L’UOMO CHE HA SFONDATO IL CIELO: BOONEN RACCOGLIE LA QUARTA PIETRA

aprile 9, 2012
Categoria: 4) PARIGI - ROUBAIX, News

Boonen contro tutti, Boonen più di tutti. Tom coglie l’istante e si lancia in una cavalcata solitaria, intangibile, irraggiungibile, mentre avversari (e compagni) precipitano in un inferno di sconcerto, confusione, discordia, cadute e rotture. Unico nella storia a duplicare la doppietta della pietre Fiandre-Roubaix, affianca De Vlaeminck con il record di quattro Roubaix conquistate. Finora.

Foto copertina: Boonen lanciato verso la sua quarta Roubaix (foto Bettini)

Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Tom Boonen. La citazione è e resta blasfema, ma merita di essere scomodata per celebrare l’ingresso di Tommeke tanto nel velodromo di Roubaix come nel mito del ciclismo. Ottanta minuti di interminabile solitudine. Ottanta minuti fatti di pura magia, quando la bicicletta del fiammingo galleggia sul pavé, con la schiena del campione – perfettamente allineata al suolo – che non registra più nessuna delle tremende vibrazioni assorbite dalle braccia e dagli addominali; ma ottanta minuti fatti anche di sofferenza, quando le gambe stantuffano, la bocca si spalanca, il motore batte in testa e perfino il re delle pietre cerca disperato un corridoio di terriccio ed erba.
Ottanta minuti della violenza totale ed assoluta che si esercita nel ciclismo, senza alcun contatto fisico con l’avversario: Boonen distrugge da solo, se non perfino tutto il gruppo, quantomeno i quattordici più immediati inseguitori. Li distrugge nell’animo, con il veleno di una distanza minima, misurabile in secondi, eppure incolmabile; li distrugge nelle gambe, imponendo a se stesso, e di riflesso a loro, un ritmo martellante; li distrugge nella mente, obbligandoli a giochi tattici che finiscono per fondarsi sull’assioma della sconfitta.

Boonen oggi batte anche il convitato di pietra, Fabian Cancellara. L’avversario più duro da battere, perché nello sport a volte si rovescia l’aurea regola sugli assenti che hanno torto, e viceversa gli assenti finiscono spesso per ammantarsi di una perfezione che la realtà complicherebbe non poco. Un Cancellara assente, a rigor di termini, non può essere staccato, messo in mezzo, mandato allo sbaraglio, insomma non può essere, nei fatti, battuto. Il Cancellara fortissimo del 2011 non ha vinto né il Fiandre né la Roubaix, ma tutti giurerebbero che il Cancellara ugualmente fortissimo del 2012 le avrebbe vinte entrambe, certamente! Ecco come mai i fantasmi sono sempre gli avversari più acerrimi. D’altro canto la grandezza di Boonen nasce anche dalla compresenza storica di un grande avversario: il paradosso a cui si potrebbe giungere è che Boonen finisca per essere riconosicuto come il più grande di sempre sul pavé, e nondimeno Cancellara come il più forte corridore da pietre di questa generazione.
Oggi però Tom, con un vero miracolo, sconfigge anche Fabian. Non lo sconfigge – o non solo – perché allunga il passo negli albi d’oro, che da soli dicono poco (anche se di fronte a un albo d’oro così rotondo…); e nemmeno lo sconfigge per aver lanciato se stesso come una pietra qualche chilometro più lungi di quanto fece lo svizzero; il punto non è neppure che Cancellara scappò via di furbizia, approfittando di distrazione e complicità con atleti di altre squadre, mentre Boonen se ne va squadernando in faccia a tutti una plateale follia.
Il punto è che il fianco alla “sconfitta” lo prestò proprio lo svizzero, strillando ai quattro venti la propria insoddisfazione per il fatto che tutti gli altri “gli corressero contro”. Tommeke oggi ha suggerito una soluzione. Osare l’improponibile, senza mai aver lamentato le occasioni perse – spesso a vantaggio di compagni di squadra! – a causa del fatto di essere faro della corsa.

La cronaca è essenziale e brutale. C’è una fuga del mattino, con poche conseguenze. Cadute e ventagli qui e là denunciano un Pozzato un po’ distratto, spesso in pancia al gruppo, ancora non sintonizzato con il ruolo che lo dovrebbe vedere duellare alla pari con Boonen. Arenberg è condotta a gas spalancato dall’Omega, con un Chavanel in bello spolvero. “Modesti” gli esiti, si fa per dire, vale a dire gruppo ridotto a una trentina di unità. Da qui si dipartono un paio di tentativi, il primo con i nomi pesanti di Flecha e Ballan, poi entrambi in predicato di approdare sul podio fino agli ultimi metri di gara: mettono la testa fuori molto presto, ai -80km, forse troppo presto: c’è aria di gambe pimpanti, certamente, ma anche di complesso di inferiorità, di ansia di anticipare, sottraendosi allo scontro diretto, quel che è peggio di relativa sfiducia da parte delle rispettive squadre, anzi squadrone. I fatti confermeranno poi tristemente questa ipotesi, molto curiosamente in entrambi i casi per cercare di tutelare un capitano norvegese seppure a discapito dei marinai mediterranei; sfidando, in un caso come nell’altro, l’evidenza delle gare precedenti sui reali rapporti di forza tra i corridori. Nell’azione entra l’avventizio Casper, poi due uomini che mostreranno bella gamba fino in fondo, pur frenati da alterne vicende, come Ladagnous e Wynants, e infine un altro personaggio da podio, per quanto decisamente più improbabile degli esperti Flecha e Ballan, ovvero il sorprendente francese Turgot della Europcar.

