NEL CERCHIO DEL TEMPO. DALL’APRICA ALL’APRICA, BASSO CAMPIONE.

maggio 28, 2010
Categoria: News

Basso, Nibali, Scarponi conquistano il Mortirolo: la discesa spariglia le carte alle loro spalle, rimette tutto in discussione, ma lungo l’implacabile Aprica si impone la legge del più forte: Ivan Basso (il più forte, con la squdra più forte). Basso e Nibali si accaparrano due terzi del podio della generale, a Scarponi un’equa spartizione delle spoglie assegnerà la tappa. Gli altri sono sconfitti in classifica, ma non nel ricordo che sempre accompagnerà questo Giro epico.

Foto copertina: Basso, Scarponi e Nibali sul Mortirolo, sorvegliati da Marco Pantani (foto Bettini)

Sono passati quattro anni esatti da quando Basso tagliava questo traguardo in rosa, e oggi – di nuovo all’Aprica, di nuovo dopo il Mortirolo – il varesino torna ad indossare quella maglia agognata. È un cerchio che si chiude: proprio come circolare è l’immenso anello con cui la strada di oggi abbraccia tutte le ascese già segnate sedici anni fa dal fulgore di Pantani; dalla prima Aprica che inaugura il valzer delle montagne, alla seconda Aprica che stringe i nodi della lunga tessitura Liquigas, uno stendardo per i propri campioni, un cappio per gli avversari. La quadratura del cerchio fattosi assai spigoloso lungo la strada dell’Aquila è compiuta, il cerchio perfetto di Basso primo e Nibali terzo sul podio della generale; almeno per altre ventiquattro ore.

Scarponi vince la tappa, e anche questo è un cortocircuito di un tempo impazzito, bloccato ma infine riavviatosi nella pedalata rotonda e ritmata di Ivan: la pedalata che aveva stroncato, sbeffeggiato e seminato Simoni oggi non conosce strappi, ma solo la regolarità cronometrica dell’orologio da farsi amico fin sul traguardo. Prima Nibali poi Basso in prima persona trascurano la volata – concedendola, anzi “tirandola”, al marchigiano compagno di tanti km – in modo da raggranellare ogni secondo utile, senza disperdersi in vani bisticci. Anzi, conquistando un’amicizia di gara che si addice anche ai più forti, a differenza della passata arroganza marchio Riis.

Prima del Mortirolo, poco da segnalare: l’abituale prima ora “over 50”, la sudatissima fuga in cui gli scalatori migliori dovrebbero essere Tondo e Samoilau (il primo tradirà le attese; il secondo manterrà le proprie promesse: all’arrivo, primo tra i mortali), condita di frizzanti sudamericani di spunto veloce (Duque e Rodriguez), poi Failli, Mazzanti, Krivtsov, Bonnet, Bakelandts. Failli e Rodriguez potenzialmente utili tatticamente, avranno in effetti modo di spendere qualche attimo di disperato sudore per sostenere i rispettivi capitani, ma senza conseguenze di rilievo.

Poi, su ciascun Gpm ci prova un ardito cavaliere solitario, e per ciascuno dei due il destino – essere ripreso sull’asperità susseguente – sarà identico: più velleitario e breve il tentativo di Karpets, partito sull’Aprica, più concreto Garzelli nel prendersi un minuto verso Trivigno, nel difenderlo e incrementarlo con l’aiuto di Failli, prima scendendo verso il Mortirolo e poi inerpicandovisi con valente convinzione. La Liquigas mena una cadenza da trireme in battaglia, e quattro vogatori si estenuano già sull’Aprica. Anche la vetta di Trivigno viene doppiata dalla galera verde con la stessa determinazione, che scoraggia ogni azzardo da parte di chi è in classifica, pur col riferimento dell’intrepido Garzelli davanti. Nessuno osa in discesa, l’andamento della gara viene linearizzato senza esitazioni dalla squadra di Basso.

Finalmente, il Mortirolo: i gregari completano il proprio compito, e sale in cattedra Basso. Un professore dapprima spietato con chi non riesce a seguirlo sulle guglie della fatica, poi indulgente con i primi della classe, Scarponi e il suo pupillo Nibali.

Le “discese ardite e le risalite” sembrano il perno di un’immensa clessidra: scorrono, scorrono, scorrono i granellini di sabbia, quei minuscoli secondi che si accumulano tra corridore e corridore, componendo un distacco che raramente è stabile, mentre ben più spesso – come si dice dell’amore – “o aumenta o cala”. Tuttavia il corso di questo scorrere subisce repentine inversioni.

In salita il trio di testa sommerge con intere dune di tempo gli inseguitori: Arroyo che calcola di salire del proprio passo con perfetto bilancino da orafo; Evans subito sgraziato presto sganciato mai scorato; Sastre circospetto, sornione, in perenne rimonta; Gadret con Pantani nel cuore; Vinokourov, che dopo aver scrutato forze e avversari si slancia nella sua ormai nota carica “da cavalleria polacca”, un impeto di volontà e orgoglio che gli permette di salire gli ultimi km come i migliori e di essere l’unico entro il minuto al Gpm. Escono di scena qui, persi nel deserto del tempo, Karpets e Gerdemann per primi, poco dopo Cunego, Porte, Pinotti.

