VALVERDE STORY – CAPITOLO 23: SUL MAS DE LA COSTA L’ULTIMO SQUILLO ALLA VUELTA

dicembre 19, 2022 by Redazione  
Filed under News

La chiamano “maledizione della maglia iridata” perché spesso chi conquista il mondiale poi l’anno successivo è protagonista di una stagione deludente. Anche Valverde non fa eccezione perché nel 2019 termina lontano dai primi le classiche nelle quali solitamente furoreggiava ed è costretto a saltare il Giro a causa di una caduta in allenamento. Ma il suo bilancio di vittorie è comunque in attivo grazie a 5 affermazioni, sulle quali spiccano i campionati nazionali, che vince per la terza volta in carriera, e la tappa della Vuelta con arrivo in vetta alla breve ma arcigna salita del Mas de la Costa: sarà il suo ultimo successo alla corsa di casa, che lo vedrà comunque tra i protagonista perché giungerà a Madrid in seconda posizione, a 2′33″ da Primož Roglič.

30 agosto 2019 – 7a tappa: Onda – Mas de la Costa

UN QUARTO D’ORA PER RESTARE IN QUATTRO: E UN INFINITO VALVERDE INFILA TUTTI

Il muro tremendo di Mas de la Costa, dominato da Quintana, riduce a quattro i pretendenti per questa Vuelta, dopo meno di una settimana. Valverde finalizza vincendo la tappa. Ma la tragicommedia Movistar inanella un’altra puntata.

Quasi dodici mesi fa alla Vuelta l’emblematica ascesa ai Lagos de Covadonga concludeva la seconda settimana con quattro contendenti per la classifica generale racchiusi in meno di un minuto: in ordine sparso, tre di essi sono gli stessi che fanno a spallate sulla lingua di cemento del modernissimo muro di Mas de la Costa, mentre il resto del gruppo arranca distanziato.
Oggi, alla tappa numero sette, il quartetto che si accalca in cima alla classifica generale è compresso in meno di mezzo minuto, mentre il resto del mondo è ancora più lontano: a due o tre minuti i rivali più prossimi. Una Vuelta dal tracciato più creativo e finora assai vivace ha scremato molto prima dell’abituale le figure di spicco.
I corsi e ricorsi storici non si fermano qui: nella sezione più dura dei Lagos, la Huesera, fu Quintana a forzare la selezione riportandosi su un pimpante Superman López, allentando però il ritmo nel prosieguo per consentire il rientro a un Valverde in affanno. E oggi, per l’ennesima volta, assistiamo a un Quintana che appare il più forte in salita ma che al dunque decide di rispettare il compagno in momentanea difficoltà, nonostante il ben diverso trattamento che – a parti invertite – gli è stato riservato giusto l’altroieri.
Rispetto all’anno scorso, manca l’infine vincente Simon Yates, sostituito da Roglic nel ruolo di contendente non ispanofono: Roglic non veste ancora il rosso del leader, riconquistato ora per la terza (sì, la terza!) volta in appena una settimana da Miguel Ángel López, ma già guarda alla crono di martedì prossimo come a un buono pesante per riscuotere minuti di vantaggio. Quel che viene da chiedersi è se la Movistar riuscirà anche questa volta nella poco invidiabile impresa di far uscire dal podio entrambi i propri atleti come fece nel 2018.
Quest’anno i dubbi su tattica e forma vengono acuiti da una gestione della comunicazione a dir poco scellerata: dopo un Tour de France grottesco per disunione e relativa povertà di risultati, ci troviamo con Valverde che, alla quinta tappa, attacca sfacciatamente il compagno Quintana, per poi indicarlo in sede di intervista come il capitano designato, mentre questi replica a mezzo stampa un paio di giorni dopo che il team manager Unzué ha incoronato proprio Valverde come leader nella tipica riunione sul bus di squadra.
Con queste succose premesse, si direbbe che la telenovela Movistar sia eterna, interminabile, infinita almeno quanto il proprio uomo simbolo, etichettiamolo così, quell’Alejandro Valverde che, in maglia da campione del mondo all’alba dei trentanove anni, sigla oggi il record assoluto di longevità fra la prima e l’ultima tappa vinta in un Grande Giro: sedici anni intercorrono fra la sua prima frazione conquistata alla Vuelta 2003 e l’affondo odierno, scavalcando di un colpo Coppi e Bartali – dici poco! – che prima guidavano appaiati questa speciale graduatoria avendo vinto tappe a quindici anni di distanza. Tanto per capirci, rimanere più o meno sulla cresta dell’onda per dieci anni, come un Contador, è già uno standard notevole per un professionista, e perfino un atleta sportivamente assai longevo come il da poco scomparso Felice Gimondi vede le proprie prima e ultima vittorie di tappa separate da una forchetta di “appena” undici anni. E non è detto che Valverde si fermi qui…
Venendo alla cronaca di giornata, va sottolineato che il tracciato era ben diverso da un biliardo con rampa di garage finale: la presenza di altre salitelle e di segmenti assai tortuosi ha stimolato la formazione di una fuga di grande spessore, con una decina di uomini fra cui spiccavano collaudati cacciatori di tappe come Marczyinski o Brambilla, un potenziale uomo da generale come Henao o un fenomeno a tutto tondo come Philippe Gilbert. Saranno questi ultimi a emergere, per poi vedersi travolti dal gruppo lanciato come un missile sull’ascesa finale. Gilbert, va detto, sembra dedito a preparare il Mondiale, più che altro, con fucilate sugli strappi e progressioni da manuale dell’allenamento d’intensità.
Tutto ciò non resta però senza conseguenze più globali: il gruppo, interessato a contendersi la tappa, deve imporsi un passo devastante, ancor più letale fra atleti tartassati dalle cadute di ieri (Formolo abbandona prima del via, Van Garderen a tappa in corso), e in men che non si dica arriva a contare una trentina scarsa di unità. Astana e Movistar si alternano alla frusta, con qualche puntuale apparizione dei Jumbo-Visma. La velocità impressa su stradine spaccagambe fa schizzare la tensione e la fatica alle stelle. La maglia rossa di Dylan Teuns, pure specialista di muri impossibili, evapora già sul penultimo Gpm.
Chi mostra di aver poca paura è Roglic, che comanda al suo Sepp Kuss, il giovanissimo e promettente statunitense che finalmente rivediamo ad alto livello, un approccio furioso al muro: in un attimo il gruppo dei migliori nonché ormai gruppo di testa si riduce a una decina di unità, peraltro accaparrate da pochissimi team. Roglic con Kuss e Bennett per la Jumbo, Valverde, Quintana e Soler per la Movistar, Superman López e Izagirre per la Astana, Majka da “isolato” per la Bora, quindi il baby fenomeno Pogacar per la UAE Emirates, squadra che vedrà pure il successivo rientro di Aru, dapprima subito in apnea, poi in agonizzante recupero. Chi qui non c’è, perderà minimo minimo un minuto e venti, come il forte scalatore Óscar Rodríguez della piccola Euskadi-Murias (nel 2018 aveva conquistato La Camperona, altro muro infernale). Un Chaves, capitano della Mitchelton-Scott, regolandosi anche grazie all’aiuto di Nieve, perderà “solo” un minuto e quaranta, poi i distacchi degli altri viaggiano sui due minuti e via via oltre: meno di venticinque atleti staranno sotto ai cinque minuti di distacco, un’enormità per una ascesa che ne dura quindici.
Il merito, come detto, è del resto del tracciato, oltreché dell’attitudine in corsa di alcune squadre e in particolare di alcuni atleti: prima i fuggitivi, poi, al dunque, Nairo Quintana, che aspetta seicento metri scarsi e poi apre il gas. E la gara è finita per (quasi) tutti: come anticipato, di dieci ne restano quattro. Tanti saluti ai gregari e ai virgulti (per questioni di esperienza e peso specifico, non contiamo come tale Superman López, anche se tecnicamente è ancora in lizza in quanto “miglior giovane”!).
Quintana accelera, poi spinge, scatta, spunta, allunga, insomma da l’impressione di voler torturare a morte tutti i rivali, compreso quello in famiglia, Valverde. Ma quando il murciano è il primo a mollare botta a tutti gli effetti, Nairo sospende le ostilità. Negli ultimi anni ne ha passate di tutti i colori in casa Movistar, non ultime le vicende dell’ultimo Tour, con il fallimentare tridente riproposto contro le sue espresse richieste e con bisticci insensati al termine dei quali, stringi stringi, l’unico a portare a casa la pagnotta è stato il colombiano con la sua brava tappa (la classifica a squadre lasciamola pur lì, l’effetto mediatico delle liti in casa ne svuota ogni senso promozionale e sportivo). Ce ne sarebbe di che farsi gli affari propri, a maggior ragione con un contratto altrove per l’anno a venire già virtualmente in pugno. Però Quintana proprio non ce la fa: sarà questa freddezza ad averlo privato di tanti trionfi, però in termini di professionalità, dopo i tentennamenti del Tour, stavolta non fa una grinza, a differenza di quanto si possa dire del management Movistar o in generale del giornalismo spagnolo, entrambi del tutto succubi al fascino innegabile del proprio fenomeno nazionale, ma parimenti ciechi o assurdamente severi verso il sudamericano che ha tenuto in piedi la baracca nelle corse a tappe da sette anni in qua.
Da qui il game over è definitivo: il ritmo si fa costante con Quintana sempre in testa, lo stesso Quintana chiude su un timido per quanto apprezzabile sforzo di Roglic, poi in volata Valverde, il re indiscusso di ogni epoca sul muro di Huy, ricordiamolo, annichila ogni parvenza di concorrenza. Quintana, come è ovvio, chiude il drappello, ma i distacchi sono insignificanti, tant’è che la maglia rossa è, come premesso in apertura, di nuovo per Miguel Ángel López. Si fa segnalare il record di ascesa: poche le edizioni, ma rispetto al record precedente di Contador, Froome, Chaves e lo stesso Quintana, stavolta sono volati di colpo 30” secchi, tanti su un quarto d’ora di sforzo, e veramente pazzeschi se consideriamo la maggior durezza della corsa odierna e l’individualità dello sforzo in questo caso.
Domani tappa insidiosa, da agguati, ancora promettente per Valverde, poi domenica l’ormai canonica minitappa di 100 km infarcita di salite in quel di Andorra: ma, per quest’edizione, bisogna ancora complimentarsi con i tracciatori, perché si tratterà dell’unica frazione siffatta, e in questo senso ci può perfettamente stare, anzi stimolerà, ci auguriamo, dei begli azzardi, specie da parte degli svariati ciclisti in top ten della generale ma già alquanto attardati. Sarà pure l’unica tappa che flirta a ripetizione con quota duemila, pur non stracciandola, un fattore che come abbiamo visto nello scorso Tour o al Giro 2016 non è da sottovalutare.

