisare che, per i motivi che poi sveleremo, un mese più tardi gli sarà attribuita una penalità di 10 minuti che porterà il distacco a 13’07”), mentre il portoghese ha concluso la corsa distanziato di quasi mezz’ora, un abisso al confronto dei 7 minuti che lo separarono da Hinault dodici mesi prima. Anche Hinault è cambiato, non è più il giovane francesino di belle speranze ma una concreta realtà che garantirà parecchia gloria alla sua nazione che si appresta a entrare negli anni ’80, quelli nei quali si chiuderà il periodo d’oro dei francesi nella corsa di casa. Dopo la quinta e ultima vittoria di Hinault al Tour nel 1985 e la doppietta di Laurent Fignon (1983-1984) per i corridori d’oltralpe inizierà, infatti, un “digiuno” pluridecennale per quanto riguarda il successo finale, un periodo che al 2019 non si è ancora concluso.
Non ci sono solo i tre corridori citati al via della 66a edizione della Grande Boucle, che vede schierati ai nastri di partenza molti altri corridori interessanti: c’è il belga Lucien Van Impe che, dopo una stagione avara di vittorie, è tornato a riassaporare la gioia del successo imponendosi ad aprile nella tappa di León della Vuelta; c’è l’olandese Hennie Kuiper, che nel 1979 non ha ancora ottenuto vittorie e al quale ancora brucia il ritiro forzato dal Tour dell’anno prima, avvenuto quando era terzo in classifica, a causa di una frattura alla clavicola; c’è il tedesco Dietrich Thurau, che si era piazzato quarto alla Vuelta nel 1976 e quinto al Tour l’anno dopo; c’è ancora il belga Michele Pollentier, che dopo la figuraccia al Tour dell’anno prima ha cambiato casacca passando dalla Flandria alla Splendor e s’è comunque fatto notare piazzandosi terzo alla Vuelta, vinta proprio da uno dei corridori più attesi, il già menzionato Zoetemelk; c’è il suo connazionale Johan De Muynck, che di Pollentier è stato successore nell’albo d’oro del Giro d’Italia e adesso ha nel mirino la Grande Boucle, corsa che in precedenza aveva disputato solamente nel 1972, esperienza brevissima perché terminata con il ritiro dopo soli quattro giorni; finalmente, dopo la totale assenza nell’edizione precedente, ci sono anche 23 italiani iscritti al Tour e tra questi spiccano i nomi di due corridori che potrebbero fare bene, il vicentino Giovanni Battaglin e il mantovano Gianbattista Baronchelli.
C’è particolare interesse, dunque, su questa edizione del Tour e non soltanto per il campo partenti. Gli organizzatori stavolta hanno, infatti, confezionato un disegno insolito per la loro “creatua”, soprattutto per quanto riguarda la distrubuzione delle tappe di montagna: le tre frazioni pirenaiche si disputeranno in partenza, subito dopo il cronoprologo d’apertura, mentre sulle Alpi raddoppierà l’appuntamento con l’Alpe d’Huez, sulla quale è prevista la conclusione di ben due frazioni. Anche gli undici giorni dell’interminabile trasferimento tra i due massicci montuosi sono stati “conditi” a dovere per la presenza di un’insidiosa tappa sulle strade della Parigi-Roubaix, che tanto farà penare Hinault, e tre prove a cronometro, due delle quali a squadre. E queste ultime, messe assieme, fanno un totale di 177 Km da percorrere nelle prove collettive, una distanza che supera i 153 km della frazione di Caen dell’anno prima, alla quale rimane comunque il primato di cronosquadre più lunga della storia del Tour.
La sede d’avvio è nel piccolo centro di Fleurance, poco meno di 6000 abitanti che applaudono la vittoria nel prologo dell’olandese Gerrie Knetemann, che percorre i 5 Km del circuito cittadino a più di 50 Km/h e sostituisce la maglia iridata conquistata l’anno prima sul circuito del Nürburgring con la maglia gialla. Tra i corridori c’è più ambiscono a vestire quest’ultima a Parigi fanno registrare il medesimo tempo Zoetemelk e Hinault, 4 secondi peggio di Knetemann, mentre Thurau ne perde sei, Kuiper undici, Agostinho venti, Pollentier ventuno, Baronchelli ventidue, Battaglin e Van Impe ventitré e De Muynck ventiquattro.
Come anticipato, si affrontano subito i Pirenei e per evitare sfracelli il gruppo decide di percorrere al piccolo trotto il tratto iniziale della frazione che da Fleurance conduce al mitico traguardo di Luchon, dove si approda dopo esser saliti prima sul difficile Col de Menté e poi, dopo un breve sconfinamento in Spagna, sul Portillon, superato il quale inizia una discesa di una decina di chilometri che termina sulla linea d’arrivo. La prima ascesa provoca principalmente la classica “selezione da dietro”, la cui prima vittima è la maglia gialla Knetemann, già staccata di 5 minuti in vetta al Menté, sul quale il primo a transitare è Hinault con gli altri favoriti subito dietro. Nel tratto in falsopiano che separa il Menté dal Portillon si sgancia un tentativo di quattro corridori ai quali successivamente si aggiunge Battaglin e che riesce ad andare fino al traguardo, dove s’impone il francese René Bittinger, che precede di 8” il connazionale Jean-René Bernaudeau e di 32” il corridore italiano. A questo punto si devono aspettare altri 15 secondi per assistere all’arrivo del gruppetto dei migliori, ridotto a soli nove corridori dopo la più marcata selezione provocata dal Portillon. Dei nomi più attesi ci sono Hinault, Kuiper, Zoetemelk e Pollentier, mentre Agostinho paga 26 secondi e tutti gli altri già incassano passivi che pesano: 1’28” per De Muynck, 3’40” per Thurau e ben 7’38” per Van Impe, che subito vede compromesse le sue possibilità di vittoria finale. Accusato quasi un quarto d’ora di ritardo, Knetemann è costretto a lasciare le insegne del primato, che grazie al tempo guadagnato in fuga vengono assegnate a Bernaudeau, nuovo leader della classifica con 4” Bittinger e 24” sul suo capitano Hinault.
Ancor più selettiva è la frazione che gli organizzatori hanno collocato al terzo giorno di gara, una prima cronoscalata (ne è prevista un’altra sulle Alpi) che ha come meta Superbagnères, dove Hinault cala subito l’asso vincente e solo il portoghese Agostinho riesce a viaggiare quasi al suo livello, perdendo da lui un solo secondo nel tratto in salita, mentre saranno undici quelli che pagherà a un traguardo dove il francese guadagna parecchio su tutti gli altri avversari e addirittura manda fuori tempo massimo cinque corridori, tra i quali ci sono due italiani, il romagnolo Giovanni Cavalcanti (14’03” di ritardo per lui) e il bergamasco Gianfranco Foresti (15’05”). E così a soli tre giorni dal via la classifica presenta già un volto ben definito, che vede Hinault in giallo con 53” su Agostinho e Zoetemelk, appaiati nel distacco, 1’49” su Kuiper, 2’19” su Battaglin, 3’06” su Baronchelli, 3’09” su Pollentier, 5’52” su De Muynck, 9’45” su Thurau e 11’06” su Van Impe.
Non sono ancora finiti i Pirenei perché è prevista una terza frazione, una classica cavalcata attraverso i colli che conduce in 180 Km da Luchon a Pau transitando da Peyresourde, Aspin e Soulor. E pure questa tappa si chiude nel segno di Hinault che ci prova in più occasioni, già sul Peyresourde, senza comunque riuscire a rimanere solo al comando. Ottiene comunque il risultato di scremare il gruppo ai tredici elementi che in quel di Pau giungono a giocarsi il successo allo sprint, conquistato proprio da Bernard, che regola in volata il belga Rudy Pevenage e Baronchelli, mentre perdono ancora terreno De Muynck (46”), Van Impe e Thurau (12’08” per entrambi).
La maglia gialla di Hinault non sembra in discussione e, invece, rischia di scivolargli via dalle spalle il giorno successivo, al termine della prima delle due cronometro a squadre, per le quali l’organizzazione ha deciso di non applicare più la regola dei distacchi “calmierati” che era stata proposta l’anno prima e che prevedeva di assegnare distacchi prestabiliti in base al piazzamento. Stavolta i ritardi effettivi peseranno fino all’ultimo centesimo e vedono la Renault-Gitane del capoclassifica perdere ben due minuti e mezzo dalla formazione vincitrice, la corazzata olandese TI-Raleigh, che s’impone percorrendo a 48.447 Km/h i quasi 87 Km della Captieux – Bordeaux. Quel che più conta è il tempo guadagnato dalla Miko-Mercier di Zoetemelk, che si piazza terza facendo guadagnare 48” secondi al proprio capitano su Hinault, mentre tutti gli altri favoriti si ritrovano a perdere ancora dal francese. Agostinho è ancora una volta il corridore che cede meno e vede Hinault allontanarsi di altri 31”, Van Impe termina la crono con un passivo di 1’37” dal “Tasso” e ancor peggio fanno gli altri avversari del campione transalpino, con Baronchelli che perde 1’46”, Battaglin che termina la crono con 4’54” di ritardo e Pollentier che incassa un’autentica sberla, sette dolorosi minuti perduti. Nonostante la sottoprestazione della sua squadra Hinault riesce a mantenere la maglia gialla, continuando a vestirla con 12” di vantaggio su Zoetemelk, mentre anche Kuiper si avvicina sensibilmente al francese e grazie al terzo posto della sua Peugeot ora ha 31” di ritardo. Dietro i due olandesi i distacchi dei corridori di punta sono tutti superiori al minuto: Agostinho è a 1’24”, Baronchelli a 4’52”, Battaglin a 7’13”, Pollentier e De Muynck a 10’23”, Thurau a 19’46” e Van Impe a 24′51″.
Dopo un avvio di corsa decisamente duro è prevista ora una delle tappe più semplici, 145 Km pianeggianti che da Neuville-de-Poitou conducono al traguardo di Angers, dove si attende un “tranquillo” (se può definirsi come tale) arrivo allo sprint. Invece Hinault ci mette ancora il becco e rende tosta anche questa frazione, andando improvvisamente all’attacco poco dopo la partenza per sfruttare a suo favore una foratura che colpisce Zoetemelk. Guadagna fino a 37”, poi viene ripreso e immediatamente dopo tenta nuovamente di andarsene, cercando senza fortuna di accodarsi a un tentativo del campione del mondo Knetemann. Quest’ultimo viene poi raggiunto da altri corridori e si va a formare un gruppetto al comando, raggiunto al 77° Km di gara. Ripresi altri tentativi nel finale, si arriva allo sprint e pure in quest’occasione un indomito Hinault si getta nella mischia, riuscendo a piazzarsi quinto nella volata vinta dall’olandese Jan Raas e guadagnando solo una lavata di capo da parte del suo direttore sportivo Cyrille Guimard, che gli rimprovera il fatto di non aver forse compreso che ci si trova al Tour e non a un criterium, di correre così l’inutile rischio di rimanere coinvolto nelle cadute che spesso caratterizzano gli arrivi di massa.
Sono parole al vento quelle di Guimard perché Hinault il giorno dopo prende parte anche alle volate intermedie che caratterizzano il percorso della tappa di Saint-Brieuc, nelle quali è prevista per la prima volta in questa edizione l’assegnazione di abbuoni, una novità che era stata introdotta nell’edizione del 1978. Al corridore francese con tutta evidenza non è andato giù il tempo perso nella cronosquadre e sfrutta anche queste occasioni, riuscendo a guadagnare dodici secondi prima di un finale che lo vede ancora tra i protagonisti. Corre sulle strade di casa e vuole fare bella figura davanti ai suoi concittadini, ma stavolta le cose non vanno secondo i suoi piani perché si piazza solo terzo al GPM di Yffiniac, il paesino bretone di circa 3000 anime dov’è nato il 14 novembre del 1954, mentre al traguardo di Saint-Brieuc è secondo, preceduto di una bicicletta buona dal belga Joseph Jacobs.
La tappa successiva presenta un finale interessante poiché a 7 km dal traguardo di Deauville si deve superare il ripido muro di Saint-Laurent, mezzo chilometro al 13% di pendenza media sul quale, però, rimane deluso chi si aspettava un attacco da parte di Hinault o di uno dei suoi avversari. Il giorno dopo è prevista la seconda cronosquadre, più lunga e altimetricamente più impegnativa rispetto a quella affrontata pochi giorni prima, e così si preferisce una condotta di gara tranquilla, facendo controllare la corsa ai gregari, con Hinault che si limita a tagliare per primo la linea d’arrivo nel gruppo dei migliori, giunto al traguardo oltre quattro minuti dopo la vittoria del giovane “tulipano” Leo van Vliet.
La seconda e ultima prova collettiva si disputa per ben 90 Km sulle ventose e ondulate strade che fanno da corona all’estuario della Senna, scenario che vede in azione una Renault-Gitane risorta rispetto all’altra crono. Al secondo dei tre intermedi è addirittura in vantaggio sulla superfavorita TI-Raleigh, che poi sul traguardo di Le Havre riesce a ribaltare a suo favore la situazione per soli 6”. Dietro la squadra di Hinault, invece, si assiste a un’altra cascata di distacchi: la Miko-Mercier di Zoetemelk è quarta a un minuto esatto dalla TI-Raleigh, la Flandria di Agostinho quinta a 1’49”, la Peugeot di Kuiper sesta a 3’53”, la Magniflex di Baronchelli settima a 4’13”, la Kas di Van Impe nona a 6′31″, la Splendor di Pollentier decima a 6’32” e la Inoxpran di Battaglin tredicesima a 8’14”. Ora il primato del francese in testa alla classifica si rinsalda poiché Zoetemelk è 2° a 1’18”, lo svedese Sven-Ake Nilsson (compagno di squadra dell’olandese) 3° a 2′40″, Agostinho 5° a 4’05”, Kuiper 7° a 4’30” e qui ci fermiamo perché i distacchi per tutti gli altri corridori che erano partiti con velleità di vittoria appaio oramai incolmabili.
