SUONA L’ORA DELLA PARIS… NICE!

marzo 3, 2012 by Redazione  
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Sarà davvero “nice”, piacevole, il percorso predisposto quest’anno dagli uomini ASO per la Parigi – Nizza, nonostante la pochezza altimetrica complessiva del tracciato, in netto contrasto con quello durissimo che si troveranno sotto le ruote i partecipanti alla Tirreno – Adriatico. La drastica riduzione dei chilometri da percorrere contro il tempo, che passerà anche per la riscoperta della cronoscalata al Col d’Èze, unita a un tracciato non impossibile (massimo impegno richiesto, l’arcigno arrivo in salita di Mende), renderà l’edizione 2012 della “course au soleil” una gara difficilissima da gestire, con il rischio fuga bidone sempre aperto dietro l’angolo. Una guerra di gambe e di nervi attende chi vorrà iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro della corsa francese.

Foto copertina: salendo al Col d’Èze (foto flickr)

La crono non paga. Ma chiede un conto assai salato.
Non erano forse bastati i Tour dell’era Indurain agli uomini di ASO e lo scorso anno avevano voluto sperimentare anche sulla pelle della Parigi – Nizza il potere “distruttivo” delle cronometro. Detto e fatto, svolgimento ed esito dell’ultima edizione della “course au soleil” erano stati fortemente condizionati dalla lunga crono di Aix-en-Provence (27 Km, una distanza piuttosto elevata per il mese di marzo), che, di fatto, resero inutili tutte le frazioni che venivano prima e dopo questa tappa, complice anche la mancanza di vere ascese.
La lezione stavolta è fortunatamente servita e per rendersene conto basta dare una scorta all’elenco delle frazioni dell’edizione 2012, che conterà due tappe contro il tempo brevi e poco adatte ai passisti alla Tony Martin, il corridore tedesco che si era imposto dodici mesi fa in quel di Nizza. Il programma sarà, infatti, inaugurato domenica 4 marzo con un cronoprologo atipico e non proprio velocissimo e si concluderà con il gradito ritorno della cronoscalata al Col d’Èze, che fu tappa terminale della corsa francese per quasi 25 anni, l’ultima volta nel 1995.
Se un deciso passo indietro è stato fatto sotto quest’aspetto, non si può dire lo stesso per le salite, anche se i partecipanti si troveranno sotto le ruote un percorso decisamente migliore rispetto a quello dell’anno scorso, comunque lontano dai livelli delle edizioni disputate nel 2008 e del 2009 (furono rispettivamente affrontati gli arrivi in quota sul Ventoux e sulla Montagne de Lure) ed anche da quello della Tirreno-Adriatico di quest’anno, indiscutibilmente votata agli scalatori. Il bello del tracciato 2012 della Parigi-Nizza è che, con le sue difficoltà contenute, sarà notevolmente intrigante perché bisognerà tenere gli occhi bene aperti in ciascuna frazione, anche quelle secondarie: mancando i salitoni sarà, infatti, elevato il rischio che la corsa non si risolva nelle tappe preposte a formare la classifica ma in seguito ad una fuga ben orchestrata da una parte e sottovalutata dall’altra (evento possibile anche quando la corsa è dura, ricordate la tappa dell’Aquila del Giro del 2010?).

1a TAPPA: DAMPIERRE-EN-YVELINES – SAINT-RÉMY-LÈS-CHEVREUSE (9,4 Km)

Dopo un anno di assenza (nel 2011 si partì con una tappa in linea) tornerà la consueta crono d’apertura che, però, stavolta non sarà il classico cronoprologo piatto nel quale gli specialisti del tic-tac potranno dare appieno sfoggio alle loro potenzialità. La scelta di gareggiare sulle strade della Chevreuse, la collinosa vallata posta alle porte di Parigi e che per anni accolse gli ultimi GPM del Tour de France prima dell’approdo sui Champs-Elysées, già lascia intendere un terreno non facile e l’altimetria conferma questa impressione. Scesi dalla rampa di lancio e percorsi i primi 700 metri senza incontrare difficoltà, i corridori dovranno affrontare una salita che è tutta un programma a partire dal nome, la Côte des Dix-sept Tournants. A dire il vero, pur essendoci parecchie curve, di tornanti non se incontreranno e la pendenza non è di quelle terribili (6,2% su 1,1 Km), ma la sua presenza nelle battute iniziali certamente influirà sull’esito della corsa, tenuto anche conto che, generalmente, i passisti hanno bisogno di qualche chilometro per “carburare”. Scavalcato quest’ostacolo, il tracciato non proporrà altre difficoltà e diventerà velocissimo, ma potrebbero non bastare i rimanenti 7600 metri ai passisti, soprattutto se avranno patito non poco la precedente ascesa, che presenta picchi di pendenza fino al 15%.

2a TAPPA: MANTES-LA-JOLIE – ORLÉANS (185,5 Km)

La prima frazione in linea sarà la più facile tra le otto previste, l’unica che non presenterà nessuna difficoltà per i velocisti, che si troveranno di fronte un tracciato prevalentemente pianeggiante, in particolare negli ultimi 100 Km. Le fasi iniziali, invece, saranno a tratti morbidamente vallonate e si concluderanno con il passaggio sull’unico GPM di giornata, la facilissima Côte des Granges-le-Roi, classificato di 3a categoria solo perché alla Parigi-Nizza non è stata introdotta la quarta, come avviene tradizionalmente al Tour e, dall’anno scorso, anche al Giro. Se proprio si vuole trovare un’insidia per i velocisti, è possibile individuarla a cavallo dello striscione dell’ultimo chilometro, perché in quel tratto la strada procederà in lieve ascesa e ciò potrebbe risultare indigesto per quegli sprinter che mal digeriscono anche i cavalcavia. A movimentare questa e tutte le altre frazioni in linea interverranno gli abbuoni previsti sia all’arrivo (10, 6 e 4 secondi), sia ai traguardi volanti (3, 2 e un secondo).

3a TAPPA: VIERZON – LE LAC DE VASSIVIÈRE (194 Km)

Terza tappa e terzo scenario differente. Dopo la crono e la tappa per i velocisti toccherà a un approdo che piacerà molto ai “finisseur”, i virtuosi delle sparate nei chilometri finali quando questi sono collocati in cima ad ascese brevi e talvolta rognose. È il caso dell’approdo sulle rive del lago di Vassivière, bacino artificiale conosciuto nel mondo del ciclismo per aver accolto tre storiche frazioni a cronometro del Tour de France (in particolare quella disputata nel 1990 e che vide Greg Lemond levare la maglia gialla a Chiappucci a ventiquattrore dall’epilogo parigino). Per arrivarci i corridori dovranno portare a termine un cammino di quasi 200 Km che debutterà in pianura e poi si farà man mano più vallonato con l’approssimarsi del traguardo. Pur non essendoci grandissime pendenze, il finale si prospetta piuttosto “caliente” perché proprio ai piedi dell’ultima ascesa si dovrà affrontare il traguardo volante con seguito di abbuoni. Se dovesse esserci grande bagarre, gli ultimi 5,2 Km al 3,9% (picchi del 13%) potrebbero anche riservare qualche sgradita sorpresa.

4a TAPPA: BRIVE-LA-GAILLARDE –RODEZ (178 Km)

Oggi ce ne sarà per tutti i gusti. È difficile catalogare frazioni come quella che terminerà a Rodez, tappe “aperte” nel senso che ci sta sia la sparata di un “finisseur”, sia l’approdo di una fuga, ma anche la conclusione allo sprint, con davanti i velocisti più resistenti mixati a qualche corridore non proprio avvezzo ai finali a 70 all’ora. Complici asfalti sempre più scorrevoli e mezzi sempre più moderni, oramai gli sprinter hanno imparato a districarsi in tappe dai finali decisamente impegnativi, un po’ anche per il vezzo degli organizzatori di limitare il numero delle tappe totalmente lisce e di piazzare salitelle in vista dei traguardi. Nel caso di Rodez la salitella misurerà appena 400 metri, anche se poi – superato il secco GPM della Côte de Bourran (media del 7,9%) – la strada continuerà a puntare con dolcezza verso l’alto nei rimanenti 2 Km. Da tenere presente che il gruppo potrebbe comunque arrivare già “stanco” ai piedi di questo finale poiché prima si saranno affrontati quattro GPM, tra i quali spiccano due di 2a categoria.

5a TAPPA: ONET-LE-CHÂTEAU – MENDE (178,5 Km)

A rapportarla alle altre verrebbe da dire Mende sarà la tappa “regina” di questa edizione, ma se si estende il confronto alla Tirreno – Adriatico – e come termine di paragone basta prendere anche solo la tappa di Chieti, certamente meno impegnativa di quella successiva dei Prati di Tivo – allora dobbiamo drasticamente ridimensionarla a un ruolo di “damigella”. Di certo, comunque, la quinta fatica della Parigi-Nizza 2012 sarà egualmente molto impegnativa ed esigente e non dovrà per questo essere sottovalutata, soprattutto perché inserita in un’edizione della “course au soleil” che si annuncia molto problematica da gestire. E poi la storia degli arrivi sull’arcigna “Montée Laurent Jalabert”, 3000 metri di strada che si impenna al 10,1% medio con un picco del 15%, parla chiaro: nonostante la brevità dello sforzo, lassù si sono imposti sempre campioni con la C maiuscola, dal titolare della salita, vincitore della tappa del Tour che vi si concluse nel 1995, ad Alberto Contador, che lassù si è imposto due volte alla Parigi-Nizza e che è arrivato a un soffio dal successo nell’edizione 2010 della Grande Boucle, quella che ha vinto e poi perduto a causa della positività al clenbuterolo. Come nei precedenti arrivi della corsa francese tutto si deciderà sull’ultima salita, anche se un peso rilevante potrebbero averlo i precedenti 5 GPM, tra i quali sono da annoverarsi altri due classificati di prima categoria. Il secondo di questi, la Côte de l’Estrade (6,1 Km all’8,1%, da superarsi a una trentina di chilometri dall’arrivo), se affrontato di gran carriera potrebbe riservare qualche sorpresa.

