NESSUN DORMA, SOTTO LE MURA DI LUCCA VINCERANNNNN!!!

All’orizzonte del Giro c’è un altro arrivo in volata, il terzo consecutivo. Stavolta il gruppo che arriverà a giocarsi la tappa dovrebbe essere più nutrito perché l’ultima salita dovrà essere scavalcata quando al traguardo mancheranno 20 Km, mentre le fasi più complicate dovranno essere affrontate nella prima parte del tracciato. A far da colonna sonora alla giornata, infine, saranno le sublimi note delle opere pucciniane nel 100° anniversario della scomparsa del compositore lucchese.

Un’edizione del Giro d’Italia è un vero e proprio caleidoscopio di ricordi. In ogni tappa c’è sempre qualcosa da rammentare, un precedente arrivo della Corsa Rosa, le gesta di un grande campione che abitava nelle zone attraversate oppure quelle di uomini che nulla hanno a che vedere con il mondo dello sport ma che hanno reso celebre il nome dell’Italia nel mondo. È il caso della tappa odierna con arrivo a Lucca, fortemente voluta dalle autorità locali perché quest’anno cadrà il centesimo anniversario della morte di Giacomo Puccini e così oggi le note delle immortali arie del compositore toscano – dal “Nessun dorma” a “E lucean le stelle”, da “O mio babbino caro” a “Un bel dì, vedremo” – faranno da colonna sonora all’attesa dello sprint finale. Quello di Lucca sarà, infatti, il terzo arrivo in volata consecutivo, una vera e propria rarità perché da diversi anni si sta puntando, per non annoiare gli spettatori, a un’alternanza delle tipologie di tappe e già trovare due frazioni di fila riservate ai velocisti sta diventando sempre più eccezionale. L’ultima volta che la Corsa Rosa ha inserito nel tracciato tre occasioni consecutive destinate allo sprint è successo nel 2017 e ancor prima nel 2014, nel 2014, nel 2004 e nel 2003 (quando addirittura le prime cinque dell’edizione vinta da Garzelli terminarono con un volatone). Rispetto alle due precedenti frazioni di Fossano e Andora quella lucchese dovrebbe la prima ad aprire le porte del traguardo a quegli sprinter che soffrono le difficoltà altimetriche piazzata a ridosso dei finali, nonostante la tappa presenti un numero maggiore di metri di dislivello da superare. La fase più complicata coinciderà, però, con gli 80 Km iniziali, seguiti da un vero e proprio mare di pianura, che s’interromperà solo per la facile ascesa al Montemagno, da scavalcare a 20 Km dal traguardo, un paio in più rispetto alla distanza che separava la cima di questa stessa salita (scalata, però, dall’ancor più pedalabile versante opposto) dalla linea d’arrivo di Viareggio al Giro dello scorso anno. In quell’occasione i velocisti si videro soffiare la possibilità di giocarsi la vittoria per una cinquantina di secondi, ma va anche detto che la tappa presentava un percorso più complicato nella prima parte e per giunta fu disputata sotto il diluvio, nelle stesse ore nelle quali si stava consumando il dramma dell’alluvione nella vicina Romagna.
Sull’onda dei ricordi avverrà anche la partenza da Genova, con la bandierina del via che sarà sventolata presso lo storico scoglio di Quarto, luogo dal quale la notte del 5 maggio 1860 iniziò la Spedizione dei Mille. Le difficoltà che caratterizzano il tratto iniziale non cominceranno subito poiché la vera salita inizierà a una dozzina di chilometri dal via, una volta attraversata Recco, patria della versione più conosciuta della focaccia ligure, quella farcita con lo stracchino, formaggio che nel corso dei decenni ha preso il posto dell’originaria e tradizionale prescinsêua, denotata da un sapore decisamente acido che non incontrava i palati di tutti. Poco più di 4 Km più in alto si scollinerà il piccolo valico della Ruta (la pendenza media è del 6.8%), scavalcando alle spalle il promontorio di Portofino, celebre non solo per l’omonima località turistica ma anche per la millenaria Abbazia di San Fruttuoso e per il Cristo degli Abissi, statua collocata nel 1954 poco meno di 20 metri sotto il livello del mare. Scesi a Rapallo subito si riprenderà a salire per affrontare due brevi ascese consecutive, quella di Castellaro (800 metri al 5%) e quella di 3.1 Km al 5% che termina presso il piccolo santuario della Nostra Signora delle Grazie, innalzato attorno al 1430 in una posizione che consentisse di vederlo dal mare (e non a caso è ricco di ex voto qui lasciati dai marinai). Il mare, ora i “girini” torneranno a vederlo da vicino poiché una volta scesi a Chiavari inizierà un tratto completamente pianeggiante di circa 11 Km, quasi interamente disegnato in riva al Mar Ligure, fase nella quale la corsa toccherà la celebre località balneare di Lavagna, il cui nome richiama immediatamete alla memoria le cave dell’entroterra dalle quali si estrae l’ardesia, roccia utilizzata sia per scopi artistici, sia per altri meno “nobili” come la produzione di tegole e, per l’appunto, lavagne. Quest’anticipo della pianura che regnerà sovrana nella seconda parte di questa tappa si concluderà con il passaggio da Sestri Levante, altra nota meta vacanziera affacciata sulle baie dette “del Silenzio” e “delle Favole”, toponimo quest’ultimo coniato dallo scrittore danese Hans Christian Andersen, uno che di favole se ne intendeva essendo il padre artistico della Principessa sul pisello, della Sirenetta, del Brutto Anatroccolo e della Piccola Fiammiferaia. È arrivato il momento di superare l’ostacolo più impegnativo di questa tappa per raggiungere i 610 metri del Passo del Bracco, valico che è nella storia del Giro non in virtù di particolari imprese – rese impossibili dalla facilità dell’ascesa – ma per esser uno dei più toccati dalla Corsa Rosa tra quelli appenninici proprio grazie alla sua collocazione lungo il tracciato della Via Aurelia, del quale rappresenta la “Cima Coppi”. L’ultima volta vi si è saliti nel 2023, la prima nel 1909 (l’anno della prima edizione del Giro) e in entrambe le occasioni si percorse in discesa il versante più lungo, quello che si affronterà in salita quest’anno, 15.3 Km al 3.9% e uno svolgimento a “corrente alternata” perché lungo l’ascesa si alternano tratti più ostici (come i 4600 metri iniziali al 7%) ad altri quasi del tutto privi di pendenza, come nel corso dei 4 Km che precedono lo scollinamento. Una volta percorsa la successiva discesa ci sarà ancora un tratto in salita da superare prima di lasciarsi alle spalle l’intricata fase iniziale, un dentello mica male perché presentano una pendenza media dell’8% i 1400 metri che conducono al Valico del Termine, in cima a quale una piccola cappella costituisce il biglietto da visita del vicino Santuario di Nostra Signora di Roverano, innalzato sul luogo dove la Madonna sarebbe apparsa a due pastorelle, una delle quale era muta dalla nascita e cominciò a parlare proprio dal quel momento. Scesi a Borghetto di Vara – presso il quale si trova l’antica abbazia di Santa Maria Assunta dell’Accola, fondata in epoca longobarda da monaci benedettini provenienti dal monastero emiliano di Bobbio – inizierà il secondo e più consistente dei tre tratti pianeggianti odierni, lungo ben 75 Km. Il primo tratto da percorrere sul velluto si snoderà sulle strade della valle del fiume Vara, che si seguirà in direzione della sua foce nel fiume Magra. Giunti a Ceparana, centro d’origine dell’ex corridore Massimo Podenzana (fu campione italiano per due anni consecutivi e nel 1988 vestì per nove giorni la maglia rosa), il gruppo cambierà direzione per sconfinare temporaneamente in Toscana, dove si supererà il corso del Magra sul nuovo Ponte di Caprigliola, inaugurato il 30 aprile del 2022 dopo che il precedente era improvvisamente crollato l’8 aprile del 2020 per cause ancora ignote e fortunatamente senza provocare vittime essendo in quel periodo il traffico molto ridotto a causa del lockdown imposto un mese prima per arginare la pandemia da Covid-19. Si rientrerà sul suolo ligure poco prima di giungere a Sarzana, presso la quale troneggia la Fortezza Firmafede, vera e proprio cittadella fortificata realizzata su iniziativa di Lorenzo de’ Medici, che in precedenza aveva distrutto quella preesistente durante la Guerra di Serrezzana. Ritrovato il tracciato dell’Aurelia, dal quale ci si era allontanati una volta terminata la discesa dal Bracco, prima di lasciare definitivamente la Liguria si attraverserà la Lunigiana, la porzione orientale della provincia della Spezia che deve il nome all’antica colonia romana di Luni, la cui area archeologica si trova a poca distante dal percorso: per gli appassionati di ciclismo, però, questa zona è principalmente nota per la sua omonima corsa a tappe, una delle principali tra quelle destinate alla categoria juniores, gara che ha proiettato verso il dilettantismo prima e il professionismo poi corridori del calibro di Gilberto Simoni, Damiano Cunego, Vincenzo Nibali, Tao Geoghegan Hart e Remco Evenepoel. Si tornerà in Toscana all’altezza di Avenza, frazione situata quasi a metà strada tra la Marina di Carrara e la città delle celebri cave di marmo, sfruttate sin dall’età del ferro ma il cui utilizzo in maniera più organizzata iniziò in epoca romana, quando era imperatore Giulio Cesare. Se Carrara sarà lasciata ai margini dal tracciato di gara, direttamente si punterà sulla vicina Massa, altro centro che deve la sua fama e la bellezza dei suoi monumenti al pregiato marmo delle Alpi Apuane. Correndo parallela al litorale apuano, la Via Aurelia si farà ora rettilinea in direzione di Pietrasanta, nel cui bel centro storico medioevale spiccano parecchie sculture opera d’artisti attuali e tra queste spicca “Il guerriero” del colombiano Fernando Botero, recentemente scomparso, che dal 1983 aveva individuato questo comune quale sua residenza italiana proprio in virtù della vicinanza alle cave carraresi. Quando mancheranno una trentina di chilometri all’arrivo si cambierà improvvisamente direzione di marcia per allontanarsi dalla pianura apuana e indirizzarsi verso Camaiore, altra località nota agli appassionati di ciclismo per il suo Gran Premio ciclistico, corsa professionistica nata nel 1949 e disputata l’ultima volta nel 2014 poiché dall’anno successivo il comune, senza venir meno alla sua vocazione, ha preferito destinare i fondi che servivano per allestirla all’organizzazione della tappa d’apertura della Tirreno-Adriatico. Proprio all’uscita da Camaiore si dovrà affrontare una delle storiche salite del Gran Premio, il Colle di Montemagno, in cui 2.8 Km al 4.4% in epoca medioevale costituivano un duro ostacolo da superare per i pellegrini perché da questo luogo transitava la storica Via Francigena in direzione di Lucca. Costituirà anche l’ultima difficoltà odierna per i “girini”, che attraversando in dolce discesa la Val Freddana avranno ancora parecchia strada per organizzare gli ultimi preparativi al ricongiungimento con il gruppetto dei fuggitivi di giornata e cominciare a tessere le fila dell’imminente arrivo in volata, il primo (forse) a gruppo più o meno compatto.

Mauro Facoltosi

Le mura di Lucca e l’altimetria della quinta tappa (lucca.guidatoscana.it)

Le mura di Lucca e l’altimetria della quinta tappa (lucca.guidatoscana.it)

Le mura di Lucca e l’altimetria della quinta tappa (lucca.guidatoscana.it)

I VALICHI DELLA TAPPA

Valico di Ruta (tunnel – 254 metri). Quotato 269 sulle cartine del Giro 2024, è valicato in galleria dalla Strada Statale 1 “Via Aurelia” tra Recco e Rapallo. Il valico geografico è la Sella di Ruta (278 metri), situata sulla displuviale che divide i due versanti del promontorio di Portofino. Il Giro l’ha scalato fin dalla prima edizione (1909, tappa Firenze – Genova, vinta da Giovanni Rossignoli), mentre l’ultimo passaggio risale al 2015 (tappa Rapallo – Sestri Levante, vinta da Michael Matthews). Solo in due occasioni è stato considerato valido per la classifica del GPM: a imporsi lassù sono stati il portoghese Acacio Da Silva nel 1991 (Sala Baganza – Savona, 1° Maximilian Sciandri) e l’abruzzese Germano Pierdomenico l’anno successivo (Genova – Uliveto Terme, 1° Endrio Leoni).

Sella di San Lorenzo (192 metri). Coincide con la località di San Lorenzo della Costa, attraversata dalla Strada Statale 1 “Via Aurelia” nel corso della discesa dalla Ruta verso Rapallo.

Selletta di Macallè (181 metri), Sella di Ca’ Bianca (293 metri), Passo d’Angio (340 metri), Passo del Baracchino, Sella di Bracco (416 metri), Valico di Cà Marcone, Sella di Pian del Lupo (512 metri). Valicate dalla Strada Statale 1 “Via Aurelia” nel corso della salita che da Sestri Levante conduce al Passo del Bracco.

