EVANS, “GUERRIERO” D’ORO

settembre 30, 2009 by Redazione  
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Vi deliziamo con un originale ritratto del campione del mondo, l’umile “soldato” che viene dall’Oceania e s’è rivestito d’oro in quel di Mendrisio. Non è un combattente nato, nonostante la genesi gaelica del suo nome, la sua carriera è finora passata per cocenti cotte, ma sembra arrivata l’ora del riscatto per un uomo sul cui astro mai si sono addensate le nubi del doping.

“We are not what you think we are. We are golden!” Lo pensa, non lo urla, non è nel suo stile. Con Mika, però, è d’accordo. Cadel Evans non è come pensiamo. E’ fatto d’oro. Per grattare la ruggine del perdente c’è voluto “un mondiale in casa lontano da casa”, con una salita conosciuta come le proprie tasche, da bere tutta d’un fiato per tuffarsi a testa bassa verso il sogno iridato. Grattata la scorza, scopri che Cadel è fatto d’oro bianco che, come il prisma di Dark Side of the Moon, rifrange i colori dell’arcobaleno.

L’Eden di Evans non si raggiunge con l’ascensore, né con le scale mobili ma con una scala a pioli d’aste in quercia e gradini in ferro. Era destinato alla bicicletta, cresciuto nell’Australia profonda col surf o le due ruote unici compagni di giochi, tuttavia la sua carriera è costellata di piccoli passi e sonore batoste. Fosse una chiave sarebbe un passepartout, senza che però avesse spalancato mai la porta del successo: mai una classica, mai una tappa in un grande giro, mai un grande giro.

Cotte, quelle sì. Come quella volta verso Folgaria, Giro del 2002, dove buscò, la rosea indosso, diciassette minuti in un amen. Delusioni, pure, di quelle che mordono i garretti più d’un Mortirolo. Come i Tour 2007 e 2008 persi per ottantuno secondi (non a Tour ma in tutto). Come gli infortuni che tra il 2004 e il 2005 parevano averlo eclissato. Come quella dipinta nei volti della troupe che nella Grande Boucle 2008 lo aveva ripreso convinta d’una sua vittoria.

Ma proprio il nome di quel documentario rappresenta il vertice della ruota di Madama la Fortuna. “Yell for Cadel” che in gaelico significa “Pronti per il Guerriero”. Già, Cadel vuol dire guerriero. Non lo diresti condottiero e infatti è un oplite. Non fosse umile, avrebbe già smesso, con tutte quelle batoste, inferte pure da Madre Natura. L’eleganza del cinghiale. Lo stile è brutto, storta la testa, l’incavo oculare disegnato apposta per meglio far scorrere le lacrime. Pedala gobbo e, novello Rigoletto, sembra cantare “Cortigiani, vil razza dannata!” ai suoi rivali, mentre sfuria in vani sforzi. Non è mai riuscito a staccare nessuno. Non lo ha fatto nemmeno a Mendrisio. Il suo problema è guadagnare quei venti metri. Ieri c’è riuscito approfittando di un Kolobnev e di un Rodriguez voltati.

La commozione di Cadel Evans sul podio di Mendrisio (foto Scanferla)

La commozione di Cadel Evans sul podio di Mendrisio (foto Scanferla)

E così quegli occhi turchesi si sono indorati di una rugiada di lacrime, per la prima volta. Forse nello sport: vuoi che d’amore non abbia mai pianto questa tenera faccia da boxer (non boxeur)? Ama, palpita ed è sposato con Chiara, la cui passione si indovina dagli occhi, si capisce da come, all’arrivo, Cadel baci l’anello, si legge dai racconti della coppia. Lei suona il piano, lui, tra un Chiaro di Luna e l’altro, ne rimane ammaliato. E i vicini protestano. “Ma non perché infastiditi: mi chiedono di aprire le finestre perché anche loro vogliono ascoltare”, dice la coppia, cui va aggiunta una terza, l’adorata cagnetta tascabile Molly, ghiotta dei salumi che spesso Cadel porta a casa come trofeo.

Trofeo che porterò in giro con l’orgoglio di chi s’è riscattato – storia tipica dell’emigrante, a pedali e non – per un anno intero, prima volta che l’iride avvolge un uomo da corse a tappe dopo l’Olano del 1995. Ci teneva, a vincere in casa, senza fretta, però, perché di Mondiali casalinghi ne può vantare ben tre. Dalla sua casa di Stabio, infatti, ci si volge a ovest e s’intravedono le meraviglie a giardino di Varese; ci si volge ad est e l’alba irradia il sogno della salita di Novazzano. L’anno prossimo poi, in Australia, il traguardo di Geelong sarà posto a 20 km dalla sua villa di Barwon Heads, dove conserva una Mustang del ’66, sulla quale, Rayban agli occhi, pare uscito da un telefilm anni ’70.

La storia è strappalacrime. Il ciclismo moderno pure, ma per la frustrazione, le ombre che ogni vittoria solleva. Pur senza essere pronti a fare i Muzio Scevola, su Evans le voci non si sono mai addensate come fosche nubi. Un piccolo aneddoto che fa sperare. Tramite SMS, Evans ha chiesto ad Aldo Sassi, che mette a disposizione la tecnologia del Centro Mapei per aiutarlo: “Come posso fare per migliorare?” La risposta: “Cambia preparatore”. La mano sul fuoco, ormai, non la si metterebbe neppure se il Papa inforcasse una bici ma Evans fa di tutto, lui cinghiale sgraziato, lui Rigoletto mai domo, lui timido passionale, per farci avvicinare le dita alle fiamme. D’altronde: “Non tutto quel ch’è oro brilla, né gli erranti sono perduti… Nuova sarà la lama ora rotta e re quei ch’è senza corona”. Parola di Tolkien.

Federico Petroni

29-09-2009

settembre 30, 2009 by Redazione  
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RUOTA D’ORO – GP FESTA DEL PERDONO
L’italiano Emanuele Moschen ha vinto la corsa toscana, percorrendo 167 Km in 3h50′, alla media di 43,565 km/h. Ha preceduto allo sprint Balloni e Brambilla

PAGELLE MONDIALI 1: AZZURRI RIMANDATI A SETTEMBRE (2010)

settembre 29, 2009 by Redazione  
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Andiamo ad analizzare nel dettaglio la prestazione della Nazionale italiana al Campionato del Mondo di Mendrisio, dal capitano, Damiano Cunego, alla squadra nel suo insieme, passando per gli altri otto atleti e il C.T. Ballerini. Voti più alti a Bruseghin e Scarponi, molto deludenti Basso e Garzelli.

DAMIANO CUNEGO: VOTO 5

Non possiamo dare un’insufficienza più grave ad un corridore che conclude un Mondiale nei primi 10, ma da Cunego, da questo Cunego, ci si attendeva molto di più. Aveva probabilmente la più grande chance della carriera per diventare campione del mondo: una squadra costruita attorno a lui, una grande condizione, la sicurezza derivante dalla due affermazioni alla Vuelta, poche settimane fa. Insomma, sembra il miglior Damiano da cinque anni a questa parte. Nel momento della verità, però, il veronese si è ancora una volta sciolto sotto il peso della pressione, più ancora che delle trenate di Cancellara e degli scatti di Rodriguez.