6a TAPPA: SUZE-LA-ROUSSE – SISTERON (178,5 Km)

È un’altra tappa “aperta” questa di Sisteron anche se, stavolta, avranno più chances di andare in porto la fuga da lontano o il lavoro di ricongiungimento delle squadre dei velocisti, mentre i “finisseur” non avranno quasi sicuramente molte frecce al loro arco, essendo l’ultimo trampolino utilizzabile (la Côte des Marquises, 1,3 Km al 6,8%) piazzato a ben 12 Km dalla meta. Per i fuggitivi e il gruppo, invece, le possibilità di portare a compimento il loro lavoro saranno pari: i primi avranno dalla loro parte un percorso decisamente frastagliato nei primi 120 Km (a sera si saranno complessivamente affrontati 5 GPM, tra i quali il Pas du Ventoux, di 2a categoria), mentre giocherà a favore dei secondi lo “sgonfiarsi” del tracciato nei chilometri conclusivi, caratterizzati anche dalla possibilità di prendere le misure del rettilineo d’arrivo poiché la tappa finirà con un circuito di 19 Km, lo stesso che fu affrontato anche nella tappa di Sisteron della Parigi – Nizza del 2008. Quella frazione era simile a questa, anche se più impegnativa nella parte iniziale, e si concluse con l’approdo di un tentativo di fuga e il successo dello spagnolo Carlos Barredo, mentre il gruppo, regolato allo sprint da Thor Hushovd, giunse a Sisteron quasi due minuti più tardi.

7a TAPPA: SISTERON – NIZZA (219,5 Km)

In questa particolare posizione, alla vigilia della tappa conclusiva, nelle ultime edizioni era stata proposta una frazione “trabocchetto”, un concentrato di saliscendi che culminavano con una salita moderatamente impegnativa nelle battute conclusive, non dura ma foriera di ribaltoni a sorpresa, come quello che nel 2009 disarcionò inaspettatamente Alberto Contador, issatosi al vertice della classifica ventiquattrore prima sulla Montagne de Lure e poi naufragato lungo la rotta per Fayence. La decisione di anticipare il traguardo di Nizza al penultimo giorno di gara ha portato a un ridimensionamento di questa frazione sotto l’aspetto altimetrico. Il tratto più “arricciato” sarà più breve e sarà affrontato molto presto, tra i 70 e i 100 Km dalla partenza, poi la salita principale – il Col de Vence, valico classificato di 1a categoria più per la quota raggiunta (963 m) che per i suoi 9,7 Km al 6,6% – i corridori la troveranno a ben 54 Km dall’arrivo. La veloce discesa successiva e l’assoluta mancanza di ulteriori difficoltà nel finale vanificheranno la presenza di quest’ascesa e potrebbero anche consentire al gruppo di rientrare sui fuggitivi di giornata, consegnando anche il prestigioso traguardo della Promenade des Anglais ai velocisti. A loro favore potrebbe giocare il disegno complessivo della corsa che, a questo punto, potrebbe essere ancora aperta, costringendo le formazioni dei corridori più attesi a stoppare e contenere le fughe più pericolose, svolgendo parte del lavoro che generalmente ricade sulle spalle dei “treni”. Questa sarà, infine, la tappa più lunga di questa edizione, l’unica che sfonderà il tetto dei 100 Km.

8a TAPPA: NIZZA – COL D’ÈZE (9,6 Km)

Siamo arrivati al gran finale della Parigi – Nizza che, dopo 17 anni, tornerà a proporre come atto conclusivo la cronoscalata al colle simbolo della corsa francese. Non si salirà dal versante più diretto, ma attraverso una strada secondaria che vincerà i 465 metri di dislivello tra Nizza e l’Èze in 9,6 Km, affrontando una pendenza media all’apparenza non particolarmente rilevante, del 4,8%. Quest’ultimo dato può trarre in inganno perché questa sarà comunque una cronoscalata difficilissima, forse anche più di altre prove similari notevolmente più acclivi. Alla pochezza delle inclinazioni, infatti, farà da contraltare la loro variabilità, con frequenti passaggi dal moderatamente impegnativo al pedalabile e al falsopiano, che costringeranno a repentini cambi di ritmo. L’abbrivo costituirà il momento più impegnativo, poiché nei primi 2000 metri la pendenza media si attesterà poco sotto l’8%, poi la salita si addolcirà sensibilmente (4,2% per circa 3 Km) procedendo verso il Col des Quatre Chemins, valico secondario dove saranno presi i tempi intermedi. Lì la salita riprenderà deciso piglio per mille metri (media al 7%) poi tornerà a “afflosciarsi” nei successivi 2 Km (5,7%), mentre i conclusivi 1600 metri saranno tracciati in dolce falsopiano (1,2%).

Mauro Facoltosi

UNA SENTENZA ORMAI AVARIATA

febbraio 7, 2012 by Redazione  
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Si è chiuso con una sentenza di colpevolezza, dopo circa un anno e mezzo, il caso-clenbuterolo con protagonista Alberto Contador, condannato dal TAS di Losanna ad una squalifica dalle competizioni di due anni. In virtù della retroattività della pena, il madrileno tornerà alle gare nel prossimo agosto. Assegnati a tavolino ad Andy Schleck e Michele Scarponi il Tour 2010 e il Giro 2011.

Foto copertina: Alberto Contador impegnato nel Tour San Luis, pochi giorni prima della sentenza (foto Bettini)

565 giorni per giungere ad una sentenza che lascia adito a parecchi dubbi, nella sostanza e ancor più nella misura. Tanto è servito al TAS di Losanna per infliggere ad Alberto Contador una squalifica di due anni per i 50 picogrammi di clenbuterolo rinvenuti nei campioni di urina prelevati il 21 luglio 2010, secondo giorno di riposo del Tour de France che il madrileno si stava giocando sul filo dei secondi con Andy Schleck.
Dopo Alejandro Valverde, dunque, la Spagna perde anche l’altro e più illustre miracolato dell’Operacion Puerto, l’inchiesta che cinque anni e mezzo fa aveva sconvolto il ciclismo mondiale (un po’ di meno – troppo di meno secondo molti – quello iberico), a seguito di un verdetto che non fuga le perplessità su una vicenda trascinatasi in ogni caso per un tempo insensatamente lungo. I 50 picogrammi di clenbuterolo non costituiscono una ragione sufficiente per la squalifica, ma soltanto per ritenere probabile l’uso di doping. E se il principio della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio deve valere anche entro le mura di un tribunale sportivo, l’impressione è che alla fine – al di là del legittimo convincimento di ognuno circa la colpevolezza o meno di Contador – ad avere la meglio sia stata la voglia di punire un atleta da tempo circondato da parecchi sospetti.
L’ennesimo totem del ciclismo viene dunque infangato dall’onta del doping, ma lo spagnolo non è il solo ad uscire a pezzi da una vicenda che aveva ormai da tempo assunto i contorni del ridicolo. Ancor più imbarazzante risulta la posizione della sua federciclismo, clamorosamente sconfessata dopo aver di fatto graziato Contador, per la felicità di chi già da tempo vede nella federazione iberica uno dei più grossi cancri da estirpare nella lotta al doping. Non solo, ma è tutto lo sport spagnolo a veder distrutto uno dei simboli del momento magico che gli iberici sembrano vivere da alcuni anni a questa parte in svariate discipline, e sul quale aleggiano sospetti che già la misteriosa scomparsa di molti nomi dai fascicoli dell’OP, che pareva inizialmente dover coinvolgere atleti di altri settori (si parlò all’epoca di tennisti e calciatori di spicco), aveva contribuito a sollevare. Senza voler insinuare che a Madrid si annidi l’equivalente ciclistico di quello che in un recente passato fu la federazione statunitense per l’atletica leggera (per chi ignorasse il caso: oltre 100 positività insabbiate, tre delle quali riguardanti tale Carl Lewis), la tendenza della federciclismo spagnola alla protezione dei suoi atleti autorizza perlomeno a storcere il naso, e il fatto che addirittura l’ex premier Zapatero – in un momento difficile a ben altri e più seri livelli – si sia scomodato per fare pressioni sugli organi nazionali competenti affinché Contador venisse risparmiato non depone a favore.
Male ne esce l’UCI, che pareva in un primo tempo decisa a non far neppure emergere il caso, e che, una volta venuta a galla la vicenda, è riuscita anche a presentare in ritardo il proprio ricorso, causando una vergognosa dilatazione dei tempi.
Ancora peggiori, se possibile, gli effetti che la questione ha avuto e avrà sull’immagine del ciclismo presso il pubblico, che vedrà rafforzata la propria ottusa concezione della bicicletta come patria del doping, del corridore come macchina alimentata a EPO e affini. Un’immagine in realtà dovuta al fatto che – con qualche deprecabile eccezione – lo sport del pedale rientra nel ristrettissimo club delle discipline che combattono seriamente la battaglia contro il doping, laddove tante altre preferiscono chiudere più comodamente un occhio o due.
Poi, certo, viene lui, il diretto interessato. Un corridore che fino a ieri rientrava nell’esclusiva e prestigiosissima schiera di coloro che, senza potersi fregiare dello status di campionissimi, si collocavano però subito sotto. Una schiera il cui criterio di selezione, più che il palmares, è la percezione che il pubblico ha dell’atleta, il tipo di immagine e di ricordo che questi lascia al termine della carriera, l’alone del quale riesce a circondarsi. Una schiera alla quale dunque, con ogni probabilità, Contador non apparterrà più, indipendentemente da ciò che riuscirà a vincere dopo il suo ritorno alle gare.
Un ritorno peraltro piuttosto vicino, giacché i due anni di squalifica saranno retroattivi. Risultano dunque revocati i successi raccolti dal campione di Pinto negli scorsi 18 mesi, ma già dal prossimo agosto Contador potrà tornare a gareggiare, giusto in tempo per schierarsi al via della Vuelta. Un po’ come se un ladro venisse arrestato anni dopo aver compiuto una rapina e se la cavasse con la semplice restituzione della refurtiva.
I 50 bilionesimi di grammo di clenbuterolo che hanno portato ai due anni di stop per lo spagnolo (mai così severa una sentenza per una positività a tale sostanza, a dispetto del quantitativo risibile) comporteranno naturalmente una immediata riscrittura delle classifiche delle corse disputate da Contador a partire dal Tour incriminato. A sorridere – ammesso che si possa gioire di una vittoria assegnata da un tribunale – sono soprattutto Andy Schleck, che si issa in vetta alla graduatoria della Grande Boucle 2010, lasciando la seconda piazza ad un Denis Menchov che fa a sua volta spazio sul podio a Samuel Sanchez, e Michele Scarponi, che si veste idealmente di rosa a oltre 8 mesi di distanza dalla fine del Giro 2011, precedendo nel nuovo ordine d’arrivo Nibali e Gadret. Anche assumendo per certa la colpevolezza di Contador, la sua esclusione dalla classifica finale non rende comunque meno falsato l’esito di gare che lo spagnolo ha in ogni caso pesantemente condizionato con la sua sola presenza e condotta di gara. Un esempio per tutti: senza un Contador di mezzo, Nibali avrebbe tentato quell’attacco disperato nella tappa del Gardeccia in virtù del quale ha chiuso alla fine dietro a Scarponi?
Nell’impossibilità di dare una risposta a questa e a simili domande, ci teniamo la rabbia accumulata in oltre un anno di rinvii e di attesa, e soprattutto quella di aver perso tempo a versare fiumi di parole su un fantasma, un atleta che per gli albi d’oro non è esistito negli ultimi 18 mesi. Per i prossimi sei, se non altro, saremo certi di non vederlo davvero.

