1967, L’ACCENTO DI ZANDEGÙ SUL FIANDRE

aprile 6, 2020 by Redazione  
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Concludiamo il nostro sguardo retrospettivo sui Giri delle Fiandre del passato ricordando l’edizione del 1967 della corsa fiamminga, conquistata dal veneto Dino Zandegù

Il pubblico del ciclismo aveva conosciuto Dino Zandegù al Processo alla Tappa, durante il Giro del 1966. Il simpatico duetto con Anna Maria Gambineri, una delle presentatrici Rai allora più note, ed altre presenze alla fortunata trasmissione di Sergio Zavoli, lo avevano reso popolare più delle sue due prime vittorie di tappa alla Corsa Rosa. Bucava il video, insomma: come poteva non risultare simpatico alla platea televisiva quel ragazzone veneto estroso, chiacchierone, dalla battuta pronta e dall inconfondibile cadenza veneta che ricordava “Gregorio il Gregario”, il personaggio ideato da Ugo Tognazzi alla fine degli anni 50?
Padovano di Rubano, classe 1940, l’alto e robusto Dino (un metro e ottantatrè per settantotto chili) non era un Carneade. Nel 1962 si era laureato campione del mondo nella cronometro a squadre cogliendo l’argento l’anno successivo nella stessa specialità: le doti di passista di valore non gli mancavano, quindi. Passato professionista alla fine del 1963, aveva colto la sua prima vittoria di peso al Giro di Romagna, nella primavera del 1965, imponendosi in volata.
Ma è nel 1966 che Zandegù – passato alla Bianchi – si impone all’attenzione degli appassionati aggiudicandosi nella prima parte della stagione non solo la prima edizione della Tirreno- Adriatico, ma primeggiando anche in una tappa al Giro di Sardegna e cogliendo una serie di piazzamenti di rilievo in alcune delle più importanti classiche nazionali.
Al Giro d’Italia, poi, oltre ad imporsi in due volate (a Giulianova e a Reggio Emilia) diventa addirittura l’uomo di classifica della sua squadra piazzandosi all’undicesimo posto finale, ben prima di più quotati uomini da corse a tappe.
Con questo biglietto da visita passa alla Salvarani di Gimondi, con Luciano Pezzi come direttore sportivo. L’inizio di stagione, meno brillante rispetto a quello dell’anno precedente (solo una vittoria di tappa alla Tirreno e il sesto posto alla Sanremo), serve per preparare la gamba in vista delle Classiche del Nord.
Il Giro delle Fiandre, giunto alla cinquantunesima edizione, è in programma domenica due aprile. È Eddy Merck il grande favorito: dopo avere bissato il successo alla Sanremo si è aggiudicato il mercoledì precedente la Gand-Wevelgem, ottenendo così la sua prima vittoria in una classica belga.
Antagonista designato, manco a dirlo, è Gimondi, mentre Zandegù riceve da Pezzi una precisa consegna: incollarsi alla ruota di Merckx e marcarlo stretto. Dino, per non sbagliare, trascrive il numero di gara del belga sui guantini.
O guantoni, forse, perché quel giorno fa così freddo che più di un corridore deve fare ricorso ad un paio di guanti da sci.
E’ una giornata invernale, al raduno di partenza di Gand. Cielo plumbeo, vento, pioggia e persino nevischio accompagneranno i corridori lungo i 245 chilometri della classica fiamminga.
La corsa è movimentata da una fuga di otto uomini, tra i quali spicca il nome di Noël Forè, il vecchio campione belga che, a quasi trentacinque anni, cerca di ottenere un prestigioso bis nella corsa che lo aveva visto trionfare nel 1963.
A metà gara i fuggitivi arrivano ad avere un vantaggio di sei minuti. Poi, dopo il Kwaremont ed il Muro di Grammont (che, a detta di Zandegù, quell’anno non sarebbe stato scalato per intero), restano al comando in tre: oltre a Forè, il suo connazionale Willy Monty ed il britannico Barry Hoban.
È Gimondi il primo a lanciare la sfida. Con un’azione superba si getta all’inseguimento dei primi, recuperando quasi due minuti in una quindicina di chilometri. La sua pedalata è talmente incisiva che i cinque uomini che avevano tentano di accodarsi sono costretti a desistere. Merckx non può restare a guardare e parte al contrattacco sul Valkenberg. Zandegù, fedele alle consegne ricevute, lo segue come un’ombra, senza mai dargli un cambio.
E se Felice davanti vola, Eddy non è da meno.
Proprio mentre Gimondi si accoda al terzetto di testa, il giovane alfiere della Peugeot lo raggiunge e Zandegù è sempre li, non lo lascia un attimo. Mancano una trentina di chilometri alla conclusione e i volti dei sei uomini al comando sono maschere di fango.
Ora è Merckx che ha scelto la ruota di Gimondi per rifiatare ed è a quel punto – mancano una ventina di chilometri o poco più alla conclusione – che comincia la leggenda di Zandegù.
