1994, L’AVREBBE VINTO PANTANI SE…

maggio 15, 2020
Categoria: News

Fu il Giro della consacrazione di Marco Pantani quello del 1994. Il “Pirata”, che solo in pochi consideravano alla partenza di quell’edizione della corsa rosa, riuscì a farsi notare grazie alla crisi che colpì capitan Chiappucci nella prima tappa di montagna e che gli diede via libera. Si fermerà a 2’51” dal primato del russo Berzin ma forse, senza i dispettucci intercorsi alcuni mesi prima tra Castellano e Conti, quel Giro avrebbe potuto vincerlo lui…

C’è una stella al via del Giro del 1994, il terzo consecutivo a presentare ai nastri di partenza il grande campione spagnolo Miguel Indurain. Quella stella è lo stesso navarro, che si era imposto con autorità nelle due precedenti edizioni, nonostante l’imprevista difficoltà patita l’anno prima nel finale della tappa con arrivo a Oropa, e per questo in molti pensano che conseguirà la tripletta in rosa senza troppi problemi. Gli italiani rivolgono le loro speranze su Gianni Bugno e Claudio Chiappucci, con il primo che sembra risorto dopo un 1993 sottotono e che in questa stagione ha vinto il Giro delle Fiandre, mentre il “Diablo” dopo esser salito tre volte sul podio finale spera ancora in una crisi in salita di Indurain. C’è molta attenzione anche sulla Gewiss, la squadra di Moreno Argentin – nel 1993 maglia rosa per dieci giorni – e di Evgenij Berzin, il russo che poche settimane prima si era imposto alla Liegi e all’Appennino e che, intervistato dalla rivista Bicisport, aveva stupito tutti dichiarando che intendeva gareggiare per la maglia rosa, almeno nei primi giorni, e che Indurain avrebbe potuto anche batterlo, come già era riuscito a fare in quella stagione con Tony Rominger nella crono del Critérium International. E Marco Pantani? Per ora non ne parla nessuno perché lo conoscono solo gli appassionati che seguono anche le gare delle categorie inferiori, nelle quali l’illustre sconosciuto di Cesenatico aveva vinto il Giro d’Italia dei dilettanti nel 1992, corsa che l’aveva visto piazzato terzo nel 1990 e secondo nel 1991. Un Giro da professionista l’ha già all’attivo ma nel 1993 la sua era stata una presenza di “apprendistato”, terminata senza note particolari di cronaca con il ritiro a tre tappe dalla conclusione. E nelle strategie in casa Carrera anche il Giro del 1994 dovrebbe svolgersi secondo questo copione per il “Pirata”, ma capitan Chiappucci al quarto giorno di corsa si scioglierà letteralmente come neve al sole nella calura di Campitello Matese, lasciandolo così libero di fare la propria corsa….
… e sappiamo come andrà a finire quel Giro che si apre il 22 maggio a Bologna con un doppio appuntamento, il mattino una semitappa in linea di 86 Km e il pomeriggio una breve crono di 7 Km spaccati. La prima maglia rosa finisce sulle spalle di Endrio Leoni, velocista veneto che sul traguardo felsineo precede Giovanni Lombardi e Adriano Baffi, poi nella prova contro il tempo c’è da registrare la vittoria a sorpresa di Armand De Las Cuevas, atipico corridore francese dallo sguardo perennemente triste (morirà suicida nel 2018) che fino all’anno prima gareggiava nella squadra di Indurain e quel pomeriggio fa registrare quella che fino al 2001 sarà la media più alta di una tappa del Giro (53.391 Km/h).
Intanto Argentin, ottavo in classifica a 17” dal francesino, mette nel mirino la maglia rosa e ha subito l’opportunità per andare a prendersela perché la seconda tappa si addice alla perfezione alle sue doti grazie alla rampa finale verso Osimo: è la stessa che si affronterà anche nella tappa del Giro 2018 vinta da Simon Yates e che in quest’occasione vede Moreno fare il vuoto e giungere all’arrivo con 6” su Andrea Ferrigato, 8” su Davide Rebellin – l’unico di quel Giro a essere in gara ancora oggi, alle soglie dei cinquant’anni – e 12” sul gruppo dei migliori. E c’è una soddisfazione nella soddisfazione per Argentin, che va a riprendersi la maglia rosa proprio nelle stesse terre dove l’anno prima l’aveva perduta, quando Indurain gliel’aveva levata dalle spalle dopo la cronometro di Senigallia, dalla quale si transita quel giorno pedalando in direzione di Osimo.