Passo del Bracco (610 metri). Valicato dalla Strada Statale 1 “Via Aurelia” tra Sestri Levante e Carrodano, secondo i geologi non è un vero e proprio valico geografico, ma semplicemente il punto più alto toccato dall’Aurelia. Dal 1933, anno dell’istituzione della classifica dei Gran Premi della Montagna, il Giro vi è transitato ventuno volte e in questo numero non sono ovviamente compresi i frequenti passaggi avvenuti nelle edizioni precedenti. Tra i corridori che hanno conquistato questa salita ricordiamo il due volte vincitore del Giro Giovanni Valetti nel 1938 (l’anno del primo GPM sul Bracco), il fratello del “Campionissimo” Serse Coppi (1946 e 1950), il celebre scalatore spagnolo Federico Bahamontes (1958) e l’eterno secondo Italo Zilioli (1976), mentre l’ultimo in ordine di tempo è stato lo spagnolo Diego Pablo Sevilla durante la Camaiore – Tortona dello scorso anno, vinta dal tedesco Pascal Ackermann. Nel 2011 il GPM del Bracco, inserito nelle fasi iniziali della tappa Quarto dei Mille – Livorno, fu annullato a seguito della decisione di disputare la tappa senza velleità agonistiche in memoria di Wouter Weylandt, deceduto il giorno precedente. Infine, in altre due successive occasioni la salita è stata affrontata in maniera parziale, senza arrivare fino al passo: nel 2012 salendo da Levanto al Valico Guaitarola per poi raggiungere in quota il “bivio della Baracca” (tappa Seravezza – Sestri Levante, vinta dal danese Lars Bak), nel 2015 salendo da Carrodano fino al bivio per Levanto nel corso della Chiavari – La Spezia vinta dal veneto Davide Formolo.

Valico del Bivio della Baracca (589 metri). Valicato dalla Strada Statale 1 “Via Aurelia” lungo la discesa dal Passo del Bracco a Carrodano. Coincide con il bivio, in località “La Baracca”, dove si stacca la strada che scende verso Levanto.

Valico del Termine (264 metri). Valicato dalla Strada Statale 1 “Via Aurelia” tra Borghetto di Vara e Carrodano Inferiore. Trovandosi sulla strada per il Passo del Bracco inevitabilmente il Giro d’Italia vi è transitato spesso, ma questa salita non è stata mai considerata come GPM. L’ultimo passaggio risale allo scorso anno, durante la citata tappa di Tortona.

Colle di Montemagno (224 metri). Quotato 212 metri sulle cartine del Giro 2024, è valicato dalla Strada Provinciale 1 “Francigena” tra Camaiore e Monsagrati. Mai proposto come GPM alla Corsa Rosa, è stato affrontato l’ultima volta al Giro dello scorso anno, nel finale della Scandiano – Viareggio, vinta dal danese Magnus Cort Nielsen. Alla Tirreno-Adriatico, che l’ha inserito spesso nel tracciato nelle ultime edizioni, è stato considerato valido come GPM solamente nel 2018, affrontato nei chilometri iniziali della tappa Camaiore – Follonica, vinta dal tedesco Marcel Kittel dopo che sul Montemagno era scollinato per primo il valtellinese Nicola Bagioli.
Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Piazza del Duomo a Pietrasanta è ritenuta une delle più belle della Toscana e non poteva così non finire sotto l’occhio della macchina da presa. Succede nell’estate del 1998 quando Giorgio Panariello vi girò parecchie scene di “Bagnomaria”, film che uscirà nel febbraio dell’anno successivo. Sarà il primo film diretto dal popolare comico toscano, che oltre ad esserne regista, di questa pellicola sarà anche autore del soggetto e sceneggiatore, oltre che – ovviamente – attore. E in quest’ultimo ruolo si farà addirittura in quattro perché Panariello interpreterà ben 4 personaggi, i più noti dei quali sono il bagnino Mario e il ciclista Merigo, che il pubblico aveva imparato a conoscere negli anni precedenti grazie alla partecipazione dell’attore in diversi programmi RAI, condotti dall’amico e conterraneo Carlo Conti. Tornado a “Bagnomaria”, le riprese non vedranno coinvolta solo Pietrasanta ma anche la vicina e omonima Marina e Forte dei Marmi, mentre alcuni “ciak” furono battuti nel delizioso borgo di Montecarlo, che gli appassionati di ciclismo conoscono perché da diversi anni è divenuto il “buen retiro” del due volte vincitore della Liegi (e ci fermiamo qui perché la lista è lunga) Michele Bartoli.

In collaborazione con www.davinotti.com

Piazza del Duomo a Pietrasanta nel film “Bagnomaria” (www.davinotti.com)

Piazza del Duomo a Pietrasanta nel film “Bagnomaria” (www.davinotti.com)


Piazza del Duomo a Pietrasanta nel film “Bagnomaria” (www.davinotti.com)

Le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/bagnomaria/50003806

FOTOGALLERY

Genova, lo scoglio di Quarto dei Mille

La galleria allo scollinamento del Valico della Ruta

Camogli, Abbazia di San Fruttuoso

Chiavari vista dal Santuario di Nostra Signora delle Grazie

Sestri Levante, Baia del Silenzio

Passo del Bracco

Borghetto di Vara, Abbazia di Santa Maria Assunta dell’Accola

Sarzana, Fortezza Firmafede

Luni, anfiteatro romano

Le celebre cave di Marmo di Carrara

Massa, la porta d’accesso al Pomerio Ducale, realizzata con il marmo scavato nelle vicine cave di Carrara

Pietrasanta, “Il guerriero” di Fernando Botero

Pietrasanta, Piazza Duomo

MELE ALLA RISCOSSA

Dopo la salita di Fossano ecco pararsi all’orizzonte un altro scoglio contro il quale potrebbero naufragare le speranze di vittoria di qualche velocisti. A pochi passi dal traguardo di Andora si dovrà inevitabilmente scontrarsi con Capo Mele e così vicino alla linea d’arrivo potrebbe ancora rappresentare un ostacolo insormontabile per gli sprinter meno in forma.

C’erano una volta i mitici tre capi della Milano – Sanremo: Capo Mele, Capo Cervo e Capo Berta. Ci sono ancora oggi ma non sono più quelli di una volta, quelli delle Sanremo d’inizio secolo, quando dal 1907 fino agli anni ’50 costituivano l’ossatura della Classicissima, le ultime difficoltà altimetriche prima del traguardo, spesso rivelatesi determinanti. Verso la fine degli anni ’50 ci si accorse, però, che non garantivano più la selezione di un tempo e in Via Roma sempre più spesso si arrivava in volata; così Vincenzo Torriani andò alla ricerca di nuove soluzioni, scovando prima la salita del Poggio (1960) e poi quella della Cipressa (1982), relegando di fatto i tre storici capi a un ruolo di semplici comparse, di quelle che al cinema non recitano nemmeno una battuta. Ma per il primo di questi tre piccoli promontori è arrivato finalmente il momento della riscossa perché Capo Mele sul far della sera del 7 maggio 2024 tornerà a riprendersi gli onori della ribalta. Gli organizzatori della Corsa Rosa l’hanno, infatti, piazzato a 2500 metri dall’arrivo della tappa di Andora, non certo per la gioia di quei velocisti che soffrono gli strappi e che già ventiquattrore prima hanno dovuto subire un finale simile in quel di Fossano. Stavolta, però, ci saranno maggiori chance per gli sprinter perché la salita del Mele è più semplice rispetto a quella della Posta, 1800 metri al 4.3% privi di particolari strappi e seguiti – ecco la principale differenza con l’epilogo fossanese – da un veloce e non ripido tratto in discesa che si concluderà poco dopo lo striscione dell’ultimo chilometro, planata che agevolerà il rientro di qualche velocista, il quale però potrebbe presentarsi allo sprint affaticato dallo sforzo fatto per riagganciarsi alla coda del gruppo. Non dovrebbe, invece, costituire una grossa difficoltà la salita fino ai 1028 metri del Colle del Melogno, dai quali si dovrà svalicare quando all’arrivo mancheranno quasi 100 Km, e poi c’è un precedente che fa ben sperare gli sprinter, che porta la data del 18 maggio 1998: quel giorno non si doveva affrontare il solo Mele ma tutti e tre i capi nel finale della tappa Alba – Imperia che, nonostante il Berta da scavalcare a soli 4 Km dall’arrivo, vide piombare sul traguardo un gruppo di novanta corridori, regolato dal velocista Angel Edo, anche se comunque parecchi colleghi dello spagnolo furono estromessi dalla possibilità di giocarsi la vittoria di tappa.
La bandierina del via sarà abbassata nel centro di Acqui Terme, non distante dal tempietto neoclassico della “Bollente”, sotto il quale sgorga una delle sorgenti che hanno fatto la fortuna della cittadina piemontese. Nei primi 80 Km si risalirà costantemente l’alta valle della Bormida, il principale affluente del Tanaro, il cui bacino si estende per quasi 2700 Km quadrati, andando ad abbracciare sia la catena delle Alpi Liguri, sia le prime propaggini dell’Appennino. Senza per ora incontrare tratti classificabili come salita si prenderà progressivamente quota toccando i centri di Bistagno e Spigno Monferrato, presso il quale si trova l’ex abbazia romanica di San Quintino, fondata nel 991 e oggi di proprietà privata. A poco più di 30 Km dal via il gruppo saluterà il Piemonte per fare l’ingresso in Liguria poco prima di giungere a Piana Crixia, il comune più settentrionale della provincia di Savona, il cui nome richiama quello di una stazione di posta che in epoca romana si trovava la Via Aemilia Scauri, strada consolare che collegava Luni a Vada Sabatia (l’odierna Savona) scavalcando il Passo della Cisa e toccando Parma, Placentia e Dertona (oggi Tortona).
Dopo Dego, presso il quale si possono vedere gli scarsi ruderi del castello appartenuto alla famiglia Del Carretto, si giungerà a Cairo Montenotte, il principale centro della Val Bormida, principalmente ricordato per la storica battaglia che vi fu combattuta nell’aprile del 1796 tra le truppe francesi dell’Armata d’Italia, comandante da Napoleone Bonaparte, e quelle austriache della Prima Colazione, uscite sconfitte dallo scontro. Proprio qui inizierà la prima battaglia per chi non ama troppo le salite perché poco dopo il passaggio da Cairo si attaccherà la pedalabile ascesa verso il valico di Montecala (2.8 Km al 4.3%), al cui scollinamento si trova il bivio per Cosseria, borgo che vale una deviazione per visitarvi il piccolo museo dedicato alla bicicletta che l’ex professionista Luciano Berruti ha realizzato nell’ex scuola elementare dopo avervi raccolto un’ottantina di mezzi d’epoca.
Terminata la successiva e breve discesa verso Millesimo – uno dei borghi più belli d’Italia, presso il quale si possono ammirare la chiesa romanica di Santa Maria extra muros e il medioevale ponte della Gaietta – si riprenderà a pedalare in compagnia della Bormida, anche se non si tratterà del medesimo fiume incontrato in precedenza: prima si era affiancato il ramo di Mallare, ora quello principale di Millesimo in direzione delle sue sorgenti. Procedendo in lieve falsopiano si transiterà ai piedi del colle sul quale si stagliano i resti del castello di Murialdo, molto conosciuto tra gli appassionati della leggenda di Re Artù perché vi si trova la “Spada della Roccia”, gemella di quella più celebre che si trova in Toscana non distante dall’abbazia di San Galgano. Chi, invece, preferisce lasciarsi incantare dalla natura dovrà fare tappa nella vicina località di villeggiatura di Calizzano e alzare gli occhi verso i 37 metri del faggio più alto della provincia di Savona, situato nella Foresta della Barbottina, una delle più belle d’Italia.
Per il gruppo sarà arrivato il momento di salutare la Bormida e intraprendere l’ascesa che condurrà in 5.6 Km (la pendenza media è del 5.7%, nulla di particolarmente trascendentale) ai 1028 metri del Colle del Melogno, luogo dove se il Giro fosse transitato da queste parti all’inizio del secolo scorso avremmo visto il passaggio dei corridori sorvegliato dai militari di stazza al forte che alla fine dell’ottocento era stato eretto proprio lassù e inserito nel sistema difensivo voluto dal Regno d’Italia per respingere eventuali attacchi al Piemonte provenenti dal Mar Ligure. Inizialmente si pedalerà in direzione di quest’ultimo ma, circa un chilometro e mezzo dopo aver intrapreso la discesa verso la Riviera di Ponente si svicolerà verso un versante laterale del Melogno, all’inizio del quale si dovrà scavalcare il piccolo dentino (600 metri al 4%) del cosiddetto Doppio Bivio: è un piccolo valico dal quale si staccano da una parte la strada diretta al Lago di Osiglia (costruito artificialmente negli anni ’30, è il più grande dell’appennino savonese) e dall’altra quella che risale verso il Pian dei Corsi, montagna che deriva il nome dai militari originari della Corsica che erano stati qui inviati per reprimere la piaga del brigantaggio e sulla quale oggi un parco eolico è stato realizzato sul luogo di una base NATO abbandonata negli anni ’90. Nessuna di queste due diramazioni saranno imboccate dai “girini”, che tireranno dritti imboccando la seconda e più consistente parte della discesa dal Melogno, poco meno di 7 Km al 6.5% terminati i quali ci si dirigerà verso la successiva difficoltà altimetrica, la breve ma non per questo semplice – sono 1200 metri al 9.1% – ascesa della Colla del Bresca. Scesi a Mallare – centro non distante dal quale si trova il Santuario di Santa Maria dell’Eremita, ex chiesa parrocchiale realizzata nel XVI secolo trasformando in luogo di culto cristiano un precedente tempio pagano d’origine romana – si potrà dire d’essersi lasciati alle spalle la fase più complicata da questa tappa. Da qui all’arrivo mancheranno un’ottantina di chilometri, caratterizzati solamente da modesti dislivelli, come la lieve ascesa – 500 metri al 4.5% – che condurrà al mitico Colle di Cadibona, convenzionalmente ritenuto il confine tra Alpi e Appennini, anche se dal punto di vista prettamente geo-morfologico questo è avviene presso il Passo dei Giovi, nell’entroterra di Genova. Anche il toponimo stesso del valico è stato non molti anni fa “disconosciuto” da un atto ufficiale dello stato, che ha stabilito che – almeno istituzionalmente – dovrà essere chiamato Bocchetta di Altare, con riferimento al comune più prossimo, centro che gli amanti dell’esoterismo definiscono la “Rennes-le- Chateau italiana” per le vicende del locale parroco Don Giovanni Bertolotti che, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del successivo, riuscì non si sa come ad accumulare ricchezze che gli consentirono, tra le altre cose, di innalzare la liberty Villa Rosa, destinata ad abitazione della sorella Rosalia e oggi affascinante sede di un museo dedicato all’arte vetraria, uno dei vanti di Altare.
Approdati in riva al Mar Ligure, in quel di Savona inizierà il tratto conclusivo della tappa, con gli ultimi 59 Km che si snoderanno costantemente sulla Via Aurelia, ricalcando fedelmente le rotte della “Classicissima” nel tratto che precede l’ingresso nelle fasi calde della Sanremo. Di tanto in tanto la pianura sarà interrotta da brevissimi strappi, che sull’altimetria quasi non si vedono e con i quali l’Aurelia asseconda le sinuosità della costa, come avviene per esempio nel momento nel quale si doppierà la Punta del Maiolo, di fronte alla quale “emerge” dalle acque l’isola di Bergeggi, riserva naturale dove le uniche testimonianze del passaggio dell’uomo sono rappresentate dai resti di una torre, dal monastero di sant’Eugenio, da una villa privata in abbandono e da una scultura, collocata nel 1958, che raffigura un suonatore di clarinetto.
Si giungerà quindi a Spotorno, località natale di Oliver Mellors, il guardiacaccia protagonista di uno dei più celebri romanzi dello scrittore inglese David Herbert Lawrence, “L’amante di Lady Chatterley”: si tratta, ovviamente, di natali letterari poiché molti ritengono che sia proprio in occasione del soggiorno a Spotorno, trasferitosi in Liguria nel 1925 per guarire dalla tubercolosi, che Lawrence cominciò a scrivere quello che è diventato uno dei capolavori della letteratura erotica, si dice ispiratogli dalle relazioni extraconiugali della ben più giovane moglie (e si vocifera che sia stato lo stesso scrittore a spingere la consorte verso queste avventure pur di avere materiale di prima mano per il suo romanzo).
Dominati dai resti del Castello di Monte Ursino ritorniamo al presente con il passaggio da Noli, subito dopo il quale si giungerà in uno dei tratti più spettacolari della costa ligure, il cosiddetto Malpasso, dove le rocce arrivano quasi ad “avvolgere” il passaggio dei corridori. Il percorso dell’Aurelia tornerà poi a farsi filante con l’approssimarsi a note località di villeggiatura come Finale Ligure e la vicina Bórgio Verèzzi, frequentata anche dagli appassionati di teatro per il festival che fin dal 1967 si svolge presso il borgo antico, sulla collina che sovrasta il litorale.
Allontanatosi leggermente dalla linea di costa, seguendo pedissequamente il tracciato dell’Aurelia punterà ora su Albenga, che oggi è nota come “città delle cento torri” e che veniva chiamata Albingaunum in epoca romana, periodo al quale risalgono l’anfiteatro, le terme rinvenute lungo le rive del fiume Centa e il relitto di una nave romana carica di anfore che ancora oggi giace sul fondo del mare e che è possibile ammirare soltanto immergendosi e scendendo fino ad una profondità di 40 metri.
Il gran finale bussa oramai alle porte, introdotto dal piccolo promontorio di Capo Santa Croce, che precede il passaggio da Alassio e sul quale negli anni ’20 del secolo scorso fu eretta una piccola cappelletta a invocare la protezione divina su un tratto di costa tra i più pericolosi della riviera, dove si trovava la roccia soprannominata “scoglio delle vedove” a causa dei numerosi naufragi che aveva provocato. Sarà il passaggio sulle ben note strade della vicina Laigueglia – che dal 1964 accolgono annualmente l’omonimo trofeo, gara d’apertura del calendario ciclistico italiano – a suonare idealmente la campana: è arrivato il momento di Capo Mele e quei velocisti che non saranno ancora in piena forma potrebbero vedere naufragare le residue speranze di vittoria. Ma non c’è tempo per piangersi addosso: domani ci sarà un’altra volata e questa sarà alla portata di molti più corridori.

