POZZATO, CAMPIONE NAÏF

luglio 2, 2009
Categoria: Approfondimenti

Vittoria della maturità? Sblocco psicologico? Maledizione sfatata? Vuota retorica. La vittoria al campionato italiano di Filippo Pozzato non è un punto di rottura nella carriera del vicentino bensì una conferma del suo ciclismo estemporaneo e naïf.

la volata vincente di Pozzato

la volata vincente di Pozzato

Di Federico Petroni

E venne il giorno di Filippo Pozzato: Imola, i Tre Monti, il tricolore. Nelle vittorie, questo bel figlio dell’amore mai è banale. Di questi fatidici giorni che rompono la cosiddetta crisalide, però, ne sono venuti tanti nella storia d’un talento che perennemente danza sul crinale tra il tuffo nella vittoria e l’abisso della sconfitta. La Sanremo del 2006, con una fuga mozzafiato, le tappe al Tour nel 2004 e nel 2007, colte in arcigne volate, la vibrante campagna del nord del 2009, tutte lucciole nella notte o, meglio, nella penombra, zampilli di talento che, ben calibrato, avrebbe del torrentizio.

È inutile e vuota retorica invocare “la vittoria della maturità” o “lo sblocco psicologico”: Pozzato più non fa parte della Giovine Italia (è dell’81, come Cancellara) né sarà mai un ciclista mazziniano, con esso intendendo un audace scardinatore di corse. Difficile che abbia ascoltato la canzone della folk singer Allison Krauss “Let your loss be your lesson”. Fosse un attore, lo definiremmo improvvisatore. Fosse un artista, lo etichetteremmo Naïf. È invece corridore ed un posto nel continuum scarso-campione bisogna pure trovarglielo. I più melliflui, parlando di superficialità e dabbenaggine, lo collocano nell’archivio “Gioventù bruciata”.

“Qualche problemino di concentrazione ce l’ha”, ammette candidamente Luca Mazzanti, il bolognese da quest’anno alla Katusha chioccia nonché scudiero del nostro. Spesso si rimprovera a Pozzato di scialacquare ghiotte occasioni, di avere in mano buone carte ma perdersi in bluff scalcagnati. Le sue sconfitte lasciano un retrogusto amaro imputabile solo al buon vino che sa di tappo. In sostanza, non dà mai l’impressione di spremersi sino in fondo.

Pozzato la prende con (grezza) filosofia. “Le gambe ci sono sempre, peccato che nel ciclismo non contino solo quelle ma anche la fortuna. Le corse sono così, purtroppo o per fortuna: è il bello del ciclismo”. In verità, il bello del ciclismo è lui, l’Adone di Sandrigo, i cui boccoli, fossero biondi, gli varrebbero l’appellativo Goldilocks (Boccolidoro, appunto). Peccato sia castano: boccoli-di-bronzo non sta bene. Meglio Goldilocks. Tanto bello, si diceva, da attirare su di sé le facili ironie del ragazzo fascinoso “non insensibile” alla bella vita, alle belle macchine, alle belle donne.

Inciso alla filosofia democritea di Goldilocks: conterebbe anche la testa ma da chi ha come stratega Andrei Tchmil per il quale, pur audace cacciatore di classiche, “ci si ricorda più di chi vince il Laigueglia che di chi vince la quattordicesima tappa del Tour” (parole di Pozzato), non ci si può attendere troppo acume tattico.

Continuare nel tiro al piccione, oltre a non essere cortese, è sport troppo inflazionato. Qualche lancia da spezzare a favore di Goldilocks ci sarà pure. Dice il savio Mazzanti: “Tra gli juniores era fulmine. Batteva persino Cancellara, del quale a mio modo di vedere è e resta più forte. Anche se l’elvetico ha appena vinto il Giro di Svizzera, Pozzato ha per me più tenuta in salita e più esplosività in volata. Anche a crono, badate bene, prometteva bene”. Già, la crono. Purtroppo Goldilocks ha pure il difetto d’esser nato in Italia, paese in cui se inforchi una bici da cronometro ti prendono minimo per matto. Finché organizzeremo campionati italiani contro il tempo di trenta miseri chilometri, finché non obbligheremo tutte le corse a tappe ad inserirne nel menu, finché non nascerà una scuola apposita, nessuno avrà per la testa il grillo di applicarsi nella disciplina.

Ma queste sono considerazioni a margine. Torniamo alle lance da spezzare. Mazzanti aveva colto il punto. Goldilocks è forte in tutto, peccato incontri percorsi sempre o troppo duri o troppo teneri per le sue caratteristiche. E non è una critica venata di ironia, è una constatazione. Tuttavia, il circuito di Imola, fetente ma non impossibile, come ha dimostrato una volata a 24 corridori, congiungeva magicamente tutti gli astri perché nel cielo di Goldilocks splendesse finalmente il sole. E perché la sua tattica “nicchia e lascia sfogare” pagasse ampi dividendi: sbolliti gli altrui affondi (Nibali, Pellizotti e Bertagnolli) e giocato sempre di riserva, il vicentino è potuto arrivare più fresco di un generoso Cunego al dunque. Curiosità: nel 1997, sempre in Romagna a Savignano, Pozzato batté proprio Cunego nel campionato italiano allievi.

Ingrediente fondamentale per poter cantare l’Inno di Mameli è stato Mazzanti, il classico cacio sui maccheroni. Goldilocks s’è potuto avvalere d’un gregario onesto, leale e, perché no, dotato: il bolognese è entrato in tutte le fughe, chiuso tutti i buchi, menato il plotone all’occorrenza e ha fatto per diciotto, tanti erano in casa Lampre. Minimo un cero alla Madonna di San Luca (che si spera protegga gli omonimi) se lo merita. Di questo avviso è pure Orlando Maini, diesse della Katusha, all’arrivo zompato addosso a Mazzanti urlandogli in dialetto: “Benessum, al zinquant par zant dla vitoria l’è al to!” Il senso è chiaro.

Sarebbe peccato non rimarcare come a Goldilocks sembri calzare a pennello la prova tricolore. Ad Imola, infatti, se proprio una maledizione s’è sfatata, è quella dei piazzamenti nei campionati italiani. Secondo a Saltara 2003, saltato da Bettini. Secondo a Pescara 2005, irretito da Gasparotto. Quarto a Genova 2007, anticipato da Visconti. Terzo a Bergamo 2008, beffato da Simeoni. Si prendesse a punti, la maglia tricolore sarebbe sua a vita. Ma non siamo alla Coop. In ogni caso, come riconosce Mazzanti senza peli sullo stomaco “finalmente un corridore degno indossa il tricolore”. Già, il tricolore, che per la prima volta garrì proprio nel vento emiliano, a Reggio, nel 1797, vessillo della Repubblica Cispadana: meriterebbe sempre le spalle d’un campione ma quando sono i campioni a disertare (vedi Bennati, Di Luca e Petacchi) e quando nel ciclismo vigono certe assurde logiche, impossibile non assistere a gare dimezzate nel valore.

Tornando a Goldilocks, l’equazione lo vorrebbe grande interprete dei mondiali e per questo, riflesso nel biancorossoverde della nuova casacca, c’è il sogno di convincere il cittì Ballerini a fare di lui una cariatide della nazionale. Ma vatti a fidare… Ecco qual è, forse, la vera maledizione che aleggia intorno a Pozzato e di cui Goldilocks è in prima persona fabbro. Non finirà a cantare, come Gerard nell’Andrea Chenier, “son sessant’anni o vecchio che tu servi” ma, crediamo, mai si affrancherà dall’etichetta del corridore che, per vincerne una, cento ne perde. Il suo ciclismo è così, estemporaneo come uno scroscio sulle messi. Basta accettarlo.

Federico Petroni

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