GAVIRIA VOLA A VILLADIEGO, SUA LA SECONDA DELLA TAPPA VUELTA A BURGOS

luglio 29, 2020 by Redazione  
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Vittoria in volata per Fernando Gaviria sul traguardo di Villadiego dove si è conclusa la seconda tappa della Vuelta a Burgos. Sul podio alle spalle del velocista colombiano sono saliti il francese Arnaud Démare e l’rlandese Sam Bennett. Quarto Matteo Trentin, anche oggi primo italiano al traguardo. Nella TopTen anche Giacomo Nizzolo, settimo.

Nonostante la sua UAE Team Emirates abbia dovuto rinunciare a ben tre elementi per rispettare i protocolli in seguito al Covid19, il colombiano Fernando Gaviria è stato il primo a transitare sul traguardo della seconda tappa della Vuelta a Burgos, posto a Villadiego. Sul podio di giornata sono saliti nell’ordine Arnaud Démare (Groupama-FDJ) e Sam Bennett (Deceuninck-QuickStep). Medaglia di legno, invece, per Matteo Trentin (CCC) che ha preceduto Jon Aberasturi (Caja Rural RGA), Jasper Stuyven (Trek-Segafredo), Giacomo Nizzolo (NTT Pro Cycling), Edward Theuns (Trek-Segafredo), Pascal Eenkhoorn (Jumbo-Visma e Mikel Aristi (Fundacion-Orbea). L’ordine d’arrivo non ha scalfito le prime posizioni della classifica generale, che vede in vetta sempre il vincitore di ieri, l’austriaco Felix Großschartner (Bora-Hansgrohe), che ora precede di 8” lo spagnolo Aberasturi e Trentin. Il portacolori della polacca CCC è così risultato per due giorni consecutivi il migliore degli italiani presenti alla corsa spagnola.
La seconda tappa era iniziata nel segno dei protocolli anti Covid19 con l’esclusione dalla competizione di Juan Sebastián Molano, Sergio Muñoz e Andrés Camilo Ardila della UAE Team Emirates a causa dell’avvenuto contatto nella giornata di sabato con una persona successivamente risultata positiva al coronavirus. Per i tre sono così scattate subito le procedure del caso per isolare i possibili contagiati ed evitare il proliferare dell’infezione, cosa già attuata nella giornata di ieri per due rappresentanti della Israel Start-Up Nation, Alex Dowsett e Itamar Einhorn.
Ritornando ai fatti di gara bisogna citare soprattutto coloro che hanno animato la tappa per la sua quasi totalità, anche se non hanno mai messo alla corda le squadre dei velocisti che non avevano nessuna intenzione di farsi sfuggire il traguardo della tappa più semplice dell’intera competizione spagnola. Si è trattato di Joel Nicolau (Caja Rural – RGA), di Angel Fuentes (Burgos – BH), di Kiko Galván Fernández (Equipo Kerno Pharma) e dei nostri Alessandro Fedeli (Nippo Delko One Provence) e Riccardo Verza (Kometa Xstra). I cinque hanno proceduto d’amore e d’accordo per buona parte della tappa, “costringendo” la Bora-Hansgrohe del leader della classifica generale a tenerli sotto controllo solo quando il loro vantaggio ha superato i cinque minuti. Solo nelle fasi finali ovviamente la corsa si è accesa, sia davanti con i cinque che incominciavano ad avanzare senza accordo, sia dietro con le squadre che cominciavano ad organizzare l’inseguimento. Ai meno 20 il vantaggio dei fuggitivi si era ridotto a soli 36 secondi, segno che da li a poco la loro avventura sarebbe finita. Ultimo a cedere è stato Nicolau, ripreso ai meno cinque.
Dopo che anche l’ultimo fuggitivo era stato richiamato nei ranghi è cominciato il lavoro di fino dei vari treni con la Deceuninck-Quick Step e la Groupama-FDJ che avevano conquistato la testa del plotone. Il treno della squadra francese sembrava quello più motivato ed organizzato, ma nell’ultima curva del percorso si è disunito favorendo così il colombiano Gaviria, che ha aperto il gas ed è andato a cogliere il successo con un leggero vantaggio sugli inseguitori.

Mario Prato

La volata vincente di Gaviria nella seconda tappa della Vuelta a Burgos (Getty Images)

La volata vincente di Gaviria nella seconda tappa della Vuelta a Burgos (Getty Images)

PROSERIES, SI RIPARTE CON LA VITTORIA DI GROßSCHARTNER A BURGOS

luglio 28, 2020 by Redazione  
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Ritorno alle corse in Spagna nel segno di Felix Großschartner (Bora-Hansgrohe) che si è aggiudicato la prima tappa della Vuelta a Burgos disputatasi oggi e che si è conclusa come da recente tradizione sullo strappo dell’Alto del Castillo dopo 153 km. Seconda piazza per João Almeida (Deceuninck-Quick-Step) arrivato insieme ad Alejandro Valverde (Movistar) e Alex Aranburu (Astana). Matteo Trentin (CCC), primo italiano al traguardo, è giunto nono.

In questo periodo, dove si è finalmente arrivati al tanto atteso ritorno alle competizioni dopo la pandemia di Covid19 che ha stravolto non solo il Calendario UCI ma anche la vita quotidiana di tutti noi, in Spagna ha preso il via la Vuelta a Burgos 2020, una delle poche corse che ha mantenuto il suo collocamento originale in calendario.
La prima tappa di 153 km con arrivo, come da recente tradizione, sulla collina del castello che sovrasta Burgos, è andata al portacolori della Bora-Hansgrohe Felix Großschartner, che si è avvantaggiato alle prime rampe della salita finale. Il traguardo è stato raggiunto dopo 8 secondi da un terzetto composto da João Almeida (Deceuninck-Quick-Step) e Alejandro Valverde (Movistar), mentre primo degli italiani e buon nono a 10″ si è classificato Matteo Trentin (CCC) davanti al giovane e atteso belga Remco Evenepoel (Deceuninck-Quick-Step), che è stato l’autore di un tentativo in solitaria ai meno 35 durato una decina di chilometri, ma degno di miglior fine.
La tappa, come da tradizione delle corse spagnole, non è stata affatto noiosa e, anzi, è stata un susseguirsi di attacchi, iniziati fin da subito.
Tra i molti a mettersi in mostra ricordiamo gli autori della prima fuga di giornata, Jetse Bol (Burgos-BH), Gotzon Martin (Euskaltel-Euskadi), Diego Sevilla (Kometa Xstra) e Kiko Galvan (Kern Pharma). Scappati subito dopo il via, sono rimasti in avanscoperta fino ai meno 35, quando si è avuto il già citato tentativo del giovane Evenepoel. Dopo di lui è stata la volta di Willie Smit (Burgos-BH) ma con l’approssimarsi del traguardo e il doppio passaggio sulla salita finale il gruppo ha chiuso le fila procedendo compatto fino all’ultima ascesa, quando Großschartner si è avvantaggiato andando a cogliere il successo in solitaria. La classifica generale non prevede abbuoni e rispecchia così fedelmente l’ordine d’arrivo.
Domani seconda tappa quasi totalmente pianeggiante di 168 Km con partenza da Castrojeriz e arrivo a Villadiego.

Mario Prato

Felix Grossschartner vince la prima tappa della corsa iberica (foto Bettini)

Felix Grossschartner vince la prima tappa della corsa iberica (foto Bettini)

BATTI UN CINQUE – 1964, IL QUINTO TOUR DI ANQUETIL

luglio 25, 2020 by Redazione  
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L’ultimo Tour di Anquetil è il più sofferto per il campione normanno. A cronometro non eccelle più come in passato, in salita viene staccato da Poulidor e i suoi eccessi cominciano a presentargli il conto. Intanto tra i dilettanti comincia a sgomitare un certo Gimondi.

Una doppietta tira l’altra… e si deve sbrigare!

Chiuso il conto con la Vuelta ora Anquetil vuole anche la doppietta con il Giro e la desidera forse ancora più ardentemente perché sa che gli anni stanno passando e non avrà poi molte altre occasioni di metterla in cascina. Si sta accorgendo anche lui che non rende più come un tempo a cronometro e in salita fatica a staccare gli avversari, forse a causa degli eccessi di una vita vissuta al massimo. Non ci sono solo le sue stravaganze nella vita affettiva, che non staremo a rivangare in quest’articolo e che sono degne più un giornale scandalistico che di un magazine sportivo (roba, comunque, che fa impallidire la storia della peccaminosa liaison tra Coppi e la Dama Bianca, che al confronto sembra un racconto da educande). Anquetil è un tipo che non si tira indietro nemmeno a tavola e in questa edizione del Tour rischierà di compremettere le sue possibilità di vittoria per colpa di una “ciucca” di sangria, anche se è solo una leggenda la storiella che aleggiava in quel tempo in gruppo, secondo la quale il francese viaggiava con champagne nella borraccia. A sfatarla sarà Vittorio Adorni, il quale un giorno si avvicinò a Jacques e, accampando la scusa della fine della sua acqua, gli chiese un sorso dalla sua borraccia: conteneva semplicemente tè, non zuccherato affinchè la dolcezza della bevanda non lo invogliasse a bere con troppa frequenza.

Al Giro si rivede il solito Anquetil che, seppur meno potente di un tempo, risolve la gara a suo favore già alla quinta tappa, la lunga crono di Busseto nella quale distanzia di 1’23” Ercole Baldini e di 1’48” Adorni, prendendosi sulle spalle quella maglia rosa che porterà fino a Milano, resistendo al tremendo tappone dolomitico di Pedavena (quasi 300 forature complessive sul Croce d’Aune) e poi alla riedizione della mitica Cuneo-Pinerolo e vincendo la Corsa Rosa con 1’22” su Italo Zilioli e 1’31” su Guido De Rosso, il corridore vicentino che tre anni prima si era imposto nella prima edizione del Tour de l’Avenir, corsa che nel 1964 tornerà a essere conquistata da un italiano.

L’Anquetil che scenderà sulle strade del Tour, invece, sarà meno incisivo e lo testimoniano sia l’entità dei distacchi che affliggerà a cronometro, sia quello in classifica che lo separerà dal corridore arrivato secondo, il più basso tra i suoi cinque Tour: 55 secondi appena, un abisso rispetto al quarto d’ora di ritardo che era stato accusato dal belga Marcel Janssens nel 1957, quando Anquetil si era imposto per la prima volta nella Grande Boucle. Gli avversari del francese sono i soliti noti perché saranno gli stessi che l’avevano fatto penare al Tour dell’anno prima, il suo connazionale Raymond Poulidor, che sarà quello che più gli arriverà vicino, e l’intramontabile Federico Bahamontes, il cui fisico non si vuole arrendere al tempo che passa – ha già 36 anni – e che gli consentirà ancora di salire sul podio, l’ultimo della sua carriera che terminerà l’anno successivo. Altri corridori in grado di competere con questo trittico non se ne vedono, anche se alla partenza si nutrono speranze sulla pattuglia italiana, forte di corridori di pregio: nella Salvarani diretta da Luciano Pezzi sono, infatti, schierati due passati vincitori del Giro (Baldini e Arnaldo Pambianco), un futuro vincitore della Corsa Rosa (Adorni) e l’imprevedibile Vito Taccone, la cui presenza al Tour – l’unico della sua carriera – si farà soprattutto ricordare per la lite in corsa con lo spagnolo Fernando Manzaneque e per le accuse che gli saranno rivolte da altri ciclisti, che gli rimprovereranno d’esser stato la causa delle cadute che nei primi giorni di corsa avevano “movimentato” gli arrivi in volata.

Si parte quell’anno da Rennes con una prima frazione di 215 Km che ha il traguardo fissato a Lisieux, dove si assiste a un epilogo esattamente opposto a quello della tappa che aveva aperto il Tour l’anno precedente. In quell’occasione Poulidor e Bahamontes erano riusciti a distanziare di quasi un minuto e mezzo Anquetil, mentre stavolta accade il contrario a causa di una caduta a 3 Km dal traguardo che spezza il gruppo in due tronconi, all’arrivo separati da venti secondi: nel secondo ci sono i due rivali del transalpino, che riesce a terminare nella prima parte del gruppo assieme ad altri 37 corridori, tra i quali ci sono Adorni, Taccone, lo spagnolo José Pérez Francés (l’anno precedente terzo in classifica), il britannico Tom Simpson e il belga Edward Sels, che s’impone allo sprint conquistando la prima maglia gialla.

Non si assistono a cadute l’indomani, quando il gruppo si presenta in assetto quasi del tutto compatto sul traguardo di Amiens, dove solo quattro corridori su 131 giungono distanziati e dove va in scena un’entusiasmante volata che solo il fotofinish riesce a “sbrogliare”, assegnando la vittoria al francese André Darrigade, che ha la meglio per questione di millimetri sull’olandese Jan Janssen e su Taccone e riesce a raggiungere al vertice della classifica Sels, il quale mantiene la maglia gialla in virtù dei migliori piazzamenti nei primi due giorni di gara.

Il giorno successivo è in programma il primo appuntamento di una certa consistenza, una cronometro a squadre di 21 Km che si disputa sul circuito della cittadina belga di Forest, dove lo stesso giorno termina una prima semitappa che si conclude con il successo del corridore di casa Bernard Van De Kerckhove, il cui arrivo precede di una ventina di secondi quello del gruppo con la maglia gialla Sels, al quale riesce a levare le insegne del primato. Le manterrà anche dopo la crono pomeridiana, vinta dalla formazione basca KAS-Kaskol che precede di 8” la Pelforth e di 21” la Wiel’s, mentre tra le formazioni dei “vip” la Ferrys di Pérez Francés, 5a a 1’17”, distanzia di 8” la Mercier di Poulidor, di 26” la Saint-Raphaël di Anquetil, di 1’24” la Salvarani e di ben 2’32” la Margnat di Bahamontes. In classifica Pérez Francés è così il primo dei corridori che contano, con sette secondi di vantaggio sugli italiani Adorni e Taccone, dieci su Anquetil, sedici su Poulidor e 1’12” su Bahamontes.

Si rientra in Francia con l’interminabile tappa di Metz, lunga quasi come la Milano-Sanremo (291 Km) e terminata allo sprint con la vittoria del tedesco Rudi Altig, poi la corsa torna nuovamente a sconfinare. L’arrivo è in terra di Germania, dove Altig non riesce a ripetersi sulle sue strade dopo esser stati tra i protagonisti della fuga di giornata, giunta al traguardo di Friburgo in Brisgovia con quattro minuti di vantaggio sul gruppo. La delusione per il secondo posto, regolato allo sprint dal belga Willy Derboven, viene mitigata dalla conquista della maglia gialla, vestita con 1’08” sul francese Georges Groussard, uno dei cinque corridori inseritisi nel tentativo, tra i quali c’è anche suo fratello maggiore Joseph.

Tornato in patria con la tappa di Besançon, vinta con una sparata nel finale dall’olandese Henk Nijdam, il Tour propone alla vigilia delle Alpi una frazione di media montagna caratterizzata da due salite abbastanza pedalabili, Septmoncel e la Faucille, da superare entro i primi 90 Km e a 100 Km dal traguardo. L’arrivo è fissato a Thonon-les-Bains, dove in una frazione molto simile nel 1957 Anquetil era stato autore di un colpo che gli aveva permesso di guadagnare parecchi minuti sugli avversari e in particolare ben 11 su Nencini. Dev’essere questo un tracciato particolarmente stimolante perché pure nel 1964 vede nascere un tentativo a sorpresa, nel quale a essere sorpreso è lo stesso Anquetil: succede tutto in un tratto di falsopiano a una trentina di chilometri dall’arrivo, quando Poulidor è lesto a inserirsi in un gruppetto di quindici attaccanti, tra i quali c’è Pambianco, che riesce a stringere i denti fino al traguardo, dove i secondi guadagnati su Anquetil sono 34”, a cogliere la vittoria è Jan Janssen e ben quattordici sono i corridori mandati fuori tempo massimo da questa velocissima frazione, tra i quali il bolognese Romano Piancastelli.

La fase alpina è quest’anno costituita da due lunghe frazioni, entrambe consistenti nel chilometraggio e caratterizzate dall’arrivo in discesa. Il primo giorno sono in programma quasi 250 Km che prevedono nel finale l’inevitabile accoppiata Télégraphe-Galibier e che dimostrano come Bahamontes sia ancora un avversario temibile per Anquetil, nonostante sia alle porte il suo trentaseiesimo compleanno, traguardo che taglierà dieci giorni più tardi. Intanto transita per primo su quello di Briançon, dove si presenta con 1’32” di vantaggio su Poulidor dopo esser andato all’attacco già sul Télégraphe ed essersi presentato in vetta al Galibier con quasi 4 minuti su “Poupou” e Anquetil, con quest’ultimo che all’arrivo che cede 17 secondi al connazionale a causa di una foratura mentre la maglia gialla passa dalle spalle di Altig e quelle di Groussard. La tappa è, invece, fatale per gli italiani che erano partiti da Rennes con la volontà di fare bene: il primo all’arrivo è Pambianco, 27° con quasi nove minuti di ritardo, e ancor più accusano Adorni e soprattutto Taccone, che perde quasi un quarto d’ora.

La tappa successiva è più breve di una decina di chilometri e, dopo esser saliti su Vars e Bonette (tetto del Tour, 2802 metri di quota) e su un paio di colli dell’entroterra della Costa Azzurra nel finale, ha in serbo l’arrivo sulla pista dello stadio Louis II di Monaco, dove si devono percorrere due giri del brevissimo anello. Ma Poulidor non ha letto con attenzione le carte o forse s’è dimenticato di questo particolare e, convinto che ci sia una sola tornata da compiere (come solitamente capitava negli arrivi di questo genere), si spreme nel precedere allo sprint Anquetil e gli altri 22 corridori che si sono presentati per primi nello stadio monegasco, accorgendosi subito dopo che la tappa non è ancora conclusa. Consumate le energie in questo tentativo, non ne ha più per competere, pochi secondi più tardi, nella volata che conta e che vede Anquetil precedere Simpson e intascare i preziosi secondi d’abbuono riservati al vincitore. Dopo la disfatta del giorno prima stavolta gli italiani sono andati meglio perché nel gruppo di testa hanno concluso Adorni, Pambianco e il romagnolo Battista Babini, mentre ha pagato ancora Taccone, giunto al traguardo quasi 18 minuti dopo l’arrivo dei primi. Intanto, giunti all’altro capo della catena alpina Groussard continua a mantenere la maglia gialla con 3’35” su Bahamontes, il quale precede di 32” Poulidor e di 47” Anquetil, mentre per incontrare il primo italiano bisogna scendere fino alla diciannovesima posizione di Adorni, che si trova a 12’33” dal capoclassifica.

In un Tour avaro di buone notizie per l’Italia le liete novelle arrivano dal Tour de l’Avenir, che scatta il giorno successivo con Felice Gimondi, capitano della nazionale azzurra, che s’impone a sorpesa nella tappa d’apertura di Tolone, nella quale ha tirato la volata al veronese Pietro Campagnari, il quale all’ultimo momento ha perso le ruote del bergamasco. Poche ore più tardi sul medesimo traguardo termina la prima delle tre cronometro individuali previste dal Tour dei “grandi”, che si risolve nuovamente in una sfida tra i due corridori francesi più amati, con Poulidor che riesce addirittura a viaggiare quasi sui tempi di Anquetil nella prima parte del tracciato, arrivando ad accusare appena 5 secondi di ritardo al rilevamento posto dopo 10 Km, a metà tappa. Poi Jacques ingrana la marcia e riesce a distanziare l’avversario di 36”, mentre anche Altig conclude con un passivo di poco inferiore al minuto. Assente Baldini, che al Giro era stato il corridore arrivato più vicino al francese nella crono di Parma e che si è ritirato da diversi giorni, il migliore dei nostri è Adorni, 5° a 1’31”. Come al solito soffre in prove del genere Bahamontes, 14° a 2’20”, e parecchio tempo perde la maglia gialla Georges Groussard, che riesce comunque a rimanere al comando della corsa per 1’11”.

La notizia del giorno, soprattutto sui quotidiani italiani, è un’altra, oltre a quella della vittoria di Gimondi tra i “puri”. È nella semitappa mattutina verso Hyères, vinta dall’olandese Janssen, che accade lo storico episodio della zuffa tra Taccone e Manzaneque, che costerà ai due una multa di 65 mila lire (700 euro odierne). A iniziarla è lo spagnolo, che ce l’ha con l’abruzzese perché non lo sta aiutando nel tirare il gruppo, dopo che questo si è spezzato in due tronconi in zona rifornimento e loro due sono rimasti nella seconda parte. Manzaneque vuole ricucire lo strappo perché dietro è rimasto anche Pérez Francés, Vito non ne vuole sapere perché nella prima parte del gruppo c’è il suo compagno di squadra Adorni e così lo spagnolo lo insulta e arriva a mettergli le mani addosso strattonandolo. Nonostante il suo carattere notoriamente rissoso Vito non reagisce e preferisce recarsi all’auto del direttore del Tour Jacques Goddet per lamentare l’accaduto, ma appena rientra in gruppo Manzaneque gli si avvicina per strattonarlo di nuovo, provocando la caduta di entrambi. Poi ci riprova una terza e una quarta volta, arrivando addirittura a brandire la bici come una clava: è a questo punto che scatta l’ira di Taccone, che colpisce lo spagnolo con un pugno, dando il via a un vero e proprio incontro di pugilato, viene fermato solo dall’intervento di Goddet che riesce a separarli a colpi di pompa di bicicletta. E in serata arriverà una seconda multa per Manzaneque, della medesima entità, reo di aver insultato un giudice di gara alla partenza da Monaco.

Inizia intanto il trasferimento verso le frazioni pirenaiche, che non è certo una passeggiata perché è lunga ben 250 Km la tappa che termina a Montpellier dove il belga Sels s’impone allo sprint in una giornata che si fa ricordare quasi esclusivamente per una caduta di massa che ha coinvolto una trentina di corridori a una sessantina di chilometri dall’arrivo (tra questi c’è Taccone) e per una lite all’arrivo tra Bahamontes e Goddet, con lo spagnolo che minaccia addirittura di abbandonare il Tour se Anquetil si farà ancora aiutare dalle scie delle moto per andare all’attacco. Dura sole ventiquattrore, intanto, la permanenza di Gimondi al vertice della classifica del Tour de l’Avenir poichè viene scalzato per sei secondi dallo spagnolo Ginés García Perán al traguardo di Montpellier, dove a imporsi è un corridore che corre nella nazionale olandese pur essendo lussemburghese: è Johny Schleck, futuro papà dei fratelli Fränk e Andy (vincitore del Tour del 2010).

Continua il momentaccio per Taccone, che era stato più volte accusato dagli altri corridori di aver innescato cadute in occasione degli arrivi in volata a causa dei suoi attacchi scomposti. Stavolta è lui a cadere a soli 400 metri dal traguardo di Perpignano, sul quale s’impone con un leggero margine di vantaggio l’olandese Jo de Roo, e il capitombolo è di quelli che fanno male, sia alla sua bicicletta (entrambe le ruote spezzate, che è costretto a far cambiare prima di percorrere il tratto finale del rettilineo d’arrivo), sia a lui stesso, perché ha picchiato la testa e dopo aver tagliato il traguardo comincia ad avvertire nausea e senso di stordimento che consiglieranno l’immediato ricovero in ospedale, dove non gli vengono riscontrati danni e gli viene consentito di riprendere la corsa, anche se si ritirerà poco dopo aver preso il via nella frazione successiva. Per le buone novelle ci si deve ancora una volta appigliare al Tour de l’Avenir, dove arriva la vittoria del veronese Luciano Dalla Bona mentre, per la terza volta in tre giorni, la maglia gialla cambia proprietario e passa sulle spalle del polacco Józef Beker, con Gimondi terzo in classifica a 50” dal primato.

I Pirenei debuttano con una novità assoluta perché finora nemmeno la Vuelta aveva proposto un traguardo nel Principato d’Andorra, dove la tredicesima tappa si conclude sulle strade della capitale del piccolo stato incastonato nel mezzo delle montagne dopo esser saliti sino ai 2407 metri del Port d’Envalira. La primizia lascia però con l’amaro in bocca gli appassionati perché la tappa si svolge priva di particolari sussulti agonistici, se non quello provocato dalla tremenda caduta del belga Armand Desmet nella discesa dal Col de Puymorens, costretto con il resto del gruppo ad allargare per evitare una moto ferma a bordo strada. Alcuni corridori si ritrovano con il transitare con la bici sul brecciolino a bordo strada, perdendo l’aderenza del mezzo e innescando una caduta di una ventina di corridori e tra questi c’è lo sfortunato belga che subisce le conseguenze peggiori andando a impattare violentemente contro la moto e riportando un grosso e sanguinante squarcio sul volto. Nel frattempo in testa alla corsa si era portato lo spagnolo Julio Jiménez che, dopo aver scollinato in testa tutti e tre i GPM di giornata, riusciva a presentarsi solitario al traguardo di Andorra con quasi nove minuti di vantaggio sul primo gruppo inseguitore, regolato dal campione del mondo in carica Benoni Beheyt e nel quale ci sono anche Poulidor e Anquetil, mentre Bahamontes ha perso leggermente le ruote nel velocissimo finale in discesa, ma ha contenuto il ritardo in soli sette secondi. All’Avenir, invece, la vittoria viene stavolta sfiorata dall’Italia con il secondo posto del romano Adriano Massi, anticipato di un amen dal polacco Józef Gawliczek nella tappa che vede lo spagnolo García Perán tornare in possesso della maglia gialla.

