DIAMO UN PO’ DI NUMERI ALLE SQUADRE

maggio 31, 2010
Categoria: Approfondimenti

All’indomani dell’epilogo di questo Giro d’Italia 2010 davvero spettacolare che ha incoronato, per la seconda volta, “lider maximo” Ivan Basso, facciamo una panoramica di commenti più o meno scherzosi e valutazioni sulle 22 squadre che hanno animato le tre settimane rose. E che nessuno se la prenda a male.

Foto copertina: sul podio dell’Arena la Liquigas-Doimo festeggia il capitano in rosa (foto Giuseppe De Socio)

Alla fine di ogni evento è sempre tempo di bilanci, di voti, di pagelle, di ipotesi su quello che succederà in futuro. Allora oggi ci divertiamo con una analisi accurata, a volte anche scherzosa, delle 22 squadre che hanno animato (chi più, chi meno) questa 93° edizione del Giro d’Italia: tattiche scriteriate, giochi di squadra inesistenti, era meglio chiamare qualcun altro, suggerimenti per il futuro.
Insomma di tutto di più. E allora partiamo.

LIQUIGAS-DOIMO. Voto 10.
Conquistano ben quattro “tituli” a livello generale, visto che al rosa di Ivan da Varese ci vanno aggiunte le tre classifiche a squadre. Ma c’è anche chi ha lavorato nell’ombra, ma non più di tanto. Da Nibali che ha completato il podio, oltre che essersi sciroppato molto volentieri il Grappa ma senza rimanere eccessivamente ubriaco (anche se gli etilometri dello Zoncolan hanno prodotto una serie di palloncini che si erano gonfiati eccessivamente…) a Kiserlovski amico di tutto e di tutti ma che, alla fine, si è ritrovato a chiudere la top-10 che, forse, è anche più prestigiosa di un Giro dell’Appennino. Su Agnoli bisognerebbe scrivere un libro e non basterebbe (ma un giorno riuscirà a correre per se stesso), mentre Szmyd è andato un pochino sotto alle aspettative. Troppa paura ha costretto Sabatini a non seguire il cowboy Farrar a Bitonto, mentre ha trovato il podio parziale anche Dall’Antonia. Insomma, trovare una pecca al giro dei “verdi” è pressoché impossibile. Poi, quando hai direttori sportivi che corrono su e giù per lo Zoncolan inseguendo a piedi la maglia rosa e tenendo una bicicletta fra le braccia non puoi che trionfare. Li aspettiamo di nuovo al Tour, dove Nibali dovrà fare il Basso e Ivan proverà a fare lo Squalo. Decisamente i numeri uno.

CAISSE D’EPARGNE. Voto 8,5. Sono stati senz’altro i più pazzi di questo Giro, visto che in cinque si sono ritrovati nel “fugone” dell’Aquila e David Arroyo ne ha beneficiato alla grande. Condotta di gara esemplare quel giorno che, per poco, è valso un Grande Giro in cassaforte, visto che a queste latitudini (e bisognerebbe che fosse dappertutto) Valverde non si può presentare altrimenti lo mettono al gabbio. Arroyo Duran, aiutato da Uran (Rigoberto), ci ha provato in tutti i modi (e anche in tutti i laghi, oltre che in tutte le salite e le discese) a tenere il rosa ma si è dovuto scontrare con la forza dei “verdi” Liquigas e con i dieci chilometri più duri che ci siano in Italia: quelli da Edolo all’Aprica. Sembrerà strano, ma la storia degli ultimi Giri ci insegna che è davvero così e, anche quest’anno, hanno mietuto una vittima importante. Adesso, comunque, anche la carriera di Arroyo ha trovato un senso. Speriamo non faccia la fine di Pereiro. Garibaldini.