Matteo Novarini

ANNO CHE VIENI, ANNO CHE VAI: LE CLASSICHE

gennaio 16, 2012 by Redazione  
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Con la stagione 2012 ormai alle porte, gettiamo un ultimo sguardo all’anno passato, prima di proiettarci verso ciò che potrebbe riservare quello nuovo. Al centro della nostra analisi questa volta le corse di un giorno, dominate nel 2011 da Philippe Gilbert, cui è sfuggito solo il titolo mondiale, finito nelle mani di Mark Cavendish. Grande deluso Fabian Cancellara, spesso piazzato ma incapace di cogliere il grande successo, di cui andrà dunque in caccia nei prossimi mesi.

Foto copertina: Philippe Gilbert solo al comando; è stato lui il re delle classiche 2011 (foto Elmar Krings)

Sarà probabilmente avaro di riconferme il 2012 delle classiche. Larga parte dei protagonisti più attesi – di fatto tutti tranne Philippe Gilbert e Mark Cavendish – saranno infatti chiamati nella prossima stagione a riscattare un 2011 privo o quasi di soddisfazioni, che ha visto molti degli appuntamenti chiave finire nelle mani di atleti di non eccelso blasone. Se l’anno di nascita (1986) e il 2° posto al Mondiale danese obbligano infatti ad una certa prudenza nel considerare la Sanremo di Matthew Goss come un exploit estemporaneo, è infatti difficile ipotizzare per Nick Nuyens, Johan Vansummeren e Oliver Zaugg – corridori tra il buono e l’ottimo che fino alla stagione scorsa non vantavano però dei palmares particolarmente ricchi – dei bis a Fiandre, Roubaix e Lombardia, peraltro conquistati con pieno merito.
A presentarsi al via delle grandi classiche primaverili da favoriti saranno quasi certamente (leggasi: a meno di incidenti che ne compromettano le condizioni fisiche) Fabian Cancellara, ancora uomo da battere sul pavé, e Philippe Gilbert, che affronterà ben 3 classiche della ex Coppa del Mondo più la Freccia Vallone da vincitore uscente. Più che sulle difese dei titoli – se ci viene concessa l’espressione pugilistica -, e senza dimenticare i già sfiorati Giro delle Fiandre e Milano – Sanremo, già sfiorati, la stagione del fuoriclasse di Verviers sarà probabilmente incentrata soprattutto sulla conquista dell’alloro iridato, ciliegina mancata sulla comunque favolosa torta del suo 2011, sfuggita peraltro più per questioni di percorso che di gambe. Il tracciato olandese su cui si disputeranno i Campionati del Mondo appare assai più adatto alle caratteristiche del neo-alfiere BMC rispetto a quello di Copenaghen, e, qualora si presentasse all’appuntamento clou nella condizione ideale, risulterebbe piuttosto difficile pensare ad un vincitore diverso. E se è vero che i galloni di favorito quasi mai rappresentano un vantaggio, è altrettanto innegabile che nella passata stagione Gilbert ha più volte vestito gli scomodi panni dell’uomo faro senza che la cosa ne pregiudicasse il risultato.
Se il vallone potrà perlomeno godere della tranquillità e della sicurezza di chi è reduce da un’annata trionfale, Cancellara si presenterà invece sulle pietre dopo un 2011 che sarebbe eccellente per qualsiasi altro corridore (2° a Sanremo e Roubaix, 3° al Fiandre), ma deludente per chi è abituato ad alzare le braccia con la regolarità di Spartacus. Se alle tre vittorie sfumate in primavera, almeno un paio delle quali in maniera piuttosto clamorosa (in primis il Fiandre, in cui sciupò un abbondante vantaggio, in parte la Roubaix, persa per mano di un Vansummeren probabilmente sottovalutato, e che è a lungo parso destinato ad essere fagocitato dai big), si aggiunge poi la lunga serie di sconfitte patite per mano di Tony Martin nelle prove a cronometro, al Tour e soprattutto al Mondiale, ecco che il 2012 assume per lo svizzero i contorni dell’anno in cui andare a caccia di rivincita.
Da valutare, sempre in chiave classiche di primavera, quale potrà essere l’incidenza delle traumatiche modifiche apportate al tracciato del Giro delle Fiandre, che abbandonerà il tradizionale finale con Grammont e Bosberg a favore dell’accoppiata Oude Kwaremont – Paterberg. Difficile dire a priori chi possa trarre vantaggio dalla novità, anche se la sensazione è che il nuovo epilogo possa risultare meno selettivo rispetto al precedente.
Di segno opposto dovrebbero invece essere i cambiamenti nel percorso della Milano – Sanremo, ancora allo studio, che dovrebbero però portare all’inserimento di una nuova asperità, che farebbe ulteriormente calare le quotazioni dei velocisti puri, già colpite dall’aggiunta delle Manie ai classici Poggio e Cipressa. Se così fosse, gli sprinter, che non potranno più godere di un tracciato mondiale su misura, si troverebbero privati anche della classica monumento a loro più adatta (addirittura l’unica per chi non mastica pavé), vedendosi costretti ad incentrare la loro stagione sui grandi giri e – soprattutto – sui Giochi Olimpici, dove Mark Cavendish tenterà di regalare ai padroni di casa la medaglia più pregiata all’indomani della cerimonia inaugurale, su un percorso che si preannuncia decisamente amico.
Nell’impossibilità di indicare, a stagione di fatto non ancora avviata, qualche nome da sorvegliare che esuli dai soliti noti, è giusto spendere due parole sul ciclismo italiano, che ha vissuto nel 2011 una stagione da dimenticare, a dispetto del promettente inizio, con quattro azzurri tra gli otto atleti giunti a giocarsi la Milano – Sanremo (uno dei quali – Scarponi – dopo uno sfiancante inseguimento solitario, senza il quale avrebbe potuto forse raccogliere qualcosa di più di un buon piazzamento). Dopo una campagna delle pietre con il solo Ballan ad alti livelli, il tricolore è sparito dalle zone che contano delle classifiche sulle Ardenne, per non ritornarvi di fatto fino al secondo posto di Marcato alla Parigi – Tours, piegato solo da Van Avermaet. Nemmeno il conclusivo Giro di Lombardia ha riportato il sorriso al ciclismo azzurro, che su è visto escludere dal podio da Zaugg, Daniel Martin e Purito Rodriguez, malgrado una buona prova collettiva.
Se per il 2012 le carte da giocarsi per le grandi classiche saranno più o meno lo stesse, non altrettanto si può dire per il Campionato del Mondo, dove i velocisti avranno ben poco da dire (affermazione che, restringendo il discorso agli azzurri, sarebbe peraltro a posteriori vera anche per Copenaghen). Malgrado le esclusioni forzate di Basso e Rebellin – che a dispetto dell’età è stato il più pimpante dei nostri nella stagione passata su percorsi vallonati –, dovute alle brillanti iniziative di Di Rocco & co. (su cui evitiamo di pronunciarci in negativo per l’ennesima volta), è facile ipotizzare un’Italia a più punte, in mancanza di un nome capace sulla carta di tener testa a Gilbert e non solo. Difficile, ovviamente, immaginare ora una formazione; Bettini potrebbe però trovare di qualche conforto la consapevolezza che sarà molto complicato fare peggio dell’anno passato.

Matteo Novarini

ANNO CHE VIENI, ANNO CHE VAI: I GRANDI GIRI

gennaio 15, 2012 by Redazione  
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Il Giro di Contador, il Tour di Evans e il duello con Schleck, la Vuelta di Cobo, la scoperta di Froome: questo e tanto altro è stato il 2011 per quel che riguarda i grandi giri. Andiamo ad analizzare in breve quanto accaduto nei GT degli ultimi dodici mesi, gettando uno sguardo a ciò che ci attende per l’anno appena cominciato.

Foto copertina: Cadel Evans completa la rincorsa al Tour concludendo al 2° posto la crono di Grenoble (foto AFP)