Andorra ospita anche l’unica giornata di riposo prevista in questa edizione, mentre non si fermano i dilettanti che affrontano a questo punto una cronometro disegnata tra Tarascon-sur-Ariège e Foix, 36 Km al termine dei quali Gimondi fa registrare il secondo miglior tempo, di appena due secondi inferiore a quello del francese Désiré Letort, portandosi al secondo posto della classifica con 24” di ritardo dallo spagnolo in maglia gialla. I “grandi”, invece, si rilassano e chi ne approfitta più di tutti è Anquetil, che annulla una sessione di allenamento e accetta l’invito a un barbecue “vip” – tra i presenti c’è la nota cantante italo-francese Dalida – dove viene visto servirsi di abbondanti bicchieri di sangria (gli organizzatori dell’evento si erano equipaggiati con ben 200 litri del celebre vino spagnolo). Sono noti i suoi eccessi a tavola e così la cosa viene riferita a Poulidor, invitandolo all’attacco il giorno dopo, quando in partenza è nuovamente presente la salita dell’Envalira. E poi riprende a serpeggiare in gruppo la voce di una profezia che un veggente, tale Belline, aveva rilasciato al quotidiano France-Soir prima della partenza del Tour, secondo la quale Anquetil sarebbe morto durante il quattordicesimo giorno del Tour: tale giorno coincide proprio con il riposo ed è forse per questo motivo che il corridore francese, notoriamente superstizioso (la mogle Janine aveva tentato inutilmente di tenergli nascosto quel giornale) aveva preferito annullare l’allenamento e dirigersi alla festa.

L’indomani mattina anche Raymond si accorge di qualcosa di strano perché Anquetil si presenta al raduno di partenza con il volto pallido e indossando un paio di occhiali da sole, accessorio quasi certamente necessario per celare alla vista gli occhi ancora segnati dalla sbornia. Sarà vera la notizia che gli hanno comunicato? Nel dubbio va subito all’attacco, dopo appena 3 Km dal via, e in effetti coglie l’avversario in sofferenza e sempre più pallido in volto, un pallore accresciuto dalla nebbia che ammanta la cima dell’Envalira. In vetta Jacques arriva ad accusare 4 minuti da Bahamontes e Poulidor e per molti questa è una sentenza definitiva sul Tour del transalpino, che invece risorge nella successiva discesa, affrontata con un misto di follia che lo porta a osare eccessivamente in tornanti quasi totalmente mascherati dalla nebbia. L’inseguimento al gruppo di testa dura quasi 120 Km e si conclude favorevolmente per Anquetil che al traguardo di Tolosa, dove per la terza volta s’impone Sels, si ritrova addirittura a guadagnare quasi due minuti e mezzo su Poulidor, ghermito due volte dalla sfortuna nel giro di poche centinaia di metri, prima costretto a cambiare bici dopo che gli si era scentrata una ruota e immediatamente dopo ruzzolato a terra al momento della ripartenza, a causa della spinta troppo potente ricevuta dal meccanico della sua squadra. Mentre si attendeva l’epilogo di questo appassionante frazione giungeva a termine la sesta frazione dell’Avenir, conquistata allo sprint dallo spagnolo Juan José Sagarduy sul belga Roger Swerts (futuro gregario di Merckx) e sul romagnolo Luciano Sambi.

È un “Poupou” decisamente infuriato quello che l’indomani si agginge ad affrontare il tappone che arriva a Luchon. Un po’ c’è l’ha con la malasorte, un pochino anche con il meccanico che il giorno prima l’aveva scaraventato a terra e sfoga la sua rabbia attaccando a 20 km dall’arrivo sulla salita del Portillon. Il suo è un attacco talmente deciso che va a riprendere tutti i corridori che in quel momento si trovano in testa alla corsa, mentre nessun altro riesce a rimanere aggrappato alle sue ruote e tutto solo si presenta al traguardo, dove riesce ad annullare totalmente il tempo perduto il giorno precedente: Anquetil perde, infatti, 1’43” ai quali va sommato il minuto d’abbuono riservato al vincitore e che consente a Poulidor di ritornare al terzo posto della classifica, che vede ancora al vertice il resistente francese Groussard. Tra i dilettanti, invece, concede il bis lo spagnolo Sagarduy in una frazione che vede Gimondi piazzarsi al quarto posto conservando i 24 secondi di ritardo che ha dalla maglia gialla.

La lotta per la vittoria finale stavolta è aperta come mai era accaduto durante i Tour di Anquetil. Alla vigilia dell’ultimo tappone pirenaico appena nove secondi separano Anquetil da Poulidor e nella sfida sta per rientrare Bahamontes, che alla partenza da Luchon ha due minuti di ritardo da “Jacquot”, gap che l’Aquila di Toledo riesce completamente a colmare nel viaggio verso Pau, che prevede di salire su Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque. Il corridore spagnolo è già all’attacco sin dal primo colle, in compagnia del connazionale Jiménez al quale concede il transito in testa sulle prime tre ascese per poi rimanare solo al comando sull’Aubisque. Proprio in vetta a quest’ultimo fa registrare il vantaggio massimo sul gruppetto nel quale ci sono Anquetil, Poulidor e ancora Groussard, poi i quasi sei minuti e mezzo guadagnati si assottigliano, complici la mancanza di salite negli ultimi 60 Km e la stanchezza che comincia a fiaccarlo, fino ai quasi due minuti con i quali taglia il traguardo di Pau, che con l’abbuono gli permettono di scavalcare Anquetil in classifica e di avvicinarsi notevolmente a Groussard. Trentacinque, infatti, sono i secondi che lo distanziano dalla maglia gialla mentre cinquantuno sono quelli che Anquetil ha da recuperare allo spagnolo, ancora separato da Poulidor da nove secondi. A completare la trionfare giornata per i corridori spagnoli è la vittoria di Ventura Díaz nell’ultima frazione pirenaica del Tour de l’Avenir, nella quale Gimondi riesce a guadagnare 15 secondi sulla maglia gialla portandosi a soli nove secondi dal capoclassifica.

Ora è il turno dei futuri professionisti di riposare mentre va in scena la seconda crono del Tour dei “pro”, che, numeri alla mano, si rivela una fotocopia della precedente gara contro il tempo. Come otto giorni prima Anquetil e Poulidor sono separati da pochissimi secondi ai primi intermedi – sette sia al rilevamento del decimo chilometro, sia a quello successivo del Km 21 – poi al traguardo di Bayonne diventano trentasette, un secondo in più rispetto al distacco che Jacques aveva dato a Raymond a Tolone. La similitudine con l’altra crono non finisce qua perché anche in quest’occasione il terzo è Altig, ancora sotto il minuto di ritardo, mentre soffrono parecchio sia Bahamontes, sia Groussard: il primo forse patisce gli sforzi fatti per imporsi il giorno prima e termina a 4 minuti da Anquetil, la maglia gialla va ancora peggio, ne perde quasi sei e deve dare all’addio al prestigioso indumento che indossa da una decina di giorni. Anquetil tira un mezzo sospiro di sollievo perché finalmente è riuscito a vestirsi di giallo, ma il suo regno è ancora traballante per via degli appena 56” che lo separano da Poulidor, il quale certamente troverà ancora la maniera di cercare di mettere in difficoltà l’avversario essendo previsto tra un paio di giorni un arrivo in salita, l’unico inserito nel percorso di questa edizione del Tour.

In attesa di quest’appuntamento, che Anquetil teme con non mai in passato, si devono disputare due tappe di trasferimento che vengono conquistate da Darrigade a Bordeaux e da Sels a Brive-la-Gaillarde e anche all’Avenir si assistono a due giornate simili, vinte dal francese Christian Raymond e dal belga Swerts. Quella di Brive è, però, una tappa tragica che passerà alla storia per il peggior incidente mortale avvenuto sulle strade del Tour, avvenuto in località Port-de-Couze quando un camion cisterna che trasporta cherosene sbanda finendo in mezzo alla folla che festosa attende il passaggio del gruppo, provocando tredici feriti e nove morti, tra i quali tre bambini.

I fari sono ora tutti puntati sullo storico arrivo in salita al Puy de Dôme, il vulcano spento del Massiccio Centrale che “riaccende” un Tour che mai si è spento e che oggi vede Anquetil staccato in salita, anche se la frazione in parte si rivela deludente perché Poulidor ha aspetto solo l’ultimo chilometro per attaccare il rivale e avrebbe potuto staccarlo maggiormente e magari portargli via la maglia gialla se si fosse mosso prima. L’attacco gli consente di recuperare 42 secondi e di portare il suo ritardo in classifica a 14”, mentre molto prima erano scattati Jiménez e Bahamontes, con il primo che s’impone in cima al mitico Puy e il secondo che recupera due minuti a Jacquot, confermando la sua terza posizione in classifica a 1’33” da Jacques. La salita finale viene risparmiata ai dilettanti ma, nonostante questo, la tappa con arrivo nella sottostante Clermont-Ferrand rischia di cambiare i connotati alla classifica dell’Avenirr a causa della lunga fuga del francese Lucien Aimar, che guadagna fino a più di 4 minuti e li conserva fino al traguardo, dove viene raggiunto proprio all’ultimo chilometro dal belga Joseph Spruyt, che lo stacca a sua volta precedendolo di 40 secondi: l’impresa consente al francese di portarsi a ridosso dei primi due corridori della classifica, ancora comandata da García Perán con 9” su Gimondi, mentre Aimar si colloca al terzo posto della graduatoria con 51” di ritardo.

Alla vigilia dell’epilogo parigino si arriva ad Orléans, dove l’Italia incassa un doppio secondo piazzamento con il romagnolo Babini e il veronese Claudio Michelotto, il primo preceduto dal francese Jean Stablinski nella tappa dei professionisti e il secondo che si deve inchinare in volata al polacco Jan Kudra nella frazione dell’Avenir.

L’ultimo giorno sono previste due semitappe, la prima delle quali termina a Versailles con l’affermazione di Beheyt mentre, nelle stesse ore, si sta concludendo al parigino Parco dei Principi la quarta edizione del Tour de l’Avenir con una frazione di 129 Km priva di difficoltà altimetriche che non dovrebbe provocare mutamenti in classifica. Invece succede l’imprevedibile sull’unica microscopica salitella che il percorso prevede a una ventina di chilometri dal traguardo, quando scatta improvvisamente Aimar, esibendosi in un’azione alla quale riesce ad accordarsi Gimondi, ma non il capoclassifica García Perán. I due viaggiano di comune accordo, vanno ad accodarsi al gruppetto in quel momento in fuga e con loro giungono al traguardo, dove s’impone l’olandese Gerben Karstens e al quale l’oramai ex maglia gialla giunge con più di due minuti di ritardo.

Mentre gli italiani si godono il successo di Gimondi all’Avenir, vinto con 42” su Aimar e 2’17” García Perán, anche il Tour dei professionisti vede svolgersi una frazione che s’annuncia decisiva, anche se non ci saranno sorprese lungo i 27 Km chilometri che da Versailles conducono a Parigi. Anquetil è sempre il naturale favorito di queste prove e, pur senza riuscire a scavare anche in quest’occasione grossi distacchi nei confronti dei rivali che più gli arrivano vicini, anche nell’ultima crono è suo il tempo migliore. Ancora Poulidor e Altig sono i corridori che più lo insidiano, stavolta a ruoli invertiti rispetto alle precedenti due tappe contro il tempo perché è il tedesco a classificarsi secondo, per appena 15 secondi, mentre “Poupou” ne perde 21.

Il quinto e ultimo Tour targato Anquetil finisce così, con il francese che s’impone con 55” su Poulidor e 4’44” su Bahamontes. Pur non mancando altre grandi affermazioni nei rimanenti cinque anni di carriera (il Delfinato, la Bordeaux-Parigi, due Parigi-Nizza, la Liegi, il Catalogna, il Paesi Baschi) non riuscirà più ad imporsi in nessuna grande corsa a tappe di tre settimane, riuscendo al massimo a collezionare due terzi posti ai Giri del 1966 e del 1967 e concludendo con un ritiro l’unico Tour (1966) al quale prenderà parte dopo quello del 1964. Riuscirà a battere nuovamente il record dell’ora, dopo il primato conseguito nel 1956 strappando il titolo a Fausto Coppi, ma i 47,493 Km che percorrerà il 27 settembre del 1967 migliorando di 146 metri la prestazione del suo connazionale Roger Rivière, non figurano su nessun albo d’oro non essendo mai stati omologati dall’UCI per il suo rifiuto di sottoporsi all’esame antidoping. Non li hai mai accettati quei controlli che diventarono pratiche comuni dopo la tragica morte di Simpson al Tour del 1965, forse perché tra gli eccessi che ne minarono la potenza ci fu l’utilizzo di quei prodotti. Ebbe a dire stizzito “Che qualcuno mi spieghi prima dove finisce la medicina e dove inizia il doping!”, negli anni ammetterà di aver fatto uso di cortisone e forse furono quegli abusi a causargli il tumore allo stomaco che lo porterà alla tomba il 18 novembre del 1987, un paio di mesi prima del suo cinquantaquattresimo compleanno.

Mauro Facoltosi

NOTA AI LETTORI

All’inizio della serie degli articoli sulle cinquine al Tour vi avevamo annunciato anche tre articoli sui Tour vinti da Gastone Nencini, Felice Gimondi e Marco Pantani. Non siamo riusciti a completarli in tempo e quindi abbiamo deciso di rimandarne la pubblicazione a dopo novembre, dopo la fine della stagione di corse.

LE ALTIMETRIE

Lultimo duello tra Anquetil e Poulidor sulla salita del Puy de Dôme

L'ultimo duello tra Anquetil e Poulidor sulla salita del Puy de Dôme

BATTI UN CINQUE – 1963, IL QUARTO TOUR DI ANQUETIL

luglio 21, 2020 by Redazione  
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Vuelta e Tour nello stesso anno è un’impresa che fino al 1963 non era riuscita a nessuno. L’anno buono per la doppietta doveva essere quello precedente, ma Altig s’era rivelato una spina del fianco del suo capitano, nonché un corridore inaspettatamente resistente in salita. Così il transalpino rimanda alla stagione successiva l’ambizioso progetto, che riesce a portare felicemente in porto: in Spagna dominerà come suo solito a cronometro, ma in Francia dovrà faticare non poco e alla vigilia dell’ultima crono si troverà ad avere soli 28 secondi di vantaggio sull’immarcescibile Bahamontes.

Monsieur Anquetil s’è ingolosito (ed è pure un po’ incazzato, come i francesi della celebre “Bartali” di Paolo Conte).

Non gli basta un record, ne vuole due per la stagione 1963 e tutti e due inediti. Punta alla vittoria nel quarto Tour ma cerca anche la doppietta e non ambisce a quella con il Giro d’Italia, che finora è già stata conquistata dal solo Fausto Coppi. Perché Tour e Vuelta nello stesso anno non li ha mai vinti nessuno e poi lui ha un conto aperto con la corsa spagnola, che aveva affrontato anche l’anno prima, ma si era trovato a fare i conti un inatteso avversario, il suo compagno di squadra Rudi Altig, che aveva il compito di puntare alle vittorie di tappa. Invece quest’ultimo aveva resistito sulle salite e lo aveva addirittura battuto, e per un solo secondo, nella lunga cronometro di San Sebastián del penultimo giorno, terminata la quale Jacques si ritrovava ad avere un ritardo di quasi 5 minuti in classifica generale, un’onta che aveva spinto il francese a ritirarsi dalla corsa iberica nonostante sia comunque secondo in graduatoria e manchi solo una tappa alla conclusione. Così dodici mesi più tardi torna in Spagna e, assente Altig, fa sua la Vuelta dominandola fin dall’inizio perché quell’anno gli organizzatori hanno piazzato una crono di ben 52 Km al primo giorno di gara, tappa che Anquetil vince staccando di 2’40” il secondo arrivato, l’italiano Aldo Moser, per poi imporsi nella classifica finale con 3’06” sullo spagnolo José Martín Colmenarejo dopo esser stato battuto per 26” nella crono di Barcellona. È la riprova di come, nonostante la classe sia sempre la stessa, Anquetil non riesca più a dare il massimo a crono e a imprimere grandi distacchi e la conferma arriverà anche dal Tour, che da qualche stagione sta vincendo con vantaggi in progressiva caduta libera.

Forte del successo alla Vuelta, Anquetil si presenta al via della corsa francese rivestendo ancora il ruolo di favorito numero uno, ma anche di numero due, tre e quattro. A parte il connazionale Raymond Poulidor, gli avversari del transalpino, stavolta, non sembrano offrire particolare garanzie: lo spagnolo Federico Bahamontes compirà 35 anni proprio nei giorni del Tour, Charly Gaul ha oramai ben poco da dare e concluderà il suo ultimo Tour con un ritiro nel tappone alpino di Val-d’Isère, Jozef Planckaert l’anno prima era riuscito a rimanere agganciato ad Anquetil sulle salite, ma poi era stato spazzato via come un fuscello dal francese nell’ultima crono. Anche l’Italia si schiera al Tour con le sue principali armi spuntate perché entrambi i corridori più quotati al via non stanno attraversando un buon periodo di forma: Guido Carlesi è sotto antibiotici mentre Franco Balmamion, reduce dalla sua seconda vittoria consecutiva al Giro d’Italia, ha problemi alla gola. Per entrambi arriverà il momento del ritiro e, alla fine, il miglior dei nostri sarà un corridore sconosciuto ai più, lo spezzino Renzo Fontona, che riuscirà ad agguantare un insperato settimo posto in classifica a quindici minuti da Anquetil. Nel 1963 saranno gli spagnoli a rendere dura la vita a “Jacquot” perché i corridori che gli giungeranno più vicini saranno il vecchio Bahamontes e il più giovane José Pérez Francés, avversario che Jacques già conosce perché qualche settimana prima si è piazzato secondo al Delfinato (vinto proprio dal francese) e ora si accinge a disputare il Tour con la maglia di campione nazionale sulle spalle.

Dopo 13 anni di partenze lontano da “casa” il Tour torna a scattare da Parigi per festeggiare la sua cinquantesima edizione e brinda a champagne perché l’arrivo della prima tappa è fissato 152 Km più avanti tra i vigneti di Épernay, dove di certo non ha nulla da brindare Anquetil. Il suo Tour è iniziato con l’affanno, prima per colpa di una caduta, poi per l’inseguimento a due fughe nelle quali si sono infilati uomini pericolosi: se il tentativo con Poulidor e Rik Van Looy viene rintuzzato, ciò non accade con quello successivo che ha tra i protagonisti Bahamontes e che riesce ad andare fino al traguardo, al quale s’impone il belga Eddy Pauwels mentre Anquetil già si ritrova un passivo di un minuto e mezzo da recuperare allo spagnolo.

Il giorno successivo il tracciato offre ad Anquetil una prima occasione per ridurre lo svantaggio patito nella prima frazione. Dopo una semitappa vinta allo sprint da Rik Van Looy a Jambes, nella quale Carlesi e Gaul accusano cinque minuti di ritardo, sulle strade della stessa cittadina belga, alle porte di Namur, si disputa una cronosquadre di 22 Km che consente al francese di recuperare, però, appena nove secondi allo spagnolo. La prova collettiva, vinta dal team francese Pelforth, vede solo Planckaert guadagnare tempo su Anquetil (e comunque soli 16 secondi), mentre Poulidor ne perde 15 e Pérez Francés lascia per strada poco più di un minuto. La prova non intacca il primato di Pauwels, che continua a comandare la classifica con 30” sul connazionale Edgar Sorgeloos e 39” sul britannico Alan Ramsbottom, entrambi protagonisti della fuga del primo giorno.

L’indomani si rientra in Francia con una frazione dal profilo pianeggiante ma resa indisiosa dal pavè e dal maltempo, sotto il quale Balmamion, in quel momento miglior italiano della classifica a 3’34” da Pauwels, è vittima di una rovinosa caduta causata dallo scollamento del tubolare, in conseguenza di una foratura. Mentre il corridore piemontese lascia il Tour a bordo di un’ambulanza (all’ospedale non gli saranno riscontrate fratture ma gli saranno applicati nove punti di sutura alla fronte), la tappa prosegue e vede dieci corridori riuscire a prendere il largo e accumulare un importante vantaggio sul gruppo maglia gialla, che al traguardo di Roubaix si presenta quasi nove minuti dopo l’arrivo solitario dell’irlandese Seamus Elliott, evaso dal plotoncino in fuga a 7 Km dall’arrivo. È inevitabile il cambio al vertice della classifica, che ora vede proprio l’irlandese in maglia gialla con 1’14” sul francese Henry Anglade e 1’30” sul belga Guillaume Van Tongerloo.

Il giorno successivo è previsto l’arrivo a casa di Anquetil e qualcuno pensa che il normanno potrebbe ritentare l’azione a sorpresa che nel 1957, al suo primo Tour, gli aveva consentito di imporsi nella frazione che terminava nella sua Rouen. Stavolta, consapevole anche degli anni che passano e desideroso di non sprecare per ora inutili energie, preferisce attendere la crono in programma un paio di giorni più tardi e ne viene fuori una tappa sonnolenta e priva di grandi emozioni. Il gruppo si presenta così quasi totalmente compatto sul Boulevard de la Marne, dopo che Antonio Bailetti ha tentato inutilmente la fuga – guadagnandosi almeno il titolo di più combattivo di giornata – e con qualche secondo di ritardo rispetto ai primi tre uomini che hanno tagliato la linea d’arrivo, i belgi Frans Melckenbeeck, Willy Derboven e Van Looy.

Protagonista sfortunato il giorno prima, Bailetti ci riprova ventiquattrore più tardi nella tappa più lunga di questa edizione e stavolta ottiene il bottino sperato perché è proprio il corridore vicentino a tagliare vincitore il traguardo dell’interminabile Rouen – Rennes (285 Km) davanti ai suoi compagni di fuga, tra i quali c’è un altro italiano, il corregionale Danilo Ferrari, che si piazza al secondo posto.

Come avvenuto anche nel 1962 la prima cronometro individuale è soltanto il secondo atto di una giornata che prevede una prima semitappa priva d’insidie e che ancora termina a gruppo compatto perché la regia della squadra di Anquetil non ha concesso a nessuno d’andarse e ha lasciato via libera solo alla sparata del belga Roger de Breuker a 500 metri dal traguardo, che gli consente di imporsi con un secondo di vantaggio sul connazionale Willy Vannitsen. Nella pomeridiana corrida della crono nessuno, come da copione, riesce a “matare” il toro Anquetil, che sul circuito di Angers è autore di una prestazione che ricorda quella dell’anno precedente a La Rochelle perché anche stavolta i distacchi che impone sono limitati rispetto agli “standard” di un tempo: Poulidor gli cede solo 45”, terzo a 55” è il belga Gilbert Desmet mentre il primo ad accusare più di un minuto di ritardo è Planckaert (1’03”). Bahamontes perde 1’38” e, tenuto conto anche dell’abbuono conquistato da Anquetil, si vede totalmente azzerato il vantaggio conquistato in occasione della prima tappa; Bailetti è ancora il primo degli italiani (16° a 1’57”), Pérez Francés è 22° a 2’16”, Carlesi 39° a 2’47” e Gaul 78° a 3’53”. Persi 3’32” nella crono Elliott non ha più la maglia gialla, che passa sulle spalle di Desmet, nuovo capoclassifica con 6” su Anglade e 1’02” sull’irlandese, che si trovano ancora ai primi posti in virtù del tempo guadagnato nella tappa del pavè. Bisogna scendere fino al sesto posto per incontrare Anquetil, che a questo punto ha 6’14” di ritardo dalla maglia gialla ma ha già distanziato i rivali che teme di più: Bahamontes è a 1’19”, Poulidor a 1’30” e Planckaert a 1’49”, mentre più lontani sono Pérez Francés (4’27”), Gaul (9’49”) e Carlesi (10’30”).

Prima di arrivare sui Pirenei si devono superare tre lunghe tappe interlocutorie, la prima delle quali termina a Limoges con il successo dell’olandese Jan Janssen, che riesce ad anticipare di una manciata di secondi la volata del gruppo, conquistata da Van Looy. Il giorno dopo si arriva a Bordeaux che, come l’anno prima, accoglie la Grande Boucle lo stesso giorno della partenza del Tour de l’Avenir, che nel 1963 schiera al via nella nazionale azzurra futuri protagonisti ad alto livello del calibro del bresciano Michele Dancelli, del padovano Dino Zandegù e del toscano Marcello Mugnaini, che alla fine sarà l’unico dei nostri a vincere una tappa e il migliore della classifica, 4° a quasi quattro minuti dal francese André Zimmermann. È, invece, un olandese, Lex Van Kreuningen, a inaugurare la terza edizione della corsa poche ore prima dell’arrivo della tappa dei professionisti, terminata in volata con la vittoria di Van Looy.

Alla vigilia dei Pirenei si disputa un’altra tappa che sulla carta dovrebbe essere adatta ai velocisti e invece vede andar via una fuga nella quale è effettivamente presente uno sprinter, uno dei più “navigati” del gruppo, il 34enne André Darrigade. È il lui il naturale favorito per il successo, anche perché a un certo punto è evidente che il gruppo inseguitore non riuscirà a raggiungere il piccolo manipolo all’attacco, che si presenta al traguardo con poco più di tre minuti di vantaggio. Di certo non può impensierlo Pino Cerami, il siciliano naturalizzato belga che di anni ne ha ben 41 e che qualche tempo prima aveva pensato di smettere non trovandosi più a suo agio nel ciclismo: invece, è proprio lui a farla sotto il naso a Darrigade partendo di scatto all’ultimo chilometro, dopo essersi accorto che il francese continuava a voltarsi per controllare il connazionale Jean Graczyk, entrando nella storia del Tour con la qualifica di vincitore di tappa più anziano del dopoguerra, primato tuttora imbattuto.

