NIBALI STORY – CAPITOLO 1: IL SUO PRIMO “RITRATTO”

ottobre 19, 2022
Categoria: News

A partire da oggi vi accompagneremo durante i mesi invernali con il racconto delle gesta di Vincenzo Nibali e Alejandro Valverde, ritiratisi da pochi giorni, riproponendo gli articoli che dal 2003 ad oggi ilciclismo.it ha dedicato loro. Cominciamo con Vicenzo Nibali e che con il ritratto che ne fece Elisa Marchesan nel dicembre del 2004, poche settimane prima del passaggio dello “Squalo” tra i professionisti. A seguire l’intervista che Nibali rilasciò a Federico Petroni a maggio 2008, dopo i primi anni di professionismo.

VINCENZO NIBALI CHE VA ALLA FASSA CON FERRON

Vincenzo Nibali è una bella promessa del nostro ciclismo, un ragazzo giovane, anzi, giovanissimo, che ha compiuto da pochi giorni vent’anni ma che ha già dietro a sé una carriera a due ruote degna di essere ricordata. Vincenzo è un siciliano verace, e proviene dalla città che si affaccia su quello stretto che occhieggia la Calabria e il continente: Messina. Un’isola, la sua, che gli ha trasmesso sangue caldo e un grande cuore. Non per niente, i suoi tifosi hanno già coniato un soprannome per lui, un soprannome che rende bene la grinta di cui è fatto: “Lo squalo dello stretto”.
Il ciclismo è amico gradito in casa Nibali. Papà Salvatore infatti è un cicloamatore, e trasmette la passione al figlio, con una raccomandazione: di non iniziare troppo presto bruciando le tappe. Ma Vincenzo cresce a pane e videocassette che raccontano le imprese di Francesco Moser, e sente che qualcosa dentro di lui prende una piega definitiva. Siamo nel 1998 (a 14 anni) quando iniziano le prime corse. Ma lo “squalo” sa che dovrà fare dei sacrifici, perché i corridori del Sud Italia devono spesso fare i conti in età precoce con trasferimenti e traslochi anche di migliaia di chilometri per poter coltivare la loro passione ciclistica con qualche buona prospettiva. Così, a soli 16 anni, Vincenzo saluta mamma Giovanna, papà Salvatore e i fratelli Antonio e Carmen e prende la strada della Toscana, decidendo di dare inizio alla propria vita a due ruote da Mastromarco, in provincia di Pistoia. Qui ad attenderlo c’è il ds della squadra locale (la Mastromarco Iperfinish) Carlo Franceschi, col quale rimarrà per quattro anni. Sono sei le vittorie da allievo al primo anno, sette nel secondo. Ma Vincenzo è un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle, e decide di non abbandonare gli studi: così, fa combaciare gli allenamenti con le lezioni all’istituto professionale di economia e commercio di Empoli. Intanto, prova ad emulare i suoi modelli: Laurent Jalabert e Andrea Tafi. E Vincenzo a poco a poco cresce.
Sono sei le vittorie nel primo anno da juniores. Ma è il 2002 l’anno della consacrazione. Nibali non ha ancora 18 anni (infatti li compie a novembre), e riesce ad inanellare una serie di prestigiosi successi che illumineranno da allora in poi il suo percorso sportivo come preziosi diamanti.
Sono 14 le vittorie complessive della stagione. Dapprima Vincenzo conquista il titolo italiano su strada della categoria juniores e il prestigioso Giro della Lunigiana. Ma il colpo grosso è a ottobre, in una città ben nota per il ciclismo italiano: Zolder, Belgio. Qualche giorno prima di quell’indimenticabile alzata di braccia sbalordita sotto lo striscione dell’arrivo ad opera del nostro amato Re Leone, un esile ragazzo siciliano aveva da ridire con il tecnico federale Montedori (braccio destro di Antonio Fusi) che voleva convincerlo a fare la cronometro pur controvoglia. Voci garantiscono che Vincenzo sia stato convinto a correre la gara contro il tempo di fronte al rischio di non essere convocato per quella in linea… “Sinceramente mi piacevano più le gare in linea. Pensavo di essere uno scalatore, poi quando ho preso la bici da crono ho scoperto di essere anche un buon passista. Ho provato a fare le crono e ho visto che andavo bene”. Non bene, benissimo. Il ragazzo con caschetti aerodinamici e ruote lenticolari ci sa fare. E’ terzo nella generale. Medaglia di bronzo. Il prestigioso podio copre Enzo di una gloria luccicante.
Per fortuna, non si tratta di un fuoco di paglia. Quest’anno, Nibali, dopo aver fatto sue altre nove corse, c’era anche alla partenza della cronometro mondiale di Verona, stavolta per la categoria under 23. E ha superato sè stesso, arrivando terzo a soli 39 centesimi dal secondo gradino del podio, occupato dal favorito numero uno Thomas Dekker.
L’anno prossimo Vincenzo passerà già professionista, tra le fila della Fassa Bortolo, dove si spera che riuscirà a trovare i propri spazi adeguati. “Mi manca un pò la volata negli arrivi a plotone compatto, per il resto vado bene su tutti i terreni” ha detto. Nibali rappresenta il paradigma ricorrente in molti ciclisti italiani: trapiantati dal Sud, lontani da casa, costretti a trovare a tutti i costi il risultato per non sparire nell’ombra. Talora, sbagliano. Altre volte, sfondano. Vincenzo ha tutte le carte in regola per restare nel panorama ciclistico italiano e mondiale a lungo. Buona fortuna, allora, a questo coraggioso ragazzo siciliano.