Pure la tappa del giorno successivo è una di quelle che piacciono tanto al corridore trevigiano, anche se la salita finale verso Loreto Aprutino (da non confondere con la quasi omonima cittadina marchigiana) è più agevole rispetto a quella di Osimo, che presentava anche tratti in pavè. E, infatti, qui si assiste a un finale totalmente diverso, con un attacco che si può quasi definire “telepatico” perché succede che in piena diretta Davide De Zan, che commenta il Giro per Italia 1, si rivolge alla seconda voce Beppe Saronni chiedendogli a bruciapelo “E se provasse Bugno?”. Il suo interlocutore non ha nemmeno il tempo di replicare perché in quel momento preciso con una sparata inattesa esce dal gruppo proprio il corridore monzese, che a 3 Km dall’arrivo tenta la soluzione solitaria e ce la fa resistendo per un paio di secondi alla forsennata rincorsa del gruppo e portandosi al secondo posto in classifica, a 7” da Argentin.
Con queste premesse cresce l’attesa per la prima tappa di montagna, prevista per il giorno successivo quando si parte dal livello del mare, da Montesilvano Marina, per arrivare in 204 Km ai 1440 metri di Campitello Matese. Non si preannunciano definitive sentenze e invece ne suona una clamorosa per Chiappucci al quale, dopo esser andato all’attacco lontano dal traguardo in una giornata particolarmente torrida, si svuota improvvisamente il serbatoio delle energie mandandolo incontro a un crollo verticale che lo porta ad accusare un passivo di quasi 5 minuti. E ce n’è un’altra di sentenza inattesa, quella che dimostra come le dichiarazioni della vigilia di Berzin non fossero campate per aria: il russo va all’attacco sulla salita finale, si lascia tutti i migliori alle spalle e va a riprendere il fuggitivo Oscar Pellicioli, che poi fulmina allo sprint al traguardo, dove i due giungono con 47” sul gruppo nel quale ci sono Indurain, Bugno e Pantani, che con l’uscita di scena del “Diablo” ora può cercare di far sfoggio delle proprie doti senza dover sottostare a obblighi di scuderia.
Un’altra sorpresa attende gli spettatori del ciclismo il giorno dopo quando la corsa arriva a Melfi da Campobasso, dove è atteso un arrivo allo sprint all’esterno dello stabilimento che la FIAT aveva inagurato all’inizio di quell’anno con la produzione della “Punto”. Vince Leoni, che così bissa il successo ottenuto a Bologna, Djamolidine Abdoujaparov rischia di falciare mezzo gruppo nel tentativo di disincastrare un cappellino che il forte vento gli aveva sparato nel mezzo delle leve dei freni, e – ecco la sorpresa – in mezzo alla volata ci si butta anche Indurain, che velocista non è ma riesce comunque ad agguantare un inaspettato quinto posto.
Toccato il suo estremo meridionale, il Giro del 1994 prende a risalire verso nord con la lunga e vallonata tappa da Potenza a Caserta, che sembra disegnata apposta per i cacciatori di tappe, per corridori che amano lanciarsi in lunghe fughe da lontano. È il caso di Marco Saligari, che in questa maniera si era già portato a casa due tappe della Corsa Rosa negli anni precedenti, in Valle Varaita nel 1993 e a Sondrio nel 1992. E all’ombra della reggia è proprio lui a presentarsi con le braccia levate, stavolta in maniera differente rispetto alle vittorie in solitaria alle quali ci aveva abituato perché qui sfodera doti di velocista e precede Massimo Ghirotto e l’elvetico Heinz Imboden.
