1937, LA PAZZIA DEL SIGNOR COUGNET

maggio 13, 2020
Categoria: News

Le Dolomiti furono scoperte due volte. La prima volta nel 1837 quando il naturalista francese Déodat de Dolomieu studiò e scopri la particolare struttura delle rocce dei Monti Pallidi, che da lui presero il nome. La seconda volta accadde esattamente cent’anni più tardi, quando Armando Cougnet ebbe la geniale idea di far disputare per la prima volta una tappa della corsa rosa tra quegli imponenti picchi.

Quel giorno Armando Cougnet si sentì un po’ come Henri Desgrange, il direttore del Tour de France che nel 1910 si prese dell’assassino da Octave Lapize per aver avuto l’ardire d’inserire nel percorso della corsa francese le tremende e all’epoca totalmente sterrate salite pirenaiche. Accadde dopo che Cougnet lasciò cadere il velo che copriva il tracciato del Giro del 1937 e nel quale il papà del Giro, da lui rocambolescamente creato dal nulla nella calda estate del 1908, aveva inserito una tappa tracciata tra Vittorio Veneto e Merano, attraverso le Dolomiti, finora mai visitate dal Giro. Era il regalo che lui voleva fare alla sua “creatura” in occasione della 25a edizione ma si senti dare del pazzo dai presenti. E non avevano tutti i torti perché le strade che all’epoca raggiungevano quei colli non erano nemmeno lontanamente paragonabili alle moderne rotabili del giorno d’oggi. Ancora lontani i tempi del turismo di massa, frequentate al massimo dagli alpinisti diretti alle ardite vette della zona, erano strade figlie di vecchie mulattiere d’origine prevalentemente militare, strette e caratterizzate da fondi disagevoli, inghiate e piene di buche, esposte su precipizi e spesso prive di protezioni a valle. C’era il concreto rischio che a portare il Giro lassù si sarebbero fatti correre ai corridori e agli uomini della carovana parecchi pericoli.

Ma Cougnet non piega il capo davanti a quelle obiezioni e non cambia di una virgola il tracciato di quell’edizione, che si apre l’8 maggio a Milano con Gino Bartali grande favorito dopo la vittoria conseguita l’anno precedente, anche se su di lui pesa una grossa incognita per la stramba decisione di presentarsi al via senza nessun giorno di gara nelle gambe. Il primo atto della corsa è una frazione di 165 Km che da Milano conduce a Torino, dove sono previste alcune dolci ondulazioni nel finale; ed è proprio sulle strade del Monferrato che scaturisce l’azione che decide il destinario della prima maglia rosa, quando il modenese Nello Trogi, che vive a Tolone e corre nella squadra degli italiani residenti all’estero, prende il volo a una quarantina di chilometri dal traguardo e porta a termine la tappa con 1’40” sul gruppo, regolato allo sprint da Giuseppe Olmo.

Il Giro si ferma in Piemonte per una tappa disegnata sulle Langhe che dal capoluogo conduce in poco meno di 150 Km ad Acqui, la località termale dell’alessandrino che vede lo sprint vincente del toscano Quirico Bernacchi, che conquista anche la maglia rosa mentre il gruppo giunge leggermente sgranato al traguardo di una tappa caratterizzata anche da polverosi tratti sterrati. Intanto Bartali pian piano affina la sua condizione in attesa delle tappe a lui più congeniali.

Altimetricamente simile è la successiva tappa diretta a Genova, alla quale si giunge dopo esseri saliti sulla Scoffera e sul Colle Caprile. Anche questa è una frazione che lo scalatore toscano affronta in vigile ombra, mentre davanti cambia ancora il padrone del vapore, con il passaggio di consegne tra Bernacchi e il piemonte Giovanni Valetti, vincitore nel capoluogo ligure, mentre è costretto al ritiro per le conseguenze di una caduta avvenuta il giorno prima Francesco Camusso, il corridore che aveva vinto il Giro del 1931, il primo nel quale era prevista l’assegnazione della maglia rosa.