QUICK-STEP. Voto 8. Le previsioni della vigilia davano il team belga a forte rischio “retrocessione” al Giro, vale a dire rivelarsi una delle compagini meno adeguate e forse più anonime delle tre settimane. Invece i “blues” ci hanno stupito con la doppietta Weylandts-Pineau a cavallo fra Olanda e Italia che ha scombinato tutti i piani della vigilia. Il velocista belga ha approfittato di una volata, tanto per cambiare, strana, mentre Pineau è tornato a sorridere dopo tantissimi anni ed in casa Quick ringraziano sentitamente. Un Pineau che, dopo essersi tolto il blocco psicologico, si è dato da fare in lungo ed in largo vincendo anche la classifica delle fughe davanti di pochi punti a Kaiser e mettendosi in mostra in un’ altra miriade di tappe. E poi il secondo posto di Dario Cataldo a L’Aquila: ci ha provato, si è piantato, è ripartito ma oramai i buoi (e Petrov) erano già scappati. Non c’erano uomini di classifica e si sapeva ed allora si è improvvisato in quel ruolo Samoilau che ha fatto quel che poteva accontentandosi alla fine del 39° posto. In ombra, purtroppo, gli azzurri presenti in squadra con Reda una volta in fuga e poi scomparso, di Marco Velo ci siamo accorti della sua presenza solo perché la Rai, a Brescia, aveva montato sulla sua bicicletta una telecamerina per riprendere gli ultimi chilometri, mentre Tosatto ci ha provato a Bitonto ma si è un po’ perso nella gimkana finale. Ma in fondo, chi se ne frega. Ci siete piaciuti anche così.

TEAM SAXO BANK. Voto 7,5. Tante incognite alla vigilia, subito spazzate via. Partiamo dai dati di fatto: Chris Sorensen vince sul Terminillo e Larsson l’epilogo di Verona. Nel mezzo c’è la favola, almeno per ora, firmata Richie Porte. E’ anche lui nel “golpe” dell’Aquila insieme a qualche altro fido scudiero e per qualche giorno a voluto provare a vedere l’effetto che fa stare lassù in cima. Una volta perso il primato, però, non si è dato per vinto ed ha resistito riuscendo a conquistare anche la maglia bianca di miglior giovane del Giro, la stessa che qualche anno fa, ma nemmeno troppi, toccò anche ad un certo Andy Schleck, per rimanere in questa squadra. Andy non c’era, così come Frank e così come Fabian. Saranno tutti al Tour ma, sinceramente, almeno un’altra volta li vorremmo rivedere anche da queste parti: a fare da gregari a Porte, visto che il futuro è tutto dalla sua parte. Spazio giovani.

ANDRONI GIOCATTOLI. Voto 7. Cosa non si fa per la classifica. Per esempio, snaturare quello che è il tuo habitat naturale, vale a dire la fuga, lo spettacolo e, di conseguenza, anche qualche vittoria inaspettata. Nel 2009 furono tre tappe, due Scarpa e una per Bertagnolli, quest’anno soltanto una con lo stesso Scarponi per gentile concessione dei “verdi” ad Aprica. In più, però, c’è un Michele Scarponi che ha capito di essere tornato quello che tutti si aspettavano che fosse quando nel 2005 vestiva la maglia Liberty Seguros, prima che un po’ di doping piazzato qua e là lo facesse cadere nell’oblio. Ma l’uomo di Filottrano è ritornato, ha fatto vedere che era lo scalatore più forte presente a questo Giro e, quando ha potuto, ha provato a dare gas. Solo che la cima del Grappa era troppo lontana dal traguardo e c’era tanta discesa, lo Zoncolan è una brutta bestia, il Kronplatz è una sfida ai limiti dell’uomo, sul Mortirolo i due Liquigas erano inattaccabili e Nibali a crono ti batte sempre. Ma va bene così. Quello che chiediamo a Scarponi è di non cambiare squadra, perché altrove potrebbe rischiare di fallire e la cosa non ci piacerebbe affatto. Sugli altri, poco da dire: Loddo non ha fatto nemmeno una prova di volata, Serpa Perez molto in ombra, Rodriguez è andato qualche volta in fuga ma sempre troppo da lontano, Bertogliati ci ha provato a Marina di Carrara ma è stato beffato da un ottimo Lloyd. Bene, ma si poteva fare di più.