E dire che, tatticamente, la corsa di Cunego era stata pressoché perfetta: mai allo scoperto prima dell’ultimo giro, mai un attimo di difficoltà (almeno apparentemente), mai un’energia spesa inutilmente. Che qualcosa non andasse si è però capito già sulla salita dell’Acqua Fresca, all’ultimo passaggio, quando l’accelerazione di Cancellara ha messo alla frusta il nostro leader, che ha perso qualche metro, e per rientrare ha dovuto attendere che la salita terminasse. Dopo aver fatto andare via gratuitamente Evans, Rodriguez e Kolobnev (ma qui era in buona compagnia), Damiano ci ha almeno messo un po’ di intraprendenza, piazzando il primo scatto in una corsa di un giorno da quasi un anno a questa parte (per ritrovare l’ultimo scatto del veronese in una classica dobbiamo risalire al Lombardia della scorsa stagione: quest’anno, sulle Ardenne, il totale ammontava a zero). Le rampe della salita di Novazzano lo hanno però definitivamente respinto. Certo, nel gruppo buono c’era, ma, con otto corridori come quelli che aveva a disposizione Cunego, sarebbe stato inammissibile il contrario; e, tra quegli otto, è stato ultimo.

ALESSANDRO BALLAN: VOTO 4

Assolutamente irriconoscibile. In altre situazioni una condizione deficitaria potrebbe essere una valida scusante, ma non è certamente così nel caso del veneto, che, dopo la primavera perso a causa di un citomegalovirus, puntava tutto sulla seconda parte di stagione, e in particolare a Mendrisio. L’attacco a 100 km dall’arrivo sembrava un azzardo, in realtà è stato il disperato tentativo di dare un senso a quello che altrimenti sarebbe stato un Mondiale del tutto anonimo. La débacle dell’eroe di Varese non può infatti essere spiegata unicamente da quell’azione da lontano, visto che anche Joaquin Rodriguez era presente.

Vorremmo poter giustificare la pessima prova di Alessandro con i postumi del virus che ha condizionato la sua prima parte di stagione, ma il Ballan visto al Giro di Polonia era decisamente tutt’altra cosa. Già alla Vuelta non era stato del tutto convincente, ma il crollo di ieri era assolutamente impossibile da prevedere. Doveva essere la seconda punta azzurra, di fatto è uscito di scena non appena la gara è cominciata davvero. Meriterebbe mezzo voto in più per essersi inserito in un’azione interessantissima come quella promossa da Scarponi, ma glielo leviamo perché non ha mai contribuito ad alimentarla, e non è stato capace di accodarsi ai migliori (come ha fatto ad esempio Rodriguez) una volta raggiunto.


IVAN BASSO: VOTO 5

Meglio di Ballan, anche perché le aspettative erano inferiori, ma comunque insufficiente. Secondo le indiscrezioni, doveva entrare in azione attorno al 15° giro, in realtà non si è mosso fino al penultimo passaggio. “Va beh, almeno abbiamo un uomo in più all’ultimo giro”, abbiamo pensato noi, come crediamo milioni di telespettatori. E invece no, perché la misera tirata di 300 metri sulla salita di Novazzano, alla diciottesima tornata, ha prosciugato le evidentemente scarse energie del varesino, che ha alzato bandiera bianca non appena Cancellara ha cambiato passo sull’Acqua Fresca.

Per carità, non pensavamo che Basso potesse vincere il Mondiale: troppo scarso il suo spunto veloce per trionfare allo sprint, insufficiente il cambio di ritmo per poter pensare di arrivare solo. Quello che però pensavamo, anzi ciò di cui eravamo quasi certi, era che Ivan sarebbe stato tra i principali animatori della corsa, che sarebbe stato incaricato di sgretolare il gruppo giro dopo giro. Di fatto, quei 300 metri al penultimo passaggio sulla Torrazza sono invece stati l’unica fase della gara in cui Basso si sia veramente segnalato.

FILIPPO POZZATO: VOTO 5,5

Nella sostanza, la sua corsa è stata praticamente identica a quella di Basso: mai in fuga, mai a tirare, se non per poche centinaia di metri al penultimo giro, sempre sull’ascesa di Novazzano, per poi cedere sulla salita dell’Acqua Fresca quando si è sganciato il gruppetto buono. Dalla sua, Pozzato ha quanto meno l’alibi dello spaventoso numero di giorni di corsa nelle gambe, oltre a quello di un percorso forse troppo duro per le sue caratteristiche (anche se Breschel così avanti ci fa sorgere qualche dubbio a riguardo).

Certo, anche da lui, in virtù del suo status di seconda punta, per quanto ex aequo con altri, era però lecito attendersi qualcosa di più, e, anzi, ad un giro dalla fine, vedendolo così (apparentemente) pimpante, abbiamo persino creduto che potesse fare il colpaccio, qualora avesse tenuto in salita. Invece, come è accaduto a Basso, la salita dell’Acqua Fresca lo ha inappellabilmente respinto, rimandando il suo appuntamento con un possibile iride a Melbourne 2010 (come minimo): un percorso più agevole, che potrebbe esaltare le doti di finisseur di Pippo, anche se sulle prossime due edizioni già incombe l’ombra di Mark Cavendish. Sicuramente, per impensierire il velocista dell’isola di Man, sarà necessario non arrivare al Mondiale con oltre 80 giorni di gara nelle gambe.

Cunego e Pozzato al raduno di partenza (foto Bettini)

Cunego e Pozzato al raduno di partenza (foto Bettini)

STEFANO GARZELLI: VOTO 4

Dov’era? Alla vigilia veniva etichettato come “regista”; definizione che si applica a molti sport meglio che al ciclismo, ma che comunque pensiamo di poter interpretare come un ruolo che prevede di parlare costantemente con l’ammiraglia e fare da collante della squadra in gruppo, colloquiando un po’ con tutti. Ora, per quanto si possa attribuire a tale funzione una qualche importanza, se l’essere un regista implica non tirare un metro e non andare mai in fuga, per poi staccarsi non appena il ritmo si discosta da quello di una tappa di trasferimento del Giro della Malesia, viene da pensare che forse avrebbe fatto più comodo un Tosatto, che non un Garzelli lontano anni luce dalla forma superlativa del Giro.

Di fatto, il varesino non ha mai neppure tentato di inserirsi in qualche tentativo di fuga, né si è mai portato in testa al gruppo: una prestazione troppo sotto tono per giustificare la sua partecipazione, specie se si considera che questa ha precluso quella di Tosatto, che negli ultimi anni è sempre stato uomo preziosissimo per l’ormai terminata striscia di successi azzurri.

MARZIO BRUSEGHIN: VOTO 8

Dopo un poker di insufficienze, veniamo al voto più alto, che, a livello di azzurri, spetta certamente ad un impagabile Marzio Bruseghin, che invecchia meglio del suo amato prosecco. A 35 anni, il veneto ha mostrato ancora una volta perché da anni a questa parte è punto fisso della Nazionale di Ballerini, macinando chilometri e chilometri in testa al gruppo, ricevendo cambi, peraltro saltuariamente, dal solo Ruben Plaza, riducendo quasi in solitudine il vantaggio della fuga da dieci a cinque minuti. Chiedergli di lavorare più a lungo, o addirittura di entrare in qualche fuga, sarebbe stato sfruttamento puro.

Dopo un 2008 da protagonista, con il podio al Giro, Marzio è tornato al suo status di sempre, quello di gregario di lusso per qualsiasi situazione, tanto per un lavoro da locomotiva per 50 km quanto per un forcing su un colle alpino. Magari non sarà emozionante come lottare per la maglia rosa, ma si tratta comunque di un lavoro preziosissimo; cosa di cui si sono accorti anche all’estero, visto che Valverde lo ha voluto alla sua corte alla Caisse d’Epargne.