Con un lungo trasferimento la carovana del Giro si sposta a Fiuggi per una breve e frizzante frazione in circuito che prevede di salire e scendere per tre volte dagli altipiani di Arcinazzo, difficoltà risibili nelle pendenze che Argentin, uscito di scena al pari di Chiappucci nella tappa di Campitello, tenta di sfruttare per rientrare nei piani alti della classifica, riuscendo a guadagnare quasi un minuto prima che la reazione del gruppo annulli il suo tentativo. Della tornata calma ne approfittano poi sei corridori, che schizzano verso il traguardo dove si impone lo scalatore spagnolo Laudelino Cubino, che al Tour del 1988 aveva conquistato il tappone pirenaico di Luz-Ardiden e che nel suo palmarès ha anche tre affermazioni alla Vuelta (e ne aggiungerà un’altra al Giro nel 1995, quando conquisterà l’arrivo in salita al Monte Sirino).
Il Giro intanto arriva a uno degli appuntamenti più attesi da Indurain, la cronometro individuale che Carmine Castellano, da due anni alla direzione del Giro, ha disegnato tra Grosseto e Follonica ricalcando fedelmente una tappa che il suo predecessore Vincenzo Torriani aveva proposto nel 1953. Entrambe le tappe forniranno il medesimo verdetto, quello di una sonora sconfitta per il corridore che si accingeva ad affrontarle da favorito: se 41 anni prima Fausto Coppi si era visto sopravanzare da due avversari, ancora peggio va a “Miguelon” in questa crono “maledetta” perché il navarro termina solo quarto, preceduto di 53” dal corridore che si piazza terzo (Bugno), di 1’18” dal secondo (il compagno di squadra De Las Cuevas, che già aveva fatto meglio di lui a Bologna) e di 2’34” dal vincitore, il sempre più sorprendente Berzin, che ora porta il suo vantaggio in classifica a 2’16” sul francese, a 2’38” su Bugno e 3’39” sul deludente Indurain.
Dopo quest’autentica tempesta ora cresce l’attesa per i tapponi alpini, sui quali si vedrà se il russo, che mai si era finora misurato in un grande giro, sarà in grado di reggere, se Bugno confermerà di aver ritrovato lo smalto di un tempo e se Indurain s’inventerà qualcosa per riprendere il controllo della corsa. E di Pantani ancora nessuno parla perché, dopo il quinto posto di Campitello e una crono affrontata senza particolari ambizioni, ora si ritrova in quattordicesima posizione in classifica con un passivo di sette minuti e mezzo. Prima di conoscere questi verdetti si deve superare una lunga serie di tappe di trasferimento che, a meno di sorprese, dovrebbero tutte concludersi con un arrivo in volata. Si comincia con la Castiglione della Pescaia – Pontedera, che viene vinta dal ceco Ján Svorada dopo che un tentativo di Chiappucci nel finale viene stoppato dalla squadra della maglia rosa e dopo una caduta innescata da Fabiano Fontanelli all’imbocco del rettilineo d’arrivo e che coinvolge altri quattro corridori, tra i quali uno dei favoriti per il successo – l’uzbeko Abdoujaparov – in un Giro che non presenta al via Mario Cipollini, gravemente infortunatosi alla prima tappa della Vuelta dopo esser stato stretto contro le transenne da Adriano Baffi, incidente che gli farà saltare anche il Tour.
Dopo un altro chilometrico trasferimento (del quale torneremo a riparlare alla fine dell’articolo) si corre sul tradizionale circuito della Rosina, con la breve ma ripida ascesa vicentina da ripetere cinque volte prima di giungere sul traguardo di Marostica. Ma anche qui sono i velocisti a spadroneggiare e stavolta il successo premia “Abdou”, che viene pilotato verso la vittoria da un gregario d’eccezione, quel Bugno che oggi ci si mette d’impegno al punto da riuscire anche a rosicchiare 6 secondi a Berzin.
Un perfetto biliardo è la successiva frazione alla volta di Bibione, la stazione balnare tanto amata dai turisti nordeuropei perché una delle più vicine al valico di frontiera del Brennero. E qui a vincere è proprio un corridore che arriva da nord delle Alpi, quel Svorada che era stato più veloce di tutti anche due giorni prima a Pontedera e che anche in quest’occasione s’impone mentre alle sue spalle si cade di brutto, con Leoni e Roberto Pagnin che finiscono per andare a saggiare la dura consistenza dell’asfalto, ci piroettano sopra più volte mentre il casco di Leoni si spezza nell’impatto e i due rischiano d’esser travolti da chi sopraggiunge.