Forse per finta o forse per una manovra diversiva, Dino scatta. Allunga in maniera perentoria e Merckx esita, temporeggia, controlla Gimondi. È il bergamasco il suo rivale, mica Zandegù. Solo il vecchio Forè riesce ad agganciarsi al veneto. I due prendono il largo e quando Merckx capisce che fanno sul serio comincia a spingere sui pedali, e questa volta è Felice ad incollarsi alla suo ruota.
Zandegù e Forè: entrambi vogliono mettere l’accento sul Fiandre. L’uomo della Salvarani va come un treno, memore del suoi trascorsi di eccellente passista; Forè , che un Fiandre l’ha gia vinto, ma anche una Roubaix e una Gand-Wevelgem, collabora alla fuga come può.
Dino è incontenibile nella sua azione e mentre pedala chissà a cosa pensa! Forse ai genitori fornai, alle sue sette sorelle , a quel giornalista che l’aveva paragonato al mago di una favola per bambin , agli incredibili cherzi durante le Sei Giorni… Ma oggi non sta scherzando Dino, fa tremendamente sul serio Il traguardo si avvicina e Merckx, rabbioso, non riesce a riportarsi sui due. ll’imbocco del lungo rettilineo d’arrivo di Meerbeke i fuggitivi hanno un vantaggio rassicurante e si giocano la vittoria. Zandegù parte lungo e più di una volta, proponendo una progressione incontenibile alla quale non può opporsi l’anziano Forè. Vince quasi per distacco Dino, alzando al cielo il braccio destro; Merckx, a 20 secondi, si aggiudica il gradino più basso del podio, precedendo Gimondi, Hoban e Monty. Dopo 30 secondi giunge il gruppo dei migliori con Guido Reybrouck, Herman Van Springel, Jan Janssen e Gerben Karstens a completare la top ten.
Che trionfo per Dino! È il secondo italiano a vincere la Ronde, sedici anni dopo l’ultimo dei tre successi consecutivi di Fiorenzo Magni. Ed è una gran gioia anche per i numerosi emigrati italiani presenti a cui Dino, su sollecitazione di Adriano De Zan, dedica alcune strofe di “O sole mio”. La carriera di Zandegù cantante comincia quel giorno di inizio aprile.
“Canta, Dino, canta!”, gli gridano i nostri connazionali e Dino li accontenta, pensando che dal suo paese erano partiti in tanti a cercare lavoro all’estero. È una situazione paradossale: in una giornata grigia e fredda un italiano canta “O sole mio” a Gentbrugge, un sobborgo di Gand, la città che fu culla di Carlo V, il sovrano sul cui impero non tramontava mai il sole! C’era voluto Zandegù a compiere tale miracolo!
È il ciclista del momento: la televisione belga lo invita ad uno show con Adamo, il popolare cantante italo-belga, offrendogli un cachet di tutto rispetto, mentre in Italia viene contattato per incidere un 45 giri.
Sullo slancio di quella vittoria Zandegù si aggiudicherà poco dopo il Giro di Campania e al Giro d’Italia non solo conquisterà due tappe, ma vincerà anche la maglia ciclamino. Nella classifica a punti primo Zandegù, secondo Merckx: ancora battuto il campione belga!
Sarebbero seguite altre vittorie negli anni a venire (39 in totale), tanti piazzamenti e indimenticabili duelli – in sella sulla strada e verbali nei dopocorsa – con le migliori ruote veloci dell’epoca (e ce n’erano davvero tante!) .Campione tra i più popolari della seconda metà degli anni sessanta, l’estroso e incontenibile Dino – che i francesi avrebbero chiamato “Zandegù le Troubadour” – in una memorabile volata al Giro d’Italia del 1970 (si arrivava a Jesolo, quella volta) ebbe la soddisfazione di piazzare la sua ruota davanti a quella di Reybrouck, di Marino Basso (il rivale più odiato), Walter Godefroot e Patrick Sercu. Signori, chapeau!
Chiuse la carriera di corridore al Giro di Lombardia del 1972, con un vero e proprio colpo di teatro. Avvantaggiatosi sul gruppo nei pressi di Caglio, dove la salita diventava per lui insostenibile, scese di bicicletta e di fronte ai i numerosi appassionati disse: “Zandegù vi ha offerto il suo ultimo acuto, ora si offre il suo ritiro” . Applausi a scena aperta per un’uscita di scena degna di un grande attore.
Restò nel mondo del ciclismo diventando un apprezzato direttore sportivo ( e pochi ci avrebbero giurato). Poi, in tempi più recenti, dopo un incarico nell’organizzazione del Giro d’Italia in qualità di responsabile della carovana pubblicitaria, ha conosciuto un‘ulteriore giovinezza nelle vesti di personaggio televisivo, in trasmissioni non solo di stampo ciclistico. Non solo raccontando, da grande affabulatore, divertenti aneddoti sul ciclismo che fu ma componendo e cantando ballate dedicate ai campioni del momento, il tutto condito da un’ironia ed una verve davvero sorprendenti.
La sua vittoria al Fiandre sarebbe rimasta n’impresa indimenticabile e ci sarebbero voluti ventitrè anni per rivedere il successo di un altro azzurro, il suo conterraneo Moreno Argentin.
E pensare che quel giorno del 1990, sulle Fiandre splendeva un sole abbagliante, mediterraneo: quel sole evocato e cantato da Dino Zandegù in una fredda domenica di Aprile del 1967.