Entrambe le frazioni pirenaiche propongono l’arrivo posto in fondo alle discese e così a Bagnères-de-Bigorre ci si presenta dopo esser saliti prima sull’Aubisque e poi sul Tourmalet, sui quali transita in testa Bahamontes. Lo scalatore spagnolo, al quale un quotidiano madrileno di estrema destra ha offerto 250 mila pesetas (circa 28.500 euro odierne) in caso di vittoria al Tour, scollina l’Aubisque con 47” su Poulidor e 1’30” su Anquetil, ma poi viene raggiunto in discesa, che da sempre è il suo tallone d’Achille. Ci riprova sul Tourmalet, stavolta senza riuscire a fare il vuoto alle sue spalle perché “Poupou” rimane al suo fianco e “Jacquot” cede cinque secondi appena. Poi si ritorna a pedalare tutti assieme nella picchiata che termina sulla linea d’arrivo, dove Anquetil fulmina allo sprint i due rivali, accanto ai quali c’è anche l’altro iberico Pérez Francés. Il primo degli azzurri al traguardo è Fontona, 16° a 4’09”, mentre Carlesi perde più di sette minuti anche a causa dei dolori che gli ha lasciato in corpo un incidente avvenuto mentre si recava in bici al raduno di partenza della tappa del giorno precedente, quando era stato investito da un’auto. Poco più del toscano perde Gaul, oramai l’ombra del campione che fino a pochi anni prima riusciva a dettar legge in montagna, mentre la principale vittima della prima frazione pirenaica è – con gran sollievo per Anquetil – il corridore che l’anno precedente fino all’ultimo gli avava conteso la maglia gialla perché oggi Planckaert è crollato sin dall’Aubisque ed è giunto al traguardo con 13 minuti di ritardo.

Il giorno successivo è prevista una tappa molto simile nella costruzione alla precedente, anche se le tre salite in programma nel viaggio tra le località termali di Bagnères-de-Bigorre e Luchon sono meno impegnative rispetto alle due affrontate ventiquattrore prima. Ciò non scoraggia Bahamontes che, dopo un primo tentativo sull’Aspin, va nuovamente all’attacco sul Peyresourde, in cima al quale riesce a guadagnare quasi 4 minuti sul gruppo dei migliori. Come al suo solito si fa raggiungere nella picchiata che conduce a Luchon, transitati dalla quale si deve ancora percorrere un circuito di una sessantina di chilometri che lo spagnolo intraprende assieme ai corridori che gli erano giunti più vicini sul Peyresourd, i francesi Guy Ignolin, Claude Mattio e Guy Epaud. Costatato il recupero del gruppo inseguitore, a un certo punto l’Aquila di Toledo decide di fermarsi e farsi riassorbire, lasciando agli altri tre il palcoscenico di una gara che vedrà Ignolin portarsi al comando con netto vantaggio sul Portillon e giungere solitario al traguardo. Dietro, intanto, si registra un po’ di bagarre tra gli uomini di classifica che provoca, però, ben poca selezione e vede Poulidor guadagnare undici secondi su Pérez Francés e Anquetil, che ha rischiato un “dritto” nell’ultima discesa, e 21 su un Bahamontes che non ci ha più provato a staccare gli avversari. Per gli italiani – Fontona è ancora il migliore dei nostri, 15° a 3’22” – è un’altra giornata da dimenticare a causa di due incidenti avvenuti nel corso della discesa finale, resa insidiosa dalla pioggia e che hanno avuto come sfortunati protagonisti il piemontese Giancarlo Gentina, che perde i sensi per qualche minuto dopo aver centrato una roccia a bordo strada, e il toscano Graziano Battistini, leggermente feritosi dopo aver investito un tifoso che gli si era parato improvvisamente dinanzi e che, colpito dal corridore italiano, era finito in un profondo fossato fratturandosi una spalla. All’uscita dalla due giorni pirenaica la situazione in classifica vede Anquetil in seconda posizione a 3’03” da Desmet, che continua a vestire la maglia gialla. Il favorito per la vittoria finale ha, però, ancora un discreto vantaggio sugli avversari che più teme perché Poulidor è a 2’19” dal transalpino e Bahamontes ha dieci secondi di ritardo in più. Pérez Francés ne perde 4’57”, Fontona 11’48”, Planckaert 18’14” mentre Gaul, che oggi è andato meglio rispetto alla tappa del giorno prima (solo un minuto perduto da Anquetil), si ritrova ad avere ben 21 minuti di ritardo da “Jacquot”.

Dopo la tappa di Tolosa il Tour si dirige verso le Alpi, stavolta senza percorrere il solito “corridoio” pianeggiante che rasenta le coste del Mediterraneo ma imboccando la strada che conduce sulle alture del Massiccio Centrale, sul quale sono disegnate un paio di frazioni. La prima di queste termina ad Aurillac nel giorno dell’unica affermazione italiana al Tour de l’Avenir per opera di Mugnaini e vede protagonisti i big della classifica, nonostante un percorso poco accidentato e poca selettivo. Trentasette secondi dopo l’arrivo di Van Looy, “evaso” a 15 Km dal traguardo, piomba sulla linea d’arrivo un primo gruppo composto di una quarantina di corridori che viene regolato allo sprint da Anquetil su Bahamontes e Poulidor, con il primo che intasca i trenta secondi d’abbuono riservati al secondo piazzato e porta a 2’33” il suo svantaggio da Desmet.

Osservato l’unico giorno di riposo e affrontata la tappa di Saint-Étienne, terminata con il bis di Ignolin e il temporaneo inserimento del fuggitivo Jean Gainche al terzo posto della classifica, si arriva alla fase alpina del Tour, che prevede per prima una frazione con arrivo a Grenoble, ricalcando il finale della tappa che due anni prima aveva visto Gaul attaccare Anquetil e riuscire a staccarlo, senza tuttavia detronizzarlo dal vertice della classifica. Ripetere le gesta del lussemburghese sembra impresa impossibile perché gli organizzatori hanno addolcito il tratto conclusivo e del tridente Granier-Cucheron-Porte hanno conservato solo l’ultima ascesa, seguita dalla picchiata che conduce al traguardo. Comunque, ci si aspetta ancora un tentativo di Bahamontes, e lo spagnolo non delude le attese transitando in vetta al Porte con 2’15” di vantaggio, ma poi si è quasi certi che paleserà nuovamente difficoltà in discesa e sarà raggiunto. Stavolta, invece, l’iberico riesce a esorcizzare la sua “bestia nera” e tira dritto fino al traguardo, dove si presenta con un vantaggio quasi immutato, al quale viene addizionato il minuto d’abbuono che gli consente di scavalcare di tre secondi Anquetil in classifica, ancora comandata da Desmet.

Le sorti della maglia gialla si decideranno nei due tapponi d’alta montagna a venire e poi nella lunga cronometro prevista qualche giorno più tardi. Dopo l’impresa del giorno precedente gli occhi sono nuovamente puntati su Bahamontes, ma deludentemente la tappa di Val-d’Isère si rivela essere al traguardo una fotocopia di quella disputata il primo giorno sui Pirenei perché – quasi otto minuti dopo l’arrivo del vincitore, l’iberico Fernando Manzaneque – Anquetil, Poulidor e Bahamontes transitano sulla linea d’arrivo nel medesimo gruppo, dopo che lo spagnolo era riuscito a guadagnare una ventina di secondi sull’Iseran. È, però, saltato Desmet e così Bahamontes può consolarsi per la mancata selezione con la conquista della maglia gialla, che veste con i tre secondi che anche alla partenza lo separavano da Anquetil.

Ora le speranze di vedere un’altra giornata di grandi battaglie tra i big vacillano, nonostante l’indomani sia in programma un tappone ancora più duro. L’ultima giornata disegnate sulle Alpi prevede di arrivare a Chamonix attraversando l’Italia, entrando in Valle d’Aosta dal Piccolo San Bernardo per uscirvi attraverso il Gran San Bernardo, che fino a quell’estate costituiva l’unica possibilità di passaggio verso la Svizzera (il sottostante traforo, il primo realizzato sulle Alpi, sarà inaugurato l’anno successivo). È la cornice nella quale viene incastonata una piccola impresa a due perché all’ennesimo attacco di Bahamontes sulla salita, all’epoca sterrata, del Col de la Forclaz riesce a rispondere con autorità il solo Anquetil, che piomba come un falco sul rivale e in sua compagnia compie i chilometri che mancano per arrivare al traguardo, dove lo batte in volata anticipando di una ventina di secondi i corridori che sono arrivati loro più vicini. Tra questi ci sono Pérez Francés, l’italiano Fontona e il velocista belga Van Looy (che pure è equipaggiato per la salita), a dimostrazione che la tappa è sì stata selettiva ma non eccessivamente battagliata. Intanto il corridore spagnolo, che sperava oggi di dilatare il vantaggio di tre secondi che lo separava dal francese, si vede invece sopravanzato da quest’ultimo perché con l’abbuono si è finalmente portato al vertice della classifica: ora è tornato a essere padrone del Tour con 28” sul toledino e 6’43” su Pérez Francés, mentre Fontona ribadisce d’essere il migliore dei nostri con il sesto posto a 10’29” da Anquetil.

I distacchi inflitti dal francese sono destinati a lievitate perché quarantottore più tardi, dopo la tappa di Lons-le-Saunier vinta con quasi tre minuti di vantaggio dal belga Frans Brands, si deve disputare la lunga prova contro il tempo di Besançon, disegnata su un pianeggiante percorso di 55 Km. La crono riserva comunque delle sorprese e la prima è offerta dal belga Ferdinand Bracke che al rilevamento posto dopo 10 Km si ritrova ad avere un secondo di vantaggio su “Jacquot”, favorito sia dalle sue attitudini di cronoman, sia dalle numerose curve che presenta il tratto iniziale; poi il francese ingrana la sua solita marcia e riesce a superarlo agli altri intermedi fino a distanziarlo di 1’04” al traguardo, al quale Bracke sarebbe potuto giungere con un passivo inferiore al minuto senza la foratura che l’ha rallentato un paio di chilometri prima. L’altra sorpresa arriva dal vecchio Bahamontes, autore di una prestazione che stupisce perché riesce a limitare a 2′07″ il ritardo da Anquetil, un distacco lontano anni luce dai quasi 10 minuti che l’anno prima aveva accusato nella crono di Lione.

Forte dei 3’35” che lo separano da Bahamontes, ora Anquetil può godersi senza eccessivi patemi gli ultimi scampoli di un Tour che riserverà ancora la vittoria del belga Roger De Breucker a Troyes e il quarto squillo di Van Looy a Parigi. Poi spazio alla celebrazione del record dei record, le quattro vittorie che finora mai nessuno era riuscito a indovinare sulle strade del Tour.

Ma Anquetil non ha intenzione di fermarsi qui…

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Anquetil e Bahamontes (in maglia gialla) allattacco sulla salita sterrata del Col de la Forclaz, nella tappa di Chamonix

Anquetil e Bahamontes (in maglia gialla) all'attacco sulla salita sterrata del Col de la Forclaz, nella tappa di Chamonix

BATTI UN CINQUE – 1962, IL TERZO TOUR DI ANQUETIL

luglio 18, 2020 by Redazione  
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Nel 1962 Anquetil riesce ad eguagliare il primato di tre Tour de France vinti, finora conseguito solo da due corridori, il belga Philippe Thys e il suo connazionale Luison Bobet. Ma quello sarà un Tour più difficile da conquistare per Jacques, che non riesce a mordere come suo solito nella prima delle due cronometro e non riesce a scrollarsi di dosso gli avversari più coriacei nelle tappe di montagna: alla fine il suo vantaggio sul secondo sarà di 5 minuti, nulla al confronto dei quarti d’ora abbondanti con i quali si era imposto nei suoi primi Tour.

Philippe Thys e Luison Bobet.

Saranno questi due i principali avversarsi di Jacques Anquetil al Tour del 1962. Due avversari a distanza, però, perché il belga ha più di settant’anni e si è ritirato nel lontano 1927, mentre il suo connazionale è ancora in attività, ma è all’ultima stagione da professionista, non disputa più il Tour dal 1959 e non sarà presente nemmeno in questa edizione. Entrambi hanno vinto tre edizione della Grande Boucle a testa e finora sono stati gli unici a conseguire un record che ora è nel mirino di Anquetil, il quale fisicamente si trova a gareggiare contro avversari diversamente “dislocati” rispetto alle edizioni precedenti. È stata, infatti, abbandonata la formula per squadre nazionali e così il francese, che gareggia nella Saint-Raphaël-Helyett diretta da Raphaël Géminiani, non avrà una nazionale tutta per sé e non sarà circondato solo da fidati connazionali perché in formazione ha anche due olandesi e un tedesco. Ben sei sono le squadre di matrice italiana e in particolare la più temibile pare essere la Ignis-Moschettieri, che sfodera un tridente di tutto rispetto costituito dal toscano Gastone Nencini e dai forlivesi Ercole Baldini e Arnaldo Pambianco, tutti e tre vincitori del Giro d’Italia. Nella Gazzola-Fiorelli il corridore di punta non è “nostrano” poiché si tratta dello “stagionato” Charly Gaul, che si presenta al via del Tour con la maglia di campione lussemburghese appena conquistata ma è oramai indirizzato al capolinea (quel campionato nazionale sarà, infatti, l’ultima vittoria della sua carriera, che terminerà ufficialmente tre anni più tardi).Nella Legnano-Pirelli c’è Imerio Massignan, nella Carpano Nino Defilippis, mentre la Philco ha schierato il miglior italiano dell’edizione precedente, Guido Carlesi, al quale si è deciso d’affiancarli il promettente parmense Vittorio Adorni, professionista da un anno e già messosi in luce all’ultimo Giro d’Italia, dove si è piazzato quinto dopo aver vinto la tappa di Moena. Per quanto riguarda i corridori stranieri quelli che offrono maggiori garanzie sembrano essere il giovane francese Raymond Poulidor, che gareggia nella Mercier-BP-Hutchinson, e lo spagnolo – “anziano” (34 anni) ma ancora sulla cresta dell’onda – Federico Bahamontes, che corre con le insegne della Margnat-Paloma-D’Alessandro. Alla fine di questo Tour, però, tutti questi corridori termineranno lontano dal podio (Massignan sarà settimo) con l’esclusione di Poulidor, che si piazzerà terzo, preceduto da un ciclista non pronosticato alla vigilia, il sorpendente belga della Flandria-Faema-Clément Joseph Planckaert. E a sorprendere sarà anche l’entità dei distacchi che riuscirà a imporre Anquetil, decisamente più bassi rispetto ai suoi due primi Tour, segnali d’esordio di un progressivo declino agonistico che gli consentirà comunque di far sue altre due edizioni della Grande Boucle.

Si inizia con una tappa insolitamente lunga per essere il primo giorno, perché ben 253 sono i chilometri che si devono percorrere per andare da Nancy al traguardo belga di Spa, nel cuore della Vallonia, dove Rudi Altig, il tedesco inquadrato nella formazione di Anquetil, nega al francese André Darrigade la quinta vittoria in carriera nella frazione d’apertura del Tour precedendolo in uno sprint di ventiquattro corridori tra i quali ci sono anche Carlesi (quinto), “Jacquot”, Nencini, Baldini e Massignan. Il Tour è, invece, partito con il piede sbagliato per altri attesi corridori perché già al primo giorno di gara Gaul si ritrova sul groppone un ritardo di 1’49” e peggio è andata a Bahamontes, Poulidor e Pambianco, che hanno rispettivamente perduto circa otto minuti i primi due e più di tredici il vincitore del Giro del 1961, vittima di una foratura.

È solamente rimandato di ventiquattrore l’appuntamento con la vittoria per Darrigade, che l’indomani fa sua allo sprint la prima delle sue semitappe con arrivo a Herentals, nella quale il grande sconfitto è il belga Rik Van Looy, che corre con la maglia iridata e che è giunto solamente quarto nella frazione terminata nel paese dove risiede e della quale è per tutti “l’Imperatore”. Registrato in casa Italia il ritiro di un febbricitante Defilippis, il pomeriggio si disputa una cronometro a squadre di 23 Km nella quale la Flandria, la formazione nella quale corre Planckaert, s’impone distanziando 1’15” la VC XII-Leroux-Gitane-Dunlop della maglia gialla Darrigade, che riesce a mantenere le insegne del primato conquistate al termine della semitappa mattutina. La formazione migliore tra quelle dei big è quella di Anquetil, che fa meglio di 1’09” della squadra di Carlesi, di 1’30” della favoritissima Ignis del “tridente”, di 2’03” della squadra di Bahamontes, di 4’18” della formazione di Poulidor, di 5’05” di quella di Massignan e di 5’18” di quella di Gaul.

Si fa ritorno in Francia con una tappa diretta ad Amiens, caratterizzata da diversi tentativi e che ha tra i protagonisti Carlesi, il pavese Giuseppe Sartore e il tedesco Rolf Wolfshohl, che si lanciano in fuga ai meno 18 e che vengono ripresi a soli 5 Km dal traguardo, dove Altig s’impone in volata riuscendo a togliere grazie all’abbuono la maglia gialla a Darrigade per 24 secondi. Intanto, in una giornata insolitamente caratterizzata da temperature fredde, ci sono corridori di vertice che hanno ancora perduto tempo e così Gaul, Bahamontes e Nencini si ritrovano a concedere agli avversari 56 secondi i primi due e quasi un minuto e mezzo il toscano.

Il giorno successivo l’Italia sfiora la vittoria con il ferrarese Dino Bruni, che al traguardo viene preceduto allo sprint dal belga Willy Van Den Berghen dopo esser stato tra i promotori del tentativo di fuga che era andato a riprendere il comasco Giancarlo Manzoni e in compagnia di quest’ultimo era arrivato fino a Le Havre, dove il gruppo dei migliori è preceduto di poco più di due minuti.

I nostri corridori sono ancora in bella vista nel corso della tappa che conduce a Saint-Malo e stavolta con nomi importanti in fuga, come quelli di Pambianco e di Adorni. Nel tentativo si inseriscono anche il vicentino Antonio Bailetti, il ligure Arnaldo Di Maria e il varesino Augusto Marcaletti, corridore che quell’anno al Tour conquisterà un primato unico al mondo e mai più ripetuto, una “doppietta” all’incontrario con Giro e Tour essendo piazzatosi ultimo – maglia nera, dunque – sia nell’edizione della Corsa Rosa disputata nel 1961, sia nella Grande Boucle in corso. La presenza di Pambianco stimola Massignan, che cerca di raggiungere i battistrada per recuperare il tempo perduto nelle prime tappe, ma la sua reazione trova una pronta risposta nel gruppo che non intende lasciarsi scappare Imerio, miglior scalatore al Tour del 1961, e aumenta la velocità, andando a riprenderlo ma anche causando il fallimento della fuga degli altri italiani. Con il ricongiugimento del gruppo ben 130 corridori si presentano sul traguardo di Saint-Malo, dove a cogliere la vittoria è il belga Emille Daems, che riesce a guadagnare qualche metro al momento dell’ingresso della pista sulla quale è posto l’arrivo e a imporsi con due secondi di vantaggio sul francese d’origini polacche Jean Graczyk e sull’italiano Rino Benedetti.

La lunga marcia d’avvicinamento verso l’attesa cronometro della Rochelle, in programma fra tre giorni, passa ora da un’altra lunga tappa di trasferimento, il cui traguardo è posto all’estremità occidentale dello stato francese, nella città portuale di Brest. È una tappa, questa, che cambia il volto alla leader della classifica perché il tradizionale tentativo di fuga è promosso da quindici corridori di ben nove formazioni differenti e sono, dunque, ben poche le squadre sulle quali ricade un lavoro di ricongiungimento che fallisce per quasi 5 minuti. Tra gli “ardimentosi” di giornata ci sono due italiani (il campano Francesco Miele e il lombardo Carlo Azzini), il francese Robert Cazala – vincitore in quel di Brest – e soprattutto l’olandese Albertus “Ab” Geldermans, che grazie al tempo guadagnato sulla strada riesce a levare per 3’14” la maglia gialla ad Altig, che in classifica viene preceduto anche da un altro dei corridori andati in fuga quest’oggi, il belga Jos Hoevenaars, secondo a 23 secondi. A completare la festa olandese sarà l’indomani la vittoria di Hubertus “Huub” Zilverberg sul traguardo di Saint-Nazaire.

Arriva l’atteso giorno della cronometro, che si disputa nel pomeriggio del primo luglio, dopo che il mattino è arrivata la prima vittoria italiana, conquistata sul traguardo di Luçon dal bolognese Mario Minieri precedendo in volata Benedetti. Anche la crono sorride all’Italia perché l’Anquetil che la disputa non è lo stesso tiranno contro il tempo che si era visto negli anni precedenti: è il francese a vincere ma, dopo una crono filata via velocissima a quasi 48 Km orari, Baldini gli arriva vicinissimo e perde soli 22 secondi. Anche gli altri avversari riescono a contenere il distacco e così Altig finisce a 46” dal transalpino, Planckaert a 1’07”, Carlesi a 1’41”, Nencini a 2’17”, Poulidor a 3’12”, Bahamontes a 3’15”, Gaul a 3’19” e Massignan a 3’30”. Lo sprinter francese Darrigade termina a 4’14” dal suo connazionale e, grazie al tempo guadagnato nei primi giorni di gara, si riprende la maglia gialla vestendola con 51” sul britannico Tom Simpson e 1’21” sull’ex leader Geldermans; Altig è 7° a 3’20”, Planckaert 10° a 3’36” mentre Anquetil è solo 12° a 4’11”: a pochi giorni dall’inizio delle montagne il favorito numero uno per la vittoria finale si ritrova ad avere 1’06” di vantaggio su Baldini, 2’45” su Carlesi, 4’08” su Massignan, 4’34” su Nencini, 7’16” su Poulidor, 8’18” su Gaul e 13’04” su Bahamontes.

Poche ore dopo l’affermazione di Minieri arriva un altro successo italiano, conseguito da Bailetti sul traguardo di Bordeaux, dove il corridore della Carpano regola in volata cinque compagni d’avventura, tra i quali ci sono il romagnolo Franco Magnani e Willy Schroeders, il corridore belga che con questa fuga riesce a spodestare per 45 secondi Darrigade dal vertice della classifica. Alla vittoria di Bailetti fa eco, lo stesso giorno e sullo stesso traguardo, il secondo posto del suo conterraneo Mario Zanin nella prima tappa del Tour de l’Avenir, conquistata dall’olandese Jan Janssen. Quest’anno, però, la nazionale azzurra non riuscirà a bissare il successo conseguito nella prima edizione del Tour dei dilettanti di dodici mesi prima e si dovrà accontentare di una sola vittoria di tappa e del secondo posto sul podio finale di Parigi con un altro corridore che arriva dal Veneto, Mario Maino.

Bisogna affrontare ancora due frazioni prima delle tappe pirenaiche ed entrambe finiscono in mano a corridori belgi. A Bayonne ad imporsi è Willy Vannitsen mentre sul tradizionale traguardo di Pau, al quale stavolta si arriva senza affrontare in precedenza grandi salite, a transitare per primo è Eddy Pauwels. Quest’ultima, però, non è una giornata felice per il Belgio perché perde uno dei suoi corridori più rappresentativi, il campione del mondo in carica Van Looy, costretto al ritiro a causa di una caduta provocata dalla brusca frenata della moto di un quotidiano locale.

È prevista una sola vera tappa di montagna sui Pirenei, 207 Km per andare da Pau a Saint-Gaudens con le salite “ammucchiate” nella fase centrale (nell’ordine Tourmalet, Aspin e Peyresourd) e nessuna difficoltà da superarsi nei primi 65 Km e negli ultimi 50. Sul primo dei tre colli entra in scena Bahamontes, che esce dal gruppo, raggiunge i corridori che si trovavano in fuga da diversi chilometri e li stacca, arrivando a vantare in vetta al Tourmalet due minuti su Massignan e due minuti e mezzo sugli altri assi, tra i quali non ci sono Carlesi – che sta perdendo a questo punto una trentina di secondi da Anquetil – e l’ancor più attardato Baldini. Dietro si attrezzanno per l’inseguimento e riescono a ridurre il vantaggio dello spagnolo sull’Aspin prima e sul Peyresourde poi, in vetta al quale l’Aquila di Toledo transita con 13” su Massignan, 1’22” su “Poupou” e 1’35” sul gruppetto di venti corridori, con Gaul e Anquetil, nel quale è riuscito a rientrare Carlesi. Successivamente una foratura dello spagnolo permette al tedesco Wolfshohl e a Massignan di raggiungerlo e di portarsi al comando della corsa. Ai meno otto viene ripreso lo scalatore vicentino, poco dopo anche il tedesco viene fagocitato dal gruppo che si presenta forte di 18 corridori sul traguardo di Saint-Gaudens, dove coglie la vittoria Cazala mentre Carlesi si piazza secondo guadagnando trenta secondi d’abbuono. Tra i nomi di punta incassano pesanti ritardi Nencini (6’36”) e Baldini (8’45”) mentre esce dai piani alti della classifica la maglia gialla Darrigade, che lascia le insegne del primato a Simpson, primo britannico a vestire il nobile indumento.