OMEGA PHARMA-LOTTO. Voto 7. Sembrerà forse troppo alto questo voto, ma lo vogliamo dare di incoraggiamento ad un team che fino ad ora era riuscito a vincere, poco, solo con il “solito” Gilbert ed invece al Giro ha trovato per strada una bellissima tappa firmata Matthew Lloyd. L’australiano, in questo Giro cosi “aussie”, ha poi trovato la forza di resistere fino alla fine per entrare dentro l’arena di Verona addirittura in maglia verde, lui che è tutt’altro che scalatore. E, poi, si è visto per parecchie ore, quasi ai livelli di Jerome Pineau, anche Oliver Kaisen che ha dato tutto nelle fughe. Onestamente, pensavamo che la squadra di Damiani si fosse presentata in due: gli altri chi erano? Ah si, De Greef ha chiuso in 21° posizione, così tanto per la cronaca. Poche luci ma brillantissime, qualche ombra.


HTC-COLUMBIA. Voto 7.
Da queste parti sono abituati a vincere, e anche tanto, e dunque portare a casa in un grande Giro la “miseria” di due tappe lo si può considerare un mezzo fallimento. Una sola è arrivata dall’uomo che tutti aspettavano, vale a dire Andrè Greipel, che fra Olanda e mezza Italia non ne ha indovinata una sola, rifacendosi a Brescia dove di velocisti erano rimasti lui e Topo Gigio e dunque di bagarre non c’è stata nemmeno l’ombra. L’altro successo, quello di Cava de’ Tirreni, porta la firma di un Matthew Goss che è stato spremuto all’inverosimile per rimanere attaccato all’uomo di Rostock e si è dovuto reinventare capitano, quasi sempre, negli ultimi 800 metri. Ci era andato vicino anche a Utrecht ma Farrar lo stoppò. La copertina per gli uomini di Valerio Piva, però, è tutta per Marco Pinotti. Ce lo ricordavamo soltanto cronoman e gran passista, ma mai ci saremmo aspettati che avrebbe potuto far classifica al Giro, per di più su di un percorso selettivo come quello di quest’anno. Ed, invece, l’ingegnere ha dato il meglio di se, chiudendo alla fine addirittura al 9° posto, reggendo su salite tostissime, rimanendo aggrappato ai migliori su Zoncolan e Mortirolo e finendo battuto solo da Larsson all’epilogo veronese. L’età è un po’ troppo avanzata per provare a reinventarsi uomo da corse a tappe, ma almeno potrà dire “almeno una volta ci ho provato e mi è andata bene”. Chapeau.

TEAM KATUSHA. Voto 7. Anche la squadra di Konyschev rappresentava una notevole incognita in questo Giro. Karpets voleva provare a tenere in classifica, ma senza essere un fenomeno e le speranze di stare con i migliori erano ridotte al lumicino. Ecco, allora, che a Cesenatico il russo piazza l’allungo e guadagna tanto ma il giorno dopo paga, anche troppo. E’ meglio resistere piuttosto che attaccare ed il 14° posto nella generale è più che meritato. Oltre a lui, però, c’è anche tanto altro come la vittoria di Evgeni Petrov all’Aquila (anche lui non vinceva dai tempi di Pineau) che uscì fuori dall’acqua quando quasi nessuno si era accorto che era nel fugone e soprattutto un bravissimo Pippo Pozzato che ha onorato la maglia tricolore arrivando fino a Verona e conquistando un bel successo a Porto Recanati interrompendo il digiuno di successi italiani che iniziava a preoccupare, con lui protagonista in negativo visto che a Cava fu secondo dietro Goss. Finalmente vince una tappa al Giro e già questo vale la fatica per averlo finito. Delusione per Giampaolo Caruso, arrivato pochi giorni prima del via come presunto uomo di classifica, ed invece lo hanno visto solo ogni mattina al foglio firma e basta. In crescita.


GARMIN-TRANSITIONS. Voto 6,5.
Già aver portato a casa due tappe con il tuo velocista di riferimento in un Giro d’Italia dove di riferimenti ce ne sono stati ben pochi è un successone. Tyler Farrar ha subito imposto la sua legge ad Utrecht e, poi, ha dovuto aspettare Bitonto per alzare di nuovo le braccia, favorito da un Fabio Sabatini che ha avuto troppa paura. Sono vittorie pesanti, conquistate dove gli avversari erano tutti a spasso, dispersi in qualche curva o rotonda mentre lui era là davanti, pilotato alla perfezione da un Julian Dean molto positivo che alla fine riesce a collezionare anche un secondo (Brescia) ed un terzo (Bitonto), lui che lavora sempre dietro le quinte. Niente da fare per la generale, invece, con il miglior piazzato che è risultato essere Daniel Martin, 57°, anche lui rimbalzato sulle grandi salite, mentre Vandevelde non verrà più al Giro dopo il secondo ritiro su due per cadute e clavicole salutate. Beffati dalla sorte.