Il passo alpino però inverte le pendenze e ruota con esse anche la clessidra. Il tempo inizia a scorrere al contrario. Davanti la Liquigas incoccia con la maledizione del quadrato, stavolta quadrato come le curve poco areolate che disegna Basso. Se prima era Ivan il docente, ora è discente di geometria: Vincenzo mostra, illustra con l’esempio, ma non c’è granché da fare. L’alleanza serrata come un anello dei due Liquigas sembra stringere troppo al dito: in salita Basso non ha guadagnato quanto avrebbe potuto, in discesa tocca a Nibali patire i “costi opportunità” nell’economia collettivistica della squadra. Scarponi assiste, testimone delle nozze mistiche. Chi invece non sta proprio a guardare è Arroyo: il suo tempo accelera a ritroso, il margine che lo divide dei primi viene risucchiato nei vortici di una discesa ispirata da un vento rosa, le curve diventano rettilinei e tutti coloro che gli erano innanzi vengono raggiunti e bruciati, Evans quasi preso al Gpm (giornata durissima per l’australiano), ma poi divorati Sastre e Gadret, infine anche Vinokourov.

Il kazako è un buon compagno in vista dell’eterno finale verso Aprica, e la coppia è fatta. Arroyo deve perfino frenarsi, attendere, per non rimanere solo, ma verrà poi ripagato in ottima moneta dalle trenate del vecchio colonello quando le pendenze saranno meno accentuate.

I primi ormai hanno meno di quaranta secondi. La Liquigas ha buttato via il Giro? L’unione, l’abbraccio, del capitano e del suo secondo hanno zavorrato a turno entrambi? La risposta arriva verso Corteno Golgi. Dietro, addirittura, ci si è ricompattati. Le ammiraglie di BMC e Caisse hanno vergato una duplice alleanza, e con Evans più Arroyo motivati a tirare fino alla morte, supportati da Vinokourov e magari un po’ da Sastre e Gadret il fato del deltaplano triangolare decollato dal Mortirolo appare cupo.

Invece no, qualcosa non va. Vinokourov l’aveva intuito presto, quando – raggiunto il minimo distacco dai primi, intorno al mezzo minuto – aveva esortato Arroyo a spingere ancora, di più, un ultimo sforzo disperato, invece che obbedire alle razionalissime indicazioni tecniche dell’ammiraglia. Questo è il folle stile di Vino, si sarà pensato; questo è il suo egoistico desiderio di seminare Sastre ed Evans. Oppure era magari un lampo di consapevolezza che suggeriva come la locomotiva giusta fosse là davanti, e dietro restassero vagoni ormai privi di forza motrice. 30” sono comunque eterni, il piano arduo da realizzare: ma il kazako avrebbe voluto provarci, e si agita rabbioso. Ha sentito, il suo equilibrio da animale selvaggio, che la clessidra stava una volta di più ruotando su se stessa.

Cinque individui non valgono un due collettivo. Un due “più”, perché Basso sul Mortirolo ha risparmiato energie con la propria indulgenza verso il compagno e ha gambe in avanzo. Anzi, un due “più più”, perché Scarponi, pur isolato e affaticato, non va di conserva a ruota, ma collabora anche se ogni tanto salta – e non per cattiva volontà – qualche cambio. Dietro invece le gambe proprio non sono in avanzo, ma piuttosto avanzi di gambe. La sabbia corre, corre, corre come e più che sul Mortirolo. Un minuto, uno e mezzo, due minuti, forza Basso è maglia rosa se gestiamo bene gli abbuoni, eccoci a tre minuti… Basso è maglia rosa. Punto.
Alla fine la generale recita: Arroyo a 51”, Nibali a due minuti e mezzo, tallonato da Scarponi a meno di 20”; mentre dal primo posto Evans è a quattro primi tondi, Sastre a cinque mezzo, Porte a sei e Vinokourov a 6’22”. Poi un diluvio di minuti.

Dell’arrivo si è già detto, una via di mezzo tra la parata e la cronocoppie. Scarponi, non deprivato del suo umorismo dalla fatica immane, commenta la vittoria di tappa: “l’ho spuntata io”… e strizza l’occhio.

Dopo arrivano gli sconfitti: Vinokourov è il più brillante – quanto ha fame di una vittoria di tappa, pur dopo un Giro già così encomiabile –, Gadret sorpassa in volata, ed è tutto dire, un Evans bianco come un cencio nella sua maglia rossa; poi Arroyo che saluta a mo’ di generale un pubblico sportivamente plaudente, entusiasta nel rendergli onore, ma assieme pure le insegne del primato che se ne va. Buon ultimo, al solito, Sastre.

“Sconfitti”? Sconfitti di giornata, vincenti nella storia avvincente di un Giro che sta chiudendo il proprio cerchio di fuoco nella maniera più spettacolare. L’onore di una maglia rosa difesa oltre ogni ragionevole possibilità in una discesa magica corona i giorni e giorni di sacrificio, calcolo e impegno per Arroyo. Il ferino e fiero spirito guerriero di Vinokourov che solitario compete alla pari col gruppetto dei primi, giù dal Grappa come su per il Mortirolo. La dedizione fino allo svuotamento totale di Evans. L’orgoglio di Sastre, che non ha nulla da chiedere al Giro, ma gli dona la capacità di non mollare, mai, neppure quando “c’è chi va di più”. Gadret, e il ricordo di Marco che da queste (e tante altre) strade non se ne può proprio andare.

Già, il ricordo di Marco Pantani, l’ultimo italiano (e ultimo in assoluto) a siglare la leggendaria doppietta Giro-Tour. C’è ancora un cerchio da chiudere, un’altra maledizione da sfatare. Chissà se – per chi allora avrebbe ben potuto e voluto – a oggi c’è ancora tempo, ancora forza, ancora voglia. Chissà se tempo, forza e voglia li avrà qualcun altro, un giorno. Ma con negli occhi un Giro così non costa troppa fatica aspettare. Questo è il ciclismo, un cerchio che ruota per correre ancora e ancora in avanti, facendo sempre perno su se stesso.

Gabriele Bugada

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