UN TOUR RIVOLUZIONARIO (NEL BENE E NEL MALE)

ottobre 22, 2014
Categoria: News

Pieno di sorprese il percorso del Tour 2015, presentato a Parigi da Christian Prudhomme: tre tappe pirenaiche, quattro alpine, sei arrivi in salita, ancora pavé e appena 14 km a cronometro individuali, più 28 km a squadre. Gran finale sull’Alpe d’Huez, alla vigilia di Parigi. Un tracciato ricco di montagne che insegue la modernità sul modello di Vuelta e Giro, ma privilegiando troppo – ancora una volta – le tappe brevi, penalizzando oltremodo i fondisti.

In un’intervista rilasciata a Baptiste Bouthier, nel luglio scorso, Thierry Gouvenou, neo-responsabile del tracciato del Tour de France, chiamato a rilevare il ventennale mandato Jean-François Pescheux, dichiarava: “Sono del parere che si debba tornare ai valori del ciclismo come sport di resistenza, non esaltare ciò che è corto ed esplosivo. La resistenza è l’essenza del ciclismo” (traduzione libera del redattore, forte solo del suo francese scolastico). Un’opinione che ci sentiamo di sottoscrivere pienamente, ma che stride almeno parzialmente con la prima creatura dell’ex professionista di Vire: con i suoi 3344 km complessivi, quello del 2015 sarà il Tour de France più corto dal 2002; guardando ancora più indietro, per trovarne di più brevi si deve tornare al biennio 1988-1989, dove due percorsi inferiori ai 3300 km seguirono curiosamente un filotto di quattro edizioni oltre i 4000.
Non solo: come il Giro del prossimo anno, anche la Grande Boucle proporrà appena tre tappe dal chilometraggio pari o superiore ai 200 km. E se le frazioni di Fiuggi, San Giorgio del Sannio e Cervinia della prossima Corsa Rosa infrangeranno perlomeno nettamente la barriera, con 263, 212 e 236 km rispettivamente, soltanto quella di Cambrai farà altrettanto al Tour, con i suoi 221. Quelle di Rodez e Gap – fermandosi a 200 e 201 – pianteranno la bandiera appena un passo più in là della fatidica soglia.
Il preambolo non vuole essere un mero esercizio statistico, ma inserire anche il Tour 2015 nel può ampio quadro di un ciclismo che va sempre più ad accantonare i valori della resistenza e del fondo che ne hanno costituito il sale per oltre un secolo, a vantaggio del breve e del televisivamente appetibile. O meglio, di un certo concetto di televisivamente appetibile; un’idea che cozza con la realità degli spettacoli indecorosi che i tracciati edulcorati degli ultimi anni, ridotti il più delle volte a battaglie di 20 minuti, hanno spesso offerto.
Senza sorprese, Christian Prudhomme, nella fastosa cerimonia di presentazione allestita al Palais des Congrès (prolissa nella prima parte, ma anni luce avanti rispetto all’approssimazione da sagra di paese e alla parata di logorroici dirigenti incravattati che hanno contrassegnato quella del Giro) ha confermato la già nota partenza da Utrecht il 4 luglio, con cronometro inaugurale di 14 km e ripartenza il giorno successivo alla volta dell’isola di Neeltje Jans, per una frazione che potrebbe trovare nel vento le insidie che l’altimetria risparmierà.
A differenza di quanto accaduto in altri recenti vernissage, non sono sbucate altre frazioni olandesi a sorpresa; anzi, già nella serata del 5 luglio la carovana si trasferirà in Belgio, teatro della terza tappa: 154 km da Anversa a Huy. Qui si annida la prima sorpresa (perlomeno per chi non ha spulciato per mesi i siti di mezza Europa a caccia di indiscrezioni, come chi scrive): per la prima volta, una frazione del Tour si concluderà in vetta al Muro di Huy, percorrendo la stessa strada su cui si decide annualmente la Freccia Vallone.
Il 7 luglio sarà la volta della tappa più lunga: partenza ancora dal Belgio (Seraing) e approdo in Francia per l’arrivo a Cambrai, al termine di un tracciato che vedrà il ritorno del pavé, a soli dodici mesi di distanza dalla meravigliosa tappa di Arenberg dell’edizione 2014. I chilometri sulle pietre saranno più o meno gli stessi della scorsa edizione (pre-revisione dell’ultimo momento causa pioggia), ma, con la sola eccezione di 1800 metri a metà percorso, ancora in territorio belga, saranno concentrati nel finale, con 6 tratti negli ultimi 45 km, per altri 11.5 km.