Ricondotti all’ordine questi ammutinati, l’Omega Quickstep tesse la propria tela tattica lanciando in avanscoperta Chavanel in un peculiare assalto quasi tutto transalpino: ci riprovano Ladagnous e Turgot, e c’è anche Mangel. L’unico intruso è Schar della BMC, lo squadrone ha già lavorato duramente e inizia ad andare in affanno. Chavanel dovrebbe essere la testa di ponte per un attacco di Boonen già programmato, ma sul pavé di Orchies proprio Chavanel fora, e contestualmente Turgot allunga restando per un po’ a faticare solo al comando. Ben presto però il piano Omega prenda forma nonostante l’imprevisto occorso al campione nazionale di Francia: Boonen allunga, e Pozzato sembra aver fatto scintillare il proprio innesco, accodandosi prontamente in bella scioltezza al belga. In un rimescolamento delle medesime carte del Fiandre è ora Ballan a rientrare prepotente, con sulla coda l’incomodo ingombro di Terpstra, gregario d.o.c. di Boonen. Un quartetto delle meraviglie in cui l’estraneo sembra Turgot (che alla fine, come vedremo, troverà perfino il secondo posto nell’uovo di Pasqua).

Il problema è però che Boonen scalpita, vuole cementare il vantaggio, così – intorno ai meno 57km al traguardo – dà una bella frustata assieme al compagno. Qui il primo istante decisivo: Pozzato fa per seguire, ma d’un tratto si ferma e fa il buco; vuole che chiuda Ballan, rientrato però da poco, e tartassato nell’auricolare da un direttore sportivo che pretende un atteggiamento passivo in vista del rientro di Hushovd, appiedato da una foratura e poi cascato. Ma tant’è. Incombe anche l’armata Sky che accorre in forze. L’incertezza dei due italiani è fatale: la tragica, incofessabile verità, è che probabilmente i due, e non solo loro, hanno pensato che la mossa di Boonen fosse suicida, che si trattava di mandarlo a cuocersi per bene, lessando nel frattempo anche l’ultimo gregario a portata di mano.
E in effetti questa ultima parte del ragionamento non fa una grinza: Terpstra deve incaricarsi di una serie di menate a fondo per dilatare il vantaggio almeno oltre i venti secondi, per uscire da mirino insomma, ma così facendo finisce ben presto in acido lattico, nonché in clamoroso debito d’ossigeno sul primo tratto in pavé in cui la coppia incappa (c’è forse di mezzo un problema meccanico?). Boonen è solo.
Qui però subentra il colpo di classe del campione fiammingo: saggiata la gamba, decide di giocarsi il tutto per tutto. Sono bastati frazioni di secondo per leggere la psicologia della gara: avversari già propensi a bisticciare tra loro per un piazzamento, squadre confuse e divise al proprio interno. Rimanere invischiato in quella melassa significherebbe fare la fine di Fabian in versione Roubiax 2011. Meglio, se proprio si deve “finire”, l’abito di scena del Cancellara del Fiandre 2011. Quel che là dietro sperano tutti è che anche il finale dell’opera coincida, con il fuggitivo spiaggiato dopo un oceano di chilometri solitari.

Boonen però si gestisce, non si fa prendere dall’isteria di gonfiare il minutaggio per scioccare e terrorizzare. Procede regolare, rosicchiando un secondo alla volta, rimanendo in pareggio per interminabili tratti, sfidando l’ansia nei momenti in cui il margine si erode. Solo con se stesso, con le pietre, con il vento che soffia veemente. Grande alleato dei fiamminghi, il vento. Stopper d’eccezione al Fiandre, qui invece quando non arriva dalle spalle a sostenere il fuggitivo, è più spesso, molto più spesso, laterale. Vale a dire la tipologia di vento che più di ogni altra compromette il vantaggio di correre in gruppo. Col vento di taglio si sta a ruota, illusoriamente convinti di star risparmiando, ma lavorati duramente ai fianchi da quell’aria che ti consuma.

Si compone un gruppo di inseguitori là dietro, senza Pozzato però: il vicentino casca in curva e chiude la propria gara, dolorante e demotivato. Come anticipato c’è un robusto contingente Sky, quasi un terzo del totale del gruppetto con Stannard, Hayman, Flecha e Boasson Hagen. C’è una bella rappresentanza italiana, con Ballan, Paolini, ancora in notevole evidenza (specie per lo standard offerto quest’anno dal suo team in queste gare), l’inossidabile Tosatto e un Guarnieri in potenziale evoluzione. Ci sono un paio di Rabobank, cioè Wynants e Boom, quindi i francesi iperattivi già in precedenza, Ladagnous e Turgot, il campione uscente Vansummeren (prova dignitosa e poco più), infine, fondamentale, un Trepstra che correndo sulle ruote ha modo di riprendersi. Tutti pretendono, comprensibilmente, che lavorino gli Sky.

