IL CAPOLAVORO DI FORMOLO. E’ SUA LA COPPA AGOSTONI
In una Coppa Agostoni corsa con grande ritmo e mordente soprattutto dall’UAE Team Emirates, la formazione sulla carta più forte, Davide Formolo parte a 11 km dall’arrivo ‘coprendo’ il compagno di squadra Marc Hirschi e costringendo gli inseguitori a spremersi per andarlo a riprendere. E invece di essere ripreso, ‘Roccia’ aumenta il vantaggio e va a vincere in solitaria sul traguardo di Lissone, riportando la Coppa Agostoni in Italia dopo che l’ultimo ciclista italiano ad averla vinta era stato Gianni Moscon nel 2018
La Coppa Agostoni, primo atto del Trittico Lombardo, presenta il consueto percorso di 195 km, identico a quello dell’edizione 2022, ed il cui piatto forte è il circuito centrale da ripetere quattro volte con le tre salite di Sirtori, Colle Brianza e Lissolo. Ai nastri di partenza è presente Sjoerd Bax, vincitore a sorpresa lo scorso anno, accompagnato da una UAE Team Emirates che fa la voce grossa schierando anche altri papabili alla vittoria finale come Marc Hirschi, Diego Ulissi, Davide Formolo e Felix Grossschartner. La forte formazione emiratina dovrà squadre comunque ben assortite e tra quelle WT si segnalano l’Astana Qazaqstan con il campione italiano Simone Velasco e la Jayco AlUla con una coppia di tutto rispetto formata da Simon Yates ed Enrico Zana. Dopo una trentina di km dalla partenza si formava la fuga di giornata composta da cinque uomini: Quinten Hermans (Team Alpecin Deceuninck), Maxime Bouet (Team Arkea Samsic), Oscar Rodriguez (Team Movistar), Matteo Vercher (Team TotalEnergies) e Marco Tizza (Team Bingoal WB). Per il momento il gruppo lasciava fare ed il vantaggio della fuga si avvicinava ai 2 minuti dopo quando la corsa raggiungeva il km 60. La fuga entrava nel circuito centrale da percorrere quattro volta con circa 1 minuto e mezzo di vantaggio sul gruppo inseguitore, tirato manco a dirlo dagli uomini dell’UAE Team Emirates. A 80 km dalla conclusione il vantaggio dei cinque uomini di testa era sceso a 1 minuto. All’inizio del terzo giro del circuito si facevano sfilare Tizza e Bouet, i primi due fuggitivi ad essere ripresi dal gruppo. La terza ascesa verso il Lissolo metteva fine definitivamente alla fuga, visto che anche Vercher, Hermans e Rodriguez venivano ripresi dal gruppo. All’inizio dell’ultimo dei quattro ‘passaggi’ del circuito del Lissolo in testa restavano in sei: Davide Formolo (UAE Team Emirates), Chris Harper (Team Jayco AlUla), Ivan Garcia Cortina (Team Movistar), Victor Lafay (Team Cofidis), Clement Berthet (Team AG2R Citroen) e Warren Barguil (Team Arkea Samsic). Il gruppo inseguitore, piuttosto frazionato, era segnalato a circa 15 secondi di ritardo quando mancavano 45 km alla conclusione. Berthet e Cortina non riuscivano a tenere le ruote dei compagni d’attacco sull’ultima scalata del Lissolo mentre uno strepitoso Marc Hirschi (UAE Team Emirates) trainava un drappello di contrattaccanti all’inseguimento dei battistrada. Lo svizzero raggiungeva tutto solo la testa della corsa che manteneva un minuto circa di vantaggio sul primo gruppo inseguitore che comprendeva tra gli altri Diego Ulissi e Sjoerd Bax (UAE Team Emirates), Ben O’Connor (Team AG2R Citroen), Filippo Zana e Simon Yates (Team Jayco AlUla). Ulissi a sua volta accelerava e provava a riportarsi sulla testa della corsa a una ventina di km dalla conclusione. Era Formolo a mantenere alta l’andatura. A 11 km dalla conclusione partiva come un razzo Davide Formolo. Il ciclista veneto, dopo aver lavorato per Hirschi, attaccava e così facendo costringeva ad Harper, Barguil e Lafay di mettersi al suo inseguimento, consentendo così a Hirschi di restare coperto dietro i tre inseguitori. Invece di essere ripreso, Formolo aumentava l’andatura ed il suo vantaggio raggiungeva i 30 secondi sugli immediati inseguitori a 3 km dalla conclusione. Il ciclista veneto andava così a trionfare sul traguardo di Lissone per una delle più belle vittorie conquistate in carriera, vittoria che tra l’altro mancava a Formolo da Agosto 2020 quando nel post covid si impose nella terza tappa del Criterium del Delfinato da Corenc a Saint-Martin-de-Belleville. In seconda posizione si piazzava Hirschi, che aveva staccato i compagni di inseguimento. Lo svizzero giungeva sul traguardo con 32 secondi di ritardo da Formolo. Lo sprint per la terza piazza era vinto da Lafay mentre chiudevano la top five Barguil in quarta posizione ed Harper in quinta posizione, tutti e tre a 51 secondi di ritardo da Formolo. Si segnalavano nella top ten anche il sesto posso di Ulissi, l’ottavo posto di Vincenzo Albanese (Team EOLO Kometa) ed il decimo posto di Alessandro Verre (Team Arkea Samsic). Coppa Bernocchi e Tre Valli Varesine, seconda e terza corsa del trittico Lombardo, sono in programma a inizio Ottobre, mentre dopodomani si disputerà il Giro dell’Emilia, una delle corse più attese dell’autunno ciclistico italiano, in cui l’UAE Team parteciperà in massa con un’altra squadra a dir poco fenomenale composta dal terzetto delle meraviglie formato da Adam Yates, Tades Pogacar e Juan Ayuso. Chi sarà la squadra la battere (di nuovo) ?
Antonio Scarfone

Davide Formolo vince la Coppa Agostoni 2023 (foto: Stuart Franklin/Getty Images)
TOBIAS JOHANNESSEN VINCE L’ULTIMA TAPPA, A MARC HIRSCHI IL GIRO DEL LUSSEMBURGO
Tobias Johannessen (Uno-X Pro Cycling) grazie ad un’azione da finisseur va a vincere l’ultima tappa del Giro del Lussemburgo 2023, la volata del gruppetto inseguitore, sganciatosi dal gruppo dei migliori, è vinta da Alex Aranburu (Movistar) in terza posizione Franck Bonnamour (Ag2r Citroën).