MICHELE SCARPONI: VOTO 7,5

Dopo Bruseghin, il migliore. Dopo un periodo nero, seguito al coinvolgimento nell’Operacion Puerto, Scarponi ha completato la sua rinascita grazie ad un 2009 eccezionale, coronato da una grande prestazione anche a Mendrisio. Probabilmente sarebbe dovuto entrare in fuga già dai primi giri, ma si è ampiamente riscattato promuovendo ed alimentando più di ogni altro l’azione che avrebbe fatto saltare il Mondiale, se solo qualcuno avesse dato manforte a Michele e a Giovanni Visconti. Dopo aver tirato quasi in solitudine per decine di chilometri, il marchigiano ha dovuto arrendersi, non completando la prova, quando ormai non avrebbe però più potuto dare nulla alla squadra.

Dopo la bellissima vittoria alla Tirreno – Adriatico, e i successi di tappa a Mayrhofen e Benevento all’ultimo Giro d’Italia, Scarponi ha chiuso in bellezza quella che è forse, a 30 anni, la sua stagione migliore. E chissà che l’anno prossimo, senza più Gilberto Simoni, non possano aprirsi per lui le porte di un Giro da capitano.

LUCA PAOLINI: VOTO 7

Prova più che positiva per l’ex angelo custode di Paolo Bettini, anche se senza particolari acuti. Dopo una prima fase di gara coperto, al pari degli altri azzurri, il bronzo di Verona 2004 è stato prontissimo ad entrare nella pericolosissima fuga promossa da Scarponi a 100 km circa dal traguardo. Una volta nel gruppetto, non si è spremuto più di tanto per collaborare, ma è rimasto sempre al fianco di Alessandro Ballan, ed è stato l’unico azzurro a resistere all’attacco di Joaquin Rodriguez al penultimo giro, poco prima che il drappello di testa venisse riacciuffato dal plotone che sopraggiungeva.

Nel primo Mondiale del dopo-Bettini, il milanese ha mostrato una volta di più che le sue convocazioni in azzurro non erano il frutto dell’amicizia e della stima che nutriva per lui il due volte iridato, ma di reali qualità (peraltro ormai ampiamente dimostrate da alcuni piazzamenti di assoluto prestigio) e di propensione al sacrificio. Bravo, anche se, volendo trovare una pecca nella sua prova, poteva forse offrire maggiore supporto a Scarponi e Visconti nell’alimentare la fuga.

GIOVANNI VISCONTI: VOTO 6,5

Ultimo ma non ultimo (per prestazione, anzi, lo collocheremmo ai piedi del podio, per quel che concerne la nostra Nazionale), veniamo all’altro animatore della fuga più importante di questo Campionato del Mondo, Giovanni Visconti. Il campione d’Italia 2007 si è fatto vedere per la prima volta proprio quando è stato tra i primi ad entrare nell’azione nata dall’accelerazione di Scarponi, ed è stato il più valido alleato del marchigiano nell’alimentarla. Il corridore della Diquigiovanni prende mezzo voto in più per avere promosso la fuga, e un altro mezzo per aver tirato di più, ma la prova di Visconti resta pienamente positiva.

Dopo un 2009 così così (belle vittorie alla Coppa Agostoni e al Trofeo Melinda, ma senza il salto di qualità che si sperava potesse compiere), il 2010 dovrà necessariamente essere l’anno della definitiva consacrazione per Giovanni, che, a 26 anni, non può più essere considerato solamente una giovane promessa. La maglia rosa al Giro 2008, peraltro ottenuta grazie ad una fuga, non potrà rappresentare ancora per molto l’apice della sua carriera.


FRANCO BALLERINI: VOTO 6

Dopo tre Mondiali perfetti, Ballerini mette in piedi una Nazionale inferiore agli anni scorsi, anche se in gran parte per colpe non sue: assenti (di cui solo il primo giustificato) Bettini, Di Luca e Rebellin, il C.T. ha forse avuto il solo torto di schierare un uomo di fatica meno del dovuto. Per il resto, sono ingiuste le critiche secondo cui avrebbe gestito male le seconde punte, dal momento che non si può imputargli l’ingiustificato cedimento di Pozzato e Basso dopo aver tirato 5-600 metri in due. Al contempo, se Cunego capitano unico non convinceva alcuni, va detto che alternative valide non ce n’erano, specie alla luce della prova degli stessi Basso e Pozzato e del campione uscente Ballan.

Insomma, il 6 al C.T. non è un voto di stima, ma è l’inevitabile conseguenza di una Nazionale costruita forse non alla perfezione, ma con un materiale umano obiettivamente inferiore a quello degli anni passati. Sia perché Di Luca e Rebellin sono stati pizzicati quando già si pensava di costruire una Nazionale attorno (anche) a loro, sia perché un Bettini in più o in meno, specie su un circuito su cui il Grillo sarebbe andato a nozze, fa una bella differenza.

NAZIONALE: VOTO 6

Quello che è chiaro è che si è andati molto lontani dalle prestazioni superlative degli ultimi tre anni, e in particolare da quella della scorsa stagione. Altrettanto evidente è però che le assenze di Di Luca, Bettini e Rebellin sono state pesantissime, e che comunque la Nazionale è stata perlomeno unita (a differenza di quanto visto, per esempio, nelle sciagurate edizioni di Lisbona, con Lanfranchi che insegue Simoni, e Madrid, con Bettini che deve correre da solo perché Petacchi si accorge all’ultimo giro di non farcela). Cunego non vale Bettini, Ballan non era quello dell’anno scorso, Pozzato aveva nelle gambe troppi giorni di corsa, Basso non è quello di tre anni fa, e lo si è capito anche alla Vuelta. Insomma, a posteriori, si può dire che le possibilità di vittoria non fossero poi molte.

Si potrebbe liquidare la questione dicendo semplicemente che non si può sempre vincere, come ha fatto un filosofico Pozzato, ma ad onor del vero, pur senza fare drammi, la situazione appare un po’ più seria. Bettini, Di Luca e Rebellin, cioè i corridori italiani più forti in corse di un giorno vallonate, non ci sono più. Cunego sembra del tutto inadatto a reggere la pressione. Basso potrebbe vincere un Mondiale solamente se tornasse quello del 2006 (possibilmente con altri mezzi) e trovasse un percorso sufficientemente duro da consentirgli di arrivare da solo (ma a breve non se ne vedono, e nel 2013 Basso avrà 36 anni). Insomma, le nostre speranze sono tutte per Pozzato e Ballan: non male, ma Bettini & co. erano un’altra cosa.

Va detto, per la verità, che il prossimo Mondiale adatto a uomini “da Liegi”, per intenderci, sarà a Valkenburg nel 2012. Prima, Melbourne e Copenaghen strizzano l’occhio ai velocisti. Anche a questo proposito, però, non possiamo essere troppo ottimisti: Petacchi non è un ragazzino, Napolitano si sta perdendo, Bennati, alla Vuelta, ha perso regolarmente da Greipel, e ha faticato a far meglio anche di Bozic, Farrar e altri. Insomma, ammesso che Cavedish possa essere battuto, difficilmente sarà un italiano a farlo.

Matteo Novarini

LANCIA SPEZZATA PER GLI AZZURRI DI BALLERINI

settembre 28, 2009 by Redazione  
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Federico Petroni esamina l’operato della nazionale italiana a Mendrisio. Il lavoro compiuto non è stato perfetto come negli ultimi tre anni, ma c’è chi ha disputato un mondiale peggiore del nostro (gli spagnoli, nostri sfidanti dichiarati, per esempio). Sugli esiti di questo campionati del mondo si può e deve lavorare in vista delle prossime due rassegne iridate, apparentemente facili e che invece s’annunciano durissime da interpretare.