E gli Sky lo fanno, ma nel modo peggiore. Forse pensando di sfruttare al meglio le caratteristiche di Stannard e Hayman, vengono realizzate lunghe trenate solitarie, invece che una rapida rotazione. Così, in pratica, il vantaggio del numero si annulla, riducendo la prova a un paio di “uno contro uno” dove però la teorica possibilità degli anglosassoni di consumarsi a fondo non compensa la maggiore qualità di Tommeke. Risultato, quasi algebricamente, un incremento sgocciolante ma emorragico del vantaggio. Se a questo aggiungiamo le fasi di negoziazione con i Rabobank, decisissimi a fare corsa in due senza sacrifici dell’uno o dell’altro, ma tra gli stessi Sky un Hayman che in realtà pure lui va di conserva (arriverà nel gruppetto, sei minuti prima di Stannard!), un Boasson Hagen che o viene tutelato in quanto è al gancio (ma allora che cosa si spera, che arrivi fino alla volata?), o è al gancio tout court, però in tal caso per un paio di sparate sull’asfalto lo si poteva anche spendere, invece che tenerlo lì a zavorrare il gruppo fino a che non si staccherà penosamente. Insomma: è quasi un miracolo che Boonen non prenda il largo.
Quello che colpisce dell’impresa di Boonen è che essa non si è sviluppata su canoni e linee che solletichino immaginazioni paranoiche di motorini o doping fantascientifici: la smentita può essere dietro l’angolo, è chiaro, ma nel guardare la corsa in sé risulta sorprendente la maniera implacabilmente “naturale” con cui ha preso forma un esito straordinario. Si è trattato di scelta di tempo, di temerarietà, di lettura azzeccata delle dinamiche di gara, di gestione oculata. Non di uno strappo violento e irresistibile, né di una cavalcata a velocità inumane.

Irritato forse dalla condotta dei compagni, o magari nell’ambito di uno schizofrenico tentativo di cambiare il corso delle cose, un allungo di Flecha romperà il gruppo in due ai -27km, ma l’unità poi si ricomporrà per iniziativa di Terpstra: arguta intuizione, unirli per dividerli. Tre o quattro capitani pari grado che collaborino potrebbero avvicinarsi a Boonen più pericolosamente che non un gruppo folto e asimmetrico, dove ognuno si aspetta che lavori qualcun altro. Conferma eminente quando sul Carrefour del’Arbre Boom con pedalata mostruosamente fluida rientra da un cambio bici per foratura e trapassa il gruppo, tirando dritto e portandosi dietro Ballan e Flecha, oltreché Ladagnous che però forerà (come dietro Guarnieri): per la prima volta il vantaggio di Tom cala.

Ma il traguardo è troppo vicino, e il trio inizia a tirare indietro la gamba pensando a giocarsi i piazzamenti. Tanto la tireranno indietro che mentre Boonen sta già celebrando, i suoi tre più valorosi opponenti vengono ripresi, in pieno velodromo e in pieno cincischiamento, da Turgot e Terpstra. Il francese avrà così modo di soffiare la seconda piazza, battendo Ballan in uno dei fotofinish più stretti mai visti qui. Un ex aequo sarebbe stato d’uopo, ma dopotutto… siamo in Francia! Queste però sono le briciole, seppur briciole d’oro, che valgono una giornata di dolore e sudore, quindi tutto fuorché disprezzabili, come il bei piazzamenti di Paolini (11.o) e Tosatto (7.o).

Cocente sconfitta per le “celestiali” schiere Sky, sfondate e sbriciolate dallo strapotere tecnico di Boonen: una giornata di gran forma collettiva (ripetiamolo, quattro uomini nella dozzina o poco più che “si giocava”, tra virgolette visto l’atteggiamento, la gara) si traduce in una gestione deludente dell’uomo più in forma, poco appoggiato e parso quasi battitore libero, vale a dire quel Flecha che per sue caratteristiche non farà nemmeno podio. Hayman ottavo, e poi bisogna sfilare oltre il quarantesimo posto per raccogliere i cocci.

Ma la nostra memoria, oggi, non riterrà numeri, statistiche e strategie; semmai conserverà per sempre l’immagine di Boonen librato al di sopra delle gabbie tattiche, del “correre contro”, del “tenersi per”, liberatosi da tutto e da tutti grazie alla scelta pazza di rinunciare al proprio punto di forza (cioè quell’attesa della volata che l’avrebbe magari intrappolato), per mettersi in gioco in un tutto o niente, corsaro solitario nel mare polveroso delle pietre. Dal folle volo, all’olimpo del ciclismo.

Gabriele Bugada

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