È notoria l’avversione che Hinault aveva per il pavè (nonostante in carriera abbia volutamente affrontato sei volte la Roubaix, vincendola nel 1981) e soprattutto per il suo inserimento nelle tappe del Tour. Questa idiosincrasia ha una data d’origine, il 6 luglio 1979: è il giorno successivo alla cronosquadre di Le Havre, è il giorno nel quale sono previsti 38 Km di pavè a farcitura dei 203 Km di totale pianura che si devono percorrere tra Amiens e Roubaix, è il giorno nel quale il corridore francese viene attaccato sulle pietre e perde la maglia gialla. Il promotore dell’assalto al vertice è Zoetemelk, che rende pan per focaccia a Hinault per il tentativo, qualche giorno di prima, d’approfittare di una sua foratura per avantaggiarsi. Stavolta, infatti, è il transalpino a forare e per ben due volte, mentre davanti alla corsa si forma un gruppetto di cinque corridori composto dall’olandese, dal tedesco Thurau e dai belgi Pollentier, André Dierickx e Ludo Delcroix, che nel finale riesce a liberarsi della compagnia degli altri quattro e a presentarsi tutto solo sulla pista del velodromo di Roubaix. Grazie all’aiuto dei compagni di squadra Hinault riesce a non naufragare, ma arriva al traguardo quasi tre minuti e mezzo dopo Zoetemelk, che si veste di giallo con 2’08” sul francese. In classifica c’è da segnalare anche il guadagno di una posizione di Kuiper, ora 6° a 6’38”, e l’inabissamento di Agostinho, che sprofonda dal quinto al quattordicesimo posto (a 17′34″) dopo aver perduto quasi un quarto d’ora sulle infide strade dell’Inferno del Nord.
Sono previste a questo punto due tappe a Bruxelles, la prima delle quali si rivela di puro trasferimento (s’impone al termine di una fuga nata al “chilometro zero” il neoprofessionista olandese Jo Maas mentre si ritirano i quattro corridori rimasti in gara della Magniflex di Baronchelli, già tornato a casa per una caduta sul pavè). La seconda tappa, invece, costituisce la prima occasione utile a Hinault per iniziare ad azzerare il gap causato dall’attacco di Zoetemelk nella tappa di Roubaix. È una crono di 33 Km disegnata sulle veloci strade della capitale belga, che per Bernard diventano il palcoscenico di una vittoria ottenuta non soltanto con la forza delle gambe ma anche con l’orgoglio che l’ha sempre caratterizzato, una dote che tre anni dopo al Giro d’Italia gli consentirà di “vendicarsi” dell’attacco di Contini in salita e di riprendersi la maglia rosa nella storica tappa di Montecampione. Sono 36 i secondi che Hinault riesce a recuperare all’olandese in giallo, portandosi ora a 1’32” da quella maglia che vestiva senza interruzioni sin dai Pirenei.
Il francese non è, però, l’unico avversario dal quale Zoetemelk deve guardarsi le spalle di giallo fasciate. Anche Kuiper medita il colpaccio e lo mette in scena il giorno dopo, quando la corsa rientra in Francia con la tappa diretta a Metz, altra frazione che ha in programma succulenti traguardi volanti ad abbuoni. La partenza da Rochefort è in salita con i primi due chilometri da pedalare in direzione del GPM della Côte de Saint-Hubert, immediatamente dopo la quale parte una prima imboscata di Kuiper con altri sei corridori. Niente da fare, ma Kuiper ci vuole riprovare e al successivo tentativo gli va meglio: mentre la vittoria dì giornata viene conquistata dal francese Christian Seznec, Hennie riesce a recuperare 1’45” al connazionale, risalendo al terzo posto della classifica generale con un passivo di 6′09”.
Tra due giorni inizieranno le Alpi ma prima di giungere alle frazioni decisive è programmata una tappa di montagna sui Vosgi, dove si attende un’altra giornata ad altra gradazione alcolica. La frazione si rivela però poco incisiva per la lotta tra i primi due della classifica perché per piazzare l’unico suo scatto di giornata Hinault attende la curva che precede il traguardo, fissato in cima alla mitica salita del Ballon d’Alsace: è un’azione che arriva più dal cuore che dalle gambe e che gli consente di recuperare appena tre secondi su Zoetemelk. Peggio va a Kuiper, che perde quasi un minuto e mezzo a causa di una foratura a inizio salita, mentre a imporsi sul Ballon d’Alsace è il transalpino Pierre-Raymond Villemiane, che allo sprint precede l’italiano Battaglin.
Ai piedi delle Alpi ci si giunge con la frazione più lunga del Tour, 252 Km che conducono da Belfort alla località termale di Évian-les-Bains attraversando per un lungo tratto la Svizzera. Le difficoltà altimetriche da superare sono poche e scarsamente impegnative e un volatone è la più probabile soluzione per questa tappa. E di volatone si tratta perché sono ben 109 (su 110 in gara) i corridori che si presentano tutti assieme sul rettilineo d’arrivo, dove Marc Demeyer precede l’irlandese Sean Kelly e il francese Jacques Esclassan. Ma, nonostante questa conclusione, la classifica cambia e di parecchio alle immediate spalle di Zoetemelk perché oggi erano in programma ben cinque traguardi volanti ad abbuoni e di questi quattro se li è “pappati” Hinault, che ha così intascato 40 secondi in bonificazioni, riducendo ulteriormente le distanze dalla maglia gialla, dalla quale ora lo separano 49 secondi.
Il sorpasso è questione di 55,5 Km, quelli della seconda cronoscalata che Jacques Goddet ha inserito nel percorso e che inaugura la fase alpina della corsa. Si deve pedalare dalle rive del lago di Ginevra fino agli oltre 1800 metri della stazione di sport invernali di Morzine, su di un percorso che prende progressivamente quota fino a proporre salita vera negli ultimi 13 Km. Dopo ventisei chilometri, al primo rilevamento, Zoetemelk è ancora in possesso della maglia gialla ma con i secondi contati perché a quel punto Hinault ha già recuperato gran parte del passivo dall’olandese. Ai piedi dell’ascesa finale il francese è virtualmente in giallo per 48 secondi, poi aumenta ancora e si presenta ad Avoriaz un’ora, trentatrè minuti e trentacinque secondi dopo esser partito da Évian, con un vantaggio di 2’37” su Zoetemelk nell’ordine d’arrivo e di 1’48” in classifica generale, dove si conferma al terzo posto Kuiper con 11’47” di ritardo.
Ovviamente il francese non si accontenta di questo risultato. Conosce il suo avversario, sa di cosa è capace e sa che deve distanziarlo ancora. E così lo attacca a 3 Km dall’arrivo del primo dei tre tapponi alpini, che prevede l’inedito traguardo in salita a Les Menuires, stazione di sport invernali che ospiterà un arrivo del Tour anche nel 2020. Coglie Zoetemelk affaticato e riesce a distanziarlo di circa un minuto, ma non a conquistare il bis sulle Alpi perché viene battuto dall’unico corridore che era riuscito a resistergli, il belga Van Impe, da tempo uscito di classifica.
Dopo il secondo giorno di riposo arriva il turno della doppia Alpe d’Huez, che viene per la prima volta affrontata al termine di un altro impegnativo tappone, che prevede anche le ascese alla Madeleine e al Galibier. Contento dei risultati ottenuti ed anche per evitarsi un crollo per eccesso di sforzi, Hinault decide stavolta di disputare la tappa limitandosi a controllare Zoetemelk, il quale dal canto suo corre quasi annichilito dalla superiorità dimostrata dall’avversario e non ci prova nemmeno a metterlo in difficoltà. Della situazione ne approfitta Agostinho, che taglia il traguardo 3’19” prima dell’arrivo del risicato gruppetto di Hinault e Zoetemelk, nel quale ci sono anche Nilsson e Battaglin. Su quest’ultimo, però, si sta per abbattere la tegola del doping perché subito dopo la conclusione della tappa viene ufficializzata la notizia della sua positività all’efedrina al termine della frazione del Ballon d’Alsace, nella quale era arrivato secondo, causata dall’assunzione di due pastiglie di Zerinol, farmaco somministratogli dal medico della squadra per alleviargli la tracheite che lo affliggeva da qualche giorno. I regolamenti dell’epoca non contemplano l’espulsione dalla corsa e così il corridore vicentino può rimanere in gara, pur con una penalizzazione di dieci minuti.
La seconda frazione con arrivo sull’Alpe è più breve e meno impegnativa della precedente e forse questo fattore stavolta motiva Zoetemelk, che attacca all’inizio della salita e al traguardo si presenta con 40” su Van Impe e 47” su Hinault, che si difende bene e all’uscita dalla fase alpina si ritrova in maglia gialla con 1’58” sull’olandese. La vittoria finale del francese, a questo punto, sembra blindata mentre è ancora apertissima la lotta per il gradino più basso del podio a Parigi, essendo separati da soli 35 secondi Kuiper – attualmente 3° a 21’23” – e Agostinho, che sull’Alpe è riuscito a distanziare l’olandese di 1’43”: a decidere questa tenzone sarà la cronometro prevista settantadue ore più tardi.
Il viaggio verso l’ultima frazione contro il tempo prevede prima di affrontare due tappe di trasferimento, la prima delle quali si conclude allo sprint sul traguardo di Saint-Priest, dove il tedesco Thurau riscatta un Tour per lui fallimentare precedendo i belgi Jacobs e Demeyer, entrambi corridori che in questa edizione della corsa francese hanno all’attivo un successo a testa.
Più accidentata è la collinare tappa di Digione, che vede l’approdo di una fuga a due nata a una sessantina di chilometri dal traguardo su iniziativa dell’italo-francese Serge Parsani, al quale si aggancia Knetemann. È quest’ultimo a tagliare per primo il traguardo con due secondi di vantaggio su Parsani, ma subito dopo la conclusione della tappa la giuria inverte le posizioni dei due corridori accogliendo il reclamo di alcuni elementi del gruppo, che avevano visto il corridore olandese riuscire ad accodarsi al tentativo di fuga di Parsani attaccandosi a un’ammiraglia.
La crono disegnata per 50 Km tra Plombières-les-Dijon e l’autodromo di Prenois, tra il 1974 e il 1984 sede di cinque edizioni del Gran Premio di Francia di Formula 1, vive dunque una doppia sfida e quella che più conta contrappone Kuiper ad Agostinho per il terzo posto in classifica, terminata con il netto sorpasso tra i due corridori grazie ai quasi due minuti che anche oggi il portoghese è riuscito a guadagnare. La vittoria, invece, se la giocano Hinault e Zoetemelk, che corrono su livelli quasi simili fino al gran premio della montagna posto esattamente a metà tappa, sul quale l’olandese fa registrare il miglior tempo di scalata, anche se in testa all’intertempo c’è il francese per undici secondi. Il più veloce a compiere il giro finale sul circuito dell’autodromo è, invece, Bernard che riesce a imporsi con 1’09” su “Joop”, frenato da una foratura proprio nel tratto conclusivo in pista.
Mancano tre tappe alla conclusione, tutte poco impegnative e poco foriere di sorprese e di emozioni, che invece non mancheranno. La terzultima ha come protagonisti principali Battaglin e Knetemann, che attaccano assieme ad altri tre corridori a una ventina di chilometri dal traguardo di Auxerre, al quale i due si presentano da soli con una cinquantina di secondi di vantaggio sul gruppo. La vittoria stavolta è correttamente conseguita dall’olandese, mentre il vicentino grazie al tempo guadagnato risale due posizioni in classifica, portandosi al sesto posto a 35′54″ da Hinault. E pensare che senza la penalizzazione per positività all’efedrina ora sarebbe quarto, con appena 4” di vantaggio su Kuiper.
La successiva frazione di Nogent-sur-Marne non prevede grosse difficoltà altimetriche, a parte un paio di strappi nel finale, l’ultimo dei quali in corrispondenza del traguardo. Si tratta di ascese che non fanno paura ai velocisti, che al massimo devono guardarsi le spalle dalle coltellate dei finisseur, ma nessuno avrebbe immaginato che a provarci con successo sarebbe stato nientemeno che il padrone assoluto della corsa. E così Hinault si mette alla ruota di Demeyer, quando questi parte a poche centinaia di metri dal traguardo, per poi emergere di prepotenza in dirittura d’arrivo, riuscendo a precedere il belga allo sprint.