La corsa giunge ora in Toscana dove nella terra di Bartali sono in programma ben quattro frazioni, la prima delle quali termina a Viareggio con la vittoria di Olimpio Bizzi, ottenuta in volata su un gruppetto di otto corridori selazionati dalle asperità di giornata, tra i quali ci sono la maglia rosa Valetti e il corridore toscano.

“Ginettaccio” nel frattempo ha terminato la marcia d’avvicinamento alla forma migliore ed è ora pronto a sfidare apertamente i rivali in una frazione inedita, proposta per la prima volta in una corsa a tappe: si tratta di una cronometro a squadre di 60 Km disegnata sul litorale versiliano verso Marina di Massa, una tipologia di gare che sarà introdotta per la prima volta nel programma del Tour de France solamente 17 anni più tardi. La prova collettiva vede il trionfo della Legnano, la formazione sponsorizzata dall’azienda di biciclette che ha sede nell’omonima città lombarda e che nelle sue file ha proprio Bartali, che oltre alla vittoria di gruppo a una media di poco inferiore ai 44 Km/h consegue anche la maglia rosa. La permanenza del corridore di Ponte a Ema al vertice della classifica è, però, di brevissima durata perché il pomeriggio dello stesso giorno si disputa una semitappa verso Livorno caratterizzata dalla breve ma ripida salita di Montenero nel finale: mentre Bizzi concede il bis c’è, infatti, da segnalare il ritorno in rosa di Valetti per 43” sullo scalatore toscano.

Dopo il primo dei quattro giorni di riposo previsti la Corsa Rosa si rimette in marcia con un’ultima frazione disegnata in terra toscana che vede i “girini” pedalare in direzione di Arezzo e che non propone stravolgimenti nei piani alti della classifica, mentre il successo se lo gioca un gruppetto di tre fuggitivi dal quale emerge Olmo su Enrico Mara, corridore varesino che gareggia da indivuale ed è fratello minore di quel Michele Mara che nel 1930 aveva vinto la Milano-Sanremo e il Giro di Lombardia.

Alla vigilia di una delle frazioni più temute della corsa si disputa una tappa di trasferimento verso Rieti, giornata che termina con uno sprint i cui esiti vengono ribaltati dal collegio di giuria dopo un’accurata indagine. Il bolognese Marco Cimatti, che dopo aver smesso di correre aprirà prima una fabbrica di biciclette e successivamente un’azienda di motociclette, protesta dopo aver notato che Aldo Bini, il corridore che lo aveva preceduto di un’inezia sul traguardo vincendo la tappa, si era appoggiato a una spalla del compagno di squadra che lo stava pilotando verso la vittoria, un’irregolarità che viene confermata dalla giuria, che giustamente assegna la vittoria al bolognese.

Si arriva alla difficile cronoscalata del Terminillo, tappa che Bartali attende con doppia voglia di riscatto perché non solo mira a riprendersi la maglia rosa ma intende anche migliorare la prestazione dell’anno precedente sul medesimo percorso, quando si era piazzato terzo preceduto di 16 secondi da Aladino Mealli e di 35 secondi da Olmo, facendo registrare lo stesso tempo del corridore che in questo momento detiene le insegne del primato, Valetti. Stavolta il “colpaccio” gli esce percorrendo i 20 Km verso Campoforogna in 52 minuti e 35 secondi, a una velocità media di 21.668 Km/h, mentre Mealli si piazza anche nel 1937 in seconda posizione con 41” di ritardo e Valetti termina la tappa terzo con un passivo di 1’03”, scendendo al secondo posto della classifica con un distacco di 20” dal toscano. La fatica giornaliera non termina qui perché nel pomeriggio ci si rimette in sella per raggiungere Roma in 152 Km, semitappa che – nonostante l’impegnativa salita verso Rocca di Papa, che cinque anni prima aveva ospitato i primi mondiali di ciclismo organizzati dall’Italia, conquistati da Alfredo Binda – termina con un volatone di 32 corridori regolati da Raffaele Di Paco, il Cipollini degli anni ’30 che vincerà ben 16 frazioni alla Corsa Rosa e collezionerà anche 11 affermazioni al Tour.