Nell’ultima la tappa del Giro del Lussemburgo 2023 le posizioni di classifica generale, le prime due in particolare, sembrano blindate dagli uomini della UAE Team Emirates con Hirschi che veste la maglia da leader seguito da McNulty, anche per questa ragione la fuga della prima ora stenta a formarsi, bisogna infatti aspettare circa 65 Km per veder andare via un tentativo di attacco, va così a formarsi un gruppetto con dentro npve uomini: Asbjorn Hellemose (Lidl-Trek), Marco Haller (Austria), Alexandre Delettre (Cofidis), Magnus Cort (EF Education-EasyPost), Juri Hollman (Movistar), Andrea Bagioli (Soudal-QuickStep), Lennert Teugels (Bingoal WB), Krists Neilands (Israel-Premier Tech) e Adne Holter (Uno-X Pro Cycling Team). Ai nove si accodano poco dopo nonostante un estenuate inseguimento Julian Alaphilippe (Soudal-QuickStep), Victor Campenaerts (Lotto Dstny) e William Barta (Movistar). Il gruppetto dei dodici a metà tappa guadagna un vantaggio di circa 2’:30”. Nel gruppo in testa fa capolino diverse squadre per ricucire, abbiamo la Jumbo-Visma, la Ag2r Citroen, l’Alpecin-Deceuninck ed il Team Arkéa-Samsic. Nei restanti chilometri il vantaggio dei fuggitivi si dimezza ed iniziano in testa i primi scatti che logorano la fuga, da solo al comando della corsa, mentre gli altri undici vengono man mano ripresi dal gruppo resta Bagioli, l’italiano entra nel circuito che caratterizza il finale della tappa ma sulle prime rampe del Pabeierbierg, a circa 26 chilometri dall’arrivo, viene ripreso. A questo punto è la EF Education – EasyPost a forzare l’andatura in virtù di Ben Healy, terzo in classifica generale dietro la coppia della UAE Team Emirates, l’irlandese ha nel campione olimpico Richard Carapaz un gregario di lusso che allunga tutto il gruppo dei migliori, ma l’azione di Carapaz mette proprio in difficoltà Healy che addirittura perde inizialmente contatto per poi riaccodarsi ai migliori, nel frattempo Marc Hirschi guadagna all’intermedio 2” e, di fatto, ipoteca ancor di più il Giro del Lussemburgo 2023. Vista la giornata no dell’irlandese Carapaz decide di muoversi per la propria possibile vittoria di tappa, al suo scatto segue quello di Alexis Guerin (Bingoal WB). I due riescono a guadagnare una trentina di secondi, ma la UAE Team Emirates controlla la corsa, andando a riprenderli poco dopo l’ultimo passaggio dal traguardo, Ilan Van Wilder (Soudal-QuickStep) passa per primo è va a prendersi un secondo di abbuono che gli permette di superare in classifica generale Diego Ulissi (UAE Team Emiraets). La coppia in testa è ripresa a 10 Km dall’arrivo ma non è finita qua, uno scatto è piazzato da Ewen Costiou ( Arkéa-Samsic ), sul francese rientrano Natnael Tesfazion (Lidl-Trek), Franck Bonnamour (Ag2r Citroën), Valentin Madouas (Groupama-FDJ), Gregor Muhlberger (Movistar), Luca Vergallito (Alpecin-Deceuninck), Hugo Houle (Israel – Premier Tech), Mauri Vansevenant (Soudal-QuickStep), Felix Gall (Ag2r Citroën), Bob Jungels (Bora-hansgrohe), Oliver Knight (Cofidis), Alex Aranburu (Movistar), Maxim Van Gils (Lotto Dstny) e Tobias Johannessen (Uno-X Pro Cycling) mentre dietro i migliori della classifica generale lasciano fare. Ai meno due chilometri dalla conclusione Tobias Johannessen piazza la zampata che risulterà decisiva, il norvegese mette tra sè ed un gruppetto inseguitore che pian piano si sfalda perdendo pezzi sempre più spazio e quindi secondi diventando irraggiungibile anche per Madouas e Gall tra i più attivi per cercare di riportarsi sotto. la volata del gruppetto inseguitore è vinta da Alex Aranburu (Movistar) in terza posizione Franck Bonnamour (Ag2r Citroën). Arrivato tranquillamente in gruppo, Marc Hirschi conquista la classifica generale davanti al compagno Brandon McNulty e Ben Healy.
