TOUR DE FRANCE 2016: PIRENEI DOPO 7 GIORNI, 5 TAPPE ALPINE, VENTOUX E LA CRONO A FARE DA SPARTIACQUE

ottobre 21, 2015
Categoria: News

L’edizione numero 103 del Tour de France scatterà da Mont Saint Michel, già arrivo di una tappa a cronometro nel 2013, e si concluderà, come da tradizione, sui Campi Elisi. Molte salite ed un po’ più di chilometri contro il tempo rispetto allo scorso anno. Saranno le Alpi a decidere il vincitore della generale, ma la distribuzione delle salite lungo tutto il percorso è un invito, da un lato, ai big a non attendere le ultime tappe per sferrare attacchi, dall’altro agli outsiders a tentare azioni coraggiose, magari a sopresa, per mettere nel sacco i pretendenti più blasonati, a cominciare dal vincitore uscente che ha dimostrato di gradire molto il disegno.

Finalmente il sipario si è alzato ed anche l’attesa per conoscere il percorso del prossimo Tour de France è finita.
In linea generale, si può notare che, se certe tendenze vengono confermate e rafforzate, altre si sono attenuate, forse anche in relazione all’andamento della corsa negli ultimi anni che hanno visto ASO cambiare decisamente registro nell’impostazione generale del tracciato.
Negli ultimi anni avevamo assistito ad un progressiva diminuzione nel chilometraggio della tappe a cronometro, che aveva portato fino all’estremo dello scorso anno in cui era proposta un’unica frazione individuale contro il tempo di soli 14 chilometri ed una cronosquadre alla nona tappa, che tante perplessità aveva generato per offrire poi un risultato senza eccessivi clamori. Quest’anno gli organizzatori hanno optato per due tappe a cronometro, una per specialisti di 37 chilometri ed una di montagna di 17 chilometri, per un totale di 54. Non si può non notare come ASO si sia ispirata, in questa scelta, ad RCS che, se si eccettua la scelta dell’anno scorso di proporre una sola tappa a cronometro di 60 chilometri, da anni propone l’accoppiata tra una crono per specialisti di una quarantina di chilometri e una cronoscalata secca di vario chilometraggio (dagli oltre 20 del Monte Grappa nel 2014, agli appena 10 dell’Alpe di Siusi nel 2016, passando per Nevegal, Polsa, Plan de Corones, Oropa, ecc). La decisione è certamente migliore di quella, francamente scellerata, presa lo scorso anno, scelta che ha avuto come effetto non solo quello di annullare i cronoman, ma soprattutto quello di addormentare la corsa, consentendo a Froome di vincere il Tour su un solo arrivo in salita, inserito al termine di una frazione pianeggiante. Del resto, se è vero che Froome sulla carta è più forte a cronometro degli altri due atleti saliti sul podio nel 2015, è anche vero che il keniano bianco ha mostrato segni di cedimento nell’ultima settimana e la classica cronometro del penultimo giorno avrebbe potuto certamente dargli qualche grattacapo in più. Il posizionamento delle due frazioni contro il tempo appare tuttavia un po’ singolare, poiché, tra le due tappe a cronometro ci sarà uno stacco di appena 4 tappe, perlopiù alpine. La scelta di collocare le due frazioni a cronometro così vicine è abbastanza strana, ma soprattutto toglie alla crono per specialisti, prevista alla tredicesima tappa, la classica funzione di permettere agli uomini forti in quella specialità di avvantaggiarsi prima delle montagne per dare poi spazio agli scalatori per tentare di rifarsi. Il rischio concreto di questa scelta è quello di avere attendismo nelle tappe pirenaiche (come avvenuto l’anno scorso, sia sul Tourmalet che nel tappone di Plateau de Beille), cosa che, invece, alla luce delle considerazioni che seguono pare gli organizzatori abbiano voluto evitare.
