1953, ALLA SCOPERTA DELL’EVEREST

maggio 14, 2020
Categoria: News

Debutta lo Stelvio alla Corsa Rosa. Ed è un debutto con il botto perché proprio lassù Coppi conquista il suo quinto e ultimo Giro d’Italia, una vittoria che sembrava impossibile per come si erano messe le cose in classifica per il Campionissimo. Ma i 48 tornanti del versante altoatesino stritolano come le spire di un boa l’elvetico Koblet, che veste le insegne rosa alla partenza di quella storica frazione e al quale stavolta non riesce il colpaccio di tre anni prima, quando era stato il primo straniero ad aggiudicarsi il Giro.

44 anni e 35 edizioni della Corsa Rosa, tanto c’è voluto per vedere i 2758 metri dello Stelvio svettare come un enorme e succulento porcino sull’altimetria generale del Giro d’Italia. È il 9 aprile del 1953 quando viene annunciato che, per la prima volta nella storia, il Giro che prenderà al via poco più di un mese più tardi proporrà l’ascesa al più elevato valico stradale d’Italia. In precedenza ci si era spinti fino ai 2473 metri del Gran San Bernardo l’anno precedente e ai 2360 metri dell’Izoard in occasione della Cuneo-Pinerolo del 1949, ma non si era mai raggiunta una quota così elevata, comunque già “assaggiata” al Tour che in tre occasioni si era arrampicato sull’Iseran, valico che l’altitudine dello Stelvio la supera, anche se di soli 6 metri.

Svelato il percorso, che hai nei suoi punti di forza anche il tappone dolomitico di Bolzano e le due frazioni a cronometro di Follonica e Modena, nelle settimane successive si completa anche il campo dei partenti, che ha il suo nome più illustre in Fausto Coppi, al via del suo nono Giro d’Italia da vincitore uscente della Corsa Rosa e da detentore della doppietta con il Tour, conseguita per la seconda volta in carriera. C’è anche il 32enne Fiorenzo Magni ed è al via Gino Bartali, ma non si può considere un avversario temibile un corridore che di anni ne ha 38, anche se dodici mesi prima ha terminato al quarto posto la Grande Boucle e al quinto il Giro. Il vero antagonista del Campionissimo sarà lo svizzero Hugo Koblet che, dopo esser stato il primo straniero a vincere il Giro nel 1950, ora ha intenzione di fare il bis alla Corsa Rosa, alla quale si presenta pochi giorni dopo aver messo in cascina il Tour de Romandie.

È il 12 maggio quando viene abbassata la prima bandierina del via, con i “girini” pronti a percorrere i 263 Km che distanziano Milano da Abano Terme, dove sotto lo striscione d’arrivo si presenta a braccia levate l’olandese Wim van Est, giunto al traguardo dopo quasi 40 Km di fuga solitaria. Bisogna attendere poco più di un minuto e mezzo per assistere all’arrivo del secondo classificato, Guido De Santi, e quasi tre minuti per assistere alla volata del gruppo dei big.

La prima salita di una certa consistenza, pur non essendo difficile, è quella di San Marino che l’indomani viene affrontata nel finale della tappa di Rimini, movimentata dalla foratura in discesa di Coppi, avvenuta pochi chilometri prima della dogana che riporta la corsa in Italia. Dopo un breve inseguimento il Campionissimo riesce a rientrare in gruppo e al traguardo è battuto allo sprint da Koblet, che non è comunque il vincitore della frazione perché esattamente 10 secondi prima aveva tagliato vittorioso la linea d’arrivo Pasquale Fornara, evaso dal gruppo in salita. Vincitore il giorno prima, il capoclassifica Van Est giunge in ritardo di 4 minuti ed è costretto a lasciare le insegne del primato a De Santi, che le veste con circa un minuto su Fornara e poco più sui big.

Costantemente lungo l’Adriatico si snoda la successiva frazione diretta a San Benedetto del Tronto, la località balneare marchigiana che dal decennio successivo diventerà il tradizionale approdo conclusivo della Tirreno-Adriatico, la corsa a tappe di preparazione alla Sanremo che sarà ideata da Franco Mealli nel 1966. È una tappa nella quale, in attesa della prima giornata di montagna, i “grandi” decidono di lasciare campo libero alle seconde schiere e così va in porto il tentativo di sei corridori che lasciano la compagnia del gruppo a una cinquantina di chilometri dal traguardo, dove il varesino Albino Crespi ha la meglio sul pistard olandese Wout Wagtmans e sul torinese Angelo Conterno.