È previsto a questo punto il ritorno a Superbagnères, stavolta per una frazione completamente diversa rispetto a quella dell’anno precedente. L’arrivo è, infatti, previsto al termine di una cronoscalata di 18 e mezzo, un esercizio che Anquetil ha già avuto modo di affrontare in due occasioni al Giro d’Italia, al Vesuvio nel 1959 e alle Cave di Carrara nel 1960: nella prima, lunga 8 Km, aveva accusato 52” di ritardo da Gaul, mentre in quella brevissima dell’anno successivo, 2 Km appena, si era imposto ex aequo con lo spagnolo Miguel Poblet. La distanza stavolta è maggiore e i più pensano che pure in quest’occasione il francese si troverà a perdere terreno rispetto agli scalatori: in parte succede proprio così perché ai 1800 metri della stazione di sport invernali sopra Luchon i cronometri sanciscono un minuto e mezzo di ritardo per il francese nei confronti di Bahamontes mentre di soli tre secondi è il vantaggio al traguardo del sorprendente Planckaert, che diviene la nuova maglia gialla. Jacques, però, fa registrare il terzo miglior tempo, superiore di un solo secondo a quello di Gaul, e gli altri avversari si trovano ancora a perdere nei suoi confronti, come nell’altra crono: Poulidor è stato staccato di 1’35”, Massignan di 2’36” e Baldini di 2’53”. Messe in archivio le Alpi ora il favoritissimo Anquetil si ritrova a essere in quarta posizione in classifica, preceduto di 3” da Geldermans, di 18” dal belga Gilbert Desmet (da non confondere con il connazionale Armand Desmet, che quell’anno aveva vestito per una settimana la maglia rosa al Giro) e di 1’08” da Planckaert. Tutti gli altri sono ancora costretti a inseguirlo: Simpson è a 52”, Masslgnan a 6’44”, Carlesi a 7’50”, Gaul a 8’19” e Poulidor a 8’51”.

Il prossimo obiettivo del gruppo sono le Alpi, in direzione delle quali sono state disegnate quattro tappe di trasferimento, la prima delle quali termina a Carcassonne con il successo del francese Jean Stablinski, che anticipa di dodici secondi la volata del gruppo. Il giorno successivo l’arrivo è fissato a Montpellier, dove l’anno precedente al Tour de l’Avenir si era imposto Giorgio Zancanaro, che ora è passato professionista e si trova proprio nel gruppo che sta affrontando l’altro Tour, quello dei “grandi”. Memore di questo precedente il corridore piemontese ambisce ad a imporsi sul medesimo traguardo che l’aveva consacrato e più volte tenta di creare la fuga buona, nessuna delle quali va in porto anche perché i gregari di Anquetil tutte le volte lo vanno a riacciuffare, consapevoli che è un uomo di Carlesi, il corridore che l’anno prima era arrivato secondo al Tour. Il “catenaccio” dei transalpini è tale che, fatto raro nei Tour di quegli anni, l’arrivo è a gruppo compatto e a vincere allo sprint è il belga Willy Vannitsen.

Dopo la tappa di Aix-en-Provence, vinta Émile Daems, il Tour propone l’arrivo ad Antibes, dove nel 1961 era iniziato il filotto di vittorie italiane all’Avenir ed è proprio su questo traguardo che viene colta l’unica vittoria azzurra nella corsa riservata dai dilettanti, per opera del fiorentino Roberto Poggiali. La tappa dei “big” vede, invece, il successo del tedesco Altig alla vigilia del tappone più duro della corsa francese.

L’indomani si deve viaggiare per 241 Km dalle rive del Mediterraneo al cuore delle Alpi, dove l’arrivo è fissato a Briançon dopo esser saliti su Izoard, Vars e su una succulenta salita inedita, il Col de Restefond. Con questo nome viene presentato sull’altimetria ufficiale il colle oggi noto con il nome di Bonette e che conduce al punto più elevato della rete stradale francese, a 2802 metri di quota. Ci sono tutte le prerogative perché ne esca un tappone da far tremare i polsi e invece a tremare è ben poco, al punto che un velocista come Daems riesce a rimanere assieme agli scalatori e addirittura li precede al traguardo, dove Massignan, Poulidor, Anquetil, Gaul, Planckaert e Bahamontes giungono tutti assieme. A pagare sono solo i soliti nomi che già erano apparsi in difficoltà sui Pirenei, ai quali si aggiunge quello di Carlesi, oggi staccato di quasi otto minuti.

È rimasta una sola tappa di montagna per tentare di mettere in croce Anquetil, quella che termina ad Aix-les-Bains dopo aver affrontato il Lautaret, il Luitel e, nel finale, il tridente Porte-Cucheron-Granier, percorso al contrario rispetto alla frazione dove l’anno prima Gaul era riuscito a staccare il francese. Anche stavolta è questo trittico a rivelarsi decisivo, con l’attacco di Bahamontes sul Porte e la risposta di Poulidor, con il francese che riesce a raggiungere e lasciare sul posto il corridore spagnolo, involandosi verso un traguardo dove giunge con 2’30” sull’Aquila di Toledo e il connazionale Anglade, mentre “Jacquot” termine nel gruppo di 17 corridori che giunge dopo 3’16” e nel quale c’è ancora Planckaert, che così mantiene intatto il vantaggio di 1’08” che alla partenza aveva su Anquetil. Per quanto riguarda gli italiani cede ancora Carlesi, che oggi ha terminato con un passivo di poco inferiore ai venti minuti. Finite le Alpi ora la classifica vede, come detto, ancora in testa il corridore belga, secondo è Anquetil a poco più di un minuto, terzo Poulidor a 5’43”; s’incontrano quindi Desmet a 7’15”, Geldermans a 7’23”, Simpson a 7’27”, Massignan a 7’50” e Gaul a 9’27”. Baldini è 11° a 16’39” mentre Carlesi è sprofondato in diciottesima posizione con 32’28” di ritardo. A parziale consolazione per l’Italia arriva il terzo posto di Maino nella tappa del Tour de l’Avenir (vinta dall’elvetico René Binggeli), piazzamento grazie al quale il corridore veneto si porta al secondo posto della classifica generale con 1’54” di ritardo dalla maglia gialla, lo spagnolo Antonio Gómez del Moral.

È quasi diventato un incubo quel Planckaert per Anquetil, ma ora Jacques ha a dispozione la tappa che gli consentirà di riportare l’ordine, la lunga crono che in 68 Km conduce da Bourgoin-Jallieu a Lione. Sul suo terreno di gara prediletto torna a farsi vedere il solito schiacciasassi contro il tempo che si conosceva perché stavolta i distacchi che riesce ad affliggere non sono ridotti ai minimi termini, come invece era successo nella crono della Rochelle. È ancora Baldini il primo dei battuti, ma con un ritardo quasi decuplicato rispetto all’altra volta, quando aveva accusato un passivo di 22 secondi, ora divenuti 179, vale a dire quasi tre minuti. Quel che più contano per il transalpino sono i cinque minuti e rotti che è riuscito a dare a Planckaert, che deve salutare la maglia gialla pur riuscendo a conservare la seconda posizione in classifica, al cui terzo posto si conferma Poulidor.

Ora Anquetil può dormire sonni tranquilli e non possono certo turbarlo i 12 secondi che Planckaert e Poulidor riescono a sgranocchiargli l’indomani nel finale della penultima tappa, vinta a Nevers dall’italiano Bruni, antipasto della prestigiosa affermazione che Benedetti otterrà ventiquattrore più tardi sull’approdo finale sulla pista del velodromo del Parco dei Principi.

Missione tripletta compiuta per Anquetil, che ora punta dritto al primato assoluto…

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: presenti sono le frazioni pirenaiche, quelle alpine e due delle tappe di trasferimento verso le Alpi







Anquetil e Poulidor al Tour del 1962

Anquetil e Poulidor al Tour del 1962

BATTI UN CINQUE – 1961, IL SECONDO TOUR DI ANQUETIL

luglio 16, 2020 by Redazione  
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Dopo l’exploit del 1957 bisogna attendere quattro anni per rivedere Anquetil vincere il Tour de France. Nelle stagioni precedenti è stato messo alle corde in salita ed è riuscito a vincere il Giro del 1960 per soli 28 secondi. Ma nel 1961 torna a farsi vedere il normanno che aveva dominato il suo primo Tour, complice un avversario numero uno, Charly Gaul, che non rende più in salita come prima e ha già imboccato la strada che lo porterà al ritiro dalle competizioni. Alla fine il corridore che gli giungerà più vicino sarà l’italiano Guido Carlesi, premio di consolazione per la nazionale azzurra che avrà comunque modo di gioire grazie alla vittoria di Guido De Rosso nella parallela prima edizione del Tour de l’Avenir.

Non ebbe vita facile Anquetil negli anni suiccessivi il suo exploit al Tour del 1957.
Prese le misure del loro nuovo avversario, i suoi rivali si attrezzano e riescono a batterlo, non solo in salita ma anche sul suo terreno di gara. Così al Tour del 1958 il lussemburghese Charly Gaul riesce a precederlo, anche se solo per sette secondi, nella crono di Châteaulin e poi anche nella cronoscalata del Mont Ventoux e nelle tappe di montagna: si scoprirà qualche giorno più tardi che Jacques durante quel Tour covava in corpo, senza saperlo, una congestione polmonare che ne aveva condizionato il rendimento e che lo costringerà al ritiro alla vigilia della penultima tappa, proprio quella cronometro lunga alla quale tanto puntava. Perfettamente ristabilito, nel 1959 decide di puntare alla doppietta Giro-Tour, ma finisce per “prenderle” in entrambe le corse, terminando in seconda posizione la Corsa Rosa – ancora dietro a Gaul – e in terza la Grande Boucle, dove meglio di lui fanno il connazionale Henry Anglade e lo spagnolo Federico Bahamontes, quell’anno maglia gialla. Anche nel 1960 inserisce nei programmi il Giro – è l’anno del debutto del Gavia – e lo vince a fatica riuscendo a prevalere per soli 28”. Il corridore giunto secondo è Gastone Nencini, che Jacques già aveva visto all’opera al Tour del 1957 e che sa essere iscritto al Tour che prenderà il via due settimane più tardi: così il campione francese, che teme la terza sconfitta consecutiva nella corsa di casa, il giorno della conclusione del Giro annuncia che al Tour non ci andrà e che a vincerlo sarà Nencini. Ed è proprio quello che accadrà perché il 18 luglio del 1960 i quotidiani italiani annunceranno la vittoria finale del “Leone del Mugello”, giunto a Parigi con 5 minuti di vantaggio su un altro corridore italiano, il correggionale Graziano Battistini.

Per ritrovare l’Anquetil che aveva monopolizzato il Tour del 1957 bisogna aspettare l’edizione del 1961, che scatta dalla sua Rouen, forse uno sprone voluto dagli organizzatori per accattivarne la partecipazione. E anche questo è un Tour che il francese affronta dopo aver preso parte al Giro d’Italia, dove ha vinto la lunga crono di Bari e ha nuovamente concluso la corsa in seconda posizione, preceduto di 3’45” dal romagnolo Arnaldo Pambianco, mentre Gaul stavolta non è riuscito a superarlo, anche se per soli 37 secondi. Nonostante non riesca più a vincere il Tour da quattro anni è lui il favorito numero uno per la vittoria, anche perché Gaul, pur avendo solo un paio di anni più di lui, sembra aver già imboccato la strada che lo condurrà alla fine della sua carriera due stagioni più tardi. E non si vedono altri corridori in grado di combattere ad armi quasi pari con il corridore francese, che, in effetti, si imporrà in questa edizione con distacchi importanti, anche se inferiori rispetto a quelli che aveva impresso in classifica quando si era cimentato per la prima volta con il Tour nel 1957. La nazionale azzurra – che per la prima volta dal 1950 non ha come commissario tecnico Alfredo Binda, sostituito da Antonio Covolo – schiera comunque corridori interessanti come il già citato Battistini, lo scalatore vincentino Imerio Massignan, primo uomo al comando sul Gavia, il trevigiano Vito Favero – che era giunto secondo nel Tour vinto da Gaul nel 1958 – e il toscano Guido Carlesi, che alla fine sarà il primo dei battuti, un piazzamento che riuscirà a guadagnare all’ultimo giorno di gara invertendosi per soli due secondi con Gaul.

Si inizia con il successo allo sprint del francese André Darrigade, un “habituè” della vittoria nella prima tappa del Tour, che ha conquistato per quattro volte tra il 1956 e il 1961, saltando l’appuntamento soltanto nel 1960. “Dédé” vince a Versailles precedendo in volata l’emiliano Mario Minieri in una prima frazione che già vede Anquetil protagonista, infilatosi nella fuga di 15 corridori – tra i quali c’è Carlesi – giunta al traguardo con quasi 5 minuti di vantaggio sul grosso nel gruppo, nel quale ci sono Gaul e gli altri italiani più interessanti.

“Jacquot” è già in perfetto orario, anzi in anticipo di qualche ora perché lo si aspettava in grande spolvero per il pomeriggio della stessa prima tappa, quando Jacques Goddet ha programmato una cronometro di 28 Km e mezzo. Il verdetto della prova contro il tempo è impressionante perchè Anquetil affibbia ai rivali distacchi mostruosi se paragonati alla distanza da percorrere: se nella crono di Bari del Giro, che era lunga 55 Km, aveva dato quasi tre minuti ai corridori che più gli erano arrivati vicini, al termine di un percorso lungo la metà riesce a distanziare di 2’32” il connazionale Albert Bouvet e di 2’39” l’italiano Battistini, mentre Gaul incassa subito un “diretto” di 2’55”. Per quanto riguarda gli altri azzurri, Massignan è 9° a 3’18” e Carlesi 37° a 4’55”: il predominio del francese è così netto che nessuno, da qui a Parigi, riuscirà a togliergli di dosso la maglia gialla.

Con gli avversari letteralmente annichiliti dalla prestazione di Anquetil il giorno dopo si disputa la tappa del pavè, 230 Km per viaggiare da Pontoise alla volta di Roubaix, dove anziché contare i distacchi di una tappa poco selettiva – bis di Darrigade in volata, gruppo dei migliori compatto con il solo Carlesi che riesce a precederlo di una manciata di secondi – si contano i feriti caduti sul campo. La tappa è, infatti, caratterizzata da almeno sette cadute, due delle quali mandano a terra una trentina di corridori, con sei di questi costretti al ricovero in ospedale e al conseguente ritiro dal Tour: uno dei più gravi è un italiano, il biellese Ezio Pizzoglio, che riporta fratture multiple al cranio e che per un lungo periodo faticherà a ritrovare la parola.

Si supera una prima volta il confine di stato per una tappa diretta a Charleroi attraverso il Muro di Grammont. Su quelle stesse strade quattro anni prima la nazionale francese aveva orchestrato un attacco che aveva permesso ad Anquetil di guadagnare parecchio sugli avversari e in particolare su Nencini (quasi undici minuti di ritardo). Memore di questo precedente i transalpini provano ancora far saltare il banco, ma stavolta la nazionale italiana si fa trovare pronta e, dopo aver accusato un minuto di ritardo, reagisce e si riporta sul gruppo all’attacco per poi ritrovarsi lei stessa nel ruolo di attaccante grazie ad un’offensiva scatenata da Carlesi. Dopo aver fatto sprecare tante energie ai francesi la tappa vede i migliori giungere tutti assieme al traguardo, dove s’impone il belga Emile Daems mentre tra i nostri l’unico a pagare è Favero che, fiaccato da una tappa condotta a oltre 39 Km/h, accusa più di venti minuti di ritardo.

Tanti saliscendi movimentano la tappa che riporta la corsa in Francia, ideali trampolini di lancio per una fuga da lontano. E la fuga parte quando si sono messi alle spalle i primi 30 dei 237 Km che si devono percorrere per andare a Metz e a portarsi al comando sono due francesi, Bernard Viot e Jean Forestier, che nel 1957 proprio grazie ad una fuga simile era riuscito a portarsi al comando della classifica. Guadagnano fino a 8’45” poi Anquetil fa la voce grossa con Marcel Bidot, commissario tecnico della nazionale transalpina, perché non c’è collaborazione all’inseguimento e si corre il rischio che Forestier gli porti via la maglia. Stavolta non vuole concedere nulla a nessuno e ordina così a Bidot di recarsi da Forestier e intimargli di rallentare: il compagno di squadra di Jacques obbedisce con rassegnazione, ma la fuga continua ugualmente a guadagnare e raggiunge i dieci minuti di vantaggio fin quando è la nazionale italiana a prendere in mano le redini dell’inseguimento. È poi Viot, che corre per una delle nazionali francesi regionali, a ricevere l’ordine di rallentare, nello stesso momento nel quale Forestier rompe gli indugi e scatta. Alla fine il vantaggio precipita e i due sono ripresi a 20 Km dal traguardo, mentre si susseguono altri tentativi, fino a quello decisivo del terzetto che va a giocarsi la vittoria, conquistata dal francese Anatole Novak, il corridore più alto del Tour.

Nella medesima squadra di Novak, la regionale francese del Midi-Centre, corre anche il corridore più basso di questa edizione della corsa, Louis Bergaud, la “Pulce del Cantal” che curiosamente gli succede nell’albo d’oro vincendo il giorno successivo la tappa di Strasburgo, che propone le prime salite vere del Tour 1961. Ma le inclinazioni dei Vosgi – si deve salire prima sul Col du Donon e poi sul Champ du Messin – si rivelano abbastanza tenere e nessuno tra gli avversari di Anquetil prova a metterlo in difficoltà, nemmeno quando nella fuga decisiva s’infila Jos Hoevenaars, che da qui a Parigi potrebbe rivelarsi un osso duro per il piazzamento in classifica alle spalle del francese. Il corridore belga, infatti, al Giro dell’anno prima si era piazzato quinto in classifica dopo aver vestito per dieci giorni la maglia rosa e in questa frazione è riuscito a guadagnare quasi 4 minuti, anche se è ancora lontanissimo da Anquetil e Carlesi, attualmente miglior italiano in classifica con 5’22” di ritardo dal francese.

Poco selettiva si rivela anche la successiva tappa di Belfort, più difficile della precedente perché si deve salire sul Ballon d’Alsace. Gli avversari di Anquetil provano a renderla ancor più impegnativa con una serie di pericolose fughe a ripetizione intentate nel velocissimo avvio di gara, quando la velocità supera i 50 Km/h. Il francese non si fa, però, mai prendere in castagna, almeno fin quando non gli scappano due corridori del calibro del nostro Battistini, secondo al Tour dell’anno prima, e dell’irlandese Seamus Elliott, che nonostante i “natali” corre nella nazionale britannica. Ci vuole una mezz’ora buona per andare a riprenderli, più avanti ci provano Massignan e nuovamente Battistini, ma stavolta la reazione del francese è pronta e annichilisce nuovamente gli avversari, che neanche ci provano a infastidirlo sull’atteso Ballon d’Alsace. All’arrivo i migliori sono così nuovamente tutti assieme, preceduti al traguardo di quasi cinque minuti dall’arrivo solitario del belga Joseph Planckaert, che prima che iniziassero le salite si era infilato in un tentativo di cinque corridori al quale Anquetil aveva lasciato via libera.

Affrontate senza troppi scossoni le prime montagne il Tour si dirige ora verso il centro della Francia con una tappa sulla carta di trasferimento che per la nazionale francese si rivela, invece, molto dispendiosa. Riesce, infatti, ad andare in porto una fuga da lontano che rischia di levare la maglia gialla ad Anquetil e al cui inseguimento non contribuiscono né Gaul, né la nazionale belga – i cui corridori erano stati accusati dal francese di aver tentato di farlo cadere nella precedente frazione – né quella italiana perché nel tentativo si era inserito il veronese Adriano Zamboni. Ricaduto tutto sulle spalle dei transalpini, il lavoro di ricucitura permette loro di ridurre a 6’33” il vantaggio dei corridori al comando, tra i quali ci sono anche il francese Jean Stablinski, che si impone in quel di Chalon-sur-Saône, e lo spagnolo Fernando Manzaneque (quello della scazzottata con Vito Taccone al Tour del 1964), che a un certo punto di questa frazione si era trovato a essere ad un passo dalla maglia gialla virtuale e che ora è secondo in classifica a 4’37” dal primato di Anquetil.

Alla vigilia delle Alpi si arriva a Saint-Étienne, dove sono previsti due arrivi di tappa lo stesso giorno ma di due corse differenti: il 2 luglio viene, infatti, tenuta a battesimo la prima edizione del Tour de l’Avenir, la Grande Boucle riservata ai dilettanti, la cui prima frazione è vinta dal francese Jean-Claude Lebaube. Diretta da Elio Rimedio, nella nuova corsa è in gara anche la nazionale “cadetta” che alla fine tornerà in Italia con il bottino maggiore, sei vittorie di tappa consecutive e, soprattutto, la classifica generale finale conquistata dal trevigiano Guido De Rosso con 38” di vantaggio sullo spagnolo Francisco Gabica. La parallela corsa dei professionisti si risolve anche oggi con una fuga, stavolta concessa da Anquetil che così si fa perdonare per lo “sgarbo” fatto qualche giorno prima al suo compagno di squadra Forestier, fermandolo mentre era al comando della corsa: è proprio lui a vincere, dopo esser evaso dal gruppo assieme al connazionale Stéphane Lach ed essere giunto al traguardo quattro minuti prima dei migliori.

Arriva il momento della prova del nove per Anquetil, che nelle ultime stagioni le ha sempre “prese” in salita, anche se le tre frazioni disegnate attraverso la catena alpina non sembrano particolarmente accidentate. Deve in particolare guardarsi le spalle da Gaul ed è proprio lo scalatore lussemburghese a pugnalargliele nella tappa che si conclude in discesa a Grenoble dopo aver scavalcato nel finale il tridente costituito dalle ascese ai colli del Granier, del Chucheron e di Porte. Davvero di pugnalata si può parlare perché “l’Angelo della Montagna” sceglie un momento di difficoltà dell’avversario per attaccarlo, quando Anquetil si è dovuto fermare per fare sostituire una ruota (in precedenza aveva forato e un suo compagno di squadra gli aveva ceduto la sua, che però era fornita di rapporti inadatti alle salite). Il lussemburghese arriva a guadagnare fino a 3 minuti in vetta al Cucheron, poi rischia di compromettere il lavoro fatto osando eccessivamente nella successiva discesa, lungo la quale ruzzola a causa dell’asfalto bagnato. Riparte ferito, ma riesce a stringere i denti sino al traguardo, dove giunge con un vantaggio quasi dimezzato su Anquetil, che sarebbe potuto essere maggiore se non avesse azzardato troppo in discesa. Ma il lussemburghese è stato l’unico a guadagnare sul francese, che ha terminato la prima tappa alpina assieme a Massignan, al tedesco Hans Junkermann e al secondo della classifica Manzaneque, mentre tutti gli altri si sono nuovamente piegati all’asso normanno: in particolare Carlesi ha perduto quasi due minuti, mentre Battistini è vittima di una grave crisi che lo porta ad accusare al traguardo un passivo di più di dodici minuti.

C’è particolare attesa tra gli italiani per la tappa del giorno successivo, perché si deve arrivare in Italia dopo esser saliti prima sulla Croix-de-Fer e poi sul Moncenisio. Una novantina di chilometri dopo la cima dell’ultima ascesa il traguardo è fissato presso lo Stadio Comunale di Torino, dove rimangono delusi i circa tremila tifosi accorsi, desiderosi di applaudire il successo di un nostro connazionale. La vittoria, infatti, se la giocano due corridori francesi scappati a una ventina di chilometri dalla partenza e rimasti al comando per i successivi 230 km – nell’ordine si classificano Guy Ignolin ed Emmanuel Busto – mentre il gruppo degli assi, oggi assai poco belligeranti, taglia il traguardo a quasi un quarto d’ora dai primi due, preceduto di un minuto e mezzo circa dall’arrivo solitario dell’umbro Carlo Brugnami.

Bisogna attendere il rientro del Tour in Francia per assistere al primo dei tre successi italiani, colto da Carlesi sul traguardo di Antibes, al quale si giunge al termine dell’ultima frazione alpina. Un altro azzurro protagonista della giornata è Massignan, che transita in testa su tutte e tre le salite previste – i colli di Tenda (fino al traforo), di Brouis e di Braus – consolidando il proprio primato nella classifica dei Gran Premi della Montagna, all’epoca non contraddistinta da una maglia da far indossare al titolare, assegnata per la prima volta nel 1975. È nel corso della discesa dal secondo colle che entra in scena Carlesi, che si lancia solitario all’attacco e arriva a guadagnare una trentina di secondi prima di essere ripreso a 2 Km dalla vetta del Braus. Non succede più nulla d’emozionante fino al rettilineo d’arrivo, sul quale si fionda un gruppo di una ventina di corridori nel quale non ci sono né Battistini, ritiratosi dal Tour dopo aver tamponato violentemente un’ammiraglia ferma in coda sul Brouis, né Brugnami, che si porta addosso i dolorosi segni di una caduta avvenuta il giorno prima nella discesa dal Moncenisio, quando era stato colpito da un secchio sfuggito di mano a un tifoso che voleva lanciargli dell’acqua. Le due brutte notizie vengono, però, mitigate via dalla bella vittoria di Carlesi, che sulla pista d’atletica del Fort Carré riesce a precedere il re del Tour Anquetil, che al termine della tre giorni alpina si ritrova ad avere in classifica 5’37” di vantaggio su Manzaneque, 6’33” su Gaul e 7’13” sul corridore toscano.

All’affermazione di Carlesi replica quella di Guido De Rosso, che il giorno successivo s’impone per distacco ad Aix-en-Provence nella frazione del Tour de l’Avenir che si disputa sul medesimo tracciato che lo stesso giorno affrontrano anche i professionisti, tra i quali emerge il belga Michel Van Aerde, in fuga assieme ad altri undici corridori tra i quali c’è l’italiano Renzo Accordi. Per i nostri c’è da registrare un altro ritiro perché, ventiquattrore dopo Battistini, anche Brugnami è costretto a mettere piede a terra e salire in ammiraglia.