BBOX BOUYGUES. Voto 6+. Anche i francesi erano i maggiori indiziati a finire nell’anonimato più recondito ed invece si sono dati da fare per mettersi in mostra. Encomiabile Arashiro a Novi Ligure (con Pineau che gli ha pagato più di un sushi dopo la tappa per aver vinto), tenace Voeckler che a Porto Recanati riuscì ad intrupparsi insieme a tutti i big che andavano all’arrembaggio e per poco non riesce ad impallinare sulla linea del traguardo un Pozzato già festante. Sorprendente Johann Tschopp che nella tappa del Tonale dove i più pensavano ad arrivare e non ad attaccare, decide di andarsene in fuga, stacca tutto e tutti, passa per primo sulla Cima Coppi e va a vincere una tappa di alta montagna, chiudendo sul podio finale della classifica della maglia Verde. Finale in crescendo.


COLNAGO-CSF. Voto 6+.
Cosa c’è di più bello che vincere in casa al Giro? Basta telefonare a Manuel Belletti e la risposta dovrebbe arrivare pronta. E’ stato l’unico acuto in casa Colnago di questo Giro che sembrava promettere bene e che, invece, alla fine ha regalato come miglior piazzamento nella generale, udite udite, il 73° posto di Simone Stortoni. Squadra giovane, tutta italiana e plasmata intorno ad un Domenico Pozzovivo che veniva dato in grandi condizioni. Invece, sulla strada del lucano ci si è messa la rogna: forature, cadute, freddo, minuti che fioccavano fino al ritiro. Da lì in avanti gli uomini biancoazzurri hanno provato a darsi da fare e proprio Belletti ha dato la zampata a Cesenatico che ha portato il sereno sul bilancio finale. Corsa nella corsa, però, non è riuscita l’impresa di chiudere ultimo a Marco Frapporti che ha chiuso a 4h e 42’ da Ivan. Meglio qualcosina di niente.

ACQUA&SAPONE. Voto 6. Con tutto il bene che possiamo volere a Stefano Garzelli, ma in bici il detto “gallina vecchia fa buon brodo” difficilmente è applicabile, e non perché Garzo sia paragonabile ad una gallina. Dopo l’exploit dell’anno scorso, quest’anno è rimbalzato inesorabilmente sul Grappa e, da lì, ha dovuto cambiare strategia. Sullo Zoncolan si è difeso, per poi dare tutto a Plan de’ Corones, prendendosi una vittoria di tappa che nessuno si aspettava comportandosi da vero scalatore. A quel punto ha preso coraggio e, aiutato da Failli, ha provato a sorprendere tutti sul Mortirolo ma gli effetti speciali non sono riusciti. Anzi nella discesa dal “totem” ha anche incocciato le ginocchia sull’asfalto ed il giorno seguente ha dovuto alzare bandiera bianca. Peccato. A quel punto, i giochi erano fatti visto che il migliore in classifica è stato Mihojlevic, 25°. Tutti gli altri, a partire dall’atteso Sarmiento, non pervenuti. Visto il Giro pazzo che è stato, un Luca Paolini non lo avremmo visto male. Sfortunati.

COFIDIS. Voto 6. La vittoria, davvero a sorpresissima, di Monier a Pejo Terme ha fatto volgere al sereno il bilancio dei francesi, presenti al Giro solo per onor di firma o giù di lì. Prima di lui ci aveva provato anche Fouchard a Novi Ligure ma Pineau si rivelò troppo forte e quando vai a vedere la generale e scorgi che quello meglio piazzato in classifica è Duque, 63°, capisci che qui di materiale ce n’era ben poco. Sufficienza solo per la tappa vinta.