Come una fedele penna riporta in un poco elegante articolo sulla Gazzetta di oggi, a Bettini girano gli zebedei (eufemismo). L’ira funesta dell’ex mattatore azzurro che ora studia da cittì al fianco di Ballerini farebbe pensare ad una gara scriteriata della Nazionale ma è forse utile sin d’ora segnalare qualche punto per evitare fraintendimenti che minino la costruzione di un solido gruppo per gli anni a venire. Già, perché un tiro al piccione a questo o a quell’altro spulciando solo le dichiarazioni a caldo degli atleti posson solo far danni.

Scatta il mondiale, azzurri in prima fila (foto Bettini)

Scatta il mondiale, azzurri in prima fila (foto Bettini)

AVVERSARI In primo luogo, è sempre elegante ricordare che, a questo mondo, l’abbondanza impigrisce: ogni tanto qualcosa agli altri va lasciato. In altri termini, non si può vincere sempre. L’esemplare Franco Cribiori così recita: “Quando perdi perché ti battono gli altri, va bene”. Dobbiamo ammettere che Cancellara andava come un Tgv, Evans è stato al tempo furbo e rullatore, Kolobnev sembrava impazzito e Rodriguez pareva un personaggio del Libro Cuore. Sono andati semplicemente più forte. Quand’anche Cunego (vedi sotto) avesse corso con un filo di calma in più (uno scatto, deciso, in salita) non avrebbe raccolto molto di più.

CUNEGO Alla luce di questa considerazione, va notato come a Cunego siano mancate le gambe, nonostante, sempre da dichiarazioni a caldo (che sarebbe meglio abolire), “chi dice questo non capisce nulla di ciclismo”. Le chiacchiere sulla pressione psicologica, sull’acume tattico e sull’affidabilità del veronese fanno ridere. Così come i voti in pagella. Cunego ha disputato un’ottima gara: valga su tutto la prontezza con la quale s’è buttato, intuendo il pericolo, nella penultima discesa dall’Acquafresca. Delle due, l’una. S’è trovato prigioniero nella gambia (rosso)dorata degli spagnoli e di gambe non in perfetto rodaggio. Pazienza, verranno dì più rosei.

FUGA In terzo luogo, la latitanza d’azzurro nella prima fuga, quella che ha guadagnato a subito dieci minuti. E’ fastidiosa, ormai, la prassi che obbliga gli italiani a tirare. In previsione di ciò, tra spagnoli atarassici, belgi fumosi ed elvetici sornioni, uno come Visconti o Garzelli o Bruseghin avrebbe dovuto seguire i comprimari all’attacco.

GARZELLI Passando più in profondo nelle pieghe della Nazionale, abbiamo regalato un uomo. Un oggetto non identificato s’è aggirato per tre quarti gara in testa al gruppo. Stefano Garzelli, il regista in corsa, espressione sulla quale bisogna ancora che la Treccani del pedale ci illumini, nonostante il lodevole sforzo di Tiralongo qualche giorno fa. Mai scorto a rendere la corsa dura, soprattutto a fare quel lavoro a metà corsa che avrebbe risparmiato un pestatore come Scarponi per il prosieguo.

BALLAN La fuga dei trenta poteva andare bene. Ma s’è anche detto che ci si è rialzati per favorire il rientro di Cunego. Quand’anche fosse la motivazione principale, tatticamente quell’azione non stava profilando un bel quadro. Ballan, pur avendo giocato bene le sue carte, era nervoso: perché? Con Visconti e Scarponi a sfacchinare e un bello stopper come Paolini, perché agitarsi? In fuga, va detto, c’erano nomi grossi ma nessuno era disposto a dare una mano agli azzurri: spagnoli e belgi, tutti con lo specchietto per le allodole del capitano nelle retrovie. Un’azione morta sul nascere. Sarebbe bello che un giorno Ballerini lanciasse in fuga dal mattino dal primo giro un italiano, magari ignoto come potrebbe essere Santambrogio.

PENULTIMA ASCESA DI NOVAZZANO Eccolo, il Calvario azzurro. Su quello strappo largo ma ingannevole, nella penultima tornata, i nodi son venuti al pettine. Lì la Nazionale ha fatto il lavoro giusto con gli uomini sbagliati. Paolini stravolto, Garzelli disperso, Scarponi già sfruttato (quando il marchigiano è tra i pochi ad avere accelerazioni devastanti dopo 230km, vedi Cipressa 2009), Pozzato e Basso si sono spremuti, in tal modo perdendo l’opportunità di fiancheggiare Cunego nell’ultimo giro. A Varese abbiamo riempito la saccoccia in virtù della superiorità numerica. A Mendrisio abbiamo pagato la solitudine del numero primo. Un compagno è imprescindibile per cucire la corsa, compiere scatti stana-rivali, rilassarsi mentalmente.

CONSOLAZIONE In ultimo, consoliamoci: c’è chi ha corso peggio e di molto. Se in assoluto la prestazione italiana v’ha fatto storcere la bocca, in relativo è stata la migliore tra le corazzate. Prendete la Spagna, dove la fiducia reciproca (come le gerarchie) non esiste. Rodriguez è detto “El Purito”, il sigaro ma è stato usato come una sigaretta: usato e gettato, non degustato. Una sintesi della sua intera carriera. In fuga con due compagni, Cobo e Barredo, non gli hanno creduto, facendogli tornare sotto due (Sanchez e Valverde) che non solo sono andati più piano ma si son fatti la guerra. L’acredine tra i due risale a Salisburgo 2006, quando Valverde seguì negli ultimi 700m lo scatto di Sanchez, di fatto tirandosi dietro Zabel e Bettini. Anche ieri il marcamento reciproco ha partorito un misero bronzo, pur essendo in superiorità. Prendete il Belgio, mai un contributo in attesa di un Gilbert cui, pur tra i migliori, ha pagato il dislivello eccessivo, come alla Liegi. O prendete tutti quei mestieranti francesi, tedeschi, inglesi, olandesi (il solo Hoogerland all’attaco cui però manca acume tattico): li avete mai notati? Perché autoevirarsi in una gara così dura, restando nascosti con l’unico orizzonte di staccarsi il più tardi possibile?

Spero che questi punti possano chiarire che l’Italia non ha corso male, pur facendo piccoli errori che, specchiati nella perfezione degli anni scorsi, risaltano più del dovuto. Con avversari così restii a collaborare prima ma così agguerriti nel finale, il risultato forse non sarebbe cambiato, anche con qualche scelta del cittì (a monte) più lungimirante. Perdersi in sterili accuse incrociate minerebbe un gruppo che dovrà dimostrarsi unito per ben figurare (vincere no, non importa) nei prossimi mondiali (Geelong e Copenhagen), adatti ad un mazzo molto ampio di jolly italiani e che s’annunciano durissimi da interpretare.

Federico Petroni

27-09-2009

settembre 28, 2009 by Redazione  
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MENDRISIO 2009 – CORSA IN LINEA ELITE
L’australiano Cadel Evans ha vinto la prova iridata, percorrendo 262,2 Km in 6h56′26″, alla media di 37,777 km/h. Ha preceduto di 27″ il russo Kolobnev e lo spagnolo Rodriguez Oliver. Miglior italiano Damiano Cunego, 8° a 51″.

