ANCORA SEREBRYAKOV!!
Il russo Alexander Serebryakov (Team Type1) si impone nella quarta tappa del Tour of Hainan, battendo in volata il malese Anuar Manan (Team Champion System) e il tedesco Micheal Kurth (Team Eddy Merckx-Indeland).
Con questo vittoria Serebryakov aumenta il distacco anche in classifica generale, con i primi inseguitori a 22 secondi dal russo.
Foto copertina: Serebryakov festeggia il successo nella tappa disputata il 22 ottobre (foto Xinhua/Guo Cheng)
Evidentemente a Serebryakov non piace Niccolò Paganini, perché il ragazzo non ha proprio voluto ascoltare il compositore genovese che era solito ripetere la sua contrarietà alla proposta di ripetere il brano; Alexander, invece, ha ripetuto. Non il brano, ma la vittoria.
Il percorso di oggi è stato, come solitamente accade, adatto ai velocisti e per questo molto veloce, tanto che i corridori segneranno una media vicina ai 45 chilometri l’ora.
E così i corridori, dopo aver pedalato così animatamente la tappa per 160 chilometri, si presentano sul rettilineo finale per disputare la volata.
Ormai il russo ci ha preso gusto, e dopo aver conquistato due secondi posti consecutivi, pareggia aggiudicandosi la seconda vittoria consecutiva. E se il primo classificato non cambia, cambiano invece i nomi dei battuti, che stavolta sono nell’ordine il malese Anuar Manan ed il tedesco Micheal Kurth.
In classifica generale Serebryakov guadagna altro terreno nei confronti degli inseguitori in virtù degli abbuoni: a 22 secondi troviamo allo stesso tempo Krasnov e Mat Senan, a 25 il francese Tarride.
L’impressione è che Alexander applichi la regola secondo la quale la migliore difesa è l’attacco, e nelle prossime tappe non tirerà i freni così tanto facilmente. Anzi.
Paolo Terzi
23-10-2012
ottobre 24, 2012 by Redazione
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TOUR OF HAINAN (Cina)
Il russo Alexander Serebryakov (Team Type 1 – Sanofi) si è imposto anche nella quarta tappa, Haikou – Chengmai, percorrendo 160 Km in 3h33′36″ alla media di 44,943 Km/h. Ha preceduto allo sprint il malaysiano Manan e il tedesco Kurth. Serebryakov ha conservato la testa della classifica con 22″ sul connazionale Krasnov e sul malaysiano Mat Senan.
LA CADUTA
ottobre 23, 2012 by Redazione
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Lance Armstrong ha perso tutto, a cominciare dai sette Tour. L’UCI ha infatti deciso di seguire la linea dettata dall’Usada, togliendo all’americano i trionfi conseguiti in Francia fra il 1999 e il 2005. Probabile che le edizioni restino senza vincitore, anche se per una decisione definitiva bisognerà attendere venerdì. Al corridore che ha marchiato a fuoco gli anni 2000, persi anche i contratti di sponsorizzazione con la Nike, resta soltanto l’onta della squalifica.
Foto copertina: Lance Armstrong brinda nel giorno del suo settimo trionfo al Tour de France (foto Roberto Bettini)
Lance Armstrong non è mai esistito, almeno non per il Tour. Per gli anni fra il 1999 e il 2005, nell’albo d’oro della Grande Boucle resterà un buco nero di sette edizioni, a meno che venerdì l’UCI non decida – contrariamente alle previsioni – di riassegnarli ai secondi classificati. Una scelta che la tradizione suggerirebbe ma che il buon senso forse sconsiglierebbe, visto che sei dei sette Tour verrebbero assegnati ad atleti con altre squalifiche per doping alle spalle (Zulle, Ullrich, Beloki e Basso, con Kloden a fare la parte dello studente diligente che paga insieme ai compagni irrequieti).