Altra tendenza delle ultime edizioni era quella di aumentare il numero delle salite presenti nel tracciato – sia a livello di tappe di montagna, sia a livello di colline e strappi, cercando di inserire queste ultime nelle prime tappe che sino a pochi anni or sono si presentavano completamente piatte. Tuttavia, la tendenza sembrava quella di proporre quasi esclusivamente tappe di montagna con arrivo in salita, tanto da ricordare i percorsi del Giro d’Italia. Quest’anno, invece, si è optato, ad avviso di chi scrive in modo quanto mai opportuno, anche per tappe dei montagna con arrivo in discesa.
Le salite di quest’anno sono distribuite meglio rispetto a quanto si era visto negli anni scorsi. Le tappe con percorso selettivo saranno, infatti, protagoniste già dalla prima settimana, con una frazione sul Massiccio Centrale che non dovrebbe provocare particoolari scossoni in generale, ma che potrebbe essere la cartina al tornasole dello stato di forma dei big. Una prova molto importante perchè, se qualcuno dovesse essere colto in stato non ottimale alla quinta tappa, questo qualcuno potrebbe essere attaccato decisamente già dalla settima frazione, che presenta l’Aspin nel finale, ma soprattutto nell’ottava che è un classico tappone pirenaico stile “giro della morte” con Tourmalet, Horquette d’Ancizan, Val Louron, Peyresourde e arrivo in discesa a Bagnères-de-Luchon. Il finale di questa tappa riporta, infatti, alla memoria l’attacco di Pantani nel Tour 98, situazione in cui il Pirata attaccò nella parte terminale del Peyresourde per poi mantenere il vantaggio nella discesa verso Luchon.
Si deve poi notare come le frazioni siano completamente concentrate in alcune zone, lasciando completamente all’asciutto altre. Ora, su questo argomento è necessario fare due considerazioni di fondo a discarico degli organizzatori. La Francia presenta un territorio molto più vasto dell’Italia e quindi è certamente impossibile proporre un tracciato che possa toccare tutte le zone del paese ed è altrettanto vero che le montagne sono tutte al sud e al sud est della Francia. Il prezzo da pagare per toccare più zone sarebbe quello di avere una serie di tappe pianeggianti una dietro l’altra, mentre quest’anno si è voluto evitare ciò; tuttavia non si può fare a meno di notare come, anche le tappe di salita, specialmente quelle alpine, siano concentrate tutte nella medesima zona, cosa che era già accaduta l’anno scorso con l’assurdità di percorrere per tre volte, in tre tappe diverse, la stessa salita (Glandon o Croix de Fer) e nello stazionare per tre giorni nella zona di Saint-Jean-de-Maurienne.
Anche quest’anno le Alpi avranno uno scenario concentrato in una zona bene determinata, ovvero quella più settentrionale della catena alpina.
Passando all’analisi delle frazioni si può notare che le prime quattro sia molto facili, anche se la seconda presenta nel finale uno strappo di circa tre chilometri, con un passaggio al 14% ed un breve tratto in contropendenza prima di riprendere a salire al 6% sino al traguardo. Sarà l’occasione per qualche uomo da classiche per tentare la stoccata, mentre non ci dovrebbero essere problemi per gli uomini di classifica, anche se le rasoiate di qualcuno potrebbero mettere sulle ginocchia chi non si presenterà al via al top della forma, nella speranza di trovarla strada facendo.
La quinta tappa da Limoges a Le Lioran potrebbe svolgere in questo Tour la medesima funzione delle tappe appenniniche al Giro, ossia quella di primo vero test della stato di forma dei vari big, ma potrebbe anche essere l’occasione per una fuga e per assegnare la maglia ad un corridore che certamente non potrà portarla a Parigi. I chilometri più difficili della quinta tappa sono gli ultimi 40 che presentano tre salite che portaranno i corridori a quote considerevoli; si tratta di salite non impossibili anche se il Pas de Peyrol e il Col du Perthus presentano pendenze medie intorno all’8% e massime in doppia cifra. Si tratta, comunque, di salite molto brevi, oltre al fatto che l’ultima è davvero poca cosa, poco più di tre Km al 5.8% di pendenza.
