UN FIANDRE PER TRE. TOM FA TRIS FRA I TRICOLORI

aprile 2, 2012
Categoria: 3) GIRO DELLE FIANDRE, News

Il duello che tingeva di leggenda questo Fiandre nuovo di zecca si infrange con la clavicola di Cancellara, ruzzolato al rifornimento. Conquistare la gara sembra allora una mera formalità per Boonen, affiancato da una squadra impressionante. Ma i rinati Ballan e Pozzato si dimostrano indomiti, oltreché i più forti in campo, e mettono all’angolo il campione belga: non riescono però a evitare lo sprint, dove Tommeke impone la propria legge di predestinato.

Foto copertina: il podio del Fiandre 2012 (foto Bettini)

L’epica di Cancellara è, quasi per suggestione dello stemma nazionale che veste, quella di un eroe crociato: determinato, poderoso, a tratti perfino prepotente, circonfuso da un alone di integrità e di etica della dedizione che a stento lasciano intravedere lo spettro di qualche ombra. Dà sempre la sottile impressione di essere convinto che Dio, o quantomeno la Giustizia, siano schierati al suo fianco.

Boonen invece sembra uscito dall’epica greca. Un semidio predestinato alla gloria, apparentemente invulnerabile: fulminante allo sprint, incrollabile sul passo, travolgente sulle pendenze aspre dei muri. Come gli dei e gli eroi greci, però, è platealmente afflitto dal vizio, dalla disgrazia, dal capriccio. Qualcuno vedendolo passare da invincibile fenomeno a bersaglio giustiziato poteva ricordarsi di Achille, e della scelta di una carriera rapida, gloriosa e brevissima, in luogo di una longevità all’insegna della moderazione. Oppure pensare a Giasone, conquistatore del vello d’oro, precocemente passato dalla professione di eroe a quella di donnaiolo.

Oggi però, nel sacrilego teatro di un Fiandre riveduto e mutato, gli dei numerosi e dispettosi (invidiosissimi poi degli uomini che si credono “tutti d’un pezzo”) che affollano l’Olimpo greco hanno decisamente prevalso sulla predestinazione calvinista che avrebbe voluto Cancellara trionfatore e santo ancor prima di partire.

Al rifornimento dei 63km all’arrivo il povero Fabian si schianta al suolo, e il danno appare subito irreparabile: anzi, le notizie del dopo corsa annunciando una frattura in tre punti della clavicola decreteranno pure l’assenza dello svizzero dalla Roubaix. Quando sono gli dei ad abbatterti, non è prevista rivincita. Almeno a breve, perché per fortuna, trattandosi di una “sorte funesta” comunque tutta sportiva, ogni stagione è spesso capace di riavviare da capo la storia, e guardiamo già con aspettativa al riproporsi del grande duello l’anno venturo.

Fino a questa svolta decisiva si era vista la più tipica, corposa fuga del mattino, entro la quale si segnalavano Farrar e Belletti, due velocisti in cerca di una nuova dimensione. Poi un tentativo più serio all’approccio con i muri, sul Molenberg: se ne vanno in sei tra i quali spiccano Hayman (Sky), Vaitkus (GreenEdge) e Boom (Rabobank). Quest’ultimo verrà in seguito messo fuori gioco da una foratura nel momento sbagliato, all’attacco di un muro. La fuga però è presto rintuzzata da Boonen e dai suoi uomini.

La gara in effetti sarà a lungo connotata da un andamento privo di guizzi, con l’Omega Pharma-Quickstep e Cancellara, ben supportato da Bennati e Rast, a lasciare ben poco spazio ai tentativi che si succedevano di volta in volta. Anche dopo la caduta di Cancellara, basterà la sola Omega, superlativa, a blindare la gara fino ai giri finali. Tra gli affondi da segnalare ricordiamo quelli di due uomini BMC indecorosamente sottoforma, Gilbert (che però forse programma una stagione sbilanciata sul secondo semestre) e Hushovd. Altre opzioni, che avrebbero dato spazio a giochi tattici interessanti, proprio come la sortita a sei di cui sopra, sono state prontamente abortite, sia che ci provasse Vansummeren per la Garmin, sia che fosse Leukemans per la Vacansoleil (alla fine sarà lui il capitano, e non uno spento Devolder). La solidità della squadra di Boonen concretizza una deterrenza che spegne la gara: d’altronde pensiamo che l’OPQS alla fine piazzerà tre uomini nei primi dieci, e tutti i non ritirati alla peggio nel gruppo principale, a meno di un minuto.