Gabriele Bugada

Alejandro Valverde svetta in cima al muro del Mas de la Costa (foto Bettini)

Alejandro Valverde svetta in cima al muro del Mas de la Costa (foto Bettini)

17-12-2022

dicembre 18, 2022 by Redazione  
Filed under Ordini d'arrivo

VUELTA CICLISTA INTERNACIONAL A COSTA RICA

Il costaricense Jason Huertas (Team Colono Const.-Bikestation-Clips) si è imposto nella seconda tappa, Liberia – Nicoya, percorrendo 122.7 Km in 2h52′36″, alla media di 42.654 Km/h. Ha preceduto di 1′47″ l’ecuadoriano Byron Guamá (Movistar-Best PC) e il panamense Franklin Archibold (Panamá es Cultura y Valores). Nessun italiano in gara. Il costaricense Daniel Bonilla (Team Colono Const.-Bikestation-Clips) è ancora leader della classifica con lo stesso tempo di Archibold e del olombiano Marco Tulio Suesca (Movistar-Best PC)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 22: LA CILIEGINA DEL MONDIALE

dicembre 18, 2022 by Redazione  
Filed under News

È un traguardo che era sempre sfuggito al suo rivale Vincenzo Nibali, che in carriera si era dovuto accontentare del quarto posto ottenuto a Firenze nel 2013. Al mondiale del 2018, il percorso metteva naturalmente lo scalatore siciliano tra i favoriti per il successo finale ma lo Squalo vi si era presentato a poco più di due mesi dall’incidente al Tour nel quale si era fratturato una vertebra a pochi passi dal traguardo dell’Alpe d’Huez. Il recupero lampo seguito all’intervento gli aveva consentito di prendere parte alla Vuelta, ma non era comunque al top, una condizione precaria che gli consentirà di rimanere con i miglior fino all’ultimo giro del circuito tirolese. Esattamente opposto era lo stato di forma di Valverde, che sul traguardo di Innsbruck regolava in volata il francese Bardet e il canadese Woods, gli unici assieme all’olandese Dumoulin, a rimanere assieme al murciano. E così a 38 anni l’Embatido passava alla storia come vincitore più anziano del mondiale, eguagliando il primato dell’olandese Joop Zoetemelk, che si era laureato campione del mondo nel 1985 a Giavera del Montello alla stessa età di Valverde.

FINALMENTE L’EMBATIDO

Dopo innumerevoli podi, Alejandro Valverde riesce a centrare la vittoria in un campionato del mondo, indossando i colori dell’iride a 38 anni. Bene Woods e Pinot sul podio, ottimo Dumoulin in recupero. Il nostro Moscon cede nel tratto più duro dell’ultimo strappo e deve accontentarsi della quinta posizione. Male Alaphilippe, che cede proprio laddove si pensava che potesse fare la differenza.

Peter Sagan (Bora-Hansgroe), che è stato il primo dei big a saltare, ha tuttavia portato a casa una piccola vittoria, azzeccando il pronostico sulla vittoria. Vero che Alejandro Valverde (Movistar) era uno dei principali favoriti della vigilia, tuttavia le maggiori quotazioni erano riscosse da Julian Alaphilippe (Quick-Step Floors), in età più verde rispetto a quella dell’Embatido. Il corridore francese, invece, ha ceduto nel corso dello strappo finale, perdendo parecchi secondi in un batter di ciglia ed a quel punto la punta principale della Francia è diventata Romain Bardet (AG2R La Mondiale) che allo sprint con Valverde aveva ben poche possibilità di vittoria e deve considerare l’argento come un ottimo risultato, anche se è sembrato un po’ deluso dopo il traguardo.
Valverde, come al solito, ha mantenuto un’ottima condizione di forma per tutta la stagione, avendo centrato la prima vittoria in febbraio ed essendo stato protagonista per tutta la Vuelta. Questa condizione straordinaria è stata mantenuta anche da Tom Dumoulin (Team Sunweb) che, dopo il doppio podio a Giro e Tour, è ancora in ottima condizione tanto da centrare l’argento a cronometro, battuto solo un super Rohan Dennis (BMC Racing Team) e riuscendo nella prova di oggi a ritornare sul terzetto di testa, che sembrava aver preso il largo definitivo sul muro finale. Dumoulin, che era rimasto staccato ben prima di Gianni Moscon (Team Sky), è riuscito con la sua regolarità non solo a saltare a piè pari l’italiano, ma anche a raggiungere i tre di testa che, comunque, non si sono studiati troppo. Ovviamente, lo sforzo che ha richiesto il rientro ha poi condizionato la brillantezza di Dumoulin, che non ha neppure tentato lo sprint.
Il chilometraggio al quale i giovani non sono più abituati e i ritmi alti, resi necessari dal grosso vantaggio che aveva preso la fuga e poi dalla necessità del forcing, hanno lasciato sulle ginocchia molti dei big che, alla vigilia, potevano avere speranze di far bene.
Un capitolo a parte va speso per Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) che ha ceduto all’ultimo giro reggendo meglio di molti big. Purtroppo il recupero lampo con aiuto chirurgico al quale il siciliano è stato costretto non gli ha permesso di presentarsi oggi con una condizione sufficiente per tentare il colpaccio. Nibali probabilmente avrebbe tentato di anticipare i tempi con una delle sue azioni fantasiose, ma il maledetto giorno dell’Alpe d’Huez ha privato questo mondiale di un grandissimo pretendente.
La corsa partiva subito molto forte, con molti corridori che avevano la “fregola” di andare in fuga per mettersi in mostra in una vetrina internazionale di somma importanza e così, dopo soli 5 chilometri, si avvantaggiavano il danese Kasper Asgreen (Quick-Step Floors), lo svedese Tobias Ludvigsson (Groupama – FDJ), il canadese Rob Britton (Rally Cycling) e il greco Stylianos Farantakis (Sojasun espoir-ACNC), il quale cederà e si rialzerà nel giro di pochi chilometri. Su questi uomini si riportavano in breve l’irlandese Ryan Mullen (Trek – Segafredo), il kazako Daniil Fominykh ( Astana Pro Team) e il norvegese Vegard Stake Laengen (UAE-Team Emirates). In un terzo momento, si aggiungevano ai battistrada anche l’irlandese Conor Dunne (Aqua Blue Sport), il ceco Karel Hník (Pardus – Tufo Prostejov), il lussemburghese Laurent Didier (Trek – Segafredo), il sudafricano Jacques Janse van Rensburg (Team Dimension Data) e il bielorusso Ilia Koshevoy (Wilier Triestina – Selle Italia), che andavano a comporre una fuga di 11 elementi. Il gruppo lasciava fare e i battistrada prendono il largo, arrivando a guadagnare quasi 18 minuti prima che il gruppo alzi leggermente l’andatura per evitare di perdere il controllo della situazione. Quando al traguardo mancavano ancora 100 Km, iniziavano i primi eventi degni di nota, in particolare la caduta con ritiro del francese Warren Barguil (Team Fortuneo – Samsic) in una curva insidiosa in discesa, mentre la fuga cominciava a perdere elementi. Gia nel terzo giro, con Inghilterra e Slovenia ad alzare notevolmente il ritmo, perdevano contatto Sagan ed il belga Tiesj Benoot (Lotto Soudal). Nel corso del giro successivo, Francia e Spagna cominciavano a farsi vedere in testa, mentre il gruppo dei battistrada continuava man mano ad assottigliarsi; a questo punto la prima azione importante in seno al gruppo veniva inscenata da Dario Cataldo (Astana Pro Team), seguito subito dagli spagnoli Jesús Herrada (Cofidis, Solutions Crédits) e Omar Fraile (Astana Pro Team). Nella discesa, scivolava Primož Roglič (Team LottoNL-Jumbo) nella stessa curva in discesa dove era caduto Barguil, ma lo sloveno aveva miglior fortuna e si rialzava, attendendo che l’ammiraglia lo raggiunga con un’altra bicicletta. Il successivo giro era invece fatale al colombiano Miguel Ángel López (Astana Pro Team), che su un circuito del genere avrebbe potuto cullare qualche ambizione. Il colombiano, però, perdeva contatto nella discesa, terreno a lui non congeniale e affrontato con grande veeemenza dal gruppo che doveva chiudere sui fuggitivi ancora rimasti in avanscoperta. In vista del sesto passaggio riuscivano ad avvantaggiarsi il belga Greg Van Avermaet (BMC Racing Team), Fraile e Damiano Caruso (BMC Racing Team). I tre venivano ripresi grazie alle sollecitazioni del tedesco Simon Geschke (Team Sunweb) e dell’olandese Sam Oomen (Team Sunweb), che cominciavano a provocare le prime defezioni eccellenti: si staccavano, infatti, l’irlandese Daniel Martin (UAE-Team Emirates), il russo Ilnur Zakarin (Team Katusha – Alpecin), il britannico Simon Yates (Mitchelton-Scott), il polacco Michał Kwiatkowski (Team Sky) e l’olandese Wout Poels (Team Sky). La bagarre cominciava però a circa 45 chilometri dall’arrivo, quando molti corridori accennavano scatti senza però riuscire ad incidere, mentre davanti rimanevano solo Asgreen e Laengen, che iniziavano l’ultimo giro con due minuti e mezzo di vantaggio. Nell’ultimo giro, l’inseguimento era guidato dall’Italia, cosa che aveva fatto sperare che qualche azzurro volesse tentare un attacco in anticipo; invece, a partire in contropiede era Steven Kruijswijk (Team LottoNL-Jumbo), con Valverde e il francese Thibaut Pinot (Groupama – FDJ) che fiutavano il pericolo e non lasciavano andare l’olandese. E’ proprio in questo momento che Nibali perdeva contatto, mentre rispondeva molto bene Moscon. Poco prima dei 20 all’arrivo, la fuga si esauriva definitivamente e subito provava l’allungo il britannico Peter Kennaugh (Bora – Hansgrohe), ma il danese Michael Valgren, (Astana Pro Team) riusciva a raggiungerlo e staccarlo per poi proseguire a tutta in discesa, guadagnando sino a 30 secondi. Dietro, in un primo momento, lo spagnolo Ion Izagirre (Bahrain Merida), Pinot, Moscon, il kazako Alexey Lutsenko (Astana Pro Team) e il portoghese Rui Alberto Faria da Costa (UAE-Team Emirates) riuscivano a ritrovarsi con qualche secondo di vantaggio sul gruppo sempre più assottigliato, ma nei successivi chilometri la situazione si ricompattava sino ai piedi del muro di Gramartboden. A questo punto, non ci si poteva più nascondere, il battistrada veniva rapidamente ripreso e davanti rimanevano Bardet, Pinot, Alaphilippe, Moscon, Valverde e il canadese Michael Woods (Team EF Education First-Drapac). La nazionale francese sembrava in una situazione ideale in netta superiorità numerica con due scalatori di razza ed uno scattista formidabile, ma proprio Alaphilippe e Pinot perdevano contatto sotto le sollecitazioni di Woods, mentre Moscon stringeva i denti e, pur con grandi difficoltà, riusciva a mantenere la ruota dei migliori fin quando si giunge sul tratto al 28%. Lì Woods forzava di nuovo e stavolta Moscon si piantava, mentre da dietro arrivava in progressione Dumoulin che, su questo tratto di strada del tutto inadatto alle sue caratteristiche, faceva valere le sue doti di regolarista e riusciva a scollinare con un gap ancora colmabile, dopo aver saltato Moscon. Nel falsopiano in cima e nella successiva discesa, i tre battistrada non si dannavano l’anima a tirare, ance se non si fermano continuando con un discreto ritmo, ma Domoulin riusciva a rientrare grazie alle sue doti di passista, mentre Moscon era ormai cotto.
Allo sprint non c’era storia e Valverde, nonostante la prima posizione, lanciava la volata lunga, senza che nessuno ce la facesse ad uscire dalla sua ruota; Bardet prendeva l’argento e Woods il bronzo, mentre Dumoulin, che aveva fatto uno sforzo enorme per tornare sotto, doveva accontentarsi della medaglia di legno.
Certamente, dopo innumerevoli podi, l’Embatido meritava una vittoria, ha corso in modo molto intelligente e nella volata è stato padrone assoluto. L’Italia forse ha esagerato nel forzare il ritmo all’ultimo giro ed avrebbe fatto meglio a lasciare il lavoro ad altri, ma ha dimostrato la grinta e la voglia di fare la corsa che ha sempre contraddistinta la nazionale azzurro.
Infine una nota al percorso non può essere omessa. Dopo il circuito di Duitama del 1995, questo è stato il mondiale più duro degli ultimi anni ed il tracciato non ha tradito le aspettative; i chilometri che separavano la cima dall’arrivo hanno consentito il rientro di Dumoulin ed un finale ancor più interessante. Sarebbe ora che l’UCI si rendesse conto che corse come il campionato del mondo non possono essere dei piattoni come quello che ci dovremo sorbire il prossimo anno e che corse faticose e lunghe fanno venire fuori i corridori davvero resistenti. Il favorito Alaphilippe probabilmente ha pagato proprio la lunghezza di questo percorso, perché sulla carta lo strappo finale era ideale per uno come lui. L’esperto Valverde, invece, più abituato a corse logoranti, ha saputo gestire al meglio le forze e, nonostante l’età, è andato a prendersi finalmente la medaglia d’oro.