TOUR DU GÉVAUDAN LANGUEDOC-ROUSSILLON
Il francese Florian Vachon (Roubaix Lille Metropole) ha vinto la terza ed ultima tappa, Mende – Montée Jalabert, percorrendo 141,9 Km in 3h30′20″, alla media di 40,478 km/h. Ha preceduto di 1″ il connazionale Jegou e di 37″ il tedesco David Rosch. Miglior italiano Pasquale Muto (Miche-Silver Cross-Selle Italia), 11° a 2′02″. Sella 22° a 9′11″.
David Rosch (Atlas-Romer’s Hausbäckerei) si impone con 28″ e 39″ sui francesi Simon e Harbonnier. Miglior italiano Muto, 7° a 1′25″. Sella è 10° a 8′34″.

L’AUSTRALIANO IRIDATO: EVANS STAVOLTA CI PRENDE

settembre 27, 2009 by Redazione  
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Diplomazia e intrighi per quasi 250km, poi un grande botto che lascia in piedi solo nove pedine. Tra chi tira, chi spinge e chi sta a ruota il rompicapo è di difficile soluzione: ci pensa un indomabile Rodriguez a trovare una via d’uscita saltando uno spartitraffico, poi dalla gabbia aperta così scappano via anche Kolobnev e Evans; ma l’australiano è quello che vola più in alto.

“Mondiale insidioso”. Il ritornello degli sconfitti di giornata è stato lo stesso, da chi ha esagerato con un’esibizione di forze straripanti come Cancellara, a chi non ha avuto le energie per imporsi pur essendo rimasto nel lotto ristrettissimo degli eletti che si apprestavano ad affrontare Novazzano per la diciannovesima e ultima volta – ed è il caso di Cunego.
In effetti la definizione sembra perfetta per un Mondiale deciso da uno spartitraffico, il cui marciapiede si interrompeva solo in quei pochi metri sufficienti perché il solo Joaquin Rodriguez si infilasse nel varco, e di nuovo in quelli successivi, necessari a rientrare in carreggiata dopo aver guadagnato venti metri grazie al minor raggio di curva.
Questa metaforica buchetta da pallottoliere del Superenalotto ha selezionato un tris vincente che si è tradotto nel podio mondiale: a Rodriguez si accodano un paio degli atleti meno controllati tra i superstiti di un percorso rivelatosi durissimo solo nel finale, Evans e Kolobnev. La gara è decisa: una gara incerta, perfino nei termini del suo svolgimento tattico. Eppure il percorso si prestava, come nel caso delle donne e degli under 23, ad essere piegato alla legge del più forte, in una selezione lenta ma inesorabile che fin dai primi giri consumasse il gruppo come fosse uno stoppino. Invece, la gara è diventata, appunto, insidiosa: la gestione delle fughe iniziali ha trasformato una potenziale super-Liegi in una sorta di tappa da GT, solo che qui non c’è nessuna classifica generale per consolare chi è rimasto indietro a guardarsi.
Ben venga la vittoria di Evans, dopo tante amarezze, defaillance e lacrime di delusione arrivano infine quelle di gioia. Un vero e proprio premio alla carriera, che va a ricompensare uno dei peraltro rari guizzi di iniziativa dell’australiano (anche oggi l’iniziativa era embrionalmente altrui, ma non sottilizziamo). Per la gioia, tra l’altro, dell’UCI, che vede sponsorizzato in maniera eccellente il prossimo Mondiale a testa in giù in quel di Geelong (ma eccezionalmente si parte fuor di circuito, da Melbourne, patria di Cadel) e che si ritrova iridato un corridore da sempre fuori da mirini, manette e cappi vari in virtù del suo carattere mite e amabile – se non vogliamo dire remissivo –, amato a Aigle anche perché simbolo e leva di quell’internazionalizzazione che in genere sottintende toni anglofoni più che terzomondisti. Evans in ogni caso merita in pieno il successo grazie ad un’ultima salita presa di petto ad un ritmo altissimo, allo scatto veemente che taglia fuori i compagni d’avventura minacciosamente veloci e alla tenuta da vero cronoman che gli permette addirittura di incrementare il vantaggio nei chilometri finali.

Cadel Evans lanciato a tutta verso la maglia iridata (foto Bettini)

Cadel Evans lanciato a tutta verso la maglia iridata (foto Bettini)


Merita il successo anche perché era lì, pronto, uno dei magnifici nove che sono emersi in cima all’Acqua Fresca nell’ultimo giro, a loro volta una selezione della ventina scampata al penultimo Novazzano: perché tutto il vaglio è stato lì, il gruppo che poi sarà dei migliori è giunto ai meno 20km dall’arrivo corposo, nutrito di una cinquantina abbondante di unità comprese svariate ruote veloci.
Certo, a quel punto il dislivello poi si è fatto sentire eccome: Evans, Cunego, Sanchéz, Valverde sono nomi pesanti quando il tracciato si fa impegnativo; Gilbert, l’uomo più a misura su un’altimetria a metà strada (tecnica, non geografica) tra Fiandre e Ardenne; poi c’era il blocco Saxo Bank con un Cancellara in stato di furore divino, un lupo da Mondiale sornione e mordace come Kolobnev, e per concludere un Breschel evidentemente carico; infine, il Joaquin Rodriguez che non ti aspetti, unico reduce tra costoro delle azioni a lunga gittata che avevano caratterizzato quasi nove decimi di gara. Tutti i favoriti erano ad ogni modo presenti, con un chiaro marchio all’insegna della qualità e come previsto anche delle doti ascensionali, perlomeno al di fuori del citato gruppo Saxo.
Un merito dunque essere lì, anche se poi si vince in uno e ci si consola a medaglia in altri due. Per gli altri polvere in faccia (Cunego, Basso e Pozzato appaiono alla telecamera pressoché usciti da una trincea), sedere a terra come un Cancellara tra lo sconsolato e lo spezzato, evanescenza come Sanchez e ancor più Valverde, imbrigliati dalle involuzioni tattiche del proprio team.
Com’è andata di fatto la gara?
Molto è dipeso dallo sganciamento di una fuga robusta ma non trascendentale dopo una cinquantina di km. Tra costoro si produrrà in una prova straordinaria il solo Stangelj, capace di tenere e riproporsi all’arma bianca dopo altri 200km e quasi 3000m di dislivello affrontati in fuga. Per il resto ordinaria amministrazione. Con una nota di demerito, per gli azzurri: l’Italia è fuori, come quasi tutte le grandi nazioni peraltro, ma a differenza degli altri sembra l’unica intenzionata a lavorare con un – al solito – monumentale Bruseghin, esaurito in un’infilata infinita di giri col basto in testa.
A quel punto evidentemente Ballerini opta per operare un prepotente rimescolamento di carte e letteralmente bruciando due uomini per raggiungere il proprio fine (Scarponi e Visconti) crea una controazione comprendente anche due atleti potenzialmente dirompenti come Ballan e Paolini. L’idea è buona, ma le stelle non stanno a guardare così nel mucchio selvaggio scopriamo anche nomi come Boonen, Kirchen, Cobo e Rodriguez, oltre a onestissimi comprimari con licenza di sorprendere come Barredo, Taaramae o Hoogerland (sarà quest’ultimo, che abbiamo già apprezzato alla Vuelta, il più scoppiettante nelle fasi clou della gara).
L’idea non è comunque da buttare, è come minimo un bel bluff pokeristico su cui Italia e Spagna possono o meno decidere di investire: intanto l’Australia si deve dannare per cercare di contenere il gap, sostenuta principalmente dall’Olanda.
Il problema è che quando il vantaggio arriverà intorno ai 2’ saranno proprio la Spagna prima e l’Italia poi a impegnarsi a tutta dimostrando di non credere nelle proprie opzioni avanzate: e se la Spagna a posteriori ha sbagliato, l’Italia dimostra di aver fatto una gran confusione. Il problema infatti è che la corsa è stata sì impegnativa, ma di fatto è esplosa in un crescendo di tuoni e fulmini nei due giri conclusivi. Forse per due formazioni col privilegio di essere tanto attrezzate sarebbe stata più premiante una condotta in stile Italia a Varese, diciamo, meno mirata al risparmio a tutti i costi delle punte epperò potenzialmente foriera di un finale da condurre in forze.
Bene o male la Spagna ci è arrivata, con ben tre uomini fra i nove “eletti”: l’Italia invece ha sparato come cartucce Basso e soprattutto un brillante Pozzato per portare a termine il ricongiungimento sulle fughe nel corso del penultimo giro. È vero che questa fiammata, ignorata dalla regia svizzera, è valsa la restrizione del lotto complessivo degli uomini da Mondiale a una ventina di atleti (tra cui un coraggioso Vinokourov che prova l’anticipo ai meno 25km), tuttavia il costo è stato altissimo. Dato per disperso un invisibile Garzelli, tutti gli altri hanno svolto diligentemente il proprio compitino, telecomandati dall’ammiraglia: ma stavolta era “il piano” ad avere qualche falla, perché un Cunego isolato nel finale era destinato al macello, in quanto “favorito” e quindi tenuto d’occhio, blindato e bastonato dagli altri reduci di questi strani ma duri 250km.
Basti pensare che un determinatissimo Cancellara ha provato a ripetizione l’azione decisiva, probabilmente era dotato di maggior forma fisica e morale elevato rispetto al veronese: eppure non c’è stato verso, abbastanza ovviamente in salita ma più sorprendentemente nemmeno in discesa e in pianura. Certo, sono stati momenti di grande tensione emotiva, sembrava che la gara fosse costantemente sospesa a un filo, quello che legava Cancellara agli altri; una piccola scossa l’avrebbe spezzato involando lo svizzero verso uno storico doppio trionfo. Ma la ragnatela che invischiava i nove era assai difficile da infrangere. Lo stesso dicasi per Sanchez in discesa, o per Valverde e Gilbert. Non a caso dunque a evadere sono stati proprio i tre nomi meno attesi, mancava solo Breschel se vogliamo (che comunque non sarebbe andato lontano su Novazzano).
In definitiva su questo percorso non poteva che vincere un atleta eccellente, questo è certo: ma se tra gli under 23 e le donne abbiamo assistito a uno scontro a viso aperto che ha premiato suppergiù il più forte in campo, tra gli uomini la complessità tattica ha trasformato “il catino” di Mendrisio in un grande bussolotto della lotteria: anche se nulla toglie che i fortunati siano stati davvero bravi, gli “sfortunati” un poco meno brillanti – in ogni senso – di quanto dovrebbe essere chi aspira alla maglia iridata.