Mario Silvano

Laffermazione di Zandegù al Giro delle Fiandre del 1967

L'affermazione di Zandegù al Giro delle Fiandre del 1967

PRIMAVERA 2007: IL FIANDRE PORTA LA FIRMA DI BALLAN

aprile 5, 2020 by Redazione  
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Per questo ricordo siamo andati a riesumare un articolo scritto quando era ancora in funzione il vecchio sito (ancora accessibile dall’attuale home page): correva l’anno 2007 e a tagliare per primo il traguardo del Giro delle Fiandre, che all’epoca si concludeva a Meerbeke con Grammont e Bosberg ultimi giudici della corsa fiamminga, fu l’italiano Alessandro Ballan.

Ballan fa lo show sul Grammont, poi regola i conti con l’Hoste: il Fiandre stavolta è suo!

“Aspettatemi sui muri” aveva detto. Come a dare appuntamento agli amici della borgata, Alessandro Ballan l’aveva promesso. I muri di Ballan non contemplano però un paio di jeans strappati, una bottiglia di birra nella sinistra e la sigaretta accesa nella mano destra. Il muro di Ballan è quello che in Belgio sognano la notte, attendono per 365 giorni, vivono fino in fondo per due-tre minuti di un pomeriggio di sole del giorno di Pasqua. Il muro di Ballan è il Grammont (tradotto in italiano) delizia di un Fiandre che rovescia tutti i pronostici, che schianta un Boonen spavaldo e che ripropone un italiano, per la decima volta nella storia della competizione, sul gradino più alto del podio dopo cinque anni di astinenza dal successo del 2002 di Andrea Tafi.
La gara vive sulla lunga fuga a sette composta da seconde linee tra le quali vengono rappresentate con Franzoi e Kuchynski sia la Lampre che la Liquigas. I magnifici sette proseguiranno in avanscoperta fino all’imbocco del Grammont quando quel che è rimasto del gruppo si riporta sotto ed iniziano i fuochi d’artificio. Intanto da dietro si segnalano diverse cadute, vuoi per l’alta velocità, vuoi per la scelta scriteriata di inserire una fila di camion pubblicitari in una strada stretta. Ne fanno le spese e sono costretti al ritiro, tra i tanti, Zabel, Wegmann e Bernucci (all’ennesima caduta grave). Scivolate anche per Boonen, che lamenta dolori a polso e ginocchio ed O’Grady, mentre Cancellara è costretto a mettere piede a terra per evitare proprio il compagno di squadra. Appena i muri iniziano a susseguirsi ed una volta superato il Kwaremont giungono i primi segnali decisi: Van Petegem non è più quello di qualche anno fa e non sarà d’aiuto alla corazzata Quick-Step. Cade intanto anche un Paolini che, quando mancano 60 chilometri, sembra essere tagliato fuori dalle posizioni che contano. Le formazioni di casa, Quick-Step e Lotto, iniziano a muoversi e mandano in avanscoperta di volta in volta le seconde linee: i primi a partire sono Hulsmans e Van Summeren e col gruppo che sonnecchia per una decina di chilometri è Cancellara a cercare di far saltare il banco. Il campione del Mondo contro il tempo accelera e si porta dietro un gruppetto coi migliori: O’Grady, Hoste, Boonen gli prendono la ruota. Ma è proprio a Ballan a concepire il grosso rischio e a ricucire