Antonio Scarfone

Tobias Johannessen vince l'ultima tappa del Giro del Lussemburgo 2023 (Photo credit. Getty Images)
LA VAM-PATA DI LAPORTE. IL FRANCESE E’ CAMPIONE D’EUROPA 2023
Un’accelerazione irresistibile a 2 giri dalla conclusione permette a Christophe Laporte (Francia) di avvantaggiarsi sul gruppetto di testa. Il francese dà fondo alle energie residue e resiste fin sul traguardo del Col du Vam al recupero di Wout van Aert (Belgio) che non riesce a dare la stoccata decisiva nei metri finali. Olav Kooij (Olanda) è terzo mentre l’Italia annaspa nelle retrovie dopo la caduta di Filippo Ganna, capitano designato, a circa 25 km dalla conclusione
Il Col du Vam o Vamberg sarà oppure no il protagonista dei Campionati Europei 2023? La breve salitella con tratti in acciottolato che si affronterà nel circuito finale da ripetere sette volte è il grande enigma dell’edizione di quest’anno. La lunghezza praticamente irrilevante – soltanto 400 metri – è controbilanciata da pendenze in doppia cifra che potrebbero tarpare le ali ai velocisti puri mentre i finisseur e in generale coloro che hanno nello scatto fulmineo il loro cavallo di battaglia potrebbero essere avvantaggiati. E poi, altra variabile da non sottovalutare, la volontà di squadre come Olanda e Francia sarà quella di tenere la corsa chiusa per favorire Olav Kooij ed Arnaud Demare? Belgio e Danimarca, d’altra parte, nicchiano alle spalle avendo due pericolosissimi stoccatori che rispondono ai nomi di Wout van Aert e Mads Pedersen. Nella formazione belga condividerà i gradi di capitano Arnaud de Lie, che ha dimostrato di avere una grande gamba nelle precedenti corse canadesi e che può a ben vedere dire la sua. L’Italia si presenta in Olanda con una formazione solida tutta attorno a Filippo Ganna che ha le qualità giuste per ambire al podio. Sui 137 partenti, sono molti gli outsider che potrebbero emergere dal lotto dei ciclisti meno favoriti, soprattutto se la corsa si infiammerà negli ultimi giri del circuito. Forfait dell’ultima ora erano quelli di Jasper De Buyst e di Søren Wærenskjold che costringevano così Belgio e Norvegia a correre con un uomo in meno. Nei primi quindici km di corsa si formava la fuga di giornata grazie all’azione di cinque ciclisti: Joshua Tarling (Regno Unito), Stefan Bissegger (Svizzera), Rory Townsend (Irlanda), Mathias Vacek (Repubblica Ceca) e Norman Vahtra (Estonia). Il gruppo non lasciava troppo spazio ai fuggitivi che raggiungevano un vantaggio massimo di 2 minuti. In testa al gruppo Tim Declerq (Belgio) lavorava strenuamente per contenere il distacco ed anche la nazionale danese era tutta compatta nelle prime posizioni attorno al capitano designato Mads Pedersen. Al km 85 una caduta a centro gruppo coinvolgeva una quindicina di ciclisti. Il più malconcio era Bauke Mollema (Olanda) che era costretto al ritiro. Il gruppo si spezzava in due tronconi ben distinti ma dopo qualche km ritornava compatto all’inseguimento dei cinque ciclisti in testa alla corsa. A metà corsa il vantaggio dei fuggitivi era sceso a 50 secondi. Il gruppo giungeva sul circuito finale del Col du Vam avendo una ventina di secondi di ritardo sui fuggitivi. Vahtra era il primo fuggitivo a rialzarsi ed a venire ripreso dal gruppo. Tarling seguiva poco dopo la stessa sorte. A 75 km dalla conclusione i tre ciclisti rimasti in testa avevano ancora 23 secondi di vantaggio sul gruppo inseguitore, in testa al quale si era portata per la prima volta la nazionale olandese. Anche Townsend si rialzava e veniva ripreso dal gruppo. A 49 km dalla conclusione uscivano allo scoperto Jakan Primozic (Slovenia) e Tilen Finkst (Slovacchia). IL tentativo dei contrattaccanti durava non più di qualche km salvo esaurirsi a circa 37 km dalla conclusione. Nel frattempo Vacek e Bissegger vedevano diminuire sempre di più il loro vantaggio nei confronti del gruppo inseguitore. La coppia di testa veniva infine raggiunta a 31 km dal termine dopo un’accelerazione da parte dell’Italia che si era insediata nelle prime posizioni del gruppo. Filippo Ganna si faceva vedere in testa sulla terzultima ascesa del Col du Vam, anche per capire quali e quanti avversari restavano nel gruppo. A 26 km dalla conclusione Christophe Laporte (Francia) aumentava l’andatura e in coppia con Mike Teunissen (Olanda) aumentava il vantaggio sugli immediati inseguitori. Ganna, rimasto attardato per una caduta, cercava di rientrare nel primo gruppo inseguitore aiutato dai propri compagni di squadra. In testa alla corsa intanto Teunissen e Laporte erano stati raggiunti da Andreas Kron e Mads Pedersen (Danimarca), Olav Kooij (Olanda), Wout van Aert ed Arnaud De Lie (Belgio), Sandy Dujardin (Francia), Rasmus Tiller (Norvegia) e John Degenkolb (Germania). I dieci ciclista in testa collaboravano tutti insieme e riuscivano a mantenere un vantaggio di una trentina di secondi sul primo gruppo inseguitore. A 12 km dalla conclusione una nuova accelerazione di Christophe Laporte rompeva l’armonia degli uomini di testa. Il francese in un primo momento restava a vista degli altri nove ma nel giro di un paio di km il suo vantaggio aumentava fino a 15 secondi. Gli ultimi 2 km erano un concentrato di emozioni con De Lie e Van Aert che tentavano il tutto per tutto nel tentativo di ricucire sul francese e quasi ci riuscivano ma un ultimo allungo di Laporte a meno di 100 metri del traguardo era letale ed il francese si portava a casa una vittoria sofferta ma piena di soddisfazioni. Van Aert era secondo mentre Kooij era terzo. Chiudevano la top five De Lie in quarta posizione e Teunissen in quinta posizione, quest’ultimo con 8 secondi di ritardo da Laporte. Trentin era mestamente quattordicesimo e primo degli italiani a 40 secondi di ritardo da Laporte mentre uno sconsolato Ganna terminava addirittura trentasettesimo a 3 minuti e 30 secondi di ritardo da Laporte. Da segnalare per curiosità che il podio europeo 2023 comprende tre ciclisti del Team Jumbo Visma e le triplette dello squadrone olandese non fanno quasi più notizia. Laporte per un anno potrà così fregiarsi del titolo di campione d’Europa, primo ciclista francese a poterlo fare, dopo che Alaphilippe nel 2016 e due volte Arnaud Demare nel 2020 e nel 2022 furono medaglia d’argento.
Antonio Scarfone

Christophe Laporte vince il Campionato Europeo 2023 (foto: Getty Images)
VICTOR CAMPENAERTS SI IMPONE NELLA CRONO AL GIRO DEL LUSSEMBURGO
Victor Campenaers (Lotto-Dstny) è artefice di una gran prova a cronometro al Giro del Lussemburgo 2023, il belga riesce a vincere la prova contro il tempo per un solo secondo sul grande favorito di giornata Brandon McNulty (UAE Team Emirates), terzo chiude Diego Ulissi (UAE Team Emirates).
