REWIND AND REPEAT SUL PUY SANCY. RICOMINCIO DA CAPO COME GIOVEDÌ
Mezzo Tour è volato via in variazioni sul tema
È innegabile: la tensione è alle stelle in vista della scalata a Lourdes Hautacam di questo prossimo giovedì, dove sono ormai attesi o pretesi miracoli di varia natura, che si tratti di ribaltare il Tour o quantomeno di disintegrare il record diabolico e bergmaniano di Bjarne Riis. È indiscutibile: per dieci tappe, su diversi terreni, sostanzialmente quasi tutti quelli previsti dal ciclismo su asfalto tranne la montagna, le prestazioni atletiche sono state eccelse, tanto da potersi battezzare senza troppe remore quali miglior cronoman al mondo colui che ha vinto la crono, migliori sprinter del momento quelli scornatisi nelle volate di gruppo, migliori classicomani forse di sempre quelli che hanno dominato gli arrivi più simili alle gare di un giorno, nonché naturalmente miglior fugaiolo colui che giovedì (scorso) ha conquistato il primo combattutissimo arrivo fra evasi della prima ora. O “seconda ora”, insomma ci siamo capiti: già non si può più dire “fuga del mattino” perché si parte all’ora di pranzo; adesso che per sganciare l’azione buona servono novanta minuti minimo di kolossal fra fuoco e fiamme, nemmeno è più appropriato riferirsi alla “prima ora”. Fatto sta che i distacchi in classifica generale sono già pesanti, gli interpreti sono di assoluto prestigio, la stanchezza è già alle stelle… ma il retrogusto resta di vaga insoddisfazione, nonostante vittorie memorabili – e ancora più memorabili sconfitte, come non pensare a van der Poel ripreso oltre la flamme rouge dopo 170 km di fuga a due col compagno Rickaert. Tuttavia nel complesso la mera “quantità di azione” è stata relativamente scarsa, proprio perché un certo appiattimento è derivato per un lato dall’esasperazione fisica imposta dalle velocità stratosferiche, e per altro verso, quasi paradossalmente, è stato imposto dal livello tecnico non eccelso che si registra al di fuori della cerchia sublime degli eletti. Un gradino troppo alto.
Arriviamo così a vedere tappe come quella di lunedì 14 luglio, festa nazionale, imbandita per massimizzare le speranze dei corridori nazionali con qualche fuga avventurosa, tracciato creativo, imprevedibile e impervio… eppure sostanziale ripetizione quasi letterale di una giornata senza infamia e senza lode come fu giovedì scorso in Normandia.
Lotta acerrima per fare partire una maxi fuga, casella marcata. UAE in controllo che punta a regalare la maglia gialla, casella marcata. Visma che si produce nel finale in una salva di ternate o, stavolta, sporadici petardi (ma senza mai chiamare all’azione il proprio capitano, se non per chiudere di reazione su Pogacar): casella marcata, pure questa. Ma qui si va addirittura oltre. I nomi dei protagonisti del finale? Ben Healy, certamente. Quinn Simmons, perché no? Michael Storer, non poteva mancare. Simon Yates. Bene, bravo, bis! Quattro dei primi cinque di giovedì scorso si ritrovano a lottare par pari nel finale di quattro tappe dopo. Ovviamente possiamo considerare Mathieu van der Poel assente giustificato dopo le mattane del giorno precedente. Non mancano le variazioni sul tema, e andremo ora a ripercorrerle, ma le corrispondenze sono impressionanti: a nulla è valso che l’azione iniziale fosse stata qui immensamente più corposa, per un motivo sul quale torneremo a breve, alla fin fine torna a distinguersi su tutti quanti una selezione di atleti di matrice anglosassone, leviamo l’irlandese Dunbar (che corre per un team australiano, i Jayco) e ci mettiamo O’Connor, australiano… della medesima squadra. L’unico intruso è l’olandese Arensman, già bravo al Trentino (ribattezzato da qualche anno Tour of Alps) nel rivaleggiare in mosse a lunga gittata con Storer, ma dopotutto portacolori della più anglosassone delle formazioni, l’INEOS (ex Team Sky).
Come detto la fuga iniziale era robustissima e il motivo risiede in un’altra delle minime variazioni viste da giovedì in qua, nondimeno fra le più interessanti: la UAE di Pogacar appare fortemente debilitata per il ritiro pregresso di Almeida causa caduta e per via di un Sivakov ancora convalescente, mentre Adam Yates, a differenza del gemello, non si è ancora svegliato dal letargo dei primi giorni di competizione. Lo attendiamo sulle vette. Politt fa il suo con dignità, ma non smette di manifestare i giusti limiti della sua dimensione tecnica, Wellens impiega tutta la sua classe per fare gli straordinari, Narváez si tiene sempre qualche ultimo scudiero di Pogacar, e la coperta già risulta un po’ corta. Quindi anzitutto fallisce il tentativo di lasciar davanti zero Visma o al massimo uno solo, oltre a Simon Yates ci sarà Campenaerts, fermato infatti in appoggio ai capitani per il finale. Nessun dramma in casa UAE, comunque, anche perché proprio in questo caso il buon Marc Soler, fantasmatico a giorni alterni, dimostra al mondo intero la ragione per cui non si riesce proprio a non convocarlo: su un terreno rognoso come pochi altri, anzi come forse nessun altro, data la natura inedita di questa tappa (tantisssimo dislivello ma senza alcuna salita lunga, solo salitelle, saliscendi, strappetti e mangia-e-bevi, tutto però in dosi industriali), il catalano si esalta, spendendosi, spremendosi, staccandosi, ma poi rientrando, risalendo in testa e di lì REWIND AND REPEAT AGAIN!