Gabriele Bugada

L’ANGELO CUSTODE: L’INTERVISTA

settembre 27, 2009 by Redazione  
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E’ stato il secondo migliore italiano alla Vuelta, dopo Basso. E’ l’angelo custode di Damiano Cunego, leader designato della nazionale che domani tenterà di inanellare l’impresa mai riuscita: quattro mondiali di fila. E’, dunque, un parere autorevole, quello di Paolo Tiralongo, siciliano di Bergamo, orobico di Avola, intercettato di ritorno dall’allenamento.

Programma quotidiano?
Quattro ore e mezza, 130km e 2500 metri di dislivello, con due salite di 8-10km: Roncola e Valcava da un versante nascosto, molto duro, con tratti al 12%. Non è tanto ma a fine stagione non devi finirti, dopo una Vuelta devi tenere la condizione, non cercare di migliorare, anche perché le energie rimaste son poche.

Hai detto che devi tenere la condizione: per cosa?
Emilia e Lombardia. Sono i miei obiettivi finali, dove punto a far bene.

Bene quanto?
Cerco la ciliegina sulla torta di una stagione ottima. D’altronde, in dieci anni di carriera non ho mai vinto, anche se tanto ho fatto vincere. Lo sfizio vorrei togliermelo, dopo diciannove secondi posti.

Una vittoria ci sarebbe…
Cronosquadre al Giro del Mediterraneo del 2002. Quell’anno, però, fui secondo sul Mont Faron e secondo in classifica.

L’Emilia ti si adatta meglio del Lombardia.
E mi piace anche di più. Con il San Luca da ripetere cinque volte, si viene fuori alla distanza e con la gamba che ho, vorrei provare a vincere. Non sono mai arrivato davanti, quindi non ho riscontri, perché sono sempre andato solo per aiutare ma quest’anno è diverso. Ho più motivazioni e Cunego avrà la testa in Lombardia, anche perché l’Emilia non si addice alle sue caratteristiche, anche in passato ha corso per il piazzamento.

Hai notato che voi della Lampre andate sempre forte a fine stagione?
Sì e giuro che non c’è un motivo particolare, non riesco a spiegarmelo. Sarà il buon allenamento: quest’anno, dopo quindici giorni a luglio senza bici per recuperare, sono andato a Livigno, al ritmo di 4500m di dislivello al giorno.

E il lavoro ha pagato alla Vuelta.
Andavo in Spagna per fare una corsa d’appoggio, come sempre. Poi hanno chiesto, a me che ho sempre lavorato per gli altri, di curare la classifica. Ma senza pressioni, senza pensiero di tenere duro per la classifica. Vivevo come un nomade: alla giornata, raccoglievo quel che veniva ogni giorno. Ero stanco ma mai finito, sentivo di recuperare. Solo in due occasioni ho avuto i capogiri: la mattina della crono finale e il giorno dopo la Sierra de la Pandera, dopo il trittico in Andalusia. Non riuscivo a mangiare, a bere, nemmeno a dormire. Di solito, le salite tolgono il sonno il giorno prima, a me il giorno dopo.

La tappa più dura?
Sierra Nevada. L’abbiamo attaccata a mille, mi son staccato subito ma ho avuto la fortuna di incontrare per strada Sanchez ed Evans, che mi hanno dato ritmo. Alla sera, quando ho scaricato i dati del Garmin, non volevo crederci: avevo fatto un’ora e mezza fuorisoglia.

A proposito di Sanchez: domani sarà un osso duro.
E’ il mio favorito: sa limare, vede bene la corsa, è scaltro e può sfruttare un percorso adatto alle sue caratteristiche. Può dare la stoccata sull’ultima salita ma anche nella prima discesa.

Niente Valverde?
Ci ho parlato domenica, mi ha chiesto come era il percorso. E’ un duraccio, preferisce le corse addormentate, per poi punire tutti allo sprint. Correrà su Cunego, non lo mollerà mai. Ma tutta la Spagna fa paura: anche gente come Mosquera (che alla vuelta mi ha quasi spaventato) o Rodriguez possono essere pericolosi, quando scattano fanno male.

Gilbert?
Temo per il dislivello. Anche alla Liegi, fece uno dei suoi scatti micidiali. Poi si sgonfiò. Sono curioso anche della gara di Andy Schleck: alla Vuelta l’ho visto deconcentrato, con problemi più di testa che di gambe.

E Cancellara?
Altro avversario ostico ma io farei attenzione a Boasson Hagen.