Se parlando di classiche è facilissimo identificare in Philippe Gilbert l’uomo copertina della stagione 2011, assai meno immediata risulta l’analoga operazione per quel che riguarda i grandi giri: lo straripante Alberto Contador del Giro d’Italia o il Cadel Evans del Tour de France, capace di coronare l’inseguimento alla Grande Boucle durato tutta una carriera, correndo sostanzialmente senza squadra?
Benché l’impressione – e sia chiaro che solo di impressione si tratta, in completa assenza di controprove – sia che in un testa a testa ideale il Contador di maggio sia stato leggermente superiore all’Evans di luglio, la nostra scelta ricade sull’australiano, prima per il carattere e il coraggio messi in campo con gli inseguimenti a Schleck e Contador nelle ultime due frazioni alpine che per la prova di forza della cronometro di Grenoble. Certo, lo spagnolo ha avuto il grande merito di essere l’unico corridore di vertice da corse di tre settimane a puntare seriamente a due GT, e sulla mancata doppietta pesa la sequenza di cadute nella prima settimana di Tour (talmente numerose da autorizzare a pensare che non si sia trattato solamente di sfortuna, ma che ci sia stata anche una discreta componente di disattenzione), senza dimenticare che, pur con una gamba nemmeno paragonabile a quella del Giro, il madrileno ha comunque dimostrato il piglio del campione ribellandosi all’anonimato in cui rischiava di scivolare, con una condotta d’assalto sulle Alpi. Ad assicurare la nostra preferenza ad Evans è però proprio il fatto che l’australiano non ha avuto dalla sua una imbarazzante superiorità sulla concorrenza, ma si è imposto per il cuore che tutti gli riconoscono da sempre, e per un’intelligenza tattica che invece era stata forse il suo tallone d’Achille in alcuni dei ripetuti assalti falliti alla maglia gialla parigina.
Tutt’altro che agevole anche la scelta del GT più godibile della stagione: da un lato un Giro caratterizzato da un percorso assai poco equilibrato ma estremamente spettacolare, esaltato dalla condotta di gara spesso combattiva dei protagonisti, ma che ha dato modo a Contador di sbriciolare la resistenza degli avversari in meno di due settimane; dall’altro un Tour de France che ha dalla sua un’ultima settimana esplosiva, preceduta però da quindici giorni di mero preludio alla bagarre alpina, con classifica modellata più dalle cadute che dagli attacchi, e dei Pirenei agghiaccianti a dispetto del buon disegno. Difficile esprimere una preferenza, anche se a nostro personalissimo giudizio la totale assenza di suspense della Corsa Rosa fa pendere leggermente l’ago della bilancia dalla parte della Grande Boucle, perlomeno più ricca di rivolgimenti nelle gerarchie dei favoriti, e forte di quattro tappe alpine (calcoliamo anche Pinerolo e – un po’ forzatamente – Gap) come non se ne vedevano da anni.
Nulla si è sin qui detto della Vuelta, e la cosa è forse già di per sé significativa. Penalizzato da un percorso povero di spunti, con tanti arrivi in salita ma quasi tutti pedalabili e non preceduti da asperità capaci di occultare le pendenze più che accessibili dei chilometri conclusivi, oltre che da un parco partecipanti di molti inferiore rispetto alle altre due grandi corse a tappe, l’ultimo GT stagionale è scivolato via in tono decisamente minore, aggravato dalla scarsa vena dei nomi più illustri. Con Nibali crollato nella seconda metà di gara, Menchov partito in sordina, Joaquim Rodriguez e Igor Anton fuori classifica e costretti ad accontentarsi di soddisfazioni parziali e Van den Broeck lontano dalla condizione del Tour 2010 dopo la caduta con ritiro alla Grande Boucle, il migliore dei favoriti della vigilia è stato Bradley Wiggins, costretto però a cedere i gradi di capitano alla sorpresa Chris Froome, promosso sul campo dopo la grande crono di Salamanca e la débacle del leader designato sull’Angliru. Se la scelta fosse stata compiuta qualche giorno prima, il britannico di scorta avrebbe forse potuto fare ancora meglio dell’insperato 2° posto raccolto alla fine, scalzando l’altro outsider Juan José Cobo, alla fine meritatamente vincitore grazie all’assolo sull’Angliru.
Meglio, a livello di partenti, dovrebbe andare alla corsa spagnola nel 2012, quando al via di Pamplona si schiererà probabilmente Alberto Contador, quattro anni dopo l’ultima partecipazione (vittoriosa) del 2008. Scottato dall’esperienza di quest’anno, quando la partecipazione al Giro ha in parte compromesso la preparazione al Tour de France, il madrileno si terrà alla larga dalla Corsa Rosa nella prossima stagione, che sarà per lui incentrata sull’inseguimento alla quarta Grande Boucle in carriera.
A frapporsi tra Contador e il trionfo che lo collocherebbe al sesto posto solitario nella classifica dei plurivincitori in terra francese sarà però il gotha del ciclismo mondiale, giacché, a differenza di quanto si vociferava/auspicava qualche mese fa, quasi nessuno rinuncerà al Tour per puntare sui giochi olimpici. Il risultato sarà dunque una Grande Boucle che, a fronte di un percorso tra il moscio e l’imbarazzante, potrà contare sulla partecipazione di quasi tutti i nomi di richiamo, lasciando a bocca asciutta un Giro d’Italia che inizierà probabilmente l’era post-Zomegnan nel peggiore dei modi, ossia tornando a quello status di campionato nazionale italiano a tappe in cui era piombato negli ultimi anni della direzione di Carmine Castellano. Perso Contador, a dispetto della partenza dalla città natale del suo DS Bjarne Riis, sono via via tramontate le ipotesi di partecipazione di Cadel Evans, deciso a puntare tutto sul bis in Francia, e di tutti gli altri principali interpreti contemporanei dei grandi giri, fratelli Schleck in primis. Decisi a non intaccare la loro immagine di piazzati, i lussemburghesi hanno infatti comunicato la loro intenzione di provare ad infliggere distacchi titanici a Contador, Evans e compagnia sulle poche grandi salite del Tour e di tentare di resistere nei 100 km circa a cronometro in programma, quando in questo 2011 sono bastati i 40 della penultima tappa per perdere con gli interessi quanto accumulato in 19 giorni di gara ben più montagnosi.
A contendersi la maglia rosa saranno dunque con ogni probabilità gli italiani di vertice che sceglieranno di presentarsi al via di Herning; pensiamo in particolare Basso e Scarponi, che dovrebbero essere i leader designati di Liquigas e Lampre, con i rispettivi compagni di squadra, Nibali e Cunego, orientati verso il Tour. Principali insidie estere, persi rispetto a quest’anno anche Menchov e Anton, potrebbero essere Kreuziger, Gadret, Rujano e Rodriguez, già al via nel 2011, e le new entry Vandevelde e Fuglsang.
Il 2012 si presenta insomma, per quel che concerne i GT, come l’anno del ritorno al “tutti al Tour”, con buona pace di chi negli ultimi anni era riuscito a restituire al Giro d’Italia un certo lustro a livello internazionale. L’auspicio è che qualcuno cambi idea da qui a maggio, e che, in caso contrario, si tratti soltanto di un insieme di circostanze sfortunate, che hanno per vari motivi allontanato dalla Corsa Rosa corridori intenzionati a ritornarvi in tempi brevi. Sarebbe altrimenti paradossale aver operato un cambio ai vertici della gara per ritornare a tracciati più umani, sacrificando però nel mentre il livello di chi quei tracciati dovrebbe interpretarli.

Matteo Novarini

ANCORA UNA VOLTA PRIMO DEGLI ITALIANI

ottobre 9, 2011 by Redazione  
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Ancora una volta Davide Rebellin ha dimostrato di essere il più bravo degli italiani in gara. I due anni di sospensione non hanno intaccato il suo fisico, che è ancora in grado di dare emozioni, quelle che trapelano dal racconto di Francesco Gandolfi che, prima ancora che nostro giornalista, da anni è uno dei più appassionati tifosi del corridore veneto.

Foto copertina: si legge la determinazione sul volto di Rebellin, impegnato nell’edizione 2011 del Giro dell’Emilia (foto Bettini)

Questa volta la quarta posizione conquistata sul San Luca rappresenta qualcosa che è molto più di un piazzamento, che trascende il valore attribuito alla posizione registrata sull’ordine d’arrivo. L’ho visto lì, davanti ai miei occhi, sempre nelle primissime posizioni, passare sulla linea del traguardo tornata dopo tornata, giro dopo giro. Esattamente come quattro anni fa. Oggi, tuttavia, qualcosa era cambiato. Molto più determinato, molto più concentrato, sempre fluido ed elegante nella pedalata, ma più affaticato in volto. Arriva l’ultimo giro, i “Grandi” sanno di aver sbagliato i conti e che quel giovane venuto dalla Colombia non si farà riprendere così facilmente ma, ecco, Joaquim Rodriguez, il Purito, scattare con rabbiosa disperazione sul tratto più duro del San Luca, quello delle Orfanelle, il pezzo terribile al 20% che a molti ciclisti, affrontandolo, pare di vederlo quel Santo cui è dedicata la salita. Ed ecco, però, allo stesso tempo, spuntare dalle retrovie un caschetto bianco, il quale proprio non ci sta a farsi surclassare su quelle che furono le sue strade ed infatti, poco a poco, si avvicina allo spagnolo, lo riprende e, con la stessa autorevolezza e fermezza di un tempo mai dimenticato, lo stacca a sua volta. I giovani nel frattempo, tuttavia, sono già scappati e la forza per riacciuffarli non è certamente pari alla volontà di farlo. La corsa finisce così. Sul podio, comunque, ci sale lo stesso. Stremato, sfinito ma, ancora una volta, primo degli italiani. E questo risultato è stato reso indimenticabile dai commenti di un gruppo nutrito di vecchi cicloamatori della zona riunitosi intorno al palco delle premiazioni che, se da un lato ha speso parole di elogio sulle qualità e sulla serietà del ciclista (rigorosamente in un colorito dialetto bolognese!), dall’altro lato non si è risparmiato nell’esprimere la più assoluta amarezza circa la situazione opprimente del nostro ciclismo. Questo vuole sottolineare il fatto che, Rebellin, non è solo o soltanto il primo degli italiani ma resta anche, e soprattutto, il primo nel cuore degli italiani (almeno di quelli che di ciclismo se ne intendono!).

Francesco Gandolfi

COME UN COLPO DI CANNONE

settembre 28, 2011 by Redazione  
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E’ stata, ovviamente, la nazionale del campione del mondo Cavendish la migliore formazione vista domenica scorsa sul circuito danese. Un risultato pieno e con lode, dunque, anche se non paragonabile al successo di squadra che premiò Cipollini nel 2002 a Zolder.

Foto copertina: la gioia dei britannici dopo il traguardo di Rudersdal (foto Bettini)

Gran Bretagna: come l’Italia fu assoluta dominatrice dei Mondiali del 2002 svoltesi a Zolder così la selezione britannica lo è stata di questo Campionato del Mondo di Copenhagen. Tante le analogie con l’edizione che vide vittorioso Mario Cipollini, prima fra tutte il tracciato pressoché interamente pianeggiante. Almeno due sono, tuttavia, le differenze che si possono rilevare. La prima riguarda il numero degli atleti che potettero aiutare Cipollini nella conquista del titolo iridato, ben undici passistoni supportarono magnificamente l’ormai vecchio Re Leone a differenza dei sette su cui ha potuto contare Cavendish. La seconda differenza è direttamente collegata alla prima poiché il minor numero di gregari a disposizione di Cannonball ha fatto sì che la volata finale non sia stata lanciata ma individuale, dal momento che i britannici, al termine di una gara condotta ad alta velocità per 260 km e quasi senza il sostegno delle altre nazionali, non hanno ovviamente avuto le energie per lanciare adeguatamente il loro capitano. E qui è entrata in gioco l’esperienza accumulata dal campione britannico negli anni trascorsi da dominatore assoluto su pista, grazie alla quale ha affinato il colpo d’occhio e la capacità di districarsi anche negli sprint più caotici, come quello del Mondiale di quest’anno. Infatti, proprio come una palla sparata da un cannone, è uscito dalla ruota di Goss e ha conquistato la vittoria, per ora, più importante della carriera. È necessario scrivere “per ora” perché l’anno prossimo si svolgeranno, proprio a casa del britannico, le Olimpiadi, su di un tracciato altrettanto favorevole ai velocisti come quello di Copenhagen. Voto: 10 e lode

Australia: tutta la squadra, e in particolare Clarke (voto: 8 ), è stata a totale disposizione di Matthew Goss (voto: 6) il quale, però, si è lasciato sfuggire l’occasione della vita. Il vincitore della Milano-Sanremo di quest’anno, infatti, ha commesso due errori gravissimi in volata. Il primo è stato quello di non accogersi che alle sue spalle si trovava l’avversario più temibile, cioè Cavendish, il secondo quello di aver lasciato aperto un varco, sulla destra, tra sé e le transenne, spazio che ha saputo sfruttare magistralmente lo sprinter inglese. Una volta superato dal britannico, tuttavia, è stato capace di rimontarlo sin sul traguardo, segno, questo, di freschezza atletica. L’impressione è che il buon Goss fosse il più potente sul traguardo, superiore persino a Cannonball. Quindi si tratta di una maglia iridata sfumata a causa di un errore dilettantesco imperdonabile. Voto: 8

