NIBALI SIGNORE DELLE TRE CIME

maggio 25, 2013
Categoria: News

La maglia rosa attacca e trionfa in solitaria nella bufera delle Tre Cime di Lavaredo, coronando un Giro vinto da dominatore. Uran, 3° dietro Duarte, strappa la seconda posizione in classifica ad Evans, che resiste a sua volta all’attacco di Scarponi. Maglia bianca a Betancur, 4° al traguardo, capace di soffiarla a Majka malgrado una foratura ai piedi del Passo Tre Croci, e di salire al quinto posto della generale.

Foto copertina: Vincenzo Nibali si impone sotto la neve delle Tre Cime di Lavaredo (foto Bettini)

Pochi sport sanno mettere alla prova la fede degli appassionati quanto il ciclismo del terzo millennio; e la giornata di ieri – con il caso Di Luca a sommarsi all’annullamento del tappone di Gavia e Stelvio – avrebbe fatto vacillare il più fermo dei tifosi; ma è altrettanto vero che pochi sport sanno riconquistare quegli stessi appassionati traditi con tanta rapidità, cancellando con il pezzo di bravura di un campione la rabbia e l’amarezza. È grazie a Vincenzo Nibali se, dopo la Caporetto di ventiquattro ore fa, il Giro 2013 può tornare a sperare di non essere ricordato soltanto per i tagli di percorso, le montagne annullate o mutilate, il freddo, la neve, alcune non trascurabili pecche organizzative e l’ennesimo affare di doping.
Forte di un margine di oltre 4’ sul più vicino rivale, e scongiurato con una cronoscalata ammazza-classifica il rischio di chiudere in rosa senza successi di tappa, lo Squalo avrebbe sulla carta dovuto limitarsi a controllare nella 20a e penultima tappa, privata di Costalunga, San Pellegrino e Giau per le ben note vicissitudini meteorologiche. Sono però bastate poche decine di chilometri per capire che Nibali sarebbe andato in caccia di una chiosa più incisiva, allorché la Astana – coadiuvata da un’attivissima Euskaltel – ha assunto il comando dell’inseguimento a Brutt, Ermeti, Popovych e Hansen, evasi dopo una trentina di chilometri e giunti ad un vantaggio massimo di 7’ e mezzo.
Virtualmente neutralizzati i fuggitivi già prima dell’ascesa al Tre Croci, approcciata dai quattro con poco più di 2’, a scuotere il gruppo sono stati – più che gli effimeri attacchi di Capecchi, Brambilla e i soliti Weening, Pirazzi e Atapuma – i due stop forzati di Carlos Betancur, fermato da una foratura ai piedi della salita, e da un cambio di bicicletta a metà della stessa. Majka, partito con 2’’ sul colombiano nella classifica dei giovani, ha provato ad approfittarne lanciando il forcing di Petrov, il cui principale esito è stato però quello di riavvicinare il plotone alla testa della corsa, momentaneamente occupata ancora da Brutt, e di distanziare definitivamente Mauro Santambrogio, già in difficoltà sulle prime rampe.
Kiserlovski ci ha provato ai -6, venendo però agilmente controllato da Agnoli e Aru; e proprio il sardo, prendendo di petto i 4 km della vera scalata alle Tre Cime, ha dato il là al numero della maglia rosa. Con 3 km e spiccioli ancora da percorrere, Nibali ha rotto gli indugi, quasi cogliendo di sorpresa lo stesso Kangert, deputato a fargli da apripista. Majka, accodandosi per primo, ha confermato tanto la sua intraprendenza quanto la sua immaturità, incappando in un fuorigiri di cui ha fatto la fortuna di Betancur, rientrato a ritmo più regolare.
Anche il colombiano, ultimo ad arrendersi insieme al connazionale Uran, non ha però potuto reggere a più di due o tre cambi di ritmo del capoclassifica, andato nel frattempo a riassorbire gli attaccanti superstiti. Evans ha dato ad un tratto l’impressione di poter riagganciare i due sudamericani e difendere la piazza d’onore, ma al prezzo di uno sforzo pagato carissimo negli ultimi 1500 metri. Fortuna per l’australiano che il più serio aspirante al podio, Michele Scarponi, abbia faticato ancora una volta più del previsto sul terreno a lui più congeniale, riuscendo soltanto nel finale a scavalcare Cadel, e senza mai attentare seriamente alla terza piazza virtuale.
In mezzo ad una tormenta che ha conferito un tocco epico alle ultime pedalate, Nibali ha costruito un margine di 32’’ nel giro di 2 km, scemato soltanto quando il siciliano si è concesso il meritato arrivo a braccia alzate, mentre i colombiani, divenuti tre con il rientro di un sorprendente Fabio Duarte, si giocavano la piazza d’onore in una volata vinta proprio dall’alfiere Coldeportes. 3°, a 19’’ dal vincitore e a 2’’ dal compatriota, Rigoberto Uran ha comunque scalato un gradino del podio, issandosi alle spalle della maglia rosa, staccato di 4’43’’; altri 2’’ più tardi ha tagliato il traguardo Betancur, ancora costretto a rinviare (a questo punto almeno all’anno prossimo) l’appuntamento con il primo successo in carriera al Giro. Per lui la consolazione della maglia bianca, strappata in extremis a Majka (10° a 1’04’’), e del 5° posto finale, reso tuttavia agrodolce dal pensiero di cosa sarebbe potuto diventare se il tempo fosse stato più clemente negli ultimi due giorni.
Alle loro spalle, uno strepitoso Fabio Aru ha chiuso 5°, davanti a Pellizotti, Pozzovivo, Caruso e Atapuma, mentre Evans, commovente nel suo versare ogni goccia di energia sull’asfalto, lottando contro l’età che avanza e una condizione in picchiata rispetto ad inizio Giro, ha alla fine concesso 1’30’’ a Nibali, ma soltanto 16’’ a Scarponi, salvando per 56’’ la terza piazza. La giornata no della Lampre è completata dalla non entusiasmante prova di Niemec, scavalcato da Betancur e ora 6° in generale, appena davanti a Majka. Completano la nuova top 10 Intxausti, Santambrogio e Pozzovivo, al quale fa spazio un Sanchez più indecifrabile che mai, crollato ad oltre 2’ dopo la splendida cronoscalata e il lavoro comandato ai suoi per quasi tutto il giorno, superato anche da Pellizotti.
Soltanto incidenti e contrattempi potrebbero modificare la graduatoria domani, quando il Giro ritroverà pianura e temperature più miti dirigendosi verso Brescia, per una passerella che potrebbe consentire a Cavendish di riappropriarsi della maglia rosa, passata oggi sulle spalle di Nibali. Non crediamo che Vincenzo, nel caso, farà drammi, dopo aver regalato a se stesso un Giro, e al Giro un finale all’altezza.

Matteo Novarini

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