Ora Hinault s’è ingolosito, s’è “merckxizzato” potremmo dire, e guarda con cupidigia anche al traguardo successivo, quello prestigioso degli Champs-Élysées, già divenuto una preda ambita nonostante sia proposto da soli cinque anni come punto d’arrivo finale del Tour. Il finale del giorno prima, con il suo dolce strappo, lo agevolava ma riuscire a prevalare sui pianeggianti Campi Elisi contro tutti i velocisti rimasti in gara è un qualcosa d’impossibile. Ci vuole una soluzione alternativa, quella di una fuga pazza e la mette in pratica quando mancano 57 Km al traguardo e si è ancora alle porte di Parigi. 4 Km più avanti lo raggiunge Zoetemelk e i due prendono a marciare di comune accordo, transitando per la prima volta dal traguardo con 1’32” sul gruppo, vantaggio che sale a 2′18″ al momento dell’arrivo, quando Zoetemelk prova a sorprendere il francese partendo da lontano, ma è ancora il “Blaireau” a transitare per primo dal traguardo, fatto storico – quello della vittoria della maglia gialla a Parigi – che non accadeva dal 1935, quando nella capitale francese si era imposto il belga Romain Maes. E così all’ultimo giorno gli applausi sono tutti per un uomo solo, quel Bernard Hinault che dopo la vittoria dell’anno precedente si conferma grande campione precedendo di 3’07” Zoetemelk e di 26’53” Agostinho. Un mese più tardi sarà rivelato che anche l’olandese era stato pizzicato positivo all’antidoping proprio la sera della tappa di Parigi e che gli sarebbe stata applicata una penalizzazione di 10 minuti, identica a quella di Battaglin. Ma quel surplus di tempo non arriverà a intaccare il secondo posto in classifica di Zoetemelk, l’unico avversario che quell’anno riuscì a mettere alla frusta Hinault.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
Nota: manca l’altimetria della 4a tappa (cronometro a squadre Captieux – Bordeaux)



























Zoetemelk e Hinault in pazza fuga sulle strade di Parigi
BATTI UN CINQUE – 1978, IL PRIMO TOUR DI HINAULT
Nel luglio del 1978 inizia l’era di Bernard Hinault al Tour de France, che debutta proprio nell’anno del ritiro dalle competizioni di Eddy Merckx, il suo predecessore nello speciale e ristretto albo d’oro che raduna i corridori che in carriera sono stati in grado di vincere cinque edizioni della Grande Boucle. Nonostante gli appena 23 anni e la mancanza di precedenti esperienze al Tour il corridore francese riesce subito a imporsi con distacchi da campione navigato, quasi tutti impressi nel corso dell’ultima tappa a cronometro.
23 anni, già tre stagioni da professionista alle spalle e un inizio di carriera in sordina, che l’aveva visto sbocciare l’anno prima vincendo Gand-Wevelgem, Liegi, Delfinato e Gran Premio delle Nazioni a cronometro. È con questo già nutrito curriculum che il giovane Bernard Hinault il 29 giugno del 1978 si presenta ai nastri di partenza del Tour de France. Nonostante nei mesi precedenti si sia imposto nella Vuelta conquistando ben cinque successi di tappa, i “bookmakers” faticano a inserire il bretone nel listino dei favoriti, sia per la giovane età, sia perché non ha nessuna esperienza di Grande Boucle, che affronta per la prima volta. Non si vedono, però, grandi stelle al via di quel Tour, perchè non c’è più Eddy Merckx, che pure inizialmente aveva messo la corsa francese nei suoi programmi e che poco più di un mese prima aveva annunciato il suo definitivo addio alle corse, mentre il vincitore uscente del Tour Bernard Thévenet non sembra attraversare un grande momento di forma e, infatti, concluderà anzitempo la corsa in un’annata che non lo vedrà mai vincente e a quota zero vittorie rimarrà nel 1978 anche il belga Lucien Van Impe, che il Tour l’aveva vinto due anni prima. Si guarda con interesse agli olandesi Hennie Kuiper e “Joop” Zoetemelk, entrambi già saliti sul secondo gradino del podio del Tour a Parigi; non si pensa troppo al portoghese Joaquim Agostinho, che in questa edizione otterrà il terzo posto finale; non si pensa per niente agli italiani, ma semplicemente perché nessun azzurro è iscritto alla corsa francese. C’è, però, un corridore che sembra risaltare nella starting list e che gode dei maggiori favoriti del pronostico, il ventisettenne belga Michel Pollentier, che quest’anno punta alla maglia gialla dopo aver vinto il Giro d’Italia nel 1977 e che si presenta al Tour qualche giorno dopo aver vinto il Delfinato e il campionato nazionale.
La partenza del 65° Tour de France è fissata fuori dai confini nazionali con un cronoprologo di 5 Km disegnato sulle strade della cittadina olandese di Leida, che viene conquistato da un corridore di casa. Il più veloce di tutti è, infatti, Jan Raas, che sotto la pioggia fa meglio di 2” del connazionale Gerrie Knetemann, mentre i corridori più attesi pagano rispettivamente quattro (Zoetemelk), otto (Kuiper), diciannove (Hinault), ventotto (Thévenet), trentuno (Van Impe) e quarantaquattro secondi (Pollentier e il suo compagno di squadra Agostinho).
Il secondo giorno prevede due semitappe, entrambe in linea e totalmente pianeggianti, la prima delle quali termina a Sint Willebrord, dove Raas vince ancora partendo secco a 900 metri dal traguardo e resistendo per un secondo alla rincorsa del gruppo, regolato allo sprint dall’ex campione del mondo Freddy Maertens. Per Raas c’è anche la gioia della maglia gialla, che non gli era stata assegnata il giorno prima per la decisione degli organizzatori di annullare il prologo ai fini della classifica a causa del maltempo. Il pomeriggio si arriva a Bruxelles dove Maertens incassa un altro secondo posto, preceduto dal suo connazionale Walter Planckaert mentre terzo si piazza Jean-François Pescheux, il corridore francese che – appesa la bici al chiodo – nel 1981 entrerà a far parte dello staff organizzativo del Tour arrivando a ricoprire, tra il 2005 e il 2013, l’incarico di direttore di corsa aggiunto al fianco di Christian Prudhomme.
Leggermente più insidiosa è la frazione che introduce la corsa in Francia e che prevede qualche tratto di pavè, non dei più celebri, prima di giungere al traguardo di Saint-Amand-les-Eaux, dove si assiste a un’altra conclusione allo sprint e a un’ennesima sconfitta da parte di Maertens, che oggi si piazza terzo preceduto dai francesi Jacques Esclassan e Yvon Bertin.
Alla vigilia della temuta cronosquadre di Caen si disputa un’interminabile frazione di trasferimento che ha la sua meta nella cittadina di Saint-Germain-en-Laye, alle porte di Parigi, e che il gruppo affronta al piccolo tratto, al punto che la media finale sarà di poco inferiore ai 33 Km/h. A 76 Km dal traguardo è collocata una facile “côte” di quarta categoria sulla quale si stacca la maglia gialla Raas, che successivamente riesce a recuperare e a terminare la tappa nel gruppo dei migliori, senza comunque aver più l’insegna del primato sulle spalle. Negli stessi frangenti della sua momentanea crisi s’era, infatti, involata una fuga di dieci elementi che giunge fino all’arrivo, dove s’impone il tedesco Klaus-Peter Thaler mentre in testa alla classifica si porta il francese Jacques Bossis, compagno di squadra di Hinault.
Nel frattempo il sonno ai primattori del Tour è realmente turbato dall’incubo della prova collettiva prevista il giorno successivo perché tra Évreux e Caen si dovranno percorrere ben 153 Km. Si tratta della cronosquadre più lunga della storia del Tour e si annunciano distacchi ciclopici, anche se l’organizzazione ha stabilito che per la classifica non sempre saranno conteggiati i distacchi effettivi ma solo quelli attribuiti dagli abbuoni previsti in ordine decrescente per i primi cinque corridori delle prime cinque formazioni classificate (due minuti per la prima, 1’20” per la seconda, uno per la terza, 40” per la quarta e 20” per la quinta). La squadra più attesa al varco è l’olandese TI-Raleigh – nella quale militano l’ex capoclassifica Raas e Kuiper e che può essere considerata l’antesignana delle odierne “corazzate” stile Mapei e INEOS – che riesce a imporsi per appena sette secondi sulla belga C&A di Van Impe, dopo che questa era sempre transitata al comando ai precedenti intermedi. 4’19” è il passivo patito dalla Miko-Mercier di Zoetemelk, terza, mentre le formazioni degli altri corridori più attesi pagano distacchi più pesanti: 5’15” la Renault-Gitane di Hinault, 6’20” la Flandria di Pollentier, 13′20″ la Peugeot di Thévenet. Alla fine di questa difficile cronosquadre passa in testa alla classifica il vincitore della tappa del giorno precedente Thaler, che pure corre nella TI-Raleigh e che si veste di giallo con 6” su Knetemann e 46” sul belga Joseph Bruyère. Tra i corridori più attesi il migliore è Kuiper, 9° a 3’05” da Thaler e che ha 57” di vantaggio su Van Impe e Zoetemelk, 1’20” su Hinault, 1’40” su Pollentier e due minuti esatti su Thévenet.
Un’altra lunga prova contro il tempo, individuale questa, si palesa all’orizzonte ma prima si devono affrontare tre facili frazioni che, a meno di sorprese, dovrebbero terminare in volata e la prima di queste vede finalmente prevalere Maertens, che sul traguardo di Mazé-Montgeoffroy regola l’olandese Gerben Karstens ed Esclassan. Non ci sarà, invece, il volatone a gruppo compatto l’indomani a Poitiers perché a 7 Km dall’arrivo un gruppetto di cinque corridori riesce a evadere dal gruppo e giungere fino al traguardo, che taglia con 27 secondi di vantaggio. Tra questi corridori ci sono l’irlandese Sean Kelly, che conquista la sua prima vittoria al Tour, e Knetemann, che grazie al mezzo minuto guadagnato leva per 21 secondi la maglia gialla dalle spalle del suo compagno di squadra Thaler.
La tappa di Bordeaux termina nuovamente allo sprint e ancora con il successo di Maertens ma non si rivela una passeggiata per gli uomini di classifica, perché accadono alcune cadute “eccellenti” come quelle di Thévenet e Hinault, con quest’ultimo costretto a cambiare bici e a ricorrere alle cure del medico dopo aver battuto il gomito sinistro. L’infortunio non è serio e non ne condiziona l’indomani il rendimento nella cronometro che da Saint-Émilion conduce a Sainte-Foy-la-Grande, nella quale il corridore francese emerge alla distanza con un finale di gara travolgente. Gli intermedi del 22° e del 35° Km lo vedono viaggiare con una ventina di secondi da recuperare da Maertens, poi Hinault inserisce il turbo e all’altro capo dei 59 Km e rotti della crono si presenta come vincitore della tappa, con 34” su Bruyère – che pure si era infortunato il giorno prima – e 56” sul belga. Per quanto riguarda gli altri big della classifica i cronometri sanciscono 59” di ritardo per Zoetemelk, 1’22” per Pollentier e 2’59” per Kuiper, mentre devono dire addio ai sogni di vittoria finale Thévenet e Van Impe, rispettivamente staccati di 4′37″ e 6′17″. Cambia ovviamente il leader della classifica perché ora a vestire la maglia gialla è Bruyère con 2’07” su Bossis e 2’56” su Knetemann, mentre Hinault è 4° a 3′32″, primo degli uomini di punta con 39” su Zoetemelk, 1’39” su Kuiper e 1’42” su Pollentier.
Dopo la pianeggiante tappa di Biarritz, che vede imporsi lo spagnolo Miguel María Lasa partendo a 800 metri dal traguardo e resistendo al ritorno del gruppo, debuttano i Pirenei con una frazione non particolarmente difficile di 191 Km che si conclude a Pau dopo aver affrontato le salite ai colli d’Ichère e di Marie-Blanque, inedito per la corsa francese, e un paio di pedalabili “côtes” a ridosso del traguardo. La gara dei big si accende sul Marie-Blanque, con Pollentier che transita in testa sul colle con 10” su Hinault e Zoetemelk, 14” su Kuiper e 31” sulla maglia gialla Bruyère. Sulle colline che movimentano il finale i migliori si ricompattano e si forma in testa alla corsa un gruppo di trentasei corridori dal quale ai meno cinque esce l’olandese Henk Lubberding, che contina nell’azione fino al traguardo, dove giunge con 30” di vantaggio sul plotone, regolato allo sprint dal francese Alain Patritti.
Molto più stimolante è il percorso del tappone che l’indomani conduce al traguardo in salita del Pla d’Adet, sopra Saint-Lary-Soulan, passando prima dai 2113 metri del Tourmalet e poi dai 1489 metri dal Col d’Aspin. Come il giorno precedente sul Marie-Blanque, anche sul Tourmalet il primo a transitare è Pollentier, che scollina con 5” sul francese Mariano Martínez, 18” su Hinault e Zoetemelk e 31” su Kuiper, mentre il leader della corsa Bruyère soffre maggiormente e accusa quasi tre minuti di ritardo. La discesa annulla i distacchi tra i migliori, poi sull’Aspin il belga riesce ancora a guadagnare una dozzina di secondi, per poi venir nuovamente raggiunto dopo lo scollinamento. All’inizio della salita finale va all’attacco Zoetemelk con Pollentier, poi il belga ci riprova con Martínez e in entrambe le occasioni Hinault torna sui primi, per poi tentare lui stesso l’azione sotto la “flamme rouge”. Alla fine a concludere trionfalmente il primo tappone è Martínez, che precede di 5” Hinault e Pollentier e di 19” Zoetemelk, mentre dietro ai corridori più attesi fioccano i distacchi, a partire dal minuto e mezzo accusato da Agostinho e da Kuiper. Bruyère, invece, lascia per strada 2’31”, ma riesce a mantenersi al vertice della classifica per poco più di un minuto, mentre al secondo posto si porta Hinault.
Il giorno successivo è suddiviso in due semitappe, la prima delle quali viene affrontata con la luna di traverso dal gruppo, che si lamenta per le levatacce alle quali i corridori sono costretti in queste particolari situazioni. Una protesta simile si era avuta anche al Giro d’Italia dell’anno prima, ma poi la rimostranza era rientrata e si era corsa regolarmente la tappa in circuito di Gabicce Mare, vinta da Maertens. Stavolta, invece, i corridori portano avanti il loro “sciopero bianco” fino al traguardo di Valence-d’Agen, arrivandovi in forte ritardo e poi scendendo di bici a 100 metri dalla linea d’arrivo, che varcano a piedi con Hinault in testa, e questo è un segnale dell’autorevolezza che il corridore francese è già riuscito a costruirsi addosso in pochi anni di professionismo. Al contrario, nella semitappa pomeridiana verso Tolosa si ritorna a correre sul serio ed è lo stesso Hinault a tentare la fuga, nonostante il percorso pianeggiante. Arrivato a guadagnare una dozzina di secondi, si fa poi riprendere e quindi si arriva allo sprint con il bis del transalpino Esclassan.