Germania: il punto di forza di questa nazionale era rappresentato dal fatto di poter contare sull’apporto di ben tre velocisti fortissimi: Greipel, Degenkolb e Kittel. Punto di forza che si è trasformato in punto di debolezza quando, a metà gara, una caduta ha messo fuori gioco Martin e Grabsch, due vagoni fondamentali dell’ipotetico treno che avrebbe dovuto formarsi nei momenti conclusivi della corsa. Così Greipel, capitano della squadra tedesca, si è trovato costretto a sprintare senza l’aiuto imprescindibile dei due atleti sopraccitati, dato che Degenkolb e Kittel sono due ottimi velocisti ma non sono evidentemente capaci di svolgere il compito di, rispettivamente, penultimo e ultimo uomo nelle volate. Una medaglia che comunque, al di là degli incidenti di percorso, difficilmente avrebbe potuto essere costituita dal metallo più prezioso. La conquista del bronzo sembra un riconoscimento adeguato per la squadra tedesca. Voto: 8

Italia: “… e qui incominciano le dolenti note…” così scriverebbe Dante se si trovasse nella condizione di dover commentare la gara degli azzurri. Al di là della citazione, comunque, bisogna ammettere che non tutta la spedizione italiana si è comportata in modo deplorevole. Luca Paolini (voto: 8 ), tanto criticato nei vari forum di ciclismo perché accusato di essere stato chiamato in nazionale non per meriti propri ma per l’amicizia che lo lega con il commissario tecnico, tanto per fare un nome, si è comportato splendidamente. Così come hanno corso bene Gavazzi e Visconti (voto al duo: 7), veri e propri agitatori della gara iridata. Il reparto addetto alla più che prevedibile volata finale, invece, è da strigliare nella maniera più assoluta poiché sono stati assolutamente inconsistenti. Così ci siamo ritrovati con il 14º posto di Bennati come miglior piazzamento e l’ennesima magra figura da archiviare in questa annata davvero poco generosa per il ciclismo nostrano. Non credo che si possa rimproverare niente dal punto di vista tecnico al nostro cittì, semmai poteva risparmiarsi le dichiarazioni del dopo corsa. Piuttosto, sono convinto che questo misero risultato fotografi fedelmente lo stato comatoso in cui versa il ciclismo italiano, specie per quanto riguarda la partecipazione alle Classiche, da qualche anno a questa parte. Voto: 4,5

Spagna: grazie all’inserimento di Lastras nella fuga del mattino hanno potuto adottare l’ormai solita tecnica attendista. Così sono arrivati alla volata finale, sprint che ha visto, udite e udite, Freire sbagliare clamorosamente posizione. Si trovava infatti già in seconda posizione quando al traguardo mancavano ancora 800 m. Forse la smania di conquistare il quarto titolo mondiale ha giocato un brutto scherzo allo spagnolo che ha concluso la prova con un anonimo nono posto. Voto: 5

Francia, Olanda: non potendo contare sulla presenza di un forte velocista hanno tentato in tutti i modi di movimentare la corsa. Scatti e controscatti di queste due nazionali hanno contribuito a rendere il percorso un po’ meno noioso. Di questo ne siamo grati. Voto: 7

Belgio: come Francia e Olanda anche questa nazionale ha provato in tutti i modi a rendere dura la corsa per favorire un eventuale attacco del capitano Gilbert che purtroppo ha deluso le aspettative della vigilia. In realtà quel tracciato non ha offerto la possibilità di fare la differenza sperata e così il vallone, nonostante abbia partecipato con convinzione alla volata, si è dovuto accontentare di un posto lontano in classifica. Voto: 5

Norvegia: la caduta di Hushovd non si può solo imputare alla sfortuna ma, piuttosto, ad un errore di distrazione da parte del norvegese il quale, proprio per il fatto di non poter contare sull’aiuto di molti compagni, avrebbe dovuto raddoppiare l’attenzione in corsa, non lasciando mai le prime venti posizioni del gruppo. Invece così non è avvenuto. La palla è così passata al compagno più quotato, Boasson Hagen che però, pur essendo evidentemente in condizione, non è andato al di là di un ottavo posto finale. Voto: 5,5

Svizzera: questa nazionale si identifica totalmente con Cancellara, vero faro della squadra elvetica da ormai parecchio tempo. Le vertiginose velocità raggiunte nel finale, però, hanno impedito anche a un finisseur di razza di poter tentare l’allungo. Tuttavia, non si perde d’animo e si butta nella volata con rabbia e potenza cogliendo un ottimo quarto posto. Si può consolare con il bronzo nella prova a cronometro. Voto: 8

Stati Uniti: aiutano solo in minima parte la Gran Bretagna a tenere cucita la corsa, ma poi Farrar rimbalza indietro sulla rampa al 5-6% che porta all’arrivo. Peccato. Voto: 5

Slovacchia: dopo i numerosi successi raccolti nel finale di stagione, era lecito pensare che il leader indiscusso della squadra, Sagan, fosse considerato uno dei favoriti per il Campionato del Mondo. Forse si è preteso un po’ troppo da questo giovanissimo ragazzo che, seppur talentuoso, deve ancora acquisire il fondo necessario per far sua una Grande Classica. Il tempo non gli manca. Voto: S. V.

Francesco Gandolfi

ITALIA, UN MONDIALE DA OUTSIDER

settembre 24, 2011 by Redazione  
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Come mai era accaduto in tempi recenti, l’Italia prenderà il via nella prova maschile élite di domani con il ruolo di outsider. La facilità del percorso rende più che probabile un finale in volata, in cui il nostro uomo di punta, Daniele Bennati, non partirà tra i principali favoriti. Andiamo ad analizzare la formazione selezionata da Paolo Bettini, che dovrà tentare di sovvertire un pronostico che individua altrove i nomi da battere.

Foto copertina: Daniele Bennati conquista la 20a tappa della Vuelta 2011; è a lui che sono affidate le speranze italiane di titolo mondiale (foto Vuelta a Espana)

Sarà sotto molti un Campionato del Mondo all’insegna delle novità quello che attende la Nazionale di Paolo Bettini. Novità legate in primo luogo agli uomini selezionati, con Modolo, Oss, Viviani e in misura minore Gavazzi e Visconti a dar vita ad un nucleo giovane ma inevitabilmente carente in fatto di esperienza ad altissimi livelli. Inedita anche l’assegnazione del ruolo di leader a Daniele Bennati, anche se l’impressione è che si vada verso un’Italia battagliera con l’aretino quale opzione principale in caso di arrivo in volata, anziché verso una Nazionale sprinter-centrica come fu sei anni fa quella costruita da Franco Ballerini attorno ad Alessandro Petacchi, che costò probabilmente il titolo ad un Bettini straripante, che si trovò però a correre quasi da solo.
Se però i molti mutamenti rispetto alle passate edizioni possono essere ricondotti ad un tracciato insolitamente agevole, che offrirà ai velocisti la più ghiotta occasione da nove anni a questa parte (giustamente; a quando però un Mondiale che strizzi l’occhio agli scalatori?), il cambiamento più significativo risiede probabilmente nel ruolo che l’Italia rivestirà nelle gerarchie della corsa. Mai, nella storia recente della manifestazione, i nostri portacolori si sono trovati a partire così indietro nella griglia dei favoriti. Per la prima volta da molti anni a questa parte (l’indicazione generica di “molti anni” è data dal fatto che è difficile richiamare alla mente dei precedenti), ci presentiamo alla rassegna iridata privi di corridori attualmente competitivi nelle grandi classiche, dopo che, nelle ultime due edizioni, Cunego prima e Pozzato poi avevano provveduto a fornire alla Nazionale delle punte di richiamo anche in assenza di Bettini, malgrado risultati non pienamente soddisfacenti (specie a Mendrisio).
Il lato peggiore della cosa risiede probabilmente nel fatto che questa carenza di campioni non è frutto di un improvviso accesso di follia del C.T., che non ha potuto far altro che reclutare il meno peggio di quanto il ciclismo nostrano ha offerto in una stagione sciagurata a livello di corse di un giorno, dopo una promettente Sanremo con quattro italiani nel gruppetto buono poi regolato da Goss. A complicare il tutto ha poi provveduto lo slancio della Federazione Ciclistica Italiana, che per rilanciare l’immagine del nostro ciclismo non ha trovato nulla di meglio che bandire dalla Nazionale i corridori con trascorsi di doping. Una decisione che, essendo isolata all’interno del panorama internazionale, ha lo 0% di possibilità di segnare un passo importante nella lotta al doping, riuscendo però con straordinaria efficacia ad azzoppare una selezione che già non prometteva esattamente di far rivivere i fasti di Varese 2008, oltre a penalizzare chi, una volta scontata la squalifica – lunga o breve e giusta o sbagliata che sia – avrebbe il diritto di tornare a correre come tutti gli altri. Se le squalifiche sono ritenute troppo brevi, sarebbe più opportuno cambiare i regolamenti, piuttosto che agire di testa propria con ripercussioni ulteriori del tutto arbitrarie. E se quest’anno il piattissimo tracciato danese avrebbe lasciato delle chances, tra gli interessati, al solo Alessandro Petacchi, probabilmente incompatibile con Bennati (e alla Vuelta lo spezzino è parso meno pimpante), assai più pesanti potrebbero essere, fra dodici mesi, le assenze a Valkenburg di corridori quali Scarponi, Basso e Rebellin.
Evitando di dilungarci su quanto risulti ridicolo che a prodigarsi così tanto per dare una certa immagine del ciclismo italiano siano le stesse persone che si prestano a corse aventi per scopo quello della propaganda politica (ogni riferimento al Giro della Padania non è affatto casuale), non possiamo che aggrapparci alla volata dell’uomo Leopard Trek, tornato al successo in un GT dopo tre anni di astinenza proprio all’ultima Vuelta. Certo, la concorrenza, nell’occasione, era quella di Gasparotto e Damiano Caruso, non proprio – con tutto il rispetto – Cipollini e Van Steenbergen, ma l’aretino resta l’unico uomo in rosa apparentemente in grado di tener testa ai big dello sprint.
Lo stesso Bennati ha dichiarato al “Corriere della Sera” di vedere in Daniel Oss l’apripista ideale, lasciando immaginare che anche il corridore della Liquigas verrà mantenuto al coperto fino alle battute conclusive. A far loro compagnia saranno verosimilmente Matteo Tosatto, naturale sostituto del Bruseghin dei trionfi dell’era Ballerini quale uomo di fatica capace di restare in testa per decine di chilometri, e Manuel Quinziato, altro gregario ideale su un tracciato come quello di Copenaghen. Presumibile che venga sacrificato per trainare il plotone anche Luca Paolini, corridore di esperienza e uomo di fiducia di Bettini, che, avendo apparentemente smarrito lo spunto dei giorni migliori (non vince da due anni), potrebbe risultare più utile come gregario puro che non come uomo da fughe.
Quest’ultima veste dovrebbe dunque essere riservata agli altri quattro azzurri, Modolo, Viviani, Gavazzi e Visconti, tutti certamente veloci (soprattutto i primi due), ma altrettanto certamente non abbastanza da poter pensare di imporsi in una volata di gruppo. L’imperativo per questi quattro uomini (e all’occorrenza anche per qualcuno di quelli già citati in precedenza) sarà quello di farsi trovare sempre pronti ad inserirsi in qualsiasi tentativo, provando a scombinare, con una condotta di gara offensiva (e chi meglio di Bettini per organizzarla?), i piani delle nazionali che partiranno con il solo obiettivo di rintuzzare qualsiasi iniziativa (Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania tra le più attrezzate). Intento che a dire il vero, alla luce delle prime prove in linea disputate ieri e stamane, appare piuttosto arduo da realizzare, specie se si tiene presente che le gare delle categorie giovanili tendono spesso a vedere una maggiore selezione rispetto a quelle dei professionisti. È pertanto assai probabile che si vada verso un epilogo a ranghi pressoché compatti, in cui solo con un’azione nelle battute conclusive si potrà pensare di anticipare un plotone che avrà comunque gioco abbastanza facile, transenne permettendo.
Per la prima volta dopo tanti anni, domani ci piazzeremo dunque davanti al teleschermo sperando che i pronostici vengano disattesi. Non senza un pizzico di nostalgia per quelle recenti edizioni in cui in sede di selezione si doveva scegliere se far ruotare la squadra attorno al velocista più forte del pianeta (Petacchi) o al più forte uomo da classiche (Bettini), e si poteva correre privi di un Di Luca o di un Pozzato e restare comunque la formazione da battere. Alle gambe di Bennati e tutti gli altri, che siamo perlomeno certi che non risparmieranno neppure un barlume di energia, l’arduo compito di sovvertire le gerarchie della vigilia.