Benedetto Ciccarone

Valverde coglie la sua più bella vittoria in carriera ai mondiali di Innsbruck (foto Bettini)

Valverde coglie la sua più bella vittoria in carriera ai mondiali di Innsbruck (foto Bettini)

16-12-2022

dicembre 17, 2022 by Redazione  
Filed under Ordini d'arrivo

VUELTA CICLISTA INTERNACIONAL A COSTA RICA

Il costaricense Daniel Bonilla (Team Colono Const.-Bikestation-Clips) si è imposto nella prima tappa, Heredia – Liberia, percorrendo 199.2 Km in 4h47′45″, alla media di 41.53 Km/h. Ha preceduto allo sprint il colombiano Marco Tulio Suesca (Movistar-Best PC) e il panamense Franklin Archibold (Panamá es Cultura y Valores). Nessun italiano in gara. Bonilla è il primo leader della classifica con lo stesso tempo di Suesca e Archibold

VALVERDE STORY – CAPITOLO 21: AD UN PASSO DALLA SESTA FRECCIA

dicembre 17, 2022 by Redazione  
Filed under News

Compromessa la seconda stagione 2017 a causa della caduta rimediata nella crono d’apertura del Tour de France, che lo costringerà a 6 mesi di stop, Valverde decide di puntare per il 2018 a far bene ancora alle classiche del nord, ma stavolta il suo vero obiettivo sarà il mondiale, previsto a fine settembre sull’impegnativo circuito di Innsbruck. Le “primavere” sono oramai 38 ma l’Embatido ha ancora fame di vittorie e il suo stomaco si rivelerà ancora in grado di digerire le prelibate pietanze del calendario: a inizio stagione farà sue tre brevi ma intense corse a tappe (la Volta a la Comunitat Valencian, l’Abu Dhabi Tour e la Volta Ciclista a Catalunya), poi tornerò sulle strade del nord dove andrà vicinissimo a conquistare la sesta Freccia Vallone. Ma stavolta il giovane Alaphilippe farà meglio di lui

IN VALLONIA SI PARLA FRANCESE, ALAPHILIPPE SI VENDICA SU VALVERDE

Dopo due secondi posti sul muro di Huy alle spalle dell’inarrivabile Alejandro Valverde, il francese Alaphilippe va a prendersi di forza la Freccia Vallone ma non esulta, convinto di non essere riuscito a riassorbire Nibali che era andato in precedenza all’attacco.

Certamente Julian Alaphilippe deve aver in cuor suo imprecato non poco tagliando il traguardo della Freccia Vallone 2018. Il francese era, infatti, convinto di aver mancato per la terza volta il gradino più alto del podio. Due volte il corridore della Quick-Step era finito secondo alle spalle dello specialista per eccellenza di corse come queste, il murciano Alejandro Valverde (Movistar), recordman di vittorie alla Freccia con ben 5 successi, quattro dei quali consecutivi. Gli anni, però, passano e, per quanto certi uomini come Valverde sembrino fregarsene dell’età, il momento di cedere il passo arriva per tutti.
Quest’anno, infatti, Alaphilippe non ha semplicemente battuto Valverde allo sprint, ma lo ha addirittura staccato di 4 secondi dimostrando una netta superiorità.
Il capitano della Movistar è comunque riuscito a conquistare la piazza d’onore, dimostrando quindi che, sebbene le oramai prossime 38 primavere comincino a farsi sentire, la grinta e lo spirito agonistico sono rimasti immutati nel tempo.
Buona anche la prova di Vincenzo Nibali (Bahrain Merida) che, dopo la splendida vittoria di Sanremo, continua ad andare a caccia di classiche in una stagione impostata per arrivare al meglio ai mondiali austriaci.
La corsa si infiamma subito con alte andature che rendono difficili gli attacchi anche se, dopo 5 chilometri di corsa, Patrick Müller (Vital Concept) riesce a distanziare leggermente il gruppo. La sua azione ispira Romain Hardy (Fortuneo – Samsic), Anthony Roux (Groupama-FDJ), Cesare Benedetti (Bora – Hansgrohe), Anthony Perez (Cofidis) e Romain Combaud (Delko Marseille Provence KTM), che si accodano rapidamente a Müller. In un secondo momento si uniscono ai 6 di testa anche Kevin Van Melsen (Wanty-Groupe Gobert) ed Antoine Warnier (WB Aqua Protect Veranclassic), andando così a formare in testa un discreto drappello di fuggitivi.
La fuga riesce a conquistare un margine di vantaggio massimo di 5 minuti e 25 secondi intorno al chilometro 50. Il gruppo decide di non rischiare a le squadre dei big (in particolare Movistar e UAE Team Emirates) si mettono in testa a fare una andatura in grado di tenere il ritardo entro termini ragionevoli.
Le prime salitei passano abbastanza tranquille senza accelerazioni né defezioni poi, sulla Côte d’Amay prima e successivamente in occasione della prima scalata al muro di Huy, il gruppo impone una decisa accelerazione che provoca la rapida erosione del vantaggio, che si riduce a 1′20″ al primo passaggio sotto la linea d’arrivo.
E’ proprio sulle arcigne pendenze che portano al primo passaggio dal traguardo che allungano Robert Power (Mitchelton – Scott), Michał Kwiatkowski (Sky), Mikel Landa (Movistar), Jelle Vanendert (Lotto Soudal), Michael Gogl (Trek – Segafredo) e Alberto Rui Costa (UAE Team Emirates). Si tratta all’evidenza di uomini che non si possono lasciare andar via a cuor leggero e, infatti il gruppo reagisce prontamente neutralizzando il tentativo di attacco.
Sulla Côte d’Ereffe a provarci sono José Joaquín Rojas (Movistar), Alessandro De Marchi (BMC Racing Team), Vasil Kiryienka (Sky), Jack Haig (Mitchelton-Scott), Nibali, Ion Izagirre (Bahrain-Merida), Rafał Majka, Gregor Mühlberger (Bora-Hansgrohe), Tomasz Marczyński e Tosh Van Der Sande (Lotto Soudal), Tanel Kangert (Astana), Matteo Fabbro (Katusha-Alpecin), Simon Geschke (Sunweb), Maximilian Scachmann e Philippe Gilbert (Quick-Step Floors), con Gogl e Rui Costa ci che provano per la seconda volta.
Quest’attacco è ben strutturato, nutrito e composto da uomini di grande spessore come Nibali e Gilbert. I fuggitivi vengono tosto ripresi dai contrattaccanti e si forma in testa un gruppo molto interessante di ben 24 unità. Tuttavia, il tentativo fatica a decollare perchè non c’è accordo tra i battistrada sicché Kangert, Benedetti, Roux, Haig, Nibali e Schachmann decidono di rompere gli indugi e si lanciano in avanti. De Marchi e Kwiatkowski provano a reagire ma le energie cominciano a scarseggiare ed il tentativo di riportarsi sulla testa della corsa naufraga miseramente. Mentre anche il gruppo comincia a perdere pezzi importanti, Benedetti perde contatto sul secondo passaggio dal traguardo, ma con grande caparbietà riesce a riportarsi sotto nel tratto successivo pianeggiante. Il segnale è rivelatore e Benedetti perderà successivamente e definitivamente, insieme a Roux, le ruote dei compagni d’avventura che, nel frattempo, aumentano il loro margine di vantaggio fino a 50 secondi. Dopo la Côte d’Ereffe la corsa esplode, il margine dei battistrada cala e l’inquietudine porta ad una certa confusione della quale fanno le spese Nibali e Kangert che vengono ripresi dal gruppo, cosa della Alaphilippe non si avvede). Schachmann e Haig attaccano l’ascesa finale al muro di Huy con 10 secondi di vantaggio; Haig cede subito, mentre Schachmann tenta di resistere strenuamente, ma anche lui deve arrendersi a poco più di 200 metri dalla conclusione. Jelle Vanendert (Lotto Soudal) in testa al gruppo, con una grande accelerata sorprende un po’ tutti ma non Alaphilippe che resta incollato alla sua ruota mentre Valverde riesce in recupero a raggiungere i due. Alaphilippe, però, è bravo a ripartire a tutta, aprendo il gas proprio nel momento in cui Valverde doveva rifiatare. Il murciano è comunque secondo ma il passivo di quattro secondi da Alaphilippe è eloquente.
Il transalpino non ha, però, la faccia di chi ha vinto una grande classica, perché al portacolori della Quick step era sfuggita la capitolazione del tentativo di Nibali.
Se per Alaphilippe c’è il rammarico di non aver potuto esultare tagliando il traguardo, la sorpresa di una vittoria che credeva sfuggita è una contropartita decisamente superiore.