La prima tappa disegnata sulle montagne termina all’insegna del Campionissimo, con Fausto che sul traguardo di Roccaraso, al quale si giunge dopo aver affrontato la storica salita del Piano delle Cinquemiglia, s’impone allo sprint su di un gruppo di una trentina di corridori nei quali c’è tutta la “crème” del Giro 1953. In questo plotoncino c’è anche Koblet, che corre un bel rischio a circa 60 Km dal traguardo quando una ragazza, attraversando imprudentemente la strada, provoca una caduta in mezzo al gruppo e l’elvetico è tra i corridori finiti a terra: ferito, penalizzato da un pedale incurvatosi nel capitombolo e dal fatto che la sua ammiraglia è rimasta intruppata in fondo alla carovana dopo il rifornimento, il vincitore del Giro 1950 arriva ad accusare fino a 4 minuti di ritardo ma poi, con l’aiuto dei gregari, riesce a rientrare in gruppo a Sulmona, subito prima dell’inizio dell’ascesa finale. Va peggio a De Santi, pure lui coinvolto nella caduta, che non ce la fa a recuperare e deve salutare la maglia rosa, finita sulle spalle di Fornara.

I gregari sono protagonisti anche nella successiva tappa di Napoli, che termina come quella di due giorni prima a San Benedetto (allo sprint s’impone Ettore Milano, luogotenente di Coppi alla Bianchi) e che vede ancora Koblet rivestire il ruolo di protagonista sfortunato, stavolta ruzzolato a terra nel corso della discesa iniziale da Roccaraso a causa della rottura di un freno e trovatosi a inseguire per una buona mezz’ora dopo aver accumulato un passivo di un minuto circa.

Il “menù” del Giro propone ora la portata di più calorica sotto l’aspetto della distanza con i 285 Km che si devono digerire tra il capoluogo campano e Roma, dove De Santi “vendica” la sfortuna che due giorni prima gli era costata le insegne del primato. In un’altra giornata che vede i big del Giro in condotta di gara tranquilla il corridore triestino s’infila nella fuga che caratterizzata la tappa e recupera quei 2’17” che gli consentono di tornare in rosa con 1’51” su Fornara, mentre il romagnolo “Pipaza” Minardi s’impone sulla linea del traguardo, disegnata all’interno dello Stadio dei Centomila, il futuro Stadio Olimpico la cui cerimionia d’inaugurazione si svolge proprio quel pomeriggio.

Continuano a fioccare nel frattempo le occasioni d’oro per i gregari e dopo Ettore Milano tocca allo scudiero di Bartali Giovanni Corrieri, al quale le cose vanno decisamente meglio perché non solo imbrocca la vittoria in quel di Grosseto ma si prende anche la maglia rosa grazie al vantaggio di sette minuti con il quale giunge al traguardo insieme agli altri compagni di fuga. Lo stesso giorno, il pomeriggio, è in programma una cronometro di quasi 50 Km disegnata sulle pianeggianti strade della Maremma, verso Follonica. È la prima vera sfida tra Koblet e Coppi, che scende dalla rampa di lancio di Grosseto vestendo i panni del favorito per il successo, anche se l’anno precedente nella lunga Erba-Como (65 Km) era riuscito a sopravanzare l’elvetico di appena 15”. All’altro capo di questa tappa, però, Coppi si ritrova addosso le scomode vesti del grande sconfitto, preceduto da ben due corridori che hanno fatto meglio di lui, dal sorprendente Fornara per 35 secondi e da Koblet per 1’21”, con il rossocrociato che s’impone a 40.407 Km/h e si porta in testa alla classifica con 26” sull’ex leader De Santi, 36” su Fornara e 1’21” sul Campionissimo.

La risalita dello stivale continua con la facile tappa di Pisa che non riserva particolari emozioni fino a una ventina di chilometri dal traguardo, quando una caduta in mezzo al gruppo ne rallenta la marcia e favorisce il tentativo di un piccolo drappello che si era involato poco prima del capitombolo e che riesce ad arrivare sino alla città della celebre torre pendente, dove s’impone il belga Rik Van Steenbergen. Per i favoriti, caduta a parte, è un’altra tappa d’ordinaria amministrazione, secondo un andazzo visto in parecchie frazioni – finora quasi in tutte, escluse quelle di San Marino e la crono del giorno prima – e che fa arrabbiare i giornalisti e quegli appassionati che ancora ricordano i giri di qualche decennio prima, quando i big si davano battaglia in tutte le frazioni: sono i primi sintomi della modernizzazione del ciclismo, che porterà anche a una netta separazione tra le tappe da classifica e quelle interlocutorie destinate ai velocisti, nelle quali chi punta alla vittoria finale preferisce starsene comodo nella pancia del gruppo.