Matteo Novarini

PROVA ELITE UOMINI: LARGO AI VELOCISTI?

settembre 21, 2011 by Redazione  
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Il tracciato di Copenaghen, il più facile da diversi anni a questa parte, apre le porte del Campionato del Mondo anche a uomini veloci che ben poco avevano avuto da dire nelle ultime edizioni. A complicare la lettura della gara è però lo strappo di 500 metri in vetta al quale sarà posto l’arrivo, che potrebbe tagliar fuori gli sprinter più puri e alterare le gerarchie di una volata canonica. Proviamo ad anticipare quale tipo di corsa e quali protagonisti ci attendono per la gara di domenica.

Foto copertina: Thor Hushovd, Matti Breschel e Allan Davis sul podio dell’edizione 2010 del Campionato del Mondo (foto Luca Bettini)

Se il tracciato di Copenaghen fosse leggermente più selettivo – anche soltanto al livello di quello di Geelong 2010 -, la prova élite maschile di domenica avrebbe un favorito d’obbligo, quel Philippe Gilbert capace di dominare la stagione a livello di gare di un giorno come nessuno era stato in grado di fare nel ciclismo moderno, con la Milano – Sanremo, chiusa al 3° posto dopo aver visto sfumare un paio di tentativi che parevano poter risolvere la corsa, quale principale e quasi unico rimpianto dell’anno. Dopo il 9° posto del Giro delle Fiandre, sconfitta giunta però al termine di una gara interpretata correttamente e con discreto coraggio, il vallone ha infatti inanellato una sfilza di trionfi – dall’Amstel Gold Race a San Sebastian, passando per Freccia Vallone, campionato nazionale in linea e a cronometro, e soprattutto Liegi – Bastogne – Liegi, solo per citare i principali – che, su un circuito più impegnativo, sarebbero sufficienti a fare di lui il faro della corsa, un po’ come il Paolo Bettini dei Mondiali a cavallo della metà dello scorso decennio.
Il percorso danese, il più facile proposto da una gara iridata dai tempi di Zolder 2002, che vide Mario Cipollini regalarsi il più grande trionfo della carriera, spazzando via Robbie McEwen ed Erik Zabel in uno sprint senza storia, complica però i piani del belga, che per coronare il suo magico 2011 con la maglia arcobaleno dovrà tentare di indurire quanto più possibile la corsa, magari sperando in condizioni meteorologiche favorevoli al progetto (cioè sfavorevoli in generale). Anche in quel caso, però, il fuoriclasse di Verviers dovrà inventarsi un’azione a sorpresa, complicata però dal marcamento a uomo che sicuramente subirà da parte di molti altri capitani, o battere uomini come Hushovd, Boasson Hagen e Sagan, che difficilmente molleranno sulle quasi trascurabili difficoltà del circuito, sul loro terreno, approfittando di quei 500 metri finali all’insù che potrebbero però non dispiacere anche al duo norvegese, allo slovacco, e ad altri corridori da tenere assolutamente in considerazione quali Freire, Rojas e Haussler, solo per menzionarne alcuni.
Per provare ad inasprire la gara, Gilbert potrà se non altro contare su una formazione seriamente candidata a fare da punto di riferimento, con uomini quali Van Avermaet, Leukemans e i trionfatori delle pietre Nuyens (vincitore del Fiandre) e Vansummeren (Roubaix) pronti sia a supportare il leader con un lavoro di gregariato vero e proprio, sia ad inserirsi in azioni con le quali provare a scombinare i piani dei velocisti. Fondamentale, per riuscire ad estromettere dalla contesa gli sprinter più puri e fiaccare le gambe a quelli più resistenti alle salite, sarà però il supporto che la formazione belga potrà ricevere da altre compagini con interessi comuni, prive di punte capaci di dire la loro in un arrivo a ranghi più o meno compatti.
È per esempio il caso dell’Olanda, squadra senza un vero leader ma imbottita di outsiders, nessuno dei quali apparentemente in grado di imporsi allo sprint. Se per atleti quali Kruijswijk, Poels e Mollema il tracciato sembra decisamente troppo morbido, gli altri 6 elementi (Ligthart, Weening, Tjallingii, Hoogerland, Boom e Terpstra) potrebbero tutti tentare la fortuna con una corsa d’assalto, sperando che la breve rampa finale nasconda la carenza di spunto veloce da parte di tutti.
Sulla stessa lunghezza d’onda potrebbe essere la Francia, che ha in Romain Feillu un uomo senz’altro veloce, ma probabilmente non abbastanza affidabile da imperniare su di lui l’intera strategia, specie alla luce dell’infortunio patito al recente Giro di Polonia. Più autorevoli paiono le candidature di Sylvain Chavanel e Thomas Voeckler, accanto ai quali si colloca poi una schiera di corridori di medio/medio-alto livello spendibili tanto come gregari quanto come uomini da fughe.
Avranno interesse a condurre una corsa d’attacco anche i padroni di casa, dopo il forfait di Matti Breschel, medaglia d’argento della passata edizione, che sarebbe altrimenti stato leader indiscusso della rappresentativa danese. Né i due Sorensen né Fuglsang, i nomi più altisonanti in squadra, sembrano però uomini da temere, a prescindere dallo sviluppo della gara.
Senza possibilità di successo allo sprint, fra le compagini che possono contare su punte di spessore, la Svizzera, con un Cancellara che avrà probabilmente nell’attacco da finisseur l’unica carta per dare l’assalto al titolo, e il Lussemburgo, squadra da prendere con le molle su tracciati più selettivi, pressoché tagliata fuori su quello ultra-soft di Copenaghen.
Assai più folto appare tuttavia il fronte delle nazionali che tenteranno di tenere cucita la corsa, a cominciare dalla Gran Bretagna di Mark Cavendish, che con un arrivo posto un chilometro prima o un chilometro dopo (leggasi: non in salita) sarebbe stato il favorito numero uno di giornata. L’epilogo in ascesa complica però i progetti di Cannonball, che pure ha già dimostrato in passato di poter dire la sua anche in arrivi di questo genere, se nelle giuste condizioni di forma. È per esempio il caso della frazione di Saint-Fargeau del Tour de France 2009, in cui il breve strappo finale non riuscì ad impedire al britannico di bruciare Hutarovich e Farrar. Anche questi ultimi saranno naturalmente al via, e, se il bielorusso capeggerà un team di appena tre atleti, la compagine a stelle e strisce potrebbe contribuire non poco, come quella britannica, a mantenere compatto il gruppo, forte di una batteria invidiabile di passisti spendibili come uomini di fatica.
Difficile che possano dare un grande contributo alla causa dei velocisti la Norvegia e la Slovacchia, ai cui capitani abbiamo già più volte accennato: con i vichinghi a due punte, solamente due a testa saranno gli uomini sacrificabili per le due squadre (Arvesen e Rasch da una parte, i due Velits dall’altra), che dovranno presumibilmente sperare nel traino di qualche corazzata fino all’ultimo giro.
Formazioni assai più attrezzate per rintuzzare tentativi più o meno da lontano sono senza dubbio la Spagna, già abituata a correre sulle ruote altrui sin da edizioni in cui forse un approccio più propositivo avrebbe giovato, che quest’anno avrà per di più in Rojas e Freire i due elementi più accreditati. Da non escludere però che, pur tenendo un occhio alla soluzione in volata, gli iberici possano far valere la ricchezza della loro rosa, con atleti quali Flecha, Lastras, Luis Leon Sanchez e Barredo che potrebbero facilmente fare da spauracchi se inseriti in fuga, alleggerendo al contempo la squadra dal peso dell’inseguimento.
Quasi solo sulla volata possono contare la Germania, che avrà solo il dilemma della scelta dell’uomo di punta tra i mille sprinter a disposizione (Ciolek, Degenkolb, Kittel, Greipel), e l’Australia, con in particolare Goss e Haussler (ex tedesco) candidati a dire la loro in caso di arrivo in volata (il secondo si lascia probabilmente preferire per caratteristiche, il secondo per i risultati raccolti nel corso della stagione, sia pure prevalentemente nella prima parte). Entrambe le formazioni dispongono inoltre di un pacchetto di passisti di raro spessore (due nomi fra i tanti: Tony Martin da una parte, Michael Rogers dall’altra), fondamentali in appoggio.
La rassegna di quanti tenteranno di mantenere bloccato il Mondiale si completa con la Russia di Denis Galimzyanov, fresco vincitore della Parigi – Bruxelles, e con la Slovenia di Grega Bole, ancora in caccia del salto di qualità al quale è atteso da qualche tempo, che dovrebbe gradire il finale all’insù.
Nel mezzo si colloca l’Italia, che schiera Bennati quale leader per un finale allo sprint, e una discreta batteria di outsiders da spendere in attacchi nell’arco della corsa. Abbiamo però volutamente escluso dall’analisi la selezione di Paolo Bettini, per la quale rimandiamo ad un approfondimento separato. Posto che, come già dodici mesi fa, i tempi in cui la corsa iridata ruotava intorno alla nostra nazionale appaiono piuttosto lontani.