Mauro Facoltosi

Andora, Capo Mele e l’altimetria della quarta tappa (wikipedia)

Andora, Capo Mele e l’altimetria della quarta tappa (wikipedia)

I VALICHI DELLA TAPPA

Valico di Montecala (526 metri). Valicato dalla Strada Statale 28 bis “del Colle di Nava” tra Carcare e Millesimo, all’altezza del bivio per l’omonima località e per Cosseria. Il Giro vi è transitato spesso, senza mai proporre in questo luogo un traguardo GPM.

Colle di Melogno (1028 metri). Spartiacque tra la valle della Bormida di Millesimo e la Val Maremola, è attraversato dalla Strada Provinciale 490 “del Colle del Melogno” tra Calizzano e l’omonima località. Il Giro vi è salito in due occasioni e in entrambe si è affrontato il più impegnativo versante di Finale Ligure (non percorso quest’anno), scendendo poi verso Calizzano: la prima volta fu in occasione della tappa Varazze – Valle Varaita del Giro del 1993, vinta da Marco Saligari dopo che la cima del Melogno era stata conquistata dal milanese Gianluca Bortolami; sette anni più tardi si tornò a scalare il colle ligure durante la Genova – Pratonevoso, conquistata da Stefano Garzelli, che due giorni più tardi conquisterà definitivamente la maglia rosa nella cronoscalata del Sestriere togliendola dalle spalle del toscano Francesco Casagrande. In questa occasione il primo a transitare in cima al Melogno fu lo spagnolo José Enrique Gutiérrez.

Sella Macciò (o dell’Osteria Vecchia) (944 metri). Spartiacque tra la Val Maremola e la valle del torrente Pora, è valicata dalla Strada Provinciale 490 “del Colle del Melogno” all’altezza del centro di Melogno.

Valico del Doppio Bivio (978 metri). Valicato dalla Strada Provinciale 15 “Carcare-Pallare-Bormida-Melogno” all’altezza del bivio per Osiglia.

Colla del Bresca (588 metri). Erroneamente chiamata “Colla del Brasca” sulle cartine del Giro 2024, è valicata dalla Strada Provinciale 38 “Mallare-Bormida-Osiglia” tra Pallare e Mallare.

Colle di Altare (436 metri). Più conosciuto come “Colle di Cadibona”, toponimo che compare anche sulle cartine del Giro 2024 (dove è quotato 435 metri), è valicato dalla Strada Statale 29 “del Colle di Cadibona” tra Altare e Cadibona. In realtà si tratta del valico stradale e non di quello geografico vero e proprio, che si trova a una quota leggermente più alta (459 metri) ed è raggiungibile mediante una strada asfaltata da Altare. Grazie alla sua fama e alla sua posizione lungo una strada statale è stato spesso inserito nel percorso del Giro (l’ultima nel 2014 durante la tappa Collecchio – Savona, vinta dall’australiano Michael Rogers) e in sette occasioni è stato traguardo GPM, conquistato nell’ordine dal torinese Angelo Conterno nel 1959 (tappa Genova – Torino, vinta da Vito Favero), dal toscano Piero Dallai nel 1972 (Savona – Bardonecchia, vinta da Eddy Merckx), dal toscano Wilmo Francioni nel 1976 (Varazze – Ozegna, vinta da Rik Van Linden), dallo spagnolo Faustino Fernández Ovies nel 1977 (Santa Margherita Ligure – San Giacomo di Roburent, vinta a tavolino da Francioni dopo la squalifica per doping dello spagnolo Miguel María Lasa), dal francese Christian Jourdan nel 1986 (Savona – Sauze d’Oulx, vinta da Martin Earley), dal tedesco Fabian Wegmann nel 2004 (Genova – Alba, vinta da Alessandro Petacchi) e dal francese Patrice Halgand nel 2005 (Varazze – Colle di Tenda, vinta da Ivan Basso).

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

All’inizio degli anni ’50 sulla spiaggia di Alassio accadde un fatto che creò un certo scalpore, un vero e proprio caso di mobbing avvenuto in uno stabilimento balneare nei confronti di una delle clienti, dopo che i vicini d’ombrellone avevano riconosciuto in lei una prostituta, per questo motivo evitata da tutti per non “compromettersi” con lei. Gli echi della notizia giunsero alle orecchie del regista Alberto Lattuada, che propose di trarne un film al produttore della casa cinematografica Titanus Goffredo Lombardo, che negli anni successivi in finanzierà pellicole celebri come “Rocco e i suoi fratelli” (1960) e “Il gattopardo” (1963), una sorta di canto del cigno per la Titanus perché le ingenti somme profuse per quest’ultimo film porteranno al fallimento dell’azienda. I fatti di Alassio trovarono così trasposizione cinematografica nel 1954, una volta affidato il compito di scriverne la sceneggiatura a Rodolfo Sonego, che collocò la vicenda nel fittizio centro di Pontorno, un nome ispirato a quello di un’altra località balneare ligure, quella Spotorno che effettivamente prestò le sue strade per le riprese, parte delle quali coinvolsero anche Finale Ligure. È, infatti, nel territorio comunale di quest’ultimo che si trova “La spiaggia” attorno alla quale ruotano le vicende narrate e che è anche il semplicissimo nome del film: si tratta di quella del Malpasso, una delle più spettacolari della Liguria, ammirabile a colori perché questa fu una delle prime pellicole girate con il procedimento Ferraniacolor, ideato nei laboratori della Ferrania Technologies, azienda che aveva sede presso l’omonimo comune dell’entroterra savonese e che aprirà filiali anche negli Stati Uniti.

In collaborazione con www.davinotti.com

La spiaggia del Malpasso, presso Varigotti di Finale Ligure, vista nel film “La spiaggia” (www.davinotti.com)

La spiaggia del Malpasso, presso Varigotti di Finale Ligure, vista nel film “La spiaggia” (www.davinotti.com)

Le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/la-spiaggia/50015401

FOTOGALLERY

Acqui Terme, il tempietto della Bollente

Castello di Dego

Cosseria, Museo della Bicicletta

Millesimo, Ponte della Gaietta

Castello di Murialdo

Calizzano, Foresta della Barbottina

Il Forte Centrale del Melogno, in vetta all’omonimo passo.

Lago di Osiglia

Pian dei Corsi, il parco eolico realizzato presso l’ex base della NATO

Mallare, Santuario dell’Eremita

Altare, Villa Rosa

Isola di Bergeggi

Il Castello di Monte Ursino domina il piccolo golfo di Noli

Il cosiddetto Malpasso

Bórgio Verèzzi, la piazzetta centrale di Verèzzi allestita per una rappresentazione del locale festival teatrale.

Albenga, Terme Romane

Alessio, la cappelletta del Capo Santa Croce

PRIMA VOLATA CON PIETRA D’INCIAMPO

Il Giro 2024 offre ai velocisti la prima occasione. Non sarà una volata facile, però, quella che andrà in scena sul rettilineo d’arrivo di Fossano, preceduto com’è da una breve salita, non dura ma tale da tarpare le ali a molti degli sprinter presenti in gruppo. E anche il giorno successivo ad Andora ci sarà chi dovrà masticare amaro.