Un’altra tappa priva di particolari sussulti è quella che arriva a Montpellier, dove Darrigade ottiene la sua terza vittoria mentre il c.t. della nazionale azzurra Covolo affligge una multa di centomila lire (corrispondenti a 1290 euro odierni) al toscano Guido Boni per punirlo dopo essersi rifiutato di aiutare Brugnami a portare a termine la frazione del giorno precedente. Lo minaccia anche di spedirlo a casa ma non sarà lui a farlo perché il destino ha riservato anche per Boni una caduta e il giorno successivo – quando è in programma il riposo – è costretto pure lui ad abbandonare la corsa e farsi ricoverare all’ospedale di Montpellier.

Se la nazionale italiana dei “grandi” sta attraversando un momentaccio, nonostante la buona posizione di Carlesi in classifica e il primato di Massignan tra gli scalatori, un clima esattamente opposto sta vivendo la squadra diretta da Rimedio che, mentre i professionisti si godono il meritato riposo a Montpellier (c’è anche chi, come Gaul, opta per trascorrerlo in una vicina località balneare), stavolta riporta la vittoria con l’alessandrino Giorgio Zancanaro.

Dopo il riposo si riparte con la più breve tra le venti frazioni in linea del Tour, 174 Km da percorrere per andare a Perpignano, dove a essere protagonisti sono ancora i corridori in fuga, sia nella tappa dell’Avveniere, sia in quella dei professionisti: la prima finisce ancora per arricchire il palmarès della pattuglia italiana grazie alla vittoria del romano Clay Santini, la seconda è conquistata dal belga Eddy Pauwels.

Alla vigilia dei Pirenei, sui quali il Tour si fermerà per due impegnative frazioni molto più toste rispetto a quelle alpine, si corre un’ennesima tappa di trasferimento che si conclude inaspettatamente con la vittoria di Carlesi. Il corridore toscano decide di festeggiare il primo compleanno del figlio dedicandogli un successo che riesce a cogliere partendo improvvisamente a 5 Km dal traguardo di Tolosa, sorprendendo il gruppo “spompato” da un precedente inseguimento e andando a riprendere i corridori che si trovavano in testa alla corsa per poi precederli allo sprint. Il tempo fisicamente guadagnato su Anquetil e Gaul è poco, soli sei secondi, ma l’aggiunta dell’abbuono di un minuto riservato al vincitore gli consente di scavalcare il lussemburghese in classifica e di portarsi al terzo posto a poco meno di sei minuti dalla maglia gialla. E ancora si festeggia in casa Italia per un successo tra i “puri” all’Avvenire, firmato in questa occasione da Gilberto Vendemiati, il ferrarese che l’anno successivo inaugurerà l’albo d’oro del Giro della Valle d’Aosta.

I Pirenei vedono quest’anno il debutto della salita di Superbagnères, che accoglie il Tour in una giornata meteorologicamente infernale a causa di un nubifragio che a tratti si trasforma in grandine ed è accompagnato da un vento fortissimo, impetuoso al punto che l’organizzazione si vede costretta a smontare lo striscione del traguardo, mentre i giornalisti presenti all’arrivo vanno a rifugiarsi dietro un muretto dal quale, di tanto in tanto, fanno capolino per controllare la situazione di corsa, sperando di non essere centrati da “oggetti volanti”. Il vento rischia anche d’ostacolare la marcia dei corridori e in particolare quella dell’italiano Massignan, che riesce a fare il vuoto ma si becca una violenta folata in senso contrario che lo lascia in “souplesse” e lo rispedisce nel gruppo. Poi ci riprova con più successo e, bruciata l’ultima curva, con la stessa violenza con la quale spirava il vento fa un giro di 180° e si pone alle spalle dello scalatore vicentino, permettendogli di arrivare quasi senza sforzo sull’inedito traguardo, che taglia precedendo di 8” Carlesi, di 14” Junkermann, di 16” Anquetil e Gaul e di 22” Manzaneque. Se per la maglia gialla i giochi di fatto non si sono mai aperti, la lotta è ancora accesissima per il podio perché oggi Carlesi è risalito al secondo posto, a 5’29” da “Jacquot”, precedendo di 14” Manzaneque e di 1’04” Gaul. Più fortuna dei professionisti hanno avuto i dilettanti, che hanno gareggiato prima che si scatenasse il maltempo e che hanno visto imporsi per la quinta volta di fila un italiano: a Superbagnères è giunto per primo De Rosso, che oltre a bissare il successo ottenuto nella quinta tappa si porta al comando della classifica, togliendo per quasi un minuto e mezzo la maglia gialla allo spagnolo Gabica.

L’ultima occasione per gli scalatori è offerta dalla Luchon – Pau, classica cavalcata di 197 Km che propone quattro storici colli concentrati nei primi 140 Km, Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque. Ma si vedono ben pochissimi attacchi tra i corridori in lotta per il podio e alla fine i “big” giungono tutti assieme al traguardo, regolati in volata da Carlesi che però deve accontentarsi del piazzamento del sesto posto perché di questa situazione ne ha approfittato un piccolo manipolo di coraggiosi che è riuscito a precedere di quasi 4 minuti il gruppo e nel quale c’è Pauwels, il belga che a Pau bissa il successo ottenuto qualche giorno prima a Perpignano. È l’ultima tappa di montagna anche per il Tour de l’Avenir, che si disputa sulla seconda parte della frazione dei professionisti e che termina ancora con un’affermazione italiana (s’impone il trevigiano Bruno Fantinato e sarà l’ultima vittoria dei nostri), mentre De Rosso viene attaccato sull’Aubisque da Gabica, ma i trenta secondi accusati dalla maglia gialla in vetta al colle vengono totalmente annullati nel corso della successiva discesa.

Dopo la tappa di Bordeaux, vinta dal belga Martin Van Geneugden, entrambe le corse propongono un’attesa tappa a cronometro, ma in luoghi differenti. I futuri professionisti gareggiano in circuito attorno a Limoges, su di un anello di 42 Km che vede l’elvetico Erwin Jaisli viaggiare più veloce di tutti e la maglia gialla De Rosso perde 48” dal diretto rivale di classifica Gabica, conservando per 38” le insegne di un primato che non sarà più messo in discussione da qui a Parigi. Non c’è, invece, storia per l’esito della Bergerac – Périgueux dei “grandi” per quanto riguarda la vittoria di tappa, predestinata ad Anquetil che percorre 74 Km e 500 metri in 1h42’32”, alla media di 43.595 Km/h, distanziando di tre minuti Gaul. Si battaglia apertamente, invece, per il podio con il lussemburghese che riesce a far meglio di 38” (i quali aggiungerne trenta d’abbuono, previsti anche nelle cronometro) di uno sfortunato Carlesi, rallentato da ben tre forature, e si riprende per soli quattro secondi il secondo posto in classifica.

È stato l’abbuono a levare il secondo posto in classifica a Carlesi e il toscano vuol proprio sfruttare quelli in programma all’arrivo di Tours, l’indomani, per riprendersi quello che la sfortuna più che l’avversario gli ha portato via. Gli va male il colpo, però, perché sono previsti solo per il primo classificato (ben un minuto, come già detto) e il primo dei battuti (i trenta che il giorno prima si era intascato Gaul) e lui a Tours si ferma solamente al terzo posto, preceduto allo sprint da Darrigade e Viot.

A disposizione di “Coppino” rimane solo la tappa conclusiva con arrivo al velodromo del Parco dei Principi, sulla cui pista si vede in testa a tirare nientepopodimenoché Anquetil, che s’impegna nel lanciare la volata al suo compagno di squadra Robert Cazala, vittorioso nella capitale francese. Anche stavolta a Carlesi sfuggono gli abbuoni ma non l’occasione di distanziare Gaul, che riesce a staccare durante l’ultimo chilometro, nel quale il lussemburghese si trova costretto a frenare dopo che davanti gli sono cascati due gregari. Così il toscano riesce a recuperare sei secondi all’Angelo della Montagna, un’inezia ma che gli basta per riprendersi definitivamente il secondo posto per appena due secondi.

Un paio di battiti di ciglia per un sogno che si avvera, perché raggiungere e superare il normanno che vola a cronometro in quel momento è pura utopia.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: presenti solo le due frazioni alpine, le tre pirenaiche e la cronometro di Périgueux.

Anquetil (al centro), Gaul e Junkermann allinseguimento degli italiani Massignan e Carlesi in mezzo alla tormento di Superbagnères

Anquetil (al centro), Gaul e Junkermann all'inseguimento degli italiani Massignan e Carlesi in mezzo alla tormento di Superbagnères

BATTI UN CINQUE – 1957, IL PRIMO TOUR DI ANQUETIL

luglio 14, 2020 by Redazione  
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Nel 1957 irrompe Anquetil sulle strade del Tour e non ce n’è per nessuno. Non ha mai preso parte a un grande corsa a tappe e mai ha affrontato salite come il Galibier e il Tourmalet. Arriva dalla crono e in esse si è prevalentemente cimentato nei primi quattro anni di professionismo, che lo vedono spadroneggiare al Grand Prix des Nations e strappare a Coppi un record dell’ora che resisteva da ben 14 anni. Tutti lo attendono al varco nelle due prove contro il tempo inserite nel tracciato e le vince entrambe, ma gli sono inutili: i quasi 15 minuti di vantaggio sul secondo con i quali s’imporrà li guadegnarà altrove, a dimostrazione che un nuovo grande campione è arrivato sulle strade del Tour, corridore in grado di monopolizzare la classifica per molte edizioni.

Un pivello già navigato.

Quando Jacques Anquetil prende parte al suo primo Tour de France ha 23 anni, è un “pivello” che però ha alle spalle già quattro stagioni da professionista. Ha debuttato a soli 19 anni imponendosi nel Grand Prix des Nations, gara a cronometro di 140 Km che vince con quasi sette minuti sul connazionale Roger Creton. Farà sue altre nove edizioni di questa massacrante corsa (le prime sei consecutivamente) e nei primi anni da corridore preferisce prevalentemente dedicarsi alle prove contro il tempo (nel 1956 riuscirà a battere il record dell’ora superando quello precedente di Fausto Coppi, che durava da ben 14 anni) non disdegnando fugaci apparizioni nelle altre corse, come il Tour de la Manche che vince nel 1953 e la Parigi-Nizza dell’anno successivo, nella quale s’impone nella tappa conclusiva a cronometro. Bisogna attendere fino al 1957 per vederlo al via del Tour, che all’epoca si disputa ancora per squadre nazionali e che non lo vede inserito tra i “papabili” per il successo finale perché finora non lo si è mai visto in azione sulle lunghe e difficoltose tappe di montagna e non si conosce la sua tenuta in una corsa di tre settimane. Si presenta al via, comunque, esibendo un bel biglietto da visita fresco di stampa, quello della vittoria nella classifica finale della Parigi-Nizza, anche se il suo vantaggio alla fine è stato risicato, appena 23” sul belga Désiré Keteleer e 55” su un altro corridore che viene dalla terra delle classiche del nord, Jean Brankart. I favoriti per la vittora sembrano essere altri, anche perché la nazionale transalpina presenta al via il vincitore uscente del Tour Roger Walkowiak, mentre è assente il trentaduenne Louison Bobet (vincitore del Tour per tre anni consecutivi tra il 1953 e il 1955), che non vuole correre in squadra con Anquetil (ma l’antipatia è reciproca e anche Jacques aveva detto lo stesso) e che non si è ancora ripreso dalle fatiche di un Giro dove è stato battuto per soli 19 secondi da Gastone Nencini. Il corridore toscano è la punta di diamante della nazionale azzurra diretta da Alfredo Binda, mentre la formazione mista del Lussemburgo (in squadra ci sono anche due portoghesi, un tedesco, un britannico e l’italiano Aldo Bolzan) propone al via Charly Gaul, che era partito come favorito per la vittoria alla Corsa Rosa, gara che ha perduto per il famoso episodio della “pipì” nella tappa del Bondone. Particolarmente temibile è la nazionale spagnola, che ha deciso di presentare ai nastri di partenza l’intero podio dell’ultima Vuelta, il vincitore Federico Bahamontes, Jesús Loroño e Bernardo Ruiz.

Non esistendo all’epoca i prologhi, che saranno introdotti solamente nel 1967, il Tour inizia con una tappa in linea di 204 che da Nantes conduce a Granville e che vede subito Nencini guadagnare più di un minuto e mezzo sugli altri favoriti. Gastone è lesto a inserirsi nel tentativo di undici uomini che prende il via pochi chilometri dopo la partenza e che riesce ad arrivare fino al traguardo, complici anche i continui saliscendi e l’asfalto che si scioglie a causa del gran caldo e che rende difficoltoso l’inseguimento. All’arrivo il toscano è solo quarto (lo precedono il francese André Darrigade, lo spagnolo Miguel Poblet e il francese Joseph Thomin), ma si fa notare tra i più intraprendenti e la giuria decide di assegnargli il premio riservato al corridore più combattivo. Per Anquetil, invece, il debutto sulle strade del Tour non è stato dei più felici a causa di una caduta avvenuta dopo 120 Km di gara, ma fortunatamente il ruzzolone non ha avuto conseguenze ed è riuscito a terminare la tappa nel gruppo principale.

Il secondo giorno è segnato dal clamoroso ritiro di Gaul, che incassa un’altra cocente delusione a causa di un colpo di sole che lo colpisce dopo un centinaio di chilometri dal via della tappa di Caen. Succede subito dopo una sosta a una fontanella per rinfrescarsi, quando al momento di rimettersi in sella improvvisamente il lussemburghese si trovava con due macigni al posto delle gambe e fatica a procedere, arrivando ad accumulare mezz’ora di ritardo a 40 Km al traguardo, punto nel quale opta per salire in ammiraglia e lasciare amaramente la corsa. Gaul non è l’unica vittima del caldo in questa giornata, perché anche la maglia gialla Darrigade paga un pesante dazio alle alte temperature, concludendo la tappa quasi 27 minuti dopo l’arrivo vincente di René Privat, nuovo capo della classifica. Tre minuti e mezzo dopo la vittoria in solitaria del francese, che nel 1960 s’imporrà nella prima edizione della Sanremo con il Poggio, giunge al traguardo un gruppo di 13 corridori tra i quali ci sono Bahamontes e l’italiano Giancarlo Astrua, mentre il vincitore uscente Walkowiak termina la tappa nel plotincino giunto a 6’41” e guadagna 1’31” su Nencini e gli altri favoriti.

Il giorno successivo si devono affrontare due semitappe, la prima delle quali è una breve cronosquadre di 15 Km che si rivela disastrosa per la nazionale italiana a causa di una caduta che coinvolge tutti gli azzurri (l’unico a uscirne indenne è Pierino Baffi), innescata dal toscano Gianni Ferlenghi dopo che questi era entrato in contatto con il cordolo di un marciapiede. L’incidente disunisce la squadra, che fortunatamente riesce a contenere in 39” il ritardo dalla formazione francese, vincitrice a 46.632 Km/h grazie alla presenza di Anquetil, che il giorno stesso conquista la sua prima vittoria sulle strade del Tour imponendosi a Rouen dove, davanti ai suoi titosi (è nativo del vicino centro di Mont-Saint-Aignan), precede in volata il connazionale Georges Gay e Nencini, che non sembra aver subito grandi danni nella caduta del mattino.

Il caldo, intanto, continua a mietere vittime e 12 corridori sono costretti a ritirarsi nel corso della lunga frazione verso Roubaix, che presenta anche diversi tratti da percorrere sul pavè e che vede giungere tutto solo sulla pista del mitico velodromo il belga Marcel Janssens, mentre i corridori di vertice terminano la tappa tutti assieme dopo quasi 11 minuti, senza che nessuno abbia avuto il coraggio (o la forza, vista la canicola) di mettere in croce i grossi nomi che oggi hanno accusato qualche difficoltà ma che poi sono riusciti a rientrare in seno al gruppo, come la maglia gialla Privat e lo spagnolo Bahamontes.

L’indomani si sconfina in Belgio con un’altra tappa caratterizzata dal pavè e che presenta anche la ripida ascesa del muro di Grammont, che il ciclismo ha scoperto 7 anni prima, quando era stato inserita per la prima volta nel tracciato del Giro delle Fiandre. Nella frazione nella quale il caldo lascia il passo alla pioggia avviene il passaggio di consegne al vertice della classifica tra Anquetile e Privat, dopo che la nazionale francese ha dato battaglia sulle insidiose strade fiamminghe, riuscendo a guadagnare parecchio tempo anche grazie a un passaggio a livello abbassato. Vincono al traguardo di Charleroi con Gilbert Bauvin, mentre sono francesi quattro dei cinque corridori che tagliano per primi la linea d’arrivo e tra questi c’è Anquetil, che in questa giornata ha staccato di quasi 11 minuti e mezzo un Nencini febbricitante e qualcosa di più ha perso Bahamontes. Prima di far ritorno in terra di Francia “Jacquot” si trova così già in giallo con distacchi pesanti, nonostante non si siano ancora affrontate le cronometro che tanto ama: ha 1’11” sul vincitore a Roubaix Janssens, 3’17” sul connazionale Jean Forestier, 3’29” sull’ex leader della corsa Privat e 3’52” sul vincitore dell’anno prima Walkowiak. Bahamontes è 14° a 9’18” e precede in classifica di 21 secondi il primo italiano, Astrua; s’incontrano poi Nino Defilippis in 17a posizione a 10’35” e Nencini 18° a 11’13”.

Nella successiva frazione Anquetil si gode le acquisite insegne del primato e fa buona guardia in gruppo, lasciando andare in fuga quattro corridori che sono molti lontani da lui in classifica. Tra questi c’è André Trochut, che corre per una delle quattro formazioni regionali francesi, quella che raggruppa i corridori di “secondo piano” che provengono dalle zone sud occidentali della nazione, e che s’impone in quel di Metz precedendo allo sprint i tre compagni d’avventura, tutti suoi connazionali, anche se due di loro sono d’origine italiana (il friulano Mario Bertolo e il toscano Nello Lauredi).

Con un copione molto simile va in scena la tappa di Colmar, nella quale si affrontano le prime salite di un certo impegno, il Col de la Schlucht e il Collet du Linge. Ancora la fuga va in porto ma stavolta la nazionale francese fa male i conti e così Anquetil si vede portar via la maglia gialla per 38” da un suo connazionale, quel Nicolas Barone che ha antenati abruzzesi di Vasto, che a marzo era stato protagonista alla Sanremo con una lunga fuga terminata a 15 chilometri dal traguardo e che prima di fare il corridore lavorava come fattorino per “L’Équipe”, il principale quotidiano sportivo francese. Al traguardo Barone è nono, ultimo del gruppetto di testa nel quale ci sono anche lo spagnolo Loroño e il francese Roger Hassenforder, che ottiene il successo di tappa sulle strade di casa, lui che è nato a una quarantina di chilometri da Colmar, nella cittadina di Sausheim. Di nove minuti è il passivo con il quale giunge al traguardo il gruppo Anquetil, nel quale concludono anche Nencini e Defilippis, oggi protagonisti sfortunati il primo per una caduta dopo l’impatto con un poliziotto, il secondo fermato da due forature – entrambe avvenute nel giro di poche centinaia di metri – mentre si trovava in fuga nel gruppetto di Barone e Hassenforder.

Se fin qui il Tour ha offerto ben poche soddisfazioni per gli italiani, arriva ora il momento del “raccolto”, che permetterà di mettere in cascina ben sei vittorie di tappa che faranno della nazionale azzurra la squadra con più successi dietro agli “acchiappatutto” francesi che – tra formazione principale e regionali – s’imporranno in 17 frazioni. Il primo dei nostri a lasciare il proprio nome nell’albo d’oro del 44° Tour de France è il cremasco Baffi, che a Besançon dà sfogo delle sue doti di velocista regolando un plotoncino di quindici corridori giunti al traguardo con quasi 18 minuti di vantaggio sul gruppo dei migliori. In quest’ultimo c’è Barone, costretto a lasciare le insegne del primato a Forestier, presente nel gruppetto all’attacco.

Alla vigilia dei tapponi alpini arriva il primo colpo da parte di Anquetil in una frazione che si pensava interlocutoria e poco incline alle sorprese. Stavolta non si tratta di un’azione di squadra, come quella messa in scena nella tappa di Charleroi, perché il corridore francese fa tutto da solo (o quasi, con lui c’è il belga Jozef Planckaert) uscendo improvvisamente dal gruppo quando mancano una novantina di chilometri al traguardo e dal gruppo ha già preso la strada di casa un delibitato Bahamontes. In quel momento in testa alla corsa ci sono diece corridori in fuga che Jacques raggiunge e poi regola in volata al traguardo di Thonon-les-Bains, dal quale Nencini transita quasi 11 minuti più tardi, nel gruppo nel quale c’è anche la maglia gialla Forestier. Quest’ultimo, nonostante il tempo guadagnato da Jacques, riesce a mantersi in testa alla classifica con un vantaggio di 2’39” su Anquetil, che dal canto suo si appresta ad affrontare le prime frazioni d’alta montagna con un vantaggio sui principali avversari che già appare incolmabile.

Ma Anquetil non ha mai affrontato in gara salite come quella del Galiber, sul quale si deve transitare prima di giungere al traguardo di Briançon dopo aver percorso 247 Km. Non si sa, e nemmeno lui lo sa, come potrebbe reagire il suo fisico a quelle pendenze e a quelle quote e forse si spiega in tal senso il “colpaccio” del giorno prima. Alla fine esce a testa alta anche dal tappone, perché il minuto e 18 secondi che ha accusato al traguardo dallo scatenato Nencini e dal belga Janssens possono essere considerati un successo per un neofita delle grandi salite e poco hanno scalfito il consistente tesoretto di minuti guadagnato nei primi nove giorni. Senza contare che i corridori giunti dietro il francese hanno incassato anche in questa occasione pesanti distacchi e tra questi c’è Forestier, che perde 6’41” dal suo connazionale e deve consegnargli quella maglia gialla che “Jacquot” vestirà fino a Parigi. E pensare che la sfortuna oggi si era accanita in due occasioni sull’asso transalpino, costretto a fermarsi una prima volta per una foratura sulla salita del Col de Tamié e successivamente per far riparare dal meccanico della sua squadra il deragliatore, rottosi nel tratto pianeggiante che precede l’inizio della lunga ascesa verso il Galibier.

Ancor più complicata è la tappa che l’indomani conduce a Cannes, nonostante all’ultimo momento sia stata tolta dal tracciato la salita al Col de Vars a causa dell’impraticabilità della strada. L’imprevista modifica allunga di 20 Km un percorso che alla fine risulta lungo 286 Km e che presenta anche le ascese ai colli d’Allos e di Luens. Invece, si rivela il palcoscenico di una tappa piuttosto noiosa, priva di grandi attacchi messi in atto dagli avversari di Anquetil e ancora contraddistinta dalla sfortuna che colpisce gli italiani, sotto la forma di forature che attardano Defilippis prima e Arrigo Padovan poi. È quest’ultimo a pagarne il prezzo più salato perché il tubolare gli si era afflosciato a 7 Km dal traguardo mentre si trovava nel gruppetto di cinque corridori che stava viaggiando in testa alla corsa, trovandosi così escluso dalla possibilità di competere per la vittoria, conquista da Privat.

È insidiosa anche la tappa che si deve disputare in direzione di Marsiglia, alla quale si giunge passando per il Col de l’Espigoulier e soprattutto per il breve ma ripido Mont Faron, salite che vedono entrambe scollinare in testa Jean Stablinski. In un’altra tappa rivelatasi monotona per quando riguarda la classifica generale il corridore francese d’origini polacche è protagonista di una lunga fuga, lunga quasi come la frazione da disputare e inizialmente intrapresa assieme al connazionale Henry Anglade, che successivamente ha perso le ruote di Stablinski sul Faron. Quasi quattordici minuti dopo l’arrivo del vincitore transita dal traguardo il grosso del gruppo, nel quale c’è un Anquetil che alla fine delle sue prime Alpi si ritrova ad avere in classifica un vantaggio di 4’02” su Forestier e di 11’02” su Janssens, mentre Nencini – pur non avendo guadagnato tempo in questa tappa – risale in classifica dall’undicesima alla nona posizione conservando intatti i 20’44” di ritardo che aveva alla partenza.

La prima delle tre tappe di trasferimento verso i Pirenei riporta il sorriso nel clan italiano grazie alla vittoria di Defilippis che, superata una piccola crisi nella frazione di Marsiglia, si lancia in fuga assieme ad altri nove corridori, sui quali s’impone allo sprint in quel di Alès, e guadagna 11 minuti sul gruppo, grazie ai quali scavalca di un minuto Nencini in classifica, divenendo così il miglior azzurro del Tour.

Vittoria solamente sfiorata per l’Italia il giorno successivo a Perpignano, dove Padovan rimane ancora una volta a bocca asciutta venendo preceduto allo sprint da Hassenforder, che bissa così il successo ottenuto a Colmar. La tappa è anche caratterizzata da un attacco ad Anquetil apportato da cinque corridori della nazionale belga, iniziato nel momento nel quale il capo della classifica si era leggermente staccato dal gruppo per accostarsi alla sua ammiraglia. Il tentativo è così improvviso che coglie Jacques impreparato, mentre non lo è la dozzina di corridori che riesce ad accordarsi alla pattuglia belga, andando a costituire un gruppetto che rimane all’attacco per una ventina di chilometri prima del ricongiungimento.

