LI HA MESSI TUTTI IN FILA. BASSO CAVALCA IL DRAGO ZONCOLAN

maggio 23, 2010
Categoria: News

Uno per uno. Perché ne resti solo uno. Corridori alla spicciolata, per quella che è una sfida prima di tutto con una salita terribile nonché con se stessi, poi – solo di conseguenza – contro gli avversari. Infatti Evans, che invece pugila (metaforicamente) con Basso, finisce divorato dalla mostruosa salita.

Foto copertina: in vetta sono rimasti solo i tifosi con Ivan Basso (foto Bettini)

Dallo zenit di un elicottero si vede la strada stretta, i corridori uno ad uno, come formiche. Poi l’immagine cambia, e c’è il viso di Basso che occupa tutto lo schermo, guarda fisso in macchina: dritto davanti a sé. Guarda il mostro negli occhi; quando il suo sguardo guizza su un lato è per conquistare con le pupille una balza più alta di strada prima di vincerla coi pedali. Lo Zoncolan è il vero avversario di oggi, un avversario che divora e inghiotte tutti, disperdendoli, cancellandoli nel buio delle gallerie, tutti tranne Basso. Uno Zoncolan trattato da vera salita, non più in vitro: a chiudere un tappone degno di questo nome con oltre 200km e munito di quattro Gpm. Lo si vedrà anche nei tempi di ascesa, abbondantemente superiori a quelli del 2007; ma pure nei distacchi, finalmente significativi nonostante i tanti discorsi sulle pendenze eccessive.

La Liquigas ha retto, fin da ieri, le fila della corsa. Il burattinaio – ed era ora – ha ripreso saldamente in mano quel che era diventato un groviglio di possibilità e storie intrecciate, confuse, inestricabili. Ma finalmente le corde sono state tirate, tese, scosse di forza, fino a impadronirsene senza incertezze: le mani sono quelle della Liquigas, o forse dello stesso Basso in persona, furente dopo L’Aquila (e sarebbe probabilmente la più grande conquista del Basso campione, ancor più della vittoria, riprendere in mano il controllo sulla corsa e ancor prima sulla propria squadra). Già da ieri si era capito che la stagione delle ambiguità volgeva al termine: ma quali Agnoli e Kiserlovski “uomini di classifica”, ma quale Nibali capitano in seconda. Nibali viene ricompensato lautamente con la tappa, ma l’orchestrazione perfetta prevede che la fatica del siciliano sgravi il proprio capitano, oltretutto a diretto discapito dei due avversari diretti.
Oggi la sceneggiatura, la sinfonia sono nuovamente perfette. Lo spettatore si dispera, certo, vedendo che sui tre Gpm precedenti lo Zoncolan, in particolare sull’asperrimo Duron, non si sviluppa nessuna azione di corsa: solo quella fuga là davanti, ben selezionata da una prima ora sul filo dei 50km/h; van segnalati Pineau, la cui ambizione di riprendere la maglia rossa con un T.V. andrà commisurata con i punti raccolti sul traguardo da Vinokourov o Evans (che prevarrà), e specialmente Jackson Rodriguez, compagno di Scarponi. Ma i chilometri passano e la fuga resta là, virtualmente inutile una volta sbarcata sullo Zoncolan: cosa che puntualmente avviene.
Sì, perché dietro la Liquigas tratta il gruppo come un accordatore farebbe con un violino, o come un torturatore farebbe con un condannato al supplizio della corda. Dosa, commisura, regola, il tutto ai propri scopi, per far suonare al meglio i propri sogni, per piegare al proprio volere gli avversari.
Si alternano sapientemente durissime trenate a momenti di rilassamento; lo scopo, più ancora che sfiancare o staccare gli “aquilani”, è quello di impedire sapientemente che la corsa evolva in scatti anticipatori. Non sarebbe nemmeno così male, per la Liquigas, potendo inserire – chissà mai se con un Cunego, un Vinokourov, uno Scarponi supportato da Rodriguez… – un Nibali forte sul passo, forte in discesa, capace così di prendere un po’ di vantaggio sul gruppo principale in vista dello Zoncolan, ove lo squalo è destinato a pagare dazio dati gli sforzi di ieri. Ma no. Non è assolutamente questo il piano. Tutto è in funzione del capitano unico, anche le velleità di maglia bianca di Kiserlovski. Per un mero caso fortunato e gradito, saltano prima del finale Wiggins e Tondo: ma la carneficina ha un luogo predestinato, l’ultima salita.