Dopo una partenza insolitamente impegnativa – ma sarà così anche al Tour che quest’anno scatterà dall’Italia – i favoriti potranno tirare un sospiro di sollievo mentre per la prima volta in questa edizione del Giro entreranno in scena i velocisti. Anche gli sprinter, però, non avranno vita facile nelle prime occasioni a loro riservate perché sia la tappa di Fossano, sia quella successiva di Andora presenteranno nelle battute conclusive salitelle che inevitabilmente taglieranno fuori dai giochi per la vittoria molti dei pretendenti. Diversi sprinter potrebbero così finire con l’inciampare letteralmente in difficoltà come la “Salita della Posta”, nome con il quale i cicloamatori locali hanno battezzato la rampa di Via Narzole a Fossano, 1.6 Km al 5.1% che terminano a soli 3 Km dall’arrivo. Potrebbero bastare per rovinare la prima festa agli sprinter? Sì, se andiamo a vedere come finì il Giro del Piemonte del 2009 quando, con la “salita della Posta” da affrontare a ridosso dell’arrivo, al traguardo si presentò un gruppo ridotto a circa 35 elementi, nessuno dei quali riuscì a competere per la vittoria perché furono anticipato per soli 4 secondi dall’azione di sei corridori, regolati da uno specialista di questi finali come il belga Philippe Gilbert. Detto questo, considerato che a inizio Giro le energie complessive sono ancora fresche e i finali di tappa alla Corsa Rosa sono interpretati con piglio diversi rispetto a una gara di un giorno, non va comunque esclusa del tutto la possibilità di assistere a un arrivo in volata, seppur a ranghi giocoforza ridotti.
Per il resto la terza tappa dell’edizione 2024 si presenterà ben poco impegnativa, con abbondanza di tratti pianeggianti tra i quali sono state inserite piccole e isolate colline, semplici nelle pendenze e ben distanti dal finale di gara. Si partirà all’ombra della Basilica di San Gaudenzio, la più conosciuta chiesa di Novara, famosa per la sua cupola alta 121 metri e progettata da Alessandro Antonelli, lo stesso architetto che qualche anno più tardi innalzerà la Mole a Torino. La prima “tranche” di pianura, la più lunga tra le tre previste, si protrarrà per una sessantina buona di chilometri penetrando nella pianura padana, inizialmente in direzione di Vercelli. Attraversata la capitale del riso europea (in zona ne sono coltivate più di 100 qualità) il gruppo cambierà direzione per puntare verso il Monferrato e giungendo dopo una quarantina di chilometri dal via a Casale, centro che fu trasformato in una delle più prestigiose cittadelle d’Europa in epoca rinascimentale, quando signori della città erano i Gonzaga, qui ricordati per aver concesso agli ebrei di professare liberamente la loro religione (e, infatti, la locale sinagoga di stile barocco è una delle più belle e conosciute d’Italia). Siamo alle soglie delle colline del Monferrato, che i corridori a breve attraverseranno andando ad affrontare l’unica salita “ufficiale” di giornata, con i punti deI Gran Premio della Montagna che saranno assegnati – dopo 2.2 Km al 4.9% – alle porte di Lu, borgo dominato dalla Torre Civica e che fino al 2019, l’anno della fusione nel municipio di “Lu e Cuccaro Monferrato”, condivideva il primato di comune italiano dal nome più brevi assieme ai centri di Ne (Genova), Re (Verbano-Cusio-Ossola) e Vo’ (Padova). Si tornerà velocemente a pedalare sulle strade della pianura ora puntando su Quargnento, nel cui centro è possibile ammirare la basilica minore di San Dalmazio, l’unica presente nel territorio della diocesi di Alessandria, elevata a tale titolo da papa Giovanni Paolo II nel 1982. Si giungerà quindi a Solero, nel cui centro svetta il medioevale Castello Faà di Bruno, appartenuto alla nobile famiglia che ebbe tra i suoi esponenti musicisti, beati e soprattutto militari, tra i quali il generale dell’Esercito Italiano Antonino Faà di Bruno, principalmente conosciuto per l’attività d’attore intrapresa nell’età della pensione e ricordato in particolare per aver interpretato il Duca Conte Piercarlo Semenzara nel secondo capitolo della saga di Fantozzi, per la precisione nelle spassose scene ambientate al casinò di Montecarlo (A ui ue, la fortuna viene a me! Ui ue ua, la fortuna viene qua! A ue ui, la fortuna non va lì!).
Superato il corso del Tanaro si andrà quindi a percorrere le strade di Abbazia, la piccola frazione di Masio del quale è originario il “proprietario” del Giro (e dell’intera galassia RCS) Urbano Cairo ma che ha anche dato i natali a Giovanni Poggio, militare al quale nel 1860 furono amputate le braccia durante un assedio militare e le cui gesta furono narrate da Edmondo De Amicis ne “La vita militare”.
Seguitando in pianura, pur circondati dalle colline monferrine, il percorso risalirà ora la valle del Torrente Tiglione, sulle cui rive è stata progettata la piantumazione di 65.000 alberi che costituiranno quella che è già stata ribattezzata “autostrada verde”, voluta sia per arginare il fenomeno dell’erosione delle sponde, sia per ridurre i livelli dell’inquinamento. Sfiorato il borgo di Mombercelli, dove un ex carcere è stato trasformato nella sede di un piccolo ma interessante museo d’arte moderna, si andrà verso l’appuntamento con la seconda salita di giornata, mille metri esatti al 6.3% che conducono verso Ramello, piccola frazione di Vigliano d’Asti. Seguirà una discesa altalenante, interrotta da una breve risalita, che porterà a imboccare l’ultimo settore perfettamente pianeggiante, in gran parte disegnato nel corridoio naturale che separa le Langhe dalle colline del Roero. Lungo quest’ultima porzione scorrevole del tracciato si andrà a sfiorare la città di Alba, senza entrare nel cuore della capitale del tartufo bianco, tirando poi dritto in direzione di Bra. Anziché raggiungere quest’ultima si svolterà in direzione della sua principale frazione, quella Pollenzo che ebbe notevole importanza in epoca romana (era la città di Pollentia, citata anche da Plinio il Vecchio) e fu molto cara anche alla famiglia Savoia, che vi fece erigere uno dei suoi castelli, oggi privato mentre l’adiacente edificio che ospitiva l’Agenzia della Tenuta Reale è divenuto sede dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, fondata nel 2004 e direttamente gestita dal movimento culturale Slow Food.
Di lì a breve terminerà la “pacchia” della pianura e inizieranno le dolenti note per i velocisti del gruppo perché a una ventina di chilometri dall’arrivo si attaccherà la prima delle due salite che caratterizzeranno il tratto conclusivo. Il debutto è abbastanza impegnativo perché presentano un’inclinazione media del 9.6% i primi 500 metri dalla salita – complessivamente sono 1.1 Km al 6,7% – che conduce, movimentata anche da un paio di tornanti, al borgo di Cherasco, centro dalla pianta quadrilatera che racchiude, tra i tanti monumenti, la chiesa romanica di San Pietro. Stavolta non s’incontrerà la discesa, percorrendo per diversi chilometri in quota l’altopiano sorto alla confluenza dello Stura di Demonte nel Tanaro e sostanzialmente procedendo nuovamente in pianura per qualche chilometro, fino al lieve falsopiano che anticipa il passaggio da Salmour, centro che si ritiene fondato nel V secoli dai Sarmati, barbari originari delle steppe del Volga e dai quale prese poi il nome (in epoca romana Sarmatorium, poi temporaneamente italianizzato in Salmore durante il ventennio fascista). Solo ora si dovrà affrontare l’ultimo tratto in discesa di questa tappa, poco più di mille metri e una decisa pendenza media (7.1%) che termineranno ai piedi della cascina detta Castello della Nebbia. Un’altra nebbia, intanto, si profila all’orizzonte, quella della già preannunciata Salita della Posta, diradatasi la quale staremo a vedere quanti velocisti saranno riusciti a riemergere dalla coltre e a lanciarsi verso la prima volata del Giro 2024.

Mauro Facoltosi

Il castello dei Principi dAcaja a Fossano e l’altimetria della terza tappa (www.cuneodice.it)

Il castello dei Principi d'Acaja a Fossano e l’altimetria della terza tappa (www.cuneodice.it)

CIAK SI GIRO

Lo scorso 6 settembre ci ha lasciato Giuliano Montaldo, uno dei decani del cinema italiano. Nato nel capoluogo ligure il 22 febbraio del 1930 , il regista genovese debuttò come attore nel 1951 recitando diretto da Carlo Lizzani in “Achtung! Banditi!” poi, dopo le prime esperienze sul campo, decise di passare dall’altra parte della macchina da presa e otterrà le maggiori soddisfazioni, per l’appunto, da regista. La prima pellicola da lui firmata – anche come sceneggiatore – fu “Tiro al piccione”, presentata alla Mostra del Cinema di Venezia del 1961 e ambientata nei difficili anni della Seconda Guerra Mondiale, per la precisione nel periodo successivo alla creazione della Repubblica di Salò, al cui esercito aderisce il protagonista Marco Laudato, interpretato dall’attore francese Jacques Charrier, principalmente conosciuto per aver sposato l’anno precedente Brigitte Bardot.
Per le riprese la produzione optò per il Piemonte e in particolare tutta la prima parte del film fu girata a Vercelli, dove si scelsero scorci talvolta caratterizzati da edifici in corso di demolizione che rivestissero il ruolo delle distruzioni belliche: è così fu, per esempio, “taroccato” da misero cortile con la biancheria stesa ad asciugare il chiostro dell’ex monastero di Santa Chiara, oggi sede del Museo Archeologico Città di Vercelli “Luigi Bruzza”. Oltre alla “capitale del riso” fu coinvolta nelle riprese la cittadina di Costanzana mentre quando l’azione si trasferisce sulle montagne al confine con la Svizzera la produzione si spostò in Valsesia, non lontano dalla celebre Varallo. Anche il Lago Maggiore fu immortalato nella pellicola e pure Roma ebbe un ruolo non secondario poiché la caserma vercellese frequentata dal protagonista in realtà non si trovava nella cittadina piemontese ma alle porte del popolare quartiere di Trastevere.

In collaborazione con www.davinotti.com

Jacques Charrier e l’attrice torinese Franca Nuti in azione presso l’ex monastero vercellese di Santa Chiara in “Tiro al piccione” (www.davinotti.com)

Jacques Charrier e l’attrice torinese Franca Nuti in azione presso l’ex monastero vercellese di Santa Chiara in “Tiro al piccione” (www.davinotti.com)

Le altre location del film

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/tiro-al-piccione/50012509

FOTOGALLERY

Novara, la cupola della Basilica di San Gaudenzio

Vercelli, la centralissima Piazza Cavour

La sinagoga di Casale Monferrato

Lu, Torre Civica

Quargnento, Basilica di San Dalmazio

Solero, Castello Faà di Bruno

Alba, Duomo

Pollenzo, l’Agenzia della Tenuta Reale

Cherasco, chiesa di San Pietro

VERSO IL SANTUARIO DEL PIRATA

Il Giro 2023 propone subito un’altra dura salita, molto più impegnativa rispetto al Colle della Maddalena scalato 24 ore prima nella frazione d’apertura della Corsa Rosa. Stavolta ci si dovrà arrampicare fino ai 1142 metri del Santuario di Oropa, dove ancora oggi viene “venerata” la fantastica impresa siglata da Marco Pantani al Giro del 1999. Senza dimenticare che sei anni prima anche un grande campione del calibro di Miguel Indurain aveva passato un brutto quarto d’ora sulla salita biellese.