Un’altra impegnativa cronometro è alle porte, anticipata da una frazione disegnata sulle tormentate strade del Massiccio Centrale, con partenza fissata a Figeac e l’arrivo in dolce salita nella stazione di sport invernali di Super-Basse: qui i migliori si presentano tutti assieme, preceduti dal belga Paul Wellens, vincitore della tappa, dal francese Michel Laurent e da Agostinho, che ha via libera dal suo capitano Pollentier e guadagna una trentina di secondi.
La terza prova contro il tempo si disputa su di un tracciato molto impegnativo, 52 Km e 500 metri con la rampa di lanco collocata nel centro di Besse-en-Chandesse e il traguardo posto al termine dei ripidi sei chilometri della mitica ascesa del Puy de Dôme, in cima alla quale due anni prima si era imposto Zoetemelk. Ed è ancora il corridore olandese ha mettere la sua firma lassù, grazie anche al crollo verticale negli ultimi chilometri di Pollentier, che era transitato in testa a tutti gli intermedi ma poi si era “schiantato” sulla salita finale concludendo la tappa al secondo posto a 46″ da Zoetemelk. La terza piazza è per la maglia gialla Bruyère a 55”, che si difende egregiamente, mentre delude Hinault, soprattutto per chi si aspettava un exploit simile a quello visto nella crono disputata una settimana prima, perché il francese incassa il quarto posto con 1’40” di ritardo e perde la seconda posizione in classifica. Dopo la seconda crono è, infatti, terzo a 1′50” da Bruyère, con Zoetemelk secondo a poco più di un minuto e l’altro favorito Pollentier quarto a 2’38”.
La frazione successiva viene accorciata dagli organizzatori tagliando i primi 40 Km, senza così intaccare le fasi salienti che s’incontreranno nel finale di Saint-Étienne quando si deve affrontare la lunga ma non troppo difficile salita della Croix-de-Chabouret a 25 Km dal traguardo. Il primo a muoversi è Kuiper, che guadagna una trentina di secondi prima di essere ripreso a un chilometro dallo scollinamento, quando va in scena un ennesimo tentativo di Pollentier. La discesa annulla, però, gli effetti della salita e sul traguardo di Saint-Étienne piomba un folto gruppo di quaranta corridori a giocarsi il successo di tappa, conquistato da Hinault su Kelly e Maertens.
Arriva così l’atteso giorno dell’Alpe d’Huez, salita che il Tour ha riscoperto solo da tre anni dopo il lungo oblio successivo alla prima storica scalata del 1952, quando lassù si era imposto Fausto Coppi. L’ancora scarso albo d’oro dell’ascesa – che per adesso è ancora considerata di prima categoria perché l’”Hors Catégorie” sarà introdotta solo dall’edizione successiva – vede il nome del Campionissimo affiancato a quelli di Zoetemelk e Kuiper, che avevano vinto le tappe terminate sull’Alpe nel 1976 e nel 1977. Stavolta il primo a tagliare la linea d’arrivo è Pollentier, che era andato all’attacco sul Col du Luitel ed era riuscito a guadagnare fino a 3’20” prima di spegnersi lentamente sull’ascesa finale, che lo vede conservare appena 4” su Kuiper al traguardo. Poco più dietro sopraggiunge Hinault, terzo a 12”, Zoetemelk è quarto a 45”, il compagno di squadra del belga Agostinho è quinto a 1’38” mentre affonda il capoclassifica Bruyère, che si piazza 28° a oltre undici minuti di ritardo e deve dare l’addio alla maglia gialla, che va a fasciare proprio le spalle di Pollentier. I giornalisti al seguito del Tour già si preparano a impostare gli articoli nei quali annunceranno il successo del belga quando, improvvisa, arriva una doccia fredda: Pollentier è stato scoperto nel tentativo di frodare il controllo antidoping ed espulso dal Tour. Era successo che il corridore belga, anziché deporre nella provetta urina di “produzione propria”, vi aveva convogliato quella di un’altra persona, probabilmente di un membro dello staff della sua formazione, mediante un tubo collegato a una pompetta che Pollentier aveva collocato sotto l’ascella e che aveva svuotato con una serie di movimenti di spalle e gomito notati con sospetto dal tecnico di laboratorio preposto al controllo. Intuito l’inganno, si costringe il corridore e levarsi una prima volta la maglia gialla per controllare che sotto la divisa non ci fossero trucchi e poi, appurata la verità, a togliersela di nuovo, stavolta definitivamente per assegnarla al legittimo proprietario, l’olandese Zoetemelk, mentre il suo connazionale Kuiper viene chiamato sul palco dalla giuria per la premiazione del vincitore di tappa. Viene così riscritto l’ordine d’arrivo e poi anche la classifica, che ora vede “Joop” in testa con 14” su Hinault, 5’31” su Kuiper e 6’10” su Agostinho, che dopo la cacciata del suo capitano diviene l’uomo di punta della Flandria.
Il giorno di riposo serve anche per riprendersi dallo choc della vicenda Pollentier, poi ci si rimette in marcia con l’ultima frazione di montagna, che ha in serbo una difficile novità, l’inedita e impegnativa salita del Col de Joux-Plane, da affrontare nel finale della Grenoble – Morzine. È la tappa regina del Tour 1978 e fa sortire i suoi effetti selezionando fortemente il gruppo, anche se i primi due della classifica, Zoetemelk e Hinault, rimangono sempre assieme fino al traguardo, dove giungono quasi nove minuti e mezzo dopo l’arrivo del vincitore, il francese Christian Seznec, in fuga per quasi 180 Km. Anche Agostinho, che alla partenza era quarto in classifica, riesce a tenere il passo degli altri due campioni e guadagna anche una posizione a causa del ritiro di Kuiper, malamente ruzzolato nella discesa dal Col du Granier e costretto a salire in ambulanza con una clavicola fratturata.
La Flandria non ha perso le speranze di vincere il Tour e decide di mandare all’attacco Agostinho nella tappa in programma il giorno successivo, che prevede lo sconfinamento in Svizzera e un percorso di media montagna per raggiungere Losanna. L’allungo del corridore portoghese – che perderà la vita prematuramente nel 1984 in seguito ad un incidente avvenuto alla Volta ao Algarve (oggi gli è intitolato il Grande Prémio Internacional de Torres Vedras) – avviene poco prima dell’ingresso nel breve ma movimentato circuito finale assieme ad altri cinque corridori fuori classifica, come Knetemann e l’ex maglia gialla Bruyère, che si piazzano nell’ordine al traguardo mentre Agostinho riesce a recuperare quasi due minuti su Zoetemelk e Hinault, portando il suo ritardo a 4’07”.
Occasioni per tentare di ridurre ulteriormente lo svantaggio per il portoghese non ce ne sono più perché dopo la poco impegnativa tappa di Belfort – che termina con il successo del belga Marc Demeyer – è in programma la terza e ultima frazione a cronometro, nella quale Agostinho sicuramente sarà preceduto dai due corridori che attualmente lo precedono in classifica e che nelle altre due prove contro il tempo avevano sempre fatto registrare tempi migliori dei suoi. Il “sale” dei 72 km che si deveno percorrere tra Metz e Nancy è, invece, rappresentato dalla sfida che contrappone Zoetemelk a Hinault, ancora separati dai 14” registrati al termine della tappa dell’Alpe d’Huez. I due sembrano avere pari opportunità, essendosi imposti a turno nelle precedenti prove contro il tempo, ma la crono si risolve in un assolo del francese, che guadagna già 33” sull’olandese all’intertempo del 22° Km di gara per poi portare la sua supremazia sul rivale a più di quattro minuti sul traguardo di Nancy, dove precede di 1’01” Bruyère e di 1’58” Knetemann.
A 48 ore dalla conclusione ora nulla può mettere in discussione la netta vittoria finale del francese, anche perché le rimanenti frazioni saranno terreno di conquista per sprinter o per chi saprà sfruttarne l’occasione, come riusciranno a fare prima l’olandese Raas a Senlis e poi il suo connazionale Knetemann sugli Champs Élysées. E così a 23 anni d’età Bernard Hinault vince il suo primo Tour de France con distacchi da campione navigato: Zoetemelk è secondo a 3’23” e Agostinho è terzo 6’54”.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE



























Hinault e Kuiper all'attacco sulla salita dell'Alpe d'Huez, il giorno della "cacciata" di Pollentier dal Tour per la nota vicenda del tentativo di frodare il controllo antidoping
BATTI UN CINQUE – 1995, IL QUINTO TOUR DI INDURAIN
L’era Indurain terminerà ufficialmente il 6 luglio del 1996 sulla salita di Les Arcs. Un anno prima il campione spagnolo aveva vinto il suo quinto e ultimo Tour de France, un’edizione della Grande Boucle che aveva offerto agli italiani prima la gioia per i due successi di tappa di Marco Pantani e poi il dolore per la tragica scomparsa di Fabio Casartelli.
Un solo nome, un solo uomo. Fabio Casartelli.
Per gli italiani il Tour del 1995 non è il quinto vinto da Miguel Indurain, primo corridore riuscito a imporsi per cinque volte di fila nella storia. Non è nemmeno quello delle prime due vittorie di tappa conseguite da Marco Pantani sulle strade della Grande Boucle. Per tutti gli sportivi italiani, anche per quelli che non sono appassionati di ciclismo, l’edizione del 1995 rimarrà per sempre quella dell’immenso dolore patito il 18 luglio per la tragica scomparsa di Fabio Casartelli, evento che ammantò di lutto un Tour che si stava nuovamente avviando alla conclusione con un Indurain saldamente in maglia gialla, pur avendo avvertito lo spagnolo le prime avvisaglie del tempo che inserorabilmente trascorreva.
Quell’anno il Tour scatta dalla Bretagna con soli due corridori a spartirsi il ruolo di grandi favoriti per la vittoria finale perché l’unico in grado di contrastare Indurain sembrerebbe l’elvetico Tony Rominger, reduce da un Giro d’Italia che ha dominato incontrastato anche per l’assenza di avversari alla sua altezza. Al via ci sarebbe anche Marco Pantani, ma ci sono dubbi sulla sua condizione a causa dell’incidente in allenamento che l’ha costretto a saltare la Corsa Rosa e a ripiegare sul Tour de Suisse, dove ha comunque conquistato la tappa con arrivo in salita a Flumserberg. Alla fine, il Tour del primo si rivelerà fallimentare su tutta la linea, mentre quello del “Pirata” avrà un sapore agrodolce, condito da due successi di prestigio ma reso aspro dagli strascichi della caduta di due mesi prima e da una notte insonne che lo penalizzerà alla vigilia dello stesso tappone nel quale perderà la vita Casartelli. Alla fine i corridori che più si avvicineranno a Indurain saranno l’altro elvetico Alex Zülle e il sempre più sorprendente danese Bjarne Riis, proprio il corridore che l’anno successivo interromperà la serie di vittorie del corridore spagnolo, anche se poi ammetterà di aver fatto massiccio uso di doping proprio in quel periodo.
Il via da Saint-Brieuc è disastroso a causa di una tempesta che si abbatte sulla cittadina bretone la sera del cronoprologo, insolitamente da disputare in notturna, e che favorisce i pochi corridori che hanno preso il via quando ancora non ha cominciato a piovere. Tra questi c’è il francese Jacky Durand, che conquista all’asciutto la prima gialla, mentre i “big” vengono frenati dalla strada resa scivolosa dall’acqua e il primo dei nomi più attesi è quello di Rominger, trentesimo nell’ordine d’arrivo con 26 secondi di ritardo: l’elvetico parte con 5 secondi di vantaggio su Indurain, 11 su Chiappucci e 24 su Pantani, mentre non può essere classificato il corridore che più ambiva al successo, il cronoman britannico Chris Boardman, tornato a casa con polso e caviglia fratturati dopo esser stato centrato in pieno da una transenna scagliata via dal forte vento.
La prima frazione è un saliscendi continuo, costituita da una miriade di “côtes” che si susseguono lungo i 233 Km che da Dinan conducono a Lannion, dove il traguardo è posto in vetta a un ennesimo strappo, al termine del quale una cinquantina di corridori si contendono la vittoria, conquistata dal vicentino Fabio Baldato davanti al francese Laurent Jalabert e all’uzbeko Djamolidine Abdoujaparov. È la prima di quattro affermazioni italiane consecutive (in tutto saranno sei), alla quale l’indomani fa eco quella di Mario Cipollini sul traguardo della Perros Guirec – Vitré, che vede il passaggio della maglia gialla da Durand a Jalabert.
Il terzo giorno si disputa la poco amata cronometro a squadre che, come l’anno prima, si rivela fallimentare per la squadra di Pantani, le cui critiche stavolta saranno recepite dagli organizzatori, che la depenneranno dal programma del Tour fino al 2000, per poi tornare abituale nel periodo del settennato di Armstrong e quindi divenire una presenza “una tantum” del percorso della Grande Boucle negli anni più recenti. Di ben tre minuti e undici secondi è, infatti, il pesante passivo della Carrera al termine dei 67 Km della Mayenne – Alençon, che vedono la vittoria a quasi 55 Km orari della formazione italiana Gewiss-Ballan, la squadra di Riis, il cui tempo è migliore per 35” rispetto a quello della Once di Zülle e Jalabert, mentre la Banesto di Indurain è terza a 59” e la Mapei-GB di Rominger quarta a 1’33”.