Benedetto Ciccarone

La grinta di Alaphilippe a pochi passi dalla cima del muro di Huy (foto Bettini)

La grinta di Alaphilippe a pochi passi dalla cima del muro di Huy (foto Bettini)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 20: L’ULTIMA LIEGI NEL RICORDO DI SCARPONI

dicembre 16, 2022 by Redazione  
Filed under News

È una Liegi triste quella che va in scena il 23 aprile del 2017. In gruppo non c’è più Michele Scarponi, che il giorno prima ci era stato portato via per sempre da un drammatico incidente stradale mentre si allenava sulle strade della sua Filottrano, aprendo una ferita nel cuore degli appassionati che ancora non s’è rimarginata e anzi si è fatta ancora più sanguinante dopo la recente scomparsa di Davide Rebellin. I corridori al via della centotreesima edizione della Liegi vorrebbero tutti dedicargli la vittoria ma a farlo può, ovviamente, essere un uomo solo e quell’uomo risponde ancora al nome di Alejandro Valverde, che firma la sua terza doppietta con la Freccia e la sua quarta affermazione alla “Doyenne”, fermandosi ad un passo dal record assoluto di vittorie di Eddy Merckx

MESTA LIEGI: ADDIO MICHELE

Difficile scrivere di corse con nella testa e nel cuore la notizia della morte di Scarponi, ucciso mentre si allenava dall’errore omicida del guidatore di un furgone. Ci pensa Alejandro Valverde a immortalare il ricordo di Michele trionfando tra le lacrime a Liegi.