C’è un’altra tappa che pare predestinata all’arrivo in volata, nonostante la non breve salita dall’impronunciabile nome di Črni Vrh che svetta a un centinaio di chilometro dal traguardo sloveno di Kranj, nel primo dei tre sconfinamenti previsti dal 77° Giro d’Italia. C’è anche uno strappo proprio sulla linea del traguardo che finisce per frenare “Abdou” che si piazza terzo e perde anche un paio di secondi dai primi due corridori a tagliare la linea d’arrivo, i vicentini Andrea Ferrigato e Fabio Baldato.
Nel gruppo, intanto, si vivono queste giornate d’attesa delle Alpi senza troppi patemi, anche se Bugno comincia a preoccuparsi per un piccolo ma doloroso problema di salute che lo tormenta, un callo a un alluce che è pure tormentato da un’unghia incarnita, che si fa sentire anche a causa dagli scarpini stretti. È così con piccolo sospiro di sollievo che il monzese apprende la notizia della cancellazione a causa di una frana della prima salita alpina, il Passo di Pramollo, che si doveva affrontare nelle fasi iniziali dell’austro-slovena tappa da Kranj a Lienz, frazione che si trasforma così in un’altra occasione d’oro per i cacciatori di tappe. Ne approfitta un promettente giovane, il futuro “Leoncino delle Fiandre” Michele Bartoli, che si presenta tutto solo sul traguardo della cittadina tirolese con 2’31” su Fontanelli e 2’59” su Flavio Vanzella, il corridore trevigiano che due mesi più tardi avrà l’onore di vestire per due giorni la maglia gialla al Tour. Per quanto riguarda i big anche oggi se la prendono comoda, concludendo la tappa oltre 13 minuti dopo l’arrivo di Bartoli e preceduti di circa un minuto da Pantani, scattato nel finale sulla salita del Bannberg.
Ma è ancora poco quotato il “Pirata”, per il quale i primi titoloni arrivano il giorno dopo, al termine del primo dei tre tapponi previsti dal Giro 1994, una cavalcata di 235 Km da Lienz a Merano attraverso i passi Stalle, Furcia, Erbe, Eores e Monte Giovo. È l’elvetico Pascal Richard a transitare in testa sulle ultime quattro salite, facendo incetta di punti per la classifica dei GPM, poi entra in scena Pantani che riprende il rossocrociato e si tuffa nella discesa del Monte Giovo adottando una posizione che fa rizzare i capelli in piedi, con il sedere a pochi centimetri dalla ruota posteriore e il sellino a stretto contatto con l’addome. È una posizione rischiosa ma vantaggiosa, che gli consente di guadagnare quei 40” con il quale piomba sul traguardo, il distacco con il quale il gruppo di Berzin porta a termine il tappone dolomitico regolato allo sprint da Bugno.
Neanche stavolta, però, Pantani – che ora in classifica è 6° a 5’36” dalla maglia rosa – dà l’impressione ai più di essere un uomo temibile. Anche perché nessuno pensa che un giovane di 24 anni senza grandi esperienze di Giro possa ripetersi ventiquattore più tardi, quando si dovrà affrontare un tappone ancora più duro. I 195 Km che si devono percorrere per andare all’Aprica sono infarciti di difficoltà: prima c’è lo Stelvio, poi il temutissimo Mortirolo, quindi il primo passaggio dall’Aprica e infine il breve ma ripido Valico di Santa Cristina. E invece ci sarà ancora uno show del Pirata, che fa sembrare l’exploit del giorno prima un piccolo fuoco d’artificio e rischia di far collassare l’impalcatura della classifica generale. Marco parte sulle prime rampe severe del Mortirolo, dopo che sullo Stelvio era transitato in testa Franco Vona, riprende uno alla volta i corridori che si trovavano in fuga dal mattino e ben presto rimane solo al comando. Terminata la discesa su Edolo si fa raggiungere dal gruppo di Berzin lungo la pedalabile salita verso Aprica e questa è una scelta che sulle prime appare scriteriata ma che in realtà si rivela intelligente, perché gli consente di rifiatare lasciando il grosso del lavoro in testa alla corsa agli altri avversari. Gli effetti di questa strategia si vedono nel momento nel quale attacca nuovamente sul Santa Cristina e gli altri si staccano come le foglie d’autunno. Indurain rivelerà successivamente d’aver tentato di seguire Marco ma di aver avuto una sensazione d’annebbiamento alla vista, mentre a quel punto lo spagnolo viene attaccato a fondo anche da Chiappucci, al quale non par vero di riuscire a staccare un corridore che negli ultimi anni faticava a far soffrire sulle salite. Va a finire che sul traguardo di Aprica Pantani giunge con 2’52” di vantaggio sul compagno di squadra, che a sua volta stacca di 38” il navarro e di 1’14” Berzin, che riesce comunque a salvare la leadership per 1’18”, il vantaggio che ora ha sullo scalatore di Cesenatico, mentre Indurain è 3° a 3’03”.