Jalabert ha conservato la maglia gialla dopo la cronosquadre ma ha i secondi contati perché sono solo otto quelli che lo separano dal secondo posto di Ivan Gotti, che ventiquattore più tardi si ritrova senza far nulla la maglia gialla sulle spalle. A far tutto è una rotatoria a due chilometri e mezzo dal traguardo di Le Havre, all’imbocco della quale una caduta spacca il gruppo in due con quasi 150 corridori che rimangono nella prima parte – dove c’è Cipollini, che conquista il bis dopo la vittoria di Vitré – mentre tutti gli altri giungono al traguardo alla spicciolata e tra questi c’è Jalabert, che perde 50 secondi e la maglia di capo della classifica, ora indossata dallo scalatore bergamasco con appena un secondo di vantaggio sul compagno di squadra Riis.
Terminata allo sprint con la vittoria dell’olandese Jeroen Blijlevens l’interminabile e velocissima tappa da Fécamp a Dunkerque (261 Km percorsi a oltre 44 Km/h grazie al vento a favore), il Tour giunge sulle strade del Belgio dove sono previste tre frazioni proposte in crescendo di difficoltà. La prima è ancora favorevole ai velocisti ma nell’affrontare l’ultimo chilometro, forse a causa della lieve pendenza che lo caratterizza, il gruppo si sgrana leggermente e si causano un paio di buchi che la giuria conteggia come secondi di distacco: e così, mentre il tedesco Erik Zabel festeggia il successo di tappa, Gotti ha l’amara sorpresa di trovarsi spodestato per due secondi da Riis.
La settima tappa presenta un percorso intrigante e insidioso, proposto alla vigilia della prima delle due cronometro lunghe. Si devono percorrere 203 Km alla volta di Liegi e il tracciato pare proprio una versione ridotta della “Doyenne”, con ben 10 GPM che sicuramente ispireranno qualcuno tra gli avversari di Indurain. Con grande sorpresa di tutti, dopo un tentativo subito riassorbito di Jalabert sulla Haute-Levée, è lo spagnolo a muoversi, prima accodandosi a un gruppetto andato all’attacco sul Mont-Theux e poi andando a seguire il belga Johan Bruyneel, con il quale percorre gli ultimi 25 Km. Al traguardo, dove il belga si prende tappa e maglia gialla, il gruppo inseguitore con dentro tutti gli altri favoriti giunge cinquanta secondi più tardi e in tanti si chiedono il perché di questa imprevista azione del corridore spagnolo.
Probabilmente il navarro sente il peso degli anni che passano (la settimana successiva compirà 31 anni), teme di non essere più potente a cronometro come in passato e per questo motivo s’è lanciato nella mischia nella frazione del giorno prima, per vedere se riusciva a guadagnare qualcosa prima della crono. E ha fatto bene perché l’indomani non renderà come al solito nella difficile prova contro il tempo che Jean-Marie Leblanc ha disegnato per 54 Km tra Huy e Seraing, nonostante la vinca a una velocità comunque rilevante, di quasi 50.5 Km/h. Sono i distacchi a non essere quelli soliti: al penultimo intermedio è arrivato ad avere la miseria di cinque secondi di vantaggio su Riis, che diventano dodici a un traguardo dove anche Rominger riesce a limitare i danni piazzandosi terzo a 58”. Più elevati sono i passivi di altri corridori di punta come Jalabert (6° a 2’36”) e Zülle (10° a 3’56”) mentre l’unico tra i grandi a non riuscire ad approfittare di questo momento di appannamento dello spagnolo è Pantani, che incassa quasi otto minuti di ritardo, non solo a causa dei postumi della caduta avvenuta prima del Giro – che in vista delle frazioni alpine saranno risolti dai massaggiatori della Carrera dopo l’improducente visita da un chiropratico belga – ma anche e soprattutto per la sua scelta di voler gareggiare in quel Tour con pedivelle diverse da quelle che utilizza abitualmente e che gli provocano nei primi giorni una sorta di problema di “ambientazione”. Intanto, la situazione in classifica alla vigilia delle Alpi vede Indurain in giallo con 23” su Riis, 2’20” sul vincitore del Giro dell’anno prima Eugeni Berzin, 2’32” su Rominger, 2’46” su Jalabert, 4’29” su Zülle e 11’27” su Pantani.
Le montagne iniziano subito dopo il riposo e serpeggia un po’ di timore perché è ancora vivo il ricordo dell’ecatombe che nel 1993 aveva provocato il tappone di Serre-Chevalier, affrontato a “freddo” subito dopo il giorno di sosta e che aveva visto affondare irrimediabilmente i corridori italiani. Stavolta, invece, pur fioccando i distacchi sul traguardo in salita della Plagne, non si assistono ai crolli verticali visti due anni prima mentre Indurain dimostra di non aver perso per nulla il suo smalto in salita staccando i rivali sull’ascesa finale. Il navarro riesce, infatti, a guadagnare quasi due minuti e mezzo su Pantani, quattro su Rominger, cinque minuti e mezzo su Jalabert e qualcosina di più su Riis, mentre l’unico a sfuggire al suo controllo è Zülle, che era in fuga già da una novantina di chilometri e riesce a guadagnare due minuti sulla maglia gialla, ora ben più salda sulle spalle dello spagnolo. “Miguelon”, infatti, a questo punto vanta già 2’27” su Zülle, 5’58” su Riis, 6’35” su Rominger, 8’14” su Jalabert e 14’02” su Pantani, oggi risalito dalla 34a all’undicesima posizione in classifica.
Il giorno dopo si ritorna sull’Alpe d’Huez, sulla quale dodici mesi prima Pantani aveva fatto realizzare il miglior tempo di scalata, senza però riuscire a cogliere il successo di tappa. Stavolta gli va decisamente meglio perché riesce ad ottenere la sua prima vittoria al Tour, a staccare di un minuto e mezzo Indurain, Zülle e Riis e a migliorare di 13 secondi il suo record portandolo a 36′40″, un “tempone” che da allora più nessuno è riuscito a perfezionare. Tra gli altri favoriti, Jalabert giunge al traguardo 2’26” dopo l’arrivo del “Pirata” mentre il distacco di Rominger supera di poco i 3 minuti e al termine della due giorni alpina Indurain guarda ancora tutti dall’alto in basso con 2’27” su Zülle, sei minuti spaccati su Riis, 8’19” su Rominger, 9’16” su Jalabert e 12’38” su Pantani, che ha guadagnato altre piazze in classifica e ora è settimo.
Dopo la tappa di Saint-Étienne, vinta dell’ex italiano Maximilian Sciandri (italo-inglese, da febbraio ha deciso di correre con il passaporto britannico per poter disputare il mondiale con la nazionale di quello stato, non essendo mai stato selezionato da Alfredo Martini), sulle tormentate strade del Massiccio Centrale si disputa una frazione destinata a rimanere nella storia, al punto che da quel giorno la ripida salita finale verso il traguardo di Mende cambierà nome e da “Côte de la Croix Neuve” diventerà per tutti, e non solo per i francesi, la “Montée Laurent Jalabert”. Nel giorno della festa nazionale il corridore transalpino s’inventa una fuga di quasi 200 Km – assieme ad altri corridori che poi stacca sull’ascesa finale – che lo porta a guadagnare quasi sei minuti, grazie ai quali torna a risalire sul podio, portandosi al terzo posto della classifica con 3’35” di ritardo da Indurain.
Un’altra tappa di trasferimento (a Revel s’impone l’ucraino Serguei Outschakov davanti all’americano Lance Armstrong) precede l’assalto ai Pirenei, sui quali Pantani ribadisce d’esser scalatore dotato di fondo attaccando lontano dal traguardo, quando ancora mancano 40 Km all’approdo nella stazione di sport invernali di Guzet-Neige. Fa il vuoto sotto la pioggia, si presenta 43 secondi prima di Indurain sulla vetta del Port de Lers, poi incrementa il suo vantaggio sui colli successivi portandolo ai due minuti e mezzo con i quali taglia la linea d’arrivo, mentre il suo passivo da colmare in classifica è ora di quasi dieci minuti, tanti se si pensa sono rimaste solo due tappe a disposizione degli scalatori e di queste solo la prima è utile per tentare di accorciare le distanze dalla maglia gialla.
C’è ancora un giorno di riposo, durante il quale Pantani ne approfitta per fare “acquisti” (ne riparliamo più sotto), poi si deve affrontare l’ultimo tappone del Tour 1995, 206 Km e sei colli da scavalcare tra Saint-Girons e Cauterets, traguardo che ha già fatto impazzire gli organizzatori, costretti qualche mese prima a cambiare la salita finale – rinunciando a quella diretta alla località Pont d’Espagne per quella che conduce a Crête du Lys – a causa della protesta degli ambientalisti che aveva minacciato di boicottare la tappa. Tutti gli occhi sono puntati su Pantani, ma è il suo collega Richard Virenque ad andare a bottino presentandosi tutto solo al traguardo con 1’17” su Chiappucci e due minuti e mezzo su Riis, Indurain e Zülle, mentre torna a perdere le ruote dei migliori Jalabert, che accusa oltre quattro minuti di ritardo a Cauterets. Ancora peggio fa Pantani, che accusa quasi un quarto d’ora di passivo senza mai esser entrato nel vivo della corsa a causa della notte insonne trascorsa qualche ora prima. Tutta colpa dell’”acquisto” effettuato durante il giorno di riposo, un cavallo che porterà nella sua Cesenatico ma che gli costa una brutta infreddatura durante la visita al maneggio nel quale si era recato per comprarlo. Ai dolori corporali per questa mezza influenza si unisce poi il peso che si porta nel cuore dopo che dall’ammiraglia l’hanno avvisato di quanto successo in corsa, al 34° Km di gara, quando lungo la discesa dal Portet d’Aspet, il primo dei sei colli in programma, s’era spenta la vita di Fabio Casartelli. Il corridore comasco, che il mondo dello sport aveva conosciuto quando nel 1992 aveva conquistato l’oro nella gara su strada alle olimpiadi di Barcellona, era caduto in una maledetta curva che aveva tradito anche altri corridori, come il francese Dante Rezze, che in quel drammatico capitombolo era volato fuori dalla strada, precipitando nella scarpata dalla quale lo estrarranno i soccorritori. A questi appare ben più drammatica la situazione dell’italiano, come i telespettatori avevano già avuto modo di notare dalle veloci immagini riprese della moto della tv francese, che immortalano Fabio a terra, rannicchiato come se stesso dormendo col capo appoggiato a un cuscino d’asfalto e sangue, tanto sangue. Ha battuto il capo contro un paracarro e il danno subìto è purtrippo irrimediabile: la disperata corsa in elicottero verso l’ospedale di Tarbes è inutile e ai medici non rimane che comunicare la notizia del decesso dell’atleta.
L’indomani non c’è voglia di correre. Era già successo, in passato, che si disputasse regolarmente la tappa il giorno dopo la morte in corsa di un corridore, ma stavolta c’è una sensibilità diversa in gruppo e si decide di dedicargli quella che doveva essere l’ultima frazione di montagna. I 237 Km che si devono percorrere tra Tarbes e Pau prevedono cinque colli, tra i quali l’Aubisque e il Soudet, ma nulla succede perché tutti rimangono compatti, realizzando un mesto corteo funebre che vede i corridori rimanere in sella otto ore solo per omaggiare il compagno di viaggio deceduto. All’ultimo chilometro vengono fatti avvantaggiare i corridori della Motorola, la formazione di Casartelli, poi si dispone che i premi in programma fra traguardi volanti e gran premi della montagna, vengano destinati ad Annalisa, la giovane moglie di Fabio che appena due mesi prima aveva dato alla luce un bambino.
Il giorno del funerale di Fabio si corre la tappa di Bordeaux, vinta allo sprint da Zabel, poi Armstrong trova l’occasione per dedicare personalmente un successo al compagno di squadra che non c’è più. Lo fa all’ultima occasione utile, azzeccando la fuga tra Montpon-Ménestérol e Limoges, traguardo al quale si presenta puntando gli indici al cielo e mandando baci verso le nuvole.
Asciugate per l’ennesima volta le lacrime, il sipario torna ad alzarsi sull’alta classifica nella seconda e ultima delle cronometro individuali previste dal tracciato. Sul tortuoso circuito del Lac de Vassivière stavolta Indurain è autore di una prestizione migliore rispetto a quella della crono belga, nella quale i corridori che gli arrivano più vicino sono gli stessi di Seraing, con Riis e Rominger che accusano rispettivamente 48” e 1’05” di ritardo.
Ventiquattore più tardi il successo a Parigi di Abdoujaparov mette i sigilli al quinto e ultimo Tour a “trazione Indurain”, vinto dal corridore iberico con 4’35” su Zülle, 6’47” su Riis, 8’24” su Jalabert, 16’46” su Rominger e 13’21” su Pantani.
L’era Indurain si chiuderà ufficialmente un anno più tardi, il 6 luglio nel 1996, nel corso del tappone alpino di Les Arcs. Sarà quella un’edizione atipica per le condizioni meteo che si patiranno nella prima settimana, quando un luglio insolitamente freddo costringerà – per la prima e unica volta nella storia – a modificare una tappa a causa della neve. L’inizio del Tour non è troppo negativo per il corridore spagnolo, che accusa 12 secondi di ritardo da Zülle nel cronoprologo di ’s-Hertogenbosch. Stavolta non è prevista la cronosquadre e la prima crono lunga s’affronterà solo dopo la prima tappa di montagna, che da Chambéry conduce all’inedito traguardo di Les Arcs. Indurain controlla come al solito e fino a tre chilometri e mezzo dal traguardo non ci sono sorprese. Ma il navarro, forse a causa delle temperature eccezionalmente fresche, non ha bevuto a dovere ed è vittima d’una crisi di sete che lo porta ad accusare più di quattro minuti dal francese Luc Leblanc e qualcosa meno sugli altri avversari. La cronoscalata dell’indomani verso Val-d’Isère vede ancora in scena un Indurain oramai “impallidito” rispetto al corridore che fino all’anno prima dominava le prove contro il tempo e anche nelle successive tappe di montagna non riuscirà più a recuperare il terreno perduto e, anzi, perderà ancora parecchi minuti. Si rivedrà il solito asso acchiappatutto a cronometro solo nella tappa contro il tempo del penultimo giorno a Saint-Emilion, dove tornerà a staccare pesantemente tutti gli altri avversari ma si troverà a fare i conti con un 22enne, Jan Ullrich da Rostock, che riuscirà per 56 secondi a far meglio dell’oramai 32enne navarro di Villava.