È uno strazio pensarci ora, ma Michele Scarponi è stato – anche – il miglior corridore italiano per la Liegi fra tutte le generazioni successive all’epoca dorata dei Bettini, Rebellin e Di Luca. Con la solita umiltà sorniona, non ha mai strombazzato la propria solidità nella decana delle Classiche, quella che sa sorridere anche agli scalatori ma solo se se dotati di guizzo, intuito e classe: ha sempre coltivato in modo quasi intimo una storia d’amore personale con la severa signora belga, sfiorando il podio all’esordio, un neoprofessionista di appena ventitré anni col completo zebrato della Domina, e di nuovo quando fu quinto dieci anni dopo, all’ultima stagione in Lampre, non mancando di intascare nel frattempo un altro paio di top ten. I Gasparotto o Nibali, invece, pur avendo dato una più netta impressione di poter agguantare la vittoria, non han brillato che per un paio di stagioni su queste strade. Il ricordo più recente e indelebile è quello di Scarponi che nel 2015 scala la leggendaria Redoute in testa alla corsa, mezzo minuto davanti al gruppo, con il giovanissimo e talentuoso Chaves in scia. Stava lavorando in funzione del capitano Fuglsang, oggi in lacrime alla partenza, ma quell’istantanea di Michele che scollina davanti a tutti sulle rampe del mito è un piccolo regalo che si fece e ci fece: proprio oggi acquista una rilevanza speciale.
È bello allora che arrivi qui il primo di una serie di omaggi a Michele Scarponi da parte dei suoi amici nel mondo del ciclismo, e la parola “amici” per una volta non sembra abusata come troppo spesso accade: Valverde, vincitore con gli indici e lo sguardo puntati al cielo, stenta a parlare nell’intervista, rifiuta come prima domanda di commentare il finale di gara e impone, anzitutto, il ricordo commosso, con la voce rotta e gli occhi rossi di pianto, del collega italiano e della famiglia di questi, a cui devolverà il premio.
Lo sprint folgorante di Valverde, a conclusione di una progressione che sgretola e spazza via la concorrenza, è uno dei pochi gesti tecnici che danno lustro a una giornata a cui, oggi, non ci sentiamo di rimproverare il solito, oppressivo grigiore e l’andamento mesto, contratto, come di chi corra con il cuore in un pugno. Sembra ormai questo il destino costante della Liegi, in attesa di novità che la ravvivino, però, solo per quest’anno, è davvero già molto riuscire a trovare la voglia di correre, spingere, scattare, soffrire.
Poche note di cronaca. La fuga del mattino dilaga, ma si sfalda sulla Rocca dei Falchi nonostante i sussulti finali dell’indefessa coppia Cofidis con Rossetto e Perez. Dietro bisogna aspettare il Maquisard affinché prenda corpo una mossa robusta, con in luce gli ottimi De Marchi, Brambilla e Benedetti rodando i motori per il Giro, assieme a nomi noti come Latour o Betancur, che fa respirare i suoi compagni Movistar fino ad allora in testa al gruppo, o la coppia Dimension Data di Fraile e Haas. La Redoute però, invece che spaccare la corsa, la rimpasta, con le trenate di Sebastian Henao e Kreuziger che ricuciono i distacchi. Eccoci alla Rocca dei Falchi dove ci prova l’altro Henao, il più forte Sergio Luis, con Kreuziger stavolta più aggressivo che difensivo. La testa del gruppo si rimescola con gli abituali giri di mano che vedono gruppetti diversi provare a sganciarsi tra scatti e controscatti – tutti piuttosto timidi, invero – finché non se ne va un’altra buona azione con il sempre coraggioso Tim Wellens a fare la parte del leone, più di nuovo un paio di italiani, Villella che scorta il suo capitano Woods, e Damiano Caruso che sembra pensare soprattutto ai suoi capitani belgi rimasti in gruppo, Van Avermaet e Teuns. Ci sono anche l’assatanato Kreuziger e la promessa Sam Oomen (oltre a Vuillermoz e Konrad).
La Sky è rimasta fuori dal mazzo e si incarica dunque di menare le danze dietro, levando le castagne dal fuoco a un Valverde provvisoriamente a corto di compagni. Moscon, il trentino 23enne che già fu splendido alla Roubaix, viene speso in un’infinita menata da mulo che smonta le velleità degli attaccanti, dei quali si rilancia in avanti solo l’indomito Wellens, senza che però il suo vantaggio faccia mai sperare che possa superare il Saint-Nicolas, la salita degli italiani che ci introduce al gran finale. Fedele al suo nome, la côte tra le case di mattoni imbruniti si apre e si chiude con begli spunti italici: il primo è ancora Villella, che allunga fluido, e viene agguantato solo dalla duplice fucilata di Sergio Henao e Albasini, ansiosi di anticipare. Il gruppo si ricompatta grazie all’intensità di Ion Izagirre altro gregario più o meno involontario di Valverde (in Movistar l’anno scorso, ma ora sarebbe pure capitano in casa Bahrein-Merida!): tuttavia prima che spiani l’ultimo metro del Saint-Nicolas squilla di nuovo un acuto italiano, con Formolo che allunga decisissimo e prende il largo, mentre dietro si tentenna.
Formolo regge bene sui saliscendi infarciti di sanpietrini, ma lo strappo finale di Ans incombe: il primo allungo è di Fraile, ma le polveri sono bagnate da quella fuga di tanti km fa.
Al fulmicotone la sparata di Daniel Martin ai -800 metri dal traguardo, lui sì prende il largo e dribbla Formolo in scioltezza: dietro però è l’Orica che s’incarica di tirare il guinzaglio, peraltro con un’azione confusa in cui non è chiaro se Adam Yates e Albasini collaborino o pensino ciascuno a sé – l’impressione è che entrambi pensino a Valverde, finiranno infatti settimo e ottavo. Quando Valverde innesca la sua progressione, lo sparpaglìo è graduale ma inesorabile, la lunga fila indiana di una ventina di uomini che serpeggiava per le vie delle periferie belghe si sbriciola, perdono le ruote i Bardet, i Majka, i Van Avermaet, mentre Valverde piomba su Daniel Martin come il falco su un coniglio, rifiata in curva, riapre il gas in piena spinta ma in appena pochi metri già capisce di aver schiantato tutti e con ampio anticipo si rialza, leva gli indici, guarda lassù, oltre il cielo di polvere e limatura, lasciandosi alle spalle gli affanni di Martin ancora secondo, di Kwiatkowski in rimonta affannosa, di Matthews che sprinta forte in salita dopo aver sgomitato sorprendentemente sulla Redoute, di Izagirre indomito, e poi tutti gli altri. Pozzovivo dodicesimo, primo degli italiani nell’ordine d’arrivo, ma il primo italiano, oggi, passava il traguardo con Valverde.
Comunque Scarponi oggi sarebbe stato contento dell’azzardo e della smorfia sofferta di Formolo, delle sortite di Villella, delle puntate offensive in funzione dei capitani fatte da De Marchi, Brambilla o Caruso, di Moscon duro, umile e fedele, del proprio capitano di anni anteriori Fuglsang, che arriva a dieci secondi dopo una gara cominciata con un pianto a dirotto ma altresì del compagno e collega Cataldo che, già distrutto emotivamente al via, non ce l’ha fatta a finire.
Eppure, va detto, questa corsa da italiani vede gli italiani anche se degnissimi sempre più outsider e gregari. Forse c’è un qualche rapporto con il calo di oltre il 40% dei km in bici percorsi all’anno per abitante, in Italia rispetto al 1997, vent’anni fa, quando Michele era juniores?
Michele Scarponi fu tra i primi e più entusiasti professionisti a sostenere, l’iniziativa #salvaiciclisti, innescata ormai cinque anni fa. Da allora i ciclisti morti in Italia hanno superato i milleduecento. Michele è uno fra le centinaia di ciclisti che ogni anno vengono ammazzati sulle strade italiane, chi per lavoro – come nel suo caso, o di chi in bici ci va in fabbrica o in ufficio – chi per il puro piacere di spostarsi senza rumore e inquinamento. Non credete a chi dice che è perché la bici è intrinsecamente pericolosa: la straripante maggioranza delle morti è causata da un veicolo a motore. Non credete a chi dice che non potrebbe essere diversamente, perché le strade sono fatte per le automobili: negli altri Paesi europei la situazione è ben diversa rispetto all’Italia. In Francia, dove il ciclismo, numeri alla mano, si pratica quanto in Italia, i morti si attestano intorno ai 150 all’anno. La media italiana dal 2001 al 2015 è di 300.
L’Italia è di gran lunga il Paese con la peggior combinazione di pratica ciclistica relativamente moderata e gran numero di morti: la Polonia, con cui ci disputavamo il poco ambito trofeo, ha rivoluzionato la propria sicurezza stradale nell’ultimo quinquennio. La Spagna, vent’anni fa uno dei Paesi meno pedalatori del continente nonostante il mito Indurain, ha cambiato in modo sempre più radicale il proprio codice della strada dal 2001 al 2014, con governi di ogni colore, e nell’ultimo biennio il ciclismo amatoriale ha scavalcato calcio, nuoto e atletica diventato lo sport più praticato nel tempo libero.
L’isteria dei guidatori italiani, sulle strade o in rete, ignora che vent’anni fa la presenza ciclistica sulle strade del Belpaese era quasi doppia e l’auge recente ha recuperato solo parte di quel prezioso patrimonio. Come si circolava allora? E come faranno mai in Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Corea del Sud con tre, quattro, dieci volte i ciclisti che ha l’Italia? Saranno tutti in coda, o viceversa la mobilità è molto più fluida ed efficiente per tutti?
Mentre in altri Paesi, come appunto la Spagna, le leggi obbligano i guidatori di veicoli motorizzati a contemplare perennemente la possibilità della presenza di un ciclista per reagire di conseguenza (dal metro e mezzo di distanza obbligatoria per sorpassare, fino ai limiti di velocità ridotti in orari di forti flussi ciclistici, o all’obbligo di considerare il gruppo come un tutt’uno e quindi attendere il passaggio fino all’ultimo ciclista nelle rotonde, e molto altro), in Italia invece non si stimola questa cura costante, per cui il ciclista italico o è invisibile o disturba. Se l’occhio non si abitua a guardare sempre con la massima attenzione per individuare ciclisti, pedoni, motociclisti, insomma, la cosiddetta utenza debole, ebbene la probabilità del “non l’ho visto” incrementa esponenzialmente. Non è un caso: è un evento reso possibile o probabile da un contesto. Magari sei controluce, hai fretta, non vedi bene, e se non c’è niente “di grosso” in arrivo, ti butti. Con l’incuranza di chi non sa o finge di non sapere che sta conducendo, a tutti gli effetti, una potenziale arma omicida.
Il Presidente della Federciclismo dichiara che per Scarponi si è trattato di un “destino scritto male”: ad essere scritto male è il codice della strada italiano. “Si sta lavorando”, dice Di Rocco: ma è in carica da dodici anni e mentre in questo stesso periodo altre nazioni hanno fatto passi da gigante sia nella pratica ciclistica, sia nella sicurezza, noi arranchiamo nella prima e sprofondiamo nella seconda. Se davvero ci si tiene, sarebbe il caso di fare un gesto di rottura e dare le dimissioni, di fronte a un caso così eclatante. Che cosa ha fatto la FCI, ad esempio, dall’incidente gravissimo di Marina Romoli a oggi? Quali azioni concrete, quali proposte, quali pressioni sulla politica? Incrociare le dita, sperando che non accadesse qualcosa di ancora più grave? Con centinaia di morti all’anno non è questione di auspici, è solo una questione di tempo. Il tempo corre, i ciclisti vengono uccisi. E fare ciclismo diventa sempre più duro perché ancor più dei morti è il non sentirsi rispettati che fa crescere, giustamente, la paura. Michele – lo dichiarò – percepiva un aumento dei rischi e dell’aggressività del traffico, ma rimaneva ad allenarsi in Italia perché amava la propria famiglia e perché amava questo Paese: sarebbe ora che il Paese ricambiasse l’amore che Scarponi e i ciclisti e cicliste italiani di ogni età, passione, velocità riversano sulle strade dell’Italia.
Scarponi non era in doppia fila. Non era passato col rosso. Non parlava con un amico. Non era in gruppo. Non era uno “che crede di essere al Giro”, perché il Giro lui sapeva benissimo che cosa fosse. Non era uno “che si compra la bici da corsa poi non la sa guidare”. Non si prendeva rischi. Non faceva il prepotente. Aveva il casco.
E noi non dovremmo più tollerare queste sciocchezze sulle centinaia di ciclisti che come Michele vengono uccisi da mezzi a motore, per poi subire l’insulto di vedersi colpevolizzati senza alcun fondamento logico.
Se l’Italia fosse un Paese al passo con gli altri, almeno cento, centocinquanta, duecento vite di ciclisti all’anno non andrebbero perse. È pura matematica. E magari, tra esse, anche quella di un grande uomo e grande campione come Michele Scarponi. O magari no, magari sarebbero stati altri “i morti in meno”: il rischio è e sarà sempre parte del ciclismo come della vita, ogni ciclista lo accetta. Ma vogliamo davvero tollerare di rimanere con il dubbio che, se solo avessimo costruito una cultura stradale migliore, lui, Michele, come tanti altri, sarebbe tornato a casa leggero sui pedali?

Gabriele Bugada

VALVERDE STORY – CAPITOLO 19: E CON QUESTA FANNO CINQUE!!!!!

dicembre 15, 2022 by Redazione  
Filed under News

Non gli è bastato battere il record di vittorie alla Freccia, vuole di più, punta alla quinta vittoria. E questa regolarmente arriva già l’anno dopo, anche stavolta con un risicato margine sugli avversari. Non è presente Alaphilippe, secondo nel due edizioni precedenti e nel 2017 “appiedato” da un infortunio al ginocchio rimediato al Giro dei Paesi Baschi. Dopo questa Valverde di “frecce” non ne vincerà più, ma c’è un corridore che tranquillamente potrà raggiungere il suo personale record e si tratta proprio di Alaphilippe, che al momento ha all’attivo tra affermazioni alla corsa vallone e, soprattutto, ha un’età più “verde” rispetto a quella nella quale l’Embatido ha ottenuto la sua ultima Freccia.

VALVERDE, POKERISSIMO CON VISTA LIEGI

Quarto successo consecutivo e quinto in carriera alla Freccia Vallone per il fuoriclasse murciano che, dopo il gran lavoro della sua Movistar per tenere sotto controllo gli attaccanti di giornata, scherza con gli avversari sul muro di Huy per poi fare il vuoto negli ultimi 150 metri e imporsi davanti a Daniel Martin e al sorprendente Dylan Teuns, candidandosi nel ruolo di grande favorito anche per la “Doyenne”. In casa Italia arriva il 10° posto di Diego Ulissi e con lui si mettono in evidenza anche Alessandro De Marchi, rimasto al comando prima da solo e poi in compagnia di Bob Jungels, e Gianni Moscon, determinante nell’andare a riprendere il lussemburghese prima della rampa finale.