Dopo questo doppio impegno si corre una delle frazioni più lunghe, che termina con il successo di uno dei corridori più vecchi del gruppo, nonché uno dei più celebrati. È, infatti, il 34enne Learco Guerra a imporsi al termine dei 250 Km della Roma-Napoli, conseguendo quella che sarà l’ultima sua vittoria sulle strade del Giro, corsa che in carriera aveva vinto nel 1934.

Un’altra meritata sosta e poi il gruppo inizia la risalita della penisola con la Napoli-Foggia, tappa nella quale – pur non presentando un percorso d’alta montagna – Bartali dà un’altra zampata alla concorrenza con una fuga solitaria nata sulla salita della Serra, quando al traguardo mancano ancora quasi cento chilometri. Lo spunto glielo offre il fatto d’aver notato che sulla Serra era riuscito agevolmente a guadagnare terreno e poi lo motivano anche i 62 Km che separano la cima del successivo GPM di Ariano Irpino dal traguardo, la stessa distanza che intercorreva tra l’ultima salita e l’approdo finale di Milano al Giro di Lombardia del 1936, che lui aveva vinto precedendo allo sprint Diego Marabelli e Luigi Barral. Stavolta non ha avversari con lui e nessun può portagli via la vittoria in una tappa che lo vede guadagnare 1’15” su Valetti, consolidando ancora di più la sua supremazia.

Nonostante le fatiche profuse Bartali allunga ancora il giorno dopo nella seconda semitappa dell’11a frazione, dopo che il mattino il modenese Walter Generati si era imposto a San Severo. I saliscendi molisani ispirano nuovamente il capitano della Legnano, che va riacciuffare Cesare Del Cancia dopo un tentativo del corregionale e in sua compagnia percorre gli ultimi 25 Km, arrivando a distanziare di un altro paio di minuti Valetti sul traguardo di Campobasso, mentre si segnalano in carovana i ritiri eccellenti di Bizzi e Guerra.

Non sarà così il giorno dopo, quando gli avversari decidono di approfittare delle avversità di corsa che colpiscono Bartali nel finale della tappa di Pescara, dopo che Gino aveva tentato ancora di fare il vuoto assieme a Del Cancia sulla salita di Colle Spaccato, a una quarantina di chilometri dalla conclusione. Non solo questo tentativo abortisce quasi subito, ma più avanti il toscano fora due volte e chi nei giorni precedenti era stato costretto a inseguirlo si vendica. La Fréjus, formazione di Valetti, si mette così a tirare in testa al gruppo e arriva a staccare la maglia rosa di 1’30” sulla salita di Chieti, distacco che Bartali riesce a limare di una trentina di secondi nel tratto conclusivo, giungendo a Pescara – dove Cimatti bissa il successo ottenuto a Rieti – con la maglia rosa ancora sulle spalle e con un vantaggio comunque rassicurante perché Valetti ha ancora 2’40” da recuperare.

Cimatti è protagonista anche il giorno successivo ad Ancona, stavolta al termine di una tappa priva di particolari sussulti agonistici e di un’altra volata che lo vede ancora contrapposto a Bini, con la differenza che stavolta il corridore toscano vince senza scorrettezze, riabilitandosi agli occhi dei detrattori. E, preso gusto con la vittoria, Bini va a segno anche nella 14a tappa, quando sul traguardo di Forlì precede Glauco Servadei, negandogli il successo sulle strade di casa. I ruoli s’invertono – Servadei primo, Bini secondo – il giorno dopo al termine dell’interminabile frazione di Vittorio Veneto, che precede di poche ore il “folle” tappone delle Dolomiti.