Da un ricordo più triste il Giro d’Italia ora veleggia verso un ricordo più lieto, anche se pure carico di un velo di malinconia. Nel 2024 non cadrà soltanto l’anniversario della tragedia del Grande Torino, ma anche quello di una delle più esaltanti imprese che il mondo del ciclismo ricordi. Correva l’anno 1999 e sono già trascorsi ben 5 lustri dal giorno della vittoria di Marco Pantani a Oropa, gesta sportive che ci fecero e ancora ci fanno orgogliosamente gonfiare il petto al ricordo del grande campione che abbiamo avuto, un ricordo che allo stesso tempo c’intristisce perché è pochi giorni più tardi che inizierà, a Madonna di Campiglio, la parabola discendente della carriera del “Pirata”, un abisso nel quale lo scalatore romagnolo sprofonderà sino al momento della sua drammatica scomparsa. Era il 30 maggio e si correva la quindicesima tappa della Corsa Rosa, una frazione che in 160 Km conduceva da Racconigi al santuario di Oropa e che Pantani affrontava in maglia rosa dopo aver ripreso il giorno prima quelle insegne del primato che il francese Laurent Jalabert gli avevo sfilato a cronometro. Il regno del “Pirata” non appare traballante perché si ritrovava in testa alla classifica con poco meno di un minuto sul bergamasco Paolo Savoldelli, ma non poteva immaginare come il destino stia per tirargli un tranello proprio all’inizio della salita finale, sotto la forma di una foratura. Davanti si scatenano, dietro Pantani perde terreno ma strada facendo trova ad attenderlo i compagni di squadra, che lo aiutano a rientrare sulla coda del gruppo; quasi tutti sono convinti che la maglia rosa finirà inevitabilmente sulle spalle di qualcun altro ma non hanno fatto i conti con la tenacia e la forza di volontà del romagnolo, che pian piano raggiunge e stacca tutti, fino a riprendere e lasciare sul posto anche colui che si era rimasto solitario al comando della corsa, Jalabert, che al traguardo di Oropa sarà anticipato dallo scatenato Pantani di una ventina di secondi.
È così nel solco di quella storica giornata di ciclismo che si metteranno in marcia i “girini” per la prima tappa di montagna dell’edizione 2023, una frazione che potrebbe riuscire ad adombrare – almeno per qualche ora – il ricordo dell’impresa del Pirata perché affrontare una salita come quella di Oropa subito al secondo giorno di gara potrebbe far uscire molto presto dai giochi qualche favorito per la vittoria finale.
Si partirà da San Francesco al Campo, dove il raduno di partenza avverrà all’interno del Velodromo Francone, impianto costruito nel 1996 e sede di un centro di avviamento alla pista sul quale si sono “fatti le ossa” corridori del calibro del primatista dell’ora Filippo Ganna e della campionessa olimpica di Tokyo Elisa Balsamo. Nei chilometri iniziali si attraverserà l’altopiano della Vauda, formatosi ai piedi del ghiacciaio che in epoca remota ricopriva interamente l’area delle Valli di Lanzo, pedalando in direzione di Favria, centro dove si trova l’interessante chiesa romanica di San Pietro Vecchio e presso il quale è terminata l’ultima edizione del Gran Piemonte, vinta dal valtellinese Andrea Bagioli. Attraversata la vicina Rivarolo Canavese – comune che nel 2014 accolse l’arrivo della 13a frazione del Giro, traguardo sul quale erano attesi i velocisti ma, invece, per soli 11 secondi andò in porto la fuga di giornata con il successo di Marco Canola davanti al venezuelano Jackson Rodríguez e al francese Angélo Tulik – si supererà il corso del torrente Orco per poi puntare prima su Ozegna e poi, cambiata direzione di marcia, su San Giorgio Canavese, centro il cui castello è noto agli appassionati di fiction in costume perché è stato set di “Elisa di Rivombrosa”, dove era la residenza della marchesa Lucrezia Van Necker, interpretata dall’attrice italo – britannica Jane Alexander.
La successiva meta del gruppo sarà Caluso, centro situato all’estremità meridionale dell’anfiteatro morenico di Ivrea, un luogo conosciuto dagli appassionati di enologia per la produzione dei vini Passito ed Erbaluce. Attraversata la vicina Mazzè – dove è visitabile un curioso museo dedicato alla tortura nei sotterranei del locale castello – i corridori andranno ad affrontare la prima difficoltà altimetrica del tracciato, appena 600 metri al 4.6% che spezzeranno per un attimo la “monotonia” dei primi 87 Km totalmente pianeggianti. Salutata la provincia di Torino si entrerà in quella di Vercelli pedalando in direzione di Cigliano per poi “imbarcarsi” in un tratto quasi perfettamente rettilineo di una dozzina di chilometri che si concluderà alle porte di Tronzano Vercellese. Siamo entrati nella zona delle celebri risaie, impiantate alla fine del XV secolo per opera dei monaci benedettini e che saranno compagne di viaggio della Corsa Rosa nel successivo tratto verso Santhià, cittadina il cui nome deriva da quello della patrona Sant’Agata, alla quale è dedicata la collegiata, in parte romanica e in parte neoclassica. Costeggiando la “Baraggia” – area caratterizzata da fitte brughiere alternate a vaste praterie, un contesto ambientale protetto da una riserva naturale e che in certi aspetti ricorda la savana – si andrà a concludere la fase iniziale pianeggiante con i passaggi dai centri di Cossato e Valdengo, il comune del biellese che in tempi recenti ha ospitato il via di due tappe della Corsa Rosa, dirette a Plan di Montecampione (2014) e Bergamo (2017), rispettivamente vinte dal sardo Fabio Aru e dal lussemburghese Bob Jungels. Erano entrambe frazioni caratterizzate da salite e, infatti, è arrivato il momento di cambiare decisamente marcia, anche se le ascese che s’incontreranno nei chilometri successi saranno tutt’altro che difficili. La prima – 7 Km al 3% porterà fino ai 485 metri di Valle San Nicolao poi, scesi nella valle del torrente Strona di Mosso, si dovrà affrontare quella di 2.7 Km al 5.2% che terminerà alle porte di Croce Mosso. In discesa ci si porterà nella valle del torrente Sessera, dove ci si troverà ai piedi della prima delle tre salite ufficiali di giornata, che terminerà dopo 5.7 Km al 5.2% in località Lora, la frazione dell’ex comune di Trivero (dal 2019 divenuto parte di quello di Valdilana) presso la quale si trova la casa madre di Zegna, la celebre casa di moda qui fondata nel 1910 dall’imprenditore Ermenegildo Zegna, al quale è dedicata anche l’omonima “Oasi”, la spettacolare strada panoramica che inizia proprio da questo centro e che sale fino ai 1500 metri della stazione di sport invernali di Bielmonte: voluta proprio dallo Zegna, che fece impiantare lungo l’itinerario più di 500.000 conifere, dai suoi belvedere offre impareggiabili viste verso il Monte Rosa, incorniciate da fioriture di azalee e rododendri. Tutto questo sarà “vietato” ai corridori perché, pur essendo il GPM chiamato proprio “Oasi Zegna”, non dovranno percorrere nemmeno un centimetro di questa spettacolare strada panoramica, ma andranno subito ad imboccare la discesa, nel corso del quale si attraverseranno alcune delle frazioni dello scomparso comune di Mosso, anch’esso confluito in quello di Valdilana: tra queste ultima c’è Sella, il piccolo borgo del quale è originario Quintino Sella, il cui nome è scritto sui libri di storia non soltanto per essere stato per tre mandati Ministro delle Finanze del Regno d’Italia, ma anche per aver ispirato la fondazione del Club Alpino Italiano, da lui concepito il 12 agosto del 1863 dopo una scalata al Monviso e del quale fu presidente dal 1876 al 1884. Transitati ai piedi del Viadotto della Pistolesa, uno dei templi del bungee jumping, si andrà quindi verso l’appuntamento con la penultima salita di giornata, che ha come meta la località di Nelva, la frazione di Callabiana non distante dalla quale nel dicembre del 1944 trasmise le sue emissioni “Radio Libertà”, l’unica che nel periodo della Resistenza fu direttamente gestita dai partigiani. Tornando al percorso del Giro 2023 la salita che affronteranno i corridori per arrivare a Nelva (4.9 Km al 5.4% con un muretto di 300 metri al 15%) non è mai stata inserita nel percorso del Giro ma non sarà del tutto inedita perché nel 2019 era nel tracciato del Gran Piemonte, quell’anno terminato proprio a Oropa con la vittoria del colombiano Egan Bernal. Come in quella corsa, giunti in vetta a Nelva mancheranno poco meno di 25 Km al traguardo, scendendo all’inizio di quest’ultimo tratto in direzione della valle del torrente Cervo, il principale affluente del fiume Sesia, che si raggiungerà all’altezza di Andorno Micca, centro che contende alla vicina Sagliano i natali di Pietro Micca, l’eroe dell’assedio francese di Torino del 1706, durante il quale perse la vita nel tentativo di fermare l’ingresso in città dell’esercito nemico. Attraversando Tollegno si entrerà quindi in Biella, dove anche per i “girini” inizierà il pellegrinaggio verso Oropa, che li vedrà affrontare un’ascesa lunga poco meno di 12 Km e caratterizzata da una pendenza media del 6.2%, apparentemente nulla di eccezionale ma, come ricordavamo, già il fatto d’essere appena alla seconda giornata di gara la renderà un duro “muro” contro il quale potrebbero subito infrangersi le speranze di qualche corridore che puntava a ben figurare ma si è presentato al via con una condizione ancora approssimativa. L’inizio è morbido e, infatti, s’incontra un’inclinazione media del 4.5% nei primi 3 Km, numero che scende al 2.7% nei 2000 metri successivi, terminati i quali si abbandonerà temporaneamente la statale per imboccare la vecchia strada d’accesso al santuario e attraversare il piccolo borgo di Favaro. Qui l’asfalto lascerà brevemente il passo al pavé mentre le pendenze prenderanno ad accentuarsi poiché per arrivare alle soglie del paesino si deve affrontare un troncone di quasi un chilometro e mezzo al 9.5%. In corrispondenza del tratto in lastricato – 200 metri in tutto – la pendenza torna a scemare ma è giusto un attimo poiché usciti da Favaro e ripresa la “strada maestra” per il santuario le pendenze tornano a incrementare. Da qui a Oropa mancano ancora 5 Km, nei quali la media torna a salire fino al 7.9% mentre si arriva a toccare un picco massimo del 14% quando mancano poco più di 2 Km a un traguardo rimasto nella storia del ciclismo e non soltanto per l’impresa di Pantani. Lassù, il 12 giugno del 1993, il lettone Ugrumov riuscì a mettere in crisi un certo Miguel Indurain…

Mauro Facoltosi

Le cappelle del Sacro Monte di Oropa e l’altimetria della seconda tappa (www.italia.it)

Le cappelle del Sacro Monte di Oropa e l’altimetria della seconda tappa (www.italia.it)

I VALICHI DELLA TAPPA

Sella Vacchiero (677 metri), Sella di Fusero (718 metri). Sono toccate dalla Strada Provinciale 106 “Callabiana – Pianezze” tra Callabiana e Andorno Micca, lungo la salita al GPM di Nelva.

Sella Sant’Antonio di Marcone (748 metri). Vi transita la Strada Provinciale 105 “Andorno – Mosso Santa Maria” tra Callabiana e Andorno Micca. Il gruppo vi transiterà in discesa, dopo il GPM di Nelva.

Sella di Favaro (758 metri). Si trova quasi al centro dell’omonimo abitato, toccato dal vecchio tracciato della strada che sale a Oropa.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Il Piazzo, il suggestivo borgo di stampo medioevale arroccato che costituisce una delle due storiche “anime” di Biella (l’altro è il sottostante Piano), ha costituito un irresistibile richiamo per le troupe cinematografiche che hanno individuato per le riprese la cittadina piemontese. E in particolare lassù sono saliti, in due distinti momenti, quattro autentici fuoriclasse della comicità italiana. I primi sono stati Carlo Verdone ed Enrico Montesano, che a Biella nel 1984 hanno girato – con il primo nel doppio ruolo di regista e attore – diverse scene de “I due carabinieri”, pellicola nella quale i due esponenti dell’arma protagonisti del film sono trasferiti da Roma a un imprecisato borgo del Piemonte: alcune scene furono girate a Torino, ma uno dei set principali, la caserma nella quale i due si ritrovano, è Palazzo Gromo di Ternengo, che si trova proprio nel cuore del Piazzo. Diciassette anni più tardi ad altri due campioni della risata si sono ritrovati lassù, i “toscanacci” Leonardo Pieraccioni e Massimo Ceccherini e anche in quel caso c’è in ballo una caserma dei carabinieri, stavolta inventata dalla produzione in Piazza Cisterna: il film è “Il principe e il pirata”, la cui trama racconta del viaggio di due fratelli (uno dei quali è un pregiudicato curiosamente soprannominato “Gimondi”) dalla Sicilia alla Valle d’Aosta per intascare l’eredità lasciata loro dal defunto padre.

In collaborazione con www.davinotti.com

Palazzo Gromo di Ternengo a Biella set de “I due carabinieri” (www.davinotti.com)

Palazzo Gromo di Ternengo a Biella set de “I due carabinieri” (www.davinotti.com)

Le altre location dei due film citati

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/i-due-carabinieri/50002208

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/il-principe-e-il-pirata/50004048

FOTOGALLERY

San Francesco al Campo, Velodromo Francone

Favria, chiesa di San Pietro Vecchio

Castello di San Giorgio Canavese

Castello di Mazzè

Santhià, Collegiata di Sant’Agata

Un cicloturista ammira lo scenario offerto dalla Riserva Naturale Orientata delle Baragge

Trivero, la storica sede della Ermenegildo Zegna SpA

Una delle spettacolari viste concesse dall’Oasi Zegna

Viadotto della Pistolesa

Piazza della Cisterna, cuore del borgo del Piazzo a Biella

NELLA PRIMA MAGLIA ROSA BATTE UN CUORE GRANATA

Il Giro 2024 parte nel ricordo del Grande Torino. Sono passati 75 anni dalla tragedia di Superga, nella quale persero la vita i componenti della squadra granata, e il Giro renderà omaggio alla leggendaria formazione del capoluogo piemontese con una prima tappa subito impegnativa, che inevitabilmente porterà la Corsa Rosa sulla collina di Superga, anche se questa sarà affrontata dal versante meno impegnativo. A rubargli lo scenario agonistico sarà il successivo Colle della Maddalena, una salita nettamente più difficile e atipica per il primo giorno di un grande giro: chi ambirà a vestire la maglia rosa finale a Roma dovrà presentarsi ai nastri di partenza già al top della condizione.