Elisa Marchesan

NIBALI FA SUL SERIO: ‘AL GIRO VI STUPIRO”’

Siete mai stati dalle parti di Mastromarco o di San Baronto, provincia di Pistoia? Non vi auguriamo di passarci quando Vincenzo Nibali o Giovanni Visconti vincono una gara. Due coetanei siciliani, che praticano lo stesso sport, emigrati alla stessa età nello stesso angolo di Toscana. Impossibile non vedere fiorire una rivalità, uno di quei dualismi di cui il ciclismo si nutre sin da quando è nato: le sfide tra Binda e Girardengo, tra Coppi e Bartali, tra Moser e Saronni. I tifosi dei giovani rampanti inondano le strade delle rispettive cittadine rivali per strombazzare allegramente e festeggiare il successo del loro beniamino.

Nibali, fiero di alimentare il tipico campanilismo toscano, ci scherza su: “Guardate che nasce tutto dai tifosi, la loro è una scusa per azzuffarsi. Io e Giovanni siamo rivali solo in corsa, come è logico che sia. Scherziamo e ci prendiamo in giro, ma in verità andiamo d’accordo: ci sentiamo spesso, ci alleniamo insieme, ci facciamo sempre gli auguri di Natale. Certo, ci marciamo sopra, ma è giusto che sia così. E bello”.

Chi sono i più cattivi, nibaliani o viscontiani?

“I più spavaldi sono quelli di San Baronto (dove abita Visconti, N.d.R), i miei sono più tranquilli. Si fanno i dispetti, delle guerre incredibili. A me viene da ridere, ma alcuni la prendono proprio sul serio!”

Quest’anno ai tuoi tifosi hai dato tante soddisfazioni: 4 vittorie, 19° al debutto al Giro, convocazione al Mondiale.

“Sì, tutto sommato, un 7 me lo merito. Tante volte sono stato un protagonista al servizio della squadra. Ho lavorato molto per Di Luca e Pozzato, ma ho colto anche qualche soddisfazione personale”.

L’emozione di vincere a Larciano, sotto casa…

“E’ stata una giornata particolare. Sapevo di avere una buona condizione ma quando si è davanti al proprio pubblico, non è sempre facile fare quello che si vuole. Nel finale, Pellizzotti ed io siamo riusciti ad andare via e sul rettilineo conclusivo abbiamo ritenuto giusto che vincessi io: lui aveva già vinto ed eravamo davanti alla mia gente. Era bello coronare così una grande giornata”.

Giro di Slovenia: due tappe vinte di autorità e secondo posto nella generale. Rimpianto o soddisfazione?

“Un po’ di amarezza c’è, per forza. Il giorno precedente la prima vittoria non stavo tanto bene e ho lavorato per Gasparotto, defilandomi nell’ultimo chilometro. Per quell’errore ho perso la corsa. I due successi consecutivi sono stati comunque una conferma delle cose buone fatte vedere al Giro d’Italia, confermando che uscivo con una grande condizione dalla mia prima corsa a tappe di tre settimane. È stato un riscatto”.

Riscatto?

“Sì, riscatto. Dopo alcune voci che mi criticavano per non essermi messo in luce come altri giovani, come Riccò. Lui aveva piede libero, io dovevo sempre stare lì a lavorare per Di Luca. Ho dovuto portare qualche mantellina, qualche panino, qualche borraccia in più. Avevamo due modi diversi di aiutare il capitano: lui andava all’attacco per sfiancarci, io stavo accanto alla maglia rosa. Riccò è stato forte ma ha maggiore esperienza, sul groppone ha un anno in più e un grande giro in più: il Tour de France”.