La cronometro del Giro del Lussemburgo 2023 rimescola le carte in gioco e fa sì che la classifica generale venga rimodellata in modo significativo perchè il leader Ben Helay (EF Education-EasyPost) termina la prova a 49” dal vincitore di giornata il belga Victor Campenaers (Lotto-Dstny) che lontano dalle posizioni di testa sfoggia una gran prestazione e vince per un solo secondo sul favorito di giornata Brandon McNulty (UAE Team Emirates) che si vede in seconda posizione anche in classifica generale dal nuovo leader, suo compagno di squadra, Marc Hirschi (UAE Team Emirates) per soli 2” nonostante la prova dello svizzero che termina la cronometro a 27” dal belga. In terza posizione chiude Diego Ulissi (UAE Team Emirates) mentre scivola al terzo posto della generale Ben Helay (EF Education-EasyPost). Domani l’ultima tappa con diversi strappi nel finale che rendono questa edizione in certa fino all’ultimo metro perchè in soli tre secondi sono racchiusi i tre possibili vincitori con la UAE Team Emirates però che sembra avere la corsa in pugno grazie a Hirschi e McNultyche che a questo punto devono solo vedersi dall’irlandese Helay.
Antonio Scarfone

Victor Campenaerts impegnato nella cronometro del Giro del Lussemburgo 2023 (Image credit: Getty Images)
HEALY, CAVALCATA VINCENTE A VIANDEN. TAPPA E MAGLIA PER L’IRLANDESE
Ben Healy (Team EF Education EasyPost) torna a far parlare di sé vincendo a modo suo la terza tappa del Tour de Luxembourg 2023. Dopo essere uscito dal gruppo dei migliori ad una ventina di km dalla conclusione, prima raggiunge la fuga di giornata e poi se ne va tutto solo sulla terza ascesa della Montée de Niklosbierg, non venendo più ripreso. Domani dalla cronometro decisiva di Petange usciranno i veri pretendenti alla vittoria della breve corsa lussemburghese
La terza tappa del Tour de Luxembourg è sulla carta una delle più insidiose dal punto di vista altimetrico. Si parte da Mertert e si arriva a Vianden dopo 168,4 km al termine di un percorso che presenta in totale quattro gpm. Dopo la Montée de Munshausen, da affrontare al km 81.1, i ciclisti entreranno nel circuito finale della località di arrivo che presenta la triplice scalata della Montée de Niklosbierg. Una salita breve, visto che non supera i 4 km, ma non banale poiché il primo km e mezzo ha pendenze costantemente in doppia cifra. I finisseur troveranno pane per i loro denti ed anche la fuga, se ben assortita, avrà le sue chance di vittoria dal momento che la decina di km che restano da percorrere dopo il terzo ed ultimo scollinamento si divide complessivamente tra discesa e pianura. La classifica generale è ancora molto corta e vede in maglia verde Søren Kragh Andersen (Team Alpecin Deceuninck). La partenza della tappa, prevista inizialmente alle ore 12.20, veniva rimandata di una quarantina di minuti a causa di un incidente stradale che aveva rallentato l’arrivo di alcune ammiraglie al seguito della corsa. Dopo la partenza si formava la fuga del giorno intorno al km 12 grazie all’azione di cinque ciclisti: Bastien Tronchon (Team AG2R Citroen), Oliver Knight (Team Cofidis), Rémi Mertz (Team Bingoal WB), Gilles De Wilde (Team Flanders – Baloise) e Mats Wenzel (Team Leopard TOGT Pro Cycling). Il vantaggio massimo della fuga, che sfiorava i 4 minuti al km 40, iniziava a calare sotto l’impulso del Team Alpecin Deceuninck, anche perchè Mertz era il più pericoloso in classifica generale, avendo un ritardo di soli 31 secondi da Kragh Andersen. Wenzel scollinava in prima posizione sul gpm della Montée de Munshausen posto al km 87.3. Una volta entrati nel circuito finale, il vantaggio della fuga calava vistosamente già durante la prima scalata della Montée de Niklosbierg, quando Team Soudal Quick Step e UAE Team Emirates aumentavano ulteriormente il ritmo in testa al gruppo inseguitore. Tronchon restava da solo al comando della corsa a circa 55 km dalla conclusione mentre nel gruppo maglia verde iniziavano gli allunghi. Molto attivo tra gli altri si segnalava Victor Campenaerts (Team Lotto Dstny). Tronchon resisteva in testa alla corsa fino all’inizio della seconda ascesa della Montée di Niklosbierg, quando veniva raggiunto da Ben Healy (Team EF Education EasyPost). L’irlandese staccava Tronchon durante la terza ed ultima ascesa, mentre il gruppo inseguiva ad una quarantina di secondi di ritardo. A 15 km dalla conclusione Healy aveva un vantaggio di 30 secondi su un primo drappello di inseguitori formato da Brandon McNulty (UAE Team Emirates), Archie Ryan (Team Jumbo Visma) e Richard Carapaz (Team EF Education EasyPost). A 9 km dal termine Healy aveva 20 secondi di vantaggio du Marc Hirschi (UAE Team Emirates) e Dylan Teuns (Team Israel Premier Tech). Il ciclista irlandese riusciva a mantenere un vantaggio costante sui due inseguitori ed andava a vincere in solitaria sul traguardo di Vianden. Hirschi era secondo a 15 secondi di ritardo mentre Teuns chiudeva in terza posizione a 18 secondi di ritardo. La top five veniva completata da Maxin van Gils (Team Lotto Dstny) e Brandon McNulty , rispettivamente in quarta e in quinta posizione, a 37 secondi di ritardo da Healy, alla quinta vittoria stagionale. L’irlandese balza al comando della classifica generale potendo vantare 7 secondi di vantaggio su Hirschi e 12 secondi di vantaggio su Teuns. Domani è in programma la quarta tappa da Petange a Petange, una cronometro individuale di 24 km che ci dirà molto sui pretendenti alla vittoria finale del Tour de Luxembourg 2023.
Antonio Scarfone

Ben Healy vince a Vianden. (foto: Tim De Waele/Getty Images)
GIRO DEL LUSSEMBURGO, JENTHE BIERMANS SFRECCIA A MAMER
Jenthe Biermans fa sua la seconda tappa del giro del Lussemburgo vincendo in volata su Søren Kragh Andersen (Alpecin-Deceuninck) e Tim van Dijke (Jumbo-Visma). In classifica generale proprio Søren Kragh Andersen grazie ai due secondi posti balza al comando della classifica generale.