Prima di tornare sulle montagne che hanno fatto la storia del Tour è previsto uno sconfinamento in terra spagnola con due semitappe che terminano entrambe a Barcellona. La prima vede ancora il felice approdo di una fuga – all’epoca, grazie allo stato delle strade, evento piuttosto frequente, mentre rari erano gli arrivi a gruppo compatto – coronata dal tris di Privat e da altro tempo guadagnato da Defilippis, che si porta al nono posto della classifica con un ritardo di 16’18” da Anquetil. Nencini, invece, incappa in una giornata sfortunata che gli riserva prima una caduta a 25 Km dal traguardo, che gli lascia come souvenir una ferita alla coscia, e poi una foratura già all’interno della città di Barcellona, che non fa riparare riuscendo lo stesso a concludere la tappa nel gruppo della maglia gialla. Quest’ultima poi il pomeriggio del medesimi giorno ha la prima opportunità al Tour di fare sfoggio delle sue doti a cronometro: e, come da previsioni, è Anquetil il più lesto a percorre il circuito del Montjuïc, 10 Km nei quali riesce a distanziare di 12” il secondo della classifica generale Forestier e di 25” lo spagnolo Loroño, con Defilippis 6° a 39” e Nencini ventesimo a un minuto e otto secondi dall’asso transalpino.

Uscito indenne dalla fase alpina, ora per Anquetil inizia l’esame Pirenei, che prevede tre round il primo dei quali si affronta dopo l’ultimo giorno di riposo, seguito da una frazione di 220 Km che ha il traguardo fissato ad Ax-les-Thermes, in fondo alla discesa dal Col de Puymorens. Forse a causa di pendenze non particolarmente formidabili, forse a causa della superiorità dimostrata anche oggi dai transalpini, la tappa risulta piuttosto deludente. Nencini e Defilippis ci provano, infatti, a uscire dal gruppo in salita, ma la nazionale francese ci mette un attimo ad andare a riacciuffarli, spegnendo così le velleità agonistiche dei nostri corridoti. Va a finire che s’impone un “carneade” che risponde al nome del francese Jean Bourlès e far notizia è, purtroppo, il mortale incidente che coinvolge la moto sulla quale viaggiava il cronista di una radio lussemburghese.
Il tappone è previsto l’indomani, quando si devono scalare i colli di Porte, di Portet d’Aspet, d’Ares e del Portillon, quest’ultimo distante più di 60 Km dal traguardo di Saint-Gaudens. Sono percorsi che oggi sarebbero “improduttivi”, ma che negli anni ’50 erano ancora in grado di portare scompiglio, come contribuisce a fare Nencini attaccando sul Portillon e riuscendo a ridurre il gruppo a 18 elementi, che poi si selezionano leggermente al traguardo, dove Defilippis vince allo sprint su Forestier e Anquetil cede appena cinque secondi. Va peggio proprio a colui che aveva contribuito a creare la selezione perché il “Leone del Mugello”, mentre stava per tagliare il traguardo con una decina di secondi di ritardo da Defilippis, si arrota ai meno 150 metri con l’olandese Mies Stolker e cade riportando una ferita che appare seria e fa temere che il giorno dopo non possa schierarsi al via dell’ultima tappa di montagna.

Ma il corridore toscano è realmente un felino, come il soprannome che gli hanno attribuito, e leccatesi le ferite lascia la sua zampata migliore proprio ventiquattrore più tardi tagliando vittorioso il traguardo di Pau. Nonostante fosse fiaccato alla partenza anche da qualche linea di febbre e da una notte trascorsa quasi interamente insonne, sul Tourmalet Gastone riesce a rimanere con Anquetil, la cui squadra si è sfaldata sulle rampe del mitico colle. La maglia gialla sorprende tutti riuscendo a fare il vuoto a 3 Km dalla vetta, lui che non si pensava fosse in grado di staccare i rivali in salita, e a un certo punto si trova ad avere più di un minuto e mezzo di vantaggio sul toscano. Nencini è costretto a un inseguimento che riesce a portare a termine sulle prime rampe dell’Aubisque e, una volta terminato il lavoro, è lui a sorprendere trovando la forza di ripartire all’attacco, riuscendo a sua volta a staccare Anquetil. Raggiunge i corridori che si trovavano in quel momento in testa alla corsa e con loro va a costituire un plotoncino di 6 uomini che viaggia spedito verso il traguardo, dove Nencini mette la ciliegina sulla torta di questa frazione cogliendo il successo allo sprint sul francese Gay. Anquetil taglia la linea d’arrivo con 2’38” di ritardo ma, forte dei molti minuti guadagnati nella prima settimana, non vede messa in pericoloso la sua leadership perché a questo punto si ritrova ad avere in classifica 9’14” di vantaggio sul secondo, il belga Janssens, mentre terzo a 10’17” è un corridore poco quotato alla partenza, l’austriaco Adolf Christian. Nencini, invece, grazie al tempo insperatamente guadagnato oggi è salito al sesto posto con 18’43” di ritardo.

Dopo la tappa di Bordeaux, terminata con la vittoria in solitaria di Pierino Baffi che all’arrivo si presenta con ben 22 minuti di vantaggio sul gruppo, si disputa la tappa più attesa da Anquetil. Forse, alla partenza da Nantes, temeva di arrivarci con un distacco da recuperare dalla maglia gialla di turno e, invece, è lui ad affrontare con le insegne del primato addoso e parecchi minuti di vantaggio sul secondo la lunga crono di Libourne. Sono 66 i chilometri che si devono percorrere contro il tempo, una sfida contro l’orologio che non può che dilatare il dominio del corridore normanno, primo al traguardo a poco più di 43 km/h con 2’11” di vantaggio sul sorprendente Defilippis, che riesce a far meglio per quasi 4 minuti di Nencini.

Mancano ora solo due tappe al gran finale del Tour al Parco dei Principi, la prima vinta allo sprint dal francese André Darrigade sul traguardo di Tours e la seconda pure, con “Dédé” (noto anche con il soprannomome di “Levriero delle Lande”), che s’impone anche a Parigi completando il trionfo francese nella 44° edizione della Grande Boucle.

E così sullo scenario del Tour irrompe, silenzioso come il ticchettio dei cronometri, un corridore che già s’intuisce recordman della corsa, in grado nelle successive stagioni di battere il primato dei tre successi finora detenuto da Bobet e dal belga Philippe Thys. Ci riuscirà e andrà anche oltre fino a raggiungere quota 5, la quota dei grandissimi.

Mauro Facoltosi

ALTIMETRIE

Nota: presenti le tappe dalla 7a alla 10a, dalla 16a alla 18a e dalla 20a alla 22a.

Anquetil allattacco sul Tourmalet nella tappa di Pau che sarà successivamente vinta da Nencini (foto AFP)

Anquetil all'attacco sul Tourmalet nella tappa di Pau che sarà successivamente vinta da Nencini (foto AFP)

BATTI UN CINQUE – 1974, IL QUINTO TOUR DI MERCKX

luglio 11, 2020 by Redazione  
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Nel 1974 Eddy Merckx comincia lentamente a imboccare la parabola discendente della sua carriera, anche se già negli anni precedenti aveva incominciato a mostrare piccoli segnali di cedimento. Vince il Giro ma con grande fatica e per appena 12 secondi. Molto meglio gli va al Tour perché il secondo classificato termina a poco più di 8 minuti da lui: quello è il vantaggio più basso fatto registrare dal belga nei suoi cinque vittoriosi Tour, anche se Merckx anche in quest’occasione è riuscito a fare valere una marcia decisamente superiore a quella degli avversari.

Il Giro più bello e appassionante del dopoguerra.

Così i giornalisti dipinsero l’edizione della Corsa Rosa terminata il 9 giugno a Milano, vinta per la quinta volta in carriera da Eddy Merckx. Ma stavolta il belga aveva faticato come non mai e il ricordo dei patimenti del Tour del 1971 al confronto sembrav impallidire. Nella cronometro di Forte dei Marmi si era visto il solito Merckx ma sulle numerose e difficili salite disseminate lungo il percorso da Torriani le aveva sempre prese, prima dallo spagnolo Josè Manuel Fuente sui monti Faito, Carpegna e Generoso, poi dal giovane neoprofessionista Gianbattista Baronchelli nella tappa di Sanremo, pure sul Generoso e soprattutto sulle Tre Cime di Lavaredo. All’ultimo chilometro dell’impennata dolomitica aveva virtualmente perduto la maglia rosa e sarà soltanto facendo ricorso all’orgoglio che riuscirà a raschiare il fondo del suo serbatoio d’energie e trovare la forza di salvare il suo Giro, anche se per soli 12 secondi, il secondo minor distacco fra primo e secondo della storia del Corsa Rosa.

Ci sono appena 18 giorni tra la fine del Giro e l’inizio del Tour e molti cominciano a pregustare un altro grande spettacolo, alla luce di quanto successo in Italia, anche perché Merckx potrebbe non avere recuperato, pur essendo ancora considerato come il principale favorito per la vittoria finale. Si fregano le mani e cominciano ad affinare le armi i rivali del belga, a cominciare dai corridori di casa Cyrille Guimard, Bernard Thévenet e Raymond Poulidor; anche il belga Lucien Van Impe punta a mettere in difficoltà il connazionale mentre la “bestia nera” di Merckx al Tour, lo spagnolo Luis Ocaña, non potrà difendere il titolo di vincitore della corsa conseguito nel 1973 (l’anno prima il cannibale aveva puntato sulla doppietta Vuelta-Giro, riuscendo a far sue entrambe le corse) perchè una frattura al gomito rimediata al Tour de l’Aude gli impedisce di essere al via. Nonostante ciò i corridori spagnoli saranno ugualmente grandi protagonisti, in particolare con il galiziano Vicente López Carril e il sorprendente cantabrico Gonzalo Aja, rivelazione della corsa. Assente per infortunio è anche l’olandese Joop Zoetemelk (frattura cranica al Midi-Libre), mentre l’Italia schiera dieci corridori, i più illustri dei quali sono Wladimiro Panizza e il futuro vincitore del Giro Fausto Bertoglio.

L’inizio è subito nel segno del cannibale perché Merckx vince il cronoprologo di Brest percorrendo i primi 7 Km del Tour 1974 in poco meno di 9 minuti, alla media di 47.828 Km/h. Sei sono i secondi che lo separano dallo spagnolo Jesús Manzaneque (fratello di quel Fernando che al Tour di dieci anni prima era stato protagonista di una memorabile scazzottata con Vito Taccone), mentre a otto secondi si piazza il suo compagno di squadra Joseph Bruyère. Scendendo lungo il primo ordine d’arrivo s’incontrano Thévenet a 23”, Bertoglio a 28”, Aja e Poulidor a 33”, Panizza a 34”, López Carril a 38”, Van Impe a 40” e Guimard a 48”.

Il giorno successivo il belga si lancia anche alla caccia degli abbuoni, riuscendo anche a mettersi in tasca una dozzina di secondi in bonificazioni che però non gli consentiranno di tenersi sulle spalle la maglia gialla. A sera a vestire le insegne del primato è, infatti, il suo luogotenente Bruyère, accodatosi alla fuga intrapresa dal connazionale Herman Van Springel e da Ercole Gualazzini, che s’impone sul traguardo di Saint-Pol-de-Léon conquistando quella che sarà l’unica vittoria italiana in questa edizione del Tour. Il gruppo con Merckx conclude con 22” secondi di ritardo e di 16” è il vantaggio con il quale Bruyère si ritrova in testa alla classifica, precedendo il proprio capitano.

L’indomani è previsto uno storico sconfinamento perché mai il Tour aveva fatto scalo nel Regno Unito, raggiunto con un breve volo aereo sopra la Manica. Disputata la facile tappa di Plymouth – terminata con il successo allo sprint del 22enne olandese Henk Poppe (è il più giovane tra i corridori in gara) e caratterizzata da una brutta caduta di Guimard, giunto al traguardo con più di sei minuti di ritardo – la carovana della Grande Boucle fa velocemente ritorno in patria per un’altra frazione destinata alle ruote veloci, diretta a Saint-Malo, dove s’impone il belga Patrick Sercu. Qui si assiste a una volata da brividi per colpa di un operatore della televisione francese, che sporgendosi troppo colpisce il francese Régis Delépine, il quale cade trascinando a terra altri cinque corridori, tra i quali il belga Cees Priem – che riporta la frattura del bacino – e lo sfortunato Guimard.

Intanto, grazie agli abbuoni in palio ai traguardi volanti, Merckx sta riducendo sempre più le distanze da Bruyère. Dopo la tappa di Plymouth aveva 10” secondi da recuperare, diventati solo due a Saint-Malo prima del “sorpasso” avvenuto nella tappa di Caen, nuovamente conquistata dal connazionale Sercu davanti agli olandesi Gerben Karstens e Albertus Hulzebosch, entrambi successivamente retrocessi, il primo per non essersi presentato al controllo antipoding (con consuente penalizzazione di 10 minuti) e il secondo per una scorrettezza allo sprint. E così Merckx, che come cannibale non conosce mai crisi (ma forse gli bruciano ancora i dodici secondi del Giro e vuole premunirsi), s’è ripreso il simbolo del comando con 4” su Bruyère e 18” su Sercu.

Il mattino successivo, però, la giuria si rimangia la decisione presa su Karstens, che non era riuscito a raggiungere il luogo del controllo antidoping per una colpa non sua, reinserendo al suo posto dell’ordine d’arrivo e annullando la penalizzazione di 10 minuti, decisione che lo riporta al secondo posto della classifica con due secondi ritardo da Merckx. Il gap a sera sarà colmato sul traguardo di Dieppe, dove il belga Ronny De Witte anticipa di nove secondi la volata del gruppo (ancora regolato da Sercu) e Karstens riesce grazie agli abbuoni a portarsi al vertice della classifica con lo stesso distacco che aveva al mattino da Merckx, ma a ruoli invertiti.

Si arriva in Belgio, dove il “cannibale” ha in programma di riprendersi la maglia gialla, ma non sarà lui il belga a vestirla perché sul traguardo di Harelbeke, dove s’impone il francese Jean-Luc Molinéris, Karstens viene raggiunto in vetta alla classifica da Sercu, con i due corridori classificati con il medesimo tempo e la maglia assegnata al secondo in virtù dei migliori piazzamenti conseguiti nei giorni precedenti. La stessa situazione si verifica nel pomeriggio perché, dopo la semitappa a cronometro a squadre, Merckx e Karstens si ritrovano paritempo al comando e stavolta la miglior classifica a punti premia l’olandese. A consolazione Merckx può guardare soddisfatto al tempo guadagnato sui principali avversari nella cronosquadre, vinta dalla Molteni, perché ora si ritrova ad avere 1’13” su Thévenet, 1’20” su Aja, 1’22” su Poulidor, 1’23” su Panizza, 1’26” su López Carril e 1’29” su Van Impe, mentre tra i favoriti della vigilia Guimard, 99° a 7’29”, è l’unico a vedere compromesse le possibilità di competere per la vittoria finale.

Una foratura, il giorno dopo, permette a Merckx di mettere nuovamente le mani sulla maglia gialla, indumento che nessun altro gli porterà via da qui a Parigi. Succede tutto a poche centinaia di metri dal traguardo di Châlons-sur-Marne (l’odierna Châlons-en-Champagne) quando il tubolare di Karstens improvvisamente si affloscia mentre il belga è già lanciato verso la volata, che conquista dopo aver racimolato sei secondi di abbuono a uno sprint intermedio. Ora, grazie anche alla bonificazione di venti secondi spettante al vincitore, si ritrova nuovamente in prima posizione, con Sercu secondo a 7” e lo sfortunato olandese terzo a 18”.

Guimard, che già nelle volate di Caen e Dieppe aveva fatto capire d’essersi immediatamente ripreso dal doppio capitombolo dei giorni precedenti piazzandosi rispettivamente quarto e terzo, va a segno nella semitappa di Chaumont, seguita da una seconda frazione diretta a Besançon dove coglie la vittoria Sercu, protagonista sfortunato al mattino per una caduta avvenuta subito prima dell’arrivo.

Si arriva così alle Alpi, introdotte da una tappa di media montagna che si conclude a Gaillard presso gli stabilimenti di Aspro, l’azienda farmaceutica che sponsorizza il servizio sanitario del Tour e il cui nome compare sulle ambulanze al seguito e sull’auto del medico di corsa. Proprio a ridosso del finale di gara è prevista la breve ma ripida ascesa al Mont Salève sulla quale Eddy mette una bella ipoteca sulla vittoria finale, seppur non definitiva: al suo scatto resistono cinque corridori – dai quali si stacca per una foratura López Carril, che perde 18” – che il “cannibale” batte in volata precedendo nell’ordine Panizza, Poulidor, il portoghese Joaquim Agostinho e Aja. Tra gli altri big Van Impe termina nel primo gruppo inseguitore, giunto a Gaillard con quasi due minuti e mezzo di ritardo, mentre Bertoglio accusa un passivo di circa sei minuti. La delusione principale arriva da Thévenet, che alla partenza di questa frazione era l’avversario di Merckx meglio posizionato in classifica e che su un percorso non particolarmente difficile ha perduto 8’34”, concludendo la tappa nello stesso gruppo di Guimard.

La seconda frazione alpina presenta un percorso paragonabile a quello della tappa di Gaillard. Al posto del Salève c’è l’impegnativo Mont du Chat, sul quale Merckx viene staccato da Poulidor e si ritrova a pagare un ritardo di più di un minuto dal corridore più amato dai francesi. In discesa – la stessa della disastrosa caduta dell’australiano Richie Porte al Tour del 2017 – il belga si scatena e, con l’aiuto dello spagnolo naturalizzato francese Mariano Martínez riesce non solo a rientrare su “Poupou” ma anche a raggiungere il sempre più sorprendente Aja, che in cima alla salita aveva due minuti su Eddy. Come il giorno prima si porta gli avversari sin sul traguardo di Aix-les-Bains e li precede anche stavolta regolando Martínez, mente Poulidor e Aja concludono rispettivamente in terza e quarta posizione. Dietro a questo quartetto è un altro stillicidio di minuti: nel primo gruppo inseguitore, giunti al traguardo con un minuto più tardi, ci sono gli italiani Bertoglio e Panizza oltre a López Carril; Van Impe perde quasi quattro minuti mentre ne accusa quasi otto un Thévenet ancora sofferente e che forse si sta ancora portando dietro i postumi del “fuoco di Sant’Antonio” che l’aveva colpito durante la Vuelta ad aprile.

Dopo il primo giorno di riposo si disputa l’unico vero e proprio tappone previsto sulle Alpi, lungo quasi 200 Km e che ha il traguardo fissato a Serre-Chevalier dopo esser saliti ai quasi 2600 metri del Galibier. Pure questo traguardo vede il belga allungare ulteriormente sui rivali, dimostrando di trovarsi in una condizione migliore di quella del Giro d’Italia, anche se non ha più la forza per provocare i “distacconi” visti nei primi due Tour vinti. Non è lui, però, a conquistare il tappone perché López Carril lo ha anticipato di 54” in una frazione nella quale gli spagnoli sono stati ancora protagonisti, con Francisco Galdos e Aja che hanno terminato subito dietro il belga. Panizza si conferma intanto il migliore della pattuglia azzurra conquistando il sesto posto a 2’23” da López Carril, mentre la vera vittima di questa giornata è Poulidor, che per sua ammissione ha patito il giorno di riposo e oggi ha accusato 6’17” di ritardo. Per quanto gli altri corridori più interessanti Van Impe ha lasciato sulle strade alpine più di nove minuti, l’italiano Bertoglio, due giorni prima tra i protagonisti, ha perduto più d’un quarto d’ora mentre non è più in corsa Thévenet, che ha preferito prendere la strada di casa.

Non è finita qua perché è prevista una quarta frazione alpina che prevede l’arrivo a Orange dopo aver affrontato un “babau” che risponde al nome di Mont Ventoux, del quale si torna ad affrontare in salita il temuto versante di Bédoin. Ma stavolta il “Gigante della Provenza”, che aveva fatto passare un brutto quarto d’ora a Merckx quattro anni prima, scivola letteralmente via senza problemi, forse complici anche gli oltre 74 Km che bisogna percorrere per andare al traguardo dopo lo scollinamento. La velocità si alza solo negli ultimi 6 Km d’ascesa, ma per opera di corridori poco pericolosi, poi mille metri più avanti scatta Aja, che va a conquistare uno dei colli più prestigiosi del Tour prima di essere raggiunto in discesa. A quel punto riesce ad andare via una fuga di corridori fuori classifica, che si presenta al traguardo – dove s’impone il belga Joseph Spruyt – con 41” secondi di vantaggio sul gruppo principale, composto di una sessantina di corridori e regolato da un velocista, il francese Jacques Esclassan, a testimonianza dei pochi danni provocati stavolta dal Ventoux e, forse, da una certa rassegnazione degli avversari di Merckx. Probabilmente si sperava che, dopo quanto successo al Giro, a questo punto la classifica avesse una fisionomia ancora da delineare e invece ci si deve arrendere all’evidenza di un Merckx saldamente alle redini della corsa francese, con 2’01” su Aja, 3’13” su López Carril, 5’20” su Panizza, 5’55” su Agostinho, 6’44” su Galdos e 7’30” su Poulidor, mentre Van Impe, che sperava alla partenza di mettere alla frusta Merckx come aveva fatto nel 1971, si ritrova sul gruppone un ritardo di 17’41”.

Dopo le quattro frazioni alpine altrettante ne sono previste sui Pirenei, dalle prime separate da un paio di tappe di trasferimento poco impegnative, la prima delle quali termina a Montpellier con una volata di gruppo vinta da Barry Hoban, il corridore britannico che era stato compagno di squadra di Tom Simpson e che due anni dopo la sua tragica scomparsa sul Ventoux ne aveva sposato la vedova.

La fuga va, invece, in porto nella tappa di Colomiers, che vede il francese Jean-Pierre Genet tagliare il traguardo quasi un minuto prima dell’approdo del gruppo, nel quale manca l’italiano Attilio Rota, costretto al ritiro da una clamorosa “papera” di uno degli autisti della sua formazione, che guidava l’ammiraglia sulla quale il corridore bergamasco stava raggiungendo il raduno di partenza di Lodève. Lo stesso giorno, infatti, partiva anche il Tour de l’Avenir e il traffico di ammiraglie verso l’altro raduno di partenza, previsto a Mazamet, traeva in inganno l’autista che si dirigeva erroneamente verso l’altra cittadina e, accortosi dell’errore, velocemente faceva retromarcia in direzione di Lodève, troppo tardi perché i due arrivavano a destinazione a partenza oramai avvenuta.

I Pirenei debuttano dopo il secondo riposo con doppio sconfinamento, dovendosi attraversare il principato d’Andorra prima di giungere al traguardo spagnolo di Seo de Urgel, preceduto di una cinquantina di chilometri dall’unica salita prevista, quella che conduce ai quasi 2400 metri del Col de l’Envalira. È un percorso non troppo difficile che riduce il gruppo alla quindicina di corridori che piombano sul rettilineo d’arrivo dove Merckx mette il puntino sulla “i” della sua supremazia: sua è anche questa volata, ottenuta davanti a Martínez, al belga Michel Pollentier e agli altri componenti di questo gruppetto, nel quale ci sono Panizza, López Carril, Aja e Poulidor, incappato in una caduta senza conseguenze a pochi passi dall’arrivo.

Il cannibale in salita non è comunque più quello di prima, soprattutto se viene accattato a fondo. Lo dimostreranno il giorno successivo Poulidor e López Carril all’arrivo in salita al Pla d’Adet raggiunto al termine di un tappone di 209 Km che ha in programma complessivamente cinque impegnative ascese: il Port del Cantó sterrato in partenza, poi gli oltre 2000 metri della Bonaiuga e quindi i tradizionali colli del Portillon e del Peyresourde prima dell’ascesa finale, inedita per il Tour. Frenato da una foratura proprio nel finale, il belga si vede scappar via lo spagnolo per 1’08” mentre 1’49” è il vantaggio con il quale si presenta al traguardo il francese, che ancora rimpiange i minuti persi sul Galibier, senza i quali forse oggi avrebbe potuto rimettere in discussione il primato di Merckx. Quest’ultimo, dal canto suo, ha terminato in quinta posizione ed ha aumentato il suo vantaggio sugli altri rivali, il più vicino dei quali al belga è stato Panizza, che nell’ordine d’arrivo lo segue per 16 secondi; peggio è andata ad Aja, che non è riuscito a tenere il suo passo, a differenza di quanto dimostrato nelle tappe precedenti, e ha perduto un paio di minuti.

Non sono finite le sofferenze per Merckx, che le “busca” anche sul Tourmalet e stavolta non solo da “Poupou”. È sempre il francese quello che ottiene il vantaggio maggiore, in una giornata doppiamente trionfale per i francesi per il successo di Jean-Pierre Danguillaume, ma anche Panizza e Van Impe riescono a rosicchiare qualcosa al belga, seppur trattandosi sempre di distacchi contenuti che poco graffiano lo scudo di molti minuti che il cannibale continua ad avere in classifica: 42 secondi guadagna Poulidor, una ventina ne incamera Panizza e poco meno Van Impe. Perdono entrambi gli spagnoli di classifica, ma mentre per López Carril lo svantaggio è quasi nullo (un solo secondo) Aja bissa la prestazione in negativo del giorno prima e perde ancora 1’41”.