Il livello di disperazione che però serpeggia fra appassionati e giornalisti, forse pure fra gli avversari, è testimoniato al meglio dalla collezione di screenshot con cui fotogramma dopo fotogramma si cerca di leggere malessere sulla faccia di Pogacar attorno a metà tappa. Possibile che lo sloveno sia pure lui mezzo influenzato come appunto già Sivakov e lo stesso Almeida (ritiro per somma di fattori, in realtà). Chi lo sa. Certo che se quanto ci si affanna a commentare o peggio a sperare è solo questo…!
Torniamo allora in testa alla corsa, con la fuga, selezionata sostanzialmente da un forcing in salita di O’Connor. Ebbene, in questo giorno della marmotta vuole il destino che si ripetano assai simili anche le dinamiche interne alla fuga stessa, solo rimescolando i nomi. Stavolta è Ben Healy a dibattersi come già l’altra volta MvdP nel dilemma fra lottare per la tappa o sognare in giallo. Come pure in quel caso, una volta messa in saccoccia una vittoria parziale, prevale il desiderio di vestire quella maglia del primato che invece i veri “principi” della classifica generale preferiscono ormai evitare come la peste per gli obblighi che impone. Pogacar, dopo le bordate contro le reti sociali (“il cancro della nostra società”) regalateci settimane addietro, si cala ora nei panni di un Mourinho per dichiarare papale papale che “è soprattutto contento di non aver l’obbligo di parlare coi giornalisti nel giorno di riposo”. Sta di fatto che l’irlandese pazzo e razionale dopo aver azzardato un’altra delle sue mosse col copyright ai meno quaranta e spicci, vistosi ripreso invece di “vendicarsi” su chi l’ha inseguito cambia del tutto atteggiamento e munificamente regala ai compagni da quel punto in poi un’oretta di dietro moto. Lui in testa a tirare regolare, gli altri in scia, nemmeno un turno simbolico. Ovviamente Healy pensa a massimizzare la velocità media della fuga, gli altri a risparmiarsi per scannarsi a scatti nel finale. E così andrà, con la peculiarità aggiunta che scatta che ti scatta gli altri si sfiniranno quasi tutti e il buon Ben, continuando a salire regolare, farà comunque terzo: dei 29” che avrà su Pogacar in classifica generale… quattro sono di abbuono!
A parte una sfuriata solitaria di Quinn Simmons degna di menzione in cronaca, resta poco altro da segnalare: Simon Yates sarà il primo a smuovere le acque, di O’Connor la prima reazione, ma l’australiano paga i suoi sforzi di scrematura a metà tappa e dopo poco cede. Torna su potente, invece, Arensman, che pencolandosi sulle sue lunghissime leve riesce a riavvicinarsi fino a 30 metri, non di più, dalla ruota di Simon. L’ultimo km è un braccio di ferro avvincente ma senza rivolgimenti. Bravi tutti.
Altra bizzarria del giorno, la prestazione del miglior francese, il tignoso, umorale e giovanissimo scalatore tascabile Lenny Martínez, un po’ Lenny Kravitz (nel sound non nell’aspetto) e un po’ nipote di esuli repubblicani spagnoli (e questo è un fatto storico!). La bizzarria non sta nella condotta di tappa, una caccia ai punti dei GPM che lo lascia esausto nel finale ma gli porta in dote la maglia a pois già vestita al Tour da… suo padre (REWIND, REPEAT). No, la stranezza sta nella foto, la foto sull’arrivo: ultimo dei fuggitivi a essere ripreso, a un km dalla fine circa, s’incaponisce a mettersi a tirare, ma tirare chi? Pogi e Vingo! Così la foto sul traguardo e l’ordine di arrivo “simulano” una sorte di arrivo a tre in cui il francese regola i due fenomeni (che ovviamente l’han lasciato passare primo).
La situazione con Lenny Martínez riflette il livello di assurdità generato dal dislivello prestazionale fra il danese, lo sloveno e tutti gli altri. Arrivati sullo strappo finale di 3 km e spicci, il primo ad attaccare è Remco, ma quando Pogi apre gas, l’unico a stargli incollato (quasi letteralmente) è Jonas. Gli altri sono in un attimo così indietro che non riescono a rientrare nemmeno quando i primi due rallentano per fare il “regalino” al giovinetto francese.
Fino a quel momento, comunque, tutto iterazione e reiterazione formulaica. I Visma attaccano. Pogi li ignora e mette a tirare i superstiti fra i suoi. C’è gap, salta Jorgenson. Pogi lo segue, fine dell’azione. REWIND, REPEAT. Una, due, tre, sette volte. Come già visto in ogni tappa mossa dall’inizio del Tour in qua. Vingegaard non attacca mai. A un certo punto parte Pogi, e fa subito il vuoto, con l’eccezione del danese. Vingegaard non collabora, il ritmo cala, la situazione si chiude. Finora Pogacar aveva poi chiuso la partita con uno scatto secco sulla linea, vuoi per la vittoria o per mettere in fila gli altri. Oggi eccezione, o meglio variazione sul tema, a quanto pare per “omaggiare” Lenny Martínez e la sua adolescenziale sfrontatezza o semplice alzata di fantasia.
Variazioni sul tema, solo variazioni sul tema, cui siamo grati per distinguere un giorno dall’altro e intrattenerci un po’. In attesa del prossimo giovedì che, su Hautacam, dovrebbe essere Ben diverso dallo scorso giovedì. …Oppure no!
Gabriele Bugada

Simon Yates vince la prima tappa di montagna del Tour 2025 (foto Dario Belingheri/Getty Images)