Difficile dunque emettere un verdetto sul nuovo percorso: certamente l’apertura tattica e la selettività si sono dimostrate carenti, se pensiamo oltretutto che dietro ai tre dominatori di giornata è arrivato un gruppone di una cinquantina di unità con circa un minuto di distacco. Il bel tempo dell’ennesima primavera fiamminga in salsa mediterranea, però, ci ha messo del suo. Altresì probabilmente la novità del percorso e il desiderio di arrivare allo scontro frontale Boonen contro Cancellara ha indotto i due squadroni a sigillare la gara quanto più fosse possibile, stroncando ogni velleità creativa sul piano tattico. L’altra faccia della medaglia è che, con l’attenuante della difficile interpretazione di un tracciato nuovo, gli altri team non si sono dimostrati molto all’altezza, eccezion fatta per la Farnese se vogliamo. Le altre squadre hanno vissuto di performance dei singoli – sia pure eccezionali – e poco più. A proposito di wild card, molte delle scelte degli organizzatori hanno portato a ritiri quasi massivi, nonostante un’edizione non certo da tregenda: indecorosa la Net App che speriamo di vedere meglio al Giro, male la Argos-Shimano, malissimo le formazioni di casa Willems Veranda’s e Topsport Vlaanderen. Curiosamente si rinfaccia – giustamente! – il campanilismo agli organizzatori italiani, ma nessuno apre bocca quando le conseguenze nefaste di scelte di basso profilo si registrano altrove.

Più della tattica poterono le cadute: oltre all’eliminazione clamorosa di Cancellara, se ne va allo stesso modo anche un altro dei possibili favoriti, Langeveld, incocciando con uno spettatore sciagurato che gli taglia la strada a pochi metri. E qui Pozzato se la scampa con un numero di notevole abilità. Più tardi, un’azione potenzialmente decisiva sul penultimo Paterberg verrà propiziata dallo schianto di Vansummeren all’imbocco della salita!

Prima di arrivare lì, tuttavia, si era visto un bel forcing di Vanmarcke per la Garmin sull’Oude Kwaremont, col solo effetto però di allungare il gruppo creando le condizioni per un allungo di, guarda caso, un compagno di Boonen, ovvero Chavanel, nel falsopiano con cui culmina questo muro. L’azione di Chavanel darà adito a sua volta all’anticipo di Jerome dell’Europcar, Flecha per la Sky (attivo a dispetto del recentissimo recupero da una frattura) e un altro corridore che ha firmato un Fiandre di altissimo livello, vale a dire Paolini. Dopo il pasticcio del Paterberg a questo gruppo si uniranno un pugno di uomini, formando così un gruppetto di undici dove per l’Omega abbiamo ben tre rappresentanti, il capitano Boonen con gli scudieri più accreditati, Terpstra e Chavanel; ci sono anche Pozzato, Ballan e Paolini. Questi sei finiranno poi, dopo altre traversie, in una top ten che si caratterizzerà pertanto in due sensi molto chiari: il predominio della squadra di Boonen, e – finalmente – la grande gara, anche senza vittoria, degli italiani. Abbiamo inoltre Vanmarcke, Jerome, Flecha, Iglinsky e… Peter Sagan.

Parlando di predestinati dagli dei, non possiamo omettere una citazione per il fenomenale slovacco, alla fine quinto, battuto solo da un Van Avermaet che oltre ad essere comunque veloce aveva condotto fin lì una gara in difesa. Invece Peter, pur direttamente coinvolto dalla caduta di Vansummeren, si riporta in solitaria con un’azione mostruosa sul gruppetto di testa. Senza dubbio uno dei gesti atletici più significativi di questo Fiandre, anche se le telecamere ce ne regalano solo la conclusione. Per dare un termine di confronto basti pensare che due atleti di qualità indubbie e apparsi oltretutto decisamente in condizione come Gatto e Boasson-Hagen non riusciranno, pur in coppia, nella medesima impresa. Il problema è che la mossa si rivelerà un dispendio inutile, visto che le carte si rimescoleranno nella parte pianeggiante del circuito, complice il gran lavoro là dietro del Team Sky (esito finale? Boasson Hagen diciannovesimo, miglior piazzato del team; e di qui un giudizio complessivo comunque non lusinghiero). Tornando a Sagan, il suo quinto posto, vale a dire la “sconfitta” per mano di Van Avermaet, consegue anche a un altro pazzesco inseguimento solitario, qui comprensibilmente senza fortuna, quando il giovane slovacco aveva tentato di tornare, sempre in solitaria, sul trio di testa. Una forza fisica e mentale impressionante, che andrà condita con la giusta dose di esperienza per massimizzare i risultati. Ma forse a quest’età è ancora più importante dare il massimo che massimizzare…

Giungiamo così all’accoppiata decisiva dei due muri finali con una situazione tuttora fluida e indefinita, un gruppo intorno alle trenta unità molte delle quali però duramente provate dall’inseguimento sul gruppetto selezionatosi per la caduta di Vansummeren.

