CONTINUAVANO A CHIAMARLO ‘EL PISTOLERO’
giugno 2, 2015
Categoria: Approfondimenti
L’evidente citazione cinematografica cui fa riferimento il titolo è dedicata, come si intende immediatamente, all’ultimo vincitore del Giro d’Italia Alberto Contador, il quale si è guadagnato nel corso della sua incredibile carriera questo soprannome, già di per sé poco rassicurante per gli altri concorrenti. Il nomignolo, è necessario la giusta precisazione, deriva dalla singolare esultanza che esibisce lo spagnolo sul traguardo ad ogni suo successo, nel quale indice e pollice della mano vanno a formare un revolver che esplode il colpo fatale inferto all’avversario di turno, e non dal modo focoso, imprevedibile, bizzoso di interpretare le gare, come vorrebbero alludere alcuni sventurati addetti ai lavori.
Difatti, a ben vedere, le (rare) volte in cui Contador ha deciso di correre veramente da autentico pistolero, ha sempre trovato qualcuno più rapido di lui a estrarre l’arma e sparare, rimanendo egli stesso impallinato. È successo durante il primo dei Tour de France conquistati, nel 2007, quando di pettinarlo a dovere in salita si occupò Rasmussen dopo un duello durato svariati chilometri. Medesimo copione al Giro d’Italia 2008, pure vinto dallo spagnolo, in cui al posto del danese trovavamo il nostro Riccò, e una scena analoga si è ripetuta con Pierre Rolland nella tappa dell’Alpe D’Huez alla Grande Boucle 2011. Per finire con le due recenti batoste alpine rimediate prima da Landa e successivamente da Aru. Siamo certamente in presenza di un campione, ma il titolo di fuoriclasse di Contador è stato conquistato più con la capacità di nascondere le proprie debolezze che con la forza del grimpeur di razza. La famosa andatura baldanzosa di Contador e la celeberrima ’sparata’ in montagna lo hanno spesso aiutato a mascherarsi, la minaccia di una reazione brutale è risultata negli anni sufficiente a far desistere da principio i rivali a verificarne l’effettiva superiorità . Diciamolo chiaramente: nemmeno il Contador dei tempi d’oro ha mai saputo scavare distacchi importanti in salita. Una carriera da regolarista, con fantasia se vogliamo, ma pur sempre un eccellente amministratore dei vantaggi ottenuti a cronometro, Indurain docet.
Sarebbe poi ingeneroso dimenticare il ruolo, affatto marginale, svolto dalla quasi totalità del giornalismo specialistico e dagli esperti del settore nel contribuire a sviluppare attorno a questo ciclista l’aura di imbattibilità che gli ha permesso di superare senza eccessivi patemi, anche nel corso dell’ultimo Giro, giornate in cui le difficoltà dello spagnolo apparivano lampanti anche all’occhio del semplice appassionato.
La sfortuna che lo ha visto cadere più volte a terra durante le tre settimane è stata cioè ampiamente bilanciata dal timore reverenziale degli avversari nell’attaccarlo con decisione sulle montagne. Abbiamo sì assistito a delle azioni pregevoli, ma si è trattato ogni volta di stilettate, colpi di fioretto, singole pungolate. E dire che l’intera storia del madrileno testimoniava come il suo punto debole fosse da cercare nel fondo tutt’altro che eccezionale, come dimostrano gli esempi summenzionati, e infatti l’unica battaglia promossa a distanza si è risolta in una quasi disfatta per Contador. Gli uomini di classifica avrebbero avuto bisogno di parte della grinta, della determinazione e del coraggio che ha animato il Giro d’Italia di Visconti, sempre in testa a faticare, in lotta solitaria contro il vento, o perché protagonista della fuga di giornata o in veste di gregario del compagno di squadra Amador. Il tre volte Campione d’Italia ha incarnato il vero spirito del ciclista, che non deve mai accontentarsi, sentirsi appagato o demoralizzarsi ma deve sempre lottare e tentare anche se il risultato finale non lo premia. La stessa caparbietà e forza mostrata anche da Uran che, invece di arrendersi dopo essere uscito dai giochi per la Maglia Rosa così a lungo desiderata, ha provato con tutto sé stesso a centrare almeno un successo parziale in una tappa di montagna che purtroppo non è arrivato.
Il solo a cui va riconosciuto il merito di aver sistematicamente attaccato da lontano il “Pistolero” è Hesjedal, l’imperscrutabile, l’indecifrabile, l’arrembante canadese, trionfatore della Corsa Rosa 2012, che con il consueto atteggiamento scriteriato e naif di vivere il ciclismo, fatto di fughe inutili, scatti poderosi e cotte inspiegabili, ha acciuffato un furibondo quinto posto in classifica generale che, a ben vedere, poteva valere molto di più (i crampi di Contador immortalati dalle telecamere lungo la discesa del Monte Ologno potevano essere sfruttati per infliggere ritardi letali allo spagnolo).
Non è bastata la commovente tenacia di Aru e neppure la fame di vincere e di lasciarsi alle spalle il ruolo da gregario di Landa a spodestare dal trono Re Alberto. Ai due Astana è mancata la vampa interna che ti spinge ad osare, quel fuoco che ti accende la voglia di sbaragliare il campo anche al rischio di perdere. Così la Maglia Rosa 2015 alla fine dei giochi se l’è aggiudicata ancora Contador, per buona pace di coloro che continuavano a chiamarlo ‘El Pistolero’.
Francesco Gandolfi
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Contador con Aru sul Colle delle Finestre, qualche minuto prima della crisi che colpirà il corridore spagnolo (foto Tim de Waele/TDWSport.com)