Le successive tre frazioni attraverseranno la striscia più settentrionale dell’esagono, dal Nord-Pas-de-Calais (Arras, partenza della quinta tappa) alla Bretagna (Fougères, arrivo della settima), attraverso la Piccardia (Amiens, arrivo della quinta, e Abbeville, partenza della sesta), l’Alta Normandia (Le Havre, arrivo della sesta) e la Bassa Normandia (Livarot, partenza della settima). Nessuna delle tre giornate pare particolarmente propizia a scuotere la classifica generale, anche se i quasi 100 km lungo la costa previsti sulla via di Le Havre sembrano congeniati appositamente per favorire ventagli.
La corsa tornerà invece ad accendersi nel fine settimana dell’11 e 12 luglio. Il sabato vedrà il secondo arrivo su côte, con avvio da Rennes e traguardo sul Mûr de Bretagne, riproponendo, in un formato leggermente più impegnativo, un finale che nel 2011 si trasformò in una sfida tra uomini di classifica, con la vittoria di Evans su Contador). Sarà questa anche l’ultima frazione ad assegnare abbuoni, di ritorno al Tour, ma in formato ridotto rispetto alla precedente versione: 10’’ al primo, 6’’ al secondo e 4’’ al terzo, e solo per le prime otto tappe.
L’indomani sarà la volta di una cronosquadre di 28 km tra Vannes e Plumelec, per la quale ASO dovrà ottenere dall’UCI una deroga alla norma che impone di collocare la prova nel primo terzo di corsa. Soprattutto, bisognerà sperare in una prima settimana avara di ritiri, onde evitare che le compagini più martoriate da cadute e malanni paghino un dazio esagerato per l’inferiorità numerica.
La seconda prova a cronometro sarà anche l’ultima, e qui sta la più clamorosa novità dell’edizione 2015. Con appena 14 km a cronometro individuali, la 102a edizione del Tour segna una netta rottura con il passato, rendendo – se non ininfluenti – quanto meno secondarie quelle doti da cronoman che per anni hanno rappresentato la principale credenziale richiesta agli aspiranti vincitori, frustrando le speranze di generazioni di scalatori. Una scelta che ci lascia molto perplessi: se l’idea è quella di ovviare al ciclo-greggismo di tante corse degli ultimi anni, e di stimolare attacchi prima del triangolo rosso, non ci sembra una grande base di partenza il quasi azzeramento di una specialità che, zavorrando i grimpeur, li obbligava ad azzardare per rimontare. Non auspichiamo certo un ritorno al modello della doppia maxi-cronometro in stile anni ’90 e non solo, ma una soluzione intermedia, vicina a quella del 2014 (una sola cronometro, ma extra-large) ci sembra preferibile.
La miseria di chilometri a cronometro risulta particolarmente inspiegabile guardando ciò che attende i corridori nella seconda e nella terza settimana. Il menù offre infatti tre frazioni pirenaiche, tutte con arrivo in salita, e quattro alpine, una sola delle quali con traguardo in fondovalle, più un intermezzo sul Massiccio Centrale. E se i chilometraggi continuano a sembrarci troppo leggeri, va dato atto a Gouvenou di aver almeno in parte teso una mano ai fondisti con due ricche sequenze montane, precedute ma non inframezzate da giorni di riposo.
L’approccio con le grandi montagne avverrà con una scalata formalmente inedita, benché si tratti in realtà di un lieve prolungamento del ben noto Col de Soudet. Dopo la partenza da Tarbes e 150 km di calma piatta, in cui verranno risparmiate ai corridori tutte le asperità circostanti (avremmo gradito molto la riesumazione dei sempre bistrattati Pirenei baschi, ad esempio con il ritorno sul tremendo Burdincurutcheta), la corsa si arrampicherà ai 1610 metri della Pierre-Saint-Martin, stazione sciistica che domina Arette, per 15 km abbondanti di scalata al 7.4% di pendenza media, con le rampe più arcigne (fino al 15%) concentrate nei primi 10 km.
Un po’ più di spazio alla fantasia verrà offerto l’indomani, nella Pau – Cauterets (188 km), anche se alla classica sequenza Aspin – Tourmalet seguiranno quasi 20 km di discesa e, soprattutto, un’altra ventina abbondante ripartita quasi equamente tra pianura e facilissima salita – classificabile quasi come un falsopiano ascendente – fino ai 914 metri del traguardo.
Il più ostico dei tre appuntamenti pirenaici è in programma per giovedì 16 luglio, quando, da Lannemenzan, il Tour muoverà verso il Portet d’Aspet, a vent’anni dalla morte di Fabio Casartelli, per poi far tappa a Plateau de Beille, andando ad affrontare, nel mezzo, altri due colli di 1a categoria quali Col de la Core e Port de Lers.