lo strappo prima che diventi irrecuperabile. Cancellara si rialza, O’Grady no e rilancia. Con lui stavolta vanno Boogerd, ancora Hoste, un sorprendente Bennati e Steegmans. Neanche stavolta l’azione va a buon fine e quando i big si ricongiungono nuovamente ecco che Cancellara parte con una progressione impressionante. E pensare che nel 2007 non si era mai visto. Aria di Roubaix per lui. Steegmans lo segue e non gli dà mai un cambio: forse Boonen sta meglio di quanto la caduta faccia pensare. I due guadagnano fino a quarantacinque secondi e si ricompattano col gruppetto dei sette eroi di giornata. Ma la Lampre con un super Baldato e la Lotto di Hoste tirano a tutta prima del Geraardsbergen (o Grammont se preferite). A sorpresa Boonen approccia la salita in testa. Troppa spavalderia che accende il cuore dei tifosi assiepati ai lati delle transenne e la foga di un Ballan pronto a mordere il freno. Il veneto di Castelfranco parte nel tratto più duro, laddove Michelino Bartoli fece la differenza 11 anni fa. Ed allo stesso modo si invola. Solo Hoste prova a tenergli testa scollinando con cinque secondi di ritardo subito colmati nel primo tratto di discesa. Mancano ancora quindici chilometri ed il vantaggio sul gruppo dei migliori è di soli sei secondi. Non sarebbe nulla se non fosse il Fiandre. Qui è tutto diverso. Boonen intanto è letteralmente scoppiato e da dietro non si riesce ad organizzare un inseguimento degno di nota. Così i due guadagnano quei 10 secondi necessari ad arrivare sotto l’ultima asperità, il Bosberg, con 18 secondi di gap. Pippo Pozzato, che dichiarerà di non aver avuto la condizione giusta, prova ad uscire dal plotone degli inseguitori ma non ha il colpo di pedale dei giorni migliori e viene presto riassorbito. Ci prova ancora Bettini ma il tentativo più serio è quello di Vaitkus che si trascina dietro Kroon. Mancano soltanto quattro chilometri ed il vantaggio scema di due secondi ogni mille metri. La strada è amica dei due al comando e quando si transita sotto la flame rouge il vantaggio si assesta ancora sui dieci secondi. Ma Hoste, già due volte secondo alla Ronde, capisce di dover impostare la volata in seconda ruota e smette di collaborare. Il sangue si gela. Alla mente riaffiorano i pensieri del Tour dello scorso anno, di un Ballan beffato dalle bizzarre e antisportive strategie di Freire e Popovych. Da dietro intanto è ufficiale: non rientrerà più nessuno. Lo sprint è ormai lanciato. Ballan sbaglia e parte col rapporto troppo duro. Sembra finita ma non lo è. Non lo è perché Hoste è l’eterno secondo e non sembra voler rovesciare la sua triste sorte e perché Ballan ha una voglia di prendersi il successo più dolce pari a quella della destra di far cadere il governo Prodi. Finisce con l’urlo strozzato in gola dei belgi e con la ruota di Alessandro Magno scavalcare inesorabilmente quella dell’avversario proprio a pochi centimetri dalla linea. E’ tripudio italiano. E’ una gioia che neanche fiumi di parole saprebbero raccontare come il viso dell’umile veneto. E’ sbocciato finalmente un Campione.