Dopo una sesta tappa di relativo relax (sono previste alcune colline) si attaccherà con il trittico pirenaico che occuperà dalla settima alla nona tappa. Se la collocazione al settimo giorno di una tappa tranquilla sino all’ascesa finale è cosa abbastanza normale in un GT, la scelta di inserire due tapponi pirenaici già all’ottava ed alla nona tappa è un po’ una novità. Anche al Giro d’Italia, che ha sempre proposto occasioni in quota nella prima settimana, è davvero difficile ricordare una accoppiata di tapponi simili così presto.
La settima tappa sarà comunque già un impegnativo banco di prova. Tutti gli appassionati conoscono il Col d’Aspin, salita pirenaica in piena regola, anche se non tra le più dure, la cui cima sarà posta a soli 7 Km dalla conclusione, prevista persso il Lac de Payolle. Per giungere sotto la linea del traguardo dalla cima dell’Aspin non ci sarà solo discesa, ma anche un paio di chilometri finali in facile ascesa.
La musica sarà decisamente più interessante nell’ottava e nella nona tappa. Già si era parlato del tappone che porterà la carovana a Bagnères-de-Luchon. Si tratta di una tappa degna di un finale del Tour con 4 salite storiche in successione e, anche se il mitico Tourmalet avrà poca influenza in quanto collocato come prima salita, sul Peyresourde ci sarà sicuramente spazio per attaccare mentre la successiva discesa di 15 chilometri potrebbe sia favorire i rientri, sia dilatare eventualmente i distacchi, se in testa ci sarà un corridore abile anche in discesa. Non è difficile immaginare che ci potrà essere più di un atleta che potrebbe mal digerire quattro salite pirenaiche in successione già all’ottava tappa. Questi ipotetici atleti soffriranno anche il giorno successivo, perchè la nona tappa, che si svolgerà interamente in territorio estero, presenta anch’essa molte salite. La prima di esse verrà affrontata in apertura e tutti sanno quanto questa circostanza possa influire nell’economia dell’intera frazione. Il finale presenta due salite a far da prologo al finale di Arcalis sul quale Ullrich nel 1997 staccò tutti di potenza, andando a conquistare quella maglia gialla che avrebbe portato sino a Parigi. Dopo nove giorni di gara, quindi, i corridori saranno già transitati per tre volte oltre quota 2000.
Saranno solo due le tappe per tirare il fiato dopo i Pirenei in quanto già alla dodicesima tappa, che si correrà nella ricorrenza della presa della Bastiglia, si affronterà lo spauracchio che risponde al nome di Mont Ventoux, legato indissolubilmente a quello di Francesco Petrarca che vi salì nel 1336. La tappa, come spesso accade, sarà molto facile sino ai piedi del “Monte Calvo”, dato che esso non presenta nelle vicinanze altre cime ciclisticamente frequentate. Come è oramai tradizione, la tappa si concluderà sulla vetta dato che, per riprendere l’ultima volta che la carovana affrontò il Ventoux anche nella successiva discesa per concludersi a Carpentras, bisogna portare la mente indietro di oltre 20 anni (1994). Certamente Chris Froome avrà segnato con bianca pietruzza il giorno della festa nazionale francese, dato che nel 2013, sul Ventoux, diede prova di grande forza, staccando Nairo Quintana che era uscito in avanscoperta prima di lui. Proprio sul Ventoux la proverbiale frullata del keniano bianco si espresse ai massimi livelli.
Anche la tredicesima tappa sarà teatro di battaglia tra gli uomini di classifica, in quanto ci saranno 37 chilometri da percorrere contro il tempo. Si tratta di una prova per specialisti, in cui i dislivelli presenti favoriranno ancor più i passisti, in quanto le pendenze sono tali per cui si rende meglio spingendo di potenza che salendo in piedi. In questa tappa gli scalatori leggeri potrebbero accusare passivi piuttosto pesanti, anche se il chilometraggio non eccessivo favorisce chi deve tentare di difendersi dosando lo sforzo lungo l’intero tracciato.
