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gennaio 23, 2014
Categoria: News

Presentata come l’occasione per rivelazioni scottanti, l’intervista rilasciata da Danilo Di Luca a “Le Iene” si è risolta in ammissioni di colpe già note e accuse generiche a colleghi non meglio identificati. Non abbastanza da far notizia, ma quanto basta per guadagnarsi convocazioni da tribunali sportivi e minacce di cause legali da parte di mezzo movimento ciclistico.

A dispetto del clamore dal quale è stata preceduta, la chiacchierata intervista concessa da Danilo Di Luca a “Le Iene” non ha rivelato nulla che non fosse già noto ad appassionati e spettatori occasionali delle due ruote. Nonostante il comprensibile tentativo degli autori del programma Mediaset di tratteggiare le dichiarazioni come un evento unico (“Tu ammetti le tue colpe ma nessuno lo fa”, suggerisce l’intervistatore, dimenticando opportunamente un buon numero di controesempi), la confessione dell’abruzzese si inserisce in una tradizione di casi analoghi, con protagonisti perlopiù atleti che ammettono quanto è stato ormai abbondantemente acclarato senza la loro assistenza.
Se non c’era di certo bisogno del palcoscenico di Italia 1 per scoprire che Di Luca ha fatto uso di doping durante la propria carriera, a rendere l’intervista del tutto superflua è stato soprattutto il resto delle dichiarazioni: Danilo non ha fatto nomi e cognomi, non ha illuminato nessuno circa le dinamiche di doping e antidoping, non ha denunciato nulla che non fosse già noto. L’affermazione secondo la quale il 90% dei partecipanti al Giro d’Italia assumerebbe sostanze dopanti arriva con almeno un decennio di ritardo per poter scioccare gli spettatori, oltre ad essere formulata in termini talmente vaghi – a cominciare dalla percentuale misurata a braccio – da costituire un’accusa tanto generica da risultare quasi inoffensiva. Accusa, peraltro, non documentata e non circostanziata, ma suffragata soltanto da fantomatiche chiacchiere scambiate tra corridori nelle fasi di stanca della corsa.
Gli unici guizzi dell’intervista – ma non esattamente in positivo – sono arrivati quando la discussione ha toccato il tema delle ripercussioni del doping sul fisico, seccamente negate da Di Luca, che ha invece teorizzato che le sostanze dopanti (EPO in particolare) rappresentino rarissimi casi di farmaci privi di effetti collaterali. Tesi molto personale e in contrasto con la letteratura medica, che non concorda sull’innocuità del cospicuo incremento dell’ematocrito indotto dall’uso di tali sostanze.
Dato il contesto, era poi inevitabile che, nella parte finale, la chiacchierata prendesse una svolta pruriginosa, arrivando a toccare il tema dell’uso di Viagra a scopi dopanti (del tutto irrilevante, visto che l’interessato nega di averne mai fatto uso), fino a sfociare in una disquisizione sull’astinenza sessuale da praticare prima e durante le gare; argomento degnissimo di essere discusso, ma che nemmeno marginalmente concerne la questione doping, e la cui comparsa illustra forse meglio di quanto siamo in grado di fare noi a parole il carattere e il livello dell’intervista.
Troviamo difficile spiegare il motivo per cui Di Luca, ora produttore di biciclette, abbia acconsentito a rilasciare un’intervista che ha deluso chi si illudeva di trovarvi qualcosa di rivelatorio ed è riuscita nell’impresa di non smascherare o toccare ex colleghi e dirigenti, dando al contempo a questi ultimi validi motivi per intentare cause legali contro Danilo. La spiegazione del vile denaro, ipotizzata da Vincenzo Nibali in una replica inutilmente scomposta, potrebbe anche essere valida, ma viene da domandarsi se sia sufficiente a giustificare il mix di pubblicità negativa e nuovi guai giudiziari.

Matteo Novarini

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