Matteo Novarini

VUELTI NUOVI

settembre 14, 2011 by Redazione  
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Molti i nomi nuovi che si sono espressi ad altissimo livello nella Vuelta appena conclusasi: da Juan José Cobo e Chris Froome, 1° e 2°, capaci di sovvertire gerarchie interne che volevano i gradi di capitano affidati a Menchov e Wiggins, allo sprinter Marcel Kittel, passando per Peter Sagan, grande protagonista con tre successi di tappa. Analizziamo quanto osservato durante l’ultimo GT della stagione, gettando un occhio anche all’ormai imminente Mondiale di Copenaghen.

Foto copertina: Bradley Wiggins e Chris Froome al fianco di Juan José Cobo sul podio finale della Vuelta 2011 (foto Alvaro Astiz Conde)

È stata una Vuelta all’insegna degli outsiders quella che ha salutato a Madrid il terzo successo di tappa di Peter Sagan, ragazzo-prodigio che ora pone addirittura la sua candidatura per il Campionato del Mondo di Copenaghen, forse il grande protagonista della corsa tra coloro che non hanno lottato per la classifica generale.
Outsider era infatti certamente Juan José Cobo, perlomeno in chiave maglia rossa finale. 30enne con al più un 10° posto all’attivo alla Vuelta due stagioni or sono, lo spagnolo avrebbe dovuto rappresentare una preziosa pedina per la rincorsa al terzo trionfo spagnolo di Denis Menchov, leader designato del team Geox. Ancor di più lo era Chris Froome, che come miglior piazzamento in carriera in un GT vantava fino a domenica scorsa un 36° posto al Giro d’Italia del Centenario, e che avrebbe dovuto sacrificarsi per la causa di Bradley Wiggins, sbarcato con ambizioni di vittoria a Benidorm, deciso a vendicare il ritiro all’ultimo Tour de France.
Se però Cobo ha avuto la fortuna di vedere l’uomo di punta della squadra attardato già nella 3a tappa, a causa di un problema alla sella costato a Menchov qualcosa come 1’23’’, sfruttando poi alla grande la possibilità di giocare le proprie carte, non così bene è andata al corridore Sky, costretto ad un lavoro di gregariato anche quando, dopo la cronometro di Salamanca, si è trovato in maglia rossa. Solamente nella tappa dell’Angliru, quando Cobo era ormai lanciato verso il primato, Froome ha avuto il via libera dall’ammiraglia, abbandonando Wiggins al suo destino, e dimostrando una superiorità nei confronti del tre volte olimpionico su pista che già le giornate precedenti avevano lasciato intravedere.
Solamente 13’’ hanno alla fine diviso i due inattesi protagonisti della sfida per la maglia rossa, capaci di eliminare qualsiasi residua concorrenza nello splendido testa a testa di Pena Cabarga. Un margine tanto risicato da lasciare probabilmente un certo amaro in bocca a Froome, a dispetto di un palmares in cui un podio alla Vuelta spicca su ogni altro risultato. Basti pensare ai 27’’ lasciati per strada dal britannico nella tappa di Manzaneda, quando l’allora capoclassifica si sfinì in appoggio a Wiggins. Un amaro in bocca tuttavia non così forte da impedire al nativo di Nairobi di accontentarsi di fatto del piazzamento nell’ultima settimana, non tentando nulla più di un timido scatto sull’Alto del Vivero nella frazione di Bilbao per scalzare dalla vetta un Cobo che, dal canto suo, ha legittimato il successo non soltanto con il successo nella tappa regina, ma anche con l’autorità con la quale ha controllato l’avversario negli ultimi giorni di gara, incollandosi alla ruota di Froome con una marcatura a uomo come non se ne vedevano dai tempi di quella di Claudio Gentile su Diego Armando Maradona nel Mondiale spagnolo.
A fare da contorno alla sfida anglo-spagnola è stata una schiera di comprimari di lusso, ben più blasonati dei duellanti, che hanno perso colpi con il passare dei giorni, facendo cadere uno per volta la propria candidatura al successo finale. Capeggia la fila il già più volte menzionato Wiggins, indirettamente responsabile del mancato trionfo del compagno di squadra (va però detto che nessuno o quasi avrebbe scommesso su Froome vincitore o anche solo più forte del campione nazionale britannico neppure dopo la crono), al quale è mancato qualcosa sia nel fine settimana decisivo, sia negli ultimi chilometri della prova contro il tempo di Salamanca, quando un vistoso calo nel tratto conclusivo gli impedì di mettere da parte un tesoretto più cospicuo, che avrebbe forse indotto il Team Sky a puntare su di lui sino alla fine, e sarebbe magari bastato a resistere agli assalti di Cobo.
Fallita la difesa della maglia rossa, il 4° classificato del Tour 2009 è passato a quella del podio, condotta con successo contro Bauke Mollema, anch’egli apparso per oltre metà Vuelta un serio candidato anche alla prima piazza. Una resistenza resa ad onor del vero piuttosto agevole dalla scarsa combattività dell’olandese, che, dopo aver avvicinato sensibilmente Wiggins staccandolo a Pena Cabarga, non ha di fatto neppure provato a metterlo in difficoltà nel trittico di media montagna di Noja, Bilbao e Vitoria, rinunciando abbastanza incomprensibilmente alle velleità di podio.
Se per i primi quattro classificati il piazzamento raccolto a Madrid rappresenta il migliore in carriera in un GT (perlomeno da un punto di vista numerico; il 4° posto di Wiggins al Tour 2009 vale sicuramente di più sul piano tecnico), è ben lungi dall’esserlo la quinta posizione di Denis Menchov, sul cui risultato pesa però la presenza in squadra di Cobo, che gli ha impedito di mettere a frutto negli ultimi giorni la grande condizione acquisita con il passare delle tappe. Pur distante dai livelli del Giro 2009, il russo, dopo la disdetta del guasto nella 3a tappa, è infatti cresciuto strada facendo, fino all’ottimo terzo posto sull’Angliru (lasciando anche l’impressione di non aver spinto quanto avrebbe potuto, causa Cobo al comando), smentendo almeno in parte quanti già lo vedevano in declino, complice la prova non esaltante dell’ultima Corsa Rosa.
Nella seconda metà della top 10 spiccano decisamente, dietro un Maxime Monfort clamorosamente anonimo ma altrettanto clamorosamente regolare, i nomi di Vincenzo Nibali e Jurgen Van den Broeck, entrambi partiti con ambizioni di vittoria, entrambi senz’altro delusi dai rispettivi 7° e 8° posto. Disappunto accresciuto, nel caso del belga, dal ritiro all’ultimo Tour de France, dove le avvisaglie della prima settimana avevano lasciato intravedere una gamba forse addirittura migliore di quella del 2010, quando il leader Omega Pharma fu 5°. Ad aggravare la controprestazione del siciliano è invece il suo status di campione uscente, che è peraltro per diversi giorni parso in grado di riconfermare. Anzi, alla vigilia del fine settimana più duro, quello di La Farrapona e dell’Angliru, erano in molti ad individuare proprio nel nostro portacolori il principale indiziato per la conquista della maglia rossa. Una difficilmente spiegabile e drastica flessione lo ha però estromesso dai giochi, complice probabilmente una certa demoralizzazione, che ha fatto sì che l’uomo Liquigas neppure provasse in seguito a sopperire alla condizione deficitaria con qualche invenzione tattica, malgrado un terreno abbastanza favorevole.
Completano i primi dieci Daniel Moreno, andato in calando nell’arco delle tre settimane, ma che ha impreziosito la sua Vuelta con il successo di Sierra Nevada, e Mikel Nieve, divenuto in corsa capitano della Euskaltel dopo la prematura débacle di Igor Anton.
Proprio il basco, pur essendo riuscito a dare un senso alla propria partecipazione con il successo di Bilbao dinanzi ad una marea arancione, capeggia probabilmente la lista di quanti, partiti con grandi ambizioni, sono alla fine addirittura usciti di classifica. Dal 1° posto pre-ritiro del 2010 al 33° posto con oltre 51’ di distacco del 2011: non esattamente un salto di qualità quello del leader Euskaltel, a meno che con l’espressione non si intenda un volo a piombo in un baratro di ritardi e crisi, inaugurato già sulla non certo letale ascesa di Sierra Nevada, il quarto giorno. Segue in scia Joaquim Rodriguez, che ha però fatto almeno in tempo a conquistare due traguardi di tappa e a vestire le insegne del primato, prima di cedere alla distanza come già gli accadde – con proporzioni assai più contenute – dodici mesi fa.
Addirittura ritirato Michele Scarponi, dopo aver illuso con il secondo posto di El Escorial, confermando le difficoltà dei corridori usciti dal Giro d’Italia (con lui Nibali, Anton, Rodriguez, Menchov). Ennesimo fallimento per la solita Radioshack a più punte, con Brajkovic 22°, Zubeldia 25°, Machado 32° e Kloden neppure giunto a Madrid.
Non soltanto la classifica generale ha però tenuto banco durante le tre settimane di gara spagnole, soprattutto in virtù delle appena due settimane che separano la conclusione dell’ultimo GT stagionale dalla prova iridata di Copenaghen. Benché molti fossero i papabili campioni del mondo assenti (da Philippe Gilbert a Thor Hushovd, passando per Boasson Hagen, Rojas e tanti altri), altrettanti sono i corridori che hanno scelto di testare la gamba sui tracciati molto vari proposti da un percorso che ha avuto proprio in questo aspetto il suo punto di forza (a fronte di altri assai meno convincenti, per i quali rimandiamo all’ultima parte dell’analisi).
È ad esempio il caso di Peter Sagan, forse il grande trionfatore della corsa dopo Cobo, capace di imporsi in tre frazioni tra loro estremamente differenti: a Totana, grazie allo splendido attacco di squadra della Liquigas in discesa; a Pontevedra, in un finale lievemente in salita vagamente simile a quello del Mondiale; a Madrid, in una volata di gruppo, pur priva di molti grandi nomi. La principale incognita relativa alla candidatura al titolo di Sagan è quella legata alla sua resistenza al chilometraggio di un Campionato del Mondo, ad oggi tutta da verificare. Dovesse reggere, sarebbe probabilmente lui il più temibile tra gli atleti visti in gara alla Vuelta, complice la breve ascesa d’arrivo che in Danimarca potrebbe tagliar fuori dai giochi gli sprinter più puri (Kittel, vincitore a Talavera de la Reina, è stato forse il migliore in Spagna).
Si è regalato un successo parziale – il primo dopo tre anni in un GT – anche il capitano della spedizione guidata da Paolo Bettini, Daniele Bennati, sia pure in una frazione dallo svolgimento assai particolare come quella di Vitoria, così come Francesco Gavazzi, che ha visto premiata la sua lunga fuga a Noja. L’aretino non è tuttavia apparso all’altezza dei migliori, sfiorando il successo in sprint a ranghi compatti solamente a Madrid, ma piegandosi ad un Sagan che dovrebbe trarre beneficio assai più del nostro portacolori dalla rampa finale del tracciato iridato (e il discorso vale anche sostituendo a Sagan uno tra Hushovd, Boasson Hagen, Rojas e altri).
Dovesse uscire un Mondiale più selettivo del previsto (molto più selettivo, a dire il vero, visto che le previsioni in tal senso sono di una corsa destinata a risolversi in una volata non particolarmente ristretta), si sono segnalati anche outsider quali Daniel Martin, capitano della nazionale irlandese, e il sorprendente Wouter Poels, una delle tante pedine spendibili da una rappresentativa olandese priva di un autentico leader, che avrebbe fatto più paura su un tracciato più impegnativo. Non è stata invece una sorpresa la netta affermazione di Tony Martin nell’unica crono individuale della corsa, che ha solamente rafforzato una candidatura al titolo di anti-Cancellara che già da tempo appariva come l’unica credibile.
Provando a tracciare un bilancio della Vuelta 2011, l’incertezza che ha regnato sino all’ultimo giorno ha rappresentato forse l’unica nota davvero lieta, posto che l’equilibrio dovrebbe a nostro giudizio essere una piacevole sorpresa e non il frutto di tappe di montagna con non più di due ascese significative, mediamente corte, e con salite finali quasi sempre pedalabili e rivelatesi meno selettive del previsto. Incertezza che purtroppo non si è tradotta nel grande spettacolo che ci si aspetterebbe nella terza settimana di un GT nel quale i primi due della generale sono divisi da 13’’, a causa di un tracciato andato in calando nel finale, e coronato da un’ultima frazione di montagna disegnata in maniera dissennata, con 46 km di discesa (poca) e pianura (moltissima) sapientemente piazzate a scoraggiare qualsiasi genere di iniziativa. Da censurare poi pecche organizzative quali il traguardo volante spostato a tappa in corso il penultimo giorno o la rotonda che ha falsato il finale di Haro.
Non può poi non pesare sul giudizio l’assenza dei primi uomini da corse a tappe al mondo; basti pensare che i primi undici dell’ultimo Tour de France non hanno neppure preso il via, e che per trovare un atleta piazzato alla Grande Boucle che abbia tentato di curare la classifica alla Vuelta si deve scendere al 16° posto di Haimar Zubeldia (Taaramae, 12°, ha infatti puntato solamente ad un successo di tappa, cogliendolo a La Farrapona). Certo, il dato è mitigato dalla presenza di due atleti di spicco, Wiggins e Van den Broeck, ritiratisi dal Tour, e di altri che in Francia neppure erano partiti (Nibali, Scarponi, Rodriguez, Anton), questi ultimi però ben distanti dal loro potenziale. Se a ciò si aggiunge la mancata partecipazione di molti dei principali sprinter (Cavendish e Greipel su tutti) e uomini da tappe (Gilbert, Hushovd, Boasson Hagen), ecco che il quadro di un GT in tono piuttosto dimesso si fa chiaro.
Potrebbero in tal senso giovare, in ottica 2012, i Giochi Olimpici di Londra, che, per la loro collocazione in calendario a fine luglio, dovrebbero scoraggiare molti corridori di primo piano dal partecipare al Tour de France, lasciando immaginare che possano quindi prendere il via il mese successivo alla Vuelta (anche se il tracciato assai morbido della prova a cinque cerchi potrebbe rendere il fenomeno più limitato di quanto non si pensasse fino a qualche mese fa). Il tutto unito alla già annunciata partecipazione di Alberto Contador, che dovrebbe già fornire alla prossima edizione – tribunali permettendo – il nome del principale favorito.