L’era Indurain è terminata.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
























BATTI UN CINQUE – 1994, IL QUARTO TOUR DI INDURAIN
Tramontata l’era di Chiappucci e Bugno al Tour irrompono sulle scene della Grande Boucle il russo Piotr Ugrumov e il romagnolo Marco Pantani, i due scalatori che nelle più recenti edizioni del Giro avevano messo alle corde Indurain in salita. Non ce la faranno nemmeno loro a impedirgli la quarta vittoria al Tour ma gli finiranno alle spalle, con il “Pirata” che conferma anche sulle strade francesi le doti messe in mostra alla Corsa Rosa un mese prima.
Piotr Ugrumov. Marco Pantani. E un uomo che si dibatte insonne nel letto.
Se alla vigilia della partenza del Tour del 1994 Miguel Indurain avesse avuto gli incubi, sicuramente i protagonisti di questi sogni sarebbero stati loro due. Il russo al Giro del 1993 era stato il primo a metterlo in crisi in salita, era successo salendo verso Oropa nella penultima giornata di una corsa che il navarro era comunque riuscito a vincere, con 58” di vantaggio su Ugrumov. L’italiano aveva fatto di “peggio” (o di meglio, a seconda dei punti di vista): un mese prima nel tappone dell’Aprica lo aveva pesantemente staccato in salita e poi lo aveva sopravanzato in classifica a Milano, anche se il successo finale era andato a un terzo corridore che li aveva preceduti entrambi, Eugeni Berzin, altro russo.
E adesso al Tour che si accinge a partire da Lilla li avrebbe trovati in gara tutte e due, il primo alla sua seconda esperienza dopo aver preso parte all’edizione del 1990 (terminata in 45a posizione) e il secondo al debutto assoluto. Oltre a guardarsi da questi due pericolosi avversari Indurain dovrà poi fronteggiare anche Tony Romiger, che l’anno precedente era giunto secondo in classifica dopo essersi “permesso” di batterlo nell’ultima cronometro, ma fortunatamente per lui il corridore elvetico uscirà di scena alla prima tappa di montagna, messo ko da un’intossicazione alimentare. In gara ci sono ancora Claudio Chiappucci e Gianni Bugno, i due corridori che fino a qualche stagione fa erano le due “punte” italiane al Tour ma che ora si ritrovano con le armi spuntate: entrambi finiranno la corsa anticipatamente, imboccata la strada che lentemente li porterà al ritiro agonistico nel 1998.
La prima sfida tra i corridori che ambiscono a vestirsi in giallo a Parigi si svolge sui sette pianeggianti chilometri del cronoprologo di Lilla, che si conclude favorevolmente per Indurain: il campione spagnolo riesce a staccare di 4” Rominger, di 18” Chiappucci, di 20” Ugrumov, di 39” Bugno e di 41” Pantani, ma non è sua la prima maglia gialla perché meglio di lui fa per 15 secondi l’ex recordman dell’ora Chris Boardman (ad aprile il connazionale Graeme Obree si era ripreso il primato), che nell’occasione fa registrare la media più veloce della storia del Tour (55.152 Km/h).
La prima tappa è un piattone di 234 Km in direzione di Armentières, attraversando le terre dell’”Inferno del Nord” ma senza proporre nemmeno un tratto di pavè. Nonostante questo l’inferno si scatena per davvero perché, alle spalle della vittoria dell’uzbeko Djamolidine Abdoujaparov, sul rettilineo d’arrivo un poliziotto provoca una delle più spaventose cadute della storia del Tour. Doveva trattenere la folla entro le transenne e invece è lui a sporgersi verso il gruppo per scattare una foto, finendo per essere centrato in pieno petto dalla testa del velocista belga Wilfried Nelissen. La caduta dei due innesca un ruzzolone generale, con il gruppo che salta letteralmente per aria per poi piombare sull’asfalto, sul quale il francese Laurent Jalabert lascia parte della sua dentatura e la prima parte della sua carriera. Sarà l’unico a uscirne avantaggiato perché dopo questa giornata deciderà di non lanciarsi più nella mischia degli sprint e si scoprirà corridore in grado di emergere a cronometro e in salita grazie ai suggerimenti del suo medico curante, che durante la convalescenza gli consiglierà di camminare a lungo nell’acqua del mare, potenziando così maggiormente la muscolatura delle gambe.
Altro sprint (stavolta senza incidenti) nella Roubaix – Boulogne-sur –Mer, vinta dall’olandese Jean-Paul Van Poppel, poi arriva il giorno della cronometro a squadre, per la quale è stato predisposto un impegnativo tracciato di 66,5 Km, caratterizzato anche da alcuni saliscendi e disegnato tra Calais e il piazzale dell’Eurotunnel sotto la Manica, che era stato inaugurato due mesi prima. Come l’anno precedente a imporsi è la GB-MG, mentre stavolta la Carrera di Chiappucci e Pantani, che nelle cronosquadre più recenti era stata la migliore tra le formazioni dei big, incassa la prestazione peggiore, preceduta di 33” dal Team Polti di Bugno, di 54” dalla Gewiss-Ballan di Ugrumov, di 1’14” dalla Mapei-Clas di Rominger e di 1’38” dalla Banesto di Indurain.
È prevista a questo punto una trasferta di 48 ore in Gran Bretagna che porta bene ai corridori italiani, a cominciare dalla conquista della maglia gialla da parte del trevigiano Flavio Vanzella, che sul traguardo della Dover – Brighton si piazza terzo a 20” dal vincitore – lo spagnolo Francisco Cabello – e riesce per quattro secondi a togliere le insegne del primato dalle spalle del suo compagno di squadra Johan Museeuw. A completare la festa azzurra oltremanica è l’indomani il successo allo sprint del veronese Nicola Milani, che a Portsmouth anticipa il tedesco Olaf Ludwig e il corregionale Silvio Martinello.
Tornato in patria, il Tour continua a parlare italiano grazie al milanese Gianluca Bortolami, che s’impone nell’interminabile Cherbourg – Rennes, 270 Km che vedono andare in porto una fuga da lontano di sette corridori, giunta al traguardo con 46” di vantaggio sul gruppo e una nuova maglia gialla, il britannico Sean Yates, che oltre a toglierla a Vanzella la nega per un solo secondo a Bortolami.
Un nuovo cambio al vertice è all’orizzonte e l’avvicendamento si concretizza il giorno successivo all’arrivo di un’altra tappa particolarmente lunga, che vede i corridori pedalare alla volta del parco Futuroscope per quasi 260 Km, 155 dei quali percorsi in fuga solitaria dal veronese Eros Poli, che oggi sarà raggiunto dal gruppo ma che più avanti troverà un’altra occasione per farsi notare. Intanto grazie ai secondi racimolati in abbuoni strada facendo il belga Museeuw riesce a strappare la maglia gialla a Yates, mentre lo sprint finale vede il ceco Ján Svorada transitare per primo sulla linea d’arrivo davanti ad Abdoujaparov e Ludwig.
Dopo una tappa semicollinare da Poitiers a Trélissac, che vede ancora arriva la fuga con vittoria del danese “Bo” Hamburger, si giunge all’appuntamento più temuto e allo stesso momento attesto dagli avversari di Indurain, una lunga e veloce cronometro che da Périgueux conduce fino a Bergerac. Le pessime prestazioni che “Miguelon” aveva fornito nelle due crono del Giro d’Italia, unite al ricordo della tappa dell’anno precedente che l’aveva visto battuto da Rominger sul suo terreno prediletto, lasciano immaginare altri scenari simili, ma non sarà così perchè il capitano della Banesto dimostra sulle filanti strade della Dordogna d’aver ampiamente superato i problemi che lo avevano condizionato alla Corsa Rosa ed è autore di una gara “monstre” che fa tornare alla mente la sua vittoria di due anni prima in Lussemburgo: percorre i 64 Km del tracciato in 1h15’58”, a una media di 50.539 Km/h, e affibbia distacchi che fanno male, dai due minuti patiti da Rominger ai 6’04” di Ugrumov, per non parlare degli undici minuti perduti da Pantani.
Con queste premesse si attendono febbrilmente i Pirenei, preceduti da una vallonata tappa di trasferimento che termina a Cahors con il successo in solitaria del francese Jacky Durand, che al traguardo precede di 55” il bergamasco Marco Serpellini, in precedenza in fuga con lui e altri due compagni d’avventura, Bortolami e l’australiano Stephen Hodge.
La prima frazione pirenaica è un’altra sbornia di chilometri, 259.5 Km per la precisione, totalmente pianeggiante fino ai piedi dell’inedita salita finale verso la stazione di sport invernali di Hautacam, che amministrativamente appartiene al municipio di Beaucens ma che gli organizzatori hanno accomunato nella nomenclatura del Tour a quello di Lourdes, la cittadina del celebre santuario mariano distante una ventina di chilometri. E, nonostante un impenetrabile nebbione, la Madonna per davvero appare a qualcuno, come a Chiappucci, che soffre come un cane a causa di un’intossicazione alimentare contratta in albergo, lo stesso nel quale alloggiava la formazione di Rominger, che pure ne patisce. E quando la maglia gialla s’accorge che l’avversario elvetico è in crisi lo attacca duramente con un’azione alla quale resiste solo il francese Luc Leblanc, al quale lascia la vittoria, e che gli permette di andare a riprendere Pantani, che con un precedente scatto era riuscito a guadagnare una quarantina di secondi: il “Pirata” giunge terzo al traguardo con 18 secondi di ritardo, Ugrumov è 6° a 1’26”, Rominger 16° a 2’21” mentre Chiappucci, che durante la tappa è stato costretto a fermarsi più volte per vomitare e che si ritirerà durante il successivo giorno di riposo, conclude la tappa tra gli ultimi di giornata con un ritardo di quasi 24 minuti.
Più fortuna ha Pantani nel tappone di Luz Ardiden perché Indurain stavolta preferisce non inferire ulteriormente sul delibitato Rominger, che a differenza di Chiappucci non si è ritirato (ma lo farà a breve) e oggi perde altri tre minuti dallo spagnolo. Così lo scalatore di Cesenatico riesce a capitalizzare l’attacco che mette in scena sul Tourmalet, pur sfuggendogli la vittoria di tappa perché a quel punto è oramai imprendibile Richard Virenque, in fuga sin dal Peyresourde e in testa alla corsa con più di sette minuti di vantaggio. Al traguardo il francese si presenta in solitaria quattro minuti e mezzo prima dell’arrivo di Marco, che a sua volta riesce a precedere di tre minuti la maglia gialla, giunta all’uscita dai Pirenei con il Tour in tasca ermeticamente chiusa. Ora, infatti, lo spagnolo ha ben otto minuti di vantaggio su Virenque, che ha lo stesso distacco in classifica di Rominger, mentre Pantani è 8° a 11′55″ e Ugrumov è 10° a 13′17″.
Tutti sono adesso curiosi di vedere cosa riuscirà a combinare Pantani sulle salite alpine, che debutteranno tre giorni dopo con la salita al Mont Ventoux. Nel frattempo si devono affrontare due movimentate tappe di trasferimento nelle quali fanno notizia, più che le due vittorie danesi consecutive (Bjarne Riis ad Albi e Rolf Sørensen a Montpellier), i ritiri eccellenti che decimano la carovana: oltre a Rominger, lasciano il Tour il campione nazionale francese Durand, pure lui colpito da gastroenterite, e l’italiano Bugno che, oltre ad avere a questo punto un passivo di quasi 50 minuti da Indurain, fin dai giorni del Giro era in rotta con il suo storico direttore sportivo Gianluigi Stanga e, infatti, al termine della stagione lascerà il Team Polti per passare alla MG Boys (il nome che la GB-MG adotterà tra il 1995 e il 1997) diretta da Giancarlo Ferretti.
Sul “Gigante della Provenza” va poi in scena un doppio show a firma italiana, con protagonisti Poli e Pantani. È il primo il vero protagonista di giornata, in fuga solitaria per quasi 170 Km e vincitore al traguardo di Carpentras con quasi 4 minuti sul gruppo dopo aver guadagnato ben 25’30” e aver successivamente dilapidato gran parte di questo bottino salendo sul Ventoux. Mentre davanti il corridore veronese viaggia verso la vittoria, dal gruppo maglia gialla esce lo scalatore romagnolo, che in vetta all’ascesa provenzale transita con un minuto e mezzo su Indurain e poi viene riacciuffato in discesa con una planata da brividi, che vede lo spagnolo rischiare il fuoripista in una curva.
Al Ventoux segue a ruota un’altra salita storica che stuzzica a puntino un corridore come Pantani, l’Alpe d’Huez. Neanche qui Marco tradisce le attese andando all’attacco e stavolta non c’è una discesa subito dopo a rovinargli la festa: su quei mitici 14 Km stabilisce il tempo record di scalata (37 minuti e 15 secondi a 22.228 Km/h) battendo quello precedente di Bugno (40’27” nel 1991) e rosicchia 2’15” a Indurain, ma anche oggi non è lui ad alzare le braccia al cielo. Al traguardo, infatti, l’hanno preceduto sette dei quattordici corridori andati in fuga subito dopo la partenza e tra questi c’è Roberto Conti, un conterraneo del “Pirata”, che mette il sigillo in una delle tappe più attese precedendo di due minuti il colombiano Hernán Buenahora.