Dopo un giorno di riposo si riparte con una frazione che fa venire l’acquolina ai “coppiani” perché la Pisa-Modena si snoda sulle stesse strade che 13 anni prima furono teatro del primo exploit del Campionissimo. C’è una grossa differenza rispetto al Giro del 1940, però, perché all’epoca il corridore di Castellania non lo conosceva quasi nessuno e, di conseguenza, non lo si temeva, mentre adesso sarebbe stato uno dei corridori più controllati e a sorvegliarlo aveva un avversario tenace come Koblet. Superate le due salite in programma i due rivali sono ancora assieme quando mancano una ventina di chilometri al traguardo (dove s’imporrà Magni), nonostante un precedente momento di crisi della maglia rosa, che si era staccata sull’Abetone. Fausto, però, non approfitta della défaillance dell’avversario, che si riporta su di lui con una discesa a rotta di collo e con lui termina la tappa.

Probabilmente il Campionissimo ha preferito far stancare Hugo senza colpirlo direttamente alla vigilia dell’altra cronometro che Torriani ha inserito nel percorso. Il giorno successivo, infatti, si rimane a Modena per una cronosquadre di 30 Km nella quale il Campionissimo trascina la sua Bianchi alla vittoria fermando i cronometri sul tempo di 37’45” e facendo registrare una velocità media di poco meno di 48 Km/h. Compiuti i previsti 13 giri della pista dell’aerautodromo di Modena, che costituisce l’unico terreno di gara (demolito negli anni ‘80, si trovava nel luogo dove oggi c’è il Parco Enzo Ferrari), per un solo secondo la vittoria sfugge alla Ganna, la formazione nella quale gareggia Magni, mentre Koblet e suoi uomini pagano 26 secondi, permettendo così a Coppi di ridurre le distanze dalla maglia rosa, il cui vantaggio scende a 55”.

Riprendono le tappe in linea e riprende l’oramai tradizionale “clichè” visto nei giorni precedenti con i migliori tutto in gruppo. Viaggiando verso Genova hanno così ancora via libera i tentativi di fuga e tra gli ardimentosi che si lanciano in avanscoperta c’è Minardi, che dopo la tappa di Roma punta al bis sullo stesso traguardo che l’aveva visto vincitore al Giro del 1952. Ma nella discesa della Ruta, mentre è in testa alla corsa assieme allo spagnolo Andrés Trobat dopo aver staccato gli altri compagni di fuga, è vittima di una rovinosa caduta che lo costringe al ritiro e priva dell’iberico di una “spalla” nel proseguimento del tentativo. Ripresa la testa della corsa da parte del drappello inseguitore, la situazione davanti muta più volte fino allo sprint di un gruppo di nove elementi che vede imporsi il monzese Giorgio Albani sul francese d’origini italiane Raphaël Géminiani, mentre i favoriti giungono nel capoluogo ligure quasi 2 minuti dopo l’arrivo dei primi.

La tappa successiva non vede nemmeno la fuga andare in porto perché sul traguardo di Bordighera, dove si giunge dopo esser saliti sul Turchino dal versante opposto rispetto alla Sanremo e aver quindi ritrovato l’Aurelia a Savona, si assiste a un volatone a gruppo compatto. Vince Oreste Conte e il quotidiano torinese “La Stampa” manifesta tutto il suo sdegno per lo svolgimento della corsa proponendo il giorno dopo un titolo a effetto oggi impensabile (“Scandalo nel Giro: tutti i corridori insieme”) mentre l’articolo firmato da Gigi Boccacini inizia parlando di sciopero in seno al gruppo, di volontà dei corridori di abolire la fatica.
L’amarezza dei giornalisti piemontesi è forse spinta anche dal fatto che il giorno dopo la Corsa Rosa ha in programma un arrivo proprio a Torino, ma nemmeno in quest’occasione la musica cambia. C’è un altro giornalista a firmare il pezzo, ma anche Vittorio Varale non si dissocia dal sentimento che alberga nel cuore di molti colleghi e all’inizio del pezzo scrive “che per quanto rimproverati e ridicolizzati, gli alti papaveri del Giro insistano nella loro condotta negativa, è fatto che ormai esula dal giudizio di noi cronisti — troppe volte essendo stato denunciato su queste colonne per essere nuovamente ricordato. Pigliamo dunque il Giro come lo vogliono gli attori che vi sono di scena e i registi che ne predispongono l’ambiente — e passiamo a raccontare le vivaci e alterile vicende della corsa, che nella sua fase finale è passata fra due ali fittissime di spettatori, da Moncalieri fino al Motovelodromo di corso Casale…” per poi passare alla narrazione della cronaca di una giornata terminata con il successo del comasco Pietro Giudici, che precede allo sprint l’elvetico Schär e di una manciata di secondi gli altri elementi del gruppo andato oggi in fuga e giunto a Torino con 5’36” di vantaggio sugli “alti papaveri”.