19° al debutto al Giro non è cosa da poco.

“Sono contento del mio piazzamento. Avrei potuto fare di meno, risparmiarmi. Spesso mi dicevano di mollare, quando mi staccavo. Ma io continuavo a spingere, anche per una questione di orgoglio personale. E poi, la Liquigas puntava alla classifica a squadre e io ero il terzo uomo. Anche i risultati mi confortano: 15° alle Tre Cime, 11° allo Zoncolan, 7° nella crono finale”.

Sei uno dei pochi giovani ad andare d’accordo con il cronometro. Dove nasce il tuo feeling con il tic-tac? Qual è il tuo segreto?

“La crono mi è piaciuta sin da piccolo. Appena ne vedo una, mi esalto. Per me è come una lunga fuga solitaria. Servono passione e predisposizione naturale, anche se la tecnica va migliorata con un allenamento continuo. Il progetto è nato già tra gli juniores, quando Montedori e Fusi, tecnici della nazionale mi notarono per una mia certa… esuberanza: in gara scattavo subito, anche da solo. Dovevo pur avere qualcosa da dare anche a cronometro. Così, al secondo anno, è arrivato il bronzo nella prova degli juniores ai campionati del mondo di Zolder. Da lì è iniziato tutto”.

Bronzo al mondiale under23 nel 2004 e nella prova tricolore a luglio. Al Giro avrai ben quattro occasioni per migliorarti.

“Sì, quattro occasioni che fanno sperare in bene. Posso guadagnare qualcosa contro il tempo e cercare di non perdere troppo tempo in salita. Nella crono a squadre possiamo fare bene, lo abbiamo dimostrato lo scorso anno. Decisiva sarà quella di Urbino, a Milano invece i giochi saranno già chiusi”.

Cosa comporta la partenza di Danilo Di Luca?

“Maggiori responsabilità, maggiore carico sportivo e psicologico. Mi dispiace perché Danilo è stato fondamentale in questi due anni, da un capitano si impara sempre molto, ma allo stesso tempo devo cercare di essere un po’ più protagonista, specie al Giro d’Italia”.

Una rosa per le prime tappe o l’ultima tappa in rosa?

Ride. “Sono tra due cuori. La Sicilia è il punto di riferimento di questo Giro, si viaggia su coste fantastiche come quella peloritana. Non sarebbe male vestire la maglia rosa nella mia terra, ma ambisco di più alla classifica finale. Per puntare a Milano, bisogna sprecare meno forze possibili”.

A quando il debutto nella corsa che più di tutte si addice alle tue caratteristiche, il Tour de France?

“Non ho intenzione di fare tante corse, sono ancora giovane, ma se dovessi uscire dal Giro in ottime condizioni, un pensierino al Tour potrei farlo. Sai, quest’anno fare il Giro è obbligatorio: si parte dalla mia regione, dove non corro da diverse stagioni. Il prossimo anno andrò sicuramente in Francia”.

Cosa ti aspetti sotto l’albero?

“Vorrei passare un felice Natale con la mia ragazza e la famiglia, durante l’anno sono sempre fuori. Per la stagione agonistica, qualche vittoria di maggior prestigio. Mi è mancato l’acuto”.

Qualche corsa in particolare?

“Di solito non mi sbilancio, però… Farò solo la Liegi tra le classiche del Nord”.

Da cosa nasce questa selezione degli obiettivi?

“Sono ancora giovane, devo imparare a gestire le forze. L’obiettivo è quello di finalizzare gli sforzi per il Giro d’Italia, dove voglio arrivare in gran forma”.

Una buona annata nasce da un buon inverno. Raccontaci del primo ritiro con la Liquigas, da cui sei appena tornato.

“Siamo stati dieci giorni in Spagna, a Benicasim, sulla costa di Valencia. Queste occasioni sono organizzate più per conoscere la nuova squadra, il nuovo staff. Al mattino, sveglia, colazione e allenamento, mai troppo lungo e stressante, dalle due alle quattro ore, anche perché siamo solo a dicembre. Eravamo comunque divisi in due gruppi, quelli che partono già a gennaio con il Tour Down Under in Australia e quelli che cominciano più avanti. Tornati in albergo, pranzo, riposino e poi massaggi o prove tecniche con i nuovi materiali. Al pomeriggio non c’era granché da fare: è una località turistica estiva, a parte un centro commerciale, non c’era proprio niente! Alla sera, una capatina al bar o un poker. Dovevi vedere Chicchi, quanto era carico! Con le fiches, sembravamo dei professionisti”.