Marco Ferri

La vittoria di Alessandro Ballan al Giro delle Fiandre 2007 (foto Bettini)

La vittoria di Alessandro Ballan al Giro delle Fiandre 2007 (foto Bettini)

PRIMAVERA 2019: BETTIOL COLORA D’AZZURRO IL FIANDRE

aprile 4, 2020 by Redazione  
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Nei giorni a cavallo della data nel quale si sarebbe dovuto disputare il Giro delle Fiandre vi riportiamo indietro nel tempo per farvi rivivere tre edizioni della corsa fiamminga che hanno visto imporsi corridori italiani. Non potevamo incominciare con l’ancora fresco ricordo dell’affermazione di Alberto Bettiol lo scorso anno ad Oudenaarde

Può una corsa di ciclismo trasformarsi in una festa nazionale? Si, e succede in Belgio ogni anno la prima domenica di Aprile. La Ronde van Vlaanderen, le Tour des Flandres, il Giro delle Fiandre o semplicemente il ”Fiandre”, è uno degli appuntamenti più importanti della stagione ciclistica, un evento sportivo-culturale-popolare senza paragoni in Belgio, una festa che un’intera nazione aspetta con gioia e trepidazione, un evento che come ogni anno è stato onorato dallo spettacolo offerto dai corridori protagonisti dove, con spirito di sacrifico e abnegazione, hanno dato il massimo per vincere la prima classica monumento del Nord. È la classica del pavé e dei ”Muur”, i più famosi dei quali – Grammont escluso, messo fuori dai tratti chiave della corsa – sono l’Oude Kwaremont (2200 metri al 4% con punte all’11.6%, da ripetere tre volte), il Koppenberg (600 metri all’11.6% – max 22%) e il Paterberg (360 metri al 12.9% – max 20.3%, da percorrere due volte), nomi leggendari che richiamano ad imprese epiche. Impresa oggi fatta da Alberto Bettiol (EF Education First), alla sua prima vittoria da professionista, che sull’ultimo passaggio dell’Oude Kwaremont staccava tutti, percorrendo al massimo delle sue energie, in solitaria, i 18 chilometri che lo portavano alla linea d’arrivo. Dopo dodici anni, tanto è passato dalla vittoria di Alessandro Ballan, un italiano ritornava a vincere La Ronde van Vlaanderen.