La vera impresa Pantani la compie il giorno dopo, quando è autore di un vero e proprio “miracolo” per come si erano messe per lui le cose durante il tappone che da Bourg-d’Oisans conduce in 149 Km a Val Thorens. A una ventina di chilometri dalla partenza il “Pirata” cade nell’affrontare una delle brevi discesine che spezzano l’interminabile versante sud del Col du Glandon e finisce in una pietraia a bordo strada, battendo il ginocchio. L’articolazione si gonfia e Marco ci mette un minuto buono per rimettersi in sella, ma fatica a procedere ed è necessario l’intervento del dottor Gérard Porte, il medico del Tour, che cerca di risolvere il problema ricorrendo al ghiaccio spray. Ma Pantani scuote la testa a più riprese e l’espressione del suo volto, deformata dal dolore, lascia intendere un ritiro oramai prossimo. Poi arriva una prima resurrezione, quando riesce a tornare in gruppo e tenta addirittura un attacco sul Col de la Madeleine, e poi una seconda e stavolta non ce n’è per nessuno: scatta a cinque chilometro e mezzo dal traguardo e porta via un altro minuto e mezzo a Indurain, anche se pure in quest’occasione la fuga di giornata ha accumulato un vantaggio irrecuperabile e vede imporsi il colombiano Nelson Rodríguez davanti al russo Ugrumov, che zitto zitto pure lui oggi guadagna parecchio sul navarro. Ora la maglia gialla comanda con 7’21” su Virenque, 8’11” su Pantani (che in due giorni è risalito dal sesto al terzo posto), 8’38” su Leblanc, 10’04” su Conti e 11’34” su Ugrumov.
Forse Indurain si era dimenticato del russo che lo aveva messo in difficoltà al Giro del 1993, complici anche i quasi dodici minuti che Ugrumov aveva perduto tra la crono di Bergerac e le tappe pirenaiche. Ma ora l’incubo torna a bussare alle porte con prepotenza e dopo il secondo posto a Val Thorens per l’ex sovietico arriva la vittoria nella Moûtiers – Cluses, che lo vede solitario al traguardo con 2’39” su Indurain, che a sua volta riesce a guadagnare quasi un minuto su Pantani attaccandolo con Virenque nella discesa che dal Col de la Colombière conduce al traguardo. Grazie alle azioni dei due corridori ora il “Pirata” si vede costretto ad arretrare in quarta posizione, lasciando il gradino più basso del podio proprio a Ugrumov.
E non è ancora finita per il russo che il giorno fa sua anche la complicata cronoscalata ad Avoriaz, una cronoscalata “tripla” perché prima dell’impegnativa ascesa finale ne sono previste altre due più morbide, la Côte de Châtillon-sur-Cluses e quella di Les Gets: in 47 Km e mezzo riesce a distanziare di 1’38” Pantani e di 3’16” Indurain mentre crolla il secondo della classifica generale, Virenque, che perde quasi 6 minuti e precipita giù dal podio fino alla quinta posizione.
L’indomani ci sarebbe ancora un’ultima salita da affrontare, il lungo Col de la Faucille per il quale la tv francese ha previsto una diretta anticipata, come quelle proposte in occasione dei tapponi. Ma la stanchezza accumulata nelle giornate precedenti è tale che il gruppo decide di affrontare al piccolo trotto questa penultima frazione, disegnata tra Morzine e le sponde del lago di Saint-Point; la salita non lascia strascichi e così all’arrivo il gruppo si presenta totalmente compatto, senza nessun distacco da segnalare tra il vincitore e l’ultimo elemento del gruppo a transitare dal traguardo. La vittoria di Abdoujaparov viene vista come una sorta di anticipo del quasi certo sprint in programma il giorno successivo sugli Champs-Élysées e invece si rivelerà come il “canto del cigno” per i velocisti in questa edizione del Tour.
L’ultima tappa, infatti, sfugge al controllo delle formazioni degli sprinter, che per una trentina di secondi non riescono ad annullare le distanze dalla fuga partita al secondo degli otto giri del tradizionale circuito finale. Così è un corridore che mai si sarebbe sognato di vincere su questo prestigioso traguardo, il francese Eddy Seigneur, a trionfare sulla celebre avenue parigina per poi lasciare il palcoscenico finale per la quarta volta a Indurain, giunto in giallo nella capitale francese con 5’39” su Ugrumov e 7’19” su Pantani.
L’incubo è rimasto tale, soltanto un brutto sogno.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE

























Tour 1994, Indurain in azione sull'Alpe d'Huez (wikipedia)
BATTI UN CINQUE – 1993, IL TERZO TOUR DI INDURAIN
Si pensava che la piccola crisi patita nella tappa di Oropa del Giro d’Italia fosse un campanello d’allarme per Indurain e una piccola crepa sulla quale i suoi avversari avrebbero potuto aprire una breccia al Tour de France. Invece sarà ancora il navarro a imporsi alla Grande Boucle e stavolta a finirgli più vicini di tutti non saranno gli storici rivali italiani, Bugno e Chiappucci, entrambi usciti clamorosamente di scena fin dalla prima tappa di montagna.
Un piccolo barlume di speranza.
Ventuno giorni prima della partenza del Tour del 1993 era accaduto un fatto che aveva acceso le speranze degli avversari che Indurain avrebbe fronteggiato alla corsa francese. Era il 12 giugno e al Giro d’italia si stava disputando la penultima tappa di un’edizione della Corsa Rosa che il corridore spagnolo aveva dominato come al solito, guardingo in montagna e despota a cronometro. Il giorno prima aveva spadroneggiato lungo i 55 Km della cronoscalata del Sestriere e ora si aggingeva ad affrontare con 1’34” di vantaggio sul russo Piotr Ugrumov l’ultima frazione di montagna, diretta al santuario di Oropa. Ai piedi della salita biellese i due erano assieme poi avvenne l’avvenimento che tutti attendevano da tre anni a questa parte: Ugrumov attaccava e inaspettatamente Indurain traballava, soffriva e perdeva 36 secondi, comunque troppo pochi per portar via la maglia rosa allo spagnolo, che il giorno dopo a Milano sarà incoronato vincitore del Giro con 58” sul russo.
Quando la carovana del ciclismo si raduna al Puy du Fou, suggestiva località della Vandea che Jean-Marie Leblanc ha scelto quale sede di partenza dell’80° Tour de France, quella giornata è ancora uno degli argomenti di discussione. Ha aperto una speranza negli avversari, tra i quali in pole position c’è ancora Claudio Chiappucci, che aveva concluso in terza posizione la Corsa Rosa dopo aver ottenuto un successo nel duro tappone di Corvara, unica sua affermazione in carriera al Giro. Molto minori, invece, sono le speranze rivolte su Gianni Bugno, che al Giro ha sofferto sia in montagna, sia nelle cronometro e c’è qualcuno che arriva a tirare in ballo la leggenda della “maledizione” che colpirebbe chi veste la maglia iridata e che nel suo caso sarebbe doppia perché la indossa da ben due anni avendo vinto nella stagione precedente il suo secondo mondiale consecutivo. Ma, quattro successi di tappa a parte e due giorni in maglia gialla per Mario Cipollini, non ci sarà molta gloria per gli italiani in questa edizione del Tour e soprattutto proprio per i due campioni tanto attesi, che entrambi pagheranno pesantemente nella prima tappa di montagna, vedendo presto compromesse le possibilità non solo di lottare per la vittoria, ma anche per un piazzamento sul podio. Alla fine il corridore che più arriverà vicino al trono di Indurain sarà Tony Rominger, l’elvetico che in quegli anni stava “tiranneggiando” alla Vuelta – tre vittorie consecutive tra il 1992 e il 1994 – e che in questa edizione del Tour riuscirà addirittura a far meglio dello spagnolo in una tappa a cronometro.
S’inizia con un cronoprologo di circa 7 Km che non sembra particolarmente adatto a un corridore come Indurain per la presenza di un secco strappo nella seconda parte del tracciato; invece è proprio in quel tratto che lo spagnolo costrusce il suo successo e va a vincere la tappa d’apertura a 49.687 Km/h distanziando di 8” l’elvetico Alex Zülle e di 11” un Bugno che sembra essersi lasciato alle spalle le negative prestazioni offerte al Giro, mentre anche Chiappucci è autore di una buona prova riuscendo a limitare i “danni” a 20 secondi.
Dopo il prologo il Tour s’imbarca per una prima settimana che si rivelerà decisamente noiosa, soprattutto se paragonata ai più elettrizzanti inizi delle edizioni precedenti, nella quale – cronometro a squadre a parte – si succedono sette tappe scarsamente popolate di difficoltà altimetriche e tutte adatte ai velocisti. L’unica emozione di un certo livello offerta dalla prima frazione in linea viene ancora da Indurain, che inattesamente si lancia in un traguardo volante riuscendo a racimolare qualche secondo d’abbuono; poi si arriva tutti assieme allo sprint sul ventoso lungomare di Les Sables-d’Olonne, dove Cipollini ottiene la sua prima vittoria al Tour al termine di una volata nella quale ha dovuto fare tutto da solo, essendo rimasto senza compagni al suo fianco nel vorticoso finale.
Si arriva allo sprint anche il giorno successivo a Vannes, al termine di una tappa che lungo il cammino ha proposto per la prima volta nella storia il transito dal Passage de Gois, la stradina lastricata che è possibile percorrere solo per poche ore al giorno, nei momenti nel quale non è sommersa dal mare. Ci sono polemiche per questo passaggio, che fortunatamente non crea problemi in gruppo, mentre maggior “scompiglio” lo portano gli abbuoni in palio tra i tre sprint intermedi e il traguardo finale, ai quali fa incetta di queste bonificazioni il belga Wilfried Nelissen: ne vince due e poi s’impone nella volata che più conta, riuscendo a togliere per 17 secondi la maglia gialla a Indurain.
Dopo la tappa di Dinard, terminata con lo sprint vincente dell’uzbeko Djamolidine Abdoujaparov, arriva il giorno di una tappa temuta e allo stesso tempo molto criticata. A diversi corridori – e anche tifosi e giornalisti – non è mai piaciuta la cronometro a squadre ma stavolta sono in tanti a lamentarsi per il chilometraggio eccessivo che gli organizzatori hanno previsto per la prova collettiva. Gli 81 Km che si devono percorrere tra Dinard e Avranches paiono anacronistici nel ciclismo degli anni ’90 e presentano uno strappo finale sul quale le formazioni arrivati fin lì affaticate potrebbero disunirsi. Non hanno nulla da lamentare, invece, i corridori della GB-MG, la formazione italiana diretta da Patrick Lefevere che oggi fa registrare il miglior tempo fermando i cronometri dopo un’ora, 34 minuti e 10 secondi, volando a 51.610 Km/h, precedendo di 5” la spagnola Once e, soprattutto, permettendo a Cipollini di conquistare la maglia gialla, vestita con 6” sull’ex leader Nelissen. Per quanto riguarda la corsa delle squadre dei grandi favoriti, la migliore ad Avranches è la Carrera di Chiappucci, che fa meglio di 35” della Banesto di Indurain e di 47” della Gatorade di Bugno. Mastica amaro, invece, Rominger perché la sua CLAS ha perduto 1’44” dalla formazione del navarro, distacco al quale va aggiunto un minuto di penalizzazione inflitto a tutta la squadra in conseguenza di alcune spinte.
Ora il prossimo obiettivo sul quale sono puntati i riflettori del Tour è la cronometro del Lac de Madine, prima delle quale bisogna “digerire” quattro frazioni di trasferimento prive di particolari spunti d’interesse. La prima di queste ha solo un po’ di pepe nella coda per via dell’ascesa che inizia poco prima della “flamme rouge” e che si conclude sotto lo striscione del traguardo di Évreux, ideale per la sparata di un finisseur: ne approfittano il danese Jesper Skibby, che per un solo secondo riesce a resistere alla veemente rincorsa del gruppo, e Nelissen, che agguanta l’abbuono destinato al corridore giunto secondo e riesce così a tornare in possesso della maglia gialla per due secondi.
Le insegne del primato sono destinate a tornare sulle spalle di Cipollini ventiquattrore più tardi, dopo che il velocista toscano ha battuto in volata il gruppo compatto sul traguardo di Amiens e ha ingaggiato un’accesa lotta con Nelissen agli sprint intermedi. Anche in questo caso, però, c’è un corridore che è arrivato prima di tutti e risponde al nome del belga Johan Bruyneel, ultimo corridore della fuga di giornata rimasto in testa alla corsa, giunto al traguardo con 13” di vantaggio sul gruppo.
Un simile copione, la fuga che riesce ad andare in porto, viene messo in scena il giorno dopo sul palco della frazione che da Péronne conduce a Châlons-sur-Marne, il comune francese che si chiama ancora così nel 1993 e che cinque anni più tardi riprenderà l’originario nome di Châlons-en-Champagne. Stavolta non c’è un solo attore perché al traguardo si presentano in cinque, con l’italiano Bruno Cenghialta a rivestire il ruolo del protagonista sfortunato per una caduta che lo coglie a poche centinaia di metri dall’arrivo, dopo aver tamponato una moto della televisione francese che stava svoltando nella deviazione riservata ai mezzi al seguito. Sono comunque applausi a scena aperta per il corridore vicentino che, a causa della rottura della bici, è costretto a tagliare a piedi il traguardo dove una trentina di secondi il danese Bjarne Riis si era imposto precedendo l’italo-britannico Maximilian Sciandri e il belga Johan Museeuw che, grazie ai 2’26” guadagnati sul gruppo, toglie la maglia gialla al compagno di squadra Cipollini e la veste con 39” su Álvaro Mejía, il colombiano che era stato uno dei protagonisti della fuga e che sarà la vera rivelazione di questa edizione del Tour, conclusa in quarta posizione dopo esser riuscito a tenere le ruote dei migliori sulle salite alpine prima e pirenaiche poi. Ma c’è un’altra notizia che tiene banco questo giorno al Tour e arriva dalla Norvegia, dove il pistard britannico Graeme Obree “avrebbe” battuto il record dell’ora di Francesco Moser (51,151 Km), che resisteva da nove anni e sembrava irraggiungibile: le virgolette sono d’obbligo perché, a causa dell’assenza di giudici regolari a bordo della pista del velodromo di Hamar, l’UCI non ha omologato i 51,525 Km percorsi in sessanta minuti dal britannico, che comunque ha già annunciato che a breve tenterà nuovamente il record, stavolta in maniera ligia ai regolamenti.