La seconda tappa del Giro del Lussemburgo 2023 con arrivo a Mamer è caratterizzata da una pioggia battente che comunque non scoraggia i primi attaccanti che riescono di forza a portare via la fuga di giornata, si forma così un terzetto al comando della corsa con Luca Van Boven (Bingoal-WB), Bastien Tronchon (AG2R Citroën) e Mats Wenzels (Leopard TOGT). Dietro il gruppo è tirato dalla Bora-Hansgrohe che controlla la fuga tenendola sempre a circa 2’. La frazione, la più semplice della breve corsa a tappe, non presenta particolari difficoltà altimetriche e l’arrivo in volata è l’epilogo più certo. Ma prima c’è da segnalare, a circa 55 Km dal traguardo, uno scatto di Ben Healy (EF Education-EasyPost), a cui risponde prima Ewen Costiou (Arkéa Samsic) poi Alexis Guerin (Bingoal-WB). Dopo qualche chilometro di comune accordo Healy e Costiou decidono rialzarsi, mentre Guerin riesce a portarsi sul terzetto di di testa che diventa quindi un quartetto al comando. La fuga seppur con nuove energie portate da un quarto uomo non riesce più a prendere vantaggio, il gruppo insegue a 50”. A 20 Km dall’arrivo Ewen alza bandiera bianca ed i tre rimasti in testa vengono ripresi poco dopo il cartello dei 15 chilometri all’arrivo, il gruppo è sempre tirato dalla Bora-Hansgrohe che ha in Jordi Meeus riposto le speranze di vittoria. Alla formazione tedesca si affianca anche la Tudor e la Lotto-Dstny che proprio con Victor Campenaerts inizia a lanciare la volata sul lungo rettilineo d’arrivo ma è troppo presto perchè il belga viene ripreso da Søren Kragh Andersen (Alpecin-Deceuninck) il danese sembra riuscire a tenere tutti dietro ma invece anch’egli è scalzato da Jenthe Biermans (Arkéa Samsic) che vince davanti al danese, terzo Tim Van Dijke (Jumbo-Visma) quarto Jodi Meeus (Bora-Hansgrohe). Per Andersen la consolazione, grazie anche al secondo posto di ieri, di passare al comando della classifica generale. Oggi tappa ben più impegnativa con l’arrivo a Vianden dopo lo strappo di Niklosbierg da ripetere due volte in prossimità dell’arrivo.
Antonio Scarfone

Jenthe Biermans esulta nella seconda tappa del Giro del Lussemburgo (Image credit: Tim de Waele/Getty Images)
LUSSEMBURGO, STRONG INIZIA COL BOTTO. TAPPA E MAGLIA PER IL NEOZELANDESE
Nella volata leggermente in salita della prima tappa del Tour de Luxembourg, Corbin Strong (Team Israel Premier Tech) assesta la stoccata vincendo e batte nettamente Søren Kragh Andersen (Team Alpecin Deceuninck) ed Alex Aranburu (Team Movistar). Buon quarto posto per Diego Ulissi (UAE Team Emirates). Domani nuova occasione per i velocisti a Mamer.
Lo SKODA Tour de Luxembourg si apre con una tappa piuttosto vallonata che collega le località di Luxembourg e Luxembourg Kirchberg e che misura poco più di 156 km. Sono quattro i gpm da scalare: la Montée de Putscheid, la Cote de Bourscheid, la Cote de Eschdorf e la Cote de Stafelter. Sono tutte salite non impossibili, lunghe al massimo 2 km, ma che in alcuni punti hanno brevi tratti in doppia cifra, per cui i finisseur presenti in corsa possono dire la loro. A meno di grosse sorprese troveremo un gruppo piuttosto folto al traguardo che si giocherà la vittoria in volata. Curiosamente, degli ultimi dieci vincitori della corsa lussemburghese, soltanto Diego Ulissi – che vinse nel 2021 – partecipa quest’anno. Il primo tentativo di fuga, dopo una decina di km, vedeva protagonisti quattro ciclisti: Lennert Teugels (Team Bingoal WB), Vito Braet (Team Flanders – Baloise), Mats Wenzel ed Oliver Knudsen (Team Leopard TOGT Pro Cycling). Dopo 20 km il vantaggio del quartetto di testa era di 6 minuti e 30 secondi. Wenzel transitava in prima posizioe sui primi due gpm in programma, posti rispettivamente al km 61 ed al km 79.9. Knudsen era il primo ciclista a sfilarsi dalla testa della corsa. Sotto l’impulso del Team Movistar e del Team Israel Premier Tech il vantaggio dei fuggitivi iniziava a calare. A 70 km dalla conclusione Braet, Teugels e Wenzel avevano 2 minuti e 45 secondi di vantaggio sul gruppo. Teugels scollinava per primo sulla Cote de Eschdorf, terzo gpm in programma posto al km 97.6. Nel frattempo David Gaudu e Thibaut Pinot (Team Groupama FDJ) abbandonavano la corsa a causa di problemi fisici. Il gruppo riprendeva i fuggitivi a circa 12 km dalla conclusione, poco prima della scalata verso il quarto ed ultimo gpm del la Cote de Stafelter. Sulla salita appena citata usciva allo scoperto Michael Woods (Team Israel Premier Tech) che trainava con sé Kamiel Bonneu (Team Flanders Baloise) ed Alexis Guerin (Team Bingoal WB). Guerin era il primo a scollinare sul quarto ed ultimo gpm posto al km 147.4. Il gruppo riprendeva i tre contrattaccanti a circa 3 km dalla conclusione e Felix Gall (Team AG2R Citroen) era l’ultimo cilcista che provava l’attacco prima del traguardo. Una volta ripreso anche il ciclista austriaco, il gruppo, forte di una quarantina di ciclisti, si accingeva alla volata finale. Era Corbin Strong (Team Israel Premier Tech) ad avere la meglio su Søren Kragh Andersen (Team Alpecin Deceuninck) ed Alex Aranburu (Team Movistar), mentre Diego Ulissi (UAE Team Emirates) era quarto e Tiesj Benoot (Team Jumbo Visma) chiudeva la top five. Presenti nella top ten anche Giulio Ciccone (Team Lidl Trek) in settima posizione e Fausto Masnada (Team Soudal Quick Step) in nona posizione. Strong ottiene la prima vittoria stagionale dopo esserci andato già molto vicino due settimane fa quando arrivò secondo al GP de Montreal. Il ciclista neozelandese è la anche prima maglia verde con 4 secondi di vantaggio su Kragh Andersen e 6 secondi di vantaggio su Aranburu. Domani è in programma la seconda tappa da Mondorf-les-Bains a Mamer di quasi 184 km. Il percorso prevede la scalta di tre gmp, poco più che cote, nella parte centrale della tappa ma gli ultimi 50 km sono quasi totalmente pianeggianti per cui non escludiamo l’arrivo in volata di un gruppo piuttosto folto.