Dopo un’avvincente Amstel Gold Race che ha visto il successo di un Philippe Gilbert tornato ai fasti di qualche anno fa il Trittico delle Ardenne è proseguito con la Freccia Vallone che – anche alla luce dei forfait del campione belga, per via di un risentimento muscolare che lo costringerà a saltare anche Liegi-Bastogne-Liegi e Giro d’Italia, e di Julien Alaphilippe, secondo nelle ultime due edizioni e fermo ai box per problemi a un ginocchio – aveva un favorito d’obbligo in Alejandro Valverde (Movistar), autore di uno strabordante avvio di stagione e già capace di imporsi in cima al muro di Huy nelle ultime tre edizioni, oltre che in quella del 2006.
Non a caso è stata la formazione guidata da Eusebio Unzué a mantenere cucita la corsa per gran parte dei 204,5 km del percorso, incaricandosi di tenere sotto controllo e poi andare a riprendere la fuga iniziale, che ha visto protagonisti Fabien Doubey (Wanty-Gobert), Yoann Bagot (Cofidis), Nils Politt (Katusha-Alpecin), Romain Guillemois (Direct Énergie), Daniel Pearson (Aqua Blue) e Olivier Pardini (WB Veranclassic), che dopo il primo dei tre passaggi previsti sul muro di Huy è rimasto per un breve tratto solo al comando, e a non dare spazio ai successivi contrattacchi. Un brillante Alessandro De Marchi (BMC) ci ha provato una prima volta sulla Côte d’Ereffe, venendo strettamente marcato da Carlos Betancur, e poi ha fatto il vuoto sulla Côte de Cherave a 35 km dal traguardo, acquisendo una ventina di secondi margine sul resto del gruppo.
A sparigliare le carte ci ha provato la Quick-Step Floors che, rimasta orfana di due dei tre capitani e potendo contare sul solo Daniel Martin, si è portata in testa lungo il secondo passaggio sul muro per lanciare Bob Jungels, che si è rapidamente riportato su De Marchi e, dopo aver percorso un tratto in compagnia del 30enne friulano, lo ha addirittura staccato in un tratto in discesa e ha acquisito fino a 50” di margine. Sembrava che l’azione dell’emergente lussemburghese potesse avere buon gioco, alla luce del fatto che la Movistar era rimasta a corto di uomini e al pari dell’Orica-Scott, che aveva affiancato la compagine iberica nel condurre l’inseguimento, non sembra avere le forze per andarlo a riprendere. Invece, determinante è stato il gran lavoro di Gianni Moscon (Sky) che, dopo aver replicato sulla Côte de Cherave, penultima ascesa di giornata, a un allungo di Rafal Majka (Bora-Hansgrohe), si è portato in testa al gruppo dove pedalavano i suoi capitani di giornata Sergio Henao e Michal Kwiatkowski e ha fatto sì che il vantaggio di Jungels venisse dimezzato ai piedi della rampa finale.
Non c’è stato, dunque, nulla da fare per il battistrada e l’ascesa verso il traguardo si è trasformata in una lunga fase di studio con Valverde che, similmente a quanto fatto negli ultimi anni, ha preso la testa del plotoncino che andava via via sfilacciandosi attendendo le mosse dei suoi avversari, tra i quali si è visto un Diego Ulissi (UAE-Abu Dhabi) finalmente competitivo dopo le ultime non esaltanti uscite. A rompere gli indugi è stato Romain Gaudu (FDJ): a quel punto il fuoriclasse murciano ha preso la ruota del giovane francese e ai -150 metri dal traguardo con irrisoria facilità ha salutato la compagnia, andando a conquistare la sua quinta Freccia Vallone e il decimo successo in una stagione che lo sta vedendo dominante come mai, forse, lo era stato in passato. La piazza d’onore è andata, con una buona rimonta nel finale, a Daniel Martin che in prossimità della linea del traguardo ha avuto la meglio su di un sorprendente Dylan Teuns (BMC), mentre 4° si è piazzato Henao davanti a Michael Albasini (Orica-Scott), che si è confermato dopo il terzo posto dell’Amstel Gold Race, a un buon Warren Barguil (Team Sunweb), a un Kwiatkowski per il quale le pendenze estrema del muro di Huy si sono rivelate un po’ troppo ostiche, al duo della FDJ composto da Rudy Molard e da Gaudu e a un Ulissi che è un po’ calato nell’ultimo tratto ma ha salvato un piazzamento nella top ten mentre l’altro azzurro atteso alla vigilia, Enrico Gasparotto, non ha portato a termine la prova, probabilmente a causa dei postumi della caduta avvenuta all”Amstel. L’attenzione si sposta ora sulla Liegi-Bastogne-Liegi con Valverde che sarà ancora una volta l’uomo da battere dopo i successi conquistati nel 2006, nel 2008 e nel 2015.

Marco Salonna

Per la quinta volta Valverde sconfigge le ostiche pendenze del Muro di Huy, prima ancora che gli avversari, e fa sua la Freccia Vallone (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

Per la quinta volta Valverde sconfigge le ostiche pendenze del Muro di Huy, prima ancora che gli avversari, e fa sua la Freccia Vallone (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 18: ED È SUBITO RECORD

dicembre 14, 2022 by Redazione  
Filed under News

La quarta Freccia è un traguardo che nessuno aveva mai raggiunto, ma è un obiettivo che è nelle corde di Valverde. E lo spagnolo non se lo lascia sfuggire nemmeno nel 2016, ancora una volta precedendo in vetta al muro di Huy il francesino Alaphilippe. Per un record che viene abbattuto ce n’è un altro che viene eguagliato: vincendo la Freccia per tre anni consecuitivi emula quanto compiuto negli anni della seconda guerra mondiale dal belga Marcel Kint. Ci sarà una quinta vittoria in futuro? Intanto Valverde comincia a pensare seriamente alla terza doppietta con la Liegi, altro clamoroso obiettivo che però gli sfugge perché alla Doyenne del 2016 si dovrà accontentare del 16° posto, a 12 secondi dall’olandese Wout Poels.

VALVERDE CALA IL POKER SUL MURO DI HUY

Sesto successo stagionale e soprattutto quarto in carriera alla Freccia Vallone per il murciano della Movistar, che controlla i rivali nel primo tratto del durissimo strappo finale per poi fare la differenza negli ultimi 150 metri e imporsi davanti al duo dell’Etixx-QuickStep composto da Julian Alaphilippe, che conferma la piazza d’onore del 2015, e Daniel Martin, che aveva tentato di fare il vuoto a metà del muro. Ottime prove per Enrico Gasparotto, che si conferma dopo l’exploit dell’Amstel Gold Race piazzandosi 5°, e per Diego Ulissi, che chiude 8° mentre delude Joaquim Rodríguez. che attacca in due riprese ma si spegne nel finale non andando oltre il 28° posto.

Dopo il trionfo di Enrico Gasparotto all’Amstel Gold Race il Trittico delle Ardenne è proseguito con l’80a edizione della Freccia Vallone, in cui il friulano della Wanty-Groupe si presentava come corridore di punta per quel che riguarda i colori azzurri al pari di Diego Ulissi (Lampre-Merida) ma i cui i favori del pronostico andavano sulla carta ai due atleti che hanno conquistato il muro de Huy nel 2015, vale a dire Joaquim Rodríguez (Katusha), che si è imposto in occasione del Tour de France davanti a Chris Froome (qui assente) e che ha dato buoni segnali al Giro dei Paesi Baschi, e Alejandro Valverde che ha trionfato nella passata edizione della Freccia oltre che in quelle del 2006 e del 2014 e che, dopo un avvio di stagione a fari spenti (dovuto al fatto che per la prima volta in carriera disputerà il Giro d’Italia con ambizioni d’alta classifica), ha dimostrato grande condizione dominando la Vuelta Castilla y Léon. Accanto a loro al via si sono presentati Julian Alaphilippe e Daniel Martin (Etixx-QuickStep), Michael Albasini e Michael Matthews (Orica-GreenEdge), Luis Léon Sánchez (Astana), Wilco Kelderman (Lotto-Jumbo), la rivelazione dell’Amstel Michael Valgren (Tinkoff), Philippe Gilbert e Samuel Sánchez (Bmc), Rui Costa (Lampre-Merida), Tony Gallopin e Tim Wellens (Lotto Soudal), Daniel Moreno (Movistar) e Wout Poels (Team Sky), divenuto capitano unico dello squadrone britannico che ha sospeso Sergio Henao, brillantissimo al Giro dei Paesi Baschi e pertanto atteso a una prestazione importante, per via di valori anomali nel passaporto biologico.
Come avvenuto ormai ininterrottamente nelle edizioni successive a quella del 2003, quando Igor Astarloa si impose grazie a un’azione da lontano, la corsa si è decisa negli ultimi 1300 metri, in salita con pendenza media del 9,6% e punte oltre il 20%. In ogni caso, anche in precedenza vi sono stati degli spunti interessanti, al di là della consueta lunga fuga da lontano, tenuta sotto controllo pressochè esclusivamente da Movistar e Katusha, che ha visto protagonisti Matteo Bono (Lampre-Merida), ormai un habituè di questo tipo di azioni, Koen Bouwman (Lotto-Jumbo), Silvan Dillier (Bmc), Vegard Stake Laengen (Iam Cycling), Kiel Reijnen (Trek-Segafredo), Tosh Van Der Sande (Lotto Soudal), Sander Helven (Topsport Vlaanderen), Mads Pedersen (Stolting Service), Quentin Pacher (Delko Marseille) e Steve Cummings (Dimension Data), ultimo ad arrendersi dopo essere rimasto dapprima con i soli Bono, Van Der Sande e Dillier e quindi da solo avendo staccato i compagni d’avventura subito dopo il secondo passaggio in vetta al Mur de Huy, posto ai -29 dal traguardo, per poi essere ripreso poco dopo. Tra i big le acque hanno iniziato a muoversi già in quel frangente. Si sono mossi dapprima Bjorn Thurau (Wanty-Groupe) e Rubén Fernández (Movistar), la cui azione è stata di breve durata, quindi addirittura Rodríguez che, spalleggiato dal compagno Jurgen Van den Broeck, ha approfittato di un tratto di falsopiano per tentare di avvantaggiarsi in un plotoncino comprendente anche Poels, Albasini, Giovanni Visconti (Movistar), Laurens De Plus (Etixx-QuickStep) e Mikael Chérel (Ag2r) e infine, sulle rampe della Côte de Cherave, il campione lussemburghese Bob Jungels (Trek-Segafredo) e Ion Izagirre (Movistar). A dire il vero, alla luce della presenza di Valverde nel gruppo inseguitore, la continua presenza di uomini della formazione di Unzue in avanscoperta ha destato qualche perplessità, anche perchè non si sono limitati a rimanere a ruota ma hanno collaborato nelle varie azioni. Tutto questo non ha, comunque, influito sull’andamento della corsa dal momento che gli uomini della Etixx-QuickStep hanno chiuso il gap e ai piedi dell’ascesa conclusiva al muro de Huy si è presentato un gruppo compatto di una sessantina di atleti, comprendente tutti i favoriti della vigilia ad eccezione di un Gilbert che, per l’ennesima volta in questo periodo, si è dimostrato in palese ritardo di condizione, anche a sua scusante va portata la recente frattura ad un dito subita dopo un’aggressione.
Negli ultimi 1300 metri Valverde ha corso da padrone, adottando la stessa strategia di un anno fa: quella di mantenersi sempre nelle primissime posizioni, portandosi in scia a chi tentava di fare la differenza e attendendo il tratto finale per muoversi in prima persona. Dopo una fase iniziale di studio il primo ad attaccare è stato Rodríguez, che però ha ben presto esaurito la benzina tanto che al traguardo terminerà solo 28°, mentre molto più decisa è stata l’azione di Daniel Martin, ma anche l’irlandese nulla ha potuto di fronte all’irresistibile progressione negli ultimi 150 metri di Valverde, che si è involato verso il quarto successo in carriera alla Freccia, impresa che non è riuscita in passato neppure a un certo Eddy Merckx e a due grandi nostri specialisti delle classiche delle Ardenne come Moreno Argentin e Davide Rebellin, tutti fermi a quota tre. Proprio come nel 2015, il solo Alaphilippe, che pure non aveva dimostrato questo stato di forma nelle ultime corse (al di là dell’8° posto alla Freccia del Brabante), ha tentato di contrastare il murciano bissando la piazza d’onore di un anno fa mentre Martin, comunque pericolosissimo in vista della Liegi-Bastogne-Liegi di domenica, ha completato il podio resistendo al ritorno di un Poels che non ha comunque fatto rimpiangere Henao, di un Gasparotto (che ha confermato l’eccellente stato di forma dal momento che le pendenze del muro de Huy sono senz’altro a lui più ostiche rispetto a quelle più dolci del Cauberg sulle quali ha fatto il vuoto all’Amstel Gold Race), del sempreverde Samuel Sánchez, di un Albasini che si conferma presenza fissa nelle zone alte della classifica in questa corsa, di un Ulissi che ha migliorato il 9° posto del 2012, mentre Warren Barguil (Giant-Alpecin) e Rui Costa hanno chiuso la top ten. Tutti questi uomini, a partire da Valverde che difenderà il titolo conquistato un anno fa e che anche nella “Doyenne” si è già imposto per tre volte in carriera, saranno sicuramente davanti anche nella Liegi-Bastogne-Liegi in cui dovranno, però, vedersela anche con i reduci del Giro del Trentino, su tutti i nostri Vincenzo Nibali e Domenico Pozzovivo.