Le parole dei cronisti non stimolano i corridori che, anzi, anche il giorno successivo sono ancora protagonisti di una corsa anonima, terminata sul traguardo di San Pellegrino Terme con lo sprint vincente di Magni sul gruppo maglia rosa per il terzo posto, dopo che un paio di minuti prima aveva tagliato il traguardo Nino Assirelli, partito subito dopo il via e arrivato a sfiorare il quarto d’ora di vantaggio lungo la strada. È un nome, quello del corridore romagnolo, che gli appassionati probabilmente scorderanno fino al maggio dell’anno successivo, quando sarà protagonista con lo svizzero Carlo Clerici della famosa fuga bidone verso l’Aquila nella sesta tappa, frazione che condizionerà l’intero svolgimento della corsa, vinta a Milano da Clerici con 24 minuti di vantaggio su Koblet e poco più di 26 minuti sullo stesso Assirelli.

Dopo l’ultimo giorno di riposo sono in programma le salite del Tonale e di Campo Carlo Magno, ma la notevole distanza che le separa dal traguardo di Riva del Garda fa temere per un’altra giornata priva di particolari sussulti. Invece le emozioni non mancano perché Coppi fora due volte scendendo da Madonna di Campiglio verso Pinzolo e in una terza occasione è costretto a una sosta fuori programma per risistemare la ruota. Per sfortuna di chi segue il Giro e che vorrebbe attacchi tutti i giorni nessuno prova a far dilatare il distacco del Campionissimo, che arriva ad accusare al massimo una cinquantina di secondi di ritardo e agevolmente si riaccoda al gruppo quando mancano 57 Km da Riva del Garda, dove si assiste allo sprint di una trentina di corridori, regolato da Magni su Albani e Bartali.

Poi quel che si aspettava da tempo succede e succede in una delle tappe nelle quali si pensava che nulla potessse accadere. La Riva del Garda – Vicenza è una tappa senza frazione pretese, 166 km prevalentemente pianeggianti, a parte tre brevi ascese, il Col San Giovanni nelle fasi di partenza, Pergine Valsugana a cavallo del 50° Km di gara e il ripido strappo finale verso il Santuario di Monte Berico. E l’attacco non arriva in nessuno di questi tre punti, bensì poco prima del Km 110 quando, nel bel mezzo della pianura, in zona rifornimento ci provano alcuni corridori tra i quali spiccano i volti di Coppi e Koblet. Ci vogliono circa 7 Km per andare a riprenderli ma poi la tensione rimane alta per parecchio tempo ancora e nuovamente i due assi si fanno vedere in testa al gruppo in diverse occasioni per andare a riacciuffare altri corridori che tentano la sortita; solo a 12 Km i big decidono improvvisamente di rallentare, lasciando evadere il gruppetto che andrà a giocarsi la vittoria sul Monte Berico, in cima al quale transita per primo il romano Bruno Monti.

Alla vigilia dei tapponi si disputa un’ultima tappa di transizione, 186 Km poco impegnativi perché per andare da Vicenza ad Auronzo di Cadore si prende quota gradatamente. C’è solo un tratto di vera salita, neanche troppo difficile, per raggiungere Pieve di Cadore ed è proprio al termine di questo strappo che ci prova Koblet. Sotto la pioggia il corridore elvetico riesce ad agguantare il piccolo gruppetto di fuggitivi che si trova in testa alla corsa e li trascina fin sul traguardo, dove Monti bissa il successo ottenuto il giorno prima. Coppi, invece, mastica amaro perché, dopo non esser riuscito a seguire la maglia rosa, si ritrova ad aver perduto un minuto, mentre due solo quelli che ora lo separano dalla testa della classifica.