Antonio Scarfone

Corbin Strong vince la prima tappa del Tour de Luxembourg (foto: Getty Images)
EUROPEI, JOSHUA TARLING SI PRENDE IL TRONO CONTINENTALE A CRONOMETRO
A 19 anni il corridore gallese, oro Juniores ai Mondiali di Wollongong 2022 e bronzo Elite lo scorso agosto a Stirling, si è laureato campione d’Europa nella prova contro il tempo con il tempo di 31′30”02. Argento allo svizzero Stefan Bissegger e bronzo al belga Wout Van Aert, grande favorito alla vigilia, mentre il migliore italiano è Mattia Cattaneo, quinto.
Sono partiti oggi nei Paesi Bassi i Campionati Europei 2023 con le prove a cronometro individuali ed è iniziato sotto i migliori auspici per i colori azzurri grazie all’oro di Federica Venturelli nella gara junior femminile. Successivamente hanno gareggiato i ragazzi della medesima categoria, dominati da Albert Philipsen (Danimarca), e gli Under 23, che hanno visto imporsi Alec Segaert (Belgio) tra i maschi e Zoe Backstedt (Gran Bretagna) tra le donne. La prova femminile elite, invece, è stata appannaggio per la terza volta consecutiva da Marlen Reusser (Svizzera).
Tra i professionisti il nome nuovo è sicuramente quello del britannico Joshua Tarling, medaglia d’oro a soli 19 anni e portacolori della Ineos-Grenadiers, che l’ha ingaggiato alla fine della scorsa stagione. Il fortissimo e giovanissimo gallese ha timbrato la vittoria con il tempo spaziale di 31′30”02” (media di 56,762 km/h) sul percorso di Emmen, staccando di netto l’elvetico Stefan Bissegger, 2° a 42”, e il belga Wout Van Aert, grande favorito della vigilia grazie anche all’assenza di Filippo Ganna e giunto 3° a 43”. Nella lotta per il podio si era inserito anche l’altro elveticop Stefan Küng, ma lo svizzero è caduto malamente nei chilometri finali ed è arrivato al traguardo con il l casco rotto e il volto ridotto ad una maschera di sangue. Il corridore, già due volte campione europeo a cronometro, è stato immediatamente visitato ma verrà con ogni probabilità trasportato in ospedale per valutare i traumi subiti.
L’Italia può sorridere grazie al quinto posto di Mattia Cattaneo, staccata di 1′13″, mentre Matteo Sobrero ha terminato in ventesima posizione con un passivo di 2′14″. Domani è in programma la cronosquadre mista nella quale Cattaneo e Sobrero gareggeranno con Edoardo Affini, Elena Cecchini, Vittoria Guazzini e Soraya Paladin.
Andrea Giorgini

Sprizza gioia da tutti i pori Joshua Tarling dopo aver vinto la cronometro ai campionati europei (foto Alex Whitehead / SWpix.com)
TRE PICCOLI GRANDI GIRI (…A VUOTO!)
Con la Vuelta finisce in farsa una stagione delle grandi corse a tappe logorata da seri problemi strutturali.
In una riscrittura della calviniana trilogia degli antenati: quest’anno abbiamo assistito al Giro inesistente, al Tour dimezzato e alla Vuelta… ripugnante. Il bicchiere mezzo pieno è naturalmente quello del Tour de France, che per la prima metà ha offerto uno spettacolo roboante, riportando alla mente gli epici duelli uno contro uno che han fatto grande la storia del ciclismo. Purtroppo la stravolgente cronometro espressa da un vampiresco Vingegaard, con differenze sostanzialmente mai viste in oltre un secolo di sport a pedali, ha risucchiato ogni linfa vitale dal suo avversario Pogacar per quel che restava del Tour, e di conseguenza ha prosciugato d’un sorso tutto l’interesse agonistico e tecnico che sarebbe potuto rimanere alla competizione. La grande sfida è comunque valsa ascolti eccellenti, soprattutto in Francia. Tuttavia il trapasso da una lotta acerrima, con un apparente leggero vantaggio per lo sloveno, alla brutale imposizione di una superiorità fisica indiscutibile ha trasmesso un’impressione di falsità e dubbio su quanto visto fin lì, anche senza trascendere in sospetti farmacologici o motoristici che sono impazzati nel vespaio delle reti (ancor più dopo la Vuelta, come vedremo), ma sui quali non è d’uopo far leva in assenza di altri e più probanti elementi. Basta la semplice e sgradevole sensazione del fatto che il duello capace di appassionarci tanto non foss’altro che un gioco del gatto col topo, un mero teatrino, o una sofisticata strategia, se vogliamo essere più elogiativi: lo sloveno si spremeva – e noi fremevamo – con un presunto confronto alla morte sul filo dei secondi, ma intanto il danese, con un ulteriore passo da gigante sul piano atletico rispetto al 2022, dopo quello già colossale dell’anno prima, stava in realtà cincischiando e risparmiandosi, obbedendo ai magnificenti e meticolosi piani Jumbo-Visma.
Per un caso, o forse non per un caso, anche il Giro si è esaurito nel breve volgere di una corta cronometro. Tutta l’emozione si è concentrata sul Lussari, in cui Roglic, alfiere anch’egli della Jumbo-Visma, ha ribaltato la classifica al termine di un Giro per lui decisamente sottotono, complici i postumi di una caduta e forse anche qualche malanno di salute. Va detto però che la possibilità di un Roglic sornione non era così imprevedibile, e non ha quindi trasmesso la stessa sensazione di imperscrutabilità degli autentici valori in campo che sarebbe stata prodotta dal Tour. Il problema del Giro è stato tuttavia ben altro: la noia e inazione assolute nel corso delle intere tre settimane, fatta salva, appunto la cronoscalata conclusiva. L’uscita di scena per covid di un Remco Evenepoel in maglia rosa non ha certo migliorato la situazione. Senza dubbio possiamo parlare di contingenze sfortunate, come nel caso del maltempo che, altrove tragico, sul Giro è stato comunque esasperante, anche se mai di per sé davvero compromettente. La questione, grave, è stata come la situazione sia stata sfruttata con un certo grado di cinismo per imbastire l’ennesima e già logorata retorica relativa alla “sicurezza”, termine che qui va usato fra doverose virgolette perché i vari partecipanti alla discussione hanno ben dimostrato di avere un interesse modesto nei confronti di più autentici e radicali attacchi alla sicurezza di chi pedala, ad esempio in allenamento su strade inevitabilmente condivise col traffico veicolare normale.
