13 MAGGIO 1909: PARTE IL GIRO, BENI PRIMO VINCITORE

maggio 22, 2020
Categoria: News

Seconda puntata della storia del primo Giro d’Italia. Inevitabilmente è la giornata delle prime volte: la prima salita (facilissima), le prime forature, le prime cadute. Queste ultime costituiscono il principale argomento di discussione, poiché collocano subito fuori gara due dei protagonisti più attesi, Giovanni Gerbi e Petit-Breton. Complicate risultano le operazioni di compilazione del primo ordine d’arrivo, a causa della confusione che regna all’Ippodromo Zappoli di Bologna, sul quale si riversano un violento acquazzone e una fiumana inattesa di spettatori. E intanto il romano Dario Beni ha l’onore di iscrivere il suo nome nella storia dello sport italiano.

La prima frazione in assoluto del Giro scatta verso le 3 di notte di giovedì 13 maggio 1909. La prima tabella di marcia prevede 397 Km di gara tra Milano e Bologna. Non si segue la strada più diretta tra i due centri padani, la Via Emilia, ma si compie un ampio tragitto ad arco, che sale verso Bergamo, tocca Brescia, Verona, Vicenza e Padova per poi scendere verso Bologna, giungendovi attraverso Ferrara, una volta superato il Po mediante un traballante ponte di barche.
Già aleggia nell’aria un vago sentore di mito, ma bastano pochi colpi di pedale per riportare tutti alla cruda realtà della strada. Ad appena un chilometro e mezzo da Piazzale Loreto, luogo dello start ufficiale, s’innesca una caduta in perfetto stile “Coppa Cobram” di fantozziana memoria. Tutti finiscono per terra, in un capitombolo sul quale non è mai stata fatta luce appieno poiché, complice l’oscurità, non si è riusciti a stabilirne con certezza la causa: c’è chi parla di un bambino in mezzo alla strada, chi di un paletto non visto e centrato in pieno. Sicuro è che tutti si rialzano senza problemi, tranne uno: il più idolatrato dagli italiani, Giovanni Gerbi, è disarcionato dal suo mezzo meccanico, oramai inservibile. Per sua fortuna nei pressi si trova una concessionaria della Bianchi, dove gli ripareranno la bici dopo aver tirato giù dal letto il primo meccanico a disposizione. Rientrerà in corsa tre ore più tardi e potrà dirsi fortunato che in Italia non sia in vigore il regolamento del Tour, che obbliga lo stesso corridore a smartellare per riparare il danno.
Attraversata Monza ed il suo celebre parco, ancora legato al solo ricordo della Villa Reale (l’autodromo sarà realizzato a partire dal 1922), la strada cambia volto sotto le ruote dei girini, lasciando spazio ad un fondo piuttosto pesante. Il gruppo sembra non avvertire questo disagio e si lancia a tutta velocità in quel tortuoso e grattugiato budello, raggiungendo ben presto le ammiraglie di testa, mentre dietro qualcuno comincia a staccarsi. All’alba i primi corridori passano sull’Adda e puntano verso Bergamo, dove è collocato il primo punto di controllo. Sono i traguardi volanti dell’epoca: niente premi, niente striscioni ma solo due rozzi tavolacci, uno per il rifornimento, l’altro per apporre la firma nell’apposito casellario. Non esistendo “radio corsa”, per giuria e i giornalisti è la prima reale occasione per cominciare a raccogliere distacchi e notizie, che poi saranno telegrafate alla sede della Gazzetta e quindi esposte sulle vetrine della Lancia-Lyon Peugeot, in Piazza Castello. Per chi possiede un telefono, c’è la possibilità di informarsi “online” chiamando il numero 33.68.
Il gruppo di testa, forte di sei unità (tra questi, il futuro vincitore Luigi Ganna), transita da Bergamo alle 4.47, dopo aver percorso i primi 56 Km ad una media di 29.473 Km/h. I tempi, a dire il vero, contano poco: fino al 1913, infatti, le classifiche generali saranno stilate a punti, assegnando a ciascun corridore un numero corrispondente al piazzamento (dunque, un punto al vincitore, 2 al secondo, 3 al terzo e alla fine vince chi ne conquista di meno).