Eppure non ha fatto una gran crono…
Attenzione: se si va piano e lo si porta in volata, li bacchetta tutti. Quanto alla crono, quando ha visto, dopo un primo giro ottimo, che faceva fatica ad arrivare al podio, ha mollato, anche pensando all’impegno di domani.

Un altro che s’è risparmiato è Millar, che ha dichiarato: “Che corro a fare la crono se tanto vince Cancellara?”
Alla fine ha avuto ragione! Scherzi a parte, sebbene io non lo avrei mai fatto, credo che sia un discorso di stanchezza. Millar ha fatto il Giro, lo Svizzera, il Tour, la Vuelta: non poteva fisicamente recuperare gli sforzi per giovedì.

L’impressione è che il percorso possa favorire un outsider, con quella salita che finisce a così pochi chilometri dal traguardo. Secondo te potrebbe succedere che i big si marchino e parta uno meno quotato, Gerrans, ad esempio?
Uno come Gerrans all’ultimo giro non avrà le forze per scattare. Domani si dovranno coprire 4600m di dislivello, in più il tracciato è tortuoso e bisogna tenere il naso avanti. In un certo tratto c’è una curva secca che obbliga, per chi è dietro, a mettere il piede a terra e fare diciannove scatti in più. Si prenderanno delle frustate non male.

Circuito duro: questo è quello che si dice ogni anno. Certo, quello di domani sembra davvero proibitivo ma la tendenza degli ultimi mondiali è quella di partire lenti, non come in tappe del Tour in cui si fanno due ore a cinquanta orari.
La nazionale italiana deve fare due cose. Essere pronta per coprire ogni azione, perché se scappa uno sull’ultima salita (o anche prima) è durissima ricucire. Poi, menare forte sin dalle prime battute. Deve rendere dura la corsa. Deve uscire una gara ad eliminazione. Tanto è questo che il mondo si aspetta, ogni anno, dagli italiani.


Per fare questo servono faticatori: su Bruseghin nessuno ha dubbi ma Visconti, invece, è adatto per questo ruolo?

Non lo so, effettivamente non abbiamo riscontri. Per lui pensavo più ad entrare nelle fughe da lontano, con Paolini.

Che ruolo avranno Basso, Pozzato e Ballan?
Saranno le alternative, movimenteranno la corsa, staneranno i rivali da lontano.

Garzelli?
Si dice che sarà il regista in corsa. La corsa durerà più di sei ore e Ballerini aveva bisogno di qualcuno in gruppo che fosse la sua voce: porterà le comunicazioni, correrà avanti e studierà lo svolgimento della corsa.

Parliamo di Cunego, tuo protetto.
Mi auguro che dia la stoccata giusta: gli hanno affidato il dopo-bettini, ha tanta pressione addosso.

E’ in grado di sostenerla?
Per me sì, quando sta bene non ha paura di nessuno, sono pochi a fare quello che fa lui.

Come lo hai trovato durante la Vuelta?
Sereno, con la testa al mondiale già dall’Olanda. Sono con lui da quattro anni, lo conosco come le mie tasche e quando vedevo che in quei giorni si appartava dopo cena, stava tranquillo da solo, capivo che già raccoglieva la concentrazione per la prova iridata.

In assenza dell’angelo custode, chi sarà l’uomo pilota per Cunego? Basso alla Vuelta ha dimostrato qualità che nel finale possono risultare utili al capitano.
Vero ma io penso più a Scarponi. Anche dopo i 200km è capace di menate micidiali che possono preparare il terreno per Cunego, allungando il gruppo. Potrebbe essere l’uomo fondamentale.


Hai disputato la corsa più bella della tua carriera, attraversi un momento di forma invidiabile: non senti che avresti meritato una convocazione in azzurro?

Mi sarebbe piaciuto ma non per la maglia in sé bensì per il percorso che con tutte quelle salite mi si adatta. Avrei certo fatto la mia parte: il lavoro duro l’ho sempre fatto. Credo però che Ballerini non mi abbia convocato perché aveva già una tattica di corsa in testa e gli uomini che conosce e di cui si fida gliela assicuravano. Certo, a chi non piacerebbe vestire la maglia azzurra? Un po’ di amarezza c’è.

Hai mai parlato con Ballerini negli ultimi tempi?
Ci siamo visti alla Vuelta di sfuggita. Tuttavia, non sono il tipo di ragazzo che chiama a destra e a sinistra per una convocazione, nella mia vita quello che ho fatto l’ho fatto perché ho dimostrato il mio valore.

a cura di Federico Petroni

26-09-2009

settembre 27, 2009 by Redazione  
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MENDRISIO 2009 – CORSA IN LINEA DONNE
L’italiana Tatiana Guderzo ha vinto la prova iridata, percorrendo 124,2 Km in 57′55″, alla media di 34,917 km/h. Ha preceduto di 19″ l’olandese Vos e l’italiana Noemi Cantele.

MENDRISIO 2009 – CORSA IN LINEA U23
Il francese Romain Sicard ha vinto la prova iridata, percorrendo 179,4 Km in 4h41′54″, alla media di 38,183 km/h. Ha preceduto di 27″ il colombiano Betancur Gomez e il russo Silin. Miglior italiano è Damiano Caruso, 10° a 1′33″.

TOUR DU GÉVAUDAN LANGUEDOC-ROUSSILLON
Il francese Laurent Mangel (Besson Chaussures – Sojasun) ha vinto la seconda tappa, Ispanac Quézac – Langogne, percorrendo 146,6 Km in 3h47′31″, alla media di 38,660 km/h. Ha preceduto allo sprint il polacco Marczynski e il francese Vogondy. Miglior italiano Emanuele Sella (Carmiooro – A Style), 29° a 1′20″. Il francese Romain Feillu (Agritubel) passa in testa alla classifica, con lo stesso tempo dello spagnolo Ventoso Alberdi e del francese Bardet. Sella è 6°.

MENDRISIO AGRODOLCE PER CASA ITALIA

settembre 26, 2009 by Redazione  
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Giornata dai due volti per il ciclismo italiano ai Campionati del Mondo di Mendrisio: al mattino, Tatiana Guderzo vince per distacco la prova in linea femminile, in un trionfo azzurro completato dal 3° posto di Noemi Cantele; al pomeriggio, gli Under 23 deludono, non andando oltre un 10° posto con Damiano Caruso nella gara vinta in solitaria dal francese Sicard.

Due vittorie in solitaria in altrettante gare in linea, due prove diametralmente opposte per i colori azzurri. L’Italia di questa lunghissima giornata di ciclismo odierna, con prova femminile al mattino e Under 23 al pomeriggio, è stata Dr. Jekyll tra le donne, dominando la gara e occupando primo e terzo gradino del podio, e Mr. Hyde tra gli Under, quasi mai nei tentativi importanti, fuori da quello decisivo e lontanissimi, alla fine, dal vincitore, Romain Sicard.

Come quando si devono annunciare una notizia buona e una cattiva, partiamo dalla metà lieta della giornata, ossia dalla fantastica prestazione delle ragazze. A differenza di quanto siamo stati abituati a vedere negli anni passati, la gara femminile – come più tardi quella degli Under 23 – è iniziata all’insegna di pochi scatti e un ritmo elevato. Per vedere il primo vero attacco, si è dovuto attendere il quinto dei nove giri in programma, quando un drappello composto da Luperini, Hausler e Pooley, capitana britannica in virtù della condizione deficitaria di Nicole Cooke, si è avvantaggiato per qualche chilometro sulla salita di Novazzano.