Ci sarà solo una tappa intermedia di respiro dopo questa cronometro prima di attaccare con le Alpi.
La quindicesima tappa sarà un continuo saliscendi intorno agli 800/1000 metri di altitudine prima di arrivare al dunque: la scalata al Col du Grand Colombier che, con i suoi 1500 metri di altitudine sarà la quota più alta che si toccherà in questa tappa. La successiva discesa porterà i corridori a passare per la prima volta sotto la linea del traguardo prima di affrontare l’ultimo GPM, una parziale riscalata al Grand Colombier, con scollinamento a 14 chilometri dall’arrivo. In teoria, questa tappa dovrebbe vedere una buona fuga svilupparsi nella prima parte con molti saliscendi mentre nel finale dovrebbero entrare in scena i big. Quel che bisognerà capire sarà, però, la voglia di provare ad affondare in una frazione come quella odierna, che presenta un tratto di 14 chilometri dopo l’ultima salita che potrebbe anche favorire dei rientri e, soprattutto, quando mancano ancora molte tappe impegnative da affrontare. In quest’ottica, la frazione in esame potrebbe essere teatro di attacchi tra outsiders o, comunque, preda di quegli uomini capaci di andare in fuga nelle tappe più impegnative.
Il giorno successivo è, invece, prevista una tappa che dovrebbe permettere ai big di rifiatare. Il Tour, come già si vociferava da tempo, farà tappa a Berna con una frazione che farà da preludio ai quattro terribili giorni finali.
Il primo di essi proporrà, dopo un paio di ascese facili ed un tratto di pianura, lo stesso finale della settima tappa del Delfinato 2014. Di quel giorno Froome non deve avere buoni ricordi, dato che Contador lo staccò sulla salita finale verso il Lago d’Emosson, strappandogli anche la maglia gialla. Prima della salita finale, bisognerà affrontare la Forclaz, ascesa impegnativa che non concede un attimo di respiro a causa della grande regolarità di pendenza che presenta la strada. Dopo una breve discesa, si affronterà l’ascesa finale, 10 Km all’8% di pendenza media con punte del 18% e pendenze sempre attorno al 9/10% nei chilometri finali. Se qualche corridore con un certo ritardo in classifica vorrà provare un attacco, in questa tappa potrà certamente trovare terreno per esprimersi al meglio, dato che l’attacco dalla Forclaz è certamente fattibile.
La diciottesima tappa sarà la seconda cronometro individuale di questo Tour, una sorta di cronoscalata, anche se con un percorso curioso, certamente migliore di quello scelto per la cronoscalata del Giro. I primi quattro chilometri sono pianeggianti, seguono tre chilometri duri, con pendenze oltre il 10%, mentre il resto della salita presenta pendenze agevoli prima del finale in discesa. In sostanza, si tratta di una cronometro mista e completa con pianura, salita dura, salita agevole e discesa. Alla luce di questo fatto, la prova andrebbe giudicata positivamente, non fosse per il chilometraggio. Una prova di questo genere di una quarantina di chilometri sarebbe stata certamente più interessante, sia di per sé stessa che per la classifica generale.
Gli ultimi due tapponi alpini incoroneranno il vincitore ma hanno entrambi un paio di aspetti oscuri. In primo luogo presentano entrambi un chilometraggio inferiore ai 150 Km e, se è vero che spesso queste tappe, proprio perchè brevi, vengono affrontate a tutta dall’inizio provocando problemi a molti, è anche vero che, nel finale di Tour, se i giochi non fossero già fatti, tapponi di montagna con chilometraggio over 200 possono portare anche a crolli verticali o a crisi inaspettate. Altro aspetto che lascia piuttosto perplessi è la discontinuità delle salite. Nella tappa con arrivo a Le Bettex, tra il GPM della Montée de Bisanne e l’attacco della salita finale ci sono quasi quaranta chilometri tra discesa e falsopiano e la prima parte della tappa non è così impegnativa da far arrivare qualcuno in debito già sul Bisanne. La salita finale misura 7 Km ed ha una pendenza media del 7,7%, con caratteristiche di vero e proprio muro nel tratto iniziale. Su una simile ascesa, data anche la distanza non eccessiva, l’epilogo più probabile è lo scatto all’ultimo chilometro.