Marco Salonna

Lo spagnolo Valverde si applaude il suo personale record: quarta vittoria alla Freccia Vallone, un primato che finora non aveva stabilito ancora nessun altro corridore (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

Lo spagnolo Valverde si applaude il suo personale record: quarta vittoria alla Freccia Vallone, un primato che finora non aveva stabilito ancora nessun altro corridore (foto Tim de Waele/TDWSport.com)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 17: … E LA TERZA LIEGI VIEN DA SÈ

dicembre 13, 2022 by Redazione  
Filed under News

Quattro giorni dopo la terza Liegi arriva la doppietta con la Liegi-Bastogne-Liegi, un binomio che aveva già portato la firma di Alejandro Valverde nel 2006. Anche in questo caso si tratta della terza vittoria del murciano alla decana delle classiche, che l’Embatido fa sua precedendo in una volata a 10 voci l’astro nascente del ciclismo francese Julian Alaphilippe, mentre l’unico italiano nella top ten è il lucano Domenico Pozzovivo.

VALVERDE, SONO TRE!

Lo spagnolo, già vincitore nel 2006 e nel 2008, coglie il terzo successo alla Liegi-Bastogne-Liegi, bruciando Alaphilippe e Rodriguez in una folta volata. Inutili gli attacchi profusi da Astana e Katusha, quest’ultima capace di portare Dani Moreno a 300 metri dalla vittoria. Al di sotto delle attese la prestazione di Nibali, rimbalzato dopo un breve affondo all’imbocco del Saint-Nicolas. Migliore degli italiani Pozzovivo, ottavo.

Se vincere la Liegi-Bastogne-Liegi è in assoluto un’impresa notevole, vincerla da favorito unico, pedalando per 253 km con un bersaglio sulla schiena, è qualcosa di eccezionale; e proprio di questo è stato capace Alejandro Valverde, al termine di una gara in cui ogni avversario era partito con il preciso intento di non portare il murciano allo sprint. Troppo forte l’ex Embatido, e forse troppo poco creativi i rivali, disabituati ormai a correre all’attacco, perlomeno quando il termine “attacco” indica qualcosa di diverso da una girandola di allunghi senza pretese negli ultimi 20 km. Unica eccezione la Astana di scuola Vinokourov, la cui enorme intraprendenza non è stata tuttavia supportata da altrettanta brillantezza degli interpreti.
Sono stati proprio i kazaki, freschi di conferma della licenza, ad infiammare la corsa, peraltro con largo anticipo sulle più ottimistiche tabelle di marcia: già sullo Stockeu, a quasi 80 km dal traguardo, dopo aver contribuito a ridurre ad un pugno di secondi il vantaggio della fuga della prima ora di Ulissi, Montaguti, Vergaerde, Chevrier, Minnaard, Turgis, Benedetti e Quaade, gli uomini di Nibali hanno mandato in avanscoperta Tanel Kangert, scatenando un florilegio di reazioni forse neppure immaginato. Guidati da Izagirre, infatti, non meno di una ventina di corridori si sono riportati sull’estone, con un’altra decina di elementi a poca distanza, dando per un attimo l’impressione che la corsa potesse impazzire.
Il solito, fatale istante di incertezza – sulla falsa riga di quello che a Ponferrada frenò la possibile maxi-fuga promossa dall’Italia a due terzi di corsa – ha però consentito ad un plotone ad un tratto spaesato di riparare il danno, concedendo via libera soltanto al ben più gestibile quintetto lanciato di lì a poco ancora da Kangert, al quale si sono accodati Chaves, Arredondo, Boaro e Scarponi.
I due Astana, chiamati dalla superiorità numerica a svolgere la maggior parte del lavoro, hanno seminato Boaro e Arredondo già sul Rosier, fino a dilatare il margine sul gruppo ad un massimo di 1’05’’. Con l’avvicinarsi della Redoute, Movistar e Katusha hanno provveduto a riportare il distacco intorno ai 20’’, senza rallentare nemmeno quando una maxi-caduta ai 40 dall’arrivo ha spezzato il plotone ed escluso dalla contesa nomi del calibro di Rolland, Roche, Gerrans (già acciaccato) e – soprattutto – Daniel Martin. Nibali ha evitato miracolosamente di restare coinvolto, frenando all’ultimo centimetro utile; un contrattempo costato qualche secondo – recuperato comunque in pochi chilometri – e forse anche un rinvio del successivo assalto Astana.
Com’è ormai consuetudine, il passaggio sulla Redoute è stato svilito da un gruppo transitato a ritmo di transumanza, che soltanto in cima è stato scosso dal tentativo di Siutsou, durato giusto il tempo necessario ad un primo piano in diretta tv. Scarponi e Chaves, sbarazzatisi di un esausto Kangert ai piedi dell’ascesa simbolo della Doyenne, non hanno potuto comunque resistere più di qualche chilometro ancora, permettendo al gruppo di presentarsi compatto ai piedi della Roche-aux-Faucons.
La salita cara ad Andy Schleck, solito infiammare qui la corsa nei suoi giorni di gloria, si è questa volta dovuta accontentare di assistere all’attacco di due outsider – sia pur di lusso – quali Kreuziger e Caruso, osservati da un gruppo ancora pressoché inerte. Soltanto nel successivo tratto di falsopiano la Astana, dopo aver inutilmente tentato di riportare tutti sotto con uno stracotto Taaramae, ha ridato fiato al suo piano tattico, spedendo Fuglsang in caccia del duo di testa. Con una notevole progressione, il danese è riuscito a trasformare la coppia in un trio, e chissà quale fisionomia avrebbe potuto assumere la corsa se un quintetto di contrattaccanti composto da Rui Costa, Bardet, Visconti, Moreno e Alaphilippe, non avesse mancato l’aggancio per un pugno di metri, prima che il marcamento reciproco portasse al naufragio l’azione.
Grazie ad un superlativo Stybar, i favoriti hanno potuto approcciare il Saint-Nicolas con un distacco di appena una decina di secondi dal terzetto di testa, prontamente azzerati da una progressione dimostrativa di Valverde e da un’ugualmente inefficace azione di Nibali, che in quel frangente produceva tuttavia il massimo sforzo. Henao e Caruso hanno a loro volta provato a scremare i resti del gruppo, riuscendo a far fuori un paio di grossi calibri (Gilbert e Kwiatkowski, oltre a Nibali, successivamente rientrato in vista dell’ultimo chilometro), ma non a promuovere un attacco degno di tale nome.
Caruso (nessuna omonimia: sempre Giampaolo, oggi inossidabile) si è incaricato di portare tutti assieme sotto lo strappo finale di Ans, dove Dani Moreno ha provato a giocare d’anticipo, con Joaquim Rodriguez ad incollarsi alla ruota di Valverde per chiudere il murciano in una tenaglia. Qui, però, Valverde – tante volte deriso con pieno merito per la sua insipienza tattica – ha messo in piedi un capolavoro strategico: anziché chiudere subito su Moreno, esponendosi a probabilissimi scatti in contropiede, ha atteso qualche centinaio di metri, inducendo addirittura a credere che le gambe lo avessero abbandonato sul più bello; soltanto in un secondo momento è arrivata la reazione, e quando Moreno è stato finalmente riassorbito, in vista della curva a sinistra che l’anno scorso costò la gara ad un altro Daniel (Martin), lo spazio per anticipare la volata era ormai esaurito.
Nello scenario per lui ideale, Valverde non ha tradito, mangiandosi facilmente i rivali di Firenze, Rodriguez e Rui Costa – 3° e 4° rispettivamente -, e trovando ancora in Alaphilippe, già secondo mercoledì alla Freccia e settimo all’Amstel, l’avversario più credibile, capace di una piazza d’onore alla Liegi prima dei 23 anni. Kreuziger ha trovato ancora la forza di guadagnarsi un ottimo 5° posto, mentre Pozzovivo provvedeva a piazzare il tricolore italiano in top 10, sia pur con un’ottava piazza che non può soddisfare fino in fondo.
Con il senno di poi, è fin troppo facile immaginare quali accorgimenti tattici da parte degli avversari avrebbero potuto complicare la vita a Valverde, messo davvero sotto pressione soltanto negli ultimi 20 km, e secondo piani strategici di facile lettura. La sensazione di generale mancanza di forze che ha destato la scalata al Saint-Nicolas e la disarmante progressione finale dello spagnolo, tuttavia, autorizzano a credere che i rivali, quest’oggi, potessero soltanto scegliere come farsi battere.