Il 4 maggio del 1949 è una data impressa a fuoco nella storia dello sport italiano, è il giorno nel quale si spezzò per sempre la gloriosa parabola del Grande Torino, infrantasi con l’aereo sul quale viaggiava la squadra contro la collina di Superga. Fu una tragedia immensa, che colpì l’ Italia intera e non soltanto l’ambiente prettamente sportivo. Tra i grandi del pedale ne fu intimamente colpito Fausto Coppi, che era legato da sincera e profonda amicizia a Ezio Loik, la mezzala d’origine istriana che era perita nell’incidente assieme ad altri 17 compagni di squadra: fu a lui che, un mese più tardi, il Campionissimo dedicherà la vittoria nella Cuneo – Pinerolo per poi fare dono di una bicicletta a Mirella, la figlia del calciatore, il giorno successivo sul traguardo di Torino.
Il 4 maggio del 2024 saranno trascorsi esattamente 75 anni dal quel tragico pomeriggio e nella stessa data l’Unione Ciclistica Internazionale ha stabilito che ci sarà la partenza del Giro d’Italia. L’organizzazione della Corsa Rosa, il cui “proprietario” è proprio Urbano Cairo, l’imprenditore che dal 2005 è presidente del Torino, ha così scelto il capoluogo del Piemonte per la tappa d’apertura, una frazione che inevitabilmente avrà in programma l’ascesa a Superga, anche se questa sarà affrontata dal versante orientale, quello meno impegnativo, per evitare d’interferire con la mesta processione dei tifosi granata, che ogni anno nell’anniversario salgono in laico pellegrinaggio alla basilica, anche chi è nato dopo il 1949 e non ha vissuto, sulla pelle e nel cuore, quel grande dolore. Per il Giro si tratterà di una partenza decisamente fuori dai soliti schemi e, complice anche l’arrivo in salita del giorno successivo a Oropa, i corridori che punteranno al successo finale dovranno necessariamente schierarsi ai nastri di partenza già al top della forma, mentre in passato si poteva anche correre il rischio di partire con una condizione ancora non ottimale, contando di affinarla nei primi giorni di gara, solitamente poco impegnativi. Anche perché questa tappa non presenterà solo la salita di Superga ma anche quella del Colle della Maddalena, poco abituale per il giorno d’apertura di un grande giro per via dei suoi 6.3 Km inclinati al 7.3% medio.
Come nel 2011, quando il Giro iniziò con una cronometro a squadre di quasi 20 Km, le operazioni di partenza si svolgeranno per la reggia di Venaria Reale, cuore della tenuta di caccia che i duchi di Savoia decisero di realizzare nelle campagne a nordovest di Torino nella seconda metà del ‘600. Il debutto della Corsa Rosa sarà in pianura per i primi 50 Km, pedalando subito dopo il via in direzione di Borgaro Torinese, presso il quale nel 2018 è stato inaugurato un monumento dedicato al “Grande Torino” con la gigantografia di una foto che ritrae i giocatori scomparsi nell’incidente. Attraversato il giovane comune di Mappano, istituito nel 2013, si giungerà sulle strade di Leinì, centro dominato dai 33 metri della Torre dell’Ammiraglio, eretta probabilmente nel XIII secolo e intitolata all’ammiraglio del Regno Sabaudo Andrea II Provana di Leynì (così si scriveva il nome del comune fino all’avvento del fascismo). Giunti a Volpiano si punterà quindi su Brandizzo, dove sono ancora vivi gli echi di un’altra tragedia, quella che il 30 agosto scorso ha visto morire cinque operai che stavano lavorando sulla linea ferroviaria che attraversa questo centro, investiti da un treno in transito. Sfiorata la vicina Chivasso, la capitale per due secoli del marchesato del Monferrato al cui centro svetta l’asimmetrica facciata della collegiata di Santa Maria Assunta, il percorso supererà per il corso del Po avvicinandosi all’estremità settentrionale della cosiddetta “Collina torinese”, il poco elevato massiccio che separa la città dal resto del Monferrato. E’, infatti, arrivato il momento di misurarsi con la prima delle salite ufficiali del Giro 2024, quella che in 2.7 Km al 5.3% condurrà a Berzano di San Pietro, il borgo dell’astigiano nel cui cimitero riposa Nino Defilippis, corridore dal 1952 al 1964 (vinse nove tappe al Giro e vanta tuttora il primato di maglia rosa più giovane di sempre, vestita a soli vent’anni d’età per due giorni nella stagione del debutto) e commissario tecnico della nazionale italiana per una sola stagione, quella del 1973 che vide laurearsi campione del mondo a Barcellona Felice Gimondi.
La prima discesa del Giro avrà come meta Castelnuovo Don Bosco, il paese natale del celebre sacerdote la cui modesta casa si può visitare in frazione Becchi, accanto all’imponente basilica che sarà innalzata in suo onore al culmine della collina che oggi porta il suo nome.
Alla prima difficoltà altimetrica ufficiale ne seguirà una non “categorizzata” ma per questo non semplice, un vero e proprio muro di quasi 500 metri al 10% necessario per arrivare a Moriondo, paese del quale fu sindaco per quasi trent’anni, fino al 1974, l’industriale Virginio Bruni Tedeschi, nonno della top model ed ex première dame di Francia Carla Bruni. Rientrati in provincia di Torino si andrà ora incontro all’appuntamento con la salita di Superga che, come anticipato, si affronterà dal versante orientale, sicuramente meno nobile in quanto a pendenze rispetto a quello tradizionale (6.6 Km al 4.2% vs 5.1 Km all’8.2%), ma non meno blasonato poiché è da Baldissero che si saliva fino a qualche decennio fa nel finale della Milano – Torino, quando il traguardo della corsa più antica del calendario italiano (prima edizione disputata nel 1876) era ancora in città, a volte previsto presso il Parco del Valentino, altre volte sulla pista del motovelodromo che nel 1990 fu intitolato a Fausto Coppi. Scollinati a circa 2 Km di distanza dalla basilica, progettata dall’architetto messinese Filippo Juvarra, inizierà una dolcissima planata lungo la sinuosa strada panoramica che collega il colle di Superga a quello di Pino Torinese, in cima al quale il 28 maggio del 1950 s’incrociarono per la prima volta le storie del Giro d’Italia e della RAI: in quell’occasione la futura tv di stato (all’epoca Radio Audizioni Italiane) v’installò appositamente un ripetitore per una delle prime “prove tecniche di trasmissione”, che consentì di mostrare al pubblico che affollava il motovelodromo di Torino le fasi finali della tappa del Giro vinta dall’abruzzese Franco Franchi. Alle porte di Pino anziché imboccare la discesa verso Torino si proseguirà in quota in direzione del Colle della Maddalena, andando ad affrontare la breve e modesta ascesa del Col d’Arsete, in vetta al quale si svolterà in direzione di Pecetto Torinese, località conosciuta per la coltivazione di rinomate ciliegie, alla quali è dedicata una sagra che nel 2024 taglierà il traguardo della centonovesima edizione. Terminata la discesa il gruppo andrà a innestarsi sul circuito finale, continuando a procedere in lieve discesa verso Moncalieri, dove un piccolo strappo che – 28 Km più avanti – costituirà l’ultima difficoltà altimetrica del tracciato, posta immediatamente prima del passaggio al cospetto del Castello Reale di Moncalieri, in epoca risorgimentale fu residenza prediletta dal futuro primo re d’Italia Vittorio Emanuele II, che lo preferiva al trambusto del Palazzo Reale situato nel centro di Torino.
Dopo un primo transito dalla linea d’arrivo si sfilerà di fronte alla neoclassica chiesa della Chiesa della Gran Madre di Dio, le cui linee ricordano quelle del Pantheon romano, seguitando lungo le rive del Po per circa un chilometro prima di svoltare in direzione della Villa della Regina, progettata come “casa di campagna” per il cardinale Maurizio di Savoia e in seguito divenuta residenza estiva prediletta dalle due sovrane sabaude che le attribuirono l’attuale nome, Anna Maria d’Orleans e Polissena d’Assia. Quando i corridori transiteranno dinanzi ai cancelli della villa sarà iniziata da poche centinaia di metri la salita “faro” di questa tappa, una descrizione che calza doppiamente a pennello perché in vetta al Colle della Maddalena si trova effettivamente un faro, costruito per celebrare il decimo anniversario della vittoria nella Prima Guerra Mondale e realizzato a spese del fondatore della FIAT Giovanni Agnelli, senatore e nonno del celebre e omonimo “avvocato”. Come anticipato in precedenza per arrivar fin lassù si dovranno affrontare 6.3 Km di salita caratterizzata da una pendenza media del 7.3%, da un picco massimo del 12% e dai tratti più scoscesi che s’incontreranno nei pressi del cosiddetto Eremo, convento fondato dal duca Carlo Emanuele I di Savoia come ringraziamento dopo la fine della pestilenza che aveva colpito Torino nel 1599 e della cui costruzione originaria sono rimaste solo alcune piccole parti, come la torre dalla quale il duca assistette alla posa della prima pietra del monastero.
Raggiunti il Faro si scenderà verso Pecetto, per poi ritrovare le strade già percorse in precedenza, con lo strappo verso Moncalieri e il finale lungo il Po prima di andare a conoscere la prima maglia rosa dell’edizione 2024.

Mauro Facoltosi

La basilica di Superga e l’altimetria della prima tappa (www.italia.it)

La basilica di Superga e l’altimetria della prima tappa (www.italia.it)

I VALICHI DELLA TAPPA

Sella di Pino (507 metri). Vi transita la Strada Provinciale 5 “di Pino” tra Reaglie e Pino Torinese, nel punto dove vi confluisce la panoramica proveniente da Superga. Il Giro d’Italia vi è transitato l’ultima volta nel 2022, durante la tappa Santena – Torino, vinta da Simon Yates. È stata luogo di passaggio anche alla Milano – Torino, quando la scalata a Superga veniva affrontata dal versante di Baldissero Torinese e l’arrivo era fissato all’interno del Parco del Valentino: è nella discesa da Pino verso Reaglie che nel 1995 avvenne l’incidente che tenne lontano dalle corse per parecchi mesi Marco Pantani. Anche il Giro del Piemonte l’ha inserita in più occasioni nel suo tracciato.

Sella dell’Eremo (621 metri). Valicato dalla Strada Eremo, che mette in comunicazione diretta Torino con Pecetto Torinese evitando l’ascesa fino al Colle della Maddalena. Il Giro d’Italia l’ha toccato nel 2022 durante la pocanzi citata tappa Santena – Torino. Come la Sella di Pino, in passato è stata inserita nel tracciato del Giro del Piemonte.

Nota. Il testo di riferimento è “Valichi stradali d’Italia” di Georges Rossini (editore Ediciclo).

CIAK SI GIRO

Riaperta al pubblico nel 2007 dopo quasi dieci anni di lavori di restauro, preceduti da un periodo d’abbandono e degrado durato decenni, la reggia di Venaria Reale è tornata a mostrarsi in tutta la sua bellezza e di questa bellezza se n’è accorto anche il mondo del cinema. Già l’anno successivo sarà set de “I demoni di San Pietroburgo”, il penultimo film diretto dal regista genovese Giuliano Montaldo, recentemente scomparso. Sarà, però, nel 2013 che la reggia si prenderà la ribalta grazie alle molte scene che vi furono girate per il film “Benvenuto Presidente!”, pellicola nella quale Claudio Bisio interpreta il ruolo di Giuseppe Garibaldi, omonimo dell’eroe dei due mondi e bibliotecario di un piccolo paesino di montagna che si ritrova a sua insaputa nominato Presidente della Repubblica. Non essendo disponibile per ovvie ragioni il Quirinale per le scene ambientate nella residenza ufficiale del capo dello stato si optò per location più a “portata di mano”, realizzando così un collage che mixa i romani Palazzo Farnese e Villa Aurelia (per gli esterni) a edifici situati in Piemonte, dove già erano state girate le scene in montagna, filmate a Sauze di Cesana, non lontano dal Sestriere. Così si vede Bisio in azione tra il Palazzo Civico di Torino, Palazzo Carignano (dove l’attore ha dormito nientemeno nel letto che fu di Camillo Benso Conte di Cavour), la biblioteca dell’Accademia di Scienze (dove Bisio precipita dall’alto tra le braccia della Smutniak) e soprattutto la reggia di Venaria Reale, che si è accaparrata le scene più spettacolari. Il corridoio dove il neoletto presidente viene accolto al Quirinale è la suggestiva Galleria di Diana, mentre è all’interno della cappella della reggia, dedicata a Sant’Uberto, che s’incontrano segretamente i tre politici che tramano alle spalle del presidente per costringerlo alle dimissioni. Ad un certo punto i tre saranno convocati dai “poteri forti”, le eminenze grigie che tessono le reti della politica italiana: nel maestoso ambiente che un tempo ospitava i cavalli alloggiati nelle scuderie juvarriane, i tre si troveranno effettivamente davanti a due colossi, non della politica ma del cinema italiano poiché a interpretare quei ruoli furono, infatti, chiamati due monumenti della “settima arte”, i registi Pupi Avati e Lina Wertmüller.

In collaborazione con www.davinotti.com

La Galleria di Diana della Reggia di Venaria Reale nel film “Benvenuto Presidente!” (www.davinotti.com)

La Galleria di Diana della Reggia di Venaria Reale nel film “Benvenuto Presidente!” (www.davinotti.com)

La Galleria di Diana della Reggia di Venaria Reale nel film “Benvenuto Presidente!” (www.davinotti.com)

Le altre location dei due film citati


https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/i-demoni-di-san-pietroburgo/50013889

https://www.davinotti.com/forum/location-verificate/benvenuto-presidente/50030839

FOTOGALLERY

La reggia di Venaria Reale

Borgaro Torinese, monumento dedicato al “Grande Torino”

Leinì, Torre dell’Ammiraglio

Chivasso, collegiata di Santa Maria Assunta

Colle Don Bosco, casa natale di San Giovanni Bosco

Castello di Moncalieri

Torino, Chiesa della Grande Madre di Dio

Torino, la Villa della Regina vista da uno dei tornanti del Colle della Maddalena

La torre dell’Eremo Camaldolese situato lungo la salita al Colle della Maddalena

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Colle della Maddalena, Il Faro della Vittoria

LIEGI 2023: LE PAGELLE

Le pagelle della Liegi-Bastogne-Liegi 2023

REMCO EVENEPOEL: Concede il bis alla Liegi-Bastogne-Liegi con nonchalance vestendo la maglia di campione del Mondo. Tutti si aspettavano un duello all’ultimo sangue con Pogacar ma una caduta manda ko lo sloveno. Supportato da una grande Soudal Quick-Step, apre le danze sulla Redoute e affonda sul falsopiano seguente prendendo un vantaggio abissale. Vittoria di classe e potenza con il Giro d’Italia alle porte. VOTO 10

BEN HEALY: L’irlandese è la sorpresa di questa primavera, corre con generosità e coraggio. Alla Liegi paga, però, l’inesperienza dovuta alla giovane età. VOTO 7,5

SANTIAGO BUITRAGO: Il colombiano classe 99 della Bahrain termina al terzo posto dimostrando una buona attitudine per le corse di un giorno. VOTO 7