Il dato di discontinuità delle salite è presente anche nella penultima tappa da Megève a Morzine, ma qui le cose stanno alquanto diversamente. Innanzitutto, la tappa presenta sin dalle battute iniziali il Col de Aravis e il Col de la Colombière in successione, cosa che potrebbe già ridurre sensibilmente la popolazione del gruppo, specialmente se, come accade nelle tappe brevi, le andature saranno alte. In secondo luogo, l’arrivo posto al termine della discesa potrebbe spingere ad un attacco già dalla parte centrale del duro Joux Plane. Se poi qualche capitano riuscisse a mandare in fuga un proprio compagno forte sul passo, potremmo vedere anche un attacco sulla Ramaz o lungo la successiva discesa per ricongiungersi con il compagno e farsi pilotare nel tratto in pianura.
L’arrivo, coma al solito, sarà una passerella all’ombra dell’Arco di Trionfo.
Tirando le somme, sembra un Tour molto interessante, anche perchè, ad avviso di chi scrive, le tappe pirenaiche sono estremanente interessanti per la loro collocazione e potrebbero risultare decisive in un ipotetico scontro tra un uomo in forma nella prima parte ed i cosiddetti “diesel” che arrivano a dare il 100% nella terza settimana, quando invece gli altri cominciano a dar fondo alla riserva. Quelle alpine, in realtà, lasciano un po’ a desiderare, anche se presentano comunque spunti interessanti. Il finale della tappa del Lago d’Emosson, ad esempio, è estremamente interessante e la situazione potrebbe essere diversa rispetto al Delfinato 2014, quando Contador attaccò negli ultimi 2 Km. In quell’occasione, infatti, Contador doveva recuperare solo 12 secondi in classifica generale a Chris Froome. Anche la tappa di Morzine, sebbene non sia esaltante, presenta un bel finale classico del Tour e chi ha buona memoria ricorderà che Armstrong nel 2000 patì una bella cotta sul Joux Plane.
Molto positiva anche la scelta di alternare tappe con arrivo in salita a tappe con il traguardo posto al termine della discesa. Sicuramente buona anche la scelta di distribuire le difficoltà lungo tutto il percorso, intervallandole ogni tanto con tappe di respiro.
Grandi assenti le classiche salite francesi di venti chilometri a quote elevate, niente Galibier, Madeleine, Croix-de-Fer, Iseran. Il tetto del Tour non sarà in Francia ma ai 2408 del Puerto de Envalira, nel Principato d’Andorra, ed in nessuna delle tappe alpine si supereranno i 2000 metri. Se si pensa che proprio le interminabili salite alpine di 20 Km fino a quote elevate sono un po’ la caratteristica delle tappe sulle Alpi del Tour è inevitabile provare una sorta di nostalgia, anche se va apprezzata anche la scelta di andare a cercare salite meno battute, invece che riproporre sempre le medesime.
Forse, i chilometri contro il tempo potevano essere un po’ di più, in particolare quelli della seconda crono, interessante per la varietà del percorso,
Certamente i protagonisti annunciati Froome e Quintana si daranno battaglia su queste strade. Proveranno a rovinare i loro piani Alberto Contador – che paga l’età e che nell’ultima edizione non è stato incisivo nei suoi allunghi, ma che ha spesso sopperito a defaillances fisiche con la testa e con l’estro – ed il nostro Fabio Aru che dovrebbe trovarsi a proprio agio sulle numerose salite. Il sardo, però, dovrà cercare di migliorare a cronometro per potersi giocare le sue carte in salita.

Benedetto Ciccarone

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