LA CRONACA

I 175 ciclisti iscritti partivano come programma da Anversa alle ore 10:45. Il dorsale numero 1 era sulle spalle del campione in carica Niki Terpstra (Direct Énergie), che l’anno scorso riuscì a sfruttare a suo favore il marcamento asfissiante tra Peter Sagan (Bora-Hansgrohe) e Greg Van Avermaet (CCC Team) e, partito a sorpresa, vinse battendo negli ultimissimi chilometri un esausto Mads Pedersen (Trek-Segafredo), che faceva parte della fuga di giornata. Rispetto all’anno scorso, però, Terpstra aveva cambiato compagine e non aveva al suo fianco uno squadrone come la Deceuninck – Quick Step, che oggi si presentava al via con più punte come Zdeněk Štybar, Philippe Gilbert, Bob Jungels e Yves Lampaert. La Deceuninck, tra l’altro, era stata presente e attenta in quasi tutte le fasi della corsa, tranne sull’ultimo passaggio dall’Oude Kwaremont, dove si faceva rubare la scena dall’EF Education First.

Subito dopo la partenza si susseguivano diversi tentativi di attacco. Dopo qualche chilometro riuscivano a partire Hugo Houle (Astana), Zico Waeytens (Cofidis), Kenneth Van Rooy (Sport Vlaanderen – Baloise) e Jesper Asselman (Roompot Charles). A parte l’inconveniente di un passaggio a livello chiuso, che aveva bloccato il gruppo per circa quindici secondi, il plotone controllava a distanza gli attaccanti che avevano persino toccato i 7′ di vantaggio. Deceuninck – Quick Step, Jumbo Visma e Ag2r La Mondiale, con un uomo a testa in prima fila, guidavano attentamente l’inseguimento. L’asfalto reso viscido dalla pioggia dei giorni scorsi e il nervosismo che regna sempre in questo tipo di corsa causavano varie scivolate e cadute nel gruppo. In una di queste restava coinvolto il campione in carica Terpstra che, a 157 chilometri dal traguardo, era già costretto ad abdicare. Nel frattempo Houle anticipava i tre compagni di fuga passando per primo sul primo passaggio sull’Oude Kwaremont, conquistando così il premio intitolato a Stig Broeckx, che valeva 5000 € da destinare a un’associazione benefica belga a scelta.

LA CORSA ENTRA NEL VIVO

Sul Muro di Grammont provava l’allungo Magnus Cort Nielsen (Astana). Il corridore danese, in ombra alla Milano-Sanremo, cercava di portare via un gruppetto di ciclisti, ma la sua azione veniva annullata dalla corazzata Deceuninck Quick-Step, la quale spezzava il gruppo in due tronconi grazie all’alta velocità e alle strade strette. Molti ciclisti – tra i quali Sep Vanmarcke (EF Education First), Tiesj Benoot (Lotto Soudal), Matej Mohorič (Bahrein Merida), Štybar, Yves Lampaert (Deceuninck – Quick-Step), Oliver Naesen (Ag2r La Mondiale), Alejandro Valverde (Movistar), Michael Matthwes (Sunweb), Mathieu Van der Poel (Coredon-Circus) e gli italiani Gianni Moscon (Team Sky), Daniel Oss (Bora-Hansgrohe), Sonny Colbrelli (Bahrein Merida) e Matteo Trentin (Mitchelton-Scott) – si trovavano nel primo spezzone composto da una quarantina di corridori, gruppo che aveva ripreso i fuggitivi di giornata e si trovava con quasi un minuto di vantaggio dal secondo gruppetto. In quest’ultimo erano rimasti Philippe Gilbert (Deceuninck – Quick Step), Tim Wellens (Lotto Soudal) e soprattutto un deludentissimo Peter Sagan (Bora-Hansgrohe). Lotto Soudal, Cofidis, e Katusha Alpecin guidavano l’inseguimento alla prima parte del gruppo, inseguimento che avrebbe dato i suoi frutti solo ai piedi del Kanarieberg, a 72 km dal traguardo. Dalla testa della corsa evadevano per pochi chilometri Nelson Olivera (UAE-Team Emirates), Matti Breschel (EF Education First), Lukas Pöstlberger (Bora-Hansgrohe), Danny Van Poppel (Jumbo-Visma) e un attivissimo Lampaert. Nemmeno il tempo di dire gruppo compatto che partiva all’attacco in solitaria Mohorič. Lo sloveno, con un’azione velleitaria, si avvantaggiava di una ventina di secondi prima di essere ripreso ai piedi dell’Oude Kwaremont da un’attentissima Deceuninck, sempre presente fin lì nelle azioni principali di giornata.