TEAM SKY. Voto 6. Ci eravamo fatti forse troppe illusioni dopo il prologo e la vittoria di Bradley Wiggins, convinti che gli inglesi potessero essere un fattore di un Giro che poi si è trasformato in un anonimato complessivo. Erano i grandi favoriti della cronosquadre e sono stati battuti dalla Liquigas, Greg Henderson nelle poche volate ha avuto sempre tutta la squadra a disposizione e davanti a tirare e, alla fine, ha trovato solo un secondo posto per giunta nella tappa in cui è andato in fuga e si è fatto infinocchiare come un pivello da Belletti. Per il resto poco altro, se non un Dario David Cioni che ha provato a curare un po’ di classifica come faceva un tempo ma non è andato più in su del 17° posto. Decisamente sottotono.

BMC-RACING. Voto 5,5. Iniziamo con le insufficienze. Visto che siamo alle squadre, la Bmc è quella che tira le fila perché un conto è dare un voto al Giro di Cadel ed un conto è darlo al resto del mondo. Nel prologo l’unico acuto “esterno” con Bookwalter, poi Evans vince nel fango di Montalcino e sembra esser pronto per poterlo provare a vincere questo Giro, prima di 700 metri di passione sullo Zoncolan che, per qualche istante, ci hanno fatto subito pensare al Passo Coe e al 2002 quando non andava su nemmeno a piedi, e di un Mortirolo che si è rivelato troppo duro per il Campione del Mondo. Nonostante questo, porta a casa tre secondi posti ed una terza piazza che non sono da buttare, oltre a chiudere la top five della generale e prendersi la maglia rossa della classifica a punti che non gli ha permesso di sfoggiare l’iride per almeno una decina di giorni. Ma il resto è buio pesto. Ballan dove sei? Inconsistenti.

ASTANA. Voto 5,5. Anche qui vale lo stesso discorso fatto poco sopra: un conto è valutare Vinokourov, un conto è valutare la squadra. Ma, entrambi, però, hanno sbagliato all’Aquila quando “Vino” non mise davanti i suoi uomini quando la fuga se ne stava andando e, sembra strano, ma il suo Giro lì è un po’ finito. Degli altri, nessuno è pervenuto, anche perché i suoi fidi scudieri più fedeli, vale a dire Gasparotto e Tiralongo, li ha persi dopo pochi giorni. Il kazako, invece, si è fatto rispettare, non mollando mai, cercando di vivacizzare ogni tappa, anche quella meno adatta alle sue caratteristiche. Alla fine, però, si ritrova in mano solo un paio di giorni in Rosa e due terzi posti. Un po’ poco, ma va bene per superare Porte all’ultimo tuffo e chiudere al sesto posto. Immenso lui, inconsistenti tutti gli altri.

RABOBANK. Voto 5,5. Gli olandesi fanno ben poco per mettersi in mostra, apparte un Rick Flens che prova qualsiasi fuga ma non ne va in porto nemmeno una. La Rabo aveva la possibilità di vincere a Pejo Terme ma, forse, Kruijswijk ha avuto paura di se stesso più che degli avversari e si è dovuto accontentare del terzo posto. Appena poco meglio di lui ha fatto Graeme Brown finendo alle spalle di Weylandts a Middelburg, dimostrando ancora una volta di essere un velocista che va bene in Francia, Olanda e Belgio dove di velocisti ne trova sempre pochi. Un po’ di sorprese, invece, sono arrivate dalla generale con il 12° posto di un bravo Bauke Mollema, terzo poi nella classifica dei giovani, mentre nei venti ci sono finiti anche Ardila Cano e proprio lo sconfitto di Pejo Terme. Comunque giro ampiamente incolore, se si pensa che dodici mesi fa erano proprio loro a trionfare con Menchov.

AG2R-LA MONDIALE. Voto 5. Qui il rischio era grosso fin dalla vigilia e le premesse sono state mantenute. Nessun uomo in grado di fare la differenza, nessun protagonista, nessun velocista, nessun passista, solo qualche comprimario. Con queste caratteristiche, difficile emergere lungo le tre settimane. Da salvare c’è il finale di Giro di John Gadret che ha chiuso 3° al Kronplatz e 13° la generale, mentre altri due uomini, Efimkin e Dupont sono riusciti a rimanere nei venti ma i ritardi si aggirano già intorno all’ora. Niente di che. Ma la Ceramica Flaminia non avrebbe fatto meglio?