Qui finalmente il Fiandre si infiamma, e assistiamo a due gesti tecnici eclatanti. Ce li offrono due corridori italiani, entrambi, come in una vera narrazione epica, “rinati”: Ballan tornato a correre le “sue” gare, dopo le assurde sospensioni cautelative da parte del team per via dell’inchiesta che, quest’anno per l’ennesima volta, tira fuori il naso sui giornali guarda caso alla vigilia della campagna nord. Pozzato, rientrato a tappe forzate da una improvvida frattura della clavicola, dimostrando però in questo modo di aver trovato una mentalità che gli mancava, grazie pure a un ambiente in Farnese ben diverso da quello conflittuale vissuto in Katusha l’anno passato.

Ballan fionda una progressione devastante sul Kwaremont. E fa il vuoto. Apre una voragine. Sembra che nessuno sia in grado di colmarla, ma ecco risalire perfettamente composto Pozzato. Ballan intuisce l’importanza di un’azione congiunta e non forza. Il guizzo di Pozzato è stato peraltro repentino e agilissimo, difficile a dirsi se Ballan avrebbe potuto fare altrimenti.

Dietro Pozzato, però, fiammeggia l’aura di Tom Boonen. Il fiammingo è l’unico capace di affiancarsi a questo duo di campioni ritrovati, che arrampicandosi lungo le rampe ciottolate del Kwaremont risalgono prepotenti verso l’empireo del livello tecnico che loro compete.

Il trio è fatto, la gara decisa. Pozzato e Ballan sono due grandi, ma che effetto farà loro correre al fianco di chi ormai è una leggenda vivente? Entrambi l’hanno già vissuto alla Roubaix: Pippo fu l’unico capace di inseguire la cavalcata trionfale di Boonen nel 2009, e Ballan nel 2006 fu con lo stesso Boonen e Cancellara protagonista di un trio delle meraviglie consimile a quello odierno.
Davvero ricordiamo l’Iliade, la grande guerra dove – per l’ultima volta? – gli uomini combatterono al fianco degli dei. Diomede che ferisce il dio Marte… Questa era la nostra speranza vedendo i due grandi eroi umani, troppo umani, al fianco del semidio delle pietre.

Vedere collaborare quei tre per distanziare gli inseguitori ha lo splendore ritmato degli esametri immortali. Prima sfida: il Paterberg. I due italiani, qui forse più Pozzato, colpiscono duro.
Boonen vacilla.
Non crolla.

Ora la gara è atroce. Le forze vengono meno. Un solo copione è scritto: Ballan costretto ad allungare, troppo lento in volata. Boonen costretto a chiudere sempre e comunque, troppo veloce in volata.
Per Pozzato due opzioni: provare a inserire un contropiede su uno degli attacchi di Ballan, oppure attendere la volata senza sforzi supplementari, in modo di incrementare al massimo il differenziale di freschezza contro Boonen.
In televisione sembrano entrambe buone, forse quasi meglio la prima. Però sulla strada c’è un grande vento contro, e Boonen in intervista gli renderà grazie. Ancora una volta un dio greco, stavolta Eolo, dalla parte del predestinato. Dunque meglio la seconda scelta, perché un attacco col vento in faccia ha meno chances, e viceversa in una volata con vento sfavorevole è privilegiata la freschezza, che dal Paterberg Pozzato sa essere dalla sua. Ancor più se mentre Boonen fatica, lui si “riposa”.

Ballan attacca. Una volta, due, tre. Inevitabile in questa storia di terne (il terzetto all’attacco, il pregiatissimo terzo Fiandre per Tom, nella storia lui e altri tre, tra cui Magni). Tre volte, numero del mito. Ma Eolo si oppone.

Con calzari alati e denti digrignanti i due uomini più rapidi volano in volata, Ballan si immola per lanciarla. Ma nonostante ogni calcolo, Boonen è fulminante. Pozzato perde di poco. Qualcuno vede un’incertezza sul rapporto impostato: dio è nei dettagli? Paura di vincere? Destino?
Non lo sapremo mai. Quel che è certo è che per noi hanno vinto tutti e tre. E lo diciamo col cuore, anche se forse non saranno d’accordo Filippo e Alessandro (omonimi di due grandi greci, tra l’altro: ma già grandi della Storia e non più della leggenda).
Però cavalcare a fianco di un dio, sfidarlo, quasi piegarlo… è comunque una vittoria. Ettore non è morto quando Achille gli ha inchiodato la lancia in gola, è diventato immortale.

Per mera cronaca, la volata dei comuni mortali: vinta da Van Avermaet su Sagan (comune mortale?), indorando ulteriormente la gara BMC, sulla quale però pesano gli opachi Gilbert e Hushovd. Ottimo settimo, alla fine, Luca Paolini: ancor migliore del risultato la sua condotta di gara.

Gabriele Bugada

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