Recuperare lo svantaggio con un Koblet in queste condizioni non sembra un gioco facile, anche se ora è in programma un tappone dolomitico non molto dissimile da quelli che il Campionissimo ha dominato nelle precedenti edizioni. Il tracciato della Auronzo – Bolzano è, a partire dal passaggio da Cortina, un clone del percorso della Venezia – Bolzano nella quale l’anno precedente Fausto aveva trionfato con più di 5 minuti su Bartali e Magni, mentre Koblet era giunto al traguardo con quasi 9 minuti di ritardo. Ma, al confronto, il Koblet del 1952 sembra differente da quello che ora si sta apprestando a vincere il suo secondo Giro e, infatti, stavolta l’infilata Falzarego-Pordoi-Sella non basta al Campionissimo per ribaltare una situazione che, anzi, non viene nemmeno scalfita. Se per tutti gli altri i distacchi sono pesanti – 3° al traguardo Fornara a 3’56”, quarti Donato Zampini e Bartali a 7’23” – non è così per i due sfidanti che giungono insieme a Bolzano, dove Coppi vince allo sprint dopo che Koblet era riuscito a distanziarlo di 1’15” in vetta al Pordoi e dopo che l’elvetico si era trovato a sua volta a inseguire il Camponissimo, scollinato sul Sella con 1’25” di vantaggio. Nelle dichiarazioni alla stampa della sera un demoralizzato Coppi lascia intendere che, oramai, non ha più la possibilità di staccare il rivale, ma di diverso avviso sono i suoi compagni di squadra, che si radunano nella camera del Campionissimo e cercano di convincerlo del contrario. Gli raccontano che lo Stelvio è più duro di tutte le salite del Giro e del Tour messe assieme e che se c’è una persona in grado di contrastare lo strapotere di Koblet, quella persona è proprio lui. Quel che non possono sapere è che, mentre il piccolo conciliabolo riesce a convincere Fausto e si cominciano a tessere le strategie per la tappa del giorno successivo, nello stesso tempo Koblet inizia ad avvertire i sintomi di una bronchite che deve essersi buscato sui passi dolomitici e che il giorno dopo lo farà soffrire terribilmente…

… e il giorno dopo è il giorno della prima scalata allo Stelvio, che Torriani ha inserito nel finale di una delle tappe più brevi di questo Giro, lunga soli 125 Km. Si parte da Bolzano e per i primi 75 km le uniche difficoltà di gara sono rappresentate dai lievi tratti in falsopiano che si susseguono lungo la Val Venosta. È l’interminabile introduzione ai 24 Km al 7.6% che conducono fino a quota 2758 percorrendo la strada progettata dall’ingegnere bresciano Carlo Donegani, i cui lavori erano terminati quasi 130 prima. È lassù che si potrebbero concretizzare la quinta vittoria di Coppi al Giro oppure un dignitoso passaggio di consegne tra i due campioni, distanti anagraficamente sei anni l’uno dall’altro. Fino ai piedi del passo la tappa scorre via senza troppi clamori, come molte altre frazioni di questa edizione della corsa rosa, poi prendono il comando a turno i compagni di Coppi, che lasciano strada libera al Campionissimo quando mancano 9 Km al culmine. Superata quota 2000 Fausto attacca e quasi immediatamente la maglia rosa cede. Il piemontese aggredisce con grinta gli spettacolari tornanti plasmati dal Donegani, gli stessi che invece fanno soffrire un Koblet delibitato dalla bronchite, da una persistente febbricola e dal catarro che gli impedisce di respirare. Dopo 3 Km dall’attacco Coppi ha già distanziato il rivale di 1’40”, distacco che lievita a 4’25” sotto lo striscione del GPM, conquistato dal Campionissimo alle 17.34 del primo giugno 1953, lo stesso giorno nel quale gli inglesi annunciano che il precedente 19 maggio erano stati due loro alpinisti i primi uomini ad aver messo piede sulla vetta dell’Everest. Koblet non si dà per vinto e nella spaventosa discesa verso Bormio viene giù come un pazzo, rischiando anche la propria incolumità: cade due volte, recupera quasi un minuto ma quei 3’38” che intercorrono tra gli arrivi dei due corridori suonano come una pietra tombale sulle possibilità di Koblet di vincere quel Giro.

L’ultima tappa verso Milano non presenta insidie – e, infatti, la vincerà Magni in volata sul gruppo compatto – e all’intervistatore che gli chiede se avesse qualche strategia per la frazione conclusiva l’elvetico risponde che, se gli passerà la bronchite nella notte, correrà solo per difendere il secondo posto. Posizione che alla sera del 2 giugno sarà ufficialmente sua, primo degli “umani” dopo l’extraterrestre Coppi, che quell’anno conquistò il suo Everest e vinse il suo ultimo Giro con 1’29” sul rivale.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: mancano la 6a tappa (Roma) e l’11a (cronometro a squadre di Modena), mentre della 13a (Bordighera) è presente la sola altimetria. Di altre tappe è unicamente presente la tabella di marcia

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