È il primo Giro e, di conseguenza, tutto accade per la prima volta. Andando verso Brescia, dove è in programma il secondo rifornimento, accade la prima foratura in assoluto: la vittima è il milanese Carlo Galetti, seguito poco più avanti dal francese Petit-Breton. Tocca poi alla prima salita, un dolce zampellotto in vista di Lonato che il gruppo supera senza problemi, allungandosi un po’ nell’affrontare la discesa verso le rive del Lago di Garda. Nel passaggio dalla Lombardia al Veneto avviene il primo episodio importante, la caduta che taglia fuori dai giochi il favoritissimo Petit-Breton. L’asso francese ruzzola contro una ringhiera a causa di un improvviso mancamento, che lo coglie nel momento nel quale ha levato una mano dal manubrio per addentare un pezzo di pollo; dopo esser rimasto privo di sensi per qualche minuto, rimonta prontamente in sella e fila a 35 all’ora in direzione di Padova, nonostante abbia riportato una lussazione alla spalla.
Passata Verona con 27 corridori in testa alla corsa, il tempo comincia a guastarsi, in particolar modo dopo il controllo di Padova, dove transita primo, impegnandosi in una piccola volata, il francese Louis Trousselier. Nel frattempo la media è calata, rimanendo comunque elevata per le operazioni di controllo, che si rivelano piuttosto caotiche.
Il corridore transalpino tenta altre volte, senza riuscirci, di sorprendere il gruppo di testa; nel frattempo sulla corsa cominciano a cadere le prime gocce di pioggia, preoccupando Cougnet e soci per l’oramai prossimo passaggio sul ponte di barche sul Po. Preoccupazioni che non smorzano l’entusiasmo per le confortanti notizie provenenti da Bologna: all’Ippodromo Zappoli, sede designata per l’arrivo della frazione inaugurale, si sta riversando una fiumana di gente, richiamata dai prezzi popolari proposti dai gestori dell’impianto e dall’ottimo battage pubblicitario, a suon di manifesti piazzati in ogni angolo della città.
Giove Pluvio decide di graziare gli organizzatori, almeno per il momento, ed il passaggio in direzione di Ferrara avviene senza problemi.
All’ultimo rifornimento, previsto a Cento (34 Km all’arrivo), il gruppo di testa è composto di 12 unità. Nel finale le condizioni meteorologiche peggiorano irrimediabilmente e scoppia un tipico temporale serotino estivo, fatto di acqua a catinelle, tuoni e fulmini. All’orizzonte la silhouette della Madonna di San Luca, lassù sui colli, compare e scompare tra il baluginare dei lampi.
Entrati nell’ippodromo, bisogna compiere un giro sulla pista in terra battuta prima di completare la tappa. Dopo oltre 14 ore di gara, volate ad una media di 28.090 Km/h, il romano Dario Beni precede allo sprint il torinese Mario Pesce e Galetti, consacrandosi così, alle 5 della sera del 13 maggio 1909, primo vincitore in assoluto di una tappa del Giro e primo capo della classifica. Stilare quest’ultima si rivela un’impresa improba, a causa della confusione che regna alla Zappoli. Colti di sorpresa dall’acquazzone i tifosi felsinei travalicano i cordoni collocati dagli organizzatori e corrono a ripararsi dove possibile, arrivando ad infilarsi anche sulla tribuna riservata ai giudici di gara. Da quella posizione, tra uno spintone e una gomitata, si riescono ad individuare correttamente solo i primi due piazzati. Va leggermente meglio a chi segue la corsa sulle vetture di testa, una posizione che si considerava scomoda e dalla quale si riescono a riconoscere a malapena altri due corridori. Per le restanti posizioni ci si deve arrabattare alla meno peggio, chiedendo ai vari atleti come si fossero piazzati, sempre se fossero in grado di ricordarselo, altrimenti si procede “a spanne”.
È l’unico neo di una giornata perfetta.

2 – continua

Mauro Facoltosi

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