Osservato il penultimo riposo, il 26 maggio i corridori si apprestano alla prima traversata dolomitica della storia con una frazione tracciata per 227 Km tra Vittorio Veneto e Merano, lungo un temutissimo percorso che al giorno d’oggi farebbe il solletico ai corridori e suonerebbe totalmente inutile ai fini della classifica. La partenza è in dolce salita, verso la Sella di Fadalto, poi si pedala senza incontrare difficoltà altimetriche nei quasi 90 Km che fanno da preambolo all’interminabile Passo Rolle e al successivo e più morbido Costalunga, seguito da una discesa molto impegnativa e nel finale “spaventosa” poichè è previsto l’attraversamento dell’orrido della Val d’Ega, che al giorno d’oggi è evitato da una variante della vecchia strada. Arrivati a Bolzano poi si ritrova il velluto della pianura nei 26 Km conclusivi verso Merano, dove si saprà se la scelta di Cougnet è stata geniale o sciagurata. Le difficoltà da superare sono tali che nemmemo un campione come Bartali può considerarsi al sicuro su un tracciato del genere, con tutti i pericoli insiti in quelle stradacce mai finora solcate dal gruppo ed è forse anche per questo motivo che nulla accade fino ai piedi del Rolle. Superata San Martino di Castrozza il capoclassifica tenta due volte di evadere, ma sulle prime non riesce a prendere il largo e quando ce la fa non ce n’è più per nessuno: i 20” che Gino riesce a guadagnare in vetta al Rolle sui primi inseguitori, diventano – nonostante il fango – 1’40” a Predazzo, 2’45” al bivio per il Costalunga, 4 minuti netti sulla cima del passo e infine 5’38” sul traguardo di Merano, dopo 100 Km di cavalcata. A questo punto Valetti si ritrova secondo in classifica con 8′18″ di ritardo e, a meno di clamorose soprese, sarà praticamente impossibile disarcionare il toscanaccio dalla cima della classifica.

Le montagne non sono comunque terminate, anche se il Passo della Mendola da superare il giorno dopo arriva molto distante dal traguardo di Gardone Riviera, un traguardo che comunque non farà altro che confermare la supremazia di Gino: la tappa termina con uno sprint di 35 corridori e anche in volata Bartali dimostra d’essere il più forte, portandosi a casa il successo davanti a Bini e anche un portasigarette d’argento, speciale dono che ha voluto riservare al vincitore il più illustre cittadino di Gardone, il 74enne Gabriele d’Annunzio.

C’è spazio per un ultimo turno di sosta prima d’intraprendere le ultime tre frazioni, che qualche emozione comunque potrebbero ancora riservarla. Ma a San Pellegrino Terme l’unico brivido lo procura forse solo il solito “vizietto” di Bini, che ancora una volta si fa trovare con le mani nella marmellata in volata e viene nuovamente retrocesso per aver levato le mani dal manubrio, con la giuria che stavolta assegna a tavolino la vittoria a Servadei.

Si arriva così al gran finale che ha in serbo due semitappe con quella mattutina verso Como che dovrebbe proporre le salite al Balisio e al Ghisallo, ma la seconda viene estromessa all’ultimo momento per accorciare la fatica dagli originari 180 Km ai 151 Km sui quali effettivamente si corre e che vede nella prima parte Bartali in azione sul Balisio semplicemente per consolidare il suo primato anche nella classifica dei gran premi della montagna. Lo sprint sulla pista del velodromo Sinigaglia consacra la terza affermazione di Cimatti, poi nel pomeriggio si riparte per la conclusiva razione di chilometri verso il Vigorelli, il tempio milanese del ciclismo dove la vittoria stavolta è di Bini e Bartali viene consacrato vincitore del primo Giro con le Dolomiti.

Poteva essere una pazzia e i detrattori di quel tappone possiamo dire che avevano pienamente ragione. Cougnet era davvero diventato pazzo e con lui tutti gli altri, siano essi corridori o “suivers”: quel 26 maggio impazzirono tutti per lo spettacolo offerto da Gino e dai Monti Pallidi, scoccò la scintilla di un amore che ancora oggi riscalda gli appassionati.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: di alcune tappe è presente la sola tabella di marcia, di altre sia la tabella di marcia, sia dall’altimetria

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