VALENTIN MADOUAS: Il francese era atteso sulle pietre, invece la forma arriva con qualche settimana di ritardo consentendogli di cogliere un buon quinto posto alla Liegi-Bastogne-Liegi. VOTO 6,5

JULIAN ALAPHILIPPE: Cosa si può dire ad un campione del genere quando con grande umiltà si mette a disposizione del giovane capitano Evenepoel? Umile e soprattutto utile. VOTO 6,5

SIMONE VELASCO: Uno dei protagonisti di giornata. È stato uno dei primi attaccanti in questa Liegi-Bastogne-Liegi e si è arreso solo ai piedi della Redoute. VOTO 6,5

THOMAS PIDCOCK: Il corridore della Ineos ripete la stessa corsa fatta all’Amstel, corre stringendo i denti cercando di non perdere le ruote del duo Evenepoel/Pogacar fino a scoppiare dopo i 200 chilometri. Resiste con tenacia nel gruppetto inseguitore, vincendo lo sprint per il secondo posto. Cercasi fondo. VOTO 6

GIULIO CICCONE: Fino a 10 chilometri dall’arrivo e lì tra i primi inseguitori per poi sparire mestamente fuori anche dalla top ten di giornata. Quando Evenepoel fa il vuoto non sfrutta l’occasione di avere Skjelmose come compagno di squadra. VOTO 5

BENOIT COSNEFROY: Dopo una primavera ben corsa, con bei risultati portati a casa, alla Liegi alza bandiera bianca quando mancano oltre 70 chilometri all’arrivo. VOTO 5

TADEJ POGACAR: Una caduta dopo 80 chilometri di corsa gli costano purtroppo una frattura allo scafoide e un’altra al polso. C’era attesa per il duello con Evenepoel, rimandata all’anno prossimo. SENZA VOTO

Luigi Giglio

LIEGI BAGNATA TADEJ SFORTUNATO, REMCO SENZA RIVALI

aprile 23, 2023 by Redazione  
Filed under 7) LIEGI - BASTOGNE - LIEGI, News

Il campione del mondo Remco Evenepoel ha vinto in maglia iridata la edizione numero 109 della Liegi-Bastogne-Liegi, la quarta classica monumento della stagione, con un attacco partito a pochi metri dallo scollinamento della mitica Redoute. La caduta di Tadej Pogacar ha, però, non solo privato gli appassionati di un duello che si annunciava epico, ma anche lo stesso Evenepoel di un vero termine di paragone vista l’enorme differenza emersa nei confronti dei, pur agguerriti, residui rivali.

La prima vera notizia arriva molto presto, intorno al chilometro 90 di gara, quando il gruppo si trova nei pressi di Bastogne. Mikkel Honore (EF Education-EasyPost) e Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) finiscono a terra. Lo sloveno prova a ripartire ma si rende subito conto che non gli sarà possibile portare a termine la corsa. I successivi accertamenti in ospedale confermeranno la frattura dello scafoide e dell’osso semilunare della mano sinistra in conseguenza della quale il capitano del team UAE sarà sottoposto ad intervento chirurgico nelle prossime ore.
A questo punto, l’uomo da battere diventava inevitabilmente il solo Remco Evenepoel (Soudal – Quick Step) e la corsa per la vittoria ha avuto due soli momenti chiave: gli ultimi 200 metri della Redoute e il successivo inedito tratto di salita, pochissimi metri che sono bastati al belga per levarsi di ruota tutti gli avversari e involarsi in solitaria verso il traguardo, continuando ad aumentare il proprio vantaggio, mentre dietro gli altri si davano battaglia per il podio.
Certamente pregevole l’impresa del campione del mondo, che ha centrato la seconda vittoria su due partecipazioni e ha ancora una volta attaccato sulla Redoute, che per molti anni aveva ceduto il primato di punto chiave alla Roche-aux-Faucons, più vicina al traguardo.
Da quando sono arrivati sulla scena uomini come Pogacar ed Evenepoel è invece tornato in auge l’attacco da lontano, sfruttando punti che in passato avevano propiziato grandi imprese e che, negli ultimi anni, avevano perso un po’ di incisività proprio per non essere in linea con la moda dell’attacco nel finale.
La strategia era diventata quella di fare gran ritmo su salite come la Redoute per tentare di mettere fatica nella gambe degli avversari e poi tentare di far la differenza sull’ultima asperità.
Proprio per avere sia Evenepoel sia Pogacar rotto questo schema il loro duello era attesissimo da tutti gli appassionati e probabilmente i due se le sarebbero suonate sulla Redoute e, se non ne fosse uscito un uomo da solo, i contendenti avrebbero continuato a darsele di santa ragione per tutti i chilometri successivi con grande incertezza per la gioia di tutti i tifosi.
La sorte maligna ci ha privati di questo spettacolo, ma comunque la Doyenne, svoltasi per molti chilometri sotto una pioggia che non ha portato fortuna al fuoriclasse sloveno, ci ha regalato una bellissima azione del campione del mondo e una bella battaglia per il podio, nella quale si era inizialmente inserito Giulio Ciccone (Trek – Segafredo), che ha poi un po’ pagato nel finale.
Le corse con elevato chilometraggio del resto sono ancora indigeste a molti in gruppo e coloro che non sono portati per questo genere di sforzi riescono spesso solo con l’esperienza ad ovviare a questo handicap.
Sul versante televisivo non può che commentarsi la pessima copertura offerta dalla RAI che ha mandato in onda solo gli ultimi 50 chilometri di una delle corse più importanti della stagione, vieppiù se si pensa a ciò che si è preferito trasmettere sulla rete sportiva, i campionati nazionali di tuffi e una partita di serie C, eventi che, con tutto il rispetto, mantengono una dimensione nazionale rispetto ad una corsa non solo di livello internazionale, ma tra le più importanti del ciclismo. Su Rai2, invece, si è invece preferito mandare in onda programmi preregistrati che potevano trovare collocazione in qualsiasi altro momento della giornata.
La corsa ha visto il formarsi della fuga sin da subito con l’iniziativa promossa da Lars van den Berg (Groupama-FDJ), alla quale hanno aderito subito Fredrik Dversnes (Uno-X Pro Cycling Team), Johan Meens (Bingoal WB), Jason Osborne (Alpecin-Deceuninck), Simone Velasco (Astana Qazaqstan, Georg Zimmermann (Intermarché – Circus – Wanty). Poco dopo Ruben Apers (Team Flanders – Baloise), Alexandre Balmer (Team Jayco AlUla), Héctor Carretero (Equipo Kern Pharma), Mathis Le Berre (Team Arkéa – Samsic) e Paul Ourselin (TotalEnergies) raggiungono la testa della corsa andando a formare un drappello di 10 uomini che accumulano un vantaggio massimo di poco inferiore ai 5 minuti.
Il tentativo è tenuto agevolmente sotto controllo dal gruppo, che ha visto gli uomini della UAE collaborare in testa sino al chilometro 90, quando la caduta di cui già si è parlato ha messo fuori gioco il leader designato della formazione emiratina. Va detto che il fuoriclasse sloveno non ha alcuna colpa essendo stato coinvolto suo malgrado nell’incidente.
Ai meno 100 provano ad attaccare in gruppo Magnus Sheffield (Ineos), Jan Tratnik (Jumbo-Visma) e Valentin Madouas (Groupama-FDJ), con l’uomo della Jumbo che stacca prima Madouas e poi Sheffield. La conseguente accelerazione del gruppo mette in difficoltà grossi nomi come Mikel Landa (Bahrain – Victorious) ed Enric Mas (Movistar Team), che vengono staccati, mentre anche tra i fuggitivi ci sono defezioni. Davanti restano così in 5 con Osborne, Ourselin, Velasco, Zimmermann e Lars van den Berg.
Tratnik si porta sui fuggivi e prosegue nell’azione, alla quale resiste il solo Velasco, mentre il gruppo continua ad assottigliarsi e altri uomini importanti come Julian Alaphilippe (Soudal – Quick Step) e Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan Team) che perdono contatto.
Sulla Redoute si esaurisce il tentativo del mattino e a quel punto entrano in scena i big.
A tirare a più non posso è Ilan Van Wilder (Soudal-QuickStep) ma, quando Evenepoel accenna un’accelerazione si nota che la sua ruota slitta e il belga aspetta gli ultimi 200 metri per attaccare e rimanere solo senza particolari problemi.
Il tratto sino alla scollinamento, però, è troppo breve per distanziare adeguatamente Tom Pidcock (INEOS Grenadiers), che aveva cercato invano di tenere la ruota. L’abilità in discesa del britannico della Ineos gli permette, però, di riportarsi abbastanza agevolmente sul battistrada.
Tuttavia, nei successivi tratti in ascesa inseriti quest’anno per la prima volta al posto del falsopiano Evenepoel riesce a levarsi di ruota Pidcock senza neppure scattare, semplicemente con il ritmo elevato. Il belga si alzerà sui pedali solo dopo aver notato che il portacolori della Ineos aveva mollato la presa.
Ancor più dietro cercano di tenere duro e riportarsi su Pidcock anche i due della Trek Giulio Ciccone e Mattias Skjelmose. L’operazione si rivela più complicata del previsto tanto che, poco dopo il ricongiungimento, il trio viene raggiunto in un batter d’occhio da Ben Healy (EF Education-EasyPost) e poi dal resto del gruppo, che ormai è ridotto a circa 20 unità.
Mentre davanti Evenepoel procede nel suo assolo continuando a guadagnare, Healy e Santiago Buitrago (Bahrain – Victorious) allungano sulla Roche-aux-Faucons. A loro riesce comunque ad accodarsi uno stoico Pidcock che, dopo il tentativo di mantenere la ruota di Evenepoel, sembrava aver esaurito la benzina.
Sarà proprio il vincitore dell’ultima Strade Bianche a conquistare la volata per il secondo posto su Buitrago e su Healy, che manca il podio dopo essersi accollato il maggior peso nell’attacco.
Come si era detto in apertura, per la vittoria non c’è stata storia. Si è visto subito che Evenepoel aveva un altro passo rispetto a tutti. Sono bastati 200 metri per levarsi tutti di ruota e poi, dopo che Pidcock si era accodato sfruttando la discesa, è stato sufficiente un ritmo regolare ma molto elevato per chiudere la partita definitivamente. L’assenza di Pogacar in questo senso è stata una sciagura ancor più grande, anche se la lotta per il podio si è comunque rivelata appassionante.
Chiusa la stagione delle classiche di primavera che hanno offerto quest’anno un grande spettacolo, manca solo il Giro di Romandia prima di poter gustare un giro d’italia che tutti ci auguriamo appassionante e spettacolare come sono state le classiche. Sarà anche l’occasione per verificare su un terreno più significativo della Vuelta i miglioramenti di Evenepoel nella corse a tappe.

Benedetto Ciccarone

Evenepoel vola a prendersi la sua seconda Liegi consecutiva (Getty Images)

Evenepoel vola a prendersi la sua seconda Liegi consecutiva (Getty Images)

POGACAR SEMPRE PIU’ ALIENO. SUA ANCHE LA FRECCIA VALLONE

aprile 19, 2023 by Redazione  
Filed under 6) FRECCIA VALLONE, News

Con una progressione fulminante a circa 150 metri dall’arrivo, Tadej Pogacar (UAE Team Emirates), conquista la sua prima Freccia Vallone demolendo la resistenza degli avversari e confermando di essere uno dei più forti ciclisti in circolazione. Mattias Skjelmose Jensen (Team Trek Segafredo) è secondo e primo degli umani. Buon quinto posto per il compagno di squadra Giulio Ciccone, primo italiano al traguardo

La Freccia Vallone propone ancora un percorso esplosivo, con tre passaggi sul Muro de Huy, simbolo di questa corsa. Alla partenza è assente Dylan Teuns (Team Israel Premier Tech), vincitore lo scorso anno. E, nonostante fosse iscritto, non prende il via neanche Benoit Cosnefroy (AG2R Citroen), la cui forma lascia a desiderare. La fuga di giornata, partita dopo una quindicina di km, vedeva protagonisti otto ciclisti, ovvero Daryl Impey (Team Israel Premier Tech), Lawrence Naesen (Team AG2R Citroen), Georg Zimmermann (Team Intermarchè Circus Wanty), Jakob Hindsgaul (Uno-X Pro Cycling Team), Soren Kragh Anderson (Team Alpecin Deceuninck), Raul Garcia Pierna (Team Kern Pharma), Johan Meens (Team Bingoal WB) e Jetse Bol (Team Burgos BH). Le squadre maggiormente impegnati nell’inseguimento sono state l’UAE Team Emirates ed il Team INEOS Grenadiers. La fuga ha raggiunto un vantaggio massimo di 3 minuti e 50 secondi intorno al km 60 salvo poi scendere progressivamente. A circa metà del percorso facevano capolino in testa al gruppo anche uomini della Jumbo Visma e dell’EF Education EasyPost. Il primo nome caldo ad alzare bandiera bianca era David Gaudu (Team Groupama FDJ), quando veniva scalato per la prima volta il Mur de Huy. Il francese metteva addirittura il piede a terra e si ritirava, quando mancavano 75 alla conclusione. Il primo fuggitivo a rialzarsi e ad essere ripreso dal gruppo inseguitore era Naesen. La fuga perdeva altri pezzi nei successivi 30 km ed a 47 km dalla conclusione restavano in testa alla corsa soltanto Zimmermann e Kragh Andersen, che scollinavano sul secondo Mur de Huy con un vantaggio risicato sul gruppo inseguitore dove adesso faceva la voce grossa l’UAE Team Emirates. A 35 km dall’arrivo Samuele Battistella (Team Astana Qazaqstan) e Louis Vervaeke (Team Soudal Quick Step) raggiungevano la testa della corsa. A 21 km dall’arrivo una caduta nel gruppo metteva fuori gioco, tra gli altri, Neilson Powless (Team EF Education EasyPost) e Jesus Herrada (Team Cofidis). Vervaeke restava da solo in testa alla corsa a poco meno di 7 km dalla conclusione. Il gruppo riprendeva il ciclista belga poco prima del passaggio sotto lo striscione dell’ultimo km, quando i big erano già tutti davanti per dare tutto sulle pendenze in doppia cifra. Era Michael Woods (Team Israel Premier Tech) il primo ad allungare a circa 400 km dalla conclusione ma alla sua ruota restava attaccato, apparentemente senza difficoltà, Tadej Pogacag (UAE Team Emirates), che superava sullo slancio il ciclista canadese con un’imperiosa accelerazione. Lo sloveno andava a vincere precedendo sul traguardo un ottimo Mattias Skjelmose Jensen (Team Trek Segafredo), secondo e primo degli umani. Terzo a 3 secondi di ritardo era Mikel Landa (Team Bahrain Victorious) mentre chiudevano la top five Woods in quarta posizione e Giulio Ciccone (Team Trek Segafredo) in quinta posizione. Non ci sono più parole per descrivere Tadej Pogacar, probabilmente all’apice o quantomeno ad uno degli apici della sua carriera, avendo già vinto nel 2023 sei delle otto corse (tra corse di un giorno e corse a tappe) a cui ha partecipato. E non finisce qui, visto che il fenomeno sloveno è atteso domenica ad un’altre prova di forza alla Liegi-Bastogne-Liegi, dove si scontrerà con un certo Remco Evenepoel.