Con la crono alle porte si disputa la tappa altimetricamente più difficile della prima settimana, anche se non si possono definire un ostacolo particolarmente temibile i 2 Km al 5.6% che conducono sulla Côte de Douaumont, da superare a una dozzina di chilometri dal traguardo di Verdun. Lassù c’è un ossario nel quale riposano le spoglie di centotrentamila soldati deceduti durante la prima guerra mondiale e per rispettare la sacralità del luogo l’organizzazione ha posto il veto alle ammiraglie di strombazzare come di consueto al momento del passaggio della corsa. Un unico squillo di tromba lo suona Chiappucci che, per la prima volta dopo giorni di “nulla”, tenta un assalto nel momento nel quale le pendenze si fanno un attimo più “croccanti”, subito rintuzzato da Indurain. Mentre accade tutto questo, anche oggi in testa alla corsa c’è un piccolo gruppetto che riesce ad andare fino al traguardo, dove s’impone un corridore ancora poco noto, che gli italiani comunque già conoscono perché a febbraio aveva vinto il Trofeo Laigueglia e due anni prima, quando ancora era dilettante, si era imposto nella classifica generale della Settimana Ciclistica Bergamasca: l’ex triatleta statunitense Lance Armstrong.
La tanto attesa prima cronometro individuale lunga si disputa attorno al Lac de Madine, su di un circuito di 59 Km che rappresenta un invito a nozze per Indurain, prevalentemente pianeggiante e spezzato solo da un paio di brevi e morbide salite. Di fatto è una riedizione della crono lussemburghese dell’anno prima, anche se i distacchi che il navarro infligge sono leggermente inferiori: 2’11” per Bugno, 2’42” per un Rominger che è stato penalizzato dalla grandine e dall’aver percorso l’ultimo tratto con una ruota afflosciata da una foratura, 5’18” per Chiappucci. Inevitabilmente, non essendoci state fughe clamorose nella prima parte del Tour (come invece era successo l’anno prima), è lo spagnolo a vestirsi di giallo, comandando ora la classifica con 1’35” sull’olandese Erik Breukink e 2’30” su Bruyneel, mentre Bugno è quarto a 2’32”, Chiappucci 14° a 5’07” e Rominger 20° a 5’44”.
Dopo un giorno di riposo e un lungo trasferimento in aereo si disputa il primo tappone alpino, che prevede partenza e arrivo in montagna, da Villard-de-Lans a Serre-Chevalier passando per i colli del Glandon e del Galibier. È risaputo che diversi corridori soffrono il riposo perché spezza il ritmo di gara e spesso si sono avute inattese débâcle quando ci si rimette in sella per affrontare tappe come questa. È quello che succede ai corridori sui quali vertevano le speranze degli italiani: in crisi sul Galibier Bugno paga 7’42” e ancor peggio va a Chiappucci, il cui ritardo oggi sfiora i nove minuti. La selezione non si verifica solo nelle retrovie poichè al traguardo si presentano solo tre corridori con poco più di un minuto di vantaggio sui primi inseguitori: sono il re del Tour Indurain, l’elvetico Rominger, che s’impone allo sprint, e il sempre più sorprendente Mejía, che si piazza nel mezzo tra i due litiganti.
Avrà i medesimi protagonisti il ben più duro tappone che si disputa il giorno dopo in direzione di Isola 2000, stazione di sport invernali a due passi dal confine dell’Italia dove si giunge dopo esser saliti su tre mitici colli, l’Izoard, il Vars e la Bonette, tetto del Tour dall’alto dei suoi 2082 metri. Sono, infatti, ancora Rominger e Indurain i primi a sopraggiungere sulla linea d’arrivo, stavolta senza Mejía che però giunge ancora vicino ai due, quinto al traguardo con 15” di ritardo, preceduto da un risorto Chiappucci e da un’altra delle sorprese del Tour 1993, il polacco Zenon Jaskuła. La giornata è, invece, ancora difficile per Bugno, che lascia per strada altri 13 minuti, mentre è costretto a far le valigie Cipollini, che termina il tappone al di fuori del tempo limite. Intanto Indurain continua senza troppi patemi a condurre la classifica, che ora lo vede precedere di 3’23” Mejía e di 4’31” Jaskuła, mentre il due volte vincitore di tappa elvetico è 4° a 5’44”, Chiappucci 7° a 14’09” e Bugno 12° a 23’05”.
Dalle Alpi al mare si disputa la frazione più lunga, che si estende per quasi 290 Km tra Isola 2000 e Marsiglia, dove si giunge dopo un tracciato altalenante ideale per un tentativo di fuga che il gruppo, provato da due giornate molto impegnative, potrebbe lasciar andare. È quel che in effetti succede sin dal 73° Km di questa tappa, quando “evadono” ben ventiquattro corridori, tentativo che riesce a decollare senza però che il vantaggio raggiunga dimensioni rassicuranti sulla buona riuscita della fuga, mantenendosi sempre sotto al minuto. Annusato il pericolo, il marchigiano Fabio Roscioli decide di lasciare la compagnia del drappello con il quale aveva tentato la sortita e di proseguire in solitaria: la sua è l’azione giusta, che lo porta ad accumulare fino a quasi 17 minuti sul gruppo a 130 Km dal traguardo, vantaggio che si mantiene quasi immutato fin sulla linea d’arrivo, che Fabio taglia a braccia levate sette minuti prima dell’arrivo del secondo classificato, Massimo Ghirotto, altro italiano.
La successiva frazione di Montpellier, che riserva come unico spunto di cronaca interessante un vano tentativo a sorpresa di Rominger nel pianeggiante finale, termina con il successo in volata del tedesco Olaf Ludwig, poi tutti corrono a sintonizzarsi sul canale che sta trasmettendo il tentativo, regolare stavolta, di Obree di infrangere quel record che appartiene a Moser e che aveva già battuto, ma senza l’omologazione necessaria per l’iscrizione nell’albo d’oro. La sera precedente ci aveva provato fallendo, stavolta le cose vanno meglio e in un’ora il britannico riesce a percorrere 51,596 Km, 445 metri in più rispetto al trentino e 70 metri meglio del suo tentativo della settimana precedente, quello che l’UCI aveva respinto al mittente per “vizio di forma”.
Si torna poi a pensare al Tour che prima dei Pirenei ha in programma un’altra frazione di trasferimento nella quale il gruppo lascia andar via una fuga che riesce a giungere al traguardo di Perpignano con un vantaggio simile a quello con il quale Roscioli si era imposto a Marsiglia. Ma stavolta l’Italia si deve accontentare solo del secondo posto, conquistato dal piacentino Giancarlo Perini alle spalle di Pascal Lino, il francese che al Tour dell’anno prima aveva vestito per dieci giorni la maglia gialla.
La prima tappa pirenaica presenta lo stesso filo conduttore delle frazioni alpine poiché, dopo essersi saliti ai 2409 metri del Colle dell’Envalira e aver affrontato l’inedita ascesa finale verso il traguardo andorrano di Pal, i migliori concludono tutti assieme: 1’50” dopo l’arrivo vittorioso del colombiano Oliverio Rincón, Rominger conquista il secondo posto precedendo un selezionato gruppetto di corridori nel quale ci sono la maglia gialla, Jaskuła, Mejía e Chiappucci, mentre stavolta Bugno paga meno rispetto alle precedenti frazioni di montagna concludendo circa un minuto e mezzo più tardi.
Più selezione si ha il giorno dopo nell’ultimo tappone del Tour, 230 Km da Andorra a Saint-Lary-Soulan con l’arrivo in salita al Pla d’Adet preceduto da Collado del Canto, Puerto de la Bonaigua, Portillon e Peyresourde. I primi tre dell’ordine d’arrivo sono tutti lì, raccolti nel giro di tre secondi – Jaskuła, Rominger e Indurain – mentre dietro a questo terzetto fioccano di distacchi: tra i corridori di punta Mejía perde poco più di un minuto e Chiappucci giunge a 1’35”, mentre Bugno torna a incassare un altro pesante distacco terminando a 12’23” dai primi.
I tapponi sono terminati, anche se c’è spazio ancora per una tappa di montagna, un’inutile cavalcata di 190 Km da Tarbes a Pau che prevede d’affrontare lontanissime dal traguardo le ascese al Tourmalet e all’Aubisque. Gli oltre 70 Km che si devono affrontare dopo l’ultimo colle non scoraggiano, però Rominger, che sul Tourmalet riesce a staccare di 50” Indurain, anche se poi il navarro rivelerà che quel distacco non è stato frutto d’una crisi ma della sua volontà di lasciar sfogare l’avversario e di proseguire del suo passo al fine di evitare di trovarsi realmente in affanno. Adottata questa tattica, “Miguelon” riesce a rientrare sull’elvetico attaccando a sua volta in discesa e dopo questa reazione Rominger decide che è inutile riprovarci. Ha così via libera una fuga di corridori oramai fuori classifica che ha la sua “stella” in Chiappucci, che vince in quel di Pau rispondendo in questo modo alle critiche che qualche giorno prima gli aveva mosso l’ex corridore spagnolo José Manuel Fuente, che aveva tacciato di dilettantismo il “Diablo” per il suo modo di correre, che lo portava a sprecare energie preziose per conquistare un piccolo GPM di terza categoria piuttosto che conservarle per le salite più impegnative. E intanto all’uscita dei Pirenei il Tour si presenta con una classifica non molto dissimile da quella che si era registrata al termine dei tapponi alpini, con Indurain che continua imperterrito il suo cammino verso la vittoria finale con 4’28” di vantaggio su Mejía, 4’42” su Jaskuła e 5’41” su Rominger, mentre il primo italiano è il varesino, ora 6° a 14’19”.
Intanto le vicende del Tour continuano a intersecarsi con quelle del record dell’ora, che mai si fanno così vicine come il 23 luglio del 1993. Quel giorno a Bordeaux sono previsti entrambi gli eventi, l’arrivo del Tour e un ennesimo tentativo perché non era solo Obree ad avere nel mirino l’oramai ex primato di Moser, ma anche il suo connazionale Chris Boardman si stava preparando allo scopo e forse quel che era accaduto in Norvegia un paio di settimane prima lo aveva spronato ad accelerare i tempi. Così ancora una volta una vittoria ottenuta sulle strade della Grande Boucle – stavolta la seconda affermazione allo sprint di Abdoujaparov – viene soffocata dal clamore della prestazione di Boardman, che poche ore prima aveva percorso 52,272 Km, battendo Obree e finendo per stuzzicare ancor più lo stesso Moser. Il trentino, infatti, già da tempo stava accarezzando l’idea di festeggiare il decennale del suo record tornando sulla pista di Città del Messico e di rimettersi in sella, anche se l’obiettivo suo non era quello di migliorarsi, ma di fare solo meglio di quello di Merckx del 1972. I due record ottenuti da Obree e Boardman nel volgere di pochi giorni lo stimoleranno maggiormente e così il 15 gennaio 1994 ci riproverà ancora e, nonostante le 42 primavere e il vento che lo penalizzerà, riuscirà non solo a far meglio di Merckx, ma anche a superare il suo personale record del 1984 e pure quello di Obree, senza tuttavia raggiungere il record di Boardman per 430 metri (51,840 Km).
Non si fermano le lancette dei cronometri perché il giorno successivo è in programma l’ultima tappa contro il tempo, che si disputa alle porte di Parigi sui 48 Km che collegano Brétigny-sur-Orge a Montlhéry, il centro sul cui autodromo nel 1933 si era disputata la settima edizione dei mondiali di ciclismo, vinti proprio quell’anno per la prima volta da un corridore francese (Georges Speicher). A dominare la crono è, invece, un elvetico perché Rominger riesce insperatamente a far meglio di Indurain per 42”, mentre terzo è Jaskuła a 1’48”, confermando così la sua terza piazza in classifica, mentre Mejía scende dal secondo al quarto posto. Per quanto riguarda i nostri corridori Bugno è il migliore e si piazza 5° a 3 minuti esatti da Rominger, mentre Chiappucci fa peggio del monzese per 31”.
Nel 90° anniversario della partenza del primo Tour de France la tappa conclusiva scatta dallo stesso luogo dove si era partiti alla volta di Lione il primo luglio del 1903, la brasserie Réveil Matin di Montgeron; l’arrivo è, come da tradizione, su quegli Champs-Élysées dove due anni prima Abdoujaparov si era mezzo fracassato e dove stavolta sfreccia finalmente vittorioso prima che la passerella sia tutta per Indurain e suoi scudieri in livrea Banesto. Si conclude così il terzo Tour firmato da Indurain, che vede sui gradini più bassi del podio Rominger a 4’59” e Jaskuła a 5’48”, con Chiappucci 6° e migliore degli italiani a 17’18”, il vicentino Gianni Faresin 11° a 29’05”, il faentino Roberto Conti 14° a 30’05”, il brianzolo Alberto Elli 17° a 33’29” e Bugno a chiudere la “top venti” a quasi 40 minuti dal navarro, che incassa anche la seconda doppietta consecutiva con il Giro d’Italia, un altro primato che prima di lui nessuno era riuscito a conquistare, se non ad anni alterni.
Mauro Facoltosi
LE ALTIMETRIE
























Indurain e Rominger sul Galibier durante il tappone di Serre-Chevalier (wikipedia)