Nella stantia riproposizione di un film già visto troppe volte, una parte nemmeno maggioritaria del gruppo ha fatto leva su un cocktail letale di reti sociali informali e formalismi rappresentativi, il tutto con l’obiettivo di mutilare una tappa chiave del Giro. C’era chi aveva o credeva di avere interessi propri nel perseguire questo obiettivo, come INEOS, che a queste pratiche distorsive o ad altre simili è ben avvezza. Il karma ha poi castigato questi protagonisti, che con una tappa vera avrebbero (forse) potuto lasciar più attardato Roglic. Ma, ripetiamo, è una prassi invalsa e come tale automatica, in cui paradossalmente colludono tutte le super squadre che invece dovrebbero vedersi mutuamente quali rivali con interessi divergenti. Invece fanno oligopolio e blindano così una linea comune, quella di ridurre al massimo grado l’imprevedibilità e la variabilità in corsa. Certo, preferiscono giocarsela in tre o quattro piuttosto che immaginare un campo di competitori più esteso. Peccato che questa visione da bigino di economia aziendale sia la risultanza di una sostanziale incomprensione del ciclismo, nonostante le vittorie degli anni precedenti (spesso prodotte soprattutto dalla leva economica sproporzionata e da altre connivenze, più che da una vera abilità tecnica differenziale). Infatti la compresenza di rivali minori capaci di interagire sullo scacchiere o l’apertura di scenari poco controllabili può rivelarsi l’unica occasione di riaprire un minimo di competizione per i vecchi team colosso, oggigiorno ormai relegati a un secondo gradino dallo strapotere Jumbo. Sotto il secondo gradino, va da sé, come a Fontamara, non c’è niente, poi ancora niente, poi ancora niente, poi arrivano le altre squadre. Fuor di elucubrazione o calcolo, la nuda realtà è che nelle gare a tappe, tutte, ad oggi praticamente vince quasi esclusivamente un solo team. Un esito brutto e storicamente inedito.
Al di là di queste dinamiche, i due dati di fondo sono, anzitutto, il manifestarsi di scontri di potere relativi a chi controlla il ciclismo, chi decide il percorso, chi fa le regole, chi modifica il campo da gioco pur da giocatore. Un UCI divenuta più apparentemente rispettosa, dialogica e non interventista (i maligni direbbero in coincidenza con l’esautorazione operata dalla WADA in campo gestione antidoping) ha creato un vuoto di potere in cui si lanciano soggetti multipli, imponendo però alla fin fine una legge del più forte o spregiudicato: non che il viceversa fosse tanto meglio, ma bisogna forse prendere coscienza della situazione per arginarla.
Il secondo dato di fondo, stavolta tecnico, è la consapevolezza del fatto che un Grande Giro sia una struttura complessa e articolata, come minimo già in termini di percorso. Mutilare tappe chiave altera in ultima analisi l’intero sviluppo della competizione, non solo l’aritmetica dei minuti.
Il panorama globale del Giro è quello di una corsa che, dopo anni di veemente crescita dalla metà dei Duemila, è entrato in un ciclo di declino, per ora ancora di breve periodo, ma potenzialmente strutturale, purtroppo. Il rischio, se già non è una realtà, è che si attivi un circolo vizioso di disaffezione e screditamento. L’evento Giro, a differenza di quanto accada col Tour in Francia, è sempre meno rispettato e amato a livello di società circostante, soprattutto su scala politica, mediatica e istituzionale, ma anche con gravi ricadute sull’interesse e il coinvolgimento popolari. Sentendosi debole e insicura, la dirigenza del Giro tende a giocare al ribasso con qualsiasi controparte, ma questo non fa altro che ridurre l’autorevolezza e l’aura popolar-sacrale dell’evento. Fra il pubblico e dentro lo sport stesso, con atteggiamenti sempre più lesivi o sminuenti da parte delle squadre, uniti al disinteresse o a uno stretto utilitarismo di troppi atleti. Per fortuna con le dovute eccezioni, sia quelle ovvie come Ganna, sia quelle meno ovvie anche se puntuali del van der Poel 2022.
Alla Vuelta si è ripetuta, in ben altri termini, la storia degli altri grandi giri, ma in questo caso trasformata in farsa. Difficile definire altrimenti la telenovela dei Jumbo che non sapevano come comportarsi per decidere chi far vincere, in cui tutto era un potrei anche non vincere io, ma purché non vinca lui, e allora che vinca l’altro. Commento in breve dello spettatore o spettatrice sull’orlo di una crisi di nervi: il triangolo no!
Insomma, un evento di per sé unico ed eccezionale nella storia del ciclismo (frase che si ripete oggi più volte: di eventi unici ed eccezionali stiamo facendo collezione…), vale a dire che un’unica squadra vinca nella stessa stagione i tre Grandi Giri, viene esponenzialmente esasperato dal fatto che addirittura il terzo GT si “disputi” fra tre compagni dello stesso team (grandi virgolette pure qui, in un ciclismo sempre più fra virgolette). Pure qui c’è come al Giro un dato circostanziale, nella fattispecie l’uscita di scena, qui solo per la classifica generale, di un Remco Evenepoel rivale potenziale. Poi la Vuelta in quanto spettacolo in realtà ne ha goduto, poiché l’unico sollazzo per il pubblico è stato lo show di un Remco sempre lanciato a bomba contro l’ingiustizia in una profusione di fughe fluviali e kamikaze, a volte terminate in gloria, altre volte in sconfitte di misura: premio di consolazione per gli appassionati dello sport, e maglia di miglior scalatore quale premio di consolazione per Remco. Ma sono elementi di contorno. Quel che ha tenuto banco è stata la manfrina di sceneggiate, furbate, fagianate, esibizioni che ha gravitato attorno al trio Jumbo. Cattivo segno se siamo ridotti a parlare di questo. Però forse preferiamo parlare di questo invece di interrogarci sul fatto che Kuss non abbia nessun cedimento serio, fino a poter ratificare senza sforzo la maglia roja finale concessagli dal team, dopo aver corso ad altissimo livello tutti e tre i GT. Unico, eccezionale. Nessun capitano avversario, né i valori non stratosferici ma solidi di un Mas, né il talento di un Ayuso, entrambi focalizzati sulla Vuelta, possono avvicinarsi al livello atletico di un gregario, benché d’eccezione, che ha corso al massimo tre grandi giri filati.