Anche il giorno successivo si deve affrontare il Tourmalet, che nuovamente vede Poulidor all’attacco e Merckx staccato. Stavolta, però, il percorso gioca a favore del belga, che riesce a rientrare in discesa e non viene più messo in difficoltà dal transalpino sul successivo Soulor, ultima grande salita del Tour 1974. Definitivamente chiusi lassù i giochi di classifica, riesce nel finale a sganciarsi una fuga, che vede sul traguardo di Pau Danguillaume ottenere un prestigioso bis consecutivo.

Archiviati i Pirenei, ora il gruppo intraprende ora l’ultima parte del suo cammino verso Parigi, dalla quale ancora lo separano sei frazioni, due delle quali sono a cronometro e permetteranno al belga di tornare a far lievitare il suo vantaggio che, a questo punto, risulta di 2’25” su López Carril, di 5’18” su Poulidor, di 5’33” su Panizza e di 6’01” su Aja. La prima delle prove contro il tempo è in programma l’indomani a Bordeaux, dopo che nello stesso giorno nella metropoli sulla Gironda si è conclusa una semitappa vinta dal francese Francis Campaner, giunto solitario al traguardo con un vantaggio di quasi un quarto d’ora sul gruppo, fermato un paio di volte da manipoli di contadini in rivolta contro la politica agricola attuata dal governo. Il pomeriggio va in scena il solito cronoshow di Merckx, che in quest’occasione fa anche da “cavia” scendendo in campo con un apparecchio che ne capta e registra le reazioni del cuore, antesignano degli odierni cardiofrequenzimetri: il suo è ancora il cuore di un campione nelle sfide contro l’orologio (due anni prima aveva conquistato il record dell’ora), che sui 12 Km e rotti del circuito di Bordeaux gli consente di prevalere per due secondi su Pollentier e per 13” sul neoprofessionista olandese Gerrie Knetemann. Tra i corridori che lo “inseguono” in classifica Poulidor vede il cannibale allontanarsi di altri 20 secondi, Aja di 52”, Panizza e López Carril di 57”, tutti entro il minuto di ritardo.

A Merckx, però, manca qualcosa. Vuole una vittoria in solitaria che gli ricordi il sapore delle imprese di una volta e decide di mettere in pratica questo desiderio alla penultima tappa, preceduta da una frazione di trasferimento che termina a Nantes con il successo in solitaria dell’olandese Gerard Vianen. Sarà forse stata quest’affermazione a ispirare il “cannibale”, o forse i quasi 15 minuti di vantaggio con i quali era giunto al traguardo Campaner in quel di Bordeaux un paio di giorni prima. Fatto sta che il belga s’inventa una delle sue imprese presentandosi tutto solo al traguardo di Orléans, che taglia un minuto e mezzo primo dell’arrivo di tutti gli altri, regolati allo sprint da Sercu. Si pensa “è tornato il cannibale e adesso si papperà anche la crono” perché quella vinta dal belga è soltanto la prima semitappa di una giornata che nel pomeriggio prevede una prova contro il tempo di 37 Km. Così non sarà, però, perché Merckx ha chiesto troppo al suo fisico e ha finito per strozzarsi con le sue stesse mani e ciò gli costa perdere la cronometro per soli 10 secondi. Di tanto l’ha sopravanzato il connazionale Pollentier e, a guardar la faccia contrariata di Eddy al traguardo, non era certamente quanto auspicata dal campionissimo belga, che ambiva a far sue entrambe le semitappe. Alle sue spalle, intanto, divampa la lotta per le posizioni di rincalzo con Pollentier che ha da recuperare ben due minuti e sedici secondi da López Carril e riesce a distaccarlo della stessa quantità di tempo con l’aggiunta di un secondo che gli consente di ribaltare la sua posizione in classifica per un amen.

Ora rimane solo la tappa conclusiva di Parigi, che per l’ultima volta terminerà sulla pista della Cipale perché dall’anno successivo si stabilirà di arrivare sugli Champs-Élysées. Ci si aspetta un arrivo in volata e, con tutta probabilità, un’affermazione del più forte velocista del gruppo, quel Sercu che lascia il segno anche nella capitale francese. Ma stavolta la sua non è una volata perfetta perchè ha ostacolato il connazionale Gustaaf Van Roosbroeck e così la giuria si vede costretta a retrocederlo e a decretare vincitore chi era transitato in seconda posizione sul traguardo disegnato all’interno del velodromo di Vincennes: sua maestà Eddy Merckx, che mette un’altra ciliegina sul suo ultimo Tour, vincendolo con 8′04″ su Poulidor e 8′09″ su López Carril.

L’anno successivo Merckx sarà protagonista di un inizio di stagione travolgente che lo vede vincitore prima al Giro di Sardegna, poi alla Sanremo, all’Amstel, alla Settimana Catalana, al Fiandre e alla Liegi. Al Tour s’interromperà la sua egemonia nei prologhi, preceduto per due secondi da Moser a Charleroi, poi vincerà le prime due crono individuali, grazie alle quali tornerà a vestire la maglia gialla, che riuscirà a tenere sui Pirenei nonostante il tempo guadagnato da Thévenet. La situazione per il belga si complicherà sul Puy de Dôme, dove viene colpito da un pugno di un “tifoso” all’atezza del fegato, un colpo per le cui conseguenze soffrirà terribilmente due giorni più tardi nello storico tappone di Pra-Loup, che lo vede cedere definitivamente le insegne del primato a Thévenet.

Da questo momento la parabola discendente del grande campione si farà sempre più scoscesa: terminerà quel Tour in seconda posizione al 2’47” dal francese, poi – dopo l’ultima delle sette affermazioni alla Sanremo – si piazzerà ottavo al Giro del 1976 (a 7′40″ da Gimondi), sesto al Tour del 1977 (a 12’38” da Thévenet) e addirittura ultimo al mondialiale disputato lo stesso anno a San Cristóbal, in Venezuela. È la classica goccia che fa traboccare il vaso perché questa è una figuraccia che fa passar la fame anche un cannibale: è così il 18 maggio del 1978 convoca la conferenza stampa nella quale annuncia il suo immediato ritiro dalle gare, nonostante avesse in programma di disputare il Tour.

Il cannibale ha finito di mangiare

Mauro Facoltosi

La vittoria di Merckx a Gaillard (Miroir Sprint)

La vittoria di Merckx a Gaillard (Miroir Sprint)

BATTI UN CINQUE – 1972, IL QUARTO TOUR DI MERCKX

luglio 10, 2020 by Redazione  
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Nel 1972 Merckx vince il suo quarto Tour di fila e porta a casa la sua seconda doppieta con la Corsa Rosa. Non palesa più le difficoltà che avevano rischiato di fargli perdere il Tour dell’anno prima e, anzi, s’impone al Giro alla vecchia maniera. Il Tour, invece, dimostra che comunque qualcosa s’è inceppato nel meccanismo del belga, perché faticherà a staccare i rivali in salita e non lo vedremo più esibirsi nelle sue leggendarie imprese da lontano.

Al debutto della stagione 1972 c’è molto attesa tra gli appassionati.

Dopo il Tour del 1971, nel quale Eddy Merckx aveva faticato come mai si era visto in salita, il belga si era imposto al mondiale di Mendrisio e al Giro di Lombardia, ma c’erano comunque ancora incertezze sulla sua tenuta nelle grandi corse a tappe. Sarà ritornato il corridore indistruttibile visto tra il 1969 e il 1970? Anche il belga, probabilmente, si sta ponendo la stessa domanda e intanto annuncia la sua intenzione di tornare a correre sia il Giro, sia il Tour, preceduti da una primavera che lo vede fare incetta di classiche (Sanremo, Brabante, Liegi e Freccia). Al Giro dimostra che i momentacci vissuti all’ultimo Tour sono passati perché le prende dallo spagnolo Josè Manuel Fuente solo nella tappa del Blockhaus ma poi riesce a dare due colpi dei suoi nelle tappe di Catanzaro, dello Jafferau e di Livigno e, pur senza le imprese leggendarie che lo avevano fatto diventare un mito, s’impone in classifica precedendo di 5’30” Fuente e di 10’39” un altro spagnolo, Francisco Galdós.

Intercorrono solo venti giorni tra la fine del Giro e l’inizio del Tour, al cui via Merckx si trova di fronte avversari decisamente agguerriti, che sperano ancorsa che il belga incappi in qualche giornata storta. Il più motivato di tutti è Luis Ocaña, che ha un conto aperto con la sfortuna. Non meno battagliero è il suo connazionale Lucien Van Impe, che l’anno prima aveva sfruttato tutte le occasioni utili nel tentativo di portargli via quella maglia gialla che aveva vestito solo grazie al ritiro dello sfortunato scalatore spagnolo. Anche Zoetemelk è della partita mentre i francesi tornano a tifare per il 34enne Poulidor, assente nel 1971, che dovrà spartirsi gli applausi con il giovane Bernard Thévenet e con Cyrille Guimard, che indosserà per una settimana la maglia gialla. L’Italia torna, invece, a proporre come antagonista del belga Felice Gimondi – reduce da un Giro fallimentare, chiuso in ottava posizione con 14 minuti di ritardo – il quale alla fine si rivelerà essere il rivale che arriverà più vicino al “cannibale”.

La partenza viene data da Angers dove Merckx inizia il Tour in bellezza imponendosi nel cronoprologo – che vince ininterrottamente dal 1970 – con 11” sul suo compagno di squadra Roger Swerts, 12” su Poulidor, 13” su Zoetemelk, 15” su Ocaña, 19” su Guimard, 24” su Gimondi, 26” su Thévenet e 41” su Van Impe.

Dovrà lasciare subito la maglia gialla il belga, al termine di una scomposta volata che sulla pista del velodromo di Saint-Brieuc vede imporsi Guimard sul britannico Michael Wright, accusato da Merckx di averlo danneggiato durante lo sprint, nel quale il capo della classifica si era lanciato per impedire che il francese vincesse e acquisisse l’abbuono con il quale gli avrebbe portato via la maglia gialla. Il britannico aveva effettivamente alzato un braccio, costringendolo ad allargare, ma la giura respinge il reclamo al mittente, che si vede spodestato per sette secondi delle insegne del primato. Diventeranno nove il giorno successivo, quando Guimard s’imporrà nel “point-chaud” (letteralmente “punto caldo”, come venivano un tempo chiamati i traguardi volanti ad abbuoni) previsto lungo il tracciato della tappa di La Baule, terminata con il successo allo sprint del belga Rik Van Linden.

Ci sarà una sola vittoria italiana in questa edizione del Tour e a coglierla è il parmense Ercole Gualazzini, andato in fuga assieme ad altri sei corridori a 22 Km dal traguardo di Saint-Jean-de-Monts, dove ha la meglio sui belgi Noël Van Clooster e Herman Beysens. Il giorno stesso, il pomeriggio, la carovana della Grande Boucle si sposta nella vicina stazione balneare di Merlin-Plage, sulle cui strade va in scena una breve cronosquadre che consente a Merckx di riprendersi la maglia gialla dopo aver staccato di 3’14” la Gan-Mercier di Guimard, anche se per la classifica si conteggiano gli abbuoni e così il francese si ritrova ad avere solo 11 secondi di ritardo in graduatoria, scendendo in seconda posizione.

I due giorni in giallo hanno, però, ingolosito Guimard che vuole immediatamente riprovarne l’ebbrezza e così l’indomani si ributta nella caccia agli abbuoni. Si piazza secondo nel “point-chaud” previsto dopo 41 Km (conquistato da Gualazzini), vince quello situato 40 Km più avanti e poi completa l’opera imponendosi nella volata più sostanziosa, quella sul traguardo finale di Royan che lo vede precedere i belgi Ronny Van Marcke e Frans Verbeeck e riportarsi in vetta alla classifica con 19” su Merckx. Il belga, però, ha molte ragioni per essere felice perché oggi il vento ha spezzato il gruppo e ha fatto perdere tempo preziosi a tre dei suoi avversari pù quotati, Van Impe, Poulidor e Zoetemelk, giunti al traguardo con tre minuti di ritardo. E, Guimard a parte, fin d’ora il “cannibale” guarda già dall’alto al basso i suoi rivali e prima ancora che inizino le montagne ha 34” su Ocaña, 40” su Thévenet, 48” su Gimondi, 3’37” su Zoetemelk, 3’44” su Poulidor e 4’13” su Van Impe.

Intanto il tracciato propone al belga un’altra occasione per riportarsi al vertice della classifica perché a Bordeaux, dopo una prima semitappa vinta dal belga Walter Godefroot nella quale Guimard ha aumentato a 33” il suo vantaggio grazie agli abbuoni, è in programma una terza prova contro il tempo. Sul suo terreno di caccia prediletto il belga detta legge come suo solito e, come nel prologo, precede il suo compagno di squadra Swerts (staccato di soli due secondi), mentre Guimard è sesto a 24” e riesce a tenersi sulle spalle la maglia gialla per nove secondi. E gli altri favoriti ancora perdono terreno con Ocaña 3° a 15”, Poulidor 4° a 20”, Thévenet 8° a 32”, Gimondi 10° a 41”, Zoetemelk 12° a 49” e Van Impe unico tra i big a superare il minuto di ritardo (39° a 1’20”).

Dopo la tappa di Bayonne, vinta dall’olandese Leo Duyndam sul veronese Luigi Castelletti (mentre Guimard continua la caccia agli abbuoni “catturando” altri tre secondi), il Tour osserva la prima giornata di riposo alla vigilia delle frazioni pirenaiche. La prima presenta la sola ascesa all’Aubisque a una settantina di chilometri da Pau, dove si presenta a giocarsi il successo un gruppetto di sei corridori, selezionato anche dalla pioggia che ha accompagnato la corsa sin dalla partenza. In quel plotoncino ci sono il sorprendente Guimard, che l’anno prima aveva comunque terminato il Tour in settima posizione, Merckx, Poulidor, Gimondi, Zoetemelk e, unico sconosciuto in mezzo a cotante celebrità, il francese Yves Hézard, che si prende il lusso di prevalere allo sprint su questi campioni. Il primo dei battuti è Ocaña, che taglia il traguardo con quasi due minuti di ritardo dopo aver prima forato nella discesa dell’Aubisque e poi esser caduto nel corso della medesima: ha tanta rabbia in corpo lo spagnolo, non solo per l’ennesimo tributo che ha dovuto pagare alla sfortuna, e ancora sui Pirenei, ma anche perché è offeso con i primi arrivati al traguardo, che l’avevano attaccato proprio nel momento della foratura. Più staccati giungono Van Impe (5’03”) e Thévenet (6’32”), con quest’ultimo che taglia il traguardo dolorante dopo esser stato coinvolto nella medesima caduta di Ocaña: per il francese sarà necessario l’immediato ricovero in ospedale, dove gli viene riscontrata una leggera commozione cerebrale, lieve al punto che gli sarà consentito di continuare il Tour.

Si corre a questo punto il primo dei due tapponi previsti dall’edizione 1972, non lungo ma infarcito di difficoltà perchè nei 163 Km da percorrere in direzione di Luchon si devono affrontare il Tourmalet, l’Aspin e il Peyresourde. È la prima vera occasione che Merckx ha per dimostrare di essere in forma in salita e il “cannibale” risponde presente, anche se è evidente che non sembra più in grado di mordere come un tempo. Non riesce a staccare gli avversari come al solito e a Luchon vince in volata precedendo Van Impe, mentre Ocaña è terzo a 8”. Ci sono comunque corridori di punta che pagano distacchi importanti dal belga, come i 2′15″ perduti da Zoetemelk e Poulidor, o i 2’44” accusati al traguardo da Gimondi, Thévenet – che non sembra accusare più di tanto il trauma cranico del giorno prima – e Guimard, che dà l’addio alla maglia gialla. Terminati i Pirenei Merckx è, infatti, tornato al vertice della classifica con 2′33″ sull’ex leader della corsa, 2’48” su Ocaña, 4’15” su Gimondi, 6’21” su Poulidor, 6’43” su Zoetemelk, 10’30” su Thévenet e 10’39”.

Due tappe interlocutorie fanno da separazione tra Alpi e Pirenei e la prima di queste porta altro denaro in casa Molteni grazie alla vittoria del belga Jos Huysmans, in fuga con altri nove corridori in una giornata che riserva anche un risvolto negativo per il suo capitano. Tutta colpa di un “deficiente” che a una trentina di chilometri dall’arrivo si era sistemato a bordo strada armato di un sasso da scagliare al passaggio di Merckx, riuscendo a colpirlo a un braccio e fortunatamente senza provocare conseguenze alla maglia gialla.

Dopo la tappa della Grande-Motte – caratterizzata da un paio di cadute di Merckx e dal successo del belga Willy Teirlinck, partito secco a 2 Km dal traguardo e riuscito a resistere per tre secondi al recupero del gruppo – si disputa la temuta tappa del Mont Ventoux, anche se per la prima e unica volta nella storia non si salirà dal tremendo versante di Bédoin. Accogliendo le proteste dei corridori, che due anni prima si erano lamentati delle difficoltà estreme di questa salita in occasione del collasso di Merckx, hanno deciso che si salirà da Malaucène, un versante comunque non facile nelle pendenze ma che si snoda quasi completamente al verde, incontrando i celebri paesaggi lunari solamente nelle ultime centinaia di metri. E anche lassù si nota come il cannibale abbia i denti “spuntati” perché i distacchi che riesce a imprimere sono ancora contenuti: Ocaña perde solo cinque secondi, Poulidor ne accusa diciassette e c’è anche chi fa meglio di Merckx, al traguardo preceduto di 34” da un Thévenet in ripresa. Sempre calcolati dal belga, Van Impe lascia per strada 51 secondi, Gimondi perde 1’12”, Zoetemelk 1’22”, e l’ex capoclassifica Guimard 1’35”.

È in programma a questo punto un arrivo che mette un po’ i brividi a Merckx, pur non essendo durissima la tappa che l’indomani proporrà il traguardo in salita di Orcières-Merlette, proprio laddove l’anno prima era stato pesantemente staccato da Ocaña. Sono brividi causati prevalentemente da questo ricordo, perché è palese che in questa edizione del Tour Merckx stia molto meglio, mentre lo spagnolo non ha la stessa condizione dimostrata nel 1971. Infatti, stavolta le cose vanno diversamente e, invece, si rispecchiano le stesse condizioni viste nelle precedenti tappe, con il belga che non riesce a schiodarsi realmente di dosso gli avversari: termina la tappa assieme ad Ocaña, il quale si lamenta che non c’è nessun che voglia aiutarlo nei tentativi di staccare il belga, e anche tutti gli altri big hanno concluso a pochi secondi da lui. Come il giorno prima, però, c’è qualcuno che gli è sfuggito perché Van Impe, che aveva allungato con il portoghese Joaquim Agostinho (poi penalizzato di dieci minuti per positività all’antidoping), è riuscito a precederlo di 1’17”, ma stavolta gli fa meno paura perché il connazionale ha più di undici minuti di ritardo in classifica.

Bisogna attendere il tappone di Briançon per rivedere un Merckx in grande spolvero, capace di staccare con più decisione gli avversari e di chiudere definitivamente la partita per quanto riguarda la vittoria finale. Non guadagna un’enormità, i distacchi che era stato in grado di affliggere a Mourenx in un solo giorno non sembrano più alla sua portata, ma riesce a portare il suo vantaggio in classifica su Ocaña a quasi cinque minuti. La chiave di volta del suo Tour si trova a un chilometro dalla vetta del Col de Vars, punto nel quale Merckx esce dal gruppo. Al termine della discesa il belga viene raggiunto da Guimard e i due affrontano assieme il successivo Izoard, almeno fin quando Eddy riesce a liberarsi della compagnia del francese. Mancano 4 Km alla cima del mitico colle e circa 27 Km al traguardo, tratto che il ritrovato cannibale percorre tutto da solo, incrementando il suo vantaggio fino al minuto e mezzo che i cronometri registraranno ai piedi della cittadella fortificata dal Vauban dal gruppetto di quattro corridori che tagliano la linea d’arrivo tutti assieme, il nostro Gimondi, Guimard, Van Impe e Poulidor. Una decina di secondi più tardi giunge Ocaña mentre crollano Zoetemelk (7’27”) e Thévenet (9’42”).

Il cannibale è tornato e lo dimosterà anche l’indomani imponendosi nella breve tappa di Valloire, soli 51 Km attraverso il Galibier che per Ocaña si rivelano un tormento a causa della bronchite che l’ha colpito. Così lo spagnolo perde il secondo posto in classifica dopo aver tagliato il traguardo un paio di minuti dopo l’arrivo di Merckx, che ha vinto anche oggi dopo aver raggiunto a un chilometro e mezzo dalla vetta del Galibier l’olandese Zoetemelk e averlo trascinato fino a Valloire. 56 sono i secondi che è riuscito a guadagnare su Guimard e Gimondi, mentre Poulidor ha perso 1’34”, Van Impe ha concluso con lo stesso tempo di Ocaña e Thévenet pure.

Lo scalatore spagnolo riesce comunque a rimanere sul podio scendendo al terzo posto, ma la sua giornataccia non è finita qua perché nel pomeriggio si deve correre una seconda tappa di montagna che lo vede ancora più pesantemente staccato. Al traguardo di Aix-les-Bains, infatti, si ritrova ad aver perso altri cinque minuti mentre la tappa si risolve in una volata tra l’élite della classifica, vinta da Guimard davanti a Merckx, Gimondi (che sale al terzo posto sostituendosi allo spagnolo), Van Impe, Agostinho e Poulidor. Thévenet, invece, ha fatto peggio di Ocaña accusando un passivo di 8 minuti.

C’è ancora un’ultima tappa alpina da superare, una frazione in formato “mignon” che imita quella brevissima di soli 19 Km che l’anno prima era stata affrontata a Superbagnères, il giorno dopo il ritiro di Ocaña a causa della storica caduta giù dal Col de Menté. E per un curioso scherzo del destino lo spagnolo non c’è nemmeno stavolta perché le sue condizioni di salute l’hanno convinto a non prendere il via in questa tappa di 26 Km che presenta l’arrivo in vetta al Mont Revard, salita cara ai “gimondiani” perché lassù nel 1965 Felice si era imposto in una cronoscalata in occasione del Tour che aveva vinto. È una tappa che finisce esattamente come si era arrivati il giorno prima, con il bis di Guimard davanti agli stessi corridori che aveva battuto ad Aix-les-Bains, pure in quest’occasione precedendoli allo sprint. Una differenza, però, c’è perché Gimondi non è riuscito a tenere le ruote dei migliori e in un colpo ha perso quasi due minuti e con essi il terzo posto della generale, nel quale s’installa “Poupou”. Consegnate alla storia le frazioni alpine del Tour ora Merckx si ritrova a essere saldamente in cima alla graduatoria con 6’20” su Guimard, 9’54” su Poulidor, 10’01” su Gimondi, 14’03” su Van Impe, 15’45” su Zoetemelk e più di mezz’ora su Thévenet.

Prima di tornare per l’ultima volta sulle montagne si affronta una lunga tappa di trasferimento verso Pontarlier che termina con il bis del belga Teirlinck e con quattro secondi guadagnati a un ennesimo “point-chaud” da Guimard, la cui giornata non è però positiva perché si vede costretto a ricorrere alle cure del medico di corsa per una dolorosa tendinite al ginocchio. I problemi più grossi il corridore francese li patirà il giorno successivo, quando al Ballon d’Alsace è in programma l’ultimo dei quattro arrivi in salita. Lassù Merckx ottenne nel 1969 la sua prima vittoria in montagna al Tour, mentre stavolta si deve accontentare della quarta piazza, una trentina di secondi dopo gli arrivi di Thévenet, vincitore, e di Zoetemelk, secondo a 4” dal transalpino. I francesi, se da un lato gioiscono per la vittoria di Bernard, dall’altro si rammaricano per la crisi di Guimard che, sofferente, perde un minuto e mezzo da Merckx, riuscendo almeno a salvare il secondo posto in classifica.

La delusione per i tifosi di Guimard sarà più grande l’indomani, alla notizia dell’abbandono del loro beniamino, che sale in ammiraglia dolorante dopo aver percorso i primi 10 Km dell’interminabile frazione di Auxerre. A parziale consolazione arriva l’inevitabile risalita dal terzo al secondo posto dell’amato Poulidor, mentre a conquistare al tappa è l’olandese Marinus Wagtmans, andato in fuga per una cinquantina di chilometri e giunto al traguardo venti secondi prima dell’arrivo del gruppo, regolato dal belga Van Linden.

Van Linden vincerà la volata del gruppo anche l’indomani a Versailles, ma pure questa volta si tratterà di un “premio di consolazione” conseguito con undici secondi di ritardo, tanto è passato dall’arrivo a braccia elevate di un altro belga, Joseph Bruyère, che anticipa così la grande festa per il successo finale di Merckx.

Ci si fermerà all’ombra dell’imponente reggia anche l’indomani mattina per l’ultima cronometro individuale, cattedra di un’altra regale lezione della maglia gialla, che anche a crono morde meno del solito. Solo 34 sono i secondi di distacco che riesce a dare a Gimondi, felice di nome e di fatto soprattutto per essere riuscito a distanziare di 57 secondi Poulidor, al quale “scippa” il secondo posto in classifica proprio all’ultimo giorno di gara. Il pomeriggio, infatti, è in programma la conclusione sulla pista della Cipale che stavolta accoglierà l’arrivo di una tappa in linea e non una crono, com’era avvenuto nelle ultime edizioni. Sul velodromo di Vincennes c’è un corridore che emula Van Linden, perché è l’italiano Marino Basso a mordersi le mani dopo aver vinto uno sprint disputato in ritardo, dopo che sei secondi prima Teirlinck aveva conquistato la sua terza vittoria.