Tre giorni più tardi si preannuncia un’altra appassionante sfida al vertice con la cronoscalata al Passo del Bocco, prima della quale si devono affrontare due tappe di trasferimento che non dovrebbero comunque vedere protagonisti i velocisti. Nel finale della Sondrio – Stradella l’itinerario prevede di passare due volte sulla collina di Canneto Pavese, salita che inizia a Broni, il paese dove è di casa da qualche tempo Berzin. Ma oggi i protagonisti sono due corridori di secondo piano, Fontanelli e Maximilian Sciandri, con l’italo-inglese che fa il furbetto e fa credere al romagnolo di non averne più e che gli lascerà la vittoria. Promessa da marinaio.
In attesa di ritornare sulle Alpi è prevista ora un’altra escursione attraverso l’Appennino con la tappa che da Santa Maria della Versa, terra di produzione degli spumanti che all’epoca si utilizzavano nelle premiazioni delle corse Gazzetta, punta su Lavagna passando per i quasi 1500 metri del Passo del Tomarlo. È il giorno della tripletta di Svorada davanti a Lombardi e Abdoujaparov, tre velocisti, ma questo non è un arrivo in volata classico perché i tre sono bravi a infilarsi nella fuga di giornata, che anticipa di quasi un minuto il gruppo.
Ora il mondo del ciclismo guarda con curiosità all’atipica cronoscalata da Chiavari al Passo del Bocco, insolita perché l’arrivo non è in salita e perché dei 35 Km in programma solo 13 Km sono in salita. C’è un lungo tratto pianeggiante iniziale che Pantani teme e che lo spinge a “spingere” e a forzare le proprie doti, finendo poi per trovarsi con le gambe di legno dove più gli servirà: dei tre corridori più attesi alla fine risulta il peggiore, preceduto di 1’17” da Indurain e da 1’37” da un Berzin che si rivela sempre più inaffondabile.
C’è spazio per un’ultima tappa di trasferimento che dalla riviera ligure conduce a Bra affrontando una miriade di piccole collinette, altra opportunità per mettersi in mostra con una fuga da lontano. In quest’ultima, però, s’infila un corridore inatteso, proprio quel Berzin che da due settimane troneggia in cima alla classifica e che nessuno aveva riconosciuto nell’immediatezza perché, a causa del diluvio che stava venendo giù in quel mentre, si era infilata una mantellina che aveva totalmente nascosto alla vista la sua livrea rosa. Individuato l’intruso, il russo viene invitato dagli altri componenti della fuga a tornarsene in gruppo, perché la sua presenza avrebbe pregiudicato il buon esito del tentativo: la maglia rosa si scusa e se ne va e così il gruppetto riesce a giungere fino a Bra, dove a imporsi è Massimo Ghirotto, proprio colui che aveva chiesto al russo di levarsi di torno.