Magari anche le puntante erano da professionisti…

“No, no, scommettevamo poco, giusto per passare il tempo. Poi, chi vinceva offriva da bere agli altri”.

Con chi dividevi la camera?

“Con Alessandro Vanotti. Facciamo un po’ coppia fissa dallo scorso anno. Siamo in sintonia, dal Giro ci siamo trovati bene e non ci siamo più lasciati!”

Ti è piaciuta la Spagna?

“Tanto, ci ho corso e ci sono stato anche fuori dall’ambito ciclistico. È un bel territorio, molto simile alla mia Sicilia, per questo mi affascina”.

Finita la stagione, dove sei stato in vacanza?

“A casa mia, a Messina. Il tempo era poco, ho staccato tardi, ho preferito stare tranquillo, anche perché ho finalmente comprato casa su a Mastromarco e con la mia ragazza abbiamo pensato al nuovo arredamento. Chissà, per il futuro…”

Un messinese trapiantato in Toscana per amore del ciclismo. Come è stato lasciare la famiglia a 16 anni per inseguire il sogno della bicicletta?

“Per noi ragazzini meridionali, il Nord è qualcosa di particolare, è come la scoperta di un nuovo mondo. Sono partito con lo spirito dell’avventura. È importante non partire con dei rimorsi ed essere contenti di ciò che si è fatto. Mi sono ambientato grazie alla squadra siciliana stanziata a Mastromarco, la Cicli Fratelli Marchetta, che mi ha portato al Nord per farmi correre tra gli juniores, visto che in Sicilia non ce ne sono”.

A scuola, come andavi? Top secret?

“Non ho mai avuto un grande feeling, però il mio diploma in ragioneria l’ho preso con un onesto settanta”.

La tua musica preferita?

“Ascolto un po’ di tutto, dipende dallo stato d’animo. Vado dalla musica che passa alla radio al rock, non quello aggressivo, quello più tranquillo”.

Cinema?

“Adoro i film d’azione. Mia mamma ha un negozio di DVD, quindi la mia videoteca è enorme! Mi piacciono i ruoli di Nicolas Cage o John Travolta, sempre sul filo dei secondi”.

Motori?

“Tra le moto la MV Augusta, brutale. Tra le auto, ho un’Audi A4, ma se mi dovessi fare un regalo, andrei sullo sportivo, tipo Ferrari o Porsche”.

Voli basso…

“Sì, anche la Lamborghini non è malaccio!”

Letture?

“Non leggo spesso, quando capita. Colgo l’occasione in aeroporto per comprare qualche libro al duty free, ma vado a sensazione, non ho un genere preferito”.

Cucina preferita?

“Che domande: siciliana! Oltre ai dolci, le specialità di Messina sono le migliori: pasta con le sarde o cotta in forno con melanzane, formaggio e prosciutto. Anche il toscano mi fa impazzire: tagliata, ribollita, polenta con i funghi. Come cucinano qua il cinghiale…”

Le salite dove ti alleni?

“San Baronto, per tornare a casa. In estate, le montagne pistoiesi, vado al fresco. Garfagnana, Bagni di Lucca, Collina di Porretta e l’Abetone, quando devo prepararmi per una grande corsa”.

Il campione cui ti ispiri?

“Nel passato, Francesco Moser. Andava forte dappertutto: crono, classiche, è riuscito anche a vincere un Giro d’Italia. Oggi mi ispiro a Di Luca, ma in generale a tutti i capitani. Tutti, infatti, hanno qualcosa di speciale. Capitano vuole dire il top, il massimo, se lo sei un motivo ci deve essere. C’è sempre un segreto da imparare, da cogliere. Ai mondiali, ad esempio, ho visto qualcosa di particolare. Siamo stati tartassati come non mai e vedere la fermezza di Bettini e il sangue freddo con cui gestiva la tensione è stato incredibile. Questo è essere capitano: prendere per il verso giusto tutto ciò che accade”.

Alla Liquigas manca un vero capitano.

“Non è vero. Pozzato e Bennati sono maestri nel leggere la corsa e saranno comunque protagonisti nelle classiche, mentre Noè è uno che non ti rifiuta mai una mano o un consiglio prezioso. Sarà la strada a decidere, dal canto mio spero di essere protagonista”.

Tono pacato ma fermo, idee chiare e precise, abilità e agilità nel divincolarsi dalle domande. Vincenzo Nibali sta studiando da capitano.

Federico Petroni

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