Matteo Novarini

La gioia di Valverde e il disappunto di Alaphilippe allarrivo di Ans (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

La gioia di Valverde e il disappunto di Alaphilippe all'arrivo di Ans (foto Tim De Waele/TDWSport.com)

VALVERDE STORY – CAPITOLO 16: NON C’È DUE SENZA TRE, COME KINT, MERCKX, ARGENTIN E REBELLIN

dicembre 12, 2022 by Redazione  
Filed under News

Anche nel 2015 la Freccia Vallone finisce nelle tasche di Alejandro Valverde, in un’edizione affrontata con particolare attesa anche dai corridori che puntano a far bene al Tour de France. Nella stagione in corso è, infatti, prevista una tappa con arrivo sul muro di Huy e al via della classica belga si sono così presentati anche corridori che mai l’avevano affrontata per studiare un finale di gara nel quale anche i big della classifica potrebbero perdere qualcosa dagli avversari. Intanto, zitto zitto l’Embatido scala – oltre alle ripide rampe del muro – anche l’albo d’oro della Freccia iscrivendo il suo nome nel ristretto club dei plurivittoriosi della corsa vallone: tre volte come lui è un’impresa finora siglata solo da corridori come i belgi Eddy Merckx e Marcel Kint e gli italiani Moreno Argentin e Davide Rebellin

VALVERDE DI NUOVO IMPRENDIBILE SUL MURO DI HUY

Tris alla Freccia per il murciano Alejandro Valverde che non delude su uno degli arrivi a lui più congeniali della stagione, quello della Freccia Vallone che, anche quest’anno, si concludeva sul muro di Huy. Sulle sue severe pendenze il capitano della Movistar risulta imprendibile da tutti gli avversari che non possono far altro che vedergli la schiena negli ultimi 200 metri e accontentarsi dei piazzamenti. Il campione del mondo Kwiatkowski che, visti gli ultimi risultati, era legittimamente considerato uno dei superfavoriti è invece stato al di sotto delle aspettative cogliendo un anonimo 33esimo posto.

L’edizione 2015 della Freccia Vallone, una delle classiche più affascinanti e più amate dagli appassionati, ha offerto vari tentativi di attacchi a sorpresa, ma nessuno di questi aveva la struttura necessaria per costituire un pericolo di anticipazione della battaglia sul muro in cima al quale era posto il traguardo.
Numerose le modifiche di percorso rispetto al passato, a partire dalla partenza da Waremme e dagli undici “côtes” da scavalcare, con tre passaggi sul classico muro di Huy che, quest’anno, era preceduto dall’inedita Côte de Cherave. Questa salita rappresenta una novità, inserita con ogni probabilità per due motivi; essa, infatti, verrà affrontata anche nel prossimo Tour de France, proprio nella tappa che si concluderà sul muro di Huy, ma verosimilmente il motivo principale di questa modifica è da ricercare nella volontà di aumentare le emozioni di una corsa che riservava la vera battaglia solo sul muro finale, ove pendenze fino al 20% rendevano la sentenza irrevocabile.
Questa mattina mancava all’appello Lieuwe Westra (Astana), la cui assenza riduceva il campo partenti alle 199 unità che prendevano il via intorno alla 11:30.
La fuga si forma nelle fasi iniziali della corsa, con il perenne attaccante Thomas De Gendt (Lotto Soudal) in compagnia di Pieter Van Speybrouck (Topsport Vlaanderen-Baloise), Jerome Baugnies (Wanty-Groupe Gobert), Reinier Honig (Roompot), Daniele Ratto (UnitedHealthcare), che vengono raggiunti quasi subito da Mike Teunissen (LottoNL-Jumbo) e Brice Feillu (Bretagne Séché). Si forma così un drappello di 7 uomini, con discreti elementi. Il vantaggio massimo degli attaccanti arriva sino agli 8 minuti ma, a quel punto, le squadre dei pretendenti alla vittoria finale iniziano a muoversi per ridurre lo svantaggio. Particolarmente attive in testa sono la Movistar di Valverde e la Katusha di Purito Rodriguez. Sulla Côte de Ballaire si portano in testa gli Sky, imponendo un ritmo molto elevato con diversi corridori, come Cummings, che si trovano a mal partito e con i fuggitivi che vedono il loro vantaggio ridursi drasticamente e cominciano a capire che le speranze di vittoria sono ormai ridotte al lumicino. Del resto, è ben noto che la Sky che tira in testa al gruppo è la più temibile nemica degli attaccanti. Poco dopo lo striscione dei meno 50 si verifica una brutta caduta che costringe al ritiro Philippe Gilbert, che aveva portato casa l’edizione 2011 di questa corsa. In realtà, l’ottimo corridore della BMC ha provato a risalire in bicicletta, ma si è ben presto reso conto di non essere in condizione di portare a termine la prova.
Nei chilometri successivi si verificano altre cadute che tolgono dai giochi altri uomini. Al secondo passaggio sul muro di Huy Baugnies tenta di lasciare la compagnia di Ratto e De Gendt, avvantaggiandosi su di essi di pochi secondi, non sufficienti a permettergli di impostare una azione solitaria ma che hanno come effetto quello di sfilacciare alquanto il terzetto. Anche nel gruppo si registrano segnali di irrequietezza, tanto che Visconti e Luis Leon Sanchez salutato il plotone e si riportano sulla testa della corsa, andando a formare un quintetto composto da elementi estremamente interessanti che ha, però, un vantaggio di soli 25 secondi a venti chilometri dalla conclusione. Sulla Côte d’Ereffe i fuggitivi della prima ora devono cedere, ma dal gruppo escono Tejay van Garderen (BMC) e Louis Vervaeke (Lotto Soudal) che scollinano con pochi secondi dalla testa della corsa. Pochi chilometri dopo, però, l’azione di Van Garderen e Vervaeke viene neutralizzata dal gruppo. Neanche il tempo di riordinare le idee e si verifica l’ennesima caduta in gruppo, che vede anche vittime illustri come Froome. il quale perde contatto definitivamente. Sulla Côte de Chareve, inserita proprio per ravvivare il finale, Vincenzo Nibali, che nelle ultime occasioni aveva cominciato a mostrare segnali di una condizione in crescita, si fa promotore di una azione di avanscoperta alla quale aderisce Roman Kreuziger. I due, però, non riescono ad essere incisivi e il loro tentativo viene neutralizzato prontamente dagli uomini della Etixx, che già da parecchi chilometri avevano preso in mano la situazione. Ai meno 6 anche Visconti e Sanchez sono costretti ad alzare bandiera bianca, ma proprio quando il gruppo si riporta sui due fuggitivi parte in contropiede Tim Wellens (Lotto Soudal). Giampaolo Caruso (Katusha) è l’unico che prova a riportarsi sulla ruota del belga, ma il suo tentativo è infruttuoso e l’italiano si rialza in vista dell’erta finale che Wellens accosta con un vantaggio di 14 secondi, che sembrano non pochi da recuperare in poco più di un chilometro. Le pendenze del muro, però, non perdonano e sulle sue arcigne rampe ci si può piantare da un momento all’altro, tanto che la lepre viene ripresa ai – 600 metri. I grandi, a questo punto, si guardano e si studiano finchè Valverde rompe gli indugi a 200 metri dalla conclusione. Provano a resistere Joaquim Rodriguez (Katusha), Daniel Moreno (Katusha), Julian Alaphilippe (Etixx – QuickStep) e Michael Albasini (Orica GreenEDGE) che in effetti giungono al traguardo con lo stesso tempo del vincitore, ma alle sue spalle.
Valverde bissa il successo dello scorso anno ma, riportando la mente al 2006, conquista per la terza volta questa bellissima classica delle Ardenne che fa da preludio alla Liegi.
Tecnicamente la modifica di percorso e l’inserimento della Côte de Chareve ha invogliato tentativi da parte di uomini di primo piano come Nibali e Kreuziger, ma l’azione non è stata supportata con la dovuta decisione anche perchè promossa da uomini ancora indietro con la preparazione, funzionale ad obbiettivi posto ben più in là nel calendario.
Valverde ha complessivamente meritato la vittoria che, anche se conquistata negli ultimi 200 metri, è stata legittimata da una superiorità sui brevi e ripidi tratti che il murciano non deve certo dimostrare ancora.

Benedetto Ciccarone

Valverde spunta per primo oltre le ripide rampe del muro di Huy (foto Bettini)

Valverde spunta per primo oltre le ripide rampe del muro di Huy (foto Bettini)

« Pagina precedentePagina successiva »