Antonio Scarfone

Tadej Pogacar vince la Freccia Vallone 2023 (foto: Getty Images Sport)

Tadej Pogacar vince la Freccia Vallone 2023 (foto: Getty Images Sport)

AMSTEL 2023: LE PAGELLE

aprile 16, 2023 by Redazione  
Filed under 5) AMSTEL GOLD RACE, Approfondimenti

TADEJ POGACAR: Con una superiorità netta rispetto a tutti gli altri ciclisti, il fuoriclasse sloveno della UAE-Team Emirates si è aggiudicato la 57ª edizione della classica che si corre nel Limburgo. Vittoria ottenuta con un capolavoro assoluto correndo sempre da protagonista, attaccando quando e come ha voluto. Non ha mai sofferto nessun attacco da parte dei suoi avversari e ha dimostrato ancora una volta, per coloro che ancora non lo avessero capito, di essere in grado di vincere allo stesso modo e con la medesima facilità i Grandi Giri e le corse da un giorno. VOTO 10 E LODE

BEN HEALY: L’irlandese è la sorpresa di giornata, il secondo posto rende onore a questa giovane promessa della Ef Education-EasyPost che nel 2023 sta sfoggiando ottime prestazioni. Grande tenacia quando rientra su Pogacar e Pidcock, non si risparmia e prova con coraggio a rientrare sullo sloveno quando prende il largo. VOTO 7,5

THOMAS PIDCOCK: È l’ultimo ad arrendersi al nuovo cannibale Pogacar. Pidcock prova a tenergli la ruota ad ogni costo facendo qualche fuorigiri di troppo. Paga lo sforzo scoppiando negli ultimi chilometri e perdendo terreno anche da Healy. VOTO: 6,5

ALEXEY LUTSENKO e ANDREAS KRON: I due corridori si fanno trovare pronti ai primi attacchi di Pogacar, resistono finché possono per poi ritrovarsi da soli all’inseguimento del terzetto Pogacar-Healy-Pidcock. Il loro inseguimento è stoico, non tanto per il risultato ma per aver collaborato per tantissimi chilometri nonostante i continui litigi e insulti scambiati. VOTO 6,5

ANDREA BAGIOLI: Arriva sesto a oltre tre minuti da Pogacar. In una corsa tra umani avrebbe potuto tentare l’assalto a un risultato più prestigioso, ma ha trovato sulla sua strada un extraterrestre. VOTO 6

MICHAL KWIATKOWSKI: Lui l’Amstel l’ha già vinta e prova a vendere cara la pelle. Sulle salite il passo non è quello dei giorni migliori e i rivali sono troppo forti. VOTO 5,5

NEILSON POWLESS: il corridore statunitense si fa trovare impreparato quando i big attaccano e spezzano la corsa. Una volta attardato viene anche coinvolto in una caduta che lo mette definitivamente fuori dai giochi. VOTO 5

Luigi Giglio

POGACAR PIGLIATUTTO: L’AMSTEL E’ SUA E PUNTA AL TRIS ALLE ARDENNE

aprile 16, 2023 by Redazione  
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Tadej Pogacar ha vinto l’Amstel Gold Race con un attacco partito a 90 Km dall’arrivo insieme ad un gruppo di 16 uomini che ha sgretolato un po’ per volta sino a rimanere da solo ai meno 27. In realtà non c’è stata storia, senza Van der Poel e Van Aert: la superiorità dello sloveno è stata netta anche nei confronti di Pidcock,l che pure aveva fatto una impresa proprio in stile Pogacar alla Strade Bianche.

Niente da fare: disco rosso per tutti.
Gli aggettivi per definire Tadej Pogacar si sono ormai esauriti e quindi tanto vale definirlo semplicemente per quello che è: un fuoriclasse. Quando punta ad una corsa non ce n’è per nessuno, con qualche rarissima eccezione, come ad esempio la Sanremo, con la quale ha ancora un conto aperto e che vuole vincere nonostante non sia affatto adatta alla sue caratteristiche.
Pogacar ha dichiarato di voler disputare tutte e tre le corse delle Ardenne (Amstel, Freccia e Liegi) per vincerle nello stesso anno e realizzare così uno storico tris.
La cosa, a quanto pare, è iniziata nel migliore dei modi, visto che lo sloveno oggi ne ha fatta una delle sue.
Non appena il gruppo ha ripreso la fuga del mattino, quando mancavano ancora 90 Km allo striscione del traguardo, è nato un tentativo con sedici uomini di primo piano nel quale il capitano UAE si è inserito senza farsi pregare.
Le manovre di inseguimento, forse non organizzate al meglio, non hanno avuto esito ma lo sloveno non si è limitato ad inserirsi nella fuga ed a dare il suo contributo. Invece, ha piazzato accelerate su ogni collina, assottigliando sempre di più il drappello fino a rimanere con i soli Thomas Pidcock (INEOS Grenadiers) e Ben Healy (EF Education-EasyPost) che sono stati messi in croce e staccati perentoriamente sul Keutenberg.
Da lì, un assolo di 30 chilometri come tanti ne abbiamo visti sinora, il vantaggio che sale inesorabilmente poco alla volta grazie a un ritmo regolare ma molto elevato, che dietro non riescono proprio a tenere. I vari gruppi formatisi al suo inseguimento hanno continuato a perdere e al traguardo i distacchi sono stati abissali. Solo un ottimo Healy ha tentato di reagire intorno ai -13, attaccando a testa bassa Pidcock, che ha dovuto cedere e ha rischiato di perdere il podio. Con l’attacco Haely ha recuperato una quindicina di secondi sino a portarsi a 20 dal battistrada ma, quando Pogacar ha visto assottigliarsi il gap ha aumentato il ritmo e il vantaggio ha ripreso a lievitare fino a quando l’irlandese ha un po’ pagato lo sforzo e si è arreso, tagliando comunque il traguardo con un braccio alzato per festeggiare quello che è per lui è comunque un gran risultato.
In un simile quadro la cronaca della corsa diventa un elemento quasi relativo.
La fuga, partita nei primi chilometri, è formata da Alessandro Fedeli (Q36.5 Pro Cycling Team), Leon Heinschke (Team DSM), Tobias Ludvigsson (Q36.5 Pro Cycling Team), Martin Urianstad (Uno-X), Mathias Vacek (Trek – Segafredo), Ward Vanhoof (Team Flanders – Baloise) e Mattéo Vercher (TotalEnergies). Il vantaggio massimo di questi uomini arriverà a toccare i 4 minuti e mezzo per poi ridursi fino ad essere annullato intorno ai 100 Km dalla conclusione.
A questo punto, è già il momento decisivo, attaccano Pogacar, Healy, Pidcock, Gianni Veermersch (Alpecin), Kévin Geniets (Groupama – FDJ), Christopher Juul-Jensen (Team Jayco – AlUla), Andreas Kron (Lotto Dstny), Arjen Livyns (Lotto Dstny), Alexey Lutsenko (Astana Qazaqstan Team), Quentin Pacher (Groupama – FDJ), Magnus Sheffield (INEOS Grenadiers), Matteo Sobrero (Team Jayco – AlUla), Tosh Van Der Sande (Jumbo-Visma), Axel Zingle (Cofidis), Lars van den Berg (Groupama – FDJ) e Stan Van Tricht (Soudal – QuickStep).
Sono presenti molti uomini rappresentativi di diverse squadre e quindi in gruppo sono poche le formazioni che si incaricano dell’inseguimento; lo scarso coordinamento tra loro non aiuta.
Pogacar parla spesso via radio con l’ammiraglia che in un primo tempo non riesce ad avvicinarsi, finché sul Kruisberg raggiunge il capitano che cambia la bicicletta.
Su questa salita attaccano Andrea Bagioli (Soudal-QuickStep), Jai Hindley (Bora-hansgrohe), Tiesj Benoot (Jumbo-Visma) e Alexander Kamp (Tudor Pro Cycling), che rispondono a una accelerazione di Matteo Trentin (UAE Team Emirates) e Ide Schelling (BORA – hansgrohe), che vengono ripresi e staccati. Sul quartetto di contrattaccanti si riportano pure Mattias Skjelmose Jensen (Trek – Segafredo) e Maxim Van Gils (Lotto Dstny). Il drappello arriva sino a 15 secondi dalla testa della corsa, ma sull’Eyserbosweg Pogacar fa il diavolo a quattro e solo Pidcock resiste, mentre Healy si riporta sulla coppia in un secondo momento, gestendosi molto bene. Invece, Lutsenko e Kron non riescono a seguire l’irlandese.
Questa battaglia taglia fuori dai giochi il gruppetto di Bagioli, che continua a perdere terreno.
Sul Keutenberg Pogacar piazza il colpo del knock out, staccando senza pietà Pidcock e Healy. In un primo tempo Pidcock rimane da solo all’inseguimento ma successivamente Healy si riporta su di lui ed ai -13 riuscirà anche a staccarlo.
Healy taglia il traguardo con un distacco di 38 secondi mentre Pidcock, molto provato nel finale, ha rischiato di perdere il podio venendo praticamente raggiunto dalla coppia Kron – Lutsenko, giunta con un ritardo di oltre 2 minuti.
A oltre 3 minuti il gruppo di Bagioli, regolato in volata proprio dall’italiano.
Forse gli inseguimenti non sono stati organizzati bene ed è mancata la collaborazione tra le squadre, ma è anche vero che quando va via un gruppo con quei componenti il rischio che almeno qualcuno vada all’arrivo è molto alto, per cui quelli che puntano alla vittoria devono inserirsi (cosa che Pogacar ha dimostrato di aver capito). Semmai il problema sta nel fatto che la moderna cultura del ciclismo fa considerare scriteriato un tentativo che parte da così lontano. Da quando, però, sono comparsi sulla scena atleti come Mathieu van der Poel, Wout Van Aert e Pogacar questi schemi mentali devono cambiare, perché questi corridori hanno dimostrato di essere capaci di tirare fuori il coniglio dal cilindro in ogni gara. Ovviamente per potersi inserire nei vari tentativi non basta solo la lettura tattica, ma servono anche le gambe che indubbiamente fanno la differenza.
L’impresa di oggi, con l’attacco partito a 90 Km dal traguardo, dimostra che non è affatto vero quel che da più parti si va dicendo, ossia che si dovrebbero ridurre i chilometraggi dei tracciati per avere più spettacolo. Simili assurde tesi sono portate avanti soprattutto dalle televisioni, che puntano a far adattare gli sport alle loro esigenze e ai loro tempi. E’ invece importante lottare in ogni modo contro questa insana sottocultura affaristica che fa dello sport un prodotto economico. Occorre resistere per difendere la bellezza, il fascino, la vera emozione e il valore sportivo della tradizione ciclistica.
Dopo la grande impresa di oggi, si attende Pogacar mercoledì alla Freccia Vallone, secondo atto delle Ardenne che lo sloveno intende conquistare.
Si tratta di una corsa ancor più antica ed iconica dell’Amstel, tuttavia l’aver posto l’arrivo sul durissimo muro di Huy ha portato spesso a una corsa decisa all’ultimo chilometro, senza particolari sussulti nei chilometri precedenti. Visto, però, il modo di correre del fuoriclasse sloveno gli appassionati sono legittimati ad aspettarsi lo spettacolo che una corsa di tradizione come la Freccia Vallone merita.

Benedetto Ciccarone

Il decisivo attacco di Pogacar sulle strade del Limburgo (Getty Images)

Il decisivo attacco di Pogacar sulle strade del Limburgo (Getty Images)

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