E A PAU NE RIMASE SOLO UNO: PRIMOŽ SI PRENDE LA VUELTA (O NO?)

settembre 4, 2019
Categoria: News

Per la seconda volta quest’anno Primož Roglič si trova nella lusinghiera posizione di vedersi pressoché assegnare un GT all’altezza del giro di boa, dopo un’impressionante prestazione contro il tempo. In Italia, però…

Il rivale più vicino, a poco meno di due minuti. Nella crono più lunga offerta dai tre grandi giri quest’anno (ancora complimenti ai tracciatori della Vuelta per questa decisione sana e in controtendenza), Primož Roglič sbaraglia la concorrenza e si prende tappa e maglia. La cronometro è mossa, ben articolata con uno strappetto tutto curve in apertura a indurire le gambe, poi stradine fra falsopiani e mangia-e-bevi prima di un finale più filante: ma se possiamo considerare le crono corse sui 40-45 km/h di media circa come ondulate, più prettamente pianeggianti invece per medie più alte, allora viene da dire che davvero Roglic, unico a far registrare la media dei 46 km/h, le salite non le ha sentite. Ha trasformato in un biliardo le colline prepirenaiche dove invece tutti gli altri si sono, chi più chi meno, incagliati.
Lo spettro del Giro, meno di quattro mesi fa, aleggia ancora: a metà gara, forte delle crono, Primož era dato per maglia rosa in pectore, vincitore finale pressoché scontato, con tanto di manfrine masochiste con Nibali sulle prime ascese di peso. Salvo poi scivolare ai margini del podio, con un terzo posto sgraffignato in extremis e per pochissimi secondi all’ultima tappa, ben più prossimo a esser quarto che secondo, e nemmeno parliamo del primato. Certamente va detto che questa prima metà di Vuelta è ben meno ingannevole di quanto non fosse quella strapiatta del Giro: abbiamo già avuto pendenze estreme, salite lunghe e ripetute, attacchi da lontano, e nel complesso lo sloveno si è sempre difeso con efficacia, quando non ha addirittura affondato il colpo lui stesso, tant’è che solo sei secondi lo separavano dal leader della vigilia, mai così provvisorio, vale a dire Nairo Quintana. Anche la squadra si dimostra più solida e compatta, con Bennett e Kuss ottimi in salita, Tony Martin una garanzia per il piano. Se poi si ritrovano l’esperto Gesink e il giovanissimo Powless, diventa una corazzata, anche se comunque un gradino sotto a quelle dei rivali, l’Astana di Superman López e la Movistar, farcita di fenomeni sebbene in piena crisi di spirito collettivo.
A confortare Roglič c’è anche il precedente di Simon Yates: chi viene respinto dal Giro trova talora bel riscatto alla Vuelta, che dopotutto, pur in questa versione “matura”, propone in gran parte sforzi meno protratti e concatenati, nonché più di rado caratterizzati dall’altitudine.
Quel che è certo è che si prospetta una bella seconda metà della gara spagnola, con tante occasioni per attacchi e agguati, due grandi scalatori con la necessità di farli per riprendersi due se non tre minuti, due contendenti che militano nel medesimo team, anche se da separati in casa e la ciliegina sulla torta di un quinto incomodo che, pur in altra squadra, è connazionale di Roglič, il baby fenomeno Pogačar, appena ventenne e già vincitore di tappa nonché in lizza per la generale al suo primo GT della carriera.
Dispiace un po’, se vogliamo metterla in questi termini, che la prestazione monstre di Roglič abbia eclissato il bel duello di tappa fra due specialisti del passo, il neozelandese Paddy Bevin, per cui sarebbe stata la prima affermazione di peso in carriera, dopo tanto gregariato, e il promettentissimo 24enne francese della Quickstep, Rémi Cavagna, quasi un metro e novanta e già tanti km macinati a spaccare pietre nelle semiclassiche del pavé oppure a sgroppare per gli strappi ardennesi o baschi. Secondo e terzo a un mezzo minuto da Roglič, ma separati di un paio di secondi l’uno dall’altro. Altri solidi specialisti paiono comunque appannati dalle fatiche di questo avvio di Vuelta subito tosto nonché dal percorso esigente di oggi: Craddock e Oliveira sono gli unici a restare attorno al minutino da Roglič, poi i tempi lievitano.