Il lavoro del team è superbo, e si arriva ai fatidici -8 con la squadra del tutto consumata, se non per Ivan e Vincenzo. Ma qui la sinfonia prevede che attacchi il solista con il proprio pezzo da virtuoso.
In un istante, è sparpaglìo. Davanti reggono solo Evans e Scarponi, dietro abbozzano una resistenza Vinokourov, Cunego e Gadret. In meno di due km è testa a testa, come sui manifesti del Giro: Basso, e il campione del mondo.
La salita in effetti viene affrontata da alcuni e da altri con due opposti atteggiamenti: la calma, o rassegnazione, o timorosa prudenza, come vogliam chiamarla; oppure la veemenza, la rabbia, l’impeto, l’ostinazione nel protrarre la pedalata e il ritmo oltre la sua naturale possibilità.
Basso esula da questi ragionamenti: la salita lui la conosce al metro, l’ha fatta propria, anzi l’ha fatta diventare un altro se stesso, come in un apologo zen. Lo Zoncolan, il mostro, e lui, diventano una cosa sola, un’unica macchina di distruzione per tutti gli altri. Basso guarda il dragone negli occhi e in quel momento sa di essere drago lui stesso.
Gli altri fan come da proprio istinto o carattere: Scarponi lascia presto, il suo viso resta quasi sereno sotto lo sforzo immane. E dopo il distacco patito così presto, nel finale rientrerà prepotente, terzo a soli 10” da Evans (1’30” da Basso).
Evans invece si impunta, sfida Basso, gli si affianca, tiene duro, zappa l’aria con i pedali durissimi. E si spezzerà, certo pur sempre secondo, ma a quasi 1’20” dal trionfatore. Ne fa un incontro di boxe, Cadel, ma dai meno cinque ai meno quattro è tutto un incassare, un fare la faccia truce quando si sta per andare giù. Basso lo capisce, ai meno quattro la conferma: “prego Cadel, sembra dire Basso, fammi vedere che sai fare”. Evans vacilla sulle gambe, e ai -3,7km arriva il ko. Evans va giù, a tappeto: si fa del male cercando di rialzarsi, ma solo per crollare ancor più pesantemente. “Una gamba su e una giù”, come diceva il buon Cassani, per dire di quando nemmeno si riesce a dar seguito alla singola pedalata.
Anche Vinokourov è un altro che per carattere cerca di tener duro, e finirà sorpassato da Cunego (il veronese è ottimo quarto a poco meno di due minuti) il quale invece, mal digerendo i cambi di ritmo, si stacca subito per concludere in esplosivo crescendo, come già nel 2007. Ha una gran bella gamba, Cunego, e forse se avesse osato di più nei preliminari oggi avrebbe potuto far propria la tappa. Ma la Liquigas odierna intimidiva solo a guardarla, la tappa pure.
La stoffa di lottatore di Vino però vien fuori tutta quando ruggisce una volata poderosa nel finale per respingere gli avvicinamenti di Sastre, un altro dall’avvio flemmatico e dal finale robusto; lo spagnolo l’aveva quasi ripreso e appariva in grado di scavalcarlo: invece i due vecchi leoni saranno quinto e sesto rispettivamente a 2’26” e 2’44”. Due minacce per quel finale alpino di Giro che sembra disegnato apposta per loro.
Nibali stoico a 3’07”, Pinotti stupefacente a 3’20” (un paio di km coi migliori, in piena “mentalizzazione” evidentemente).
Arroyo giunge a 3’50”, difende la maglia ma sperpera oltre metà del vantaggio su Basso: ascesa peculiare per lui, prima regolare, placida quasi, scandita come gran metronomo da Jeannesson; poi le notizie sul distacco, la frenesia, il panico: l’arrivo a bocca aperta a mordere aria e polvere.
Ancora una volta, il Giro cambia faccia. E ce n’è di strada da fare, prima di fermare le lancette di Verona.

Gabriele Bugada

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