È giunta l’ora di riprendere l’ascensore con l’ultimo tappone, che da Cuneo porta all’inedito traguardo di Les Deux Alpes, località di sport invernali dirimpettaia dell’Alpe d’Huez che il Giro scopre prima del Tour, che vi porrà per la prima volta un traguardo di tappa nel 1998 (e anche quella sarà una frazione nell’insegna di Pantani, la più bella e indimenticabile di tutte). Si deve salire fino ai 2748 metri del Colle dell’Agnello, il secondo valico per altitudine d’Italia dopo lo Stelvio, inserito per la prima volta in una corsa professionistica dopo che nel 1976, quando era ancora sterrato, era stato affrontato durante la tappa di Les Orres del Tour de l’Avenir, riservato ai dilettanti. Poi ci sono il mitico Izoard, il mite Lautaret e il futuro mito Les Deux Alpes a proporre un banchetto di pendenze al quale Pantani non si sottrae: già sull’Agnello va all’attacco e guadagna 1’15” su Berzin e Indurain, poi sull’Izoard il vantaggio sale a 1’50”. Contro l’azione del Pirata remano però i tanti chilometri in fuga, la stanchezza e la mancata collaborazione del suo compagno d’avventura, il colombiano Hernán Buenahora: a Briançon l’avanscoperta del Pirata è già terminata, dopo non c’è più terreno per far male e il finale riserva applausi solo per il gruppetto di cinque corridori che riescono a isolarsi in testa alla corsa, tra i quali trova gloria l’ucraino Volodymyr Pulnikov.
C’è ancora un’ultima opportunità per Pantani, rappresentata dalla breve ma concentrata tappa che riporta il Giro in Italia ritornando sul Lautaret e proponendo quindi il Monginevro e la doppia scalata finale al Sestriere. Ma il maltempo “congela” letteralmente il gruppo, fa freddo sul Lautaret e sul Monginevro, diluvia a Cesana Torinese, nevica sulla cima del Sestriere e i big preferiscono evitare di prendere rischi inutili giungendo tutti assieme al traguardo. Ne approfitta il leader della classifica dei GPM Richard che, indisturbato, si piglia tutti i colli di giornata e giunge in solitaria ai 2035 metri dell’ultimo passo del Giro 1994 con un minuto netto su Gérard Rué, francese che corre nella Banesto di Indurain.
Il giorno dopo l’ultima tappa da Torino a Milano, vinta dal varesino Stefano Zanini, mette i sigilli al primo Giro vinto da un russo. Un giro che, però, Pantani avrebbe potuto vincere se non gli si fossero messi di mezzi due “dispettucci” intercorsi sei mesi prima tra il direttore del Giro Castellano e il giornalista di Tuttosport Beppe Conti.
Succede tutto a novembre del 1993, quando è prevista la presentazione della Corsa Rosa. Il giornalista torinese, oggi opinionista RAI, viene a sapere in anteprima il tracciato del Giro e lo pubblica su Tuttosport qualche giorno prima del 13 novembre, la data della presentazione ufficiale in diretta televisiva. Castellano s’infuria e decide di rifilare un bello scherzetto a Conti “stracciando” tutta la parte finale del percorso e ricomponendola come un puzzle, forse andando a inserire sedi di tappa che inizialmente erano state opzionate come riserve e disegnando sul planimetria, come una sorta di lunga cicatrice nera, l’inspiegabile trasferimento senza riposo verso Pontedera. Da Bologna a Pontedera poco cambia poi ecco lo stravolgimento di un percorso che non doveva andare verso il Veneto ma nella direzione opposta, toccando la Liguria (ma senza proporre la cronoscalata al Bocco) e il Piemonte. Les Deux Alpes e Sestriere facevano già parte del progetto originario ma si dovevano affrontare come prime frazioni alpine di un Giro che si sarebbe deciso sulle Dolomiti, con la cronoscalata al Bondone (mai più recuperata) e il tappone dell’Aprica sul tracciato che conosciamo ma affrontato come penultima tappa. E allora sì che Pantani, forse, quel Giro avrebbe potuto vincerlo…. E forse anche la sua carriera e la sua vita avrebbero preso una piega differente.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: l’altimetria della 13a tappa (Lienz) è quella originaria (a causa di una frana non si transitò sul Passo di Pramollo); l’altimetria della 17a tappa (Lavagna) è quella modificata pochi giorni prima della partenza del Giro da Bologna (in fondo trovate il percorso originario)

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Altimetria originaria 17a tappa

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