CERVELO. Voto 5. E’ il voto del Giro di Carlos Sastre, anche se un po’ di attenuanti le aveva e come, visto che aveva anche smesso di correre. Poi si è ripreso, ha provato a metterci lo zampino ma la carta d’identità non è più dalla sua e non sempre siamo sul Vesuvio e a Monte Petrano. L’ultimo giorno ci ha riprovato Konovalovas ma non è riuscito il miracolo come a Roma. Il resto è deserto. Non pervenuti.

MILRAM. Voto 5. Un podio con Forster a Middelburg in una volata che più strana non si potrebbe e poi il nulla cosmico. Poteva essere l’occasione per Linus Gerdemann per provare a ritentare la carriera nelle grandi corse a tappe, ma alla fine non si è andati oltre il 16° posto, davvero troppo poco. Di tutti gli altri non si conoscono nemmeno i nomi. Squadra sulla strada del tramonto.

LAMPRE-FARNESE. Voto 4,5. La più grossa delusione di questo 93° Giro d’Italia. Era stato comprato Alessandro Petacchi per provare a vincere delle tappe ed, alla fine, non ha portato a casa proprio nulla, se non un tentativo scriteriato verso Marina di Carrara troppo ridicolo per essere vero. E menomale che c’era Danilo Hondo arrivato per fargli da apripista: il tedesco alla fine ha preso proprio il terzo posto quel giorno e la piazza d’onore a Pejo quando la squadra si è mossa malissimo dal punto di vista tattico. Marzano ha provato a farsi vedere ma non è stato fortunato, Daniele Righi oltre a fare a cazzotti con Evans ha cercato di fare qualcosa, ma alla fine verso il Tonale ha dovuto alzare bandiera bianca. E poi, dulcis in fundo se così si può dire, un Damiano Cunego che più anonimo non si potrebbe: chiude 11° in generale a quasi venti minuti da Basso nonostante una prima parte di gara anche abbastanza incoraggiante, visto che a Montalcino è uno dei migliori (secondo dietro ad Evans), sul Terminillo tiene botta, ma da lì in avanti sarà solo minuti persi e basta. Oramai si è ben capito che non potrà più vincere un GT: che si concentri per essere davvero il nuovo Bettini prima che sia troppo tardi.

FOOTON-SERVETTO. Voto 4. Chi li ha visti, viene da dire. Solo Mayoz trova un terzo posto che è molto estemporaneo. Il resto è fuffa con Marco Corti che riesce nell’impresa di prendersi la maglia nera con 4h e 48 minuti da Ivan il Terribile. Squadra senza senso, anche team Continental avrebbero fatto meglio o, perlomeno, avrebbero avuto più stimoli. Da accantonare.

Saverio Melegari

Comments

One Response to “DIAMO UN PO’ DI NUMERI ALLE SQUADRE”
  1. gabriele scrive:

    Una pecca la prestazione della Liquigas come “squadra”, quindi direttori sportivi inclusi, ce l’ha: rischiare di perdere il Giro con una squadra del genere! Un’impresa, eppure… Con il colpo di genio dell’Aquila, abboccando all’amo di un Vinokourov che aveva già capito di non poter competere per il primato, han quasi mandato all’aria un Basso stratosferico, un Nibali ispirato e una compagine ad altissimo rendimento. Da lì in poi grazie Basso, grazie fortunata rotazione a maggese dei gregari, e in generale grazie buona sorte, perché un imprevisto minore qualunque di troppo e addio Verona in rosa, visto che Arroyo (pure demotivato in crono) riesce a chiudere a meno di 2′. Molta, troppa linearità nell’interpretare una corsa che tra Mortirolo e Aprica rischiava seriamente di andare per aria. Niente di grave, col senno di poi, però un mezzo voto simbolico in meno ci potrebbe stare. La linearità va bene quando si è i più forti, comunque, quindi ci aspettiamo di vedere un altro spartito all’insegna della fantasia sul leggio del Tour.

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