In una fase apparentemente tranquilla, sul tratto d’asfalto che collegava il Kanarieberg all’Oude Kwaremont un’altra caduta rischiava di mettere fuori gioco uno dei favoriti di giornata, l’olandese Van der Poel, un po’ distratto nell’occasione. Mentre stava per fermarsi per una foratura, il capitano della Coredon-Circus non si accorgeva di un tombino sul quale “inciampava” con la bici e cadeva malamente a terra, sbattendo la spalla destra. Il giovane ciclista si rialzava con varie escoriazioni e con cautela si rimetteva in sella: sarebbe rientrato solo dopo tanti chilometri d’inseguimento e tante energie sprecate.

Al secondo passaggio sull’Oude Kwaremont, sbucando da dietro le maglie color arancio del CCC Team, forzava il belga Stijn Vandenberg (AG2R La Mondiale), che prendeva alcuni metri di vantaggio prima di venire raggiunto da Vanmarcke. In mezzo al gruppo si poteva ben notare la maglia del campione del mondo di Alejandro Valverde, alla prima partecipazione al Giro delle Fiandre, che stava correndo con molta attenzione sempre nelle prime posizioni del gruppo. I due all’attacco venivano raggiunti da Kasper Asgreen (Deceuninck – Quick-Step) e ancora una volta il team di Patrick Lefrevere si dimostrava all’altezza della situazione, riuscendo ad entrare in ogni azione d’attacco di giornata. Ai tre si sarebbe aggiunto Dylan Van Baarle (Team Sky) ai -45 km. Il quartetto raggiungeva il massimo vantaggio ai -40 km, all’uscita del tratto di pavè dello Steenbeekdries, quando arrivava ad avere circa 30” sul gruppo inseguitore.

Perso per strada Vandenberg dopo aver superato il Taaienberg, i tre rimasti all’attacco non collaboravano tra loro perchè Asgreen era costretto dagli ordini di scuderia a rimanere ”fermo” a ruota, dato i vari Lampaert e Jungels presenti nel gruppo inseguitore. Dietro molti ciclisti provavano a muoversi, tra i quali un acciaccato Van der Poel e un’attivissima Lotto-Soudal con Tim Wellens e Jens Keukeleire. Sulla terzultima salita di giornata, il Kruisberg, Vanmarcke si staccava lasciando soli i due battistrada con 18” di vantaggio sul gruppo inseguitore, dove si aumentava ancora l’andatura, con uno strepitoso Van der Poel che, alla sua prima partecipazione al Giro delle Fiandre, cercava più volte di fare la differenza. Nessuna iniziativa veniva presa da Peter Sagan, il quale non poteva nemmeno più contare sull’apporto di Daniel Oss e di Greg Van Avermaet, che sulla salita precedente aveva sfinito gli ultimi due compagni di squadra che gli erano rimasti.