E così, se Merckx non si è più dimostrato il famelico corridore d’un tempo, è stata la sua nazione a vestirsi dei panni del cannibale, “mangiandosi” ben 15 tappe su 25. Anche se la tavola meglio imbandita è sempre quella di Eddy, che in questo Tour s’è ancora fatto un boccone dei rivali, commensali tenuti a debita distanza dalla più prelibata pietanza gialla: Gimondi è arrivato a 10′41″, Poulidor a 11′34.

L’era del cannibale, però, sta cominciando a tramontare.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: mancano la 2a semitappa della 3a tappa (cronometro a squadre di Merlin-Plage) e la 2a semitappa della 5a tappa (cronometro di Bordeaux)

Merckx e Guimard allattacco sullIzoard nel tappone di Briançon (Cyclisme Magazine - LÉquipe)

Merckx e Guimard all'attacco sull'Izoard nel tappone di Briançon (Cyclisme Magazine - L'Équipe)

BATTI UN CINQUE – 1971, IL TERZO TOUR DI MERCKX (e un po’ di Ocaña)

luglio 9, 2020 by Redazione  
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Sembrava essere l’anno buono per Ocaña, lanciatissimo verso il successo al Tour de France dopo aver acquisito un vantaggio favoloso sulle Alpi. Invece, la sfortuna si scaglierà contro lo scalatore spagnolo estromettendolo dalla corsa alla prima frazione pirenaica e spianando così la strada al terzo successo di Merckx alla Grande Boucle, nel 1971 apparso decisamente inferiore al corridore extraterrestre che aveva dominato le due edizioni precedenti.

Non poteva vincerlo quel Tour.

Per come si erano messe le cose all’uscita dalle frazioni alpine, Eddy Merckx poteva considerare il suo Tour definitivamente perduto. Il belga si era ritrovato sul groppone un passivo di quasi nove minuti da Luis Ocaña che sarebbe stato quasi impossibile da colmare, sia perché quell’anno il Tour era stato disegnato con mano non troppo pesante, sia perché lo spagnolo era, seppur inferiore a lui, uno che se la cavava bene sia in montagna, sia a cronometro. Solo se l’avversario si fosse trovato a fare i conti con la sfortuna avrebbe potuto pensare di vincere quel Tour ed è proprio quel che accadde sui Pirenei, con lo spagnolo estromesso dalla corsa per via di una caduta che, tra l’altro, al momento fu giudicata peggiore di quello che in realtà era. Doppia scalogna per il corridore iberico, quindi, mentre Merckx riuscì a imporsi in un Tour che lo vide meno extraterrestre del solito, pur riuscendo a presentarsi in giallo a Parigi con distacchi importanti sui corridori che lo seguivano in classifica.
Quelli di Merckx e Ocaña non sono gli unici grandi nomi al via della 58a edizione del Tour, che schiera ai nastri di partenza innanzitutto lo svedese Gösta Pettersson, che quell’anno era riuscito ad approfittare dell’assenza del “cannibale” al Giro per imporsi nella Corsa Rosa, magistralmente diretto dal futuro commissario tecnico della nazionale italiana Alfredo Martini. C’è il giovane olandese Joop Zoetemelk, che l’anno precedente era stato il primo dei “terrestri” in classifica e concederà il bis anche in questo Tour. Ci sono anche il belga Lucien Van Impe e, assente per la prima volta dal 1962 Raymond Poulidor, il francese Bernard Thévenet, che al momento sembra essere l’unico corridore transalpino in grado, in futuro, di conquistare la classifica finale (ci riuscirà una prima volta nel 1975, proprio l’edizione dell’abdicazione di Merckx, e poi ancora nel 1977). La Spagna presenta al via un altro interessante scalatore, José Manuel Fuente, mentre il corridore di punta della presenza italiana è Gianni Motta, quell’anno vincitore del Giro di Romandia.

La sede di partenza è Mulhouse dove è previsto un cronoprologo atipico, da disputare a squadre ma non valido per la classifica generale per quanto riguarda i tempi, mentre varranno gli abbuoni assegnati ai corridori delle prime tre formazioni classificate, che saranno conteggiati il giorno successivo al momento di stilare la prima classifica. Nonostante la sua “inutilità” la Molteni – la squadra nella quale quell’anno è passato Merckx dopo aver lasciato al Faema – ci si mette d’impegno e riesce a confezionare una piccola impresa, staccando in 11 Km di quasi due minuti la Ferretti di Pettersson e la Flandria di Zoetemelk.

La prima frazione è un circuito di 224 Km con partenza e arrivo fissate ancora a Mulhouse e sconfinamenti in Svizzera e Germania, nelle quali sono previsti un traguardo a testa, suddividendola così in tre semitappe. La prima, iniziata con un protesta dei corridori che si lamentano per la riduzione del montepremi (lagnanza accolta dal direttore della corsa Goddet, che raddoppierà i premi di giornata nonostante il parere contrario del suo vice Félix Lévitan, che si occupa principalmente della gestione economica della corsa) termina nell’elvetica Basilea con un volatone che vede spuntarla il belga Eric Leman mentre, stilata la prima classifica effettiva tenendo conto dei piazzamenti e degli abbuoni della cronosquadre, la maglia gialla passa dalle spalle di Merckx a quelle del suo compagno di squadra olandese Marinus Wagtmans. La leadership torna poi in possesso di Eddy dopo la semitappa tedesca di Fribourg-en-Brisgau, vinta dal “tulipano” Gerben Karstens, e rimane in suo possesso anche dopo la frazione serale che riporta la corsa a Mulhouse, dove s’impone il belga Albert Van Vlierberghe.

La seconda tappa è all’apparenza innocua perché l’unica difficoltà altimetrica prevista lungo i 144 Km che conducono a Strasburgo è il Col de Firstplan, pedalabile salita di seconda categoria che si deve affrontare a 41 Km dalla partenza e a più di 100 Km da un traguardo che fa gola ai velocisti. Nessuno s’immagina che sul Firstplan possa scatenarsi la bagarre tra gli uomini di classifica, promossa da Zoetemelk, Van Impe e Fuente, con il primo che scollina 10” prima dello spagnolo e con 15” sul belga, mentre Merckx transita qualche secondo più tardi. La selezione vera avviene nella successiva discesa, nella quale il “cannibale” si scatena con il compagno di squadra Herman Van Springel e porta via un gruppetto di sedici corridori, con dentro tutti i favoriti, il cui vantaggio sale progressivamente fino a raggiungere il tetto massimo di 9’27” al traguardo di Strasburgo, dove a imporsi è proprio Merckx. Tra i corridori che hanno terminato nella prima parte del gruppo c’è Motta, che cede qualcosa nel finale e perde 44 secondi, mentre tra i “caduti” c’è da segnalare il nome di Fuente, che era stato protagonista sul Firstplan ma non era stato poi in grado di accodarsi al plotoncino all’attacco e ha addirittura concluso la tappa in ultima posizione, undici minuti e mezzo dopo l’arrivo dei primi.

Per com’è iniziato il Tour Eddy sembra già proiettato verso la vittoria finale nel suo terzo Tour de France e intanto fa anche il “regista” in corsa, lasciando il giorno successivo andare la fuga solo perché tra i dieci corridori all’attacco c’è un suo compagno di squadra. Ed è proprio quel corridore, quel Wagtmans che due giorni prima aveva temporaneamente “scippato” la maglia gialla al suo capitano, a cogliere il successo a Nancy precedendo in volata il britannico Barry Hoban e lo spagnolo Nemesio Jiménez. Da segnalare che anche in questa tappa era previsto un colle lontano dall’arrivo, il Donon, sul quale Zoetemelk aveva nuovamente dato fuoco alle polveri, ma stavolta Merckx non aveva replicato all’azione dell’olandese.

Dopo Svizzera e Germania il Tour visita il Belgio, dov’è a Marche-en-Femenne è previsto l’arrivo al termine di una frazione vallonata ma non eccessivamente movimentata, nella quale Merckx potrebbe anche dire la sua in volata, davanti ai suoi tifosi. Preferisce, invece, ritagliarsi ancora i panni del direttore di corsa, lasciando andar via il tentativo, nato a 45 Km dall’arrivo, del francese Jean-Pierre Genet e dallo spagnolo José Gómez Lucas, che guadagnano fino a 1′40″ per poi conservare appena 5 secondi al traguardo, dove la vittoria finisce nel palmarès del corridore transalpino, già vincitore al Tour nel 1968 sul traguardo di Saint-Étienne.

Il rientro in Francia avviene con una tappa insidiosa, che si snoda tra Dinant e Roubaix proponendo il muro di Grammont e qualche tratto di pavè, non dei più celebri perché si corre quasi interamente in territorio belga e la frontiera tra i due stati viene superata a soli 6 Km dal traguardo. L’arrivo come al solito è collocato sulla pista del mitico velodromo, che in quest’occasione accoglie l’arrivo a braccia levate di un corridore italiano, il veronese Pietro Guerra, che batte allo sprint un gregario del campionissimo belga, Julien Stevens. Poco più di un minuto più tardi ecco il sopraggiungere del gruppo, regolato in volata da De Vlaeminck, nel quale le strade belghe non hanno provocato selezione.

La sesta tappa prevedere di percorrere ben 260 Km ma in due soluzioni, entrambe destinate ai velocisti, che in questa edizione del Tour finora sono riusciti a imporsi solamente nelle tre semitappe transfrontaliere del secondo giorno. Il mattino ad Amiens Guerra tenta di agguantare uno strepitoso bis uscendo dal gruppo a 800 metri dal traguardo, ma viene ripreso proprio sul rettilineo d’arrivo, in fondo al quale è il belga Leman a incassare il bis dopo essersi in posto a Basilea. Il pomeriggio nella località balneare di Le Touquet-Paris-Plage va in porto la fuga e per la seconda volta in questo Tour è un italiano a tagliare vittorioso la linea d’arrivo, il livornese Mauro Simonetti, mentre Motta avanza leggermente in classifica grazie ai secondi d’abbuono conquistati a un traguardo volante e si porta al quinto posto a 43” da Merckx.

Dopo una giornata di riposo, alla vigilia della prima tappa di montagna si riparte da Rungis, cittadina situata una quindicina di chilometri a sud di Parigi, per raggiungere Nevers a capo della frazione più lunga di questa edizione. I 257 Km che si devono percorrere presentano solo un paio di modesti Gran Premi della Montagna di quarta categoria che poco pepe danno alla gara. Quest’ultimo viene, invece, viene offerto da uno spartitraffico collocato nel bel mezzo del rettilineo d’arrivo, al quale i corridori devono obbligatoriamente imboccare il viale di destra, essendo l’altro precluso da un nastro; ma c’è chi va nella direzione opposta facendo inutilmente sbracciare l’addetto dell’organizzazione preposto a tale delicato punto, il quale si sporge troppo e finisce per essere investito dalla moto della televisione francese. Intanto Leman vola a prendersi il tris e Motta si avvicina ancora di più al vertice della classifica dopo essersi intascato un altro piccolo abbuono “intermedio”.

Arriva finalmente la prima vera salita del Tour 1971 e per la prima volta sul Puy-de-Dôme si vede un Merckx traballante, anche se al momento sembra solo un passaggio a vuoto dell’imbattibile belga, che butta sul piatto un sacco di energie nel tentativo di staccare Petterson, Motta e Zoetemelk e poi si ritrova con l’affanno al momento dell’attacco di Ocaña. Alla fine è lo spagnolo a guadagnare, anche se i 15 secondi patiti dal belga – che al traguardo viene anticipato di 8 secondi dall’olandese che cercava di mettere in difficoltà – non suonano certo come un campanello d’allarme, anche perché al momento si guarda con positività al tempo che si è riusciti a far perdere agli altri due avversari (34 secondi per lo svedese e quasi in minuto e mezzo per l’italiano). E Merckx può ancora gongolarsi orgoglioso in maglia gialla con 36” su Zoetemelk, 37” su Ocaña, 1’16” su Pettersson, 1’58” su Thévenet, 2’02” su Motta e 2’51” su Van Impe.

Si viaggia ora alla volta delle Alpi, anticipate da una breve frazione di media montagna che si conclude a Saint-Étienne dove l’Italia sfiora la terza vittoria di tappa con il toscano Wilmo Francioni, che viene preceduto allo sprint dal belga Walter Godefroot, giunti al traguardo assieme a tre dei nove corridori con i quali erano andati in fuga.

La prima tappa alpina dimostra che il Merckx che sta affrontando il Tour non è lo stesso visto negli anni precedenti. L’arrivo è a Grenoble e il finale ricalca quello della frazione che dodici mesi prima aveva visto il cannibale guadagnare sui rivali andando in fuga solitaria sul Cucheron, lo stesso colle che stavolta è carnefice del belga, colpendolo con una foratura nella successiva discesa. Ocaña si accorge dell’incidente che ha temporaneamente fermato il capo della classifica e dà il via a un feroce attacco, trascinando nel tentativo gli altri avversari del belga, tra i quali non c’è Motta, che da parecchi chilometri sta correndo con il polso fratturato in una precedente caduta e che a fine tappa annuncerà il suo ritiro dalla corsa francese. Sul successivo Col de Porte Ocaña accelera ancora di più per far lievitare il distacco di Merckx che al traguardo, dove s’impone Thévenet, è poco superiore al minuto e mezzo, bastante per togliergli per un minuto esatto la maglia gialla, che finisce sulle spalle di Zoetemelk: la classifica rivoluzionata vede ora l’olandese in testa con appena un secondo di vantaggio su Ocaña, mentre Pettersson è 3° a 40”. Quarto è Merckx e l’unico dei quattro attaccanti di giornata a non esser riuscito a superarlo è Thévenet, 5° a 1’22”.

La frazione successiva è la più impegnativa della fase alpina, anche se non presenta un percorso particolarmente difficile perché, come abbiamo già detto, quest’anno gli organizzatori hanno confezionato un percorso abbastanza morbido, forse nel tentativo di contenere lo strapotere merckxiano. Si devono percorrere 134 Km affrontando in partenza la salita più difficile, la Côte de Laffrey, quindi il pedalabile Col du Noyer e la salita finale verso Orcières-Merlette, che debutta come arrivo di tappa. Si tratterà di un battesimo di fuoco per la piccola stazione di sport invernali per il clamoroso successo di Ocaña, ottenuto in una giornata che ha visto Merckx in difficoltà fin da subito. In cima alla Côte de Laffrey il belga ha già quasi due minuti di ritardo su Zoetemelk, Ocaña e Van Impe, usciti dal gruppo per rispondere ad un attacco del portoghese Joaquim Agostinho. Il loro vantaggio aumenta rapidamente e quando questo comincia leggermente a scemare Ocaña capisce che è il momento di tentare l’affondo: sul Col de Noyer si sbarazza dei compagni d’avventura, con Van Impe che riesce a rimanere a bagnomaria tra lo spagnolo e il gruppo di Merckx, nel quale viene riassorbito Zoetemelk. I minuti tornano rapidamente a salire e al traguardo Ocaña si presenta con 5’52” su Van Impe e 8’42” sul “cannibale”, che si consola anticipando sul rettilineo d’arrivo Zoetemelk, Pettersson e Thévenet. Lo spagnolo ci ha “dato dentro” così tanto che ha fatto finire fuori tempo massimo ben settanta corridori (su 109), anche se alla fine la giuria grazierà quasi tutti, “obbligando” al ritiro solo Godefroot e gli italiani Attilio Benfatto e Virginio Levati, giunti al traguardo quasi 40 minuti dopo la vittoria di Ocaña.

I più pensano che, stando così le cose, il Tour di Merckx siano irrimediabilmente compromesso perché non sarà semplice recuperare i quasi 10 minuti di ritardo che il belga ha ora in classifica dallo spagnolo, preceduto in graduatoria da Zoetemelk (2° a 8’43”), Van Impe (3° a 9’20”) e Pettersson (4° a 9’26”). Ma Merckx non è un corridore che si rassegna facilmente e, anche se ai giornalisti ha detto che oramai il Tour è perduto, in cuor suo sta già meditando altre leggendarie imprese per accorciare le distanze da Ocaña. Siccome sa che anche lui che il rivale ha ottime doti in salita e a cronometro (l’anno prima a Parigi, sulla distanza di 54 Km, era riuscito a distanziarlo “solo” di 1’47”), decide per un attacco a sorpresa nella tappa in programma dopo il giorno di riposo, che sulla carta è la meno adatta per un’azione del genere. I 251 Km che si devono percorrere per andare a Marsiglia hanno l’aspetto di una noiosa frazione di trasferimento, completamente pianeggiante se si escludono un microscopico GPM di 4a categoria piazzato poco dopo metà tappa e il tratto iniziale in discesa, perché in partenza si deve ricalcare al contrario il finale della tappa di Orcières-Merlette. È proprio quella discesa in apertura di tappa a ispirare Merckx che prima della partenza concorda la strategia dell’attacco assieme ai suoi compagni di squadra. Così appena viene abbassata la bandierina del via Wagtmans si lancia all’attacco e dietro gli vanno immediatamente altri nove corridori tra i quali ci sono il “cannibale” e gli italiani Enrico Paolini e Luciano Armani. Questo drappello viaggia a quasi 50 Km/h nelle prime due ore di corsa, mentre il vantaggio oscilla per molti chilometri attorno al minuto e mezzo, salvo toccare una punta di poco più di due minuti in occasione di una foratura di Ocaña e scendere di poco al traguardo di Marsiglia, dove Armani si prende il lusso di anticipare allo sprint il belga, felice d’aver recuperato 1’56” allo spagnolo e di essere risalito al secondo posto della classifica, dove ora ha un passivo di 7′34″. E anche in questa tappa in diversi corridori hanno superato la soglia del tempo massimo – in tredici per la precisione, tra i quali lo spagnolo Fuente – ma anche in questo caso la giuria interviene e riammette tutti in corsa.

Il mattino successivo si sale tutti sull’aereo per volare ad Albi, dove nel pomeriggio si disputa un’altra frazione utile alla causa di Merckx, una cronometro individuale che comunque è troppo corta per consentire al belga di guadagnare un vantaggio rassicurante. Il belga vince come da copione ma in 16 km riesce a far meglio di Ocaña solo per undici secondi mentre, tra gli altri rivali di classifica, Thévenet ne accusa 42, Zoetemelk e Van Impe superano di poco il minuto di ritardo e poco più perde Petterson.

Ed è già ora di affrontare i Pirenei, introdotti da una frazione di 214 Km che propone il classico arrivo in discesa a Luchon dopo esser saliti sul Portet d’Aspet, sul Menté e sul Portillon, al quale si giunge dopo un breve sconfinamento in Spagna. Ma sulle strade del suo paese natale Ocaña non ci giunge, né in maglia gialla, né fisicamente. Mentre in testa alla corsa c’è il suo connazionale Fuente, in fuga da più di 100 Km con quasi 5 minuti di vantaggio, sotto un incessante diluvio il capoclassifica cade nell’affrontare un tornante della discesa dal Menté. L’incidente non ha conseguenze e lo spagnolo tenta di rialzarsi senza riuscirci, perché ha i piedi ancora legati ai pedali dai cinturini che si usavano all’epoca; così è ancora a terra quando viene centrato in pieno da Zoetemelk e stavolta l’impatto è di quelli che fanno male. Le immagini lo mostrano mentre si contorce a terra, con urla e il volto deformato dal dolore che impressionano i presenti e anche i primi soccorritori, che ci mettono un secondo a capire che è successo qualcosa di grave e lo caricano sull’ambulanza per un inutile viaggio verso il più vicino ospedale. Inutile perché le lastre riveleranno che non c’erano né fratture, né altre lesioni e, attendendo un attimo, forse il corridore spagnolo sarebbe riuscito a risalire in sella e a completare la tappa. Ma probabilmente la botta era stata così forte e il dolore così alle stelle che nemmeno lo stesso Ocaña ci avrebbe creduto. Intanto la tappa continua e vede il connazionale portare a termine vittoriosamente la fuga intrapresa molti chilometri prima, mentre tutti gli altri avversari di Ocaña terminano la tappa assieme oltre sei minuti dopo l’arrivo di Fuente, con Merckx che taglia il traguardo in seconda posizione ritrovandosi con la maglia gialla sulle spalle.

Il belga, che è sì cannibale ma è anche gentiluomo, l’indomani mattina rifiuta di vestire le insegne del primato per rispetto verso il collega e affronta con la divisa arancione della Molteni la più breve tappa in linea della storia del Tour. Può essere scambiata per una cronoscalata, ma non lo sono i 19 Km e 600 metri della frazione che da Luchon sale alla soprastante Superbagnères dove Fuente bissa il successo ottenuto poche ore prima e Merckx offre una conferma delle sue condizioni non ottimali. Se fosse stato ancora in corsa Ocaña avrebbe certamente guadagnato su Eddy anche in questa tappa, dove il belga si vede sopravanzare di una trentina di secondi da Van Impe e Thévenet, mentre Zoetemelk conclude con il suo medesimo tempo.

Il vantaggio del belga in classifica è comunque rassicurante, perché circa 2’20” lo separano da Van Impe e Zoetemelk, rispetto ai quali sarebbe in giallo anche senza il tempo recuperato con la fuga verso Marsiglia. Ma il suo connazionale che lo segue immediatamente in graduatoria vuole ancora sfruttare il difficile periodo che sta attraversando il “cannibale” e lo attacca anche nell’ultima frazione pirenaica, una cavalcata di 145 Km che ripropone il tratto iniziale della leggendaria tappa di Mourenx, con il traguardo fissato a Gourette, poco meno di 5 Km dopo la cima dell’Aubisque. Van Impe, però, sbaglia, clamorosamente i tempi e, anziché attendere l’ultimo colle, parte sul Tourmalet quando all’arrivo mancano una settantina di chilometri. Riesce a guadagnare fino a 1’45”, ma poi si spegne lentamente alla distanza e viene riassorbito da Merckx e Zoetemelk, con i quali arriva “spicciolata” al traguardo di Gourette. Un minuto e mezzo dopo la vittoria del francese Bernard Labourdette – per la gioia dei suoi connazionali nel giorno della festa nazionale – Merckx taglia il traguardo con due secondi di vantaggio su Van Impe, uno in più su Zoetemelk e a questo punto può dire di avere il Tour in tasca: se ha perso il suo smalto in salita, la tappa di Albi ha mostrato come ancora riesce a esprimersi a cronometro e tra qualche giorno se ne dovrà affrontare una di 54 Km.

In attesa di questa tappa si susseguono una serie di frazioni di trasferimento, la prima delle quali si disputa il giorno stesso del tappone pirenaico. Nel tardo pomeriggio sono in programma 72 Km alla volta di Pau, che vengono ridotti di 15 Km tagliando la discesa iniziale da Gourette a Laruns per evitare eccessivi pericoli ai corridori, essendosi scatenato proprio al momento della partenza un violento temporale, simile a quello avvenuto al momento della caduta di Ocaña due giorni prima. C’è un corridore che, però, crede ancora di poter mettere in difficoltà Merckx ed è sempre Van Impe, che decide di sfruttare una piccola ma ripida “côte” collocata a 16 Km dal traguardo, riuscendo soltanto a sfoltire il gruppo, dal quale a 10 Km dall’arrivo escono i belgi Van Springel e Willy Van Neste, che insistono e riescono a giungere al traguardo – dove a imporsi è il primo – con 24” di vantaggio su di un gruppetto di undici corridori tra i quali ci sono la maglia gialla, Van Impe e Zoetemelk.

Merckx potrebbe accontentarsi, anche perché non ci sono più altre occasioni nelle quali il connazionale potrebbe insidiarlo, ma forse non ci sta a passare per uno che ha vinto il Tour soltanto sfruttando le “disgrazie” altrui. Così, dopo aver fatto visita a casa di Ocaña (la tappa parte proprio da Mont-de-Marsan, dove risiede lo sfortunato corridore), rispondendo a un tentativo di un gregario di Van Impe si lancia all’attacco verso Bordeaux, in una tappa che più piatta non si può. S’inventa così un’altra impresa, come quella di Mourenx di due anni prima e quella di Divonne del precedente Tour, portandosi dietro altri quattro corridori, che poi precede allo sprint, mentre dietro i più diretti avversari di classifica si affannano ma non riescono a colmare un gap che supera di poco i tre minuti al traguardo.

E così il belga ha dato un bello schiaffone a tutti, ha fatto ancora capire che il più forte è lui. Nessun altro ci proverà a rompergli le scatole nelle due rimanenti frazioni in linea, che entrambe vedono andare via la fuga (a Poitiers s’impone il francese Jean-Pierre Danguillaume, a Versailles è il turno dell’olandese Jan Krekels), poi si fionda con il solito piglio sulle strade parigine per un epilogo a cronometro che è una nuova apoteosi per il belga. Il distacco che patirà il portoghese Agostinho al traguardo, due minuti e trentasei secondi, è un suo record personale perché è il più elevato che Merckx riuscirà a dare al secondo classificato di una cronometro di un grande giro in tutta la sua carriera. Poi c’è un abisso verso gli altri corridori che speravano di farlo tribolare: Zoetemelk ha perduto più di quattro minuti, Zoetemelk ha fatto poco peggio dell’olandese, mentre Van Impe ha lasciato sulle strade della capitale francese più di cinque minuti e mezzo.
La classifica vede il belga prevalere con 9’51” su Zoetemelk, 11’06” su Van Impe e 14’50” su Thévenet.

Tremate, tremate, il cannibale è tornato!

O forse non se n’era mai andato.

Mauro Facoltosi

LE ALTIMETRIE

Nota: manca il prologo

Merckx e Ocaña al Tour del 1971

Merckx e Ocaña al Tour del 1971

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