Matteo Novarini

UNA VUELTA (QUASI) SENZA SAPORE

settembre 14, 2011 by Redazione  
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Il terzo Grande Giro della stagione si conclude con la vittoria di una seconda linea, Cobo Acebo. Un’edizione per lo più snobbata dai grandi atleti da corse a tappe ma caratterizzata ugualmente da un buon livello tecnico dei partecipanti. La corsa spagnola è stata infatti scelta, come di consuetudine da qualche anno a questa parte, da molti campioni che puntano alla maglia iridata, da Freire a Cancellara, da Sagan a Cavendish. Ennesima delusione stagionale per l’Italia che alla vigilia della gara sperava in un bis di Vincenzo Nibali il quale, però, si è dovuto accontentare di un mesto settimo posto in classifica generale.

Foto copertina: è Froome il corridore “promosso” nelle pagelle della Vuelta 2011 targate 2011 (www.teamsky.it)

Juan Josè Cobo Acebo: chi avesse puntato anche un solo euro sulla vittoria di questo atleta alla vigilia della Vuelta, adesso si vedrebbe ricompensato con una bella somma di quattrini. Effettivamente si sta parlando di un onesto corridore facente parte di quei ciclisti che, per capirci, sono soliti tentare la fuga nelle tappe di media montagna dei Grandi Giri o che nelle grandi classiche del Nord riescono con fatica ad entrare nei primi dieci classificati. Ebbene, si stenta a crederlo, ma questo trentenne quasi sconosciuto (il suo unico successo di un qualche rilievo è la vittoria finale del Giro dei Paesi Baschi) è riuscito, grazie ad una scalata all’Angliru prodigiosa, a dare un peso al suo fin qui inconsistente palmarès. Bravo Cobo che ha saputo cogliere l’attimo, aspettiamo però un confronto vero con i grandi corridori da corse a tappe per giustificare il passaggio da carneade a campione. Voto: 8

Chris Froome: ancor più sconosciuto di Cobo è questo giovane ragazzo anglo-keniota che, è il caso di dirlo, ha scelto il posto sbagliato ed il momento sbagliato per salire alla ribalta. Costretto ad un lavoro di gregariato di bassa lega tanto stupido quanto faticoso (direttore della Sky, voto: 2) non è riuscito a recuperare da questi sforzi nel momento in cui è stato eletto capitano della squadra, cioè dopo la débâcle di capitan Wiggins sull’ Angliru. Per colpa di un grave errore tattico questa promessa del ciclismo ha dovuto rimandare l’appuntamento con il successo in una grande corsa a tappe. Dato il fisico e le caratteristiche tecniche potrebbe ottenere un ottimo risultato anche a partire dal prossimo Tour de France. Voto: 9

Bradley Wiggins: vuole a tutti costi ottenere il successo in una grande corsa a tappe, questo è diventato il suo sogno, la sua ossessione, il suo tormento. Per raggiungere questo obiettivo è disposto a tutto, anche a sacrificare il suo gregario di fiducia, Chris Froome, palesemente più forte dell’olimpionico sia a cronometro che in salita. La brutta caduta patita al Tour de France avrà in qualche maniera influito sul risultato finale ma credo davvero che Wiggins, per quanto riguarda le gare a tappe, risulterà sempre più piazzato che non vincente. La sua impeccabile posizione a cronometro non riesce a compensare quelli che sono i suoi limiti in salita e per questo troverà sul suo cammino sempre atleti più forti di lui, come insegna anche questa edizione della Vuelta. Voto: 6

Vincenzo Nibali: tutte le speranze dell’Italia erano riposte in questo atleta, attualmente il più talentuoso e promettente ciclista da corse a tappe italiano. Tali sono rimaste, in quanto mano a mano che le tappe passavano e le salite si facevano più arcigne, Vincenzo non è stato capace di reggere il ritmo dei migliori. Malgrado le mancanze non si può, tuttavia, dimenticare che questa Vuelta rappresentava il secondo grande obiettivo stagionale del siciliano e che, obiettivamente, preparare due grandi corse a tappe nello stesso anno non è cosa da tutti. Al Giro d’Italia, infatti, ha concluso terzo in classifica generale e, probabilmente, queste fatiche si sono fatte sentire nel corso della Vuelta. Voto: 5

Joaquim Rodriguez: conquista due splendide vittorie di tappa, quelle a lui più congeniali, quelle che finiscono su degli strappi durissimi. Purtroppo, come sempre, patisce le salite lunghe, senza poi parlare delle cronometro. C’è chi nasce atleta da gare a tappe, lui ha dimostrato di non possedere queste caratteristiche. Voto: 6,5.

Denis Menchov: si potrà consolare con la vittoria del compagno di squadra Cobo, anche se dal russo ci si aspettava molto di più. La sua regolarità non l’ha premiato nell’arco di questa stagione e anche questa Vuelta ha dimostrato che bisogna avere più coraggio se si vuole ottenere qualcosa, anche a costo di saltare. Sull’ Angliru è bravo a rubare gli otto secondi di abbuono a Froome, secondi che risulteranno determinanti per la vittoria del compagno. Voto: 5,5

Carlos Sastre: la sua parabola discendente è iniziata ormai da tempo, gli è rimasto l’istinto dell’attaccante ma nulla più, come dimostra nella tappa dell’Angliru. Voto: 4

Andreas Kloeden, Janez Brajkovic: i due capitani della RadioShack ci permettono di riaprire la nostra ormai nota rubrica “Chi l’ha visto?” (questa volta al plurale, però). Davvero inesistenti. Voto: 2

Peter Sagan: Le sue volate sono come delle rasoiate, in particolare se l’arrivo è posto su uno strappo e anche la sua tenuta sulla distanza è eccellente. Fa incetta di vittorie in questa Vuelta 2011, un vero collezionista di tappe. Ai prossimi Campionati del Mondo bisognerà marcarlo stretto, anzi strettissimo. Voto: 9

Daniele Bennati: l’aretino che guiderà la nazionale italiana ai prossimi Mondiali suona la carica e vince una bella tappa in questa Vuelta 2011, dimostrando che la condizione c’è ed è in crescita. Al di là delle critiche resta uno dei nostri atleti più forti quando le gare superano i 250 km e presentano un percorso mosso ma non troppo duro come quello di Copenhagen. Sono certo che se si arrivasse allo sprint sarebbe in grado di giocarsela alla pari con i più forti al Mondo. Voto: 8

Oscar Freire, Mark Cavendish: il gatto e la volpe del ciclismo mondiale si ritirano dopo poche tappe per preparare al meglio l’appuntamento con Copenhagen. Solo la strada ci dirà se questi ritiri programmati hanno giovato ai due atleti o se, forse, avrebbero fatto meglio ad onorare maggiormente questa corsa, proseguendo per qualche tappa ancora. Voto: S. V.

Michele Scarponi: apparso pimpante sui primi arrivi in salita, col proseguire delle tappe si è sciolto come neve al sole. Vale il discorso fatto per Nibali, in quanto anche Michele era al secondo appuntamento stagionale con una grande corsa a tappe. Evidentemente due gare così impegnative sono troppe anche per lui. Voto: 4

Francesco Gandolfi

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