L’AZIONE DECISIVA

La Deceuninck – Quick-Step, la squadra faro della corsa fino a quel momento, veniva meno nel momento topico della corsa. All’ultimo passaggio sull’Oude Kwaremont il colore che catturava di più l’attenzione nel gruppo inseguitore, formato da una trentina di unità, era il rosa della EF Education First, dove Bettiol e Sebastian Langeveld si trovavano a ruota di un generoso Vanmarcke che, staccatosi dai fuggitivi, si era messo a lavorare in testa al gruppo per i compagni di squadra. Ripresi i due fuggitivi e finito il lavoro di un grande Vanmarcke, forzava Keukeleire ma, una volta raggiunto il corridore belga, a 18 km dal traguardo partiva all’attacco l’Alberto Bettiol. Il ciclista nativo di Poggibonsi faceva il vuoto sulle pietre del “vecchio Kwaremont” e all’uscita dal tratto in porfido faceva segnare un vantaggio di 15”, che avrebbe portato invariato fino al Pateberg. Sull’ultimo muro di giornata i big si guardavano ancora con i soli Van Avermaet e Van der Poel che cercavano, in colpevole ritardo, di attaccare. Sotto il loro attacco il gruppo all’inseguimento si era spaccato in due tronconi, con Sagan, Van Avermaet, Lampaert, Wout Van Aert (Team Jumbo-Visma), Van der Poel, Benoot, Valverde e Bob Jungels (Deceuninck – Quick Step) presenti nel primo.

Terminati i muri e il pavé Bettiol si ritrovava con quasi 30” di vantaggio da gestire. Al suo inseguimento non c’era collaborazione e la stessa Decuninck – anche se in numero maggiore – non riusciva ad organizzare l’inseguimento, tra un Lampaert stremato e un Jungels costretto a mettersi di lato a causa di un principio di crampi. Solo ai -5 km si vedeva il tre volte campione del mondo Sagan ma, non trovando collaborazione, si rimetteva nella pancia del gruppetto, mentre Langeveld svolgeva con dedizione e intelligenza la funzione di stopper, mettendosi a ruota di cercava di evadere dal gruppetto. Bettiol proseguiva nella sua cavalcata trionfale, passando sotto l’arco dei -3 km con 20” di vantaggio. La Lotto-Soudal provava nuovamente ad attaccare con Bennot, ma ancora senza successo. L’unico che riusciva ad uscire dal controllo di Langeveld era Asgreen, ma il suo attacco arrivava troppo tardi. Alberto Bettiol giungeva, infatti, all’ultimo chilometro con ancora 18” sul corridore della Deceuninck – Quick-Step. Il toscano con grinta, intelligenza tattica e anche grazie ad una EF Education First oggi impeccabile, poteva così tagliare in solitaria il traguardo di Oudenaarde e alzare le braccia al cielo. Era dal 2007 che un italiano non vinceva il Giro delle Fiandre, l’ultimo fu Alessandro Ballan, mentre il primo a trionfare nel 1949 fu un correggionale di Bettiol: Fiorenzo Magni, il Leone delle Fiandre. Magni vinse tre edizioni consecutive della classica belga: che sia d’ottimo auspicio per il giovane leoncino di Poggibonsi?

Secondo al traguardo, a 14”, si piazzava il giovane danese Asgreen. Tre secondi più tardi il norvegese Alexander Kristoff (UAE-Team Emirates) vinceva lo sprint del gruppetto per il terzo posto, mettendosi alle sue spalle un generoso e talentuoso Van der Poel. Ottavo Valverde, solo decimi ed undicesimi Van Avermaet e Sagan. Negativa la prova del campione slovacco, mai nelle prime posizioni del gruppo sui muri, nessun acuto, solo un timido tentivo d’inseguimento quando la corsa era già segnata: per lui, finora, una primavera molto deludente.

LE DICHIARAZIONI DEL VINCITORE

Incredulo all’arrivo per la vittoria prestigiosa, considerando anche che è stata la sua prima vittoria da professionista, Bettiol non nascondeva la sua gioia, emozione ed incredulità: «Mamma mia, non ci credo! È la mia prima vittoria, ci pensate? La squadra mi ha detto di provarci se ne avevo, così sul Vecchio Kwaremont ho chiuso gli occhi e sono partito. Vi garantisco che sono stati i 14 chilometri più lunghi della mia vita. Grazie di cuore a tutta la squadra, che mi ha supportato in maniera perfetta».

Luigi Giglio

Bettiol in azione sul Paterberg, vanamente inseguito dagli avversari (Getty Images)

Bettiol in azione sul Paterberg, vanamente inseguito dagli avversari (Getty Images)

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