Dopo un paio di giri in cui i gruppetti si sono formati e dissolti in un battito di ciglia, la corsa è entrata nella fase chiave al terzultimo giro, quando Noemi Cantele, la capitana azzurra, si è avvantaggiata nella discesa della salita dell’Acqua Fresca. Il tentativo dell’argento della cronometro è durato circa un giro, ma solo in seguito ci saremmo resi conto di quanto la Cantele si fosse gestita bene. Un gruppo di una ventina di atlete ha intrapreso al comando l’ultimo giro, drappello che è però stato sgretolato, sulla prima salita del circuito, dall’azione di Kristin Armstrong, in caccia di una storica doppietta crono-gara in linea. Solamente la favorita Marianne Vos, la stessa Cantele e Tatiana Guderzo sono riuscite a restarle in scia; e in cima all’Acqua Fresca, quando il verdetto pareva già rimandato all’ultima ascesa verso Novazzano, è stata proprio la Guderzo a lasciare tutte sul posto, con un’azione tanto inattesa quanto violenta.

L’effetto sorpresa ha garantito all’azzurra una dozzina di secondi, ma la medaglia d’oro Tatiana se l’è conquistata con un’ultima salita straordinaria. Il tratto pianeggiante tra le due asperità aveva infatti consentito alle tre inseguitrici di ridurre il distacco ad un centinaio di metri ai piedi dell’ultima scalata; la Vos ha accelerato ad inizio salita, la Armstrong ci ha provato poco dopo, ma il lavoro di stopper della Cantele e le gambe ancora in piena spinta della Guderzo hanno fatto sì che il margine si dilatasse nuovamente, toccando i 18’’ in cima.

Negli ultimi 3 km scarsi, Tatiana ha potuto gustare in anticipo il dolcissimo sapore della vittoria, prima di tagliare il traguardo a braccia alzate, mentre dietro di lei la Vos raccoglieva la quarta medaglia in altrettante partecipazioni iridate (ma, dall’altro lato, anche il terzo argento consecutivo in gare in cui è sempre partita favorita), vincendo la volata delle battute davanti a Noemi Cantele, ancora sul podio. Grazie alla medaglia della varesina, l’Italia è tornata a conquistare oro e bronzo due anni dopo la vittoria di Marta Bastianelli a Stoccarda (3a fu allora Giorgia Bronzini), e le ragazze hanno compensato la delusione che sarebbe arrivata qualche ora più tardi.

Il podio della gara donne, vinta da Tatiana Guderzo. Terza Noemi Cantele (foto Scanferla)

Il podio della gara donne, vinta da Tatiana Guderzo. Terza Noemi Cantele (foto Scanferla)

Già, la delusione; perché dopo aver meritatamente incensato i successi femminili, veniamo alle note dolenti, quelle della gara Under 23. Una gara in cui riponevamo buone speranze, ma in cui di fatto gli azzurri sono stati raramente protagonisti, e si sono liquefatti negli ultimi due giri. Dopo una prima fase di gara piuttosto tranquilla, soprattutto viste le precedenti edizioni, corse all’arma bianca, il primo attacco davvero pericoloso – per atleti coinvolti e tempismo – è arrivato al terzultimo giro, quando al tentativo del colombiano Montoya Henao si sono accodati dapprima lo sloveno Furdi e il nostro Brambilla, quindi il temutissimo australiano Howard e il francese Geniez. Il drappello, trascinato da un Howard fin troppo generoso, ha guadagnato addirittura 40’’ circa, grazie anche alla prima di una serie di dormite del gruppo che avrebbero caratterizzato le battute finali di gara.

Al penultimo giro, però, sulla salita dell’Acqua Fresca, il margine dei cinque si è dissolto in un amen, sotto l’impulso di scatti in rapida successione dal plotone, che hanno scremato il gruppo ad una ventina di unità in cima all’erta. Ancora una volta, però, è stata la discesa successiva a segnare la svolta decisiva della gara: è stato infatti proprio in quel tratto apparentemente innocuo che si sono avvantaggiati Michael Kreder, olandese, e soprattutto Romain Sicard, francese fresco vincitore del Tour de l’Avenir, inspiegabilmente lasciato andare in sordina. I due hanno messo rapidamente da parte una quarantina di secondi, scesi a 20’’ sulla salita di Novazzano, dove il russo Silin, il britannico Kennaugh e il nostro leader Caruso hanno accelerato a ripetizione.

La dimostrazione che la coppia di testa poteva essere ancora raggiunta con relativo agio ha però sortito l’effetto opposto a quello sperato sugli inseguitori, che hanno nuovamente rallentato, e sono scivolati ancora a oltre 30’’ al penultimo passaggio sulla linea d’arrivo. L’ultimo transito sull’Acqua Fresca ha poi messo le ali a Sicard, che si è sbarazzato con facilità di Kreder, e ha approfittato dei continui tira e molla del drappello alle sue spalle per prendere un ormai irrecuperabile margine di oltre 1’ ai piedi dell’ultima ascesa a Novazzano. A quel punto, il nuovo attacco di Silin e del colombiano Gomez Betancourt è servito solamente a garantire ai due un posto sul podio, mentre Caruso crollava definitivamente.

Sicard è così andato a coronare il suo favoloso 2009, dopo il Tour de l’Avenir salvato per 1’’ dall’assalto dello statunitense Van Garderen nell’ultima tappa, e ha dato all’Euskaltel Euskadi, che lo ha già messo sotto contratto per il 2010, la certezza di aver piazzato un bel colpo di mercato. Dietro di lui, Gomez Betancourt ha regalato all’attivissima Colombia una meritata medaglia d’argento, davanti a Silin. Tra gli azzurri, il migliore è stato comunque Damiano Caruso, 10° a 1’33’’ dal vincitore, ad ogni modo al di sotto delle attese, mentre gli altri sono usciti dai giochi ben prima che la corsa si decidesse.

Il podio della gara riservata agli U23 (foto Reuters)

Il podio della gara riservata agli U23 (foto Reuters)

Chiusi i capitoli donne e Under 23, domani sarà tempo della gara più attesa, in cui gli azzurri di Franco Ballerini tenteranno di presentarsi puntuali all’appuntamento con la storia (mai nessuna Nazionale ha vinto quattro titoli iridati consecutivi). A tale proposito, le gare di oggi sono certamente servite a fornire al C.T. qualche indicazione circa l’effettiva durezza del percorso di Mendrisio, che pare al momento non inferiore a quella della vigilia. Certamente, le salite non sono tali da fare selezione “da sole”, ma facendo gara dura – come è nel nostro interesse – le insidie rappresentate da Freire, Boonen & co. dovrebbero essere eliminate con largo anticipo. A quel punto, dovrà essere uno tra Ballan, Basso, Bruseghin, Cunego, Garzelli, Paolini, Pozzato, Scarponi e Visconti (li abbiamo citati tutti, e in rigoroso ordine alfabetico, così da non fare torto a nessuno) a portare la nostra Nazionale laddove nessuna è mai arrivata.

Matteo Novarini

25-09-2009

settembre 26, 2009 by Redazione  
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TOUR DU GÉVAUDAN LANGUEDOC-ROUSSILLON
Lo spagnolo Francisco José Ventoso Alberdi (Carmiooro – A Style) ha vinto la prima tappa, Mende – Marvejols, percorrendo 156,9 Km in 3h46′38″, alla media di 41,538 km/h. Ha preceduto allo sprint il francese Romain Feillu e l’italiano Emanuele Sella (Carmiooro – A Style).

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