Umiliante e simbolica la neutralizzazione de facto dell’ultima splendida tappa seria attorno a Madrid, una piccola Liegi adatta ai ribaltoni. Ma prima c’erano state altre neutralizzazioni ufficiali, come a Barcellona, un’assurdità che ripeteva tal quale, anzi lo clonava, lo sproposito del Giro.
Nel complesso, la sensazione è di stare assistendo a una gravissima crisi di agonismo e competitività. Se però talvolta sono fasi che il ciclismo vive per naturali alternanze e ricambi, come potrebbe essere ora la povertà generale nella specialità dello sprint, o l’epoca di transizione nelle Classiche dopo i picchi dell’era Boonen-Gilbert-Cancellara-Bettini prima dell’avvento di van der Poel-Pogacar-Van Aert-Pedersen-Alaphilippe (finché è durato), con l’eterno Valverde a far da ponte. Qui il discorso tuttavia sembra un po’ diverso, perché su una effettiva fase di transizione è precipitata come un meteorite la “strabordanza” made in Jumbo-Visma. Il risultato è un ciclismo che sembra avere, oltreché diverse velocità, anche diverse quinte teatrali, un ciclismo in cui quel che si vede succedere è il prodotto di una sceneggiatura redatta da qualche testa d’uovo del marketing. Una sceneggiatura peraltro e purtroppo mediocre, un ciclismo Netflix buono solo per chi vuole rimanere stupito mezzora e poi passare ad altro. Essendo però questa l’antitesi strutturale del concetto di Grande Giro, sarà da capire se non solo lo sport ma anche “il prodotto” sopravviverà a questa atroce contraddizione interna. Svilirsi o morire? Oppure svilirsi, e quindi morire?
Gabriele Bugada

Roglic e Vingegaard festeggiano la vittoria di Kuss (Getty Images)
SUCCESSO ORANGE A PESCARA, IL MATTEOTTI È DI BAX
Successo storico, è la prima volta di un olandese, al Trofeo Matteotti. La corsa abruzzese è andata a Sjoerd Bax, che ha saputo resistere al sopraggiungere del plotone ed ha avuto la meglio su Simone Velasco e Lorenzo Rota, rispettivamente secondo e terzo.
L’olandese Sjoerd Bax (UAE Team Emirates) ritrova la vittoria in una corsa italiana dopo il successo della scorso anno nella Coppa Agostoni. Il ventisettenne di Groeningen si è imposto sul traguardo di Pescara battendo il campione italiano Simone Velasco (Astana-Qazaqstan) e Lorenzo Rota (Intermarché-Circus-Wanty).
La classica pescarese, tornata in calendario dopo la cancellazione dello scorso anno, non ha tradito le attese e fin dalle prime battute è stata interpretata nella giusta maniera dei partecipanti.
Dopo 20 Km dal via i primi a muoversi sono stati Mattia Bais (Eolo-Kometa) e Pierre Latour (TotalEnergies). Il gruppo lascia fare e i due mettono tra loro e chi insegue un gap superiore ai sei minuti. Questa situazione non soddisfa tutti e così Alessio Nieri (Green Project-Bardiani CSF-Faizanè), Maximilian Kabas (WSA KTM Graz) e Roberto Gonzalez (Mg.K Vis-Colors for Peace) provano senza successo il ricongiungimento con i battistrada.
La situazione di calma apparente cambia quando, nel corso dell’8° giro del circuito, la Jayco AlUla di Michael Matthews prova a prendere in mano la situazione. Questo fatto ha come dato il via ad “un’altro” Trofeo Matteotti. Tra i battistrada Bais si rialza solo a condurre il transalpino Latour. La sua solitudine durerà circa una ventina di chilometri, fin quando verrà poi raggiunto ai meno 40. Durante il terzultimo passaggio la discesa di Montesilvano ha visto il tentativo di Davide Formolo (UAE Team Emirates), raggiunto poco dopo da Andrii Ponomar (Team Corratec-Selle Italia), mentre il gruppo si riduce nel numero dei componenti. I due di testa vengono raggiunti durante l’ultimo giro del circuito da George Bennett (UAE Team Emirates). Si ha una specie di passaggio di testimone con Formolo, che desiste dal proseguire l’azione. La nuova coppia di battistrada viene raggiunta prima dell’ultimo passaggio di Montesilvano e la successiva discesa, come spesso in passato, si è dimostrata decisiva. Qui Rota ha forzato l’andatura, seguito dal solo Bax.
I due, forse sottovalutati dal plotone, guadagnano un po’ di vantaggio, non sufficiente ad un arrivo tranquillo. Le due volate, ovvero quella dei battistrada e quella degli inseguitori, partono quasi contemporaneamente. Bax riesce così a tagliare il traguardo per primo, mentre Rota, autore del guizzo decisivo che ha creato l’attacco giusto, si è visto superare sul traguardo da Velasco, salvando comunque il terzo gradino del podio. Con lo stesso tempo del vincitore completano la TopTen Matthews, Marc Hirschi (UAE Team Emirates), Julien Simon (TotalEnergies), Xabier Berasategi (Euskaltel – Euskadi), Gianluca Brambilla (Q36.5 Pro Cycling Team) e Filippo Fiorelli (Green Project-Bardiani CSF-Faizanè).
Dopo questo weekend le strade italiane torneranno ad essere teatro di una competizione ciclistica da venerdì 22 quando da Corropoli, sempre in Abruzzo, prenderà il via l’Adriatica Ionica Race. La corsa a tappe giunta alla sesta edizionbe che si dipanerà tra Abruzzo, Puglia e Calabria, dove terminerà domenica 24 a Crotone.
Mario Prato

Sjoerd Bax (foto Massimo Fulgenzi / SprintCyclingAgency)