Terminato il primo trittico d’alta quota, il tracciato offrirà una sola giornata di relativo respiro, con i 200 km tondi tra Muret e Rodez, favorevoli alle fughe a detta di Christian Prudhomme. Riesce difficile concordare o dissentire, visto che – lasciando in questo senso molto a desiderare rispetto ad altre organizzazioni, quella del Giro in primis – ASO si ostina a presentare solamente i profili delle tappe di alta montagna, rimandando la pubblicazione di tutti gli altri a poche settimane prima della partenza.
La 14a tappa sarà dedicata al Massiccio Centrale, nel ventennale di un altro (e ben più lieto) evento del Tour 1995: la maxi-fuga con cui Laurent Jalabert e la Once fecero tremare Miguel Indurain, prima di doversi accontentare di un successo di tappa per Jaja all’Aérodrome di Mende. Il traguardo sarà lo stesso, e arriverà dopo 3 km ad una media superiore al 10%.
La frazione successiva, da Mende a Valence, dovrebbe essere questione per sprinter o fuggitivi, mentre la sedicesima, da Bourg-de-Péage a Gap, riproporrà l’ormai arcinoto finale con il Col de Manse, non propriamente originale ma perlomeno teatro di finali spettacolari in anni recenti.
Sempre a Gap i corridori potranno godersi il secondo ed ultimo giorno di riposo, prima del decisivo poker di tappe alpine. Ad aprire le ostilità sarà la Digne-les-Bains – Pra Loup, di 161 km; altra tappa nel segno della storia del Tour, a quarant’anni dall’impresa di Bernard Thévénet, che sullo stesso traguardo sfilò la maglia gialla a Eddy Merckx. Il menù sarà decisamente meno apocalittico di quello del 1975 (217 km con 5 colli e 6000 metri di dislivello) e neppure assisteremo al previsto ritorno sul Col des Champs, soppiantato dal ben più tenero Col de la Colle-Saint-Michelle, prima di una riproposizione dello stesso finale di quarant’anni fa, con scalata al Col d’Allos e successiva discesa (molto tecnica) prima dell’ultima erta verso Pra Loup.
La 18a tappa sarà l’unica, tra le sette di montagna, a non prevedere un arrivo in salita, assegnando il ruolo di arbitri al Col du Glandon – scalato dal meno impegnativo versante di Allemont – e all’inedito strappo verso i Lacets de Montvenier, 4 km di scalata che offriranno alcuni degli scorci più belli della corsa, contrassegnati da 18 tornanti, a 10 km dal traguardo di Saint-Jean-de-Maurienne.
Dallo stesso centro prenderà le mosse la terzultima frazione, che si attorciglierà su e giù per la valle della Maurienne per 120 km prima di tornare al punto di partenza, salendo da lì al traguardo di La Toussuire, di ritorno dopo tre anni. Il contorto circuito iniziale farà precedere la scalata finale dall’inedito Col du Chaussy, sacrificato in partenza, dalla tremenda Croix-de-Fer e dal Mollard, utile solo a complicare la vita agli eventuali attaccanti. Il chilometraggio sarà molto leggero (138 km), e per arrivare a questo pur modesto totale gli organizzatori hanno dovuto appesantire il disegno con un’imbarazzante andata e ritorno per strade parallele tra prima e seconda salita.
Se una tappa di montagna sprint può essere giustificata (a condizione che venga compensata da altre con distanze più massicce, assenti in questa edizione), di certo non possiamo approvare le due consecutive propinate dalla ditta Gouvenou – Prudhomme, che per la penultima tappa non ha trovato nulla di meglio che riproporre una copia quasi sputata della Modane – Alpe d’Huez del 2011, con la sola variante del passaggio in vetta al Galibier anziché al tunnel. Un tracciato che all’epoca fu teatro di un disperato attacco di Alberto Contador, che pure non fu sufficiente ad evitare che i migliori arrivassero compatti ai piedi dell’ascesa finale e raccolti in meno di un minuto all’arrivo, denunciando come il percorso non sia favorevole a recuperi consistenti.
Una volta raggiunti i 1850 metri dell’Alpe, i giochi saranno fatti, a scanso di cataclismi lungo i 107 km da Sèvres ai Campi Elisi, buoni solo ad offrire alla maglia gialla una meritata passerella. Una maglia che verrà sfoggiata, quasi certamente, da uno scalatore.

Matteo Novarini

Il tracciato del Tour 2015 (immagine ASO)

Il tracciato del Tour 2015 (immagine ASO)

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