Qualche sequenza memorabile della crono, in ordine sparso, perché tanto nelle crono il tempo si scompone per poi ricomporsi in un quadro complessivo solo alla fine. Roglič che aggredisce il primo strappo con una violenza selvaggia e fluida, mantenendo una pedalata piena e rotonda anche in piedi sui pedali e con un rapporto di peso, accelerando a ogni uscita – e ogni entrata – di curva (in salita!). È nel primo intertempo che lo sloveno stende anche psicologicamente gli avversari, prendendosi in un terzo del tracciato quasi metà di tutto il suo vantaggio finalmente accumulato.
Splendido anche il duello con Superman López: nell’ultima sezione più schiettamente pianeggiante, il colombiano, partito due minuti prima di Roglič, è nel mirino, a meno di trenta secondi là davanti. I due ingaggiano una evidente battaglia fisica e mentale che si conclude con l’aggancio e il sorpasso solo agli ultimi cinquecento metri, con López che stringe i denti per reggere la volata e tagliare il traguardo assieme al rivale. Molti commentatori, anche illustri come Indurain, proponevano per il capitano Astana un astuto rallentamento, prendendo fiato, per poi trovarsi artatamente dietro Roglič il prima possibile: certo, non per goder della sua scia, il che sarebbe vietato, ma per usarlo come metronomo umano. Superman ha preferito propendere per lo scontro d’orgoglio, e ne è uscito a testa alta. D’altronde, per quanto visto finora su strada, sembra più plausibile, anche se arduo, che López recuperi due minuti sulla maglia rossa negli arrivi in salita piuttosto che ci riesca Valverde, ora come ora secondo in generale a 1:52”, ma parso fino adesso sostanzialmente equivalente allo sloveno quando la strada s’impenna.
Altre immagini chiave sono quelle di Quintana, ora quarto a tre minuti, quelli imbarcati oggi in una pessima crono: dapprima lo vediamo riscaldarsi in solitudine, per un tempo lunghissimo, in quel che pare un camion o un garage, appeso sulla bici come su un trespolo, con una postura innaturale, fra biciclette appese e pareti grigie. Poi lo vediamo con la tipica pedalata vuota da rapportino, sulla prima salitella, impazzendo in saltelli sull’una e l’altra gamba, proprio lui che predilige il rapporto lungo. Infine eccolo sulla retta finale, ultimo uomo sul tracciato, maledetto dal primato, affannandosi a rincorrere i 50 km/h sul piano che proprio non riesce a mantenere. Di fatto, si direbbe che Quintana e Superman López si siano scambiati per oggi le rispettive più abituali rese a cronometro. Va anche detto che la crono, disciplina così individuale, si è dimostrata nel ciclismo moderno figlia come poche altre della squadra: allenatori specifici, attenzione al mezzo, preparazione mirata, insomma, la performance individuale finisce per dipendere da con chi si corre più che da chi corre. E se con la propria squadra si è in rotta dichiarata…
Per il resto, come anticipato, merita una nota di merito la corsa dell’appena ventenne Pogačar: parte quasi forte come Roglič, col secondo tempo assoluto nella prima fase di corsa, quella con lo strappetto, poi si inchioda un po’ nell’intermedio centrale e alla fine è undicesimo a un minuto e mezzo circa. In prospettiva contendenti del futuro, risaltiamo anche le prestazioni del giovanissimo Dani Martínez della decimata Education First e del pure giovane, ma ancora per poco, Marc Soler, dopo la brutta sfuriata dell’altro giorno quando non voleva aiutare il capitano Quintana, conclusasi con tanta cenere sul capo ma soprattutto l’ennesima brutta figura generalizzata per i Movistar. Brillano rispettivamente nella parte finale e in quella centrale, completando con Pogačar un terzetto di tempi quasi equivalenti sul globale, anche se diversamente bilanciati.
Ora ci attendono due tappe di transizione, non tremende sulla carta ma insidiose, tipiche da terre basche. Poi, da venerdì a lunedì, un fine settimana lungo, anzi lunghissimo, in cui, su quattro tappe, tre saranno di montagna e di montagna assai aspra. Quindi, naturalmente, la terza settimana coi relativi tapponi. Questa Vuelta, che sembra esser durata tre settimane in una, è solo all’inizio. La pecca, finora, è forse una classifica generale un po’ vacua dopo i primi favolosi cinque posti, con vari fugaioli, alcuni giovani brillanti e molti gregari di mestiere ad accalcarsi – ma senza nemmeno troppa convinzione – per riempire la top ten.

Gabriele Bugada

Primož Roglič vola a prendersi la roja nella crono di Pau (foto Bettini)

Primož Roglič vola a prendersi la "roja" nella crono di Pau (foto Bettini)

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