Questione spinosa, anche perché le positività dei quattro non riguardano le stagioni in questione, ma che non rappresenta la conseguenza fondamentale della sentenza con la quale l’UCI ha ripudiato l’ex pupillo. Tanto più che depennare un corridore squalificato dalla classifica di una corsa non equivale ad annullarne gli effetti sulla stessa, specie se il corridore in questione è Lance Armstrong: uno che la gara la controllava, la addormentava, la scuoteva, la indirizzava e la rivoltava quasi a suo piacimento. Senza Armstrong, quei Tour sarebbero stati semplicemente diversi, se non altro perché l’avvento del texano ha reso diverso – nel bene e nel male – il ciclismo.
La sentenza di ieri significa prima e più di tutto lo sbriciolamento di un mito, di un sogno di rinascita che, sia pur fra controversie e mormorii divenuti negli anni quasi assordanti, rappresentava una delle parabole più affascinanti della storia dello sport: dai primi successi alla carriera stroncata dal cancro, per poi di riemergere dall’inferno e ascendere all’Olimpo, conquistando la gara più prestigiosa del pianeta e riscrivendone ogni record. Nemmeno il meno creativo degli sceneggiatori oserebbe mai scrivere un copione tanto scontato nel suo essere fiabesco, e vedere il tutto accadere davvero ha forse reso cieco chi poteva accorgersi di qualcosa e muto chi qualcosa sapeva.
Può forse essere così spiegato – benché non giustificato – il ritardo con il quale è emersa la verità su quello che era un mito ed oggi soltanto una truffa iniziata quattordici anni fa, quando Armstrong decise che tornare alla vita e allo sport dopo aver vinto un lancio di moneta con la morte non era abbastanza. Delude scoprire cosa è stato disposto a fare pur di arrivare più in alto; dispiace per la verità non tanto per lui, quanto piuttosto per chi da lui è stato ispirato, per chi in lui aveva trovato un modello che si auspica possa rimpiazzare con qualcuno che non sia stato una colossale farsa.
Ci sembra superfluo addentrarci nella discussione di una sentenza che – al di là dei già menzionati tempi biblici – appare difficile contestare nella sostanza; ancor più inutile sarebbe ribadire l’esecrabilità delle azioni di Armstrong, sufficiente a non ispirare la benché minima pietà per l’uomo che viene chiamato a restituire il maltolto e si vede privato di tutto ciò che il suo bluff gli aveva portato – sponsorizzazioni multimilionarie come quella della Nike in primis -.
Più interessante ci sembra invece dedicare qualche parola alla nauseante conferenza stampa di Pat McQuaid, che cavalcando l’ondata di universale sdegno per le acclarate nefandezze dell’americano ha pateticamente provato ad ergersi a paladino della lotta al doping e a profeta di un’epoca nuova e pulita, dove per gli Armstrong non ci sarà più posto. Come se il texano non fosse stato a lungo additato quale esempio da imitare e alfiere di un ciclismo lontano dagli scandali degli anni ’90; come se, soprattutto, fosse immaginabile il ruolo di baluardo della guerra al doping per un uomo che soltanto due anni fa tentava il possibile e non solo per coprire la positività al clenbuterolo di Alberto Contador, salvo poi lavarsene le mani quando la vicenda fu portata alla luce.
Non è la prima volta che delle vittorie vengono revocate, e l’esperienza obbliga a prevedere che non sarà l’ultima; è però difficile trovare un precedente più clamoroso, dalle conseguenze altrettanto enormi. Con i sette Tour se ne vanno tutti i primati che Armstrong aveva riscritto, viene quasi cancellata un’era ciclistica. Pur non pareggiando la grandezza dei Coppi, dei Merckx e degli Hinault, l’americano aveva segnato un’epoca come forse nessuno, rivoluzionando la sua disciplina ben al di là del record di maglie gialle. Armstrong ha rappresentato un nuovo modo di correre, l’applicazione sistematica della scienza al ciclismo, la preparazione del particolare portata all’esasperazione. Mutamenti forse non tutti in meglio, ma che hanno settato per anni un nuovo standard di approccio alle corse, solo di recente in parte accantonato, con la gradevole ricomparsa di corridori completi, capaci e desiderosi di misurarsi su tutti i terreni in tutte le stagioni.
È opinione diffusa che la condanna di Armstrong enfatizzi la già duratura crisi di credibilità del ciclismo. Dissentiamo: per dolorosa che possa essere, ogni squalifica di un atleta dopato segna un passo avanti nella battaglia contro il più grande flagello dello sport. Dello sport – si badi –, perché il doping è pratica tutt’altro che circoscritta al mondo della bicicletta. Mondo che è però fra i pochi a sforzarsi di dare la caccia ai bari e di punirli quando li trova, anche a costo di perdere appassionati, di veder calare l’audience televisiva e di assistere all’abbandono di qualche sponsor. Doloroso, appunto, ma sempre meglio che chiudere gli occhi dinanzi all’evidenza, rinunciando a scoperchiare un vaso colmo di marcio, come è costume altrove. Condannare Armstrong e chiunque nella sua condizione è un passo innanzi sulla via di quello scenario di pulizia che è più lontano di quanto McQuaid preconizzi (soprattutto finché saranno in circolazione soggetti come lui), ma che non è utopia. Perciò goodbye, Lance; non ci mancherai.
Matteo Novarini
22-10-2012
ottobre 22, 2012 by Redazione
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TOUR OF HAINAN (Cina)
Il russo Alexander Serebryakov (Team Type 1 – Sanofi) si è imposto nella terza tappa, Wenchang – Haikou, percorrendo 163 Km in 4h26′32″ alla media di 36,693 Km/h. Ha preceduto allo sprint il malaysiano Salleh e il kazako Iglinskiy. Serebryakov ha conservato la testa della classifica con 12″ sul connazionale Krasnov e sul malaysiano Mat Senan.
SEREBRYAKOV IMPONE LA SUA LEGGE
Finalmente una vittoria per il russo Alexander Serebryakov, che dopo due secondi posti consecutivi nelle prime due tappe, si conferma sempre di pù come leader della corsa asiatica. I battuti sono stati nell’ordine il malese Mohammad Harrif Saleh ed il kazako, vincitore 2011, Valentin Iglinskiy.
Foto copertina: foto d’archivio di Serebryakov (il successo nell’edizione 2012 del TD Bank International Championship (foto David Maialetti/Staff Photographer)
Il proverbio dice che non c’è due senza tre, e ricollegandolo al caso di Alexander Serebryakov, si poteva prospettare per il russo un altro secondo posto. Ma stavolta abbiamo assistito ad un’eccezione.
Il percorso, come in tutte le tappe di questa gara a tappe, è favorevole a corridori veloci, perché in un’isola del Oceano Pacifico di montagne non si trovano così facilmente.
Sta di fatto che l’andatura è stata molto veloce, frutto di vari tentativi che hanno vivacizzato la corsa senza precludere la conclusione allo sprint. E sprint è stato. E a spuntarla è stato quel russo che nelle prime due tappe era sempre rimasto ad un passo dalla vittoria, senza mai raggiungerla; ma oggi era un altro giorno e per Serebryakov è arrivata la vittoria.
Dietro il russo troviamo il malese Harrif Saleh che precede il più quotato kazako Valentin Iglinskiy, che piano piano sta ritrovando un buon colpo di pedale che gli consentirà di essere protagonista nelle prossime tappe.
Nulla cambia in classifica generale con Serebryakov che rafforza la sua leadership, tenendo il suo connazionale Krasnov a 12 secondi; stesso distacco per Mat Senan che rimane in terza posizione.
Domani altra tappa da 160 chilometri che condurrà il gruppo verso Chengmai.
Paolo Terzi.
CHRONO DES NATIONS, MARTIN NON CONCEDE NULLA
Il campione del mondo a cronometro si conferma implacabile in questo finale di stagione e dopo l’oro di Valkenburg si aggiudica anche la prova contro il tempo di Les Herbiers davanti a Sylvain Chavanel e Taylor Phinney con Manuele Boaro al 7°. In campo femminile successo di Amber Neben su Alison Tetryck ed Edwige Pitel.
Foto copertina: Martin sul podio della Chrono des Nations, gara contro il tempo francese di fine stagione (foto TDWsport.com)
La Chrono des Nations, disputata in quel di Les Herbiers e giunta alla sua 31a edizione, ha assunto un prestigio sempre maggiore nelle ultime stagioni in coincidenza con la scomparsa avvenuta nel 2004 del Gp delle Nazioni, corsa che per decenni ha avuto il ruolo di un vero e proprio campionato mondiale a cronometro non ufficiale e che per nove volte è stata vinta dal grande Jacques Anquetil. Il grande favorito della vigilia, anche alla luce della prova di forza del Giro di Pechino, era Tony Martin (Omega-QuickStep) e il due volte campione mondiale a cronometro nonchè vincitore della passata edizione della Chrono des Nations non ha tradito le attese facendo segnare il miglior tempo in tutti i rilevamenti intermedi del percorso di 48,5 km e chiudendo con un vantaggio di 41” sul compagno di squadra Sylvain Chavanel, tornato a buoni livelli dopo una seconda parte di stagione piuttosto deludente, e 42” sulla medaglia d’argento di Valkenburg Taylor Phinney (Bmc), che nel tratto finale ha guadagnao terreno sul francese senza però riuscire a scavalcarlo: molto più distanti tutti gli altri con Jeremy Roy (Fdj) 4° a 1′45”, l’ungherese naturalizzato francese Laszlo Bodrogi (Team Type 1) 5° a 3′23”, il cileno Carlos Oyarzun (Triciclo-USM) 6° a 3′35” e il nostro Manuele Boaro (Saxo Bank-Tinkoff) 7° a 3′48” mentre l’altro azzurro Dario Cataldo (Omega-QuickStep), campione italiano di specialità, ha chiuso 13° a 5′26”: del resto molti atleti sono arrivati scarichi all’appuntamento e tra questi citiamo Fredrik Kessiakoff (Astana) 11° a 4′47”, Chris Froome (Sky) 17° a 6′36” e Richie Porte (Sky) 21° e penultimo a 8′00” davanti al solo Damien Monier (Cofidis) che con questa corsa ha concluso la sua carriera da professionista.
Accanto ai professionisti hanno gareggiato tutte le altre categorie a partire dalle donne elite con il secondo successo consecutivo di Amber Neben davanti ad Alison Tetryck ed Edwige Pitel con la 53enne Jeannie Longo, vincitrice in carriera di 6 edizioni prima delle quali nel lontano 1987, che ha chiuso all’8° posto; tra gli under 23 ha prevalso Yoann Paillot su Joseph Perrett e Alexis Guerin mentre a livello junior si sono imposti Ryan Mullen su David Michaud e Maxime Piveteau e Manon Bourdiaux su Knesiya Dobrynina e Marine Strappazzon.
Marco Salonna
IL PIÚ VELOCE É MAT SENAN, SEREBRYAKOV LEADER
Dopo la vittoria di Krasnov, al Tour of Hainan la tappa si conclude con un altro sprint generale che regala la vittoria al malese Mohammad Mat Senan che lascia alle proprie spalle Serebryakov, giunto secondo anche ieri, e il francese Giraud. Il russo sale in vetta alla classifica generale in virtù del doppio secondo posto.
Foto copertina: Serebryakov veste la maglia gialla di leader della classifica (roadbikeaction.com)
Se ieri la vittoria era andata ad un russo, quindi ad un europeo, oggi la vittoria è tornata nel continente “di casa” del Tour of Hainan, e a vincere è stato un malese.
La tappa odierna era una frazione “fotocopia” di quella corsa ieri, se non con l’eccezione che la lunghezza era di una ventina di chilometri superiore; il che lasciava presagire ad uno scontato arrivo allo sprint. E così è stato.
Dopo 140 chilometri percorsi ad una media che superava i 45 km/h, il gruppo si è presentato compatto sul rettilineo d’arrivo.
E a spuntarla è stato, a sorpresa, Mohammad Mat Senan, un ragazzo malese di 22 anni che ha vinto quest’anno anche una tappa al Giro di Thailandia, confermando così le sue doti di corridore abbastanza veloce.
Alle sue spalle si piazzano il russo Serebryakov,già secondo ieri, e il francese Giraud (La Pomme-Marseille). Più indietro il vincitore della corsa a tappe edizione 2011, Valentin Iglinsky, che si piazza in sesta posizione, e ancora più indietro Leonid Krasnov, vincitore ieri, che non va oltre la nona posizione.
Balza al comando della classifica generale il costante Alexander Serebryakov che, in virtù dell’abbuono, scavalca Krasnov.
Domani la carovana si sposta ad Haikou, capitale amministrativa dell’isola di Hainan, dopo aver percorso 160 chilometri.
Paolo Terzi
21-10-2012
ottobre 22, 2012 by Redazione
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JAPAN CUP
L’italiano Ivan Basso (Liquigas – Cannondale) si è imposto nella corsa giapponese, circuito di Utsunomya, percorrendo 151,3 Km in 4h01′58″ alla media di 37.517 Km/h. Ha preceduto allo sprint l’irlandese Martin e il polacco Majka.
TOUR DO BRASIL – VOLTA CICLISTICA DE SÃO PAULO INTERNACIONAL
L’argentino Francisco Chamorro (Real Cycling Team) si è imposto nell’ottava ed ultima tappa, Jundiaí – São Paulo (72 Km). Ha preceduto allo sprint il cubano Fernández García e il brasiliano Pinheiro Silva. In classifica si impone il brasiliano Magno Prado Nazaret (Funvic – Pindamonhangaba) con 28″ e 2′01″ sui connazionali Cardoso Santos e Dornelles da Silva Bruno.
TOUR OF HAINAN (Cina)
Il malaysiano Mohammad Saufi Mat Senan (Terengganu Cycling Team) si è imposto nella seconda tappa, Wanning – Wenchang, percorrendo 163 Km in 3h35′14″ alla media di 45,439 Km/h. Ha preceduto allo sprint il russo Alexander Serebryakov (Team Type 1 – Sanofi) e il francese Giraud. Serebryakov è il nuovo leader della classifica con 2″ sul connazionale Krasnov e su Mat Senan.
CHRONO DES NATIONS
Il tedesco Tony Martin (Omega Pharma – Quick Step) si è imposto nella corsa francese, circuito a cronometro di Les Herbieres, percorrendo 48,5 Km in 58′07″ alla media di 50,071 Km/h. Ha preceduto di 41″ il francese Sylvain Chavanel e di 42″ lo statunitense Phinney. Due italiani in gara: Manuele Boaro (Team Saxo Bank – Tinkoff Bank) 7° a 3′48″, Dario Cataldo (Omega Pharma – Quick Step) 13° a 5′26″.
La gara femminile, che non vedeva atlete italiane al via, è stata conquistata dalla statunitense Amber Neben (Team Specialized – Lululemon).
LA LIQUIGAS SALUTA VINCENDO
All’ultima corsa dopo otto stagioni da sponsor principale di una delle più forti squadre dell’ultimo decennio, la Liquigas abbandona il mondo del ciclismo con un successo nella Japan Cup, grazie a Ivan Basso. Il varesino ha piegato in uno sprint ristretto Daniel Martin, promotore dell’azione decisiva ad una ventina di chilometri dal traguardo.
Foto copertina: Ivan Basso celebra il primo successo stagionale (foto Sonoko Tanaka)
La Japan Cup 2012 sarebbe un successo di poco conto per una squadra che ha all’attivo due Giri d’Italia, una Vuelta e una Liegi, solo per citare quelli più eclatanti; “sarebbe”, perché la vittoria con cui Ivan Basso ha chiuso in grande stile una stagione per il resto fallimentare ha una valenza che va ben al di là del puro aspetto tecnico. Dopo otto stagioni in veste di sponsor principale di una delle squadre più forti del pianeta, seconda nel ranking UCI nel 2007 e nel 2010, terza quest’anno e ininterrottamente fra le prime sette nelle ultime sei stagioni, quella di oggi è stata infatti l’ultima recita della Liquigas nel ciclismo professionistico. Ad ospitarla, un palcoscenico meno prestigioso ed affascinante di altri, ma non privo di uno suo significato: proprio qui, sulle strade di Utsunomiya, cominciò quattro anni or sono, con un terzo posto dopo diciotto mesi di stop, la seconda carriera di Ivan Basso, che della Liquigas è divenuto uomo faro nelle successive quattro stagioni, per la verità raccogliendo forse meno di quanto il varesino e la squadra pensassero e sperassero al momento della firma.
Proprio dal suo leader, ormai tale per blasone più che per rendimento, da un paio d’anni inferiore a quello di un Vincenzo Nibali a sua volta quasi messo in ombra nell’ultima stagione dalla crescita del fenomeno Sagan, i bianco-verdi hanno ricevuto il commiato più dolce, al termine di una gara dai contenuti tecnici non entusiasmanti, ma che la formazione italiana ha avuto il merito di volgere a proprio favore dopo il salto del piano tattico iniziale.
Partiti con l’idea di tener cucita la corsa per poi scatenare Sagan nel finale, i Liquigas sono infatti stati sotto attacco sin dalle battute iniziali, e le energie necessarie a stoppare gli attaccanti sono venute meno ad un paio di giri dalla conclusione. È stato allora che Daniel Martin ha portato il suo affondo sull’ascesa di Kogashi, avvantaggiandosi in compagnia dello stesso Basso, di Rafal Majka e di Julian David Arredondo, da subito dimostratisi sufficientemente collaborativi da garantire un seguito all’azione. Con Basso al comando, la Liquigas ha naturalmente rinunciato all’inseguimento, senza però essere supplita da altri, forse timorosi di procurare a Sagan un rigore a porta vuota.
Forte di un margine che già in corrispondenza dell’ultimo passaggio sul traguardo appariva pressoché impossibile da colmare, Martin ha provato a più riprese ad andarsene tutto solo nel corso della tornata finale, senza però mettere più di tanto in difficoltà i compagni d’avventura. La corsa si è così risolta in una volata ristretta, in cui Basso non partiva certo favorito.
Dopo una corsa disputata a ritmi molto sostenuti, sia pur dal chilometraggio limitato, i valori in campo non rispecchiano però necessariamente quelli su carta, e, pur non facendo dello spunto veloce il suo marchio di fabbrica, il varesino ha già dato prova in passato di disporre di uno sprint insospettabile se al termine di prove impegnative (si pensi al secondo posto di Cortina all’ultimo Giro d’Italia). Con l’orgoglio di chi deve farsi perdonare un’annata ben al di sotto di ogni più pessimistica aspettativa, Basso è così uscito nei metri finali dalla scia di Martin, dove si manteneva da svariati chilometri, per andare a cogliere il primo ed ormai unico successo stagionale. Una vittoria che non basta certo a salvare il 2012 del varesino e che non sposta il bilancio – peraltro pienamente positivo – della squadra, ma che vale una degna uscita di scena ad un ormai ex colosso delle corse, e forse una necessaria iniezione di fiducia ad un corridore desideroso di rinviare l’approdo sul viale del tramonto.
Matteo Novarini
20-10-2012
ottobre 20, 2012 by Redazione
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TOUR DO BRASIL – VOLTA CICLISTICA DE SÃO PAULO INTERNACIONAL
Il brasiliano Alex Diniz Correia (Real Cycling Team) si è imposto nella settima tappa, Pindamonhangaba – Campos do Jordão, percorrendo 62 Km in 1h55′28″ alla media di 32,217 Km/h. Ha preceduto allo sprint i connazionali Magno Prado Nazaret (Funvic – Pindamonhangaba) e Cardoso Santos. Prado Nazaret ha conservato la testa della classifica, con 28″ e 2′01″ sui connazionali Cardoso Santos e Dornelles da Silva Bruno.
TOUR OF HAINAN (Cina)
Il russo Leonid Krasnov (RusVelo) si è imposto nella prima tappa, Sanya – Wanning, percorrendo 112,7 Km in 2h35′46″ alla media di 43,411 Km/h. Ha preceduto allo sprint il connazionale Serebryakov e il belga Stallaert. Krasnov è il primo leader della classifica, con 4″ su Serebryakov e sul cinese Meiyin.