BARDET PIGLIATUTTO A POIS, PER LA GENERALE SON SOLO SCARAMUCCE

agosto 29, 2021
Categoria: News

Tappa dal disegno esaltante, gruppo dei migliori esitante, dove i (relativamente) coraggiosi regalano qualche contenuto brivido solo nel finale. I veri coraggiosi oggi sono tutti nella fuga del mattino.

Che bel tracciato avrebbe avuto, questa tappa della Vuelta! Ortodossi solamente i primi 80 km pianeggianti e staripanti di rettifili, dove prende il largo la robustissima fuga del mattino; tuttavia la seconda metà di tappa era tutta all’insegna dell’imprevisto e dell’imprevedibile, con una prima salita non ardua ma priva di requie al fuggevole scollinamento, subito seguita da una parete vertiginosa di tre chilometri in doppia cifra (14% di media!), potenzialmente capace di sbriciolare gruppo e coorti di gregari; e poi ancora, una volta terminata la discesa, il vero piatto forte per i più sofisticati buongustai di ciclismo: 40 km di autentico territorio comanche, stradine tortuose senza un metro dritto o in piano, una mappa che pare un piatto di spaghetti. E, finalmente, l’irregolare ascesa finale, tutta balze esposte al vento.
Peccato, un vero peccato, che la tappa la corrano sostanzialmente in una ventina, cioè i 18 uomini della fuga più un paio di uomini della generale o poco più. Occasione sprecata, insomma, per quasi tutti: spettatori compresi.
Chi l’occasione non la spreca è un Bardet in giornata di grazia: nella fuga è senza compagni di squadra, benché al suo team DSM di solito piacciano le strategie collettive; e il buon Romain, oltretutto, è immediatamente sotto i riflettori per l’ovvietà della sua scommessa a caccia non solo della tappa, ma pure della maglia a pois (pois blu, in quel di Spagna). Una situazione delicata da gestire fra diciassette rivali affamati. Ma la voglia c’era, dopo quella brutta caduta che l’aveva spedita fuori classifica a inizio Vuelta.
Azzardo, calcolo, sfacciatezza, scommessa, pazienza: e, senz’altro, gambe e cuore. A fine giornata il francese intasca la vittoria di tappa e si appropria della maglia che viene vestita dal miglior grimpeur: fin qui il nostro Damiano Caruso, che, se ne avrà voglia, potrà ingaggiare un duello di gran qualità con il francese e chi altri entrasse in lizza.
Bardet è uno dei simboli per eccellenza della crisi in cui si sono arenati molti fenomeni nati nel magico 1990 (un altro, ancora in caccia di riscatto qui alla Vuelta, è Matthews): basti pensare che fino a questo agosto, con una tappa della Vuelta a Burgos, per Bardet erano passati ben tre anni senza alcuna vittoria. E la corsa che si porta a casa oggi è la prima World Tour dopo ben quattro anni, con a precederla una tappa del Tour de France del 2017: tanto per capirci, parliamo del Tour in cui Fabio Aru (un altro 1990 – e l’italiano dopo questa Vuelta appenderà la bici al chiodo!) stirava Chris Froome sulla Planche des Belles Filles con tanto di record di scalata, arrivava poi a vestire la maglia gialla provvisoria e infine concludeva quinto in generale. Altri tempi!
Certo, Bardet nel frattempo non ha smesso di offrire guizzi della sua classe, pur non riuscendo più ad alzare le braccia al cielo né a metter piede nei primi cinque in generale di nessun GT: in queste stagioni di siccità, oltre ad attacchi coraggiosi e generosi, sono rimasti negli occhi i secondi posti al Mondiale di Innsbruck o alle Strade Bianche, o il podio della Liegi, tutte testimonianze di qualità a palate, come anche una combattuta maglia a pois al Tour, o una clamorosa top ten alla Paris-Tours degli sterrati.
Oggi, come detto, la propria qualità Bardet la deve sfoderare tutta per districarsi in una giungla dove tutti sanno che lui è il nemico numero uno, e in molti ce la mettono tutta, quasi obbligando lo spettatore a tifare per tutti. Che dire di Prodhomme, il giovane transalpino della Ag2R (che prova con il pure bravo e pure giovane Champoussin la tenaglia sul grande ex, Bardet)? All’attacco ai meno cinquanta con Navarro e Holmes (talento inglese della Lotto), poi di nuovo con Navarro ai meno 26 appena si era fatto sotto Bardet, e ancora in testa alla corsa sull’ultima ascesa, tallonato dal kazako Zeits – finché Bardet non salterà entrambi.
Caparbi anche i talenti inglesi, con Holmes che dopo il primo attacco di cui sopra perde contatto, viene riassorbito dagli inseguitori, ma di nuovo ritorna in testa; o Pidcock, sempre in controtempo, a corto di forma dopo i festeggiamenti olimpici, e ciò nondimeno quarto all’arrivo, subito dietro l’australiano della Alpecin Jay Vine, reclutato su Zwift, che ai -35 km scopre la differenza fra il ciclismo reale e quello virtuale impigliandosi nell’ammiraglia durante un rifornimento volante e finendone quasi investito, con una caduta rovinosissima. Eppure da lì in poi di nuovo si è rifatto sotto, e all’ultima salita sfodera gambe incredibili, rivelandosi l’unico, assieme ad Herrada, che dà a tratti l’impressione di poter minacciare il primato di Bardet.
Tante emozioni nella fuga, poche nel gruppo dei cosiddetti migliori, in puro stile Tour. Tutto rimandato all’ascesa finale, dove Guillaume Martin prova un attacco concertato di squadra per provare a sfilare la maglia del primato al norvegese Eiking: i due duellano in cima alla CG perché hanno preso vantaggio con una classica fuga bidone, ma ora si stanno difendendo più che egregiamente, addirittura con la prospettiva di restare davanti a tutti fino ai tapponi asturiani dell’ultima settimana. La scena folle odierna è vedere come gli altri favoriti, ovverosia gli uomini che “davvero” curano la generale, si disinteressino nel modo più sfacciato delle dinamiche di attacco e contrattacco che coinvolgono questi due rivali, i quali ai nostri occhi sono invece entrambi meritevoli di plauso, l’uno per l’ambizione, l’altro per la resistenza offerta. Che gli altri non se li filino può essere comprensibile, benché bizzarro e un pizzico antisportivo, in certo qual modo. Già meno comprensibile è che nessuno provi a sfruttare questi sommovimenti per dare un scossa alla gara. Segnaliamo in cronaca per la buona volontà un affondo di Ciccone preparato da Brembilla, ma l’esito ne è scarso. Più veemente il fendente vibrato da Miguel Ángel López, che sgancia tutti e quasi deraglia il trenino Jumbo Visma, sfiatando in successione la doppia “K” di Kruijswijk e Kuss, i gregari oggi al servizio di Roglic. Peccato che tutto accada troppo tardi, in ogni senso: troppo tardi che si agisca solo sulla salita finale, perché se Roglic non lo si isola prima, ha gioco facile a proteggersi dietro i compagni. E oggi, come detto, il terreno ci sarebbe stato eccome. Ma anche troppo poco e troppo tardi che Superman prenda il volo ai – 3 km: i gregari, pur spompati, lasciano Roglic con davanti la sua distanza ideale, il rush della flamme rouge, così lo sloveno apre il gas nel finale e riduce il distacco patito alla miseria di 4”. Vero è che López muovendosi prima si sarebbe anch’egli esaurito prima, ma se Roglic avesse avuto davanti a sé 3-4 km da gestire senza gregari e non solo l’ultimo, la musica sarebbe stata diversa, ed anche la presenza di Mas coperto alla sua ruota avrebbe avuto ben altro peso, dacché il maiorchino sarebbe potuto partire a propria volta quando López fosse stato riavvicinato da Roglic. Oggi non c’era più nemmeno lo spazio per tentare un forcing ulteriore.
Il risultato: quasi venti uomini in meno di un minuto nel gruppo dei migliori, praticamente una specie di sprint ristretto al termine di una tappa che avrebbe potuto dare e dire moltissimo di più. Per quel poco che può valere, sembra in rialzo nel borsino la quotazione di Bernal, quantomeno per un finale di Vuelta in ripresa, giacché oggi è parso più reattivo, anche se perde una pedina importante quale Carapaz, finalmente sopraffatto dalla fatica dei suoi guizzi di orgoglio. Adam Yates continua invece ad andare a singhiozzo, ed oggi è parso in affanno, mentre continua a reggere un altro degli “intrusi di lusso” in GC com’è Grosschartner. Sempre pimpante anche Jack Haig, che sembrava fuori dai giochi ma che ora ha tutto l’aspetto di voler essere il “Caruso” in salsa spagnola, cioè insomma quel gregario di Landa che quando il basco molla assurge in sua vece al ruolo di capitano e uomo d’alta classifica.
Domani altra tappa interessante, simile a quelle che il Giro propone nell’Appennino emiliano-romagnolo: relativamente lunga, con una successione pressoché ininterrotta di salite e discese ancorché pedalabili.
Applaudiremo ancora solamente la fuga, o il successivo giorno di riposo metterà un pizzico di coraggio in più nello spirito di chi lotta per il primato finale?

Gabriele Bugada

La vittoria di Bardet in vetta al Pico Villuercas (foto Bettini)

La vittoria di Bardet